Utente:Silvio Gallio/sandbox
DELLE
STRADE FERRATE
ITALIANE
PROTESTA
DELLE
STRADE FERRATE
ITALIANE
E
DEL MIGLIORE ORDINAMENTO DI ESSE
CINQUE DISCORSI
DI
CARLO ILARIONE PETITTI
CAPOLAGO
CANTONE TICINO
TIPOGRAFIA E LIBRERIA ELVETICA
1845
«O le strade ferrate non si devono fare in alcun paese del mondo; e i popoli e i governi che le fanno, i Belgi, gl’Inglesi, gli Americani, i Francesi, i Tedeschi, i Russi, sono tutti deliranti; o in nessuna parte del mondo le strade ferrate possono come fra noi trovare un campo più favorevole, un terreno più popolato, più ubertoso, più ameno, più opportuno ad accogliere questo poderoso strumento di pubblica e privata prosperità».
(Da un opuscolo del dottore Carlo Cattaneo, |
Rivista di varii scritti intorno alla strada ferrata, ec.; 1841). |
L’AUTORE
INTITOLA QUESTI DISCORSI
SULLE STRADE FERRATE
DELLA PENISOLA
AI
SUOI CONCITTADINI
D’ITALIA
SOMMARIO
____
DISCORSO PRIMO. | |
Capitolo unico. — Considerazioni storiche-generali. | pag. 11 |
DISCORSO SECONDO. | |
De’ varii sistemi adottati per l’ordinamento delle vie ferrate presso le diverse nazioni. | » 41 |
Capitolo I. — Concessione intera, perpetua o temporanea all’industria privata libera. | » 43 |
» II. — Concorso del governo a sussidio dell’impresa; lasciata tuttavia all’industria privata con certe condizioni. | » 64 |
» III. — Concorso diretto del governo nelle prime opere; compimento di esse ed esercizio, lasciati però all’industria libera. | » 74 |
» IV. — Affidamento di futuro sussidio all’industria privata fatta impotente a proseguir l’impresa; abbandono di questa al governo. | » 80 |
» V. — Sistema misto d’esecuzione diretta d’alcune linee maggiori o governative, e di concessione all’industria privata dalle altre linee minori. | » 82 |
» VI. — Intervento diretto ed esclusivo del governo per mezzo d’apposita azienda nella costruzione e nell’esercizio delle strade ferrate, e per l’intera rete di esse. | » 89 |
» VII. — Riepilogo e conclusioni del Discorso secondo. | » 99 |
DISCORSO TERZO. | |
Ordinamento già attuato, decretato o divisato soltanto ne’ varii Stati italiani per la costruzione ed esercizio delle vie ferrate. Presunti effetti di queste. Giudizio sugli emanati od ideati provvedimenti de’ governi, e sulle offerte imprese de’ privati. | » 105 |
Capitolo I. — Strade ferrate già attuate o solo ancora divisate nel regno di Napoli. | » 111 |
Capitolo II — Strade ferrate già attuate, decretate od ideate soltanto nel regno Lombardo-Veneto | pag. 141 |
» III. — Strade ferrate già decretate ed in corso d’esecuzione da Trieste a Vienna d’Austria ed al regno Lombardo-Veneto | » 194 |
» IV. — Strade ferrate già attuate, in corso d’esecuzione, decretate, o divisate soltanto in Toscana ed a Lucca | » 198 |
» V. — Strade ferrate già decretate ed ancora in progetto negli Stati Sardi di Terra-Ferma | » 253 |
» VI — Strade ferrate in progetto compito, però ancora da approvare, negli Stati Parmensi | » 298 |
» VII — Strada ferrata ideata soltanto negli Stati Estensi | » 303 |
» VIII — Ordinamenti ideali di società pell’apertura divisata e da divisare di strade ferrate negli Stati Pontifici | » 312 |
» IX — Riepilogo e conclusioni del Discorso terzo | » 367 |
DISCORSO QUARTO.
Della corrispondenza fra le varie linee di strade ferrate di diversi Stati della Penisola; — e delle cautele politiche, economiche, daziarie, di sicurezza, ed altre occorrenti discipline | » 395 |
Capitolo I. — Corrispondenza de’ convogli | » 397 |
» II. — Cautele politiche | » 402 |
» III. — Cautele economiche e commerciali | » 405 |
» IV. — Cautele daziarie | » 418 |
» V. — Cautele di sicurezza | » 426 |
» VI. — Altre discipline e cautele | » 433 |
» VII. — Ancora; alcuni ultimi essenziali riflessi sulle conseguenze dell’aggiotaggio | » 442 |
» VIII. — Riepilogo e conclusione del Discorso quarto | » 469 |
DISCORSO QUINTO.
Capitolo Unico. - Riepilogo finale ed ultima conclusione | » 482 |
APPENDICE E DOCUMENTI.
N.°1.° Quadro sinottico della marineria mercantile de’ varii Stati d’Italia | » 509 |
2.° Strade ferrate del Belgio. — Ristretto del rendiconto della rendita e della spesa dell’azienda pel 1844 | » 514 |
3.° Elenco degli opuscoli pubblicati sulla quistione delle due linee da Milano a Brescia per Treviglio o per Bergamo | » 524 |
4.° Prodotto presuntivo lordo della strada ferrata da Lucca a Pisa | » 528 |
5.° Prospetto economico, geografico-statistico della strada ferrata da Siena alla Leopolda, ossia della strada ferrata centrale Toscana | » 530 |
6.° | Manifesto dei promotori della strada ferrata dell’Appennino | pag. 533 |
7.° | Notificazione concernente la concessione della strada ferrata da Firenze a Pistoia, passando per Prato | »539 |
8.° | Notificazione della Consulta Toscana concernente le norme fissate da quel governo per le concessioni preliminari d'imprese di strade ferrate | »542 |
9.° | RR. PP. del 10 settembre 1840 di S. M. il re di Sardegna, con cui si permettono gli studi d’una strada ferrata da Genova al Piemonte e confine lombardo | »545 |
10.° | RR. PP. 18 luglio 1844, colle quali S. M. il re di Sardegna determina la direzione delle principali linee di strade ferrate del Genovesato e del Piemonte | »552 |
11.° | RR. PP. 13 febbraio 1845, con cui S. M. il re di Sardegna ordina l’esecuzione delle strade ferrate, di cui approvò le linee con le regie patenti 18 luglio 1844 | »555 |
12.° | Progetto del signor Médail d’un tunnel attraverso l’Alpi | »558 |
13.° | Letture di famiglia: lettera del conte Sauli, con nota relativa a diramazioni di strade ferrate nell’interno del Piemonte | »570 |
14.° | Specchio particolareggiato della distanza da Calais ad Alessandria d’Egitto, e da Ostenda allo stesso scalo, ossia paragone tra le due direzioni per la Francia o per l'Italia | »586 |
15.° | Prospetto della superficie, popolazione e produzione delle province attraversate dalla linea di strada ferrata proposta da Bologna ad Ancona | »587 |
16.° | Quadri sinottici delle principali strade ferrate d’America e d’Europa, con alcune indicazioni relative alla loro lunghezza, spesa, rendita ed altre degne d’essere notate | »588 |
A) Quadro di tutte le strade ferrate già eseguite od in corso di costruzione nell’America a tutto il 1843 | »592 | |
B) Strade ferrate del Regno Unito della Gran Brettagna | »602 | |
C) Quadro delle strade ferrate del Belgio | »606 | |
D) Quadro delle principali strade ferrate della Germania nel 1845 | »608 | |
E) Quadro delle principali strade ferrate della Francia nel 1845 | »610 | |
F) Strade ferrate d’Europa non comprese ne’ precedenti quadri | »611 | |
17.° | Notizia ricavata dai vari fogli periodici svizzeri, ed altri, come dalle assunte informazioni, concernente ai divisamenti ivi fatti di strade ferrate corrispondenti col Piemonte e col regno Lombardo-Veneto | »612 |
18.° | Poscritta: notizie di fatto ulteriori | »624 |
19.° | Carta corografica delle strade ferrate costrutte, in corso di costruzione, decretate e proposte soltanto nella penisola italiana | (in fine) |
DELLE
STRADE FERRATE ITALIANE
DISCORSO PRIMO.
CAPITOLO UNICO. — Considerazioni storiche-generali.
La moltiplicità, la facilità ed il comodo, come la sicurezza e l’economia de’ mezzi di trasporto, sì delle persone che delle merci, possono chiamarsi il vero termometro della civiltà, e della prosperità materiale e morale d’un popolo. Perocchè, coll’accrescere e coll’agevolare lo scambio delle idee, degli affetti e delle cose, que’ mezzi concorrono ad una fusione di princìpi, d’opinioni e d’interessi, onde nascono i primi elementi della vera civiltà, le più sicure cautele d’una condizione quieta ed agiata.
Quantunque la nostra italiana penisola, nell’antica civiltà greca e romana, come in quella succeduta al medio-evo, per la singolare idoneità d’ingegno forte ed illuminato, che sempre distinse gl’indigeni, giungesse a quegli effetti del vero incivilimento che più toccavano ai bisogni ed ai costumi del tempo: nullameno, nel rispetto morale e materiale, essa era ancor ben lontana dal pervenire allora a quel grado di perfezione civile cui successivamente seppero arrivare a’ tempi nostri altri popoli, specialmente nel rispetto or preso da noi a trattare1.
Molteplici infelicissime cause di lamentevole decadenza, alle quali è inutile or fermarsi pel nostro assunto, impedirono che le vie di comunicazione per lungo tempo tra noi s’aprissero e si moltiplicassero.
Le intestine discordie; la povertà dell’erario; le gare, non solo tra Stato e Stato, ma tra i municipi vicini istessi; le cautele di militare difesa; le tendenze d’un’avidità fiscale poco illuminata, richiedenti solo alcuni difficili passi, onde meglio assicurare la riscossione de’ dazi d’entrata e d’uscita: erano, conviene ammetterlo, tanti motivi per cui tralasciavasi dopo il risorgimento civile d’intraprendere opere consimili a quelle che la civiltà romana ci ha lasciate, sebbene in iscarso numero, qual perenne monumento tuttavia della sua grandezza e potenza, intelligenti del pari. Le quali opere di pubblica utilità la moderna età in sì gran copia or va dovunque moltiplicando con tanto profitto.
Nè si creda per avventura, che nel riconoscerci ora inferiori ad altri popoli, si ammetta ch’essi di molto ne abbiano preceduto nell’utile assunto; chè poco tempo prima soltanto, vuolsi notare, ciò loro succedeva, perchè atti pur da non molto essi fecersi all’uopo, dacchè a migliori condizioni di potenza, di traffici e d’interessi omogenei trovaronsi giunti.
Comunque, è cosa innegabile, che l’Italia, venuta per le vie di comunicazione a seguito d’alcune tra le principali nazioni d’Europa, dopo averle altre volte precedute, pe’ canali specialmente: or si mostra molto propensa ad utili imitazioni2.
Nè può dubitarsi che queste riusciranno assai proficue alla patria comune, se nell’ordinare i nuovi mezzi di reciproche relazioni, anzichè lasciarsi guidare dalle grette idee di rivalità tra Stato e Stato, e tra municipio e municipio, onde sempre nacque la nostra decadenza, l’autorità che governa saprà anzi combinare le imprese m modo che tendano a fare dell’intera Penisola una sola contrada ed una sola famiglia, come succede apposto in quella forte ed intelligente Germania, dove senza menomamente ledere la giusta indipendenza d’ogni Stato, si seppe nondimeno creare un’omogeneità d’interessi e di regole per governarli, da cui non può che tornare immenso accrescimento di potenza e di ricchezza all’intera nazione.
L’opportunità, altronde, di creare in Italia mercati grossi e comuni per tutti gl’Italiani, i quali mercati ivi chiamino anche in larga copia molti avventori esteri, non potrebbe essere maggiore nell’epoca che corre, di quello il sia stato o sia per esserlo mai.
Anzi l’urgenza in certo modo non potrebbe più evidente mostrarsi di ciò che sia di presente; e per tutti; perocchè, omessa una volta l’occasione, questa non sempre torna opportuna, altri sapendo destramente coglierla; nè le abitudini commerciali, per cui si creano interessi nuovi, son poi così facilmente trasmutate3.
Se rivolgiamo il pensiero alla situazione del mare Mediterraneo, vediamo ch’esso è il più centrale fra tutti quelli del globo terrestre. Lambendo le coste dell’Europa, dell’Africa e dell’Asia, codeste mare può dirsi posto dal Creatore quale anello naturale di comunicazione fra quelle tre parti del mondo.
Quindi non è maraviglia se fu il primo ad essere solcato dai navigatori.
Senza espor qui la storia delle passate vicende commerciali del Mediterraneo e degli abitatori delle sue sponde chiamati per esso a trafficar fra loro, argomento bello ed utile a trattare, basti al presente nostro assunto accennar di volo le seguenti idee:
Non sappiamo quali fossero gli antichi traffici, prima che i Fenici sorgessero alla celebrata prosperità loro, onde poi venne quella della potente Cartagine, e contemporaneamente sorse del pari la floridezza di molti Stati italiani e della Magna Grecia.
Ma i Romani, cui le prime vittorie inspirarono il sistema di prepotente conquista continuato fino alla decadenza loro, sebbene avessero flotte immense, e si mostrassero periti e prodi navarchi, abborrirono tuttavia sempre il traffico.
Dediti alla guerra, poscia ad un ozio inerte, consumando senza produrre, e comprando senza vendere, non ebbero mai che un commercio passivo ed oneroso4.
Tuttavia il lusso di Roma era il principale e più facoltoso consumatore; quindi al suo emporio della foce del Tevere (Ostia) convenivano dall’Asia, dall’Africa, dalla Sicilia e dalla Sardegna quante merci e derrate occorrevano onde alimentare, vestire, divertire e dare stanza più confortevole ed agiata al popol re.
Se si eccettua l’annona, cui provvedevano Egitto, Sicilia e Sardegna, le altre importazioni necessarie all’intemperante consumo di Roma, provenienti dal più vicino, come dal più lontano Oriente, convenivano allo scalo d’Alessandria, d’ond’erano poi dirette ai porti della Magna Grecia ed a quello del Tevere.
Fattori di mezzo mondo per varii secoli, gli Alessandrini andavano ai più lontani scali cercando i prodotti, che rivendevano con larghi profitti. Questi arricchirono l’Egitto, mercè d’utili scambi; e quantunque Roma, non mai sazia, domati i Tolomei, facesse anche sua quella contrada: nondimeno continuarono i trafficanti egiziani, nel commercio dell’Indie specialmente, a conseguire notevoli guadagni, anche dopo la decadenza di Roma, finchè la via di quel commercio fu esclusivamente per l’Egitto5.
Come Alessandria lo fu del Macedone, Costantinopoli anch’essa, per felice posizione trascelta a capitale del romano impero, mutava le condizioni commerciali; perocchè altre vie fecersi note, che da Bisanzio portavano all’India. L’attività di quello scalo divenne quindi somma.
Alessandria fu dapprima emporio principale; poi, sebben continuasse ancora ad aver molto traffico, gran parte d’esso però vedeasi ritorre da Costantinopoli: dove, oltre all’aver per giunta l’industria fabbriciera, così profittevole agli scambi, aveasi ancora un immenso mercato di consumazione6.
Dopo Bisanzio primeggiarono gli Arabi ne’ traffici orientali, sia come arditi ed esperti naviganti, sia come abili speculatori, sia come ingegnosissimi artefici. Erano Arabo-Siriaci, Arabo-Africani, Arabo-Siculi, Arabo-Spagnuoli; ed i prodotti delle manifatture loro un numeroso navilio portava ai più remoti confini allora conosciuti, scambiandoli con altri prodotti, che ne’ varii scali d’Europa spacciavano7.
Ma le Crociate, le quali furono un così grande strumento di civiltà, dopo aver esordito con l’emigrazione e colle guerre desolatrici, segnarono il principio dell’araba decadenza8.
Allora il popolo italiano, che più trovavasi in grado di ricavar da essa profitto, sostituendosi a quegli speculatori operosi e sagaci, era sollecito a farlo.
Venezia, Genova e Pisa in breve coll’immenso navilio creato ed armato, proclamavansi, le due prime specialmente, signore dell’Adriatico e del Mediterraneo9.
Arricchite prima dai soli noli, cumularono capitali che accrebbero la potenza loro; e, fondate numerose colonie negli scali levantini, ivi ebbero ricchissimi fondachi, d’onde portavano all’Europa ogni merce più preziosa dell’Oriente10.
Convinti per tempo che a mantenere vivo un commercio richiedesi la produzione dell’industria fabbrile, perchè solo mercè di essa i prodotti altrui possono scambiarsi con quelli propri: Venezia, Genova e Pisa diventarono non solo commercianti, e navigatrici, ma furono ancora manifatturiere.
L’esempio loro imitavano Firenze, Lucca, Bologna, Milano, Brescia, Como ed altre città dell’Italia centrale e superiore, allo stesso modo che prima l’aveano dato alcune città del regno di Napoli e della Sicilia.
I pannilani, le tele di canape, di lino ed anche di cotone, i drappi serici rasi e broccati, le armerie, le concie di pelli e cuoi, le cartiere, le vetraie ed altre manifatture italiane, segnatamente le orificerie, furono lunga pezza celebrato e proficuo soggetto di scambio non solo coll’Oriente, ma anche colla settentrionale Europa, dove gl’Italiani portavano colle merci orientali le proprie, e con queste eziandio ingenti capitali, che poneano colà a frutto mercè de’ numerosi banchi aperti.
Gradatamente informati quei popoli dei vantaggi che gl’Italiani ritraevano dal gran traffico, a lor posta pure a quello attendevano, e, fatti ormai anch’essi periti nello speculare come nel navigare in mari anche più difficili del nostro, successivamente diventarono i concorrenti del commercio della Penisola.
Essa frattanto viemeglio pur troppo secondava quell’assunto altrui colle ire cittadine, colle battaglie civili, colle guerre micidiali, che l’uno all’altro Stato italiano facevansi.
Gli esuli italiani portavano oltre l’Alpi ed il mare non solo i propri capitali in buon numero, ma le arti loro industriali più recondite, ed in breve Inghilterra, Francia, Fiandra, Olanda, Lamagna e la penisola iberica scuotevano il giogo del monopolio italiano, del quale toglievano a noi, troppo decaduti, divisi ed avviliti, ogni primato.
Mentre l’industria traslocavasi, la navigazione degli altri popoli estendevasi, e cercava oltre l’Atlantico passi più facili e liberi, nuove regioni. - I Portoghesi prima scoprivano il Capo di Buona Speranza, fatale scoperta per noi! Per esso all’India estrema direttamente arrivarono, ed ivi stabilirono ricche fattorie, malgrado gl’indicibili sforzi fatti dai Veneziani per contrastarli. - Dopo i Portoghesi vennero gli Olandesi; a costoro infine succedettero gl’Inglesi nel primato del traffico indiano11.
Intanto coteste prime scoperte ed i viaggi de’ Veneziani e dei Portoghesi, scuotevano il moribondo genio italiano. Esso tramandava ancora le ultime sue scintille, ma senza profitto per la patria comune 12.
Colombo, incautamente ributtato da’ propri concittadini, portava altrove i suoi concetti, e scuopriva il Continente americano; — Amerigo Vespucci, confermando ed estendendo il trovato, avea la fortuna di dargli il proprio nome; e la Spagna, sebben digiuna d’ogni industria, armigera e nulla più, alla sola ricerca dell’oro avaramente spinta, con istraordinari conati di gran valore approfittava della scoperta, e fondava nella parte meridionale del nuovo-mondo potenti colonie; mentre gl’Inglesi, occupata coi Francesi la parte settentrionale, vi creavano essi pure altre colonie, chiamate ad una celebrata futura ben più solida prosperità.
La rivoluzione commerciale, che per sommi capi abbiamo di volo descritta, era l’ultima rovina del commercio del Mediterraneo, le cui rive, fatte deserte, coi vuoti fondachi loro attestavano la passata grandezza, la presente miseria.
Ancora; il dominio spagnuolo interamente prevalse nella massima parte della Penisola. Ivi quegli avidi reggitori solo pensavano a smungere i popoli con cieca crudeltà e con stolta imperizia; sicchè, cessata ogni industria, fatto impossibile ogni generoso conato, repressa ogni idea sublime, dopo un luminoso, ultimo sforzo dell’arte, da cui divini prodotti derivarono, ogni umana speculazione venne fra noi nel più assoluto decadimento.
Allora le arti belle, le arti fabbrili, colle industrie d’ogni specie, l’agricoltura istessa, le lettere, le scienze, tutto giacque abbandonato, avvilito, depresso! — Triste ricordo delle passate nostre sciagure! Infelicissimo effetto delle incaute nostre divisioni! Lezione per noi grandissima di non inciampare altra volta in pericoli consimili, se pur ci riesce ancora di risorgere interamente!
Nel secolo diciasettesimo, cessato, la Dio mercè, lo spagnuolo dominio; venuti altri prìncipi meglio interessati al bene de’ propri sudditi tornava in Italia ad avvivarsi qualche industria, ma debole, esordiente, immemore affatto delle passate sue glorie.
Intanto le guerre fatali che la dilaniavano allo spirare di quel secolo ed al principiare del successivo, se per molti versi la desolavano, accrescendone la miseria, per altra parte giovarono al progresso de’ lumi in ogni maniera.
Di fatto, restituitasi all’industria qualche attività, si faceano cessare molti abusi, e col rendere la proprietà libera e girevole di mano in mano, grandemente miglioravasi l’agricoltura; onde non poche ricchissime esportazioni, le quali accrescevano grandemente la nostra economica condizione. Ma ne’ traffici restammo affatto dipendenti dall’altrui primato, finchè una nuova rivoluzione commerciale sembra porgerci qualche fondata lusinga, non già di ricuperare quello antico, ma di concorrer colle altre nazioni d’Europa e del Nuovo-Mondo a spartire i profitti maggiori che il gran traffico, tornato fra non molto alle antiche sue vie, sembra promettere13.
Come nascesse cotesto evento or brevemente consideriamo ancora:
La Gran Brettagna, fatta signora dell’India intera, era riuscita a farsi l’arbitra d’ogni speculazione col monopolio del suo commercio; e questo, giunto ai miracolosi sforzi della sua industria fabbrile, pesava ormai sull’orbe intero.
Riuscita vincitrice nella lotta napoleonica, essa non tralasciava però di pagare cara assai la sua vittoria.
Il blocco continentale, reputato un’idea d’impossibile esecuzione, sebben con modi violenti si praticasse, grandemente incitava l’industria degli altri popoli, e specialmente dei Francesi e dei Tedeschi.
Cessò la guerra dell’armi, ma dalla pace sopragiunta, nasceva la gara industriale più operosa ed attiva che sia mai sorta tra le varie nazioni. In questa gara la Gran Brettagna provò più d’una sconfitta.
Accorta, quanto capace ed ancor potentissima, non si smarriva essa d’animo; perduti molti consumatori europei, andava cercarne altrove, e per conseguire tal fine avvisava a tutte le possibili economie di tempo e di spesa sui trasporti.
Intanto sorgeva altra colossale nazione, ammessa, or ha un secolo e mezzo appena, nell’europeo consorzio; chè la fortuna dell’armi, una consumata politica abilità, e molti mezzi naturali la resero in breve potentissima. Questa pure, lanciatasi nella gara industriale, lasciava travedere il pensiero di comunicare mercè d’alcuna delle antiche vie col traffico orientale.
L’avviso non era perduto pella solerte Albione. Da quel dì, sebben padrona delle più essenziali stazioni marittime oltre l’Atlantico, essa volgeva ogni suo studio e sforzo a farne altretanto nel Mediterraneo e nel Golfo Arabico.
Non frapposto adunque indugio, ogni scalo che fosse a sua convenienza, in propria mano riduceva; e là dove non poteva ottenere dominio intero, almeno procacciavasi quelle migliori condizioni che possono conservarle, se non un compiuto primato, almeno la parte principale del traffico. Finalmente rendea il commercio più libero per meglio praticare la concorrenza; e mentre ne riconoscea il principio all’apertasi Cina, dove seppe colla fortuna dell’armi e con abili negoziati penetrare: ivi pure sapea procurarsi stazioni comode e sicure, per cui è fatta migliore la condizione dello speculatore inglese.
Coteste speculazioni, cui concorrevan pure nel rispettivo loro interesse le altre nazioni, gli Americani del Nord, Francia ed Austria specialmente, fervono di presente; e se quanto al traffico del Mediterraneo non sono ancora interamente assodate, perchè dopo molti sperimenti, non è ancora sistemato uno stabile passaggio dell’istmo di Suez; questo a tutte le diverse vie sperimentate dell’Eufrate, del Tigri, della Persia per Trebisonda ed altri scali, è preferibile, e già in parte seguono difatti le corrispondenze per quella via, dove l’economia di tempo e di spesa ormai pare assicurata in modo assai ragguardevole.
Laonde non è più dubbia questa conseguenza degli sperimenti preallegati, e delle pratiche per essi fatte e proseguite, che il gran traffico orientale, cioè, tende a riprendere le antiche sue vie.
Questa importante rivoluzione, dovuta all’intraprendente genio britannico, è così interessante per la nostra Penisola, cui può arrecare immensi vantaggi, se governi, naviganti e trafficanti san trarne util partito, che noi crediamo esser pregio dell’opera narrarne i principali particolari desunti da un libro assai curioso pubblicato in Livorno senza nome di autore14.
Ecco come quello ci narra il fortunato evento:
“Prima che si generalizzasse la navigazione a vapore occorrevano da otto a dieci mesi per avere risposta ad una lettera spedita da Calcutta a Londra. Un sì lungo indugio inceppava l’azione del governo mentre riusciva di grave nocumento ai privati.
„Un uomo del pari intelligente ed attivo, il signor Waghorn, segnalò l’inconveniente e propose il rimedio.
„Immaginò egli d’organizzare una corrispondenza diretta fra l’Europa e l’Indostan per la via del Mar Rosso. Partendo da Calcutta, un vapore dovea raccogliere le valigie di Madras, Ceylan e Bombay, per quindi recarle a Suez. Così nel ritorno, seguitando l’ordine inverso.
„Siffatta proposizione fu tanto meglio accolta dal governo e dal pubblico inglese, in quantochè il possesso d’Aden ne porgeva sufficiente garanzia che questa linea di comunicazione non sarebbe di leggiero interrotta o turbata.
„Infatti nelle recenti vertenze politiche d’Oriente non pochi plausi ottenne il vicerè d’Egitto, per aver permesso il transito delle corrispondenze attraverso i suoi Stati mentre la guerra ardeva in Siria e mentre appunto una squadra austro-britannica bombardava San Giovanni d’Acri.
„Per dirigere l’azienda delle corrispondenze il signor Waghorn stabilì una casa in Alessandria. Adesso le lettere di Calcutta arrivano a Londra in sei settimane. Non vuolsi tacere come in seguito della maggior sollecitudine, il loro numero siasi aumentato in una proporzione veramente prodigiosa.
„L’anno innanzi che il signor Waghorn attuasse la sua intrapresa postale, le lettere ricevute e spedite per la via del Capo, fra l’Inghilterra ed i suoi possessi indiani ascesero a 300,011. Nell’anno dopo che fu aperta la linea del signor di Waghorn sommarono a più del doppio, cioè a 680,842. Un tale aumento sarebbe appena credibile, se non risultasse da un documento ufficiale15.
„Questo solo fatto somministra indizio sicuro del merito d’un’intrapresa che l’Inghilterra seppe apprezzare al suo giusto valore. Trattavasi infatti d’un avvenimento gravissimo come quello che segnava la via alla più strepitosa rivoluzione commerciale che si fosse operata dal quindicesimo secolo in poi. Eppure fece poco senso nei varii Stati continentali, e passò quasi inosservata in Italia. Nulladimeno era fatto un gran passo gigantesco. Ne vedremo or ora le immediate conseguenze”16.
„Il commercio è simile ad un fiume; seguita il pendío delle circostanze. Il suo letto naturale è la via la più breve.
„La presa di Costantinopoli, la chiusura del Mar Nero, e la scoperta del Capo di Buona Speranza trassero il commercio delle Indie in una via artificiale. Ma sin d’allora era a prevedersi che prima o poi rimossi i sovrastanti impedimenti, sarebbe tornato a scorrere per l’antico canale.
„Questa grande, portentosa rivoluzione si opera adesso — sotto i nostri occhi — ; ed è ben degna di fissare l’attenzione dei governi d’Italia, della classe industriale, e del ceto marittimo e mercantile.
Il primo passo, come vedemmo, fu l’intrapresa postale del signor Vaghorn.
«Quando egli propose di far varcare lo stretto di Bab-el-Mandel alle navi a vapore, per portar le valigie a Suez, mille oppositori gli si scagliarono contro. Il progetto fu riputato ineseguibile. Si allegava la spessa mancanza di fondo; — la quantità’ dei così detti banchi di corallo; — circostanze che doveano rendere la navigazione, se non impossibile, almeno estremamente difficile e pericolosa, Indicavasi la frequente prevalenza del temuta simoun. Questo vento, il nostro scilocco — o sirocco (che pure tanto ci è molesto, sebbene a noi giunga temperato dal mare) è assolutamente micidiale nei deserti ove domina. Ad un tratto soffoca ed uccide gli uomini e gli animali che ne respirano l’alito infuocato.
«Gli Arabi si gettano colla bocca a terra, per evitarne le buffate; e le bestie da soma seguono instintivamente l’esempio dei loro conduttori; ora, come sfuggire a’ suoi perniciosi effetti? Come sottrarsi alle procelle che suscita, doppiamente terribili in un mare angustissimo, e seminato, per giunta, di scogli a fior d'acqua?
«In vista dei sopra enunciati rilievi, la navigazione del Mar Rosso sembrò problematica a coloro stessi che più ardentemente desideravano di vederla ripristinata. Ma questi ostacoli, veri in parte, ed in parte esagerati, non sgomentarono l’intrepido Waghorn. Potentemente assistito dal proprio governo, e secondato dalle autorità egiziane, ordinava esatte osservazioni e scandagli. Rimosso ogni dubbio circa alla possibilità dell'esecuzione, il suo progetto è ormai un fatto compiuto.
«Era questo un bel principio, perchè le navi a vapore che portavano le valigie, poteano ben anche incaricarsi dei passaggieri. Non è piccolo risparmio di tempo e di danaro l’effettuare in sei settimane un tragitto che prima occupava altretanti mesi. Quindi la via del Capo è ormai affatto abbandonata, sia per le corrispondenze, sia per i viaggiatori 17.
«Le une e gli altri passando per Suez, era facil cosa il prevedere che le merci ed il commercio in generale non tarderebbero a prendere la medesima direzione.
«Fin qui si è considerato il Mar Rosso meramente sotto l’aspetto d’un canale di congiunzione fra il Mediterraneo e l’Oceano orientale.
«Esso ha, per altro, un commercio suo proprio, che non è scevro d’importanza.
«Attesa l’immediata vicinanza della Mecca, Gedda offre uno sfogo considerevole ai prodotti dell’industria europea; e già dissi, come, nella veduta di legarvi degli utili rapporti, il governo francese abbia recentemente proposto di stabilirvi un consolato.
«Probabilmente però nessuno scalo sarà più frequentato di quello di Suez. Estremo punto d’arrivo e di partenza per le navi destinate al traffico delle Indie, il movimento del suo porto sarà attivo e continuo.
«Ma le merci arrivate a Suez debbono respingersi ad Alessandria, per poterle imbarcare sul Mediterraneo. Il governo egiziano potea imporre sovra di esse un dazio così fattamente oneroso, da neutralizzare i vantaggi derivati dall’apertura d’una comunicazione diretta.
«Ciò, per altro, non era nelle sue vedute, e molto meno nel suo interesse. Lungi dal suscitare ostacoli ad una intrapresa di cui seppe pienamente apprezzare l’utilità presente e futura, il viceré le accordò ogni possibil favore.
«Non era dunque dubbio il resultato delle pratiche con esso intavolate. Egli permise il transito delle merci da Suez ad Alessandria, e viceversa, mediante un dazio di due per oento sul loro valor nominale.
«Così fu tolto l’ultimo impedimento alla ripresa delle comunicazioni dirette fra l’Europa e l’Asia meridionale.
«Ai primi di febbraio dell’anno 1842, proveniente da Bombay, arrivò a Suez la prima nave mercantile delle Indie, nominata il Bengalese, della portata di mille tonnellate.
«Ecco dunque definitivamente attivata una strada commerciale diretta coll’Asia meridionale 18.
Or ne resta ad aggiungere un indicio utilissimo pegli Italiani, che concerne un fatto più recente.
La mente feconda del signor Waghorn, incessante nelle sue indagini, ha, non è molto, ideato ancora l’esperimento di dirigere il procaccio dell’Indie su Trieste anziché su Marsiglia, onde vedere se per quella via i dispacci dell’India potessero giungere più sollecitamente a Londra, ivi portati colle poste ordinarie da Trieste al Reno, ed al mare del Nord.
Lo sperimento non sembra per ora bene accertato, e ciò non debbe invero sorprendere, attesa la posizione appartata dello scalo triestino19.
Ma sarebbe, a nostro credere, ben più sicuro l’esito quando la valigia delle Indie portata ad uno degli scali della bassa Italia, come Otranto, Taranto o Brindisi, o dell’Italia centrale, come Ancona, andasse di poi per vie ferrate oltre l’Alpi al Reno, e quindi ad Anversa, od Ostenda.
Premesse codeste indicazioni sul futuro probabile, e sui fatti, che tale lo rendono, vuolsi ancora accennare come di presente sieno ordinati i mezzi di comunicazione dall’Europa all’Oriente.
Il Mediterraneo e l’Adriatico hanno ora tre servizi di battelli a vapore ordinati per portate in Levante merci e persone.
La società detta del Lloyd Austriaco di Trieste, ha 21 battelli che vanno a Costantinopoli, toccando, senza arrestarsi, a Corfù, Sira e le Smirne.
Compresa la quarantena, in 13 o 14 giorni si fa il viaggio.
Il governo francese ha 14 battelli pure a vapore, che servono due linee da Marsiglia a Malta, col cambio de’ battelli, fatta ivi la quarantena di 9 giorni tornando da Costantinopoli. Da Marsiglia si va coll’altro servigio direttamente in Alessandria d’Egitto in 7 od 8 giorni, con quarantena di 14 giorni tornando a Marsiglia per la patente brutta caso più ordinario; di 10 soltanto pella patente netta.
Secondo l’uso di contare il giorno d’arrivo, e lasciar libero al levare del sole dell’ultimo giorno, sono nel primo caso 19 o 20 giorni, nel secondo 17 o 18 di quarantena.
Da Alessandria a Southampton il governo inglese tien battelli a vapore, che vanno in 18 giorni e mezzo, e contando il viaggio per quarantena, al ventunesimo giorno sono in libera pratica.
I battelli francesi toccano in Italia Livorno, Civitavecchia, e Napoli; non Genova.
Da tutto ciò nasce che i battelli triestini od inglesi, per la diversa regola di quarantena, hanno un vantaggio sui battelli francesi. Epperò succede che molte persone, anche dirette in Francia, li scelgono per arrivare a Trieste ed a Southampton, d’onde più presto giungono per le poste poi a Parigi, che se scegliessero il passo sui battelli francesi.
Una nuova ordinanza del re de’Francesi, del 30 maggio 1845, toglie le quarantene pelle provenienze delle Antiglie e del Continente americano, a condizione di piena salute in viaggio, ed in caso contrario fissa la sola osservazione come prima: le sopprime del pari per Marocco, la Grecia e le Isole Joniche, finché in que’ luoghi constano vigenti le ora adottate buone discipline sanitarie: le riduce a giorni 5 d’osservazione soltanto pelle provenienze da Tunisi, lasciandole ferme, come prima, per quelle di Costantinopoli ed Alessandria d’Egitto.
Questo provvedimento se ha facilitato per le provenienze ridette le relazioni, non ha distrutto, checchè ne dica la relazione ministeriale francese, il vantaggio di Trieste, e di Southampton su Marsiglia in alcuni casi 20.
Coteste disposizioni del governo francese trovarono nell’istessa Francia una calda opposizione per parte, dell’intendenza sanitaria di Marsiglia, la quale, anzichè piegarvisi, chiese in corpo licenza dal proprio Ufficio; e richiesta di continuarlo interinalmente, finché il servizio si potesse altrimenti ordinare, consenti all’invito, a patto però che non ammetterebbe, come finora, a libera pratica che le navi le quali non presentano verun pericolo per la pubblica sanità.
La podestà sanitaria di Malta ha invece interamente abolito le quarantene per le procedenze di Grecia e di Marocco. Quanto a quelle di Tunisi, esse non sono assoggettate che ad una osservazione di cinque giorni. I magistrati sanitari di Genova e di Toscana modificarono recentemente le regole loro, nel senso delle disposizioni date dalla Francia: non così quelli degli Stati Pontificii e delle Due Sicilie; ne’ primi nulla essendosi innovato, e ne’ secondi essendosi anzi ristrette con maggiori vincoli le cautele.
Ferve ora appunto al proposito delle quarantene preallegate un’acerba polemica tra due opposte opinioni. Gli uni dal solo vantaggio attuale del commercio mossi, o memori fors’anche della noia provata dal subito sequestro in quarantena, abbracciata senz’altro con fervore la nuova teorica del nessun contagio della peste ed altre malattie, prima riputate attaccaticcie, vorrebbero aperti i Lazzaretti, soppressa ogni quarantena, tralasciata in somma qualunque sanitaria cautela fin qui usata col mezzo della segregazione e con sommo rigore. Gli altri, invece, memori ancora delle terribili stragi menate dalla peste bubonica, dalla febbre gialla e dal cholera, sostengono imprudentissima qualunque novità alle antichissime regole e cautele delle quarantene, e vaticinando poter derivare dall’infrazione di esse le più terribili consequenze di nuove invasioni, gridano ai governi ed ai popoli d’astenersene 21.
Ma la natura intraprendente ed arrischievole degli uomini; — la tendenza di molti fra essi alle novità; — l’avidità del guadagno in generale; — ― la facile dimenticanza di passate o non vedute disgrazie, e finalmente l’imitazione talvolta ineluttabile dell’altrui contegno, sono tante cause per cui gli antichi rigori sanitari vennero successivamente scemando, e trovansi ora quasi al nulla ridotti là dove il tempo del viaggio viene compreso nella quarantena.
Quale delle due sentenze sia la più sicura, noi non diremo per ora: perocché dubbi ancor sono i resultati delle indagini scientifiche fatte per accertare se esista o no in que’ malori il principio contagioso, e per qual tempo conservi la facoltà dell’incubazione. Non si può tuttavia nascondere che, sebbene molte cautele si dimostrino esuberanti, e perciò spesso vengano meno esattamente osservate là dove ancor praticar si dovrebbero legalmente; tuttavia l’ometterle leggermente, per sola avidità di guadagno e per tendenza a novità, sembra grave imprudenza, cui i governi non dovrebbero trascorrer mai.
Se non che vuolsi notare, che avendo codesta materia cessato d’essere di competenza internazionale, come pur essere dovrebbe, ed essendo divenuta argomento di provvisioni d'ordine interno; quando i vicini adottano, rispetto ad essa, una facilitazione, forza è d’imitarli. Perocché, astenendosene, s’incontrerebbero egualmente i danni delle tardate operazioni commerciali, e si correrebbe pure ugualmente il pericolo d’avere il contagio dalle contrade dove tali facilitazioni concedonsi.
Da questa nostra opinione deriva non potersi condannare, allo stato attuale di cose, gli Stati che fecero dopo gli altri novità sanitarie. Ma deriva altresì che se con ragione stimavasi oggetto di generale accordo l’abolizione dell’infame tratta de’ neri, ben più dovrebbe pur esserlo quello del riordinamento delle cautele sanitarie. Ci sia lecito adunque di qui esprimerne il voto!
Cotesto generale accordo non sarebbe difficile ad intendere, ora specialmente che nel maggior numero dei luoghi di partenza più sospetti d’infezione già son pure ordinate discipline sanitarie, mercè delle quali si può legalmente accertare, all’atto della partenza medesima, lo stato sanitario del luogo, e quello di coloro che partono.
Quanto al computare nella quarantena i giorni passati in viaggio, non può negarsi che, dato un limite di tempo allo sviluppo dell’infezione, fissata cioè la durata possibile della incubazione, sia giusto e ragionevole il comprendere in essa il tempo della navigazione. Se non che è vero altresì, che importerebbe assai d’avere un assoluta certezza che l’ottimo stato sanitario, dichiarato per esempio all’atto della partenza, non si è durante il viaggio menomamente alterato.
Se questa cautela si può aver sicura sulle navi delle marinerie militari, dove possono stabilirsi per essa gli occorrenti controlli; non così certa forse sarebbe sulle navi mercantili. Ma a questo proposito pare altresì che non vi possa essere difficoltà a prescrivere, per generale concerto, un tale ordinamento di carte di bordo, le quali assicurino della condizione sanitaria tanto all’epoca della partenza da’ luoghi sospetti, quanto durante il corso della navigazione; e che assicurando quelle carte di bordo la perfetta salute di tutti, basti continuare all’arrivo la quarantena pel tempo mancante a raggiugnere l’epoca dell’incubazione, creduta necessaria per assicurarsi del cessato pericolo di sviluppo d’infezione.
Dopo aver parlato degli attuali modi di comunicazione tra l’Europa ed Alessandria d’Egitto, scalo orientale di maggiore importanza rispetto al transito per all’India, mercè del ritorno alle antiche vie commerciali; e dopo aver esposte le variazioni introdotte nelle leggi sanitarie, onde agevolare il transito preallegato; fatto cenno della polemica nata dai contraddicevi giudizi profferiti su quelle variazioni: ora ne tocca ancora, per compiere la nostra sposizione, d’accennare come segua il transito da Alessandria a Suez, e come questo potrebbe ancora migliorarsi.
I battelli a vapore che portan dispacci, merci e persone, scendono o risalgono il Nilo fin verso il Gran Cairo. Da questa città, una diligenza stabilita dal signor Waghorn, già citato, va e viene da Suez, e velocemente percorre lo stesso deserto, la cui arida pianura è facilmente solcata dalle ruote delle vetture britanniche, essendosi provveduto per anco ad ospizi di rifugio e di fermata per le stazioni, le quali sono in numero di sette.
Cotesto viaggio da Alessandria a Suez, e ritorno, segue, come si é detto, in giorni tre; ed è inoltre soggetto ai contratempi delle inondazioni del Nilo, ed agli accidenti che possono succedere alla diligenza che va e viene dal Cairo a Suez, la quale d’altronde sol può condurre un numero ristretto di persone e di colli di merci.
I mezzi attuali, se servono adunque ai dispacci, ai viaggiatori, in numero ristretto, ed a poche merci, non sarebbero ancora atti al transito dell’immenso traffico che segue tra l’Europa, e specialmente tra la Gran Brettagna e l’India.
Non potrà dirsi pertanto definitivamente attuata la ripresa della via commerciale antica dall’Europa all’India, finche da Alessandria a Suez non si avrà, com’ebbero gli antichi, una stabile via di comunicazione.
L’esistenza d’un antica via navigabile per l’istmo di Suez resulta da riconoscimento d’ufficio, autentico e scientifico. D’altronde ci è da indicazioni storiche comprovata; e se le seguite modificazioni de’ luoghi, la distruzione operata dagli elementi, la barbarie flagrante, fecero perdere all’Egitto quel proficuo mezzo di comunicazione: non sembrerebbe impossibile di ripristinarla. E tanto più fondata a’ dì nostri sarebbe tale fiducia, che i perfezionamenti dell’arte concedono d’arrivare a più pronti, men costosi e più sicuri resultati 22. A parere d’alcuni sarebbe preferibile un canale che da Suez venga a Panamah, l’antico Pelusium sul Mediterraneo.
Cotesto canale sarebbe lungo...... | kil. | 120 |
ma si troverebbe interrotto per... | " | 40 |
dal lago Amaro; onde soli....... | 80 |
di nuovo canale da scavare, con pendenza sufficiente, poiché il suolo ivi è così a livello, che da Suez a Pelusium, risparmiando il lungo rigiro del Cairo, non si scorge alcun rialto maggiore di più di un metro al di sopra del mare. D’altronde il mar Rosso essendo a Suez più alto del Mediterraneo, almeno otto metri, scorgesi che il nuovo canale sarebbe facilmente provveduto dal detto mar Rosso.
Malgrado queste presunzioni favorevolissime, non possiamo tacere che persone, le quali abitarono lungamente l’Egitto ed osservarono ogni parte d’esso con attenzione, pensano essere men conveniente l’apertura d’un nuovo canale, perchè, com'è probabilmente seguìto dell’antico, le procelle ventose del deserto lo riempirebbero ancora dell’arena, colà svolta in turbine dalla bufera.
Ondechè preferiscono, per quanto pare molto sensatamente, al canale una via ferrata, la quale avrebbe inoltre su quello sicuramente i vantaggi inestimabili d’una maggiore velocità di cammino; d’una più facile e men costosa conservazione, nel caso previsto delle bufere; e d’una ben minore prima spesa. Poiché nessun ostacolo di terreno, nessun’opera grandiosa d’arte richiedendosi, e bastando una sola ruotaia, almeno nel deserto, lungo il quale occorrerebbero soltanto poche stazioni per provvedere agli occorrenti ristauri, può presumersi quella via ferrata dover riuscire delle men costose.
Vuolsi pertanto sperare che il genio intelligente di Blehmet-Ali bassà comprenderà come una via ferrata sarebbe un immenso profitto per l’intero Egitto il quale verrebbe tosto per quella strada ferrata ricondotto a nuova civiltà; e ritrarrebbe intanto da quell’immenso traffico larghissimi profitti, colla giunta ancora del migliore e più facile spaccio de’ soprabbondanti suoi prodotti.
Lungamente discussa la passata e presente condizione de’ traffici orientali; esposte le rivoluzioni cui quelli furono e sono ancora soggetti; mostrato quali vie altre volte tenessero, e come, dopo averle lasciate, or sembrin dovervi tornare: l’assunto nostro più speciale richiede, che pongasi termine a questo preliminare discorso coll’accennare sommariamente come l’Italia, più di tutti posta in felice condizione di luogo, può ritrarre largo profitto dal benefico rivolgimento; perciò più di tutti è interessata a vederlo compiuto col suo intervento; e debbe quindi operare, onde conseguire un tale scopo, veramente per essa vitale.
Attendere attivamente coi molti mezzi propri d’una popolazione sobria, economa, ardita ed intelligente alla navigazione; - considerare come nazionale ogni scalo della Penisola, e favorirvi le scambievoli relazioni tra i varii Stati di essa; -— accogliervi liberamente gli avventori esteri istessi, perchè più grossi diventino mercati e depositi; — creare uniformità di dazi, di pesi, di misure e di monete, onde rendansi più facili e più pronte le contrattazioni; — rinunziare alle grette idee di dritti differenziali, da cui vengono soltanto moleste e dannose rappresaglie, e condizioni di traffico, non naturale, ma artefatto; — ordinare leggi sanitarie prudenti sì, ma non soverchie, le quali pongano l’approdante almeno nella stessa condizione cui è altrove accolto;— stabilire dritti portorii miti assai, per tutti uguali, e dazi di consumazione non gravi, i quali porgano un incitamento minimo alla frode; — riguardare in somma ogni scalo come aperto ai trafficanti, tutti considerati come fratelli, se Italiani, come amici, se esteri; sembrano gli spedienti che una larga ben intesa politica suggerisce ormai a tutti i governi della Penisola, poiché da essa verrebbero certamente più vantaggi di quelli che ne potrebbe per avventura fruttare un’altra contraria. Posti cotesti generali princìpi, insegnati del resto da tempo antico dalla scuola economica italiana, così vittoriosamente rivendicata a’ dì nostri da un valentissimo economista, alla cui classica opera meritamente fece tutta Europa plauso non dubbio, noteremo ancora come sia vero che il concorso agli scali di traffico aumenta in ragione diretta23:
1.° Del maggior numero di consumatori indigeni cui s’ha a provvedere:
2.° Della più facile comunicazione tra quegli scali e le vie interne, come a quelle di solo transito all’estero:
3.° Delle maggiori facilità di benefiche discipline daziarie e sanitarie, come di comodi offerti agli approdanti.
Siffatti vantaggi non sempre è dato aver facilmente, onde nasce talvolta incaglio al traffico, e successiva decadenza di esso.
Fra i mezzi più atti a rimediare al male là dove esiste, ed a far crescere ancora l’importanza dello scalo, quantunque già sia fiorente per molto e ricco traffico, non può negarsi ormai prevaler quello di una via ferrata, la quale assicuri e renda pronti, facili e men costosi i trasporti sì delle merci che delle persone.
L’ordinamento delle vie ferrate è oggi mai riconosciuto utile anche da coloro che più sono contrari alle molte novità onde si onora il secol nostro24. La precisa origine d’esse vie, non è determinata esattamente. Sembra però, che verso la metà del secolo XVII furono introdotte certe ruotaje di legno in alcune strade del settentrione dell’Inghilterra par facilitare il trasporto del carbon fossile dalle cave, onde traesi, ai luoghi d’imbarco nelle vicinanze di New-Castle-upon-Tyne.
Coteste ruotaje erano panconi di legno (madriers) messi di costa e saldamente incassati nelle strade ordinarie in modo da sporgere sopra il suolo di esse.
I veicoli usati su quelle strade aveano ruote con orlo
sporgente, le quali, poste a contatto del regolo su cui scorrevano, non potevano uscire dalla direzione loro. Ogni carro era condotto da un cavallo.
Facilmente usati, i panconi di legno si ricoprirono con lamine di ferro, onde, oltre alla maggiore durata, s’avea il vantaggio di rendere l’attrito meno sensibile, quindi più facile e più celere il tiro.
Nel seguito ai panconi coperti colle dette lamiere ferrate sostituivansi spranghe in ferro fuso, poggiate sopra pezzi di pietra o di legno confitti nel suolo a giusta distanza l’uno dall’altro, ed ecco le ruotaje in ferro.
Ma finché il mezzo di locomozione riducevasi alla trazione de’ cavalli, ottenevasi bensì il vantaggio di condurre pesi maggiori con risparmio di tempo, ma era pur sempre limitata la velocità della condotta, ossia del trasporto.
Questa velocità solo si ottenne quando all'opera dei cavalli sì giunse a sostituire la portentosa azione locomotrice del vapore.
I primi saggi fatti al proposito nel 1770 con carrozze lanciate su vie ordinarie non corrisposero all’aspettativa, perchè non erasi trovato il modo di dirigerle e di fermarle a piacimento.
Introdotte successivamente alcune modificazioni, e fatti certi miglioramenti relativi, i signori Trevitick e Vivian, inglesi, posero in movimento una locomotiva su d’una sezione a ruotaje piane della strada ferrata Taff-Vale, e propriamente presso Merthyr-Thydvil, con meccanismo atto a dirigerne ed arrestarne il corso, trascinando un seguito di carretti contenenti dieci tonnellate di ferro ed un buon numero di persone con una velocità di cinque miglia all’ora.
Ma una falsa idea inceppò ulteriormente il perfezionamento delle locomotive. Credevasi che l’adesione delle ruotaje fosse sufficiente solo per assicurare il movimento progressivo della macchina nelle strade orizzontali, o quasi orizzontali; e che avrebbe offerta una resistenza tale da far sì che le ruote scivolassero e girassero intorno a sé stesse, senza procedere innanzi, qualora si volessero ascendere piani inclinati alquanto ripidi, o rimorchiare pesi assai gravi. Molti furono i tentativi per superare l’ostacolo; e tra essi meritano d’essere notate certe ruote dentate che ingranavano su ruotaje tagliate a controdenti, e certe leve articolate, poste dietro alle macchine per spingerle a salire. Il signor Buchet, dopo replicati sperimenti, dimostrò che, attesa l’adesione della ruota alla ruotaja; la resistenza era impedimento sufficiente; anche per le superficie più levigate ad occhio umano.
R. Stephenson nel 1814 colla macchina costrutta sulla strada di Killing-Worth ottenne il più felice resultamento.
Successivamente introdotti altri perfezionamenti dal 1816 al 1829; le locomotive oggi maravigliosamente procedono innanzi; indietreggiano; si fermano; van lentamente o corrono con una velocità prodigiosa25 Se non che altre scoperte più maravigliose ancora sembrano annunciare che la scienza e l’arte dell’umano ingegno viepiù perfezionate, non vogliono fermarsi al trovato di Stephenson, anche migliorato; e ai pericoli che non tralascia di presentare l’azione del vapore, dopo che s’ebbe lusinga di poter con altri mezzi supplire, pare aversi fondata fiducia in quello detto atmosferico, per cui gl'inglesi Clegg e Samuda avrebbero ideato di dar moto alla macchina mercè del vuoto praticato in mezzo alla via ch’essa dovrebbe percorrere. La quale ingegnosa scoperta, per cui si fanno in varie parti dell’Europa accurati sperimenti, ove ottenga un felice, resultato, sarà certamente d’immenso vantaggio; perocché, oltre al fare, come si è detto, più sicura la locomozione, la si renderà forse eziandio men dispendiosa26.
Premessi questi particolari, narrati di volo al solo fine di far nota l’importanza dell’argomento che prendiamo a trattare, aggiungeremo che noi ci proponiamo d’esaminare i varii modi in cui venne sin qui ordinato così fatto mezzo di comunicatone; - di pronunciare un giudizio imparziale sur ognuno di quegli ordinamenti; — d’esporre come già siansi attuate alcune, vie ferrate nelle varie parti della Penisola; — come ne venissero altra decretate, da attuarsi fra non molto; — e finalmente quali ulteriori divisamenti esistano per ugual fine a solo stato di progetto nelle diverse italiane province.
Nell'indicare i varii partiti presi in ogni Stato, noi ci studieremo di ben ponderarne i presumibili effetti sulle relazioni commerciali dello Stato medesimo, e su quelle degli altri Stati, non che della Penisola e dell'orbe intero, in cui seguono le speculazioni del gran traffico.
Se cotesti effetti ci sembrano potersi prevedere fortunati; saremo felici nel celebrare l’accorgimento e la saviezza di quei governi, o de' privati che avran posto opera a conseguirli. Che se per mala ventura l’introduzione di qualche inconveniente od abuso potesse porgere in vece occasione a veder pure, in Italia rinnovati i lamentevoli danni morali ed economici notati altrove, noi non esiteremo a denunciarli preventivamente possibili, acciò, se ancor v'è tempo, vi si apponga opportuno ed efficace rimedio; felici pure, se in questa occorrenza le povere nostre parole potranno giovare a quel punto della patria nostra cui saranno indirizzate, non mai col fine d’esercitare verso governi o privati la menoma maligna censura, sibbene col retto intendimento di porgere un utile avviso.
Ancora; parleremo col fine d’escludere ogni idea preconcepita d’interessi contrari dell'uno all’altro scalo della Penisola. Perocché, come intendiamo la cosa ne’ nostri principi economici, e come riputiamo difatti doversi codesti princìpi praticamente applicare, noi non crediamo che sia fondata, giusta e reale alcuna rivalità tra gli scali suddetti. Chè tutti invece essi trovansi, a nostro credere, posti in condizione egualmente buona, relativamente considerata; sicchè nè possono, nè debbono rispettivamente nuocersi; purché ben inteso, seguansi i precetti d’economica liberalità insegnati dalla vera scienza, non i gretti errori dell’empirismo.
Dichiarate queste cose a guisa di proemio fondamentale del nostro discorso, entriamo ora senz'altro nel divisato assunto.DISCORSO SECONDO.
de' varii sistemi adottati per l'ordinamento
delle vie ferrate presso le diverse nazioni.
Per universale consenso l’utilità dalle vie ferrate venne in tal guisa riconosciuta presso le diverse nazioni, che in alcuna d’esse l’entusiasmo per così mirabile trovato fu anche spinto oltre a que’ confini cui la prudenza sempre dovrebbe avvertite in qualunque speculazione si privata, che pubblica, combinandola ognora colle condizioni speciali di luogo, di tempo e di facoltà.
Quanto al mezzo poi d’ordinare le dette strade, dovunque vennero intraprese, nel rispetto del buon governo loro, varii furono i sistemi adottati.
Cotesti sistemi brevemente possono riepilogarsi in sei diversi partiti, non fatto caso di particolari modificazioni dell’uno o dell,altro; avvertiti soltanto i princìpi di massima su quali fondansi le determinazioni legali promulgate dai varii governi, ai quali è attribuita la facoltà di permettere le dette imprese.
Cotesti partiti sono adunque:
1.° Concessione intera della costruzione ed esercizio, sì perpetuo che temporaneo soltanto, delle strade in discorso all’industria privata libera, sotto certe condizioni d’ordine e di sicurezza apposte dall’autorità legislativa, mediante il solo compenso del prodotto de’ trasporti privilegiati lasciati all’impresa durante la medesima 27.
2.° Concorso del governo a sussidio dell’impresa, però lasciata all’industria privata libera collo stesso compenso, ed inoltre soccorsa a certi determinati patti; consentiti nel rispettivo interesse pubblico e privato.
3.° Concorso diretto del governo nelle prime opere di costruzione, ossia nella sistemazione del suolo stradale soltanto; compimento delle opere residue e provviste lasciato coll’esercizio all’industria privata libera mediante il compenso suddetto; e ciò a fine di rendere maggiore la concorrenza a tali imprese, migliorandone la speculazione.
4.° Affidamento di futuro determinato sussidio all’industria privata, quando, assunto l’impresa, essa risultasse impotente a proseguirla ed a compierla; abbandono di detta impresa al governo in tal caso, mediante alcune condizioni d’indennità per le già fatte spese.
5.° Sistema misto d’esecuzione diretta e di esercizio per parte del governo ed ufficiali d'esso, quanto ad alcune linee maggiori o governative, e di concessioni all’industria privata libera di alcune altre linee minori; le quali meno interessino il governo medesimo per considerazioni politiche, strategiche e commerciali.
6.° Finalmente, intervento diletto ed esclusivo del governo, per mezzo d’apposita azienda, sì nella costruzione, che nell’esercizio; e ciò appunto per le preallegate considerazioni politiche, strategiche e commerciali; come per le speciali condizioni emergenti di tempo; di luogo e di facoltà, quando l’autorità pubblica cioè; altrove impotente al detto intervento, per più felici circostanze, od anche per politiche necessità, è condotta a dover assumere per opera e conto proprio siffatta impresa.
Esaminiamo ora partitamente cotesti diversi spedienti, onde accertare quando siano opportuni, quali vantaggi e quali pericoli essi presentino sì ai governanti come ai governati.
CAPITOLO PRIMO.
Concessione intera perpetua o temporanea all’industria
privata libera.
La concessione intera e privilegiata della facoltà di costruire e di esercitare una determinata linea di via ferrata, mediante il solo compenso del prodotto ricavato dal pedaggio o prezzo de’ trasporti sur essa via operati delle persone, del bestiame e delle merci d’ogni specie; suol farsi all’industria privata libera che offire d'assumerne l’impresa, dalla suprema autorità che regge lo Stato; e viene in due modi accordata, perpetua, cioè, o temporanea.
Discorriamo d’entrambi, esponendone le condizioni. Nell’America del Nord alcune linee di strade ferrate (altre di tali vie essendosi eseguite con vario pubblico concorso) e nella Gran Brettagna tutte quelle state fin qui costrutte ed ora in pieno esercizio, vennero intraprese per opera, conto e cura dell’industria privata libera, raccoltasi in società d’azionisti; alle quali società furono dai rispettivi governi, previo assenso della legislatura, le strade medesime perpetuamente concedute in assoluta e piena proprietà, a certe determinate condizioni di pubblico interesse, previo l’esame de’ presentati progetti.
Cotesto esame vien fatto da giudici speciali nel rispetto tecnico a cautela di sicurezza e di pubblico comodo, come nel rispetto economico a garanzia de’ soprusi che potessero per avventura ledere l’interesse privato.28
Tralasciando di parlare delle strade americane, nelle quali pare che, come in altre speculazioni pur fondate sul credito, si è grandemente abusato di questo a segno di far nascere crisi e rovine: ristringiamo il nostro discorso alle strade inglesi, spiegando per quali cause tanto siansi moltiplicate, senza il menomo pubblico concorso29. Presso quella industre nazione:
Lo spirito d’associazione, spinto a grado sommo ed illuminato assai;
L'abbondantissima copia di capitali, che cercano utile investimento;
La natura intraprendente degli speculatori;
L’immenso moto di persone e di cose derivante dal sommo traffico che colà segue, col continuo accrescimento della produzione e della consumazione;
La difficoltà di collocare altrimenti i capitali successivamente cumulati dal risparmio, segnatamente ne’ fondi pubblici, il cui interesse è tenuissimo; — nell’industria de’ manifatti, spesso a critiche condizioni ridotta per difetto di spaccio non adequato alla produzione; — nell’acquisto di stabili, atteso l’immobile ordinamento della proprietà in quella contrada: possono considerarsi quai cause primarie ed essenziali per cui le strade ferrate ebbero colà si pronto, sì facile, sì esteso avviamento.
In quella contrada, notiamo ancora, dove gli ordini politici, civili ed economia sono così diversi da quelli vigenti nel resto dell’Europa, epperò con grave errore d’inopportuna imitazione voglionsi a questa talvolta applicare, una siffatta condizione di cose è un esempio il quale difficilmente può ripetersi altrove nel modo generale ed assoluto in cui colà segue specialmente.
Ti sono e possono essere bensì anche in altri Stati casi speciali di linee, le quali, per la felice attuale o probabile presunta ottima condizione loro potrebbero presentare, come nella Gran Brettagna, uguale convenienza di tentare una speculazione consimile all’industria privata libera.
Dopo che le imprese private di strade ferrate, un momento meditate anni sono, ripresero in Francia ed altrove non solo il più deciso favore, ma sono, come già notammo, materia ad una febbre speculatrice, propagatasi ormai nell’universale: questa tendenza ci par meritare tutta l’attenzione, la previdenza, il coraggio e la costanza degli uomini di Stato.
L’impazientissimo pubblico voto, il quale vorrebbe tosto intersecato lo Stato intero di quelle vie, anche là dove forse meno sarebbero necessarie e convenienti, come ne’ punti di minori relazioni probabili: — l’avidità speculatrice, che profitta di quell’impazienza per attendere, mercè di essa, al giuoco di borsa ed all’aggiotaggio; — l’abuso e le frodi di questo, abbisognano di resistenza, di freno, di direzione, in ragione della svariata condizione morale, politica ed economica in cui si trova ogni Stato. Lasciar fare e lasciar correre in un momento di generale entusiasmo (che i Francesi con speciale vocabolo chiamano engouement universel), ci pare un assioma economico in molte altre circostanze utilissimo, non già in questa, dove un prudente temperamento ci sembra molto opportuno nell'interesse universale, perchè dagli errori che facilmente possono prevalere, non nascan danni gravissimi sì morali, che economici.
Una tale avvertenza specialmente si ritiene necessaria nella nostra Italia, dove per la minore educazione del maggior numero in coteste materie, come anche pur troppo in molte altre, più facilmente possono propagarsi gli errori, riuscire gl’inganni e le frodi, ed avviarsi le cattive speculazioni, come vedremo già potersi temere che debba succedere in qualche Stato della Penisola.
Volendosi ora discutere la convenienza delle concessioni perpetue, come sono nell'Inghilterra accordate, non possiamo concordare col già lodato signor Chevalier, il quale le reputa utilissime, perchè avvisa che sole possano assicurare speculazioni veramente profittevoli.
Imperciocché reputiamo men conveniente all'interesse dello Stato, come a quello del pubblico, che il governo abbandoni per sempre la proprietà delle strade, le quali dovunque ognora vennero considerate qual suolo di comune spettanza, e faccia facoltà ad alcuni speculatori di disporne ad intero arbitrio loro, con aggravio, occorrendo, di quelli che debbono servirsene.
Nè l'invocato possibile temperamento della libera concorrenza ci pare atto a rimediare all’aggravio dei cresciuti dritti di pedaggio, a danno del pubblico, ordinato dai concessionari. Perocché, se può sorgere una società rivale che voglia attendere ad impresa consimile, e contentandosi di minore compenso, riduca le proprie tariffe; può anche succedere, come appunto seguì nella Gran Brettagna, che le varie società di concessionari suddetti si accordino per accrescere i prezzi. Ond'è derivato che nel Regno Unito le tariffe preallegate sono molto più care di quelle d'ogni altro paese, come vedremo al capitolo VI. La qual circostanza non senza fondamento facea dire a taluno, che le strade ferrate inglesi erano a disposizione soltanto de’ facoltosi, perciò poteansi chiamare aristocratiche; quando in vece le altre della terra ferma europea, accessibili per le men care tariffe, anche al popolo, si potavano chiamare democratiche.
A questa gravissima consideratione, la quale, a nostro parere, già basterebbe per dimostrare men convenienti le concessioni perpetue, aggiungeremo che l’irrevocabile proprietà di quelle vie, lascia anche più libera occasione ai soprusi ed ai danni che possono derivare alla sicurezza comune per difetto di vigilanza, onde risparmiare le spese di esercizio30.
Difatti molti abusi succedono sulle strade inglesi, e tali, che la somma e la vivacità delle querele insorte mossero il Parlamento ad occuparsi d’apporvi rimedio.
Una commissione d’inchiesta fu eletta per esaminare le dette querele, e le conclusioni di essa furono molto severe, proponendovisi di attribuire alla pubblica amministrazione un dritto di vigilanza molto esteso su quelle private imprese.
Quantunque il Parlamento sia assai guardingo nell'accogliere novità, specialmente se contrarie a dritti acquistati, per i quali ben a ragione si ha il massimo rispetto; non è men vero però, che, se non ancora vennero quelle conclusioni accolte, nelle nuove concessioni apponevasi tuttavia la clausola della facoltà riservata al governo del riscatto ad valorem delle vie concedute, reputandosi dalla maggiorità deliberante sufficiente all’uopo un tale contegno, da molti creduto però non bastevole.
E questa opinione per tal modo colà acquista credito, che già la stampa periodica ha discussa la convenienza d’un riscatto generale delle vie ferrate del Regno Unito, a peso dello Stato, in aumento del già ingente debito di questo, mediante espropriazione dei concessionari per causa di pubblica utilità, al fine di rendere colle ridotte tariffe le dette vie accessibili anche al popolo inglese, che può dirsene ora bandito, come abbiamo già detto31.
Ed un celebre statista e giureconsulto inglese, lord Brougham, non pago dell’accennata nuova clausola, replicatamente sorgeva a denunciare gli abusi commessi dai concessionari a pubblico danno, invocandone la repressione. Alle quali istanze pur faceano eco molti membri della Camera dei Comuni.
Queste cose premesse, ci par lecito dedurne che le concessioni perpetue risultano in massima e nel fatto men convenienti; postochè anche là dove usansi si pensa a recederne, malgrado la pratica da tempo immemoriale colà invalsa d'abbandonare i pubblici lavori alla speculatone privata. La quale pratica più per motivi politici, che per cause economiche, come erroneamente credesi da taluni, segue colà, per quanto il già citato Chevalier dimostra con irrecusabili argomenti.
Noi confessiamo ancora di non sapere conciliare l’opinione del Chevalier, tutta favorevole alle concessioni perpetue, coll’altra opinione successivamente dall’egregio scrittore proferita, interamente pur favorevole all’intervento governativo nei predetti pubblici lavori. Nè possiamo del pari conciliare l’opinione surriferita coll’altra sua sentenza, per cui replicatamente e giustamente, a parer nostro, celebra l’utilità del sistema adottato per le vie ferrate del Belgio, di cui sarà fatto parola al vegnente capitolo 6.° già accennato32. Non crediamo pertanto, che il sistema in discorso delle concessioni perpetue possa convenientemente venire adottato nella nostra Penisola, dove altre leggi, altri usi e costumi, altro modo d’intervento governativo da tempo immemoriale pure invalsi renderebbero quasi impossibile del resto siffatto ordinamento.
Passando ora all’altro modo usato di concessione temporanea all'industria privata libera, la di cui durata non suol eccedere il secolo, e, in molti casi di sperato notevole profitto sur essa, suole pattuirsi con termini varii, adequati ai presunti vantaggi dell’impresa, ma assai più brevi: riconosciamo che, quando interessi politici, strategici ed economici non ostano, può essere, previo l’attento studio di quegli interessi, degno d'un illuminato e prudente reggimento il secondar saviamente quelle speculazioni private, concedendo a coloro che vorrebbero attendere alla divisata impresa, la facoltà di ordinarsi in società per mandarla, giusta l’approvato piano, ad effetto sotto le pattuite condizioni.
L'esame del progetto di massima debbe però sempre precedere non solo la concessione, ma la stessa costituzione della società, se vogliono scansarsi illusioni men che fondate, od inspirate dal nobile e lodevole, ma non maturo, desiderio di dotare il paese di tali strade, o suggerito, quel che è peggio, da un’avida speculazione d’aggiotaggio.
Il detto progetto di massima, fondato sur un’esatta pianta de' luoghi che debbe percorrere la via, ed anche su qualche profilo delle principali altezze, da superare, coll’indicazione sommaria delle più ragguardevoli opere d’arte divisate, dovrebbe-chiaramente segnare la direzione proposta; e quando più direzioni sieno possibili, sarebbe pur conveniente segnarle, affinchè l’autorità, avuta così ogni più utile indicazione, possa provvedere al proposito colla migliore conoscenza di causa.
I disegni in discorso voglion essere accompagnati da una relazione del perito progettante, la quale indichi:
1.° L’andamento, della strada proposta e, quando varii ne siano divisati, tutti quelli proposti.
2.° Le distanze in kilometri, si della estensione totale, che dall’uno all’altro punto intermedio.
3.° Le principali pendenze ed i necessari risvolti, con misura della proporzione delle prime e del raggio di questi.
4.° Le più importanti opere d’arte occorrenti, come ponti, viedotti, acquedotti, gallerie (tunnel), piani inclinati, ecc.
5.° La spesa valutata per ogni specie di lavori, d’occupazioni di terreno, scavi e trasporti di terra escavata pei terrapieni e per le altre singole opere di cui al precedente N.° 4.°
6.° La stima del materiale occorrente per armare ed esercitare la strada, fondata come gli altri calcoli sui prezzi in corso; cioè delle traverse, piè dritti, cuscinetti, ruotaie, locomotive, tenders, carri e carrozze d’ogni qualità.
7.° Quella delle diverse stazioni maggiori e minori, cale di carico e scarico, magazzini, manifatture pegli occorrenti ristauri ed altri edifici che si fossero progettati. 8.° Il riassunto della spesa totale, ragguagliata alla somma occorrente per ogni kilometro, e paragonata alla consimile spesa occorsa per le strade circonvicine che già fossero fatte, tenuto conto della differenza, con indicazione d’esse e delle cause loro, sì in più, che in meno.
Un cotale diviso di stima vorrebbe inoltre essere aocompagnato:
1.° Da un calcolo della spesa annuale occorrente pell’esercizio, coll'indicazione del materiale ad esso necessario; del numero degli agenti sì amministrativi, che contabili, periti, meccanici e manuali, riputati necessari a far procedere il detto esercizio, a curare la manutenzione della via, i ristauri d'essa e del materiale, e la riscossione dei relativi prodotti.
2.° Il calcolo preventivo di questi, come saranno presunti, fondandoli sul numero dei viaggiatori e delle merci, come anche in certi casi, del bestiame, che si crederebbe dover essere avviato per giorno, mese od anno sulla divisata strada.
3.° L'atto per cui un dato numero di persone, commendevoli per moralità e per facoltà, sì estere che del paese, o spontaneamente, o previa la superiore annuenza, fatto fare a proprie spese da perito idoneo e riputato il progetto di massima predetto, quello offrono di far eseguire, previo altro progetto particolareggiato, tutto fondato su quello di massima, sì come verrà approvato; e previa l’autorizzata costituzione della società, che debbe, per mezzo delle azioni, da crearsi in numero ed in valore adequato, provvedere il fondo necessario alla spesa da' periti calcolata.
4.° Gli statuti che si propongono per la detta società, da sottoporsi all’approvazione governativa33. Presentato il sullodato progetto, con gli accennati elementi di stima e di ordinamento sociale, spetta al governo l’accurata sua verificazione tecnica per mezzo de' propri ingegneri, e quella economica per via dell’amministrazione competente.
Supposto che dal doppio esame su riferito, accuratamente ftto da chi s’aspetta, realmente resulti che convenga all’industria privata libera d’assumere la proposta impresa di strada ferrata, senza alcuno de’ concorsi governativi, dei quali faremo parola ne’ seguenti capitoli; — supposto invocato il solo compenso dell’esercizio privilegiato per un dato numero d’anni, sufficiente a porgere un frutto adequato del capitale da impiegarsi, con un fondo assegnato al riscatto del capitale medesimo, mediante una concessione non perpetua, come quelle inglesi, ma temporanea, che basti pella sua durata e tariffa all’uopo; — proposti i relativi patti analoghi, per le cautele di sicurezza; per la cessione del materiale, scaduta che sia la chiesta concessione; per le discipline concernenti alla polizia stradale; in somma per tutto quanto concerne all’ordinamento della divisata società: resta ad esaminare quali sieno le basi che dovranno regolare l’azione del governo in tale concessione.
Per determinare il primo fondamento, cioè la durata, convien sapere al giusto qual capitale richiedasi, non solo per la prima costruzione, ma altresì per la provvista del materiale destinato all’esercizio.
Cotesto calcolo, nel quale commettonsi a caso, od anche spesso ad arte, gravissimi errori, vuol essere accuratamente esaminato e discusso.
Determinato il primo capitale occorrente ad attuare l’impresa, resta a calcolare qual adequato frutto convenga assegnare alla speculazione, e qual fondo di riscatto se le debba attribuire, in ragione del frutto suddetto, fissando inoltre un margine di maggiore provento onde allettare i concorrenti.
Suppongasi assegnato il frutto più adequato a’ dì nostri del 4 per %, per esempio, e quello dell’1 per % per fondo di redenzione; si dovrà vedere inoltre se il provento sperabile frutterebbe l’8 per % per esempio, onde avere il 3 per % di margine. Allora siccome un fondo di riscatto dell'1 per % d’una rendita fruttante il 4 per % estingue il capitale cbe la produce in anni 41, giorni 12, per via della nota azione dell’interesse composto; è chiaro che, accordando la concessione per anni 42, si accorda un premio bastevole ad assicurare sufficiente incitamento alla proposta speculazione.
Suppongasi, in vece, che i resultati di questo calcolo fossero diversi in più od in meno, si comprende che dovrà proporzionatamente scemarsi od accrescersi il tempo della concessione, sicché questo basti a porgere frutto adequato ed inoltre un discreto guadagno, che renda buona la speculazione.
Se l’amministrazione debbe astenersi dal concedere sì lungo termine, il quale procuri un lucro esagerato, onde verrebbe pubblico aggravio, perchè sarebbe ritardata l’occasione di ridurre la tariffa dei prezzi; debbe, per contro, astenersi pure dal ristringere per troppa grettezza codesto termine, perchè se la speculazione riuscisse perdente, il solo pericolo del suo fallimento già sarebbe dannoso per l'universale, obbligando l’impresa a rispandi nocivi alla sicurezza od al comodo de’ viandanti.
In questa, come in molte altre occorrenze, convien tenersi nella giusta via di mezzo, che è un'onesta liberalità di provvedimenti.
Ma se il calcolo preventivo della spesa occorrente per la costruzione d’una via ferrata è soggetto d’errori, quello della presunta rendita di essa è ben più incerto ancora; perocchè gli dementi statistici sui quali sol può fondarsi il detto calcolo, sono sempre incertissimi.
I due elementi della predetta rendita sono il prodotto di trasporto de' viaggiatori e quello delle merci.
Per alcune strade inglesi e francesi il trasporto del bestiame da macello è anche da notar ne' prodotti. In Italia non crediamo debbasi comprendere ne’ calcoli. Perocchè, se ciò succede nella vicinanza di grandi capitali come Parigi e Londra, dove il bestiame arriva da punti lontani, epperciò il risparmio d’un lungo viaggio, nel quale il peso d’ogni capo scema, compensa la spesa del trasporto: altretanto difficilmente succederebbe nella nostra Penisola, in cui più sparsi e più vicini sono i luoghi di produzione a quelli di consumazione, e certo molto scarso sarebbe il numero de1 capi di bestiame, condotto sulle nuove strade.
Per conoscere il presunto prodotto del trasporto del viaggiatori conviene sapere qual numero d’essi ora percorra la via ordinaria che ha la stessa direzione di quella progettata. E cotesto numero può ricavarsi da quello scritto ai registri delle vetture pubbliche là dove queste pagano alla finanza una tassa.
Cotesto numero così conosciuto, una comprovata speriensa dimostra potersi nel calcolo in discorso raddoppiare, perchè quelle pubbliche vetture non portano tutti coloro che vanno e vengono in quella direzione, molti fra questi servendosi d’altri veicoli. D'altronde la certezza ed il comodo di più frequenti partenze e d’arrivi più solleciti, meglio appropriati ai bisogni d’ognuno, e l'economia della spesa di trasporto sono tante ragioni per notevolmente accrescere il numero degli avventori.
Il raddoppiamento preveduto però non sempre succede fin dalla prima apertura della nuova strada, ma fra qualche tempo soltanto, ed allora quando sono compiutamente ordinate le sue relazioni; alla qual epoca, per certe strade poste in condizione veramente buona, può anche succedere che il detto aumento del doppio sia talvolta oltrepassato.
Ma questa migliore condizione di cose, perchè affatto eventuale, non può servire di base che al computo de’ primi prodotti, e ne deriva che questi debbonsi soltanto ragguagliare ad un numero medio tra quello degli attuali viandanti e lo stesso numero raddoppiato. Per tal guisa si potrà conoscere in modo men dubbio, se il resultato ultimo di cotesto calcolo, giunto a quello del probabile prodotto delle merci da trasportare, potrebbe fornire un prodotto totale adequato al giusto frutto del danaro da impiegarsi nella divisata impresa, salvo poi ad attribuire ogni maggiore provento al discreto guadagno ch’è pur giusto assegnarle.
Le merci prendono più tardi le nuove vie, il cui più essenziale provento consiste ne' primi tempi nel trasporto de' viaggiatori. Resulta in fatti dai rendiconti pubblicati di varie strade, che ne’ primi anni dell’esercizio loro il prodotto delle merci trasportate stava a quello delle persone condotte come 1:5 — 1:4; ma sulle strade istesse nel seguito questa proporzione cresceva relativamente al trasporto delle merci, e stava 1:3. 1:2. Premessa quest'avvertenza, utile a conoscersi, diremo ancora che il computo delle merci probabilmente condotte per la nuova via è ancora più difficile; perocchè, quand'anche si facciano al proposito accuratissime ricerche, queste torneran sempre incertissime.
Difatti i registri tenuti ne' punti dove per le dette merci già pagasi di presente un pedaggio; quelli degli spedizionieri che mandano le medesime cogli ordinari attuali veicoli; quelli delle dogane, quando trattasi di strade che toccano ai confini; le consegne che possono aversi negli uffizi municipali da cui si spediscono certificati origine per alcune mercanzie; i libri di certe manifatture finalmente, sono tutti dati incertissimi per conoscere quali e quante merci potrebbe all’occorrenza trasportare la nuova strada. D’altronde è del pari incerto se questa conseguirà il fine di procurarsi il trasporto di tutte le merci calcolate; se una parte di esse soltanto vi sarà avviata, e quale; se basterà la tariffa proposta per ottenere la preferenza su quella ora osservata dai conducenti che trasportano sulle strade attuali ordinarie, sui canali e sui fiumi; se ribassati da codestoro, com'è probabile, i prezzi de' trasporti, la concorrenza che ne deriverà sarà più o meno dannosa alla nuova strada; se tutte le merci registrate ai libri cui s’ebbe ricorso prendano poi realmente la direzione della strada medesima, e tutta la percorrano, ovvero vadano per altre direzioni, o si fermino ai varii punti intermedii d’essa. Ancora; è da vedersi se la premura maggiore o minore del trasporto di quelle merci indurrà a preferire in maggiore o minor grado i nuovi agli antichi veicoli; in somma, se tutte, o parte soltanto delle accennate circostanze, possano far mutare le abitudini commerciali; ed in qual proporzione porgere, coll'impiego del nuovo mezzo di trasporto, un ragguardevole, medio o minimo prodotto.
Ognuno che consideri le preallegate possibili emergenze, comprenderà facilmente come ogni calcolo sur esse fondato sarà dunque men che sicuro, e come si possa egualmente concedere un privilegio profittevolissimo, ovvero accordare una concessione per niente vantaggiosa.
Cotesti motivi, per cui credesi difficilissimo il calcolo della spesa e della rendita presunta delle nuove vie, si dimostrano da ripetuti fatti irrecusabili.
Così, per esempio, le spese di prima costruzione delle strade belgiche salirono tra tutte oltre al doppio delle somme calcolate, e per alcune tratte anche oltre al triplo. La rendita ne’ primi anni fu così esigua’, che gli opponenti alle dette strade accusavano, con qualche apparenza di fondamento, il governo d’aver gravato il paese d’un nuovo ingentissimo debito per sopperire a quella spesa, senza conseguirne un adequato compenso. Ma compita la rete fissata, meglio ordinate le tariffe, scorgesi dall’ultimo rendiconto (1844) che il provento netto già è tale da poter quasi bastare al pagamento degli interessi di quel debito, e che vi è inoltre fondata lusinga d’un ulteriore aumento, il quale assicurerà ancora la redenzione successiva del detto debito34. Così la strada d’Orleans nel regno di Francia, all’impresa della quale riputavasi insufficiente l’industria privata, se non interveniva l’invocata e conceduta garanzia dell’interesse minimo del 4 per % corrisposto all’occorrenza dal pubblico erario; appena attuata, e prima ancora che siano compite le diramazioni, dalle quali sarà fatta migliore la sua condizione, già porge un prodotto che dispensa il governo dal promesso concorso (l’8 e 17 per %).
Invece la strada da Parigi a Versaglia (riva sinistra della Senna), e quella da Strasburgo a Basilea, sulle quali eransi fondate belle speranze, fin qui le vedono così poco verificate, che se il concorso d’altre linee, cui debbon esser quelle vie congiunte, non ne miglioreranno, come sperasi ancora, la condizione; esse risulterebbero per tal modo successivamente perdenti da far temere il fallimento delle società che assunsero quelle imprese.
Altri esempi potrebbero ancora addursi; ma noi crediamo che bastino quelli sopraccennati allo scopo nostro, tendente a dimostrare l'incertezza de’ calcoli da farsi per giudicare gli effetti futuri delle imprese in discorso.
Coteste considerazioni ci fanno dunque temere che le vie ferrate italiane divisate saranno in gran parte, almeno ne’ primi tempi dell’esercizio loro, d'un prodotto insufficiente a compensarne la spesa.
Nè qualche esempio contrario, di tratte brevissime già attuate, le quali porgono un provento adequato alla spesa seguita; tuttoché maggiore di quella calcolata, come vedremo ai rispettivi capitoli del discorso III, ci sembra bastare per farci mutare opinione; poiché la condizione delle predette linee più brevi è ben diversa da quella dell’intero corso di esse quando siano terminate, ed abbiano Ogni loro diramazione compita anche più proficua.
Certi favorevoli programmi adunque d’una minore spesa, che si deducono a pubblica notizia, non ci persuadono, dobbiam dichiararlo; perocchè non sappiamo comprendere come possa verificarsi la detta spesa minore in una contrada costretta in gran parte a ricorrere all’estero per ordinare in essa le nuove vie. Nè possiamo del pari indurci a partecipare a certe illusioni sulle presunte copiose rendite che sperano molti de' nostri progettisti.
Eccettuate pertanto alcune linee, che possono fin d’ora dirsi fortunatissime, noi non crediamo che il maggior numero delle strade divisate nella nostra Penisola presenti alle società, cui già sono o verran concedute, un compenso sufficiente alla spesa; a meno che la durata delle concessioni sia così lunga da riuscire men conveniente al pubblico interesse per la più tarda riduzione delle tariffe che ne deriverebbe.
Confortiamo pertanto ogni governo italiano a seriamente avvertire alle precedenti considerazioni nell’esame delle domande; a preferire pei primi anni d'esercizio la concessione d’un sussidio a quella d’una più lunga durata del privilegio, onde non proludersi la via ad una così benefica riduzione delle dette tariffe, ed al più pronto libero possesso delle strade, che pel minor tempo possibile soltanto conviene alienare.
Le concessioni temporanee adunque, senza alcun altro compenso fatte all’industria privata libera, ci sembrano per l’Italia più un caso d'eccezione, che non uno stato di cose normale, quando si voglia con prudente criterio procedere nell’accordarle35. Ma non per questo credasi che si voglia muover dubbio sull'immensa utilità delle strade ferrate, anzi sulla ineluttabile necessità di esse fra noi; solo appunto perchè meglio sia conseguito il profitto delle medesime, desideriamo di sentirle in molti luoghi più sicuramente ordinate.
Le imprese in discorso furono credute dapprima fonti d’immenso profitto per le società private che le assumerebbero.
Considerando la prodigiosa azione delle strade ferrate sulla prosperità dell'universale, si pensò che coloro che si accingerebbero ad intraprenderle, farebbero un’ottima speculazione.
Non si avvertiva però che i grandissimi vantaggi di quel nuovo mezzo di comunicazione sono più relativi all’interesse generale, che non talvolta a quello privato di coloro che procurano al pubblico la detta comunicazione; attalchè una via ferrata può essere ad un tempo di scarsissimo profitto pe' concessionari di essa, e tuttavia d’un grandissimo vantaggio pell'universale.
Difatto non può contendersi che le vie ferrate accrescono la generale ricchezza colla maggiore, più pronta e più economica produzione derivante dall’azione loro; — ― che il contatto delle più facili e più spedite umane relazioni per esse vie si fa maggiore; — che il lavoro e le consumazioni si moltiplicano; — che i prodotti de’ luoghi attraversati da quelle strade trovano miglior
prezzo pel nuovo e più facile spaccio ad essi procurato; — che gli opifici crescono in numero ed in estensione; — che i salari aumentano; — in somma, che l’agio comune dovunque vennero aperte strade ferrate, anche men profittevoli agli appaltatori d’esse, si estende e fa maggiore.
Ma tutti cotesti resultati, od almeno la più parte d’essi, più toccano allo Stato intero, cioè alla nazione, che non direttamente agli imprenditori di quelle strade, tranne in certi casi privilegiati per una più felice posizione de’ luoghi.
Quest'è la causa per cui, fallite alcune di quelle speculazioni pel discredito in cui caddero, ritardavasi per alcuni anni l'estensione del nuovo trovato, finché i sussidi larghissimi, conceduti perché non cadessero del tutto, ridestarono l’universale tendenza ad ottenerlo; e tale spinta fu data all’assunto, che se la prudenza governativa non interviene a temperare le illusioni, succederanno a più d’una società lamentevoli disinganni.
Quest’è il motivo per cui molti governi si mostrarono tardi ed esitanti nell'accordare le invocate concessioni, temendo che da esse derivasse fallita l’impresa; ed altri governi, persuasi dell'utilità d’essa, o pigliarono l’assunto dell’esecuzione diretta a proprie spese; ovvero soccorsero in alcuno de' varii modi che stiamo per esporre, l’industria privata, perchè potesse assumerla con maggiore fiducia di buon esito.
Nè mal s’apponeva, a nostro credere, la pubblica autorità così operando; perocchè, atteso quel primo suo mandato attribuitole in ogni ordinamento civile, di curare non solo la conservazione, ma l’aumento altresì della prosperità dell’universale; può dirsi ch’è suo dovere di venire in soccorso d’una speculazione dimostrata da irrefragabili prove utilissima al pubblico, dappoiché risulta che, altrimenti assunta da speculatori privati, può riuscire per cotestoro meno proficua.
E tanto più grave e men dubbio appalesasi un tal dovere quando si tratta di salvare le relazioni commerciali d'uno Stato intero dal certo pericolo di decadenza che potrebbe per avventura derivare a quelle relazioni, se la presunta concorrenza d’intraprendenti ed accorti vicini li muovesse ad accingersi tutti a speculazioni consimili, posciachè si correrebbe allora il grave pericolo d’una dannosa segregazione, la quale importa di prevenire a qualunque costo.
Conchiudiamo. — Le più gravi considerazioni d’alta politica, alle quali la ragione di Stato sempre debbe di preferenza avvertire, dimostrano anche ai meno veggenti:
1.° Che non è così facile, come taluni credono, nella nostra Penisola l’ordinamento di società private, le quali seriamente possano assumere realmente ed a tutte proprie spese la costruzione e l’esercizio delle nuove strade con certa speranza di buono e pronto successo, senz’altro compenso che il prodotto de’ trasporti conceduto temporaneamente . Però, che è necessario, nel più de’ casi, procurare quelle strade allo Stato, se voglionsi scansare i pericoli di decadenza commerciale che altrimenti si potrebbero incontrare.
2.° Che, al più, la nessuna necessità di sussidio governativo potrà farsi col tempo sentire quando sia compiuto l’ordinamento dell’intera rete di quelle strade ed intero l’avviamento su di esse. E del pari risulterà fin d’ora inutile cotale sussidio per alcune tratte di facilissima e men costosa costruzione, e di quasi sicuro buon prodotto per la sua vicinanza ai maggiori centri di popolazione agglomerata; come potrebbe ancora succedere a qualche altra tratta men produttiva quando fosse congiunta ad alcuna delle tratte dianzi accennate.
3.° Che escluso adunque il probabile e possibile ordinamento di coteste tratte minori col mezzo della sola industria libera, tranne per gli accennati casi; e dimostrata tuttavia la contemporanea necessita ed urgenza d’avere quanto prima strade ferrate, resta l’ unico partito di adottare l’uno o l’altro degli spedienti altrove usati per conseguire il divisato scopo, mercè dell’intervento governativo attuato con opportuni sussidi, dimostrati necessari.
I varii modi in cui cotesto intervento si può praticare si dovranno or dunque da noi esporre, esaminare e giudicare.CAPITOLO II.
Concorso del governo a sussidio dell’impresa;
lasciata tuttavia all’industria privata con certe condizioni.
L’industria privata colla propria attività ed energia, soventi volte però non dotata d’una sufficiente copia di mezzi, parve potersi tuttavia utilmente incaricare dell’impresa di costruire strade ferrate, e specialmente d’esercitar su di esse il carreggio, purché sussidiata dai mezzi del pubblico erario; e ciò, notisi però, quando non ostano considerazioni politiche, strategiche ed economiche, le quali consigliassero di ritenere a proprie mani un tale servizio.
I detti sussidi del pubblico erario, chiamisi pure questo regio, provinciale o comunale, secondo che le finanze di tutto lo Stato, delle province o de’ Comuni li forniscono, sono però sempre un concorso dato a pubbliche spese, per giusta causa d’interesse universale. — Un tale concorso è conceduto opportunamente quando i presunti prodotti dell’impresa non sono adeguati alla spesa di essa; onde la convenienza di sovvenirla, poiché quella tuttavia procura altri generali vantaggi, profittevoli allo Stato intero, come si é detto.
Quattro, in sostanza, sono i modi con cui cotesto concorso vien conceduto 36.
1.° Sovvenzione d'un capitale.
2.° Prestito di capitale con o senza interessi.
3.° Acquisto d'azioni sociali.
4.° Assicurazioni d'un interesse minimo, ove quello non si ricavi dai prodotti.
Esaminiamo successivamente ognuno di cotesti modi37.
1.° A primo, aspetto pare che la sovvenzione abbia per sè il vantaggio d'estere un soccorso diretto, efficace, spiccio, del quale si conosce il vero carico attuale, senza impegno per l'avvenire.
Ancora; che, conceduta con opportunità, la sovvenzione preserva l'appaltatore dal sottoscrivere con altri a condizioni onerose, le quali talvolta possono rovinarlo e far tornar fallito l'assunto.
Ma si presentano in essa gravi difficoltà, alle quali vuolsi avvertire.
Il concorso non sarà esso per avventura superfluo od insufficiente? .... Quando potrà dirsi veramente adequato?....
Nel primo caso, s’ha a lamentare un soccorso non necessario, usurpato forse da artificiose sollecitazioni, con pubblioo aggravio imposto ai contribuenti, senza corrispondente maggiore profitto, per arricchire alcuni speculatori, con iscandalo comune, con discredito, e perciò con leso decoro del governo: Nel secondo caso, o si mantiene, ciò malgrado, il diffidamento di non oltrepassare il sussidio, ed allora si espone lo Stato ad una spesa inutile, perchè l’opera non sarà compita; e colla rovina dell’impresa s’avrà a lamentare quella per anco degli azionisti. 0 per rimediare a cotesti danni s’aggiungono ancora altre sovvenzioni, ed allora s’impegna il governo in ispese indeterminate, che possono riuscire gravose, incomportabili.
Nel terzo caso, il quale presenterebbe la minor somma d'inconvenienti, sol vuolsi notare essere difficilissimo di stare entro i confini d’un giusto ragguaglio alla vera necessità; onde nasce la facilità di cadere in uno dei pericoli degli altri due casi, la superfluità, cioè, o l’insufficienza, e d’incontrare i danni derivanti dai detti pericoli.
Ciò vuolsi tanto più credere possibile, chè la sovvenzione è per sua natura arbitraria sempre, e sprovveduta di basi certe, sulle quali si possa equamente fondare.
D’altronde l'effetto della sovvenzione questo ha di proprio, che per la fiducia dell'attuale, come dell’ancora sperato futuro soccorso, incita la società a fare spese superflue, od almeno di non assoluta necessità od utilità; laonde la somma del capitale collocato nell’impresa riesce superiore al bisogno.
Coteste gravi eccezioni sembrano dimostrare nello spediente della sovvenzione tali e tanti pericoli, che non si potrà mai ravvisare conveniente da chi voglia un concorso economico, sufficiente opportuno e conforme alla dignità del governo.
2.° Gl'imprestiti, molto usati, notisi ancora, in America, talvolta pure in Inghilterra ed in altri Stati del Continente (Francia e Germania, più raramente però), hanno da un lato l’evidente vantaggio di non imporre in realtà alcun carico al pubblico erario, se pagasi dalla società l’interesse della somma ricevuta: a prestanza, e se questo interesse è uguale a quello corrisposto dall'erario medesimo ai suoi creditori.
Se poi gl'imprestiti sono fatti senza interesse, risolvonsi in una sovvenzione, la quale corre molto pericolo di nessun rimborso nel caso di cattivo resultato dell’impresa; e possono anche indurre allo spreco per la lusinga del condono. Si sa in ogni caso però quanto si contribuisce, ed è la somma determinata. Essendovi la guarentigia della strada, si fa un collocamento sicuro, impegnando per a tempo soltanto il danaro del pubblico, non si corre alcun pericolo di perdere il capitale mutuato, e si può intanto lasciare all’industria la piena sua libertà d’azione.
Ma se lo Stato è assicurato con privilegio sui prodotti dell’impresa, pel pagamento dell’interesse e del successivo riscatto del capitale distribuito in rate; oppure, come si è detto per questo, sul valore materiale della strada; gli associati saranno necessariamente posposti, quindi si vedranno sfiduciati nel governarla, perchè ugualmente temeranno di sentir prelevato, non a proprio vantaggio, ma a quello del fisco, il frutto delle fatiche loro.
Se poi inesorabilmente pretendesi il rimborso, corresi soventi volte il pericolo di far tornare fallita l’impresa; e se si concedono respiri o condoni, seguono gl'inconvenienti prima notati. In ogni evento, anche di buon successo, s’incitano gli speculatori od a spese reali superflue, od a simular danni per avere migliori condizioni, senza che si abbia sempre mezzo di verificarne le allegazioni.
In somma, nel più de' casi; l’imprestito, oltre al poter essere, come la sovvenzione, per avventura superfluo od insufficiente, può tornare, anche essendo adequato per ragione di somma, men conveniente all’erario, perchè non fruttante od esposto a pericolo; può essere poi dannoso agli azionisti istessi, perchè col privilegio prevale ai dritti loro, e può assorbirne gli utili.
Coteste considerazioni ci muovono adunque a giudicare men conveniente di ogni altro lo spediente dell’imprestito, tranne il caso in cui si trattasse d’impresa presunta veramente buona, e cui solo mancasse l’aiuto del credito proprio in coloro che l’intraprendessero; nè una garanzia d’interesse minimo fosse sufficiente a fondarlo: il qual caso, come agevolmente si comprende, è molto difficile a supporre possibile.
3.° L'acquisto d'un determinato numero di azioni, usato in America, in alcuni Stati della Germania e dal Belgio medesimo pella strada prussiana, che da Colonia per Aquisgrana incontra la belgica presso a Vervjers, presenta alcuni vantaggi incontrastabili, i quali meglio possono avviare l'impresa. Perocchè a molti essa persuadesi così profittevole; — rendesi men difficile il concorso dei capitali esteri, chiamati da tale esempio della fiducia mostrata dal governo nel proposto assunto; — si persuadono ugualmente i capitalisti dello Stato, forse prima alieni dal concorrere; — in somma, si fa più pronto lo spaccio delle azioni, e siccome quelle dal governo acquistate possono in certo modo influire sul mercato di esse, può egli anche, fino ad un certo segno, frenare le illecite speculazioni dell'aggiotaggio.
Ma, all'incontro, troppo frequenti furono gli errori dei calcoli preventivi per non temere che si ripetano essi ancora. Da cotesti errori può derivare l'imperfezione dell’opera, per difetto di mezzi; quindi la necessità dei sussidi straordinari, onde impedire il fallimento della società; succedendo il quale tornerebbe perduto tutto il precedente dispendio. S’aggiungano gl'inconvenienti più comuni dell'intervento governativo in una speculazione, industriale; — il pericolo di veder compromessi gl’interessi dell’azionista principale da amministratori non ugualmente interessati, e troppo confidenti negli aiuti della finanza per non essere inclinati a profusioni; — l'altro pericolo ancora dell’aggiotaggio, cui, suo malgrado, il governo fosse ridotto a partecipare, per la gran difficoltà d’impedirlo. — Finalmente la dignità del governo compromessa, perchè più interessato di tutti i soci a non lasciar fallire l’impresa, e perciò suo malgrado costretto a sovvenirla. Ondechè giudichiamo l’acquisto d’azioni, il peggiore forse tra tutti gli spedienti di soccorso ideati al fine di porgere all’industria privata un mezzo efficace di riuscire nell’assunto..
4.° Resta l’ultimo di cotali spedienti di sussidio a’ pubblici lavori, quando il governo non istima di assumere direttamente l’esecuzione delle opere per pròprio conto in tutto od in parte; vogliamo dire quello della garanzia d'un interesse minimo, conceduta in certi determinati casi alle società che assumono l'impresa .
Cotesto modo di concorso viene per comune consenso riguardato come il sussidio meno oneroso al pubblico erario.
Infatti le società che lo stipulano coi governi, soventi volte non abbisognano dell’appoggio del credito dello Stato che in modo apparente soltanto38.
Allora quello è piuttosto un sussidio morale, che materiale un soccorso definitivamente poi in sostanza non corrisposto, atteso il verificato prodotto d’un dividendo maggiore del convenuto minimo.
La garanzia, d’altronde, dice un recente già citato scrittore, applicata alle linee men fruttuose, ha per effetto di ristrìngere le perdite degli azionisti e di salvarli dalla rovina; la qual cosa è giusta, quando i lavori conceduti, perchè di pubblica utilità, fruttano all’universale39.
In ogni evento, continua esso, un soccorso futuro, variabile, adequato ai guadagni, pare più ragionevole e più morale, che un’allocazione di fondi a titolo di sovvenzione o di prestito, non adequata alle vicende più o meno prospere della società.
In questo caso ciecamente s’accorda, senza conoscere la realtà del bisogno. Nell’altro si promette un soccorso eventuale e moderato, come spetta appunto al governo concederne, perchè esso trova un compenso al sagrifizio assunto nei prodotti che sott'altra forma ottengonsi dalla cresciuta prosperità generale.
Finalmente, la guarentigia è il rimedio di confidenza all’incertezza della spesa (quando però non è determinata, come si dirà di poi), ed a quella dei prodotti. Se cotesti timori infatto non fossero reali, i capitalisti non richiederebbero alcuna cautela.
Offrire alla speculazione un sicuro collocamento, il quale col tempo, anziché scemare, non può che migliorare, egli è operare direttamente a rimedio del male; egli è adempire alla prima delle condizioni dell'accumulazione de’ capitali; egli è assicurare a questi un giusto frutto.
Nessun uomo prudente vuol collocare, valga il vero, in modo incerto. Tutti gli speculatori avveduti, in vece, vedendo limitata la perdita, probabile il guadagno, prendono più volontieri parte all’impresa.
Secondo il Chevalier, il quale ha ponderato due lezioni per dimostrare la convenienza della garanzia dell’interesse minimo del danaro speso dalle società intraprenditrici di strade ferrate, un tale sistema è quello tra i concorsi governativi che meglio conviene raccomandare40.
Paragonata alla sovvenzione, la garanzia, a parere di lui parimenti, costa assai meno, e fa correr minori perìcoli di danni eventuali all’erario.
In un vasto ordinamento di pubblici lavori, supposto ancora il peggiore evento, cioè un prodotto molto esiguo direttamente derivante da essi, onde nasca la conseguenza di vedere impegnata tutta la garanzia, la spesa di essa sarà sempre compensata dall’economia che faranno i cittadini sulle spese de’ trasporti e dal maggiore prodotto delle imposte pubbliche 41.
L’esempio della Francia, dove dal 1830 in poi l’enorme estensione data ai lavori medesimi, produsse un notevolissimo incremento di prosperità materiale evidente, con un ingente accrescimento della pubblica rendita del fisco, è un fatto che troppo chiaramente dimostra fondato 1'argomento preallegato.
La garanzia, d’altronde, non espone lo Stato a dispendio alcuno prima che sia certo il termine dell’impresa, quando, cioè, essa debbe cominciare a fruttare ai contribuenti ed all’erano, coll'assicurare l'uso del beneficio sperato dalla medesima.
Secondando imprese di tal fatta, la garanzia debbe favorire l’accumulazione de’ piccioli capitali, l’accrescimento delle facoltà mobili, e le vere speculazioni di collocamento dei capitali medesimi, che voglionsi distinguere dall’aggiotaggio42. Onde nasce che lo spediente in discorso è mezzo di moralità a preferenza degli altri; ch’esso applica la forza del credito, sin qui usata per sopperire a guerriere imprese, in un pacifico assunto, quello di favorire la produzione col renderne men costosa e più facile la creazione; di migliorare la distribuzione e diffusione della generale ricchezza; di facilitare e rendere maggiori e meno care le consumazioni; per le quali ragioni può il citato spediente chiamarsi proficuo nel rispetto altresì politico e sociale.
Fatta la parte de’ vantaggi, che a senso nostro ed altrui scorgonsi nello spediente della garanzia, l’imparzialità di cui ci onoriamo; richiede che non se ne tacciano anche alcuni inconvenienti.
Difatto la necessità dell'ingerenza governativa nell’amministrazione dell’impresa può nuocere talvolta alla energia ed alla libera azione dell’industria privata. Ancora; può incitar questa a largheggiar nelle spese per soverchia fiducia nell'aiuto attuale e futuro del pubblico erario.
L’incaglio inevitabile de’ più necessari controlli può disgustare gli amministratori, ed impedire quello zelo e quella solerzia che soli possono giovare all’intento.
Finalmente, quando non fosse determinata la somma o 'l fondo d’impresa, del quale si dovrebbe assicurare il frutto minimo, potrebbero nascerne eccedenze atte ad impegnare oltremodo il governo, anche per non vedere con proprio disdoro tornare fallita l’impresa medesima, ondechè deriverebbero sacrifici eccedenti o non adequati al proposto scopo.
Malgrado cotesti inconvenienti, alcuno de1 quali pur può scansarsi colle avvertenze che seguono, notiamo che, posti quelli a fronte de’ vantaggi dianzi accennati, è lecito dedurne: la garanzia dell’interesse minimo essere sempre in fin di conto il sistema più economico, più morale, più efficace e meno grave pell'erario pubblico, come il più giusto.
Le discorse cautele, che più ci sembrano atte a prevenire abusi od inconvenienti, sono le seguenti:
1.° Che il capitale, di cui si richiede assicurato l’interesse, sia determinato in una data somma; nè se ne possa accrescere il montare, senza una nuova convenzione.
2.° Che risulti sufficiente al proposto assunto, ed ove non lo fosse, non sia il governo, tenuto all’eccedente interesse che dovrebbe corrispondere pella somma necessaria ad aggiungersi, tranne il caso pure di nuovo convegno.
3.° Che la garanzia solo decorra dall’epoca dell’incominciato uso della strada, non durante il corso de’ lavori intrapresi per la sua costruzione.
4.° Che la ragione dell’interesse guarantita non ecceda il frutto medio più comune de' capitali investiti ne’ debiti pubblici. 5.° Che sia fissato un adequato fondo di riscatto, il quale acceleri quant’è possibile la redenzione, essendo così l’aggravio di minore durata ed a scadenza fissa.
6.° Che, succedendo di ritrar prodotti eccedenti il minimo guarantito, se ne possa prelevar1 parte pell’assegnamento d’un fondo di riserva, destinato ad indennizzare il governo del concorso cui prima in men buon anno avesse dovuto sopperire.
7.° Che, riscattate tutte le azioni, la concessione non possa durare oltre un discreto termine, per tornar la strada di pubblica spettanza, sì pel suolo d’essa, che pel materiale del suo esercizio.
8.° Che sia sempre riservata al governo, anche prima dell'epoca fatale cui scade la concessione, la facoltà del riscatto, mediante la corrispondenza d'una indennità, trascorsa che sia una prima determinata epoca.
9.° Che competa al governo la facoltà di modificar le tariffe, trascorso un dato periodo di tempo quando i prodotti resultino eccedenti una data proporzione nel dividendo.
10.° Che la società si sottoponga ai controlli necessari per accertare le prime spese di costruzione e di provviste; e nel seguito quelle di conservazione e di esercizio, in un colla realtà de' prodotti riscossi43.
11.° Che que' controlli s’estendano a prescrivere le necessarie cautele d’ordine e di sicurezza, onde prevenire qualunque sopruso o sinistro; e che tuttavia, succedendone alcuno, siano gli amministratori tenuti ai danni in via civile, salvo pure, occorrendone il caso, il disposto dalla legge penale comune.
12.° Che nessuna opera, sì di prima costruzione, che di conservazione, possa farsi senza la previa annuenza dell’autorità che soprantende ai pubblici lavori, previo esame d’essa in linea d’arte e di pubblica sicurezza.
13.° Che la costituzione della società abbia regole approvate dall’autorità legislativa, le quali intendano a scansare per quanto è possibile gli abusi dell’ aggiotaggio.
14.° Che vengano inoltre, nell’atto di concessone, pattuite tutte quelle cautele che nel rispetto politico, strategico, economico e commerciale la condizione speciale de’ luoghi potrà per avventura richiedere.
15.° Finalmente, che il privilegio della linea conceduta non possa leder mai que’ provvedimenti consimili o diversi che nell’interesse pubblico e pei rispetti sopraccennati, il governo stimerebbe adottare onde aviere altre linee pure aperte.
Abbiamo creduto opportuno di estenderci maggiormente su codesto quarto modo di concorso, perchè lo riputiamo quello più conveniente al più degli Stati, specialmente della Penisola; quando però, ben inteso, pe’ quattro preallegati rispetti non si creda preferibile il partito della costruzione ed esercizio, per opera e conto del governo medesimo, del quale partito si farà più ampiamente parola al vegnente capitolo 6.° di questo discorso44.
Premesse le discorse considerazioni concernenti alle concessioni all’industria libera senza sussidio alcuno, o sussidiata in vario modo, passiamo ad altri sistemi ancora usati.
CAPITOLO III.
Concorso diretto del governo nelle prime opere;
compimento di esse ed esercizio, lasciati però all’industria libera.
Cotesto sistema, ideato ed attuato in Francia, è degno d’essere attentamente studiato. Perocché, se dapprima esso riscuoteva molta approvazione, questa è scemata assai dopo la sperienza fattane in quel regno.
Nell’esaminare il sistema in discorso ci servirà pure di guida il già citato autore, il quale ci pare averne scritto con molto senno 45.
La legge francese dell’11 giugno 1842 riserva allo Stato il diritto di costruzione diretta delle vie ferrate, e la facoltà di conservarne l’unica ed intera proprietà.
Questa è la regola; e l’eccezione sta nell’intervento delle società & industria privata.
Solo per alleviare il carico dello Stato, i luoghi percorsi od interessati alla nuova strada (dipartimenti e comuni) sono chiamati a contribuire, avendone il mezzo, al pagamento dei due terzi del valore dei terreni da occuparsi, pella strada da costrurre46.
Il governo, per opera e cura de’ suoi ingegneri civili, e col mezzo di appalti regolari, dati con concorrenza e con pubblicità, fa eseguire l’apertura del suolo stradale su tutta la linea decretata, ed ogni opera d’arte, cioè ponti, viedotti, acquedotti, gallerie, tunnel, ecc., giudicata necessaria alla prima sistemazione della strada, cui sol mancano poi le guide o ruotaie per praticarla.
Le compagnie o società, se se ne trovano, sono tenute a provvedere e collocare le dette guide o ruotaie (rails) ed il resto del materiale occorrente ad attuare l’esercizio della strada; salvo a conseguirne il rimborso ad valorem più tardi, alla scadenza cioè della concessione.
La legge inoltre stabilisce il principio dell’esecuzione successiva d’un’intera rete di strade ferrate in tutto il regno di Francia, onde collegare insieme la capitale colle città più ragguardevoli, e coi confini sì marittimi che continentali; e per tendere agli scali di maggiore traffico, come ai punti strategici più essenziali. Coteste linee sono indicate nella legge già promulgata ed in quelle che debbonsi promulgare al proposito d’ogni linea dai loro punti estremi, e quando gli studi già fatti lo permettono, anche da quelli intermedi.
Il modo e il tempo d’esecuzione è indicato poter essere vario, in ragione delle circostanze.
Per soddisfare alle molte esigenze dei Deputati e dei Pari, ai quali vuolsi dal potere esecutivo colà usare gran deferenza, si commise il gravissimo errore di dichiarare che l’opera incomincerebbe su varie linee, perciò spartite in più sezioni, ciascuna delle quali successivamente viene intrapresa in ragione de’ mezzi di cui il pubblico erario può disporre.
La combinazione, nota il lodato autore, parve ingegnosa, perchè sembrava rendere, assai meno incerto l’avvenire di quelle imprese; — perchè lascia all’industria privata la libertà di speculare ancora su di esse; — perchè attribuisce al governo, il quale già dispone d’un’amministrazione speciale ordinata per soprantendere ai pubblici lavori, la cura di eseguire questi della natura e nel modo in cui già è assuefatto ad operare.
Con siffatto sistema inoltre la larga intervenzione dello Stato nella spesa massima concede d’abbreviare la durata delle concessioni, negli altri sistemi taluna perpetua, taluna secolare, tutte lunghissime; mentre permette altresì di ridurre le tariffe de’ prezzi di trasporto a quote ben più modiche.
Ma nel fatto dell’esecuzione del celebrato sistema francese n’è derivato, che la combinazione delle due azioni insieme operanti, governativa cioè ed industriale, altro non fa che complicarle assai; — ch’essa rende facile il difetto di proporzioni adequate nei rispettivi oneri e diritti del governo e degli speculatori; — che cotesta facilità è occasione a sorprese ed a collisioni, rese così molto più probabili che in altre combinazioni; — che’è impossibile un perfetto accordo tra i due criterii, amministrativo, cioè, ed industriale; quello lento a risolversi a decidere per le ripetute formalità e pei necessari controlli cui è sottoposto; questo, invece, pronto ed indipendente nelle sue determinazioni, se vuole opportunamente curare i suoi profitti. Coteste difficoltà d’esecuzione non tardarono difatti a mostrarsi così evidenti e gravi, ch’esse ben tosto costrinsero il governo francese a dare anche i lavori, de’ quali dovea assumere il carico, agli appaltatori medesimi dell’esercizio della strada da aprirsi, convenendo con essi a cottimo (a forfait) il pagamento d’una somma fissa per tate oggetto.
Cotesta modificazione di fatto riduce la cosa a segno di far concedere una sovvenzione dei tre quinti della spesa totale, con guarentigia del rimborso degli altri due. quinti alla scadenza della concessione dell'esercizio; lasciato questo intanto qual compenso dell'interesse di questa anticipazione, e delle spese dell’esercizio medesimo, mediante una tariffa de’ prezzi atta ad assicurare un largo utile.
La sposizione che precede del sistema francese e de’ suoi risultati ci pare essere sufficiente a dimostrare, che quel modo di concorso è fra tutti il meno economico pello Stato, ed il più facile a far nascere gravissimi abusi47 . E, valga il vero, fatta anche ragione della nota instabilità delle opinioni presso quella spiritosa, ma mobilissima nazione, non può negarsi che sia fondata la tendenza osservata in molti di recedere dall’ordinamento organico e di massima fissato dalla preallegata legge del 1842 quanto alla competenza della spesa ed al modo di distribuirla ed eseguirla.
Cotesta tendenza del resto è dal governo stesso promossa, vedendosi già proposte di leggi per concedere all’industria privata linee intere a tutte spese della società senz'alcun altro compenso che il godimento privilegiato dell'esercizio per un dato numero d’anni molto inferiore alle prime concessioni. Così per esempio:
Le due linee da Parigi a Lione, e da Lione ad Avignone, ove siano, come proponesi, concedute, si valutano costare 185 milioni di meno di ciò che avrebbero costato se fossero state accordate colle regole della legge del 1842.
Lo stesso è seguito pure per la strada ferrata del Nord da Parigi al Belgio, nei capitoli d’oneri della quale è pattuita la restituzione dei tre quinti che risulteranno dal governo spesi giusta il prescritto della detta legge, onde deriva pell’erario un’economia d’oltre 150 milioni, ed altretanto può dirsi delle molte altre strade ferrate votate da quelle camere in questa sessione (1844-1845).
Non si può dare un maggior trionfo pelle opinioni sostenute nel libro del signor conte Daru (Vedi Journal des Débats, 19 marzo 1845).
Queste cose premesse, non sembra potersi consigliare l’imitazione delle prime norme della legge francese ad alcuno degli Stati della nostra Penisola, tranne quanto all'ammettere in massima:
1.° Doversi sempre un governo riservare la costruzione diretta, occorrendo che la reputi conveniente;
2.° Riservarsi pure la proprietà unica ed intera della strada;
3.° Aversi a fissar preventivamente la rete delle strade suddette dal governo con un solo concetto pello Stato intero, previe quelle avvertenze cui vuolsi badare nel rispetto politico, strategico ed economico, a fine di determinare quelle veramente utili all’universale ed al governo, onde cotesto nuovo modo di comunicazioni, prima che succeda per esso qualunque concessione coll'industria privata, sia solennemente fondato dall’oracolo legale della legislatura48.CAPITOLO IV.
Affidamento di futuro sussidio all’industria privata fatta
impotente a proseguir l’impresa; abbandono di questa al governo.
Oltre ai mezzi di concorso finora descritti, di un altro ancora s’ha esempio, ed appunto nella nostra Penisola, il qual mezzo adottato mostra in coloro che l’idearono una lodevole premura pel pubblico bene, ed un illuminata prudenza nel provvedervi.
£ noto, e narreremo più diffusamente nel seguito, che la società erettasi per la costruzione una via ferrata da Milano a Venezia, dopo le illusioni le più esagerate, abilmente promosse dagli speculatori d’ aggiotaggio, ad un tratto, per le gare malaugurate insorte, sfiduciata decadde a segno, che quell’impresa, quantunque nella sostanza così profittevole per tutto il Regno Lombardo Veneto, era minacciata d’imminente rovina.
Alcuni tra gli azionisti, estranei la Dio mercè alle impure speculazioni dell' aggiotaggio preallegato, mossi da vera carità di patria ed anche dal ben inteso ed onesto loro interesse, rappresentarono al governo la necessità di sussidiare quell’impresa; ed il governo medesimo con Sovrana risoluzione del 22 dicembre 1842, dopo di avere riconosciute non sufficienti le illustrazioni date sulla vera condizione della società, reputando non possibile alla medesima di conseguire lo scopo divisato senza i sussidi del governo, nell’interesse degli azionisti e del paese concedeva, non già la garanzia d'un interesse minimo, ma il solo affidamento, che qualora la società si dichiari, o resulti impotente a compire l’assunto, questo verrà dal governo mandato a termine a proprie spese; e sarà in tal caso ceduta la proprietà della strada al governo medesimo. Ancora; che quando, terminata la strada, la società suddetta, entro i due anni dell'incominciato esercizio, dichiarasse men conveniente ad essa di proseguir nel medesimo, il governo ne accoglierà la cessione. Finalmente, che lasciandosi incompiute alcune tratte della linea così interrotta, il governo le farà compiere, seguita l’accennata dichiarazione d’impotenza, per proprio conto; accordato intanto in ogni caso agli azionisti il rimborso integrale delle azioni loro, per la somma che risulterà versata effettivamente, con obbligazioni dello Stato fruttanti il 4 per %.
Cotesto sistema, che noi chiameremo austriaco per l'Italia (poiché pelle sue province ereditarie quel governo prese altro partito, del quale parleremo nel vegnente capitolo), cotesto spediente ebbe felicissimo effetto; perocchè rianimata la pubblica fiducia e risalite oltre al pari le azioni della società; ricominciati i lavori; spinti su’ varii punti con alacrità, vuolsi presumere certo e non lontano il compimento di quella bella ed utile opera49
Con siffatto spediente il governo di S. M. I. e R. Austriaca preferì d’ultimare egli stesso la strada, e riscattarne le azioni al 4 per % anziché accordare sussidi d’altra natura.
Un tale sistema, se si potesse attuare a caso vergine, meriterebbe forse sopra ogni altro la preferenza, nell’ipotesi, s’intende, che vi fossero motivi per non assumere direttamente l’impresa, e si riconoscesse la convenienza di lasciarla all’industria privata, con intenzione di sussidiarla occorrendo. Perocchè nella sostanza cotesto sistema chiama solo all’impresa coloro che vogliono realmente accingersi ad eseguirla, assicurandoli che in ogni peggiore evento saran cauti i capitali loro, ed i frutti d'essi avvenire.
Ancora; codesto sistema meno d'ogni altro promuove il giuoco di borsa; anzi è in certo modo un freno all'aggiotaggio, perché più assicura col promesso frutto dalle fluttuazioni del valore al corso.
Arroge, che nel caso di diffinitivo carico assunto dal governo, quando vengano usate le debite cautele di soprantendenza nell’esecuzione de’ lavori, il carico medesimo debbe in fin di conto resultare minore che negli altri casi, sia perché soccorre soltanto alla vera perdita, senza contribuire, all’utile dei soci oltre a quello legale, sia perchè colla cessione della strada, il governo ha il mezzo di meglio regolarne l’esercizio, fors’anche di renderlo più produttivo.
Ma codesti vantaggi si possono conseguire nel caso soltanto occorso della società Lombardo-Veneta; la quale società, ridotta all’accennata critica condizione, dovette reputarsi felice del beneficio reale fattole, atto a conciliare i suoi pericolanti interessi con quelli del paese.
A caso vergine però, specialmente nell’attuale febbre speculatrice, che dovunque prevale in materia di strade ferrate, dove il governo non sa prudentemente temperarla, è dubbio assai, che le società promosse e fondate da speculatori, i quali pretendono poter promettere agli azionisti loro larghissimi benefisi, vogliano, non che addimandare, accogliere una siffatta condizione.
Noi non ci fermeremo pertanto ulteriormente su questo discorso, cui abbiamo però dovuto attendere brevemente, onde esporre, esaminare e giudicare ognuno de’ praticati ordinamenti, acciò coloro che ancora avessero ad appigliarsi ad un partito, possano scegliere con piena conoscenza di causa quello che alla speciale condizione di luogo, fors’anche di tempo, può risultare più conveniente ed opportuno.
CAPITOLO V.
Sistema misto d’esecuzione diretta d’alcune linee maggiori o governative, e di concessione all’industria privata delle altre linee minori.
Ma un altro sistema venne ancora ideato ed attuato. Ed è quello di costruire a tutte spese del governo, e per sua opera e cura diretta, le grandi linee principali, che noi chiameremo governative, con abbandonare poi le altre minori alle imprese dell’industria privata.
Cotesto sistema, il quale potrebbe anche chiamarsi sistema misto, fu in alcuni Stati germanici adottato, e specialmente in massima dal governo austrìaco, con un decreto, così riepilogato da uno scrittore francese, il quale, a sicura informazione del proprio governo e dei suoi concittadini, fatto un accurato studio dell’ordinamento delle strade ferrate germaniche, pubblicò sur esse un libro assai commendevole50
«Considerando che le stesse ragioni par cui si concedono all’industria privata le linee minori di strade ferrate, non militano per prendere un eguale partito rispetto alle grandi linee di principale comunicazione:
Si decretano quelle vie, divise in istrade dello Stato, e particolari:
Sono strade dello Stato quelle che il governo già dichiarò tali, o dichiarerà per l’avvenire, e sono per ora:
Da Vienna a Dresda per Praga.
Da Vienna a Trieste.
Da Milano a Venezia (per la quale, come si è notato, vi è deroga speciale con altra regola).
Infine, quella diretta verso la Baviera.
I privilegi già conceduti (e molti ve ne sono) a compagnie particolari vengono mantenuti; ma dove queste non sono ordinate, ogni opera di costruzione sarà eseguita a tutte spese dello Stato.
In avvenire il tracciamento di ogni strada ferrata, anche particolare, sarà determinato in tutta la sua lunghezza dal governo istesso.
L’esercizio delle vie ferrate, anche dello Stato, sarà conceduto col mezzo di contratti temporanei ad appaltatori privati.
»È creata in Vienna una presidenza particolare, detta della Camera generale di Corte (Praesidium der allgemeinen Hofhammer) per regolare tutto quanto concerne alle strade ferrate».
Colesta presidenza ha sotto i suoi ordini un comitato speciale per quanto ragguarda alla parte tecnica, ed un altro incaricato di provvedere alla parte amministrativa.
Un solo ingegnere, l’italiano Francesconi, ebbe incumbenza di proporre e tracciare le linee, come di soprantendere in capo alle opere.
Un tale sistema, come sì vedrà nel seguente capitolo, molto somiglia a quello modificato poi nel Belgio, con questa sola differenza, che, venuto dopo ad alcune costruzioni già avviate o compite, esso mantiene le precedenti concessioni; mentre invece il governo nel Belgio prima operò per le linee maggiori tutto quanto era a fare; poi, quelle compite o quasi, fece le concessioni delle linee minori, con atto libero dell’amministrazione quando trattasi di strade le quali non eccedono in lunghezza i 10 kilometri; e con apposita legge quando si tratta di strade d’una maggiore estensione; il tutto come venne recentemente ordinato da una legge organica a tal fine promulgata.
Ancora; differisce un tal sistema in ciò che più ristringe le grandi linee, le quali nel Belgio abbracciano maggiori relazioni; ed in ciò che, fatte le prime costruzioni e compiuta la provvista del materiale che debbe servire all’esercizio, questo è poi conceduto all’industria privata, mediante affitto, colla corrispondenza d’un annuo canone da pagarsi all’erario.
Quanto al ritenere a mani del governo la costruzione e l’ordinamento delle grandi linee, come sarà detto più diffusamente nel venturo capitolo, noi non esitiamo a lodar lo spediente. Perocché con esso lasciasi il governo in maggiore libertà d’assicurare ai sudditi tutti quanti i vantaggi derivanti dalle vie ferrate, senza che possa sorgere l’ostacolo de’ diritti che i concessionari privati nel proprio interesse potessero per avventura invocare quando occorresse di fare qualche modificazione all’ordinamento di quelle vie.
E rispetto al lasciare all’industria privata l’assunto di costrurre ed esercitare le vie particolari o minori, che sarebbero ad essa concedute, si riconosce del pari conveniente ed utile siffatto spediente; perocché in tal guisa la pubblica amministrazione non resta sopracaricata di soverchi particolari. Ma quanto al dare in appalto l’esercizio delle linee maggiori all’industria privata col mezzo di concessioni temporanee, non possiamo in generale lodare questo provvedimento. Difatto, posto che il governo per la costruzione e per le provviste delle grandi linee è obbligato ad ordinare un’apposita amministrazione; non sappiamo veder motivo perchè non sarebbe anche a questa confidato l’esercizio delle linee medesime.
I pericoli ed i soprusi che l’avidità di guadagno per parte degli appaltatori privati e temporanei farebbe nascere, sembrano consigliare di non servirsi dei medesimi qnand’è possibile farne altrimenti; dovendosi invece credere che gli uffiziali del governo, più interessati a prendere tutte le occorrenti cautele di sicurezza, a non eccitare alcuna querela, a fare insomma appuntino il proprio dovere, meglio assai riuscirebbero nel divisato assunto che non gli speculatori privati.
L’esempio di quanto occorre nel Belgio ci sembra una prova irrecusabile della meritata preferenza di quel sistema a quello della speculazione privata.
D’altronde, per quanto si vogliano abbreviare le concessioni d’esercizio, queste dovrebbero sempre avere una certa determinata durata, nel corso della quale non si potrebbero fare variazioni alle tariffe de’ trasporti, quantunque sorgessero circostanze che rendessero quelle variazioni non solo utili, necessarie.
Cotesta circostanza della necessità di variare le tariffe è essenzialissima. Si supponga difatti la successiva costruzione d’una nuova via ferrata, o d’un altro mezzo qualunque di comunicazione, per cui sorga ad un tratto una concorrenza ad altra linea già antica; è chiaro che per conservare a questa i propri trasporti, v’ha il solo mezzo di ridurne il prezzo.
Ora, non sempre le società private sono abbastanza illuminate ed intraprendenti per risolversi ad una tale riduzione, o per farla in modo efficace, conveniente ed opportuno.
Il caso pratico recentemente succeduto dell’improvvisa riduzione e soppressione fatta dall’Olanda de’ suoi diritti di navigatone, onde conservare ai suoi porti il concorso del commercio germanico per la via del Reno, ci sembra un esempio assai concludente pel nostro assunto. Perocché quel provvedimento fu combattuto dalla concorrenza belgica, mercè d’una nuova riduzione delle sue tariffe per le vie ferrate, essendosi quelle ristrette pel trasporto delle merci al solo costo delle spese d’esercizio.
Una società privata si sarebbe risolta difficilmente a quella sì forte riduzione; il di cui effetto però fu utilissimo, dacché accrebbe singolarmente il transito del commercio della Germania per le vie suddette, le quali erano minacciate di perdere quel transito per effetto del provvedimento olandese.
Ancora; una società od una impresa privata avrebbero forse aspettato a risolversi, od avrebbero cominciato soltanto da una tenue riduzione forse insufficiente, ed intanto il commercio di transito sarebbe andato altrove, perché solo un governo può esporsi anche a qualche pericolo di cessante lucro diretto per conservare l'indiretto vantaggio dell’universale.
Se si eccettua codesta disposizione condannata dell'appalto dell’esercizio, disposizione facilissima d’altronde a correggersi, il sistema austriaco pare a noi ottimo, epperciò degno d’essere accolto in più d’uno Stato italiano; giacché la tenuità de' mezzi per molti fra essi non si crede un insuperabile ostacolo quando si tratti di linee di vera convenienza, e quando si avverte all'esempio dato al proposito da alcuni Stati minori germanici, i quali non esitarono ad assumere impegni gravissimi per avere strade ferrate giudicate utilissime.
Cotesti Stati minori hanno fatto è van facendo sforzi, che sono molto onorevoli per essi.
La Baviera, con un bilancio di 77,000,000, non ha esitato ad assumere un carico, il quale già ascendeva nel 1842 a 64,000,000.
La Sassonia con un bilancio di 17,000,000 assunse un carico ascendente a dett’epoca a 21,000,000 provvedendo inoltre la prima, ad altre opere grandiose, come il canale che congiunge il Reno al Danubio, il Wallhallah, con molti altri monumenti d’arti belle nella capitale, e riducendo tuttavia le sue tasse con accorte operazioni di finanza.
Il gran ducato di Bade, assunte a tutto suo carico le strade ferrate decretate, nel solo anno 1838 assegnava per incominciarle la somma di lire 8,619,18, e nei futuri esercizi quella mancante alla spesa totale, calcolata per esse a lire 99,023,218, alla quale con recente imprestito pattuito di 28 milioni di fiorini, pensa far fronte.
Il Wurtemberg ordinò pure varii progetti prossimi ad eseguirsi, ed alcuni già sono in corso d’esecuzione, molti a spese dello Stato, pochi altri per mezzo di società, per somme le quali montano insieme al valsente di lire 57,473,000.
Inoltre la Prussia, col favorire le varie società ordinatesi per le molte tratte già in esercizio, e per altre in costruzione, ha pure annunciato maggiori concorsi per quelle cui l’industria privata non basterebbe; nel decreto 23 febbraio 1843, il quale decreto assegna ogni anno 2 milioni di talleri, o scudi, cioè lire 7,900,000 per far fronte agli occorrenti sussidi.
Finalmente più recenti disposizioni informano che viepiù si estende la rete delle, strade ferrate germaniche; laonde fra non molto ogni più remota parte di quella contrada sarà alle altre congiunta mercè delle nuove comunicazioni.
La pubblica opinione all’udire l’estensione del carico che annunciava voler assumere il governo austriaco, da prima concepì qualche dubbio se sarebbe poi per ragioni finanziere realmente assunto. Ma veduti attuati i lavori su varii punti, essa si è convinta che un atto onorevole di coraggio amministrativo molto illuminato avea presieduto a quella determinazione; — che quel governo opportunamente procedeva nel non esitare ad impegnare l’avvenire per provvedere al bisogno più evidente dall’epoca che corre; — che per non restare addietro nel moto generale notato in Germania e nell’Europa tutta in somma, esso pure così concorre a questa parte essenziale d’un generale ben inteso progresso 51 In un libro pubblicato dal signor W: de Reden a Berlino, col titolo: Le strade ferrate germaniche (die Eisenbahnen Deutschlands) si vede un quadro statistico ed istorico dell’origine di quelle strade, delle loro relazioni colla potenza pubblica, dell'amministrazione ed esercizio delle medesime. È un volume in 8.°, 1843.— Il Journal des Économistes del marzo 1844, a facce 404 a 407, ne porge una breve analisi. Senza fermarci a parlarne maggiormente, basti il citare il riassunto numerico ivi accennato d’un quadro più compito ancora, dato dalla gazzetta universale di Prussia del 29 agosto 1843, della lunghezza e costo delle vie ferrate germaniche, le quali a quell’epoca erano in istato di pieno esercizio, or molto cresciute. Erano quelle strade in N.° di 23.
Percorrevano l’estensione di kilometri 1,578
Costavano tra tutte la spesa di lire 234,462,980
onde la spesa media per kilometro era di 128,582
Se a que' kilometri... 1,578 si
aggiungono kilometri... 214
della strada da Vienna ad Olmutz, che sta facendosi dal governo austriaco, senza che se ne conosca la spesa, vedesi che sono in tutto kilometri 1,792 già aperti a quell’epoca (agosto 1843) in Germania. La qual estensione or è notevolmente cresciuta, ancora, dacché in ogni punto di quella contrada son nuove linee in costruzione, lavorandosi anche la notte.
Stringendo in breve il sin qui detto, deriva: il sistema misto aver dunque prodotto finora quegli utilissimi risultamenti che possono e debbono raccomandarne limitazione nella nostra Penisola, dove come nella Germania, in cui nasceva, molti sono gli Stati di non grande estensione, aventi ordini all'incirca uguali, conformità di abitudini, di usi e di costumi, come di lingua. Potersi però ancora perfezionare quanto alle linee non concedute all’industria privata, e dal governo ritenute come proprie, assumendone il diretto esercizio per mezzo d’apposita azienda, anziché concederlo per via d’appalto a privati speculatori.
CAPITOLO VI.
Intervento diretto ed esclusivo del governo per mezzo d’apposita azienda nella costruzione e nell’esercizio delle strade ferrate, e per l’intera rete di esse.
Fra i mezzi con cui un governo può assicurare ai sudditi il beneficio grandissimo delle vie ferrate, resta a descriver quello che, a parer nostro, si presenta primo e più ovvio; di continuar per esse il sistema già praticato nel più degli Stati per le vie ordinarie; di costrurre, cioè, quelle come queste a tutta spesa e per cura del governo medesimo.
Quest’è il sistema in alcuni Stati praticato, come poco prima si è detto, per alcune tratte soltanto: il qual sistema nel regno del Belgio fu con mirabile ardire mandato in brevissimo tempo a termine per l’intera rete sancita delle strade ferrate di primo ordine di tutto lo Stato.
Nel seguito gli effetti del provvedimento furono così profittevoli, che la speculazione privata sollecitò concessioni di altre tratte minori da luogo a luogo, per cui sempre più compita rendessi la detta rete.
Accordate coteste concessioni recentemente ed in gran numero, il sistema belgico mutò condizione e divenne misto 52. Ma siccome per molti anni esso fu esempio dell’intervento diretto ed esclusivo del governo nella costruzione ed esrcizio delle vie ferrate; noi crediamo doverne ancora specialmente trattare in questa parte del nostro discorso.
"Codesto piccol regno (del Belgio)", dice con molta verità il già lodato sig. Chevalier, "non avea, quindici anni or sono, unità alcuna. Erano i Belgi una nazione senza nazionalità, formata di città ragguardevoli, le une alle altre vicine, sol note fra esse pelle antiche rivalità loro, e pei danni che in conseguenza di queste s'erano scambievolmente recati durante il medio evo.
"La molla potente del patriotismo mancava pertanto a quello Stato nascente, ed il nuovo suo governo mal poteasi radicare fra mezzo ad elementi sì poco omogenei.
"Alcuni uomini di Stato però di quella contrada non disperarono d’una sì critica condizione, e si proposero di conservare con qualche atto di vera nazionalità e nuovo la creazione del novello Stato, si in faccia de’ propri concittadini, che dell’Europa tutta.
Vollero pertanto che il suolo patrio fosse stampato d’un segno materiale, profondo, incancellabile, tutto operato dal governo che aveano istituito.
Molte gelosie di luogo a luogo erano il solo ostacolo che presentava l’assunto, ed essi intrapresero di vincerlo, creando un interesse collettivo, che tutti riunisse i Belgi.
L’uomo cui appartiene nel gabinetto belgio cotesta bella ed
utile idea, e che vuol essere nominato perchè la gloria d’essa tutta gli sia attribuita, è il signor Carlo Rogier 53. "Alloraquando la legge belgica sulle vie ferrate fu promulgata, alcuni statisti d’Europa ultraprudenti", dice ancora il Chevalier, "la trattarono di stravagante. Perocché quello Stato, costretto a quell’epoca ad aver sotto l’armi centomila soldati su quattro milioni d’abitanti, sembrava condotto anzi all’estremo della penuria e della impotenza. Ma i fatti seguiti smentirono gl’infausti vaticini, ed il signor Carlo Rogier co’ suoi compagni del ministero, ebbe una compiuta vittoria nel divisato assunto. In questo esso provò d’avere la coscienza della vera gloria de’ tempi che corrono, comprendendo i bisogni reali ed attuali delle popolazioni.
La rete belgica era pressoché terminata (nel 1843), e, grazie ai suoi ministri del 1834 ed ai successori loro, quello Stato, abbenchè piccolo e nuovo, ha preceduto nella grande opera tutte le altre potenti monarchie d’Europa. Esso debbe alla rete medesima la sua unità e la sua nazionalità. Per le vie ferrate la dinastia belgica acquistò una ragione materiale d’esistenza agli occhi di qualunque men veggente agricoltore delle Fiandre54.
"Perocché nelle mani dello Stato le vie ferrate si trasformarono in una istituzione veramente popolare.
Coi suoi effetti materiali", termina il Chevalier, "come pe’ suoi risultati morali e politici, quella rete di vie ferrate è il più evidente contrasegno che possa citarsi in prova dell’utilità de’ pubblici lavori fatti eseguire per conto diretto dello Stato55.
All’opposto il signor Dunoyer, nel già citato suo libro, mentre, esponendo con molta evidenza di ragionamento gli abusi della centralizzazione, comprendeva fra essi il provvedimento del governo belgico dell’esecuzione per mezzo d’apposita azienda della rete intera delle strade ferrate; lo disapprovava, osservando, che anche ammessi per veri gli ottimi risultati annunciati dell’utilità diretta dell’impresa, non ne avveniva la sua convenienza pell’universale, il quale è interessato ad occuparsi in tali assunti, particolarmente per viepiù accrescere il lavoro generale.— Quantunque molto inclinati ad approvare alcuni degli argomenti addotti dal signor Dunoyer contro l’abuso della centralizzazione, che reputiamo profittevolissima al governo come ai governanti, allora soltanto che si ristrìnge ad una larga tutela, è dannosissima, invece, se eccede i confini di questa coll’abuso suddetto. Dobbiamo dichiarare però, che il provvedimento del governo belgico specialmente, ed anche d’altri, non solo non ci pare un abuso della centralizzazione, ma ci sembra uno dei casi dell’utile impiego di essa. E parlando del Belgio, notiamo col signor Chevalier, come il provvedimento in discorso fu un atto che consolidò la nazionalità belgica; che nessuna compagnia industriale avrebbe potuto intraprenderlo con quello spirito d1 unità che ha collegate fra di loro diverse eterogenee parti di quel nuovo regno.— Arroge che il rendiconto ultimo de’ prodotti, oltre al provar fondate le speranze di utilità diretta conseguita per quell’impresa, dimostrando generale il vantaggio d’essa diffuso sui varii prodotti del commercio, come anche su quelli del fisco, cresciuti in ragione dell’aumentata produzione generale, venuta a seguito del cresciuto moto delle persone e degli affari, prova riuscito l’assunto. — Ed aggiungi ancora, che la tenuissima tariffa colà in corso non si sarebbe mai potuta ottenere da privati speculatori, e quindi che il popolo non avrebbe sentito il beneficio delle nuove vie56.
Tali argomenti potrebbero anche applicarsi, in circostanze consimili, ad altri Stati, e specialmente in quelli dove lo spirito di associazione non abbia tutto il conveniente sviluppo, nè il difetto d'educazione conceda d'ottenerlo; ed in quegli altri ancora ne' quali si tratti di meglio fondere insieme più province successivamente aggregate ad uno stesso dominio, e prima affatto disgiunte, fors’anche separate da nazionali antipatie, dei quali casi abbiamo nella nostra Penisola più d’un esempio.
Premesso questo giudicio dell’ordinamento belgico, e valutata la rispettiva sentenza degli indicati autori, esponiamo ora i fatti principali che lo fondarono.
Due distinte leggi del 1.° maggio 1834 e del 26 maggio pure 1837, stabilirono le basi di quella rete, la quale dal suo centro (la citta di Malines) diramasi verso il mare ai porti d’Anversa e di Ostenda,— giugne alla Germania pel confine verso di questa, che è presso a Verviers; — e si unisce colà alla via ferrata delle province Prusso-Renane, che vi arriva da Colonia e da Aquisgrana; — perviene all'altro confine verso la Francia con due linee da Brusselle per l'Hainaut (Mons); e da Gand a Lilla per Courtray, con diramazione ancora sopra Tournay; — finalmente va a Namur, al Limburgo ed al Lucemburgo, le tre province minori e più appartate del Regno.
Coteste diverse linee, le quali percorrono in più direzioni lo Stato intero, volgendosi ad ogni punto di confine che abbia qualche importanza di relazioni commerciali, crearono di nuova
strada nella 1.° legge | kilometri | 397,106 |
nella seconda legge | " | 151,976 |
In totale | kilometri | 549,082 |
Mentre assegnavasi qualche somma parziale della rendita ordinaria dello Stato alle prime opere, comprendendo com’essa rendita non potrebbe forse mai bastare per lungo tempo almeno all’ingente spesa derivante dall'assunta impresa; con altre apposite leggi, e con quelle successive d'ogni annuale bilancio, si aprirono al governo crediti sufficienti a far fronte alla spesa anzidetta, mercè di pubblici prestiti.
Nel breve giro di pochi anni quelle strade furono compiute; attalchè di presente quasi tutta la rete di esse trovasi in esercizio per conto ed opera del governo.
Il governo medesimo ha creato a tal fine un’apposita azienda, con ingegneri, contabili, meccanici ed agenti speciali in gran numero (oltre ai 2,000) e fa procedere quel servizio per ogni tratto con mirabile precisione e prontezza, e con tutte le cautele che possono assicurare da qualsiasi sinistro, e favorire l' aumento, il comodo e l’economia delle relazioni.
Una tariffa tenuissima, dopo alcune variazioni, definitivamente venne adottata. Essa è la meno costosa di tutte quelle in uso, e l’aumento notevolissimo delle riscossioni la prova molto bene intesa al fine ideato nel promulgarla.
Il già citato signor Daru (Des Chemins de fer et de l'application de là loi du juin 1842, etc., pag, 387), ha calcolato la proporzione o ragguaglio delle varie tariffe note tra loro, esprimendola coi seguenti numeri:
Strade | Posti | |||
Primi | Secondi | Terzi | ||
Inglesi | " | 20. | 10. | " |
Tedesche | " | 10. | 6. | 5. |
Francesi | " | 10. | 7.5. | 5.4. |
Belgiche | " | 7. | 5. | 3. |
Chevalier calcola sui prodotti del 184o il valsente di questa doppia economia, come segue, comprendendovi il risparmio corrispondente al servizio delle merci che allora appena cominciavasi ad ordinare.
Computando pe’ viandanti il risparmio de' 2/3 sulla spesa di trasporto, e de' 4/5 sul tempo, e valutando questo per ogni giornata media di lavoro d’ore 10 a lire 2,25: tenendosi inoltre conto pelle mercia dell’economia d’un terzo sul prezzo del trasporto, non fatto caso di quella di tempo, scorgesi che le vie ferrate del Belgio risparmiarono nel 1840 al pubblico circa undici milioni, cioè:
Economia in danaro sulle persone | lire | 8,093,900 |
" di tempo valutata | " | 2,190,400 |
" in danaro sulle merci | " | 644,000 |
Totale lire | 10,928,300 |
Il quale risparmio, paragonato al numero degli abitanti delle province attraversate dalle strade già eseguite nel 1840, corrispondeva alla economia media di lire 3.64 per ognuno. L’imposta totale essendo colà di 23.50 per testa, l’economia prodotta dall'istituzione delle vie ferrate equivale ad uno sgravio del 1/7 de’ tributi cumulati. (Vedi Chevalier, Cours d'économie politique, vol. 1, 2, 4° leçon, pag. 102-3).
Ora vediamo i resultati dell'assunta impresa.
La violenta separazione del Belgio dall’Olanda, dov’esso avea così grande spaccio de’ suoi prodotti, sì agricoli che manufatti, minacciava i Belgi d'una crise commerciale continua e fatale.
L'ardito concepimento dell’intrapresa costruzione d’una completa rete di strade ferrate ne li salvava; laonde ne derivarono i seguenti vantaggiosi effetti:
Transito commerciale dalla Germania e dalla Francia al mare del Nord, e da esso a quelle contrade, cresciuto a segno di far triplicare il tonnellaggio di que’ due scali marittimi, Anversa e Ostenda, dopo il 1830 ridotti a condizione molto decadente: Numero dei viandanti lungo le nuove vie fatto sei volte e più maggiore di quello solito a passar prima per que' luoghi:
Accrescimento quintuplo della velocità de’ viaggi, e diminuzione della metà ed anche de’ tre quarti delle spese di trasporto delle persone e delle merci pella via di terra57:
Ricavo d’un prodotto netto, il quale se di poco manca ancora ad agguagliare l’interesse legale delle somme spese, vi si avvicina tuttavia ogni giorno maggiormente:
Raddoppiamento quasi d'alcune delle imposte indirette, attribuito nella massima parte alla maggiore consumazione derivante dal cresciuto moto delle persone specialmente, e delle mèrci:
Accrescimento notevole del valore delle proprietà attraversate dalla strada:
Aumento, invece della temuta diminuzione, degli altri mezzi di trasporto, e de’ pedaggi riscossi sulle antiche vie e sui molti canali ond’è intersecato il Belgio, e specialmente le due Fiandre:
Sviluppo immenso di produzione in ogni ramo d’industria, per cui il prezzo de’ capitali, crescenti in ragione dalla maggiore cumulazione dei profitti, è divenuto minore d’assai:
Economia notevole nelle stesse spese di costruzione e d’esercizio, le quali, fatta anche ragione delle migliori condizioni dei luoghi risultano ancora minori, ragguagliate a quelle seguite altrove con altri metodi.
Se taluno di que' risultati potevasi ottener pure colà, come fu altrove conseguito col sistema di concessione all’industria privata sussidiata o no; non è dubbio però che il complesso loro, dovuto ad una energia ed efficacia di provvedimenti e di mezzi, difficilmente riuniti in un solo impulso, non si sarebbe egualmente ottenuto dapprima specialmente; e che la più libera azione governativa singolarmente facilitò la consecuzione di tutti que' vantaggi.
Perchè l’esecuzione delle vie ferrate belgiche procedesse con somma attività ed energia d’azione, l’ordinamento amministrativo di essa fu spogliato di qualsiasi complicazione derivante da ripetuti controlli. Cotesto fatto risulta dai già accennati rendiconti del 1840 e 1841. Ivi scorgesi che gli ingegneri Simons e de Ridder, oltre alla facoltà di dare essi medesimi gli appalti a trattativa privata, o con concorrenza e pubblicità, ma senz'altra approvazione, ebbero e praticarono l’arbitrio di far seguire lavori e provviste ad economia (a régie), come loro sembrò più conveniente, senz’altra cautela che di dame poi conto giustificato al ministro dei pubblici lavori, risponsale in faccia alle Camere d’ogni operato.
Cotesto sistema, notiamo però, è men pericoloso in paese d’intera pubblicità governativa, dove cioè il menomo abuso è in mille modi scoperto, fatto noto, fors'anche esagerato; esso non tralascerebbe quindi dall’avere tuttavia qualche inconveniente, ove fosse in così lato senso esteso, con altro ordinamento politico di minore pubblicità; ma anche in questo l’amministrazione deve e può esonerarsi dai ripetuti controlli, e fatta più semplice, ne deriverà ben maggiore attività ed energia, quindi una più grande efficacia.
Siffatti risultati debbonsi ancora presumere di molto maggiore effetto dopoché il governo belgico, vedendo per gli errori del sistema proibitivo, che sgraziatamente prevale ne’ Consigli del governo francese, chiusa in certo modo ai suoi prodotti la Francia: con atto di molto accorta politica si è accostato con favorevolissime convenzioni all'unione doganale di Germania (Zollverhein); per modo che, quantunque non ne faccia parte, ottenne però ai suoi prodotti ed al suo transito tali favori, che lo scapibio di quelli e l’aumento di questo debbono riuscir d’ora in poi ben maggiori, onde nascerà sicuramente un vieppiù crescente passaggio di persone e di merci sulle vie ferrate belgiche.
Se per gli altri sistemi d’intervento governativo, nella costruzione ed esercizio delle vie ferrate, noi abbiamo creduto di poterci ristringere ad accennarne brevemente le basi fondamentali soltanto, senza entrare nei particolari minuti in cui siamo entrati parlando del sistema belgico, abbiamo creduto però quest’ultimo partito conveniente all'assunto nostro. Questo, difatto, ha essenzialmente per iscopo di provare che, dovunque gravi ostacoli di penuria finanziera e di men solido credito pubblico non impediscono di adottare il sistema suddetto, convenga appigliarvisi di preferenza ad ogni altro; perchè, mentre assicuransi i resultati che vedemmo già conseguiti nel Belgio, mantiensi un paese, dove per buona ventura ancora non sia penetrato il mal seme dell’aggiotaggio, illeso dal medesimo; la qual cosa noi reputiamo somma ventura per uno Stato sì nel rispetto morale che in quello economico.
Chiudendo il discorso sul sistema belgico, ne resta a dire che fin ora non si ha esempio di esso nella nostra Penisola, se si eccettuano gli Stati sardi di terraferma; ne’ quali, se debbe giudicarsi dalle due regie lettere patenti del 18 di luglio 1844 e 13 febbraio 1845, vuolsi conchiuderne dover seguire fra non molto un deciso avviamento al sistema preallegato, almeno per le linee maggiori stabilite colla prima delle dette leggi. E ci confermiamo tanto più in questa opinione al vedere nella seconda d’esse leggi adottato il partito della minore complicazione del buon governo di tali imprese.
Vero è bensì, che per le linee minori, le quali si chiedesse da società private di poter fare per conto proprio, succedendone la concessione, si entrerebbe allora nel sistema misto, di cui nel precedente capitolo 5.°
A questo sistema misto e non a quello belgico finalmente, come si vedrà nel seguente Discorso al capitolo I.°, appartiene l’ordinamento avviato a Napoli, dove una linea maggiore, come quella da Napoli a Capua, viene eseguita per conto diretto del governo, mentre l’altra minore da Napoli a Castellamare e Nocera è conceduta all'industria privata 58.
CAPITOLO VII.
Riepilogo e conclusioni del Discorso secondo.
Riassunte le cose fin qui dette nel capo che precede, ne emerge il seguente riepilogo a guisa di conclusione. 59 I. L’utilità della costruzione di vie ferrate, le quali rendano più facili, più pronti e men costosi i trasporti delle persone e delle merci, venne, là dove furono codeste imprese mandate a buon termine, per tal modo riconosciuta evidente, cbe generale n’è derivato il consenso de’ governanti, come de' governati a riconoscere quelle strade d’una ormai ineluttabile necessità per il progresso delle relazioni commerciali fra i varii popoli.
II. Cotesto comune convincimento, specialmente presso i privati, radicavasi per tal modo, che la costruzione preallegata si reputava una speculazione promettitrice di larghi guadagni, comunque venisse intrapresa da una società cui si lasciasse, a compenso della derivante spesa, l’esercizio della strada medesima.
Alcuni esempi succeduti nell’America del Nord, nella gran Brettagna e nel Continente d’Europa, giustificarono codesta opinione, quando però un concorso di ottime circostanze rendeva tenue la spesa, massimo l’avviamento lungo le strade suddette: produssero invece opposto risultamento in condizioni diverse; onde nacquero illusioni, che furono causa di grave pregiudicio ad alcune società fallite per troppa fiducia in mal fondate speranze, soventi volte promosse dagli speculatori che attendono all’aggiotaggio; per cui si consumò la rovina dei creduli azionisti che investivano in quelle società i loro capitali.
III. Però, se alcune di quelle speculazioni fallirono, quanto all’utile privato di coloro che tentarono l'assunto, risultò chiaramente anche ai meno veggenti, che pell’aumento derivato da quelle imprese nel moto delle relazioni commerciali, singolarmente cresciute in importanza ed in buon successo, ne venne alla prosperità dell’universale un così grande beneficio, che ogni regola di buon governo economico consiglia al pubblico reggimento di promuovere con opportuni ed efficaci soccorsi le imprese medesime, quando per lo migliore partito ancora, esse non si assumono direttamente per conto, opera e cura dei governi medesimi.
IV. I sussidi, ossia l'intervento governativo in coteste imprese, vennero in più modi ordinati, e l'esarne di tali modi ba dimostrato:
1.° Che le sovvenzioni di capitali per parte dell'erario alle società sono men convenienti; perchè, oltre all’essere un grave carico per la finanza pubblica, cui non fruttano adequato compenso, incitano le società a soverchi dispendi, onde riescono più inefficaci al buon esito dell’assunto.
2.° Che i prestiti di capitali conceduti dai governi alle società medesime, con o senza interessi, hanno del pari l’inconveniente di riuscire meno adequati; — d’incitare egualmente a spese soverchie, pella fiducia d’altri prestiti ancora, o del condono di quelli; — di favorire con tale fiducia le speculazioni dell’aggiotaggio, e di condurre l’erario, anche suo malgrado perchè non torni fallito l’assunto, a gravissimi ulteriori impegni, non proporzionati alle sue facoltà ed allo sperato vantaggio dell’opera.
3.° Che l’acquisto delle azioni per parte del governo, fatto membro così delle società intraprenditrici, è fra tutti gli usati modi di sussidio il peggiore; perchè o costringe il governo medesimo a partecipare nella speculazione, con incaglio di quella libera azione che è così necessaria al buon successo delle imprese d’industria privata; o, lasciando questa del tutto indipendente a persone meno interessate al buon regime dell’impresa, ne conseguitano sprechi ed abusi, i quali possono ugualmente farla tornare fallita. — Arroge a questo pericolo, che la partecipazione così regolata può favorire l’aggiotaggio con evidente scapito della moralità, e perciò della dignità e buon credito d’esso govemo.
4.° Che quando considerazioni politiche, strategiche ed economiche non consigliano l’intervento diretto ed esclusivo del governo nell’assunto, come nel più de’ casi pare dover succedere; ― o quando le facoltà attuali ed il credito della finanza non concedono d’appigliarsi a siffatto partito; l’assicurazione d’un interesse minimo del danaro realmente speso dagli azionisti nelle assunte opere pare, serbate certe cautele atte a prevenire ogni sopruso, il partito più conveniente, perchè proficuo ad un tempo al governo, all’impresa ed al pubblico, adequato ed efficace, non che morale; dacché favorisce la speculazione senza farla cadere nelle illusioni e ne’ danni dell’aggiotaggio.
V. Il concorso diretto del governo nella sistemazione delle prime opere occorrenti sul suolo della strada, e la concessione di poi ristretta a minor tempo alle compagnie speculatrici, del compimento delle opere, della provvista del materiale atto alla locomozione e dell’esercizio privilegiato di questa, mediante il compenso del pedaggio ed il rimborso ad valorem, terminata Timpresa, è, fra tutti gli spedienti ideati, il men economico per l’erario, il più favorevole alle società, il più gravoso ai contribuenti; — e quindi pericoloso come dannoso specialmente in sommo grado per l’incitamento che ha dato all’aggiotaggio, con vero pubblico scandalo, là dove un tal sistema adottavasi.
VI. L’affidamento d'un futuro sussidio all’industria privata, fatta impotente a proseguir nell’impresa, col pericolo della totale sua rovina, e con grave, danno, non solo privato, ma pubblico, è un atto di governo prudente, paterno ed accorto, degno di molta lode verso que’ reggitori che l’usarono od ancora lo praticherebbero in avvenire; perchè nel promettere soltanto di subentrare all’impresa, rimborsandone gli azionisti con cedole fruttanti un adequato interesse, s’impedisce il fallimento dell’impresa medesima; se ne assicurano i vantaggi all’universale; si fa contribuire il pubblico erario in ragione soltanto dell’avverato bisogno e del provato reale dispendio; come s'impone, coll'assunto pagamento de’ frutti delle cedole e successivo riscatto di esse, un carico largamente compensato ai contribuenti, mercè de’ profitti che la produzione generale ritrae dall’opera assunta e mandata a buon termine.
VII. Il sistema misto d’alcune linee maggiori o governative direttamente assunte dalla pubblica azienda a maggiore cautela di ogni interesse politico, strategico ed economico che vi fosse annesso, colla concessione inoltre delle altre linee minori all'industria privata, senz’altro compenso fuori quello d’un limitato godimento dell’esercizio della strada ed esazione del prezzo de' trasporti, è uno spediente il quale vuolsi, nel più de’ casi, riconoscere riuscito profittevole a preferenza d’ogni altro sussidio governativo conceduto. Perocché, lanciando il governo libero di scegliere le direzioni reputate più convenienti; di tener le tariffe a prezzi molto esigui; di servirsi de’ mezzi di trasporto per ogni occorrenza propria, specialmente delle truppe, delle derrate regali privativamente vendute, e della posta delle lettere; mentre porge al moto generale delle persone e delle cose un impulso il quale frutta all’universale aumento della produzione ed ai privati più d’un guadagno, colle linee maggiori specialmente; per mezzo di quelle minori porge all’industria privata un campo d’oneste speculazioni, presunte facilmente profittevoli, senza che siano quelle speculazioni poi così estese da rendere meno veggenti difficile il poterle giudicare, lasciandole quindi meglio abbandonate agli speculatori di borsa.
VIII. L’ultimo modo d’esercitare l’intervento governativo, onde aver strade ferrate, per mezzo d’apposita azienda, la quale le faccia costruire dai propri ingegneri, ed esercitare da essi e dai contabili, meccanici ed altri agenti che occorrono all’uopo; e ciò per l’intera rete determinata in ragione delle considerazioni politiche, strategiche ed economiche consigliate dall’interesse universale, è, fra tutti, lo spediente che più sembra atto ad assicurare il gran beneficio delle strade medesime, senza l’incontro d’alcuno dei pericoli notati parlando degli altri modi praticati per l’intervento governativo in queste imprese. I resultati conseguiti là dove codesto sistema venne attuato in tutta la sua pienezza di regole, dimostrano troppo evidentemente l'utilità dell’assunto, perchè occorra di tenerne ulteriore discorso.
IX. Le precedute discorse considerazioni ed avvertenze sembrano pertanto consigliare ai governi italiani d’adottare, dovunque la condizione finanziera attuale ed il credito governativo lo concedono, il sistema, di cui al precedente N.° VIII, od almeno quello descrìtto all’anteriore N.° VII. E quando siffatti partiti, per circostanze particolari del paese o del governo, non possono prendersi (della qual cosa non può farsi giudice quegli che non è sui luoghi, e non trovasi iniziato ai segreti governativi); il pubblico interesse e la moralità del governo richiedono che venga piuttosto adottata l’assicurazione dell'interesse minimo, di cui all’articolo 4.° del N.° IV, tralasciati gli altri spedienti di cui allo stesso N.° IV, come a quello N.° V, impiegate le paterne provvidenze di cui al N.° VI, ove succeda, com'è probabile, il pericolo della rovina delle imprese, concedute senz'altro concorso, oltre a quello di qualche esenzione daziaria all'industria privata libera.
X. Spiegati i princìpi di massima che ci sembrano doversi professare nell’ordinamento delle vie ferrate, e giustificati i princìpi suddetti, occorrendo coll’autorità de' già seguìti esempi, e coll'indicazione degli effetti derivati, accingiamoci ora ad esporre come l'applicazione d’ogni sistema sia o no seguita in Italia, e con qual buono o cattivo successo; come possa esserlo ancora, e come, dall'osservare o no ne’ singoli casi i canoni della scienza fin qui predicati, possano derivare le felicissime conseguenze che desideriamo, od i danni gravissimi, che Dio tenga davvero sempre lontani da qualunque punto della nostra cara patria comune!
DISCORSO TERZO.
La nostra italiana penisola è posta in ottima condizione di luogo per l’ordinamento d’una ben intesa rete di strade ferrate ne’ punti principali della sua estensione.
Divisa longitudinalmente dall’Appennino; — circondata dalle Alpi e dal mare; — con un littorale estesissimo; — con lunghe valli che versano al Mediterraneo ed all’Adriatico le acque loro; — posta da una parte in faccia alla Grecia ed alle province slave, che sono a questa vicine; — dall’altra parte situata all’incontro delle rive dell’Africa e dell’Asia Minore, dove una novella civiltà esordisce; — costituita quasi antiguardo d’Europa a quell’Oriente, esso pure chiamato ad una nuova vita morale e materiale: l’Italia ha ne’ suoi porti marittimi altretanti scali atti a stazioni utilissime, a mercati grossi e depositi, non solo pe’ propri navigatori, così idonei alle fatiche di mare, ma per quelli eziandio delle nazioni or più date al traffico.
I passi dell’Alpi e dell’Appennino; — i grandi pianori della Lombardia e della terra-ferma veneta; — i colli facilmente superabili che da que’ monti a luogo a luogo diramansi; — le valli lunghissime per cui si giugne ad alcuno di quegli scali; — le valli minori che ad altri scali mettono, e dalle quali poscia con breve e facil passo si arriva alle successive convalli, d’onde si entra ne’ suddetti pianori: sono altretanti luoghi che la scienza e l’arte dell’ingegnere possono rendere di facilissimo transito, con appropriati mezzi di comunicazione.
Difatti codesti luoghi, opportunamente intersecati da vie ferrate, debbono portare dall’uno all’altro punto più lontano della Penisola, entro brevissimo termine merci e persone, e posson farlo con somma rapidità, mercè de’ nuovi veicoli ideati; onde nasce un immenso vantaggio delle relazioni di ogni specie che seguir possono tra’ varii popoli, e più particolarmente un grandissimo profitto di quelle commerciali.
E, valga il vero, quando alcune strade ferrate congiungano l’uno coll’altro scalo italiano, abbenchè posti sui due mari; — quando alcune diramazioni di quelle strade pongano le capitali de’ varii Stati della Penisola, dov’è copia maggiore di popolazione agglomerata, in pronto ed immediato contatto colle altre città più popolate di quegli Stati e de’ circonvicini, abbreviando, in certo modo, le distanze che le separano; — quando, col mezzo d’altre diramazioni delle dette vie, si possa più facilmente ed in minor tempo arrivare ai grandi laghi dell’alta Italia, per oltrepassarli ancora, e giugnere ai punti più vicini de’ passi imponenti e difficili di quelle giogaie alpine; — quando, per uno sforzo più ingegnoso ancora della scienza e dell’arte, con una via ferrata si potesse superare inoltre taluno di que’ gioghi; è chiaro, che gli scali maggiori d’Italia sarebbero così posti eziandio in più facile, breve e pronta relazione con quelli della Gran Brettagna, di Francia, Svizzera, Lamagna e delle province slave; — ch’essi arriveran, parimenti in tal guisa a meglio corrispondere cogli emporii maggiori del mare del Nord; — che potranno più facilmente far pervenire a quelle grandi arterie commerciali e naturali oltremontane, che sono il Rodano, la Loira, la Sonna e la Senna; la Schelda, la Mosa, il Reno ed il Danubio; l’Elba e la Vistola, tutte esse pure insieme congiunte da canali e da strade ferrate d’ogni maniera dovunque aperte in gran copia. — Ed è pur chiaro che quelle vie navigabili e ferrate ormai faranno, viepiù moltiplicandosi, dell’Europa intera una sola popolazione più omogenea per tendenze conformi, per interessi eguali, per reciproche convenienze facilissimamente conciliate; ondechè nascerà forse avverato un giorno quel voto d’alcuni buoni, fin qui tacciato di ridicola utopia, d’una vera e permanente universale concordia tra le nazioni.
Ancora; congiungere, mercè delle strade ferrate da aprirsi, i due mari Mediterraneo ed Adriatico su due punti, l’uno medio, l’altro estremo della Penisola; — risparmiare così ai naviganti che procedono dall’Atlantico il lungo giro dell’Italia intera al di là della Sicilia, od almeno quello dello stretto che separa la detta isola dall’ultima Calabria; — facilitare eziandio le corrispondenze coll’Oriente, la più remota India e la lontanissima Cina; mercè del più facile, più pronto e men costoso trasporto delle merci e delle persone che colà vanno o ne provengono, più agevolmente facendole pervenire alle altre vie consimili oltremonti pure aperte; — rendere in somma ogni distanza minore, abbreviando il tempo prima impiegato a superarla, e riducendo la spesa cui dianzi doveasi sopperire per que’ transiti: sembrano, come sono infatti, benefici immensi, i quali, una volta procurati a questa nostra bella e cara patria, debbono oltremodo accrescerne la prosperità.
Il congiungimento degli scali primari è, a nostro parere, uno de maggiori mezzi che possono condurre a quella prosperità.
Nè solo all’Italia premer debbe di conseguir tal fine, ma agli stessi altri popoli dati al traffico universale ne sembra che debba riuscir vantaggioso. Chè molto erroneo sarebbe, per nostro avviso, quel consiglio il quale, pel gretto timore di perdere qualche avventore dell’interno, o per una mal intesa rivalità di speculazioni consimili, volesse negare facilità e comodo a tali congiungimenti.
Genova a Venezia ed a Trieste congiunta; — Genova istessa e Livorno ad Ancona; — Napoli a Manfredonia, a Brindisi ed anche ad Otranto od a Taranto, non solo non si arrecherebbero danno alcuno, ma grandemente moltiplicherebbero gli scambi loro. Laonde ben presto succederebbe a que’ porti come a quelli di Anversa e di Ostenda nel Belgio, che il tonnellaggio delle navi colà giunte e ripartite, dopo avervi operato alcuno di quegli scambi, coll’accresciuta misura di stazzo dimostrerebbe anche ai meno veggenti un traffico grandemente aumentato.
Infatti questo solo prospera veramente là dove idee larghe e benefiche per l’universale presiedono al suo ordinamento; mentre in vece debbe riuscire stagnante e meschino là dove i gretti pensieri le invidiose emulazioni, le gelose rivalità per mala ventura giungono a prevalere.
Di questa lamentevole conseguenza la storia del commercio de' popoli in ogni età ci offre ripetuti esempi; e se taluno di essi pur riusciva a vincere il proprio rivale ed a procurarsi un aumento anche notevole di profitti per qualche tempo, traendo quello ad una innegabile decadenza, la durata de’ mal compri vantaggi non tralasciava dall'esser fra non molto seguita dalla comparsa di nuovi rivali sul mercato della concorrenza. Costoro, seguendo lo stesso sistema, riuscivano essi del pari a lor torno a conseguire uguale scopo, finché da altri nuovi rivali ancora essi pure erano soppiantati.
Se invece le somme spese per rovinarsi a vicenda nell'emula gara si fossero consegrate a facilitare le reciproche speculazioni negli scambi rispettivamente più naturali ed appropriati, certamente il comune vantaggio ne sarebbe derivato, senz’alcun danno altrui.
Egli è perciò che, scendendo ad uno de' molti casi pratici attuali che abbiamo sottocchio nella nostra Penisola, noi non possiamo dividere la municipale premura del d’altronde stimabile signor ingegnere toscano Castinelli, il quale in una sua lettera all’ottimo signor Vieusseux, così benemerito però d’ogni ben inteso progresso, affaticasi ad intessere argomenti, onde impegnare i Toscani ad intraprendere la costruzione d’una strada ferrata da Livorno a Parma per Pisa, Lucca, Massa, Sarzana e Pontremoli, onde togliere a Genova (che chiama la superba, quasiché non avesse per le passate sue vicende e pei suoi monumenti diritto a quel titolo) a pro di Livorno qualche avventore60.
La pregiudicata opinione di lui non gli concede appunto d’avvertire ai gravi ostacoli di quell’impresa; al nessun adequato sperabile compenso di essa; allo spreco che perciò ne deriverebbe d’ingenti capitali cui altro impiego tornerebbe per certo ben più proficuo allo stesso scalo, che pur vorrebbe beneficare; le quali asserzioni pigliam fin d’ora l’assunto di giustificare nei vegnenti capitoli 4.° e 6.° Mal avventurate gare municipali, notisi ancora, le quali, sempre vive da tempo remotissimo nella nostra Italia, accelerarono pur troppo la nostra rovina, e ci fecero in ultimo resultato servi altrui, in que’ frangenti appunto ne’ quali una costante tendenza ad opinioni concordi ci avrebbe invece condotti a quella condizione di ricchezza e di potenza cui la nostra posizione felice, e la gran copia delle nostre facoltà intellettuali e materiali pur sembravano averci chiamati! Laonde par lecito affermare, che se abbiamo due volte perduto l’incontrastabile primato civile e morale, onde fummo padroni, e che ora inutilmente cercheremmo di ricuperare (dovendoci piuttosto restringere a dividerlo almeno colle altre nazioni, cui non può negarsi sia di presente attribuito), ciò si debbe unicamente ripetere dalle nostre discordie! — E se nella presente tendenza commerciale a riprendere le antiche vie del gran traffico, dove abbiamo, la Dio mercè, luogo così opportuno, noi ci ostiniamo ancora in questa, che chiameremo con istraniera espressione già usata, emulazione di campanili; ogni pur fondata speranza di notevoli profitti può considerarsi perduta affatto, e rimarremo pur troppo infingardi e poveri spettatori dell’intelligente ed operosa solerzia de’ trafficanti esteri, i quali c’involeran facilmente i molti vantaggi cui però più di tutti pur potremmo aspirare.
Queste sono le idee fondamentali che ne piace esporre fino dal primo esordio di questo discorso, nella parte d’esso in cui si tratta d’applicare i canoni principali stabiliti nel precedente, poiché ora siamo giunti al segno di trattare l’argomento delle strade ferrate italiane in modo più pratico ed esplicito.
Se coloro cui accadrà di leggere questo nostro povero discorso intendessero adunque di trovarvi per avventura insegnamenti atti a mostrare come per le nuove vie ferrate, che il voto dell’universale così giustamente desidera aperte, possa l’uno all’altro scalo italiano far concorrenza, al fine di nuocersi nel rispettivo traffico; ne dismettano, di grazia, pure il pensiero, e tralascino dal dare attenzione a queste pagine altrimenti che col lodevole divisamente d’acquistare un convincimento opposto, il quale sarà, la Dio mercè, più conforme alle idee di vera patria carità. — Perocché alla compiuta fusione di tutti noi, che figli pur siamo di madre comune, non alla maggiore separazione d’emoli e discordi fratelli tendono e tenderan sempre gli sforzi delle povere nostre facoltà; ai quali sforzi perciò preghiamo dal cielo quel buon successo che solo può compensare la nostra fatica.
Per meglio procedere in essa, continuamente sorretti da cotest’idea d’una compiuta fusione d’interessi e di speculazioni comuni; la quale fusione può operarsi, lo ripetiamo, intera, senza menomamente ledere all’indipendenza de’ singoli Stati italiani, come non nocque la fusione germanica alla libera azione dei governi di quella contrada: noi prenderemo per primo punto di partenza delle nuove strade in discorso gli scali maggiori di Napoli, Venezia, Trieste, Livorno, Genova ed Ancona. Perocché quanto agli altri scali minori non crediamo il presente nostro assunto richieda di fame altrimenti menzione che di volo, e quando sol possa essane il caso a maggiore illustrazione del nostro discorso.
Cotesti scali minori, sebbene essi pure di qualche importanza, rispetto al traffico interno specialmente, sono: Otranto, Barletta, Brindisi e Manfredonia sull’Adriatico; Taranto sul Jonio; Cività Vecchia, Savona e Nizza sul Mediterraneo.
Noi perciò toccheremo d’essi più brevemente, a scanso di soverchi particolari, i quali ci distraessero dal più essenziale obbietto per cui scriviamo, quello di contribuire colle sebben deboli nostre forze al generoso quanto proficuo proposito di far si che la comune patria nella presente rivoluzione che si prepara al corso de’ commerci, riprenda quella condizione che la sua situazione e le sue facoltà debbono assicurarle.
Premettesi ancora, che allo stesso fine di tendere al più essenziale obbietto preallegato, senza entrare nella specie e nella natura de’ varii traffici d’ogni scalo, e nella somma de’ capitali, che vi sono o possono chiamarvisi quando ne resulti il più utile impiego loro, parleremo principalmente del più o meno facile accesso marittimo; delle stazioni cui servono, e delle strade che ivi metton capo, sì al1’intemo, che all’estero commercio destinate. Cosi basterà all’assunto nostro poter discernere qual beneficio debba realmente derivare dalle nuove vie ferrate, e nel cercare di conseguire col migliore ordinamento di esse il beneficio medesimo, riusciremo a tenerci lontani da ogni illusione dove altri inciamparono, unicamente mirando alla realtà ed utilità vera delle imprese.
L’ordine del nostro esame sarà dunque:
1.° Le strade ferrate napoletane.
2.° Quelle del regno Lombardo-Veneto.
3.° Le triestine.
4.° Quelle toscane e lucchesi61.
5.° Quelle degli Stati sardi di terra-ferma.
б.° Quelle degli Stati parmensi.
7.° Quelle degli Stati estensi.
8.° Quelle finalmente degli Stati pontifici.
Cominciamo ora siffatto esame62.
CAPITOLO I.
Strade ferrate già attuate o solo ancora divisate nel regno di Napoli.
Il porto di Napoli, capitale di un Regno in cui sono meglio di sei milioni d’abitanti, la Sicilia esclusa, avrebbe certamente in quel numero di consumatori una gran sorgente di traffico, se potesse pretendere a provvederli tutti ed a servire di mercato pello scambio delle produzioni loro con quelle estere; se non che il punto estremo quasi d’una parte del Regno in cui giace; e la facilità che alcuni altri porti di quello offrono maggiore d’assai: rendono tale scambio men conveniente a Napoli, e non concedono di pensare che una via ferrata qualunque, per entro il Regno longitudinalmente tracciata, oltre alle più vicine province, potesse notevolmente accrescere il mercato partenopeo63.
Questo, difatti, quando serva allo scambio de’ prodotti necessari agli abitanti di quella Dominante, e d’alcuna delle ricche province che l’avvicinano, con i prodotti di esse; — quando serva pure di secura stazione alle navi cui occorresse di colà fermarsi; e quando si consideri qual grato e mirabile ospizio che offrono un bel cielo, una popolazione d’ingegno svegliato, le curiosità naturali, ed i monumenti dell’arti belle che vi si trovano: avrà, a senso nostro, adempiuto a tutto quello scopo cui può naturalmente pretendere.
Cotesto scopo però, affrettiamoci a dichiararlo, non cessa di essere importantissimo in una popolazione così numerosa, nell’immensa incessante frequenza degli arrivi e delle partenze dei viandanti che le maraviglie della natura e dell’arte ivi traggono; e perchè trovasi in situazione molto propizia, onde condurre nell’interno della Penisola pelle vie che da Napoli vengono a Roma.
Molto opportuna fu quindi l’idea che suggerì la costruzione d’una strada ferrata tra Napoli e Capua; la quale, prolungata insino a Roma ed oltre, sarebbe l’elemento d’una delle principali arterie della Penisola, e mentre servirebbe ai tanti avventori che convengono alle due Dominanti, gioverebbe altresì alle esportazioni ed importazioni de’ due Stati64.
La strada da Napoli a Caserta ed a Capua, costrutta ed esercitata per conto diretto del governo napoletano, è quasi interamente terminata ed in esercizio, e ben tosto arriverà alla città di Capua; d’onde sembra che sarebbe nell’interesse della difesa militare del Regno utile protenderla ancora fino all’antemurale d’esso da quella parte che è Gaeta.
La vicinanza poi di quel punto al confine pontificio sarebbe occasione d’un ulteriore protendimento, il quale vi giugnesse; perchè cessando, come non può mancare di succedere, certe prevenzioni ch’or diconsi esistenti a Roma contro quel maraviglioso mezzo di comunicazione, sorgerà un dì certamente anche l’occasione della continuazione della via in discorso nella direzione di quella capitale del mondo Cristiano.
Malgrado questa evidente utilità, non resulta che il governo napoletano sinora abbia in alcun modo statuito, con provvedimenti amministrativi, nè tampoco legislativi, anche preliminari, intorno alla continuazione da Capua verso Gaeta; molto meno verso il confine pontificio della strada in discorso, se si eccettua l’elezione di una commissione incaricata di qualche lavoro relativo, di cui parleremo nel seguito.
Neppure consta d’alcun provvedimento concernente alla determinazione in altri Stati presa di fissare una rete di strade ferrate, e di prescrivere come quelle si debbano governare in avvenire.
La strada detta Regia sembra essere stata ideata dapprima, non nell’interesse dell’universale e del commercio, sibbene qual più facile comunicazione tra Napoli e la Real Villa di Caserta, la quale offre una stanza deliziosissima e sopramodo gradita al re ed alla regina.
Nel seguito, comprendendosi come per savie vedute militari potesse convenirne il prolungamento sino a Capua, quello ordinavasi; e le stesse considerazioni consigliandolo ancora, come fu detto, sino a Gaeta, v’ha luogo a credere che si continui pure almeno sino a quel punto, d’onde poco resterà a fare per giugnere poi al preallegato confine pontificio, ove cotesta direzione sia preferita.
Il progetto della strada Regia venne compilato dal cavaliere Clemente Fonseca. Non fu sottoposto al preavviso del Reale Consiglio degl’ingegneri di ponti e strade, il quale a Napoli, come in altri Stati, dee per legge sopravedere a tutti i pubblici lavori; e neppure venne subordinato alle formalità amministrative concernenti alla spesa; perocchè fu cominciata e proseguita l’esecuzione delle opere, come per lavoro relativo alla Reale Villeggiatura, e nulla più.
S. M. il re personalmente soprantendeva all’impresa, commessa al detto cavaliere Fonseca, il quale alla M. S. unicamente dava ragione del suo operato.
Onde nasce che la spesa dell’opera suddetta non si conosce, perchè non ebbe a figurare tra le spese generali dello Stato, sebbene sopperita dal pubblico erario.
L’opera riuscì però, al dire degli intendenti, di grande solidità, e molto onora il paese.
Solo sarebbesi desiderato nell’andamento o direzione di essa scansati alcuni errori, i quali troppo sono evidenti per non essere notati.
Difatti, osservano, essersi la via condotta ed incominciata per punti dove non sarebbe stato mestieri di condurla, onde ne vennero ostacoli, i quali debbono aver fatto crescere notevolmente il dispendio per superarli; locché non sarebbe forse succeduto se più accurati studi geodetici avessero preceduto la compilazione del progetto, e non si avessero dovuto correggere durante l’esecuzione de’ lavori quegli errori, che i detti studi avrebbero somministrato il mezzo di prevedere e quindi di scansare.
La necessità di rimediare ad alcuni dei detti errori, e il desiderio di toccar varii punti distanti dalla direzione più naturale e più breve, condussero ad un altro inconveniente da notarsi pare, quello del soverchio prolungamento della strada.
Difatto da Napoli a Caserta ci ha miglia 13 per la strada consolare, e per la strada ferrata se ne hanno a percorrere 18. Da Napoli a Capua per altra strada diretta, anche consolare, ci ha miglia 16; e per la strada ferrata invece ce ne ha 24.
Da quella soverchia lunghezza della strada ferrata Regia deriva l’inconveniente, che i mezzi di trasporto delle vie ordinarie fanno una gran concorrenza alla detta strada ferrata; tanto più che, oltre al piccol prezzo con cui si trasportano viandanti e merci sulle dette strade consolari, sopra di queste camminasi con celerità quasi uguale, in ragione di tempo, grazie al velocissimo corso cui sono avvezzi i magri e piccoli, ma agili e snelli cavalli del Regno.
Accadde perciò, che la tariffa de’ trasporti de’ viaggiatori sulla strada ferrata Regia Capuana (poiché ancora non vi si fa trasporto di mercanzie) debba essere molto mite; e tuttochè sì mite, spesse volte la gente preferisce di condursi sulle vie consolari, mentre l’opera della strada ferrata non trae profitto quanto sarebbe necessario, non che a porger guadagno netto, ma a rifarsi, delle spese di esercizio: le quali perciò non si possono per questa strada presumere, come pel più delle altre, ascendenti alla sola metà circa del prodotto lordo del prezzo de’ trasporti.
La strada Regia venne incominciata nel 1840. Nel dicembre del 1843 fa aperta al pubblico, con un solo corso di ruotaie da Napoli per le stazioni intermedie di Casal Nuovo, Accerra, Cancello e Maddaloni a Caserta, nella lunghezza di miglia 18. In giugno 1844 venne aperto altro tratto di sei miglia da Caserta per la stazione intermedia di Santa Maria a Capua.
Sebbene per ora costrutta ad un solo binario di ruotaie, l’apertura del suolo è disposta in modo a potere stabilire il doppio corso di esse.
Non essendo fatto di pubblica ragione il prodotto della via, ignorasi il numero de’ viandanti trasportati lungo di essa in un dato tempo, come suolsi d’ordinario per le altre strade registrare 65.
Ogni opera venne eseguita e diretta da’ militari, ai quali pure resta affidato in parte il governo della sua manutenzione ed esercizio, controllato, quanto agli introiti, da un uffiziale dell’amministrazione delle contribuzioni indirette.
Sono promulgati certi regolamenti pel servizio attribuito agli agenti minori; i quali regolamenti però non si considerano che come provvisionali ed a mo’ d’esperimento, nè vennero finora preventivamente discussi ne’ Consigli governativi.
I viaggi quotidiani sogliono essere quattro o cinque di andata ed altretanti di ritorno. Ma per esservi frequenti le gite della real corte, ed un solo il corso delle ruotaie, sovente è variata l’ora de’ viaggi aperti al pubblico, sicché meno esatta riesce l’ora delle partenze e degli arrivi.
Vuolsi che quando sia stabilito il doppio corso delle ruotaie e venga la strada interamente prolungata e terminata, sarà la medesima definitivamente assegnata a pubblico servigio; e fatto caso degli sperimenti lungo di essa fatti, si promulgheranno, riducendola a regia azienda, ordini definitivi per la medesima, come infatti pare utile ed opportuno.
Cotesta condizione di cose fin qui narrata, se impedisce di conoscere maggiori particolari, in altre strade noti; porge però argomento a credere, che il costo dell’opera superò quello cui potea altrimenti ascendere, e che il prodotto dell’esercizio è ben lontano dal riuscire adequato alla spesa.
Nè può credersi, che tale prodotto possa mai ascendere ad un frutto adequato; perocché la soverchia estensione già notata della via, e la circostanza del percorrere la medesima luoghi popolati bensì, ma non popolatissimi, di gente d’altronde esclusivamente data all’industria agraria, quando non venisse prolungata in regioni più popolate di gente data al traffico, non è a sperare che aumenti gran fatto il numero de’ viaggiatori sur essa strada condotti.
Il materiale della strada regia consiste in sei macchine locomotive inglesi di Stephenson e di Longridge, oltre ad una americana del Norris. Ha carrozze solidamente costrutte negli arsenali militari. Coloro che vi ebbero stanza non le trovano però di sufficiente ampiezza. Sono di tre classi o specie, in ragione de’ prezzi de’ posti. Due sono coperte, la terza, con scanni, a cielo scoperto.
Le macchine e vetture sono, all’uopo, ristaurate al grande opificio meccanico-pirotecnico, detto, di Pietra-Arsa, dalla contrada ove trovasi, appartenente al Genio militare; onde nasce che, quand’anche volesse sapersi al giusto la spesa della costruzione di parte del detto materiale e manutenzione dell’esercizio, sarebbe difficilissimo, atteso il concorso dell’opera e de’ materiali, cui da altre amministrazioni si sopperisce, non tenendosi conto speciale e separato di tal concorso.
Non è possibile pertanto istituire alcun calcolo comparativo della spesa di questa strada con altre; bastando il dire che l’esercizio diretto, così com’è governato, sarebbe, essendolo altrimenti, suscettivo forse di più adeguata rendita, che non debbe esserlo di presente, regolato com’è in modo affatto temporaneo.
Dalla stazione di Cancello ora si apre la traccia d’un’altra liaea costrutta nell’interesse militare, per condurre a Nola, stanza principele dell’esercito napoletano ch’ivi tiensi raccolto. L’opera è cominciata collo stesso sistema. Non può contendersi l'utilità politica e strategica di cotesta linea, mercè della quale, avendosi materiale sufficiente, in tempo brevissimo può condursi alla capitale un numero ragguardevole di regia truppa.
Quantunque fin ora i resultati della strada io discorso non possano chiamarsi gran fatto soddisfacenti, per quanto concerne al servizio dell’universale ed alla somma de’ prodotti; e quantunque in alcune parti dell’amministrazione del Regno siasi notata scarsa tendenza a favorire cotali imprese: l’evidenza però dell’utilità di esse gradatamente sembra migliorare nell’opinione de’ governanti, come de’ governati. E la strada regia sarà, comunque ordinata in origine, un utilissimo benefico addentellato, pel progresso del Regno in questa materia. E vuolsi ad onore e riconoscenza verso la maestà del re notare: come l’opinione della M. S. preceda ogni altra al proposito, essendo noto che, malgrado qualche opposizione d’idee men progressive in alcuni de’ suoi consiglieri, quel principe illuminato recentemente istituì una commissione d’ingegneri, posta sotto gli ordini diretti della M. S., affidandole l’incarico «di riconoscere l’andamento più facile da darsi a un prolungamento della regia strada ferrata di Capua, sia per Ceprano verso il confine romano e gli Abruzzi, sia per la Puglia e Molise».
Sebbene fin qui non sia nota alcuna determinazione od idea relativa, cotesta regola dell’assegnato mandato sembrerebbe escludere il divisamento d’una proluùgazione verso il confine romano nell’indicata direzione di Gaeta e Paludi Pontine; e preferito in vece l’altro, quantunque forse men facile e più costoso, ma più utile però nel rispetto dell’accesso che porgerebbe a contrade più salubri e più popolate, e ad una provincia tra le più ragguardevoli del Regno.
Dall’altra parte poi là direzione verso la Puglia e Molise avrebbe ugualmente lo stesso oggetto: attalchè può dirsi che quella determinazione sovrana indica il largo e liberale pensiero d’estendere il sistema di vie ferrate a tutti que’ punti del Regno dove potrà resultarne profittevole l’applicazione. Per la qual cosa, siccome il governo napoletano può fondatamente vantarsi di aver pel primo in Italia accordata la concessione di costrur vie ferrate, come si dirà di quella di cui stiamo per pariare; così noi nutriamo fiducia che continuerà l’assunto coll’illuminato discernimento che lo distingue, a singolar beneficio de’ popoli commessi alle cure di lui.
Se non che stimiamo ci sia lecito osservare, come sarebbe per ogni verso conveniente, che, studiata prima ed imparzialmente discussa la rispettiva condizione economica delle varie province, e determinati i diversi bisogni di esse, si stabilisse, fatto caso delle attuali e future possibili relazioni delle dette province, una ben intesa rete di quelle nuove strade, da farsi successivamente in ragione dei mezzi de’ quali è dato disporre, sì del governo, che dell’industria privata compensata da onesto lucro in ragione del beneficio ch’essa procura.
La cosa così ordinata in modo normale e ben ponderato, oltre al riuscir men costosa forse che altrimenti fatta, avrebbe molte altre cautele di più certo buon esito, che ognuno di leggeri comprende, senza che occorra perciò entrare in ulteriore discorso. Epperò, tacendo della strada Regia e dell’estensione da darsi alle sue diramazioni, ne occorre trattare di quella che l’ha preceduta, e di cui abbiamo aspettato a parlare dopo di essa, perchè possiamo tenerne ragionamento con maggiore estensione di dati statistici raccolti, esponendone gli ottimi resultamenti: i quali, mercè della savia protezione conceduta da S. M. il re Ferdinando delle due Sicilie, potranno un giorno forse accrescersi ancora con beneficio ragguardevole del Regno.
Se la strada tra Napoli e Capua, prolungata a Gaeta ed a Roma, può tornare utilissima ai due Stati, al traffico di tutta Italia, e specialmente del Regno: debb’essere molto profittevole quella già in parte costrutta ed esercitata da Napoli a Nocera ed a Castellamare, conceduta alla compagnia francese Bayard. Cotesta strada, estesa sino a Nocera de’ Pagani, debb’esserlo ancora sino a Manfredonia o ad altro porto ravvisato più conveniente ancora sull’Adriatico, così congiunto al Mediterraneo.
Ecco la storia de’ fatti che la riguardano desunta da sicura fonte: «Ne’ primi giorni dell’anno 1836 un ingegnere francese, signor Armando Bayard de la Vingtrie, venuto in Napoli con progetto di costruire una strada con ruotaie di ferro, dimandò ampia concessione di aprirla tra Napoli e Nocera, a patto ch’egli, insieme ad una sua compagnia, farebbe l’opera a proprie spese e rischi, e la dirigerebbe a suo talento. In frutto delle sue fatiche e del danaro da spendere chiedeva poi gli si lasciasse per anni novantanove l’usufrutto della strada; la quale da quel tempo innanzi diverrebbe proprietà dello Stato. Molti patti di rilievo minore si pretendevano dal Bayard, che qui non accade di riferire.
Gradiva il re che l’opportunità si presentasse di recare ne’ suoi domìni una nuova maniera di comunicazioni interne, senza che s’arrischiasse, in dubbiezza dell’evento, il denaro dello Stato: commetteva però al ministro degli affari interi, cavalier don Nicola Santangelo, trattasse dell’affare. Questi non mettendo tempo in mezzo, e presto ponderate le cose, ragguagliava il re: essere quella la prima volta in Napoli che il governo darebbe privilegio o concessione ad una privata persona o compagnia di far lavori pubblici a spese, rischi e benefici di lei medesima; dichiarava ad esempio d’altri potenti e civili Stati aversi a preferire talvolta che una grand’opera di pubblica utilità s’imprendesse per mezzo di simiglianti concessioni, quando, o quella fosse d’insecura riuscita, o non vi si potesse tostamente spendere gran somma di denaro del pubblico erario; stimava dunque si accettasse la domanda del Bayard, e si negoziasse con lui amichevolmente de’ patti, dappoichè per la novità della cosa era miglior prudenza escludere le gare all’asta pubblica. Quindi il ministro a parte a parte discuteva innanzi al re quanti più minuti patti e condizioni fossero da accordare, negare o richiedere pella convenienza e sicurtà dell’impresa.
Accolse il re di grato animo le gravi e giuste osservazioni secondo le quali, senza più dimandare altrui consiglio, volle poi con un suo decreto del 19 giugno dell’anno 1836 dare al Bayard la chiesta facoltà di far la strada, ma con limitazioni assai più strette di quelle che il Francese avrebbe voluto: indi con altro posterior decreto de’ 3 di febbraio dell’anno 1838, in parte allargò ed in parte anco ristrinse i termini della prima concessione in seguito di rimostranzee fattegli dal ministro degli affari interni, e col consentimento ancora del Bayard, secondo che l’esperienza avea consigliato per lo miglior bene e fine dell’opera.
Adunque la somma principale delle cose concesse fu: permettersi ad Armando Bayard de la Vingtrie, che a sue spese e rischi facesse una strada ferrata dalla parte orientale di questa città (Napoli) fino a Nocera in provincia di Principato Citeriore, passando pe’ comuni di San Giovanni, a Teduccio, Portici, Resina, Torre del Greco e Torre dell’Annunziata, dal qual comune avrebbe dilungato un altro ramo di essa strada per giungere sino alla città di Castellamare. Il cammino ferrato venne statuito non occuperebbe mai parte delle antiche vie comuni; e dove si incrocicchiasse con queste, prowederebbesi pe’ passaggi delle ruotaie di ferro o a livello, o di sotto o di sopra delle strade istesse, di maniera da non disturbarne il commercio pubblico. Obbligavasi il Bayard di condurre la nuova via accosto alla città di Pompei, ma non la traverserebbe, rispettando il terreno dove s’ammirano disseppellite, o dove giacciono tuttavia sepolte le sue ruine, venerande reliquie dell’antichità. Per non impedire che il fiume Sarno potesse mai restituirsi navigabile, siccom’era in tempi remoti, getterebbe sopra di esso o un ponte girante, ovvero un ponte fabbricato con alto arco.
Questi lavori tutti tra sei anni dover essere compiti. In sicurtà di che il ministro degli affari interni torrebbe al Bayard la somma di ducati centomila, prima di permettergli di porre mano all’opera; e terrebbela in suo potere come deposito, per confiscarla ove mai dentro il tempo stabilito e sotto le sancite condizioni non s’adempissero le promesse da lui fatte. Davasi eziandio al Bayard facoltà di poter diramare la detta strada fino a Salerno e ad Avellino; a patto che desse mano ai lavori almeno in tutto un anno dopo i sei, ne’ quali dovea compir la via sino a Nocera ed a Castellamare.
Due altri ampi privilegi davansi poi in suo favore: il primo che, dichiarata opera d’utilità pubblica la nuova strada ferrata, que’ terreni o edifizi che il Bayard scontrasse sul cammino, e gli fosse forza occuparli, acquisterebbe col sussidio di que’ procedimenti sicuri ed abbreviati, che le nostre leggi (del regno di Napoli) consentono per affrettare l’eseguimento de’ lavori pubblici; intantochè, a garantire pienissimamente ogni proprietà de’ cittadini, statuivasi per precetto solenne, che dal Bayard si pagasse prima di fatto in danaro (tacendone deposito legale nella cassa di provincia per soddisfarne poi il reale creditore) il compensamento de’ danni che recherebbe alle altrui possessioni; indi si permetterebbe a lui di porre i ferri in terra. L’altro privilegio fu: potere il Bayard trarre dallo straniero il ferro, i materiali, gli strumenti, le macchine ed i carri, e tutte le altre cose necessarie a costruire la strada di ferro e a mantenervi quindi il commercio, senza che il tesoro pubblico riscuotesse dazio alcuno alla loro entrata nel Regno.
"Riserbava a sè il re, in vista de’ disegni che gli sarebbero presentati, dare poi la sua definitiva approvazione perchè si cominciasse l’opera e continuassesi, sempre diretta, per talento e cura del solo Bayard: e se in questo suo regio atto imporrebbe altri obblighi troppo gravi a costui, lasciava pure a di lui scelta, di ricusare tutta la concessione già ottenuta, riprendendo il denaro dato in sicurtà.
"Fu quindi stabilito, perchè fosse magnifica la strada e capace d’ogni concorso, farebbesi con doppio corso o con quattro file di ruotaie, per dar luogo ai trasporti di andare e venire in un tempo stesso, fatta eccezione di qualche punto, ove difficilissimo riuscir potesse di costruire così larga la via. Le locomotrici la trascorrerebbero per dar luogo a quel desiderato e si pronto traffico, senza vietare che in altre ore si traessero altri carri dalle bestie da traino.
"Inoltre fu determinata una tariffa, secondo la quale il Bayard esigerebbe dai passeggeri o negozianti il nolo di un posto o delle mercanzie, derrate, bestiami ed altro da trasportare, permettendosegli ancora di diminuire i prezzi stabiliti col sentimento dell’autorità superiore. Della convenienza della quale tariffa in beneficio del commercio basti solo qui dire che il nolo delle merci per ogni cantaio e per un miglio di via è stabilito non maggiore di un grano e 2/10 mentre che il nostro esercito pe’ trasporti militari paga bene un grano e 8/10 66. Da ultimo dicasi che l’usufrutto della concessione fu limitato pel Bayard a soli anni ottanta; nel qual tempo sotto la tutela e vigilanza della potestà regia, egli o la compagnia, e chi altri stesse in sua vece, terrebbe la via con obbligo di far che con sicurtà ed esattesza vi si potesse trafficare quotidianamente su carri da lui fabbricati, mantenuti e tirati da sue locomotrici, o dai suoi cavalli. Venuto il qual termine del privilegio, colui, che allora rappresenterà la persona del Bayard, consegnerebbe la strada in buono stato al governo del Regno, che terrebbela come sua libera possessione per l’avvenire. Laddove poi la detta strada fosse stata cominciata e non finita dentro il periodo di anni sei, provvederebbe il governo regio che presto si menasse a compimento da altri, e che vi si esercitasse commercio. Nè si trasandò di determinare con che modo sarebbesi mantenuto continuo traffico su pe’ varii tratti o prolungamenti di strade ferrate, che, costruiti da altre compagnie, mettessero capo in qualunque punto del cammino aperto da Napoli per a Nocera e a Castellamare 67.
» Ottenuta la regia concessione, Armando Bayard de la Vingtrie rendeala comune per atto autentico di notaio a sè e a due suoi fratelli, ed al signor De Vergès di Francia. I quali, preso accordo tra loro di unirsi in società che chiamano in nome collettivo, e di far eglino stessi l’opera a cottimo; attendevano intanto a formare una compagnia e società in accomandita, siccome pur la nomina il Codice delle leggi Commerciali (di Napoli), di persone, le quali dessero i loro capitali per mandare a fine l’impresa. Solo vicario o gerente, come ora il dicono, di tutta la compagnia, e primo ingegnere a dirigere i lavori rimaneva Armando Bayard in Napoli; mentre che i suoi fratelli e il De Vergès, con titolo pur di gerenti, si dimoravano in Francia, dove fu stabilita la sede sociale.
» Laonde presentaronsi tosto da Armando al ministro degli affari interni i disegni definitivi de’ due primi tratti di strada da farsi tra Napoli ed il porto del Granattello nel comune di Portici, e di là per Resina a Torre del Greco e quindi delle successive tratte. Il nostro direttore generale di ponti e strade fu eletto a presedere un’assemblea di tre ingegneri regii e di un capitano ingegnere militare a fine di esaminare il progetto, e dire se per esso salvi rimaneano gli interessi dello Stato secondo la regia concessione; quindi fu che il re appresso il costoro avviso e il rapporto del ministro degli affari interni; permise di darsi principio ai lavori68 ».
Ci siamo espressamente serviti della lunga citazione che precede d’una pubblicatone officiale concernente alla strada in discorso per meglio tenerci ne’ più esatti confini del vero, volendo narrare la storia prima di quella impresa, la quale, come vedremo ne’ seguenti particolari, ebbe un felice resultamento.
Ora aggiungiamo:
I.° La strada da Napoli a Nocera ed a Castellamare è interamente compiuta, anche nella costruzione de’ casamenti accessorii, i quali sono molti ed assai bene intesi per comodo servizio, specialmente nelle tre stazioni principali di Napoli, Nocera e Castellamare..
2.° Da Napoli la strada procede sempre sulla riva del mare sino a Castellamare, ed ha le seguenti stazioni intermedie. Da Napoli a Portici, che ne dista quattro miglia e mezzo; a Torre del Greco, un miglio e tre quarti; a Torre dell’Annunziata, quattro miglia.
3.° A cotesto punto la strada dividesi in due tronchi, ambo a due corsi di ruotaie. Il tronco a Mezzodì e Levante per poco più di quattro miglia raggiunge Castellamare; l’altro tronco, che va tautto a Levante e per quasi dieci miglia raggiunge Nocera detta de’Pagani; contiene lungo il medesimo una stazione per ogni luogo di cui segue l’indicazione: i.° L’antica Pompei; 2.0 Scafati; 3.° Angri; 4.° Pagani, d’onde a Nocera.
4.° Da principio si divisava di fare in altri punti le stazioni; anzi presso Napoli se ne fece un maggior numero; e più verso Nocera voleasene fare un numero minore; poi migliori convenienze persuasero a stabilire ed attuare soltanto quelle prima indicate. 5.° Tutta codesta strada adunque è in totale circa miglia 24; e misurata consta esattamente di metri N.° 43,350.
6.° È per ora incerto se quella strada sarà prolungata; il diritto di farlo verso Salerno ed Avellino riservato ai concessionari sembra scaduto; nuovi patti potrebbero farlo rivivere e sarebbero convenienti, a quel che pare, sì nell’interesse pubblico, che della società, la quale nella numerosa popolazione di que’ luoghi troverebbe larga copia di avventori, onde ne sarebbero cresciuti i proventi.
7.° La strada, compreso il materiale tutto di esercizio, costa alla compagnia 12,500,000 lire, essendo stata fatta a cottimo dall’ingegnere direttore in compagnia degli altri soci gerenti sopra indicati69.
8.° Le stazioni sono in numero di dieci. Le locomotrici sono al numero di quindici, col corrispondente necessario numero di carrozze, waggons e carri. I convogli sono da 9 a 15 al giorno, ed altretanti di ritorno, in ragione delle stagioni e delle giornata di maggiore o di minore concorso. Cinque motori sono sempre accesi; la velocità ordinaria di essi consta di 28 a 3o kilometri l’ora.
9.° I concessionari-gerenti, terminata l’opera, e collaudata sì dal governo che dai delegati della società, hanno rimessa la strada a questa che ora la governa per proprio conto, esercitandola per mezzo d’appositi agenti ed amministratori, come scorgesi da documenti a stampa pubblicatisi intorno ad essa, che abbiam sott’occhio70.
10.° Già s’è veduto il massimo delle tariffe. Nel fatto la compagnia ora solo riscuote pel trasporto delle persone e per ogni kilometro: pegli ultimi posti stando in piedi, ma coperti, centesimi di franco 2.6; pe’ secondi 5.8; pei primi 8.4. La tariffa delle merci per ogni kilometro e per ogni tonnellata, è dai 10 ai 12 centesimi, secondo la natura e la quantità del genere.
11.° Nel 1844 si sono trasportati sulla detta strada
viandanti | ......... | N.° | 1,117,713 |
i quali produssero la somma di | ...... | lire | 806,972 |
e di mercanzie | ..... | cantaie | 344,813 |
colla rendita di | ..... | lire | 100,000 |
12.° Gli azionisti pella strada da Napoli a Nocera ed a Castellamare ebbero pel 1.° settembre del 1844 un utile netto a ragione del 5 per % l’anno. Pel 2.° semestre un utile in ragione del 5 ¼ per %; nell’anno presumesi almeno del 6 per %.
13.° Non si può dare esatto conto della spesa dell’esercizio nel detto anno, perchè non ebbe luogo sulla strada intera, che per sette mesi; e gl’interessi pei primi cinque mesi non vennero attribui ti all’intero capitale, ma solo a lire 6,900,000, cioè pro poporzionalmente al solo tratto di strada allora costrutto fra Napoli e Castellamare.
14.° Le azioni della società francese non sono tassate alla Borsa di Napoli, possedute come sono quasi tutte da residenti in Francia. In vendite private a Napoli, come in altre a Parigi, voglionsi pagate anche col 10 per % di premio. Nè vuolsene muover dubbio o stupore; perocché l’ultimo rendiconto sociale sopra indicato dimostra la rendita netta dell’impresa ormai superiore al frutto legale del danaro a Napoli non solo, ma in tutta Italia ed oltre l’Alpi, e il mare, superiore ancora al frutto comune dei capitali71. 15.° Cotesto provento della strada in discorso debbesi fondatamente presumere crescente, specialmente se verrà prolungata nelle indicate direzioni, e perchè appena ora incominciasi dal pubblico a gustare il pregio di quel nuovo veicolo.
16.° La concessione della strada, come già si è detto, è per anni ottanta, compiti i quali, essa diventa proprietà del governo o dello Stato, senza compenso, eccettochè pel materiale mobile ed approvvisionamenti, il cui acquisto è riservato all’erario pubblico ove li voglia.
17.° Il capitale dell’impresa è di 12,500,000 franchi di Francia, divisi in tante azioni da 1,000 franchi ciascuna. I fondatori della società, costruttori come si è veduto della strada a cottimo (a forfait), per conto della compagnia, ebbero lire 11,500,000
in danaro, e 1,000 azioni beneficiarie, stimate lire 1,000,000. Le dette azioni beneficiarie però non possono toccare alcun frutto od interesse insino a che le altre, cioè il fondo reale dell’impresa, abbiano conseguita la rendita dell’8 per %. Attalchè per ora i fondatori suddetti non ricavano profitto del capitale assegnato loro, ma per opinione comune poco tarderanno ad ottenerlo, atteso il presunto aumento degli utili.
18.° Finalmente, le azioni suddette finora non furono, la Dio mercè, occasione ad alcun aggiotaggio, a Napoli segnatamente, dove, come si è detto, non se ne fa commercio attivo alla Borsa, e neanche in Francia. Perocché le azioni medesime essendosi fin sulle prime ripartite fra genti serie e molto attinenti dei fondatori loro compaesani, non si fece di esse gran clamore alla borsa di Parigi; la fiducia nei fondatori preallegati consigliando i possessori d’esse a conservarle, finché, attuata appieno l’impresa, se ne conseguissero gli annunciati vantaggi; de quali già alcuni sonosi verificati, e gli altri possono fondatamente or più che mai presumersi72.
Noi ci siamo lungamente fermati a ragionare di cotesta strada:
1.° Perchè, essendo la prima e la sola finora che in Italia siasi ordinata e compita, almeno nel principale suo divisamento con buon successo, dovea necessariamente occuparci di preferenza.
2.° Perchè il detto suo ordinamento essendosi così bene inteso da non presentare gl’inconvenienti economici notati in altre imprese di tale natura diversamente regolate: ci parve un esempio proficuo da proporre all’imitazione altrui, quando sorgessero circostanze affatto consimili.
In prova d’imparzialità, e non già col fine di molesta o di men riverente censura, vuolsi qui notare però, che se ricavansi dai documenti pubblicati i descritti riscontri; d’altra parte, per testimonianza di persone degne di fede, le quali percorsero le principali strade ferrate d’Europa, e poterono istituire il necessario confronto, ne consta: la costruzione della strada ferrata in discorso benché collaudata dagli ingegneri governativi e dai commissari della società intraprenditrice mpstrari tuttavia, anche ai meno veggenti, fatta dai Bayard e soci con molta economia e con pregiudicio della sua solidità, durata e comodo de’ viandanti. Il collocamento delle ruotaie e dei travicelli specialmente allegasi fatto con sì poca esattezza, che assai incomodo riesce il corso dei convogli. Ancora, le vetture sono disagevoli e meno eleganti. Il materiale scorgesi in generale donzinalmente fatto, e prevedesi bisognevole di prossimo rinnovamento. Insomma, vuolsi che fra le strade d’Europa quella da Napoli a Castellamare sia la meno comoda e buona, come la meno solidamente costrutta. Noi, che non la vedemmo, consegniamo questo giudizio di persone reputate meritevoli di credito, perchè doveasi notare, senza però volerlo guarentire, contenti come saremmo, che fosse meno esatto, perciò chiamato troppo severo.
3.° Siccome nel Discorso II mostrammo dubitare assai che alcuna impresa di vie ferrate in siffatta guisa ordinata, senza sussidio governativo, potesse riuscire a buon fine, tranne qualche rarissima eccezione, così al fine di non mostrarci contradicenti alle bandite dottrine, debbonsi notare coteste eccezioni là dove si presentano, e spiegare per qual motivo abbiasi in tai casi resultati dissimili da quelli generali, preveduti pel maggior numero delle imprese suddette, quando alla sola industria privata si concedono.
Abbiamo detto al preallegato Discorso II ripetutamente, che le speculazioni di strade ferrate concedute all’industria privata libera, senza alcun sussidio governativo, erano da noi credute dover riuscire per lo più così poco profittevoli da correre grave pericolo di fallimento, nell’Italia nostra specialmente, dove la necessità di far venire dall’estero ruotaie, macchine, operai ed il combustibile che serve ad alimentare le locomotive, debbe naturalmente rendere assai più costose le imprese, sì per quanto concerne alla costruzione, che per rispetto al successivo esercizio delle strade medesime.
11 fatto opposto seguito in Napoli dovendosi ora spiegare, occorre notar per esso, che seguiva in luogo difficile a trovarsi altrove nella Penisola in condizioni consimili.
Una strada che porge accesso ad una città popolatissima d’oltre 400,000 abitanti, lungo una riva di mare amenissima per situazione, da innumerevoli forestieri sempre visitata per la delizia de’ luoghi, pel clima ridente e salubre, per le mirabili curiosità della natura e dell’arte: non si troverebbe certamente a fare in circostanze pari altrove, e sicuramente quand’elle esistessero ne sarebbe uguale l’effetto.
Così vedremo la strada tra Padova e Venezia, due gran centri di popolazione posti a contatto col nuovo mezzo, produrre, se non uguali, certo approssimative conseguenze.
Così del pari ne siegue tra Livorno e Pisa, come succederà da Firenze a Pisa ed a Pistoia; quando quella linea sarà terminata. Così pure ne succederà alle linee che scorreranno tra Genova e Torino, e tra Genova e Milano, come fra Milano e Torino, fors’anche sull’intera linea da Milano a Venezia, come su quella da Bologna ad Ancona, perchè tutte quelle linee sono e saranno poste frammezzo a contrade popolatissime.
Sempre quando pertanto la tratta sia breve, la popolazione agglomerata e molta, e le condizioni di relazioni facili per nessuna interruzione di linee daziarie, o di altri ostacoli, non è a dubitare che l’impresa d’una strada ferrata si potrà assumere da una società privata industriale con fiducia di profitto.
Ma siccome, perchè grande sia rispetto all’universale il vantaggio di quelle vie, importa che le linee d’esse sieno lunghe assai, ed abbraccino lontane relazioni di traffico, allora la grave spesa e la non adequata rendita che ne derivano tosto dimostrano vero il canone da noi fondato della necessità d’un intervento governativo, o per mezzo d’efficace sussidio agli imprenditori che assumon l’opera, o per il fatto del governo istesso che la eseguisce per cura e conto proprio.
Il caso di Napoli adunque, ed anche altri all’incirca consimili, non distruggono la verità delle bandite dottrine; e se quello merita lode verso coloro che idearono l’impresa, e con molta prudenza ed abilità non comune la governarono; come vuolsi encomiare il pubblico reggimento che la favoriva e la proteggeva, non ne avviene però che un tal caso si debba ripetere in altri luoghi senza il concorso di circostanze uguali.
Il protendimento poi di detta linea da Nocera sino alla riva dell’Adriatico, e quello verso Avellino e Salerno, avranno un diverso resultato.
Quello verso l’Adriatico giovando al commercio universale, ma necessitando una spesa non adeguata al presunto più scarso frutto, non si potrà forse attuare senza il concorso del sussidio governativo. Tuttavia sarebbe utilissimo concederlo, quando consenta ad onesti patti, alla società medesima, la quale può meglio condurre l’impresa di qualsiasi altra.
Quanto all’altro protendimento poi, trattandosi di tratta più breve, che mette capo a contrade popolatissime, potrà forse ancora compiersi come i precedenti senz’altro concorso.
Cotesti pensieri, che la sola vista della carta corografica de’ luoghi, e le notizie statistiche del Regno destano in noi, si saranno certamente affacciati alla mente de’ reggitori napoletani; ond’è che noi abbiamo lusinga ch’essi li manderanno ad effetto quando che sia possibile, e ne deriverà certamente ad essi fama d’esperti ed accorti governanti.
Difatti quanto al congiungimento de’ due mari al punto prima accennato di Manfredonia od altro, ognuno di leggeri comprende che la comunicazione fin qui descritta avvicina la Grecia all’Italia, ed agli arrivi che di colà a questa convengono sulle rive del Mediterraneo sino al punto di Napoli; — che, attraversandosi in que’ luoghi la Penisola, risparmiasi un lungo giro a chiunque abbisogni di prontamente giugnere alla Grecia, quindi al Levante, o voglia andarne a Venezia, a Trieste, o viceversa; — che grandemente possono quindi esserne attivate le relazioni reciproche tra Napoli, i porti greci e del Levante, come con quelli di Sinigaglia, Ancona, Venezia e Trieste; — che lo stesso traffico germanico e slavo, a questo porto più convergente, come sarà detto di poi, può riceverne non indifferente vantaggio; perocché ne’ traffici tutti più sono moltiplicate, avvicinate e facilitate le comunicazioni, più crescono le speculazioni, per quella legge di equilibrio che cerca diffondere le transazioni dovunque meglio può giungere l’umano commercio.
Nè ci si venga dire per avventura:
1.° Il porto di Cività Vecchia essere l’emporio naturale degli scambi dello Stato pontificio per quella parte; escludere perciò la convenienza di protendere la via ferrata napoletana da Gaeta a Roma, perchè piuttosto un’altra linea converrebbe dal detto porto alla città Santa, che meglio concilierebbe l’interesse di quello Stato.
2.° Il giro in mare fino al punto estremo della Penisola dal Mediterraneo all’Adriatico essere scarso incomodo e tenue aumento di spesa a confronto dell’incomodo e della spesa nascente dallo scarico e dal carico delle merci, che dovessero per scansarlo passare lungo la via ferrata destinata a congiugnere que’ due mari.
Conciossiachè sembra a noi potersi a siffatte eccezioni rispondere:
1.° Una strada ferrata lunga le cinquanta miglia romane circa, che distano da Cività Vecchia a Roma, essere tale una spesa, che non sarebbe certo compensata dal prodotto di scarsi transiti.— Bastare al trasporto di merci e di persone da quel porto a Roma e viceversa le presenti vie terrestre ordinaria e fluviale pel Tevere, se non preme l’impiego del tempo. — Preferirsi per le dette merci e persone, cui premerebbe invece un pronto arrivo, la proposta via ferrata tra Napoli e Roma, come quella che, servendo di punto d’arrivo e di partenza a due capitali, ambo gran centri di numerosa popolazione, e d’un gran numero di viaggiatori, in poche ore farebbe lor fare quel cammino ch’ora costa, se tutto per terra, parecchi giorni, e se per mare in parte, tuttavia ancora una giornata ed una notte intera. — Doversi perciò aumentar grandemente le relazioni tra le due città, ed accrescersi così notevolmente il rispettivo commercio di esse colla proposta via ferrata da Gaeta a Roma.
Se si valutano 1.° le incertezze del tempo in mare; 2.° il tempo delle fermate dei battelli a vapore in ogni scalo; 3.° la non sempre sicura e pronta partenza dagli scali marittimi alle città dell’interno della Penisola, scorgesi notevolmente ridotto il preteso beneficio del risparmio del tempo ne’ viaggi fatti lungo la Penisola coi detti battelli a vapore. I corrieri che vanno sulle strade ordinarie solitamente mettono un tempo di poco maggiore, e di più han sempre la certezza dell’arrivo, perchè non esposti, come i battelli, alle fortune di mare.
Questo è forse il motivo per cui le amministrazioni postali non si servono di que’ battelli pel trasporto de’ dispacci.
Quando pertanto una strada ferrata da Napoli portasse a Roma in poche ore, certochè nessuno che viaggi con premura andrebbe col battello a Cività Vecchia per ugual fine; perocché consumerebbe almeno un tempo triplo, con maggior pericolo e più grave incomodo.
2.° Sta benissimo che il giro del punto estremo della Penisola, per le navi che vanno o vengono dall’Oceano a Trieste e Venezia, è valutato scarso aumento di tempo e di nolo; ma non cosi, a nostro parere, può dirsi di quelle che dai porti del Mediterraneo a quelli sopra indicati dell’Adriatico dovessero andarne o venirne, specialmente quando si tratti di merci e di persone cui prema un pronto arrivo, e per le quali resulti prezioso il tempo da impiegarsi nel tragitto; segnatamente quando la via ferrata attraversante il Regno dal Mediterraneo all’Adriatico partisse ed arrivasse a due mercati di qualche importanza, dove i carichi di ritorno potrebbero trovarsi.
Nell’aumento pertanto delle relazioni commerciali tra i varii popoli, noi crediamo il sistema fin qui adottato per le strade ferrate del regno di Napoli singolarmente atto a facilitare coteste relazioni, ed a crescere perciò la civiltà e la prosperità materiale del Regno medesimo. Egli è forse diretto da questi pensieri che un nostro amico degnissimo, il chiarissimo signor commendatore Ferdinando de Luca, pubblicava nelle Ore solitarie, giornale napoletano, alcune sue idee sulla estensione più conveniente da darsi alle strade ferrate del Regno.
Il dotto matematico prese a dimostrare, che la strada divisata da Napoli a Manfredonia, per avviso di lui, dovea piuttosto rivolgersi altrove. Poiché quella città essendo in un punto segregato e nel gomito meridionale che fa il monte Gargano, sarebbero escluse dalla strada ferrata per essa diretta tutta la provincia della Capitanata settentrionale, quella di Molise ed i tre Abruzzi.
Invece dimostrò che la strada dovea piuttosto avere un tronco da Napoli a Troia, prolungando la strada attuale per la valle del Calore, d’onde doveasi poi bifurcare in due rami; l’uno da Troia a Termoli, in mezzo a popolatissime città, l’altro da Troia a Barletta, scalo principale del commercio de’ cereali esportati dal Regno. Questo secondo ramo vorrebbe diretto per Foggia tra Civignate ed Ascoli.
Termoli merita, per avviso del De Luca, la preferenza, perchè quello scalo ha clima più salubre di Manfredonia, e perchè mette ai tre Abruzzi, de’ quali può dirsi la porta.
Volendosi poi una più compiuta comunicazione tra l’Adriatico ed il Jonio col Mediterraneo, proponeva altresì il De Luca un terzo ramo da Napoli a Taranto, collo stesso scopo probabilmente, che altri propone la direzione d’Otranto ancora più avanzata, come diremo fra non molto.
I suggerimenti del chiarissimo professore ci sembrano invero, dovendosi giudicare, degni della più seria attenzione. Perocché, quando venissero mandati ad effetto, non può contendersi che sarebbero atti a dare molto impulso e nuova vita al traffico di que’ luoghi, coll’esecuzione delle proposte linee; se non che pare a noi che la spesa occorrente per esse non conseguirebbe forse tutto l’adequato prodotto necessario a porgere un sufficiente frutto del capitale che vi dovrebb’essere impiegato.
Sarebbero pertanto coteste linee da annoverare tra quelle che molto conviene tentare nell’interesse dell’universale, senzachè vi sia contemporaneamente quello diretto d’una speculazione privata, che possa incitare alcuno a tentarla saenz’altro concorso. Il perchè allora, ripetiamolo ancora, gli è il caso dell’intervento governativo diretto od indiretto, praticato in uno degli accennati modi; e noi non dubitiamo che il governo napoletano saprà, diretto com’è da un principe illuminato, prendere quel partito, che un accurato esame della vera condizione de’ luoghi e delle presunte emergenze del traffico in essi sapran consigliare a coloro che dovran decidere la quistione, e vorran farlo guidandosi colle norme di economica liberalità sinora predicate.
Ancora; un chiarissimo nostro concittadino ed amico carissimo, in alcune pagine recentemente scritte, le quali rifulgono per logica verità in ordine ai vantaggi delle strade ferrate italiane, celebrando con irrecusabili argomenti e con dati statistici, che reputiamo fondati, il beneficio risultante dalle pronte e dirette relazioni così create lungo la Penisola, e per essa da tutta Europa coll’Oriente, estende le linee da noi proposte fino ad Otranto, scalo estremo di qualche importanza commerciale che al detto Oriente conduce.
Cotesto sistema essendo alquanto diverso dal nostro più lievitato come si è veduto, e ristretto alla comunicazione tra Napoli e Manfredonia o Termoli, vuol essere pure qui da noi brevemente discusso 73.
Non può contendersi che il beneficio del più pronto e più facile arrivo allo scalo suddetto d’Otranto, c quindi pel mare ai varii scali più essenziali della Grecia e del Levante, sarebbe così a tutta Europa assicurato, e che perciò ne avverrebbe, se non di merci, di persone un andirivieni ragguardevolissimo, anche atto a fornire notevoli prodotti.
Se poi cotesti prodotti sarebbero sufficienti a compensare una società, la quale assumesse senz’altro l’impresa, non assistita da governativi sussidi, osiamo dubitarne assai; perocchè la molta estensione della linea, e la non agglomerata popolazione di varii fra’ luoghi in cui essa dovrebbe passare sono motivo di credere che i passaggeri regnicoli non porgerebbero grande guadagno.
Ordinare le strade a intero carico governativo, come quella per Caserta e Capua, sarebbe forse impresa eccedente le facoltà del pubblico erario, e non adeguata alle proporzioni segnate al credito di lui.
Forse l’assicurazione d’un interesse minimo, conceduta dal governo ad una compagnia, sarebbe atto a risolverla a tentare l’assunto, e se pei primi anni potrebbe nascere un peso pell’erario suddetto, ne’ successivi quel peso sarebbe certamente compensato da altri proventi indiretti pel fisco, in conseguenza dell’accresciuto moto delle persone, delle cose e dei valori a queste attribuiti, in ragione dell’aumentata utilità di esse; fors’anche cesserebbe poi il carico diretto istesso pel crescente prodotto de’ trasporti.
Comunque sia, noi giudicammo doverci ristringere a quelle direzioni che ci parvero di più probabile esecuzione e di men dubbio presunto utile per ora.
Ma ciò non toglie che, se si potessero per avventura vincere gli ostacoli che ci fecero esitare ad indicare nel nostro sistema la maggiore estensione suggerita dal nostro concittadino, d’arrivare, cioè, fino ad Otranto o ad altro punto, quella estensione maggiore si lodi pelle addotte cause. Chè certamente, ripetesi, quanto più sarà la nostra Penisola intersecata in vario senso da vie ferrate incominciate e terminate (non a solo pretesto di speculazioni d’aggiotaggio intraprese), tanto più ne deriverà immenso vantaggio alle sue relazioni commerciali e civili, perciò al suo progresso.
Cotesta terra italiana, stata due volte per decreto benefico della Divina Provvidenza fregiata d’un incontrastabile primato civile e morale, che ad altri Stati (confessiamolo pure ancora con intera imparzialità) ora compete, ha tuttavia sempre in essa un fecondo elemento di risorgimento.
Lo spirito positivo, diretto all’utilità vera, dei suoi abitanti, in certe determinate condizioni di tempo e di luogo prudentemente incitato, sicuramente saprà trarre da quelle condizioni medesime tutto il possibile partito.
Solo debbono gl’Italiani, ripetiamolo pure ancora, e non mai abbastanza, rinunciare alle grette rivalità, le quali sempre furono causa principale del decadimento loro; chè se, educati una volta a vera e maschia virtù, essi concordi invece al solo unico assunto tenderanno di fare della Penisola una sola famiglia, col proposto scalo che tenda all’estremo Oriente, cui porga più facile e più sicuro accesso, deriverà certo l’intera consecuzione del bello ed utile scopo di viepiù accrescere la nostra potenza, la nostra ricchezza, la nostra civiltà!
Terminando il nostro discorso sulle strade ferrate del Regno, ci resta a dire, non conoscersi, per quanto accertano persone informate, se il governo pontificio vorrà consentire ad una comunicazione colle linee di Napoli, come pur sarebbe desiderabile.
Noteremo, finalmente, rispetto all’isola di Sicilia, che finora non ci ha strade ferrate. Solo un avvocato napoletano ricorse, tempo fa, onde ottenere la concessione di costruirne una tra Palermo e Termini (lunga 24 miglia circa) a totale suo rischio e pericolo. Allegava essergli possibile di trarre d’Inghilterra e di Francia i capitali occorrenti; ma non avendo provate sussistenti le allegazioni di lui, temendosi a ragione di qualche speculazione d’aggiotaggio, venne la sua domanda reietta.
Riepilogando ora il fin qui detto relativamente alle strade ferrate già attuate ed ancora ideate nel regno delle Due Sicilie, sembra resultarne:
1.° Che la strada, detta Regia, da Napoli a Caserta, con diramazioni a Capua ed a Nola, costrutta a tutte spese dell’erario, e per suo conto esercitata, è un’opera lodevole quanto all’esecuzione de’ lavori, ed all’oggetto cui già serve di porgere adito alla Villa Reale ed a due stazioni militari di molta importanza, da una delle quali, Capua, potrebbe collo stesso scopo condursi al’antemurale del Regno, che è Gaeta, e quindi al confine pontificio.
2.° Solo doversi lamentare che, per difetto di sufficienti studi, siasi quella strada soverchiamente prolungata, attalchè cotesto errore, giunto alla relativamente troppo cara tariffa, è causa che la strada ordinaria sia ancora preferita, e non si ottenga dall’esercizio di quella Regia un prodotto adeguato alla spesa presunta d’essa; la quale spesa tuttavia non è nota per non essersi compresa ne’ conti del pubblico erario.
3.° Che la strada da Napoli per Castellamare a Nocera de’ Pagani, conceduta alla società Bayard e compagni, la prima che siasi in Italia eseguita, fu ordinata in modo conveniente sì nell’interesse pubblico, che de’ concessionari; i quali fecero un’ottima speculazione, da cui ritraggono un adeguato profitto, che promette ancora di crescere quando quella linea sia prolungata fino a Manfredonia, com’è pensiero, o ad altro porto dell’Adriatico, onde operare così l’utilissimo congiungimento de’ due mari.
4.° Che però alcune persone assai versate nella materia pretendono i lavori e provviste fatte dal Bayard essere men solidi e duraturi, e specialmente i veicoli ed il suolo stradale riuscire incomodi ai viandanti; e doversi certamente fra non molto gli uni e gli altri rinnovare: alla qual cosa sono indubitatamente tenuti i concessionari, che il governo saprà certamente costringere all’osservanza dei patti stipulati.
5.° Che il prolungamento di quella strada verso l’Adriatico e le ubertose e popolate province che avvicinano la capitale, come la sua direzione alle altre più lontane, quali sarebbero gli Abruzzi e le Calabrie, non sembra poter promettere un adequato compenso alla società che ne otterrebbe la concessione, quando questa si volesse regolare colle condizioni stipulate dal Bayard. Tuttavia, attesa la somma utilità dell’impresa, essere appunto il caso de’ sussidi governativi applicati col sistema da noi preferito della garanzia dell’interesse minimo, quando la condizione dell’erario napoletano non conceda che il governo, come fece pella strada Regia, assuma egli stesso direttamente l’opera.
6.° Che quanto alle direzioni da darsi a due linee, conducenti l’una a Termoli, l’altra a Barletta, dal commendatore Ferdinando De Luca preferite ad una linea diretta su Manfredonia da Nocera, sembrano assai fondati i riflessi che mossero quell’insigne scienziato a consigliarle, come sarebbe certamente utilissima l’altra diramazione, da esso pure proposta insino a Taranto, onde giugnere così ad uno scalo che metta più avanti verso all’Oriente, come potrebbe anch’esserlo quello di Brindisi, già emporio del traffico antico.
7.° Che cotesto pensiero d’utilità europea, il quale può far dell’Italia intera la strada per all’Oriente, più ancora sarebbe mandato ad effetto quando si conducesse una linea sino al punto estremo d’Otranto, da dove la Grecia e l’Egitto sarebbero grandemente avvicinati. La quale idea, esposta non ha molto da uno scrittore chiarissimo, cui ogni bene d’Italia muove a singolar premura, noi abbiamo creduto dover riferire, perchè non andasse per avventura perduta; e sebbene temasi difficile l’esito di tal impresa, non già rispetto all’arte, ma quanto all’ordinamento de’ mezzi, non abbiamo voluto tralasciare dall’encomiarne l’utilità.
8.° Che quantunque l’Italia centrale abbia il massimo interesse a congiungersi colle vie napoletane, finora non resultano appiccate pratiche al proposito, e vuolsi temere possano ancora tardare assai le relative intelligenze, per certe sfavorevoli prevenzioni che suppongonsi allignare in alcuni governanti; i quali però, ove seriamente meditassero sull’argomento, senza opinioni preconcepite, tosto si convincerebbero, che le obbiezioni poste in campo non possono reggere ad una discussione seria e leale, mossa da retti fini, i quali possano farsi palesi.
9.° Ch’egli è probabilmente col fine d’invitare il governo limitrofo ad un convegno, che a Napoli si nominò una commissione per istudiare i punti di contatto sul confine, che sarebbe più spediente di scegliere; ed è a desiderare che, fatto noto il lavoro della detta commissione, vengano tosto intavolate le occorrenti pratiche onde conseguire il divisato congiungimento. 10.° Finalmente, che nell’isola di Sicilia finora non trattasi di far strade ferrate, sebbene siasi altre volte presentata una domanda di concessione relativa, poi non accolta pel fondato timore che servisse d’occasione a speculazioni d’ aggiotaggio.
Coteste diverse indicazioni e resultanze provano: che il regno delle Due Sicilie debbe occupar un luogo assai ragguardevole nell’ordinamento della rete di strade ferrate nella Penisola.
Che il governo d’esso si mostrò il primo in Italia favorevole a tali imprese, sia accordando la prima concessione, e sia intraprendendo egli stesso altre imprese direttamente.
Ch’esso non sembra alieno, anzi mostrasi favorevole ad ulteriori protendimenti, de’ quali fa intanto studiare le convenienze nel rispetto strategico, politico ed economico. — Laonde questi fatti sono un’arra non dubbia del liberale concorso del governo preallegato nell’impresa tutta italiana da noi esposta e studiata per viemeglio promuoverla.
CAPITOLO II.
Strade ferrate già attuate, decretate od ideate soltanto nel regno Lombardo-Veneto.
Venezia fu altre volte regina del commercio coll’Oriente ed, insieme a Genova, dominatrice de’ mari che vi conducono; i quali spesso erano campo di sanguinose contese tra le due signorie rivali. Ma Venezia, come Genova, successivamente pure decadde, dopo che, mancata al suo governo ogni energia pei cessati traffici e per le guerre infelici, si trovò ridotta a perdere colle consunte ricchezze anche la nazionale indipendenza, primo tra i beni di un popolo.74 Lo squallore e la miseria dell’antica Vinegia erano così crescenti or son pochi anni, che i suoi palagi monumentali, abbandonati, rovinavano per difetto de’ necessari ristauri, o demolivansi da possessori inetti ad abitarli, onde trarre almeno partita de’ preziosi materiali con cui erano fabbricati ed ornati per soccorrersi nell’inopia che li opprimeva.
Le ricche manifatture chiuse e rovinate, la popolazione decrescente ridotta all’estrema indigenza, accusavano una condizione infelicissima, che i cinque porti dell’estuario, ormai colmati dalle sabbie, rendevano tuttodì peggiore pei traffici di mare.
Quantunque il governo austriaco, divenuto signore delle venete province, continuasse non perciò a curare il progresso dello scalo di Trieste, da esso in certo modo creato, e lo rendesse fioritissimo: tuttavia non tardò a persuadersi come premesse agli interessi ed all’onore della novella signoria di tentare il risorgimento dell’infelice Venezia, e come l’uno e l’altro scalo non più rivali, ma concordi, potessero giovare al traffico generale del vasto impero.
Consolata pertanto Venezia dapprima colla concessione d’un Porto Franco, anni sono accordata (rimedio di poi provatosi inefficace), provvide il governo austriaco ad assicurarvi la navigazione col dar opera alla conservazione ed al miglioramento dei porti; favorì ancora singolarmente la maravigliosa opera del ponte sulla laguna; il qual ponte sarà il primo scalo della grande linea di strada ferrata detta Ferdinandea, conducente da Venezia a Milano75 Codesta opera promette alla regina dell’Adriatico il maggiore risorgimento che per essa potesse sperarsi mai. Ancora, l’elemento di vita che può presumersi dalla detta strada, diffuso su tutte le province che debbe percorrere,giudicasi da noi così importante per la prosperità dell’intera Penisola, che stimiamo essere pregio dell’opera nostra d’esporre i principali particolari di quest’impresa, le sue vicissitudini ed i soccorsi ad essa apprestati.
I progettisti dell’impresa di costruire una strada ferrata da Venezia a Milano furono i signori Sebastiano Wagner e Francesco Varè.
Con ricorso presentato nel settembre dell’anno 1835 cotestoro chiedevano alla camera di Commercio di Venezia, che ottenesse ad essi la facoltà di fondare a tal’uopo una società in accomandita.
Il governo rispose alla Camera, che avea favorito la domanda del di lei voto conforme: non occorrere alcuna speciale licenza per la fondazione divisata; desiderare però d’essere successivamente informato del corso di cotesta pratica, la quale non esitò a dichiarare interessantissima.
La Camera, professando un’opinione consimile, nominò una commissione particolare di cinque suoi membri, onde studiasse il progetto, sentito il signor Varè, uno de’ suoi autori, posciachè l’altro, il signor Wagner, erasi reso defunto nel frattempo.
La commissione tosto si accinse ai relativi studi: ma credette necessario, anche prima di meglio compirli, che fosse invocato dal governo un privilegio pell’opera con essi divisata, onde l’impresa non fosse prevenuta da altri progettisti di quella o dì altre strade ferrate che si volessero ideare nel Regno.
E perchè il privilegio non fosse personale, ma comune a coloro che si volessero dedicare all’assunto, procurò che il primo progettista rinunciasse a domandar solo il privilegio suddetto, promettendogli in compenso azioni beneficiarie, le quali, non essendo state poi permesse, furono commutate in un premio in danaro.
Il governo, ricevuta la domanda d’un privilegio collettivo, non l’accolse, ravvisandola intempestiva; però promise di secondarla quando si fosse costituita una rappresentanza morale dell’ideata società, la quale rappresentanza prendesse direttamente parte nel progetto, assumendone all’uopo il carico.
La commissione della Camera in fatti non avea ricevuto altro mandato che di studiare quel concetto, siccome essa fece appunto, esponendo in accurata relazione le proprie indagini ed opinioni; e proponendo alla Camera istessa che fosse eletta una nuova commissione coll’incarico di promuovere l’esecuzione dell’impresa in concorso dei Milanesi.
Cotesta proposta venne accolta, e la Camera di commercio di Venezia invitò quella di Milano ad operar con essa d’accordo acciò fosse conseguìto il divisato fine.
Dopo molte discussioni rispettivamente seguite, i due corpi collegiali vennero in questa sentenza: che l’intervento loro nella pratica, d’altronde degna di somma cura, altro però non potea essere che di protezione.
Frattanto la prima commissione sollecitò ed ottenne dalla Camera l’elezione d’una commissione di dieci notabili, la quale assumer dovesse l’incarico d’aprire una sottoscrizione di lire 60 mila austriache, onde far fronte alle prime spese del progetto, con dichiarazione d’ammettere per la metà di quella somma i sovventori milanesi.
La nuova commissione veneta dei dieci, temendo pregiudicarsi col menomo ritardo nell’insinuare le occorrenti domande del privilegio, non solo assunse l’impegno delle lire 30 mila preallegate, ma tosto spedì a Vienna due deputati per le opportune sollecitazioni nell’aprile del 1836.
Contemporaneamente la Camera di commercio di Milano partecipava a quella di Venezia, che ventiquattro principali negozanti lombardi, accogliendo la proposta impresa, assumevano l’impegno delle altre lire 30 mila, ritenendosi coi dieci sovventori veneti tutti come Soci Fondatori, e tali dichiarandosi nelle forme legali richieste per la costituzione delle società in accomandita.
Graditasi a Venezia la dichiarazione, si convenne che dieci dei ventiquattro soscrittori lombardi si costituissero pure in commissione; sicché le due commissioni veneta e lombarda procedessero concordi nel proposto assunto, intitolandosi Commissioni Fondatrici.
Un primo convocato delle due commissioni seguì a Verona al finire di maggio del 1836.
I due governi di Milano e di Venezia riconobbero le due commissioni .
S. M. l’imperatore, secondando le istanze dei deputati spediti a Vienna, come già si è detto, con sovrana risoluzione del 25 febbraio 1837 si degnò di permettere la formazione d’una società di azionisti per la costruzione d’na strada ferrata da Venezia a Milano, promettendo anticipatamente per essa un apposito privilegio alle ulteriori condizioni da prescriversi per norma dell’impresa.
Nell’aulico dispaccio del 15 aprile 1837, partecipato con decreto del governo del 10 maggio successivo, col quale si comunicò la detta risoluzione sovrana, scriveasi: "alla società che finora si è privatamente formata, si permette che possa costituirsi in pubblica società di azionisti regolarmente autorizzata. Essa però non potrà pubblicamente entrare in attività, se prima non abbia documentata la sottoscrizione di almeno un milione di fiorini (3 milioni di lire austriache), in modo da non lasciar dubbio sulla solidità delle firme; e se non abbia presentato gli statuti della Società, ed ottenutane, previo esame, l’approvazione sovrana76.
Gli statuti sociali furono presentati il 20 giugno 1837, e la garanzia fu prestata il successivo giorno 8 luglio. I soci fondatori veneti e milanesi, riunitisi in conferenza a Venezia intanto, stabilirono sino dal giorno 8 maggio precedente di quell’anno 1837 il numero delle azioni paganti al novero, di 50 mila, ed al prezzo effettivo fissato di lire Austriache 1,000 ciascuna, attribuendone
ai fondatori veneti | ..... | N.° | 28,000 | |
ai fondatori lombardi | ..... | " | 22,000 | |
Di coteste azioni | ..... | " | 50,000 | |
ne furono distribuite | ..... | " | 27,000 | |
al pari; cioè a Venezia | ..... | " | 22,000 | |
a Milano | ..... | " | 5,000 |
I fondatori veneti (10) si distribuirono fra di loro inoltre 600 azioni cadauno. I fondatori milanesi (24) se ne assegnarono ciascuno N.° 708.
I possessori de’ primi certificati interinali (promesse d’azioni) furono invitati al primo versamento del 6 per % da farsi prima del 31 luglio 1837, e codesto versamento in quel primo fervore fu da tutti eseguito, sicché vennero versati i primi 3,000,000 di lire austriache, sulle quali debbe decorrere il frutto stabilito del 4 per %
Il 21 agosto 1837, i possessori suddetti dei certificati interinali furono convocati in Venezia, dove accettarono gli statuti ad essi presentati per l’approvazione dai soci fondatori, e nominarono la Direzione della Società, composta di dieci membri, e divisa in due sezioni, l’una veneta, l’altra lombarda, di cinque direttori ciascuna.
Approvati in quel convocato gli atti de’ soci fondatori, costoro tosto cessarono d’esercitare le proprie incumbenze, le quali restarono quindi affidate alla direzione preallegata.
Alla compilazione del progetto, come alla direzione de’ lavori, fu assunto ingegnere-capo l’ingegnere Giovanni Milani di Verona. Egli tosto s’accinse al progetto sommario o di massima, il quale, cominciato nel giugno del 1837, con mirabile diligenza compiuto, venne rassegnato ai primi giorni di settembre del 1838 a S. M. I. e R., che si trovava allora in Milano.
Il giorno 15 ottobre dello stesso anno 1838 S. M. I. e R. si degnò d’approvare gli statuti; e nel dì 7 aprile del 1840, approvando il progetto tecnico, concedeva alla società il privilegio definitivo per la costruzione della strada ferrata da Venezia a Milano, prefiggendo per la compiuta esecuzione di essa il termine d’anni 10, decorrendi dalla data della patente di privilegio, firmata da S. M. il 27 ottobre 1840.
Il 30 luglio dello stesso anno era seguito a Venezia il primo congresso generale degli azionisti, il quale deliberò l’incominciamento dei lavori dal lato veneto. Allora nacque la troppo nota controversia tra i Bergamaschi e gli altri interessati lombardi, controversia stata così fatale al processo dell’impresa nella parte lombarda. Pretendevano i primi che la nuova strada toccasse da Milano lungo il piè dei monti direttamente l’abitato di Bergamo a piè di essi pure situato, quindi andasse a Brescia sempre a piè dei monti; volevano gli altri che pel sottoposto piano invece andasse a Treviglio, ed oltre sino a Brescia e Verona; però, promettevano ai Bergamaschi il compenso di far loro una particolare diramazione da Bergamo a Treviglio.77 Nel principio del 1841 si pose mano alla costruzione della tratta da Padova alla laguna della lunghezza di metri 33,100, e tanta fu la diligenza del lavoro, che essa fu aperta al pubblico il 12 dicembre 1842.
Nel giorno di san Marco, 25 aprile 1841, S. A. I. e S. il vice-re arciduca Raineri avea posto la prima pietra di fondazione del gran ponte sulla laguna, il quale debb’essere terminato con tutto l’anno 1845.
Intanto, cessato il primo calore della speculazione, sopragiunte acerbe contestazioni fra gl’interessati, seguito il solito rigiro dell’aggiotaggio, succedeva l’ordinaria conseguenza di esso, la crisi commerciale o mercantile; sicché gli azionisti, i quali erano nella massima parte speculatori di azioni, si rifiutarono, vedendo queste venute di nessun valore alle borse, a soddisfare agli ulteriori versamenti, laonde a termine dello statuto, grandissimo era il numero delle azioni perente.
In siffatta critica condizione di cose, ond’era minacciata seriamente l’esistenza futura della società, la direzione molto opportunamente pensò di supplicare S. M., perchè il sovrano favore venisse in suo soccorso, mercè specialmente dell’addomandata garanzia d’una rendita, corrispondente al frutto del capitale impiegato nell’acquisto delle azioni.
Ma il presidente della Camera Aulica (ministro delle Finanze Imperiali) col suo dispaccio del 14 luglio 1841 dichiarò illegale la domanda della direzione, perchè quando la pubblica amministrazione si risolvesse per avventura a concedere qualsiasi soccorso alla periclitante impresa, onde nell’interesse dell’universale non tornasse fallita; si richiederebbero sempre gli estremi di preventiva prova, ai quali la direzione non poteva sola assoggettarsi, richiedendo l’articolo 27 dello statuto sociale altre giustificazioni dell’allegata critica condizione.
Per la qual cosa, soggiungeva quel ministro, allora soltanto che la società medesima si rivolgesse nelle vie regolari all’amministrazione delle Finanze, destinando a tal uopo alcuni rappresentanti con illimitata procura, si potrebbero prendere in esame le pretese della società, accertato che fosse il vero stato di essa, onde poter proporre di poi a S. M. I. e R. il modo e le condizioni dell’eventuale assistenza, che potrebbe tornar spediente ed opportuno di concedere a carico dello Stato.
Nel congresso degli azionisti tenutosi il 12 agosto 1841 doveasi deliberare su codesto argomento; ma il congresso fu sciolto, perchè parecchi azionisti avendo richiesta la verificazione dei poteri degli intervenuti al convocato, alla quale domanda erasi fatta viva opposizione da altri, il commissario imperiale governativo, incaricato di soprantendere alle discussioni, non permise quel dibattimento.
Recata la quistione a notizia di S.A.I. e S. l’arciduca vicere, sempre mostratosi caldo quanto illuminato protettore della bella ed utile impresa, l’A.S., conosciuta l’emergenza, con dispaccio del 17 settembre del 1841 si degnò di prescrivete le norme per la legale rappresentanza degli azionisti, ed ordinò che fosse prontamente convocato un nuovo congresso, il quale venne fissato pel dì 17 febbraio 1842.
In cotesto frattempo emanarono le sovrane risoluzioni del 19 dicembre 1841 e 3 gennaio 1842, concernenti alle strade ferrate dell’Impero, ed al migliore e più cauto ordinamento di esse.
La prima risoluzione promulgò la creazione delle strade ferrate dello Stato, tra le quali annoverasi la linea d’esse da Venezia al lago di Como, passando per Milano, al quale riguardo il sovrano provvedimento così si esprime: «Per quelle strade di ferro che fossero dichiarate strade di Stato, e sulle quali delle private imprese avessero conseguito un privilegio, saranno le società trattate a norma dei privilegi loro concessi, con questo però, che qualora le società non fossero in grado di mandare a compimento l’opera della strada, sarà la strada compita a spese del governo.
Coll’altra risoluzione del 3 gennaio 1842, sopra citata, S.M.I. e R. degnavasi di ordinare.
"Che venga eccitata la società degli azionisti per la strada ferrata Lombardo-Veneta a dare una precisa e ben fondata dichiarazione sul punto se trovasi essa in grado di portare a compimento l’opera della strada medesima da Venezia a Milano nel tempo e lungo le linee che furono designate colle condizioni dell’accordato privilegio".
La convocazione degli azionisti, chiamata pel 17 febbraio di quell’anno 1842, fu prorogata al 28 di aprile; ed il congresso, convocato in quel giorno come in quello successivo del 4 di maggio, deliberò di nominare una commissione di nove azionisti, alla quale venne imposto il mandato di studiare la vera condizione attuale della società, con farne relazione all’adunanza generale, proponendo le deliberazioni che ravviserebbe più adequate al caso.
Disimpegnata l’incumbenza, il Congresso deliberò di rispondere alla sovrana domanda sopra indicata: "La società trovarsi in grado di portare a compimento la strada nel tempo, lungo la linea, e colle condizioni del proprio privilegio".
Ma S.M.I. e R. più avvedutamente, per quanto sembra, giudicò l’emergenza; perocché con sovrana risoluzione del 10 di luglio 1842, "riconoscendo non soddisfacenti le illustrazioni ottenute sullo stato della società per la strada ferrata Lombardo-Veneta, e non possibile alla medesima di conseguire lo scopo senza i sussidi del governo, ordinava che fossero chiamati presso il signor presidente della Camera Aulica in Vienna i delegati della società (i quali erano due direttori scelti, uno per ciascheduna delle sezioni; un membro della commissione che era stata eletta per la revisione dello statuto, ed un membro scelto fra i proprietari delle azioni cadute in difetto di pagamento, ch’erano allora in numero di 33,000 circa su 50,000); e ciò a fine di conoscere i desidèri, anche circa al modo onde avessero a prestarsi i sussidi".
I delegati andarono a Vienna nell’ottobre del 1842, e comunicarono colla presidenza della Camera Aulica, sulle proposte della quale S.M.I. e R. degnavasi di promulgare, il di 22 dicembre del detto anno 1842, le definitive sue determinazioni sovrane.
Le concessioni di S.M. e le corrispettive condizioni intese ci vennero, per favore di persona informatissima della pratica, cui partecipava sebbene in modo indiretto, come segue riepilogate:
"1.° Il governo rinunciò al dritto che si era riservato, concedendo il privilegio il 27 novembre 1840, di dichiarare la caducità del privilegio medesimo, quando la strada non fosse ultimata nel termine assegnato di 10 anni.
"2.° La società ebbe l’affidamento, che se i mezzi che possiede o quelli che si procurerebbe nel seguito, fossero esauriti, senza che essa potesse compiere l’assunto con terminare la strada, questa verrà ultimata a spese del governo, riservata ad esso però la proprietà dei tronchi costruiti.
"3.° Entro il periodo d’anni due dall’epoca dell’ultimazione della intera strada da Venezia a Milano (se questa verrà realmente compiuta coi mezzi della società) o dei soli tronchi da essa costrutti, qualora la società medesima intendesse di rinunciare al privilegio della proprietà della strada, pel tempo residuo che quello ancora dovrebbe durare, verrebbe ammessa a suo favore la facoltà di cedere allo Stato la strada suddetta, mentre per tutte le azioni che furono interamente pagate, la pubblica amministrazione rilascerebbe a compenso dei possessori d’esse obbligazioni dello Stato fruttanti il 4 per % per l’intero valore capitale delle dette azioni, con decorrenza de’ frutti dal giorno della consegna della strada al governo, divenuto questo in tal caso pieno proprietario della medesima".
Perchè l’evenienza delle prevedute circostanze fosse assicurata colle opportune cautele, si convenne inoltre: "1.° Che ad ognuna delle due sezioni della direzione veneta e lombarda verrebbe aggiunto, sì per la durata della costruzione, che per due anni posteriori al termine de’ lavori e dell’incominciato esercizio, un ufficiale amministrativo, incaricato dal governo di soprantendere alla gestione dell’amministrazione sociale, ed un ingegnere del governo, coll’incumbenza di sopravedere alla parte tecnica, il quale dipenderà immediatamente dalla direzione generale delle strade ferrate dello Stato, e dovrà invigilare onde ogni lavoro venga eseguito nel modo che è, o sarà prescritto per le dette strade.
"2.° Che sarebbe fatta facoltà alla società di lavorare contemporaneamente da Milano verso Venezia, e da Venezia verso Milano; ma, se non si ultimasse poi da essa l’intera strada, che è riservato al governo il dritto di permutare i tronchi intermedii che verrebbero da lui costrutti contro altri tronchi di eguale lunghezza, i quali partissero da uno dei punti estremi, senz’alcun compenso, eccettuato quello del rimborso del casamento delle stazioni. Se però la società venisse a trovarsi in grado d’acquistare i detti tronchi costrutti dal governo, ed intendesse di ciò fare, quelli verrebbero ad essa ceduti, previo rimborso della spesa incontrata dal pubblico erario per la costruzione loro, si e come verrebbe calcolata e liquidata ne’ suoi uffici di contabilità, compreso anche il frutto del capitale al 4 per % pel tempo che questo sarebbe stato impiegato.
"3.° Che le costruzioni si dovrebbero ripartire in annate distinte ed eseguire nel tempo che verrebbe assegnato.
"4.° Che i pagamenti degli azionisti ancora da farsi si dovrebbero distribuire in tante rate semestrali, e quelli morosi sarebbero riabilitati dall’incorsa decadenza, conche versassero incontanente le quote arretrate.
"5.° Che ogni proposta relativa al buon governo dell’impresa spetterebbe sempre alla direzione sociale; ma dovrebbe sottoporsi alla decisione favorevole, contraria o modificata della presidenza della Camera Aulica".
Per l’accettazione di queste concessioni e condizioni fu convocata un’adunanza straordinaria degli azionisti, la quale seguì a Venezia il giorno 24 aprile 1843. In essa i patti surriferiti vennero accolti con grato animo senz’alcuna restrizione o riserva, come appunto era spediente ed opportuno d’accoglierli.
Un versamento del 10 per % fu chiamato agli azionisti pel giorno 10 maggio del detto anno 1843, e quello fu dichiarato obbligatorio anche pegli azionisti morosi che volessero essere riabilitati nel modo prima detto.
L’universale d’essi corrispose all’appello; perocché sopra le
le | . . . . . | azioni | 50,000 |
si versarono le quote di | . . . . . | " | 49,445 |
onde solo eran petente | . . . . . | " | 555 |
le quali a mente dello statuto poteansi ad altri vendere.
La società pertanto della strada ferrata Lombardo-Veneta, la quale assunse l’onorevolissimo titolo di strada Ferdinandea, fregiandosi così del nome del principe che soccorreva prudentemente alle sue peripezie, tornò per le narrate provvisioni a vita novella. — Le sue azioni, prima così decadute in credito, che dopo gli esagerati aumenti del loro valore al corso più non aveano prezzo alcuno, non trovandosi nella crise che le travagliava acquisitore effettivo d’esse, tornarono tosto al pari, ed in breve risalirono fino al 130 per %. — I lavori che le seguite controversie non aveano mai lasciato intraprendere ancora sulla sezione lombarda, vennero finalmente in essa pare cominciati nell’agosto dello stesso anno 1843; mentre quelli della sezione veneta, con maggiore fortuna, se non altro, governati, non solo mai non vennero interrotti, ma, con nnova alacrità procedendo, porgono fondata lusinga di potersi compiere ancora nell’epoca prima assegnata, la qual cosa forse non potrebbe dirsi fondatamente della tratta lombarda.
I riscontri pubblicati di poi c’informano che nel giorno 10 giugno 1844 ebbe luogo in Milano l’annua ordinaria adunanza degli azionisti, a’ quali fu presentato il rendiconto relativo all’amministrazione del 1° aprile 1842 a tutto marzo 1843; il qual conto, molto chiaramente intavolato ed esposto, venne dal congresso approvato. Si provvide, inoltre, da quel consesso alle azioni perente. Queste erano al 10 maggio 1843, come abbiamo
detto, in | . . . . | N.° | 555 |
Si accrebbero ancora d’altre | . . . . | 137 |
fino al 31 gennaio 1844 pel tardo pagamento del 6 per % mandato a conto agli azionisti.
Laonde erano perente azioni N.° 692. Ma la direzione avendo proposto che per casi speciali fossero riabilitati 242 certificati d’azione, atteso il fatto deposito delle rate arretrate, si ordinò dal congresso la sola emissione di certificati N.° 450 nuovi, dichiarate definitivamente perente le prime azioni relative.
La direzione venne pure autorizzata a ricever ne’ casi previsti e spiegati il versamento di tutte le rate maturande dagli azionisti che ne facessero la domanda.
In quell’adunanza il congresso fu ragguagliato dello stato delle opere a quell’epoca, e del presunto termine d’alcune fra di esse78.
Dalla notizia pubblicatasi consta: che sul territorio lombardo i lavori, troppo tardi cominciati, tuttavia, avuto riguardo al breve tempo trascorso, progredirono con notevole alacrità e buon successo. Attalchè, essendo anche molto avviate le provviste del materiale fatte all’estero, speravasi allora vedere nel 1845 aperta al pubblico ed esercitata la linea da Milano a Treviglio, della lunghezza di metri N.° 31,674, mentre erano già molto avanzati i tracciamenti della linea tra Treviglio e Brescia. Sul territorio veneto, oltre la strada fra Venezia e Padova attuata fino dal 13 dicembre 1842, erano in pien corso d’esecuzione i lavori di costruzione del gran ponte sulla laguna, ormai giunto allora ai due terzi del totale suo compimento:— si era cominciata la sezione di strada da Padova a Vicenza: — erano in corso le espropriazioni ed approvati i compartimenti della stazione di Venezia, e si lavorava al tracciamento ed ai progetti esecutivi della strada da Vicenza a Verona, della quale dovea nel 1845 cominciare la costruzione, mentre sarebbe nel detto anno aperta al pubblico la linea da Vicenza a Padova 79 L’esercizio già attuato tra Padova e la laguna da due anni e più, dimostra proventi assai notevoli, atti non solo a compensare il frutto meritato per la spesa fatta per la sistemazione ed esercizio di quella strada, ma a porgere altresì un’eccedenza in premio. Cotesti proventi sembrano dover crescere ancora, terminato che sia il gran ponte ed estesa la linea verso Vicenza ed oltre, specialmente quando al trasporto delle persone sarà aggiunto quello delle merci, non ancora attuato su quella linea.80
Altri più recenti riscontri ancora ne informano che nel Veneto i lavori progredirono ancora più attivamente, sicché l’attuazione dell’intera linea da Venezia a Vicenza può sperarsi sicura nel 1845, od, al più tardi, al principiare del 1846. I progetti particolarizzati delle linee che da quella città verranno a Verona, sono compiti o prossimi ad esserlo, ed indi a non molto approvati.
In Lombardia resultavano date nel 1844 le disposizioni più energiche pella prosecuzione attiva de’ lavori e delle provviste da Milano a Treviglio; — per la continuazione sollecita de’ progetti particolareggiati da Treviglio a Chiari ed a Brescia; ma sia pel ritardato principio de’ lavori, sia pel grandissimo numero d’opere d’arte occorrenti su quella tratta non era certa ancora l’epoca di sua apertura.
A tutto gennaio 1845 i lavori del ponte sulla laguna erano terminati pei 74/100 attalchè speravasi vicino il termine nel resto dell’anno.
Mentre codesti resultati faceano sperare che nuove peripezie non venissero più a turbare il corso de’ lavori, e lasciavano ancora qualche fondata lusinga che l’intera linea da Venezia a Milano si potesse compiere, com’era stato divisato, fra tutto l’anno 1849 egli è con sommo rammarico che udivansi nuovamente insorte dissidenze, per cui si rallentava il corso de’lavori sulla tratta lombarda.
Fattosi il programma delle materie da sottoporsi all’annuale congresso del 1845 da tenersi a Venezia, sorgevano contr’esso opposizioni degli azionisti esteri, che sono il maggior numero.
Voleano le direzioni, a quanto affermasi;— che, oltre all’esame del conto annuale ed all’elezione dei due direttori che debbon succedere a quelli uscenti, si deliberasse 1.° Sulle azioni perente; 2.° sull’emissione di nuove azioni di lire 500 cadauna pei 25 milioni, che mancherebbero a compiere la strada; 3.° perchè i direttori potessero anche sciegliersi fra i possessori di 10 azioni, dacché in Italia i soli direttori attuali possiedono le 50 azioni richieste dallo statuto.— Ma il presidente della Camera Aulica fece conoscere per mezzo de’ rispettivi governi avere in vece il più gran numero degli azionisti che sono a Vienna, fatta istanza perchè la direzione dell’impresa sia assunta dalla pubblica amministrazione, onde quella sia più presto mandata al termine desiderato; doversi perciò deliberare su questo punto di preferenza ad ogni altro, perciò non ammesso. — A questa intimazione, che mostra poco probabile la continuazione dell’impresa privata, supponevasi replicata la prima domanda in via subordinata pel caso in cui la proposta degli azionisti viennesi non vincesse il partito.
Ma convien credere che non venisse accolta la nuova istanza. Perocché nel programma pubblicato dal foglio ufficiale la domanda degli azionisti viennesi vedesi compiutamente accolta, nè fatto parola delle altre.81 Aggiungeremo supporsi al momento in cui scriviamo (giugno 1845) dall’opinione più comune degli intendenti; che la proposta di affidare all’amministrazione pubblica la gestione dell’impresa, senza distruggere però la società, possa riunire il voto della maggiorità.
La domanda degli azionisti viennesi; sebben possano avere qualche fondato motivo di farla, è però da lamentare per gl’italiani; poiché tende, in fin di conto, a dichiarare interdetta la società, e ad abbandonare la gestione del patrimonio sociale alla pubblica amministrazione, senza alcuna cautela di controllo o condizione, rinunciando così alle concessioni del privilegio, con lesione dei benefici resultamenti della sovrana concessione successiva del 22 dicembre 1842.
Vuolsi che l’istanza degli azionisti preallegati sia fondata alle seguenti ragioni da essi addotte:
"Nel regno Lombardo-Veneto, dicon essi, non vi sono più di 4 o 5,000 azioni, se pur vi sono; le altre 45,000 sono a Vienna82.
"In Italia l’arte di costruire strade ferrate è ancora troppo imperfetta, e gl’ingegneri che vi attendono non provaron sin qui sufficiente perizia in tal bisogna. Gli amministratori ridotti a pochissimi possidenti di 50 azioni (i soli che siano eligibili all’ufficio di direttore) ossia perchè sempre confermati non si curassero più di attender con premura al detto ufficio loro; ossia per altra causa, non si mostrarono diligenti ed attivi, come pur era mestieri.
"La direzione, non potendosi concentrare a Vienna, perchè troppo lontana dai luoghi dove si eseguiscono i lavori, ed il maggior numero degli interessati però essendo nella capitale dell’impero, dove si debbon d’altronde mandare i progetti per esservi approvati dalla direzione suprema delle strade di Stato, ne segue che si perde un tempo infinito dalla compilazione all’approvazione. Epperò è naturale, che dai detti maggiori interessati (poiché non vi è a Milano ed a Venezia chi sappia o possa curare a dovere gl’interessi loro), si desideri che il capitale della società venga affidato alla gestione del governo, sulla di cui integrità e benefiche intenzioni non è lecito muover dubbio; tanto più che il governo medesimo mostra la massima premura pel più pronto compimento delle opere; le quali, pel maggiore impulso dell’azione governativa, e pel minor tempo impiegato nella compilazione ed approvazione dei progetti, saran così più presto mandate al lor termine".
Noi, nell’atto che siamo pienamente convinti delle benefiche intenzioni del governo, al postutto troppo chiaramente fatte palesi dai provvedimenti sin qui da esso dati; e mentre dobbiamo, sebbene con grande nostro rammarico, riconoscer pure che il buon governo dell’impresa, specialmente in Lombardia, non procedette fin qui colla desiderabile e possibile attività, ci asterremo però dal dichiarare, se le imputazioni degli azionisti siano fondate, segnatamente quelle concernenti a scarsa perizia ed a men buona volontà.
Noteremo, tuttavia, molta essere la fama degli ingegneri italiani, alcuni de’quali sono impiegati dalla direzione suprema delle strade di Stato, capo d’essi vedendosi il già indicato ingegnere Francesconi; nè meno riputata pur essere l’amministrazione de’ Lombardo-Veneti, i quali come sempre tutti gl’italiani provansi peritissimi nel buon governo di qualsiasi impresa.
Ne conchiuderemo adunque, che allo speciale concorso di qualche altra malaugurata circostanza debbesi attribuire il men felice successo dell’assunto finora, e che se un maggior numero d’italiani avesse preso parte al medesimo, se non vi si fosse intromessa quella disgraziata solita nostra tendenza esclusiva ed emulatrice del municipalismo, antico nostro malanno, certo non mancherebber tra noi uomini di largo, avveduto e generoso proposito, i quali farebbero attivamente e bene procedere l’assunto medesimo.
Quali deliberazioni siano per derivare dalla proposta, tanto per parte del convocato generale degli azionisti; i quali, per essere, come si è detto, in maggiorità favorevoli forse l’accoglieranno; quanto per parte del governo imperiale, noi non possiamo per ora dichiararlo.
Sembra però naturale ed ovvio, in quanto a questo, che poco si mostri arrendevole ad accogliere la proposta tal quale è formolata; perocché accettandola, il governo in certo modo si costituirebbe l’agente di una società privata, la qual cosa non sembra nel suo interesse, come nel suo decoro.
Però, ammettendosi dall’immensa maggiorità degl’interessati, che l’impresa non procede col desiderabile buon successo; ed essendo perciò avvenuto il caso preveduto dall’ultimo provvedimento emanato a favore della società, ch’essa si riconosce in certo modo non atta a proseguire e terminare l’impresa medesima, pare a noi potersi prevedere probabile una decisione conforme a quella di cui fu dato l’affidamento nella provvisione preallegata, cioè, che il governo riceva la strada tal quale trovasi, ne assuma il compimento per opera diretta a cura dei propri ufficiali, e liquidate le spese già fatte per essa, quelle compensi, rimborsandole con obbligazioni dello Stato fruttanti il 4 per cento.
Cotesto provvedimento, in sostanza, allo stato attuale dell’impresa e nell’infelice concorso di circostanze che la travagliano, ed ostano a che ella sia, come pur avrebbe dovuto essere; una speculazione italiana, alla quale il paese, ricco com’è, ripetiamolo, il regno Lombardo-Veneto, avrebbe potuto largamente far fronte, è forse quello solo che sia ora più conveniente ed utile. Perocché per esso sarà più prontamente ed ugualmente assicurato il vantaggio che debbe derivare all’universale dall’ideata comunicazione83 Premessa la particolareggiata istoria delle vicende occorse alla strada Ferdinandea, or ne resta a dare l’indicazióne speciale della direzione e sviluppo della medesima, servendoci della descrizione datane dal riputato geografo Adriano Balbi, il quale n’ebbe i particolari elementi dallo stesso ingegnere Milani, autore, come già abbiamo notato, del progetto di massima, e deputato fin ora a sopr’intendere ai progetti particolareggiati, ed a dirigere i lavori e le provviste 84
La lunghezza della strada da Milano a Venezia sarà di kilometri 271.
Le stazioni principali saran dodici: Milano — Treviglio — Chiari — Brescia — Castiglione delle Stiviere — Verona — Villanuova — Sei Vie — Vicenza — Padova — Mestre e Venezia.
Vi saranno inoltre molte altre stazioni minori o secondarie.
Le pendenze, sopra più della metà della linea, non arriveranno all’uno per mille.
Nelle altre parti, varieranno dal 2 al 3 per 1,000.
In soli tre 0 quattro punti, al passo de’ fiumi Oglio ed Adige, il massimo delle dette pendenze sarà del 4 o 5 per 1,000.
La larghezza della strada sarò di metri 10 in totale.
Più tardi avrà due vie di ruotaie onde non seguano incontri nel cambio delle direzioni (disposizione questa indispensabile appena sarà attuata la più gran parte della linea, attesa la frequenza delle corse, resa necessaria dal maggiore concorso); per ora se ne porrà una sola.
Il calcolo della spesa ascende alla somma di lire
austriache ... 64,500,000
e così per kilometro a ... 238,000
La qual somma noi non crediamo errare nell’ affermare insufficiente; perocché, anche non tenuto conto dello straordinario dispendio, a poche strade ferrate occorso, d’un ponte come quello della laguna, il quale per kilometri 3,600 costerà oltre ai
ai ... 5,000,000,
Non fatto caso della stazione di Venezia, la quale costerà, come
si è detto, .... 2,000,000.
Non avuto anche riguardo al gran numero di ponti, viedotti, acquedotti ed altri edifizi occorrenti in luoghi dove ad ogni
passo incontransi fiumi, torrenti, canali, roggie e strade, che la via ferrata dovrà intersecare; posta che sia la doppia ruotaia, certo non sarà inferiore alla spesa media d’ogni kilometro più comunemente, calcolata in franchi o lire 3oo,ooo.
Ora pei kilometri | 271 |
Occorrerebbero invece franchi | 81,300,000 |
pari a lire austriache | 936,448,273 |
onde si vede una fondata presunta eccedenza di | 28,948,273 |
Laonde resulta ben vera la risposta che vedemmo data dal governo alla società quando affermava bastare i mezzi di lei al proprio assunto: non credere cotali mezzi sufficienti all’uopo. Quindi più manifesta rendesi la necessità di pensare ad un provvedimento, il quale assicuri l’esecuzione de’ lavori ed il termine di essi; al cui fine gioverà pertanto lo spediente da noi preveduto, che sarà più probabilmente adottato dal governo imperiale.
Sono comprese tra le spese calcolate quelle del materiale pel trasporto de' viaggiatori.
Questi sono calcolati annualmente al numero di 325,000 dal Balbi; noi crediamo che cotesto numero sarà molto oltrepassato, avuto riguardo alla gran popolazione agglomerata lungo la detta via; e l’occorso soltanto sulla tratta da Padova a Venezia prima ancora che sia compiuto il gran ponte sulla laguna, prova vera cotesta nostra opinione 85
Vero è che il Balbi vorrebbe giustificare il calcolo preventivo del Milani, allegando la tratta da Padova al ciglio della laguna aver costato per kilometro solo lire austriache 215,090, ma nè ivi è compresa la spesa del ponte e della stazione di Venezia, che vedemmo tra ambo ascendere oltre ai 7,000,000, nè quella della doppia ruotaia, come prima notavasi; ondechè ne deduciamo doversi quel calcolo di lire 238,000 per kilometro notevolmente aumentare.
I principali lavori d’arte sono tre gallerie (tunnel), delle quali una sotto il torrente Guà, e le altre due nelle alture presso a Vicenza, conosciute sotto il nome di Colli Berici, e molti ponti in cotto ed in pietra da taglio sui fiumi.
I principali di questi sono l’Adda; — il Serio; — l'Oglio; — il Mella; — il Chiese; — il Mincio; — l'Adige; — il Bacchiglione; — la Brenta, e finalmente il portentoso, più volte già citato, viedotto che attraversa la laguna; il quale è l'opera più colossale fattasi nella Penisola ed anche altrove a' di nostri86
I due punti estremi di quel ponte sono Venezia e la sponda della laguna, là dove, prima di giungere da Venezia a Mestre, sorge il forte di Malghera, sur una lunghezza già indicata di metri N.° 3,600.
Cotesta immensa linea è divisa in sei sezioni da cinque isolotti artefatti per servire di piazzali. Quello del mezzo, più grande, ha la lunghezza di metri 136
sopra la larghezza di | metri | 40 |
in mezzo ed alle due estremità | " | 18 |
I quattro altri sono ciascuno lunghi | " | 100 |
sopra la larghezza di | " | 18 |
La parti del viedotto fra le isole hanno uno sviluppo di | " | 600 |
supportate da 37 arcate di | " | 10 |
La larghezza del viedotto è di metri 9, ed oltre allo spazio necessario alla via ferrata, avrà pei pedoni un marcia-piedi, e servirà anche ad un acquedotto che porterà in tubi di ferro fuso, murati entro il ponte, un’ottima acqua potabile condotta così dalla terra-ferma a Venezia, la quale spesso or n’ha difetto87.
Cotesta opera portentosi sarà compita nel corrente anno 1845, come già s’è detto; ed essendo nell’anno pure terminata la tratta tra Padova e Vicenza, si avranno da Vicenza a Padova kilometri ... 29
da Padova a Mestre | 23 | |
da Mestre a Venezia | 8 | |
________ | ||
Totale in esercizio nel 1845 | kilometri | 60 |
Da Milano a Treviglio essendovi | " | 31 |
________ | ||
sarebbero | " | 91 |
di strada ferrata, circa 1/3 della totale lunghezza che potrebbe aversi finiti nel corrente anno se i lavori di quest’ultima tratta fossero spinti attivamente. Speravasi, quando scrivea il Balbi, arrivare nel 1846 da una parte a Brescia, dall’altra a Verona, e nel 1848 aver compiuta l’intera linea. Ora si vedrà se i temperamenti che saranno adottati conseguiranno o no uguale resultato88.
Esposte le vicende e gli sperati vantaggi della strada Ferdinandea, or ne tocca parlare d’altra via ferrata, che debbe compiere la linea decretata da Venezia a Como passando per Milano, e narrar pure i fatti per essa seguiti.
S. M. l’imperatore d’Austria con sovrana patente del 28 luglio 1837 accordò al nobile signor Zanino Volta ed all’ingegnere Bruschetti il privilegio di costruire una strada di ferro da Milano a Como. Successivamente l’ingegnere Bruschetti cedette la sua parte di quel privilegio al nobile signor De Putzer, dal quale la comperò lo stesso signor Volta, divenuto così l’unico proprietario della concessione, e per tale riconosciuto dal governo di Lombardia con decreto del 17 giugno 1839.
A tenore del progetto tecnico, compilato dal defunto ingegnere Nicodemo Gatti, e presentato il 14 dicembre 1840, la strada da Milano a Como dovrebbe essere della lunghezza
di metri | 39,121,70 | |
e costare, compreso il materiale d’esercizio, lire austriache | 8,526,00089 |
Questo progetto fu approvato dal governo di Lombardia con dispaccio del 24 marzo 1841.
Il Volta fece costrurre a sue spese un miglio metrico della novella strada (tra Camnago e Lentate) nel termine prescritto dalla patente di privilegio, e questa costruzione venne riconosciuta ed approvata dal governo di Milano col dispaccio del 18 luglio.
L’intera strada da Milano a Como debbe essere compiuta entro dodici anni dalla data del privilegio, cioè al 28 luglio 1849, sotto pena di estinzione del medesimo.
Onde raccogliere i mezzi pecuniari occorrenti pér sopperire alla spesa di costruzione della strada il Volta combinò nel 1840 una società in accommandita; ma avendo la costituzione di questa trovato ostacoli presso l'autorità; essa venne nell’anno suddetto disciolta.
Ebbe quindi il signor Volta ricorso a S. M. impetrando la concessione preliminare per la formazione d’una società anonima divisa in azioni, concessione ch'egli ottenne dalla sovrana grazia colla risoluzione del 29 gennaio 1843.
Le condizioni per la formazione di codesta società possono riassumersi nelle seguenti:
1.° Il capitale d’essa è fissato a lire austriache 10,500,000 diviso in 7,000 azioni di lire 1,500 cadauna.
2.° I sottoscrittori delle azioni sono obbligati ad anticipare il 25 per % dell’importo dell'azione, e versarlo in una^cassa dello Stato a garanzia dell’impresa, e seguito il pagamento debbon esser loro rilasciate le cedole interinali ammesse quindi alla libera circolazione.
3.° Entro sei mesi dopo compiuta la sottoscrizione pel capitale fondiario, dovrà essere versato un altro 15 per % del montare d’ogni azione ed i successivi versamenti si faranno a termini dello statuto.
4.° Non potendosi nello spazio di sei mesi compiere la sottoscrizione, saranno restituite ai possessori delle cedole interinali le somme per essi o loro autori depositate.
5.° Compiuta in vece la detta sottoscrizione, saran convocati i possessori delle cedole in una prima adunanza, nella quale si sottoporrà all’approvazione loro lo statuto già preparato dal Volta ed acconsentito dalla pubblica amministrazione, per esser quindi rassegnato alla suprema sanzione di S. M., ottenuta la quale, la società verrà proclamata come legalmente e pubblicamente costituita, ed il danaro versato nelle casse del governo sarà restituito alla cassa sociale. 6.° Ad istruzione del pubblico, invitato a sottoscrivere le azioni, sarà fatto noto: che la linea per la di cui esecuzione viene formata la società non è ancora stata dichiarata parte di quella strada ferrata dello Stato, la quale, a tenore della sovrana risoluzione del 19 dicembre 184«, dev’essere condotta da Venezia al lago di Como passando per Milano; e che quindi la Società non è autorizzata nè a sperare una sovvenzione dal pubblico erario, nè ad opporsi ad altra linea che con diversa direzione fosse quindi condotta al detto lago di Como.
Perchè il signor Volta potesse pubblicare il programma d’associazione occorreva che il governo indicasse la cassa dello Stato in cui doveasi versare l’anticipazione preallegata del 25 per %, e determinasse le modalità del deposito e della restituzione. Il governo di Lombardia pertanto, con dispaccio del 6 luglio 1844, comunicò al Volta un estratto di nota di S. E. il presidente della Camera Aulica a S. A. I. e R. il vice re arciduca, nel quale sono prescritte queste regole: 1.° Il versamento del detto 25 per % d’ogni azione a cautela dell’impresa sarà investito nella cassa di deposito del fondo d’ammortizzazione dell’I. R. monte del regno Lombardo-Veneto.
2.° Eseguito il pagamento dagli associati, verrà loro dal cassiere rimesso il certificato interinale, ad essi intestato, colla ricevuta del fondo versato, presente il signor Volta o suo procuratore.
3.° Il signor Volta dovrà provvedere prima quella cassa dei detti certificati, da lui sottoscritti, onde siano come sopra rimessi all'atto del versamento.
4.° Per la legittimazione delle parti, il signor Volta rimetterà loro degli assegni corrispondenti alle indicazioni dei detti certificati, coi quali assegni si presenteranno i soscrittori alla cassa pel versamento, onde avere il certificato.
5.° La forma degli assegni è ad arbitrio del signor Volta, tenuto però ad indicarvi il numero del certificato corrispondente, il nome dell’azionista, il termine fissato alla durata dell’assegno.
Questa indicazione ultima è necessaria, perchè gli associati non ritardino troppo lungamente il pagamento.
6.° La cassa, coll’osservanza delle cautele prescritte, accorderà l’interesse del 3 per % sulle somme depositate, in ragione d’anno, dal dì del fatto deposito sino a quello della seguita restituzione.
7.° Rispetto a questa, due possono essere i casi: — I.° Quello in cui l’associazione abbia riuscito per intero, e quindi siasi la società anonima costituita; — 2.° Quello opposto. — In ambo i casi la restituzione avrà luogo un mese dopo il seguito diffidamento dell’occorso evento.
8.° Nel primo caso, la restituzione sarà fatta alla società, in ragione di lire 100,000 per ogni settimana successivamente; e così di lire 400,000 al mese sino al fine.
9.° Nel secondo caso, sarà fatta ad una deputazione, eletta a tal fine dagli interessati, contro ricevuta e restituzione del certificato in ragione di lire 150.000 per settimana, e così di lire 600,000 al mese sino al fine. La deputazione dovrà poi distribuire agli interessati suddetti il danaro restituitole dalla cassa, sì in capitale, che in interessi.
Col sopra citato dispaccio governativo del 6 luglio 1844 il signor Volta fu invitato a presentare il programma per la sottoscrizione delle azioni, con un modulo delle cedole interinali, in cui fossero comprese le accennate indicazioni, ed il governo si riservi» di provvedere per l'approvazione. Conformossi il Volta al precetto nel successivo agosto ma il governo diffidò il concessionario, che non sarebbe dato corso alla pratica se prima non veniva decisa la causa pendente davanti ai tribunali civili tra esso Volta ed il signor Antonio Grassi intorno alla competenza dell'ottenuto privilegio del 28 luglio 1837.
In fatto nell’intervallo dei prima narrati casi il signor Volta avea pensato che, profittando dell’approvazione del progetto esecutivo già ottenuto, avrebbe potuto principiare i lavori, se avesse l'occorrente fondo. Però ai primi di gennaio 1844 gli si era presentato il signor Antonio Grassi suddetto di Milano, richiedendolo della cessione del privilegio. Volta accettò la proposta, e rilasciò al Grassi una lettera del 12 detto mese di gennaio, colla quale impegnavasi in proposito. Nacque quistione se codesta lettera obbligasse definitivamente il Volta, e sulla contemporanea prestazione del convenuto corrispettivo. Una sentenza del Tribunale d'Appello, confermata dal supremo Senato di Giustizia nel gennaio 1845, risolvette la pendenza ne' seguenti termini, che sono quelli identici della lettera del Volta già citata, del 12 gennaio 1844.
"Essere tenuto il Volta a consegnare al Grassi l’originale partente di privilegio del 27 luglio 1837, con tutti i vantaggi, oneri e dritti del privilegio medesimo; il tronco di essa strada già eseguito; non che gli accessorii descritti nella lettera, e ciò contro il simultaneo pagamento per parte del Grassi da farsi nell'atto della consegna, come sopra, della somma di lire austriache 550,000, e contro l’offerta e corrispondente obbligo del Grassi di concorrere all’atto medesimo col Volta, al relativo istromento da rogarsi da un notaio al Volta beneviso, a norma e di conformità al suddetto contratto di compra e vendita risultante dall'accennata lettera 12 gennaio 1844; non che contro l’obbligo di concorrere all’atto medesimo col Volta a combinare, per mezzo di detto notaio, i patti che assicurino la più pronta e lodevole costruzione della strada, e le indennizzazioni da farsi ai proprietari dei terreni ed acque che venissero danneggiati colla strada medesima; mantenendo esso Grassi la linea approvata dal governo, salvo però tutto quanto nell’interesse del pubblico, o privato trovasse l’autorità medesima di esigere, ordinare o concedere, variare, modificare, o come meglio; riservati al Volta gli onori che siano inerenti alla strada stessa, e che non riescano in pregiudizio del Grassi; non che (pel caso che per cessioni o convenzioni con altro, la detta linea venisse allungata più d'un miglio e mezzo) il guadagno» che da tale cessione o convenzione si ricavasse; e riservata al Volta, stabilita che il Grassi avrà la società, la facoltà, pel termine di tre mesi successivi all’emissione delle azioni, di averne tante quante ammontino al complessivo valore di lire austriache 2,200,000 da conteggiare al pari, non che tanto quante ammontino al complessivo valore di simili lire austriache 300,000 al 5 per % di premio, cogli oneri e dritti degli altri azionisti di tale società; e ciò tutto nel senso della succitata lettera contrattuale del 12 gennaio 1844 90".
Il Grassi domandò l’esecuzione della sentenza, ritenendo obbligatoria la consegna del privilegio contro il simultaneo pagamento delle lire austriache 550,000, rimandando ad accordi futuri la prestazione degli altri corrispettivi. Il tribunale di Como rispinse la domanda del Grassi, perchè non appoggiata alla cosa giudicata; ed egli, reputandosi gravato, ricorse al tribunale d'appello, indi al supremo senato, i quali mantennero la prima sentenza di questo. E siccome nelle condizioni non sono d’accordo le partì, si fa nuova lite per stabilir quelle; ondechè rimane sospesa ancora la costruzione della divisata strada.
Queste erano le notizie raccolte a Milano da persone bene informate, che ce le favorivano, a tutto maggio scorso; e certo è a desiderare di veder risolta prontamente la vertenza, onde non sia ulteriormente protratta un’opera che debbe risultare così profittevole il commercio della Lombardia colla Svizzera e colla Germania.
Vuolsi che il signor Grassi non sia che il mandatario della ditta Arnestein-Escheles di Vienna, proprietari della strada da Milano a Monza, i quali acquistarono il privilegio del Volta al solo oggetto di prolungare la loro strada da Monza a Como.
Ora ne rimane a discorrere pure delle vicende della detta strada da Milano a Monza, la prima che siasi posta in esercizio nel Regno Lombardo-Veneto, onde compire la serie delle notizie da noi raccolte su tale argomento.
Il privilegio per la costruzione, di quella strada fu conceduto alla ditta Holzamer e comp. di Bolzano, rappresentata dal nobile signor De-Putzer: il permesso d’eseguire gli studi è del 26 aprile 1838.
Le spese di costruzione e del materiale d’esercizio furono preventivamente calcolate nella somma di lire austriache 1,680,000.
La strada è lunga metri 12,870. 70.
Il signor de Putzer ne appaltò la costruzione e l’allestimento, all'ingegnere milanese Giulio Sarti per la somma, tra essi convenuta, di lire austriache 2,000,000. Poi vendette la strada ed il materiale d’esercizio alla ditta Arnestein-Escheles di Vienna per la somma di lire austriache 2,600,000; e questa dovette inoltre spendere altre lire 400,000 nel materiale d’esercizio, il quale era insufficiente. Cotesta ditta, come si è già detto, pose in commercio 1,200 azioni da lire 3,000 cadauna, eguali a lire austriache 3,600,000, e le dette azioni nell’aprile del 1840 furono spinte sino al 240 per% per speculazioni di aggiotaggio. Ma il governo intervenne, e costrinse, come già si è detto pure, la ditta preallegata a ritirar quelle azioni, perchè non ne era stata permessa l’emissione; in oltre sempre rifiutò d’annuire alla domanda d’istituire una società anonima, a cui venisse ceduta la proprietà della strada ed il relativo privilegio.
La strada di Monza venne aperta a pubblico servizio il dì 18 agosto 1840. Essa appartiene tuttora alla ditta suddetta Ernestein-Escheles.
L’annua rendita lorda d’essa strada è di lire austriache 360,000. Sono ignote le spese d’esercizio, essendone l’amministrazione affatto privata.
Paragonando questa strada ad un solo corso di ruotaie, sufficiente, attesa la sua brevità, a quelle vedute fuori d’Italia, scorgesi assai male eseguita, e molto incomoda pei continui risalti provenienti dall’inesatta armatura; ed inoltre notansi assai disagevoli le vetture, sicché giova sperare che non serva d'esempio alle future strade ferrate italiane.
Assai tardo inoltre resulta il corso de’ convogli lungo detta via, per modo che, a confronto degli altri da noi veduti, neppur direbbersi mossi da locomotive; la qual cosa però vuolsi che sia prescritta per cautela di sicurezza.
Esposte le vicende e le condizioni delle tre strade già concedute nel regno Lombardo-Veneto, ci rimane ora a far parola delle estensioni ch’esse potrebbero ancora ricevere; delle modificazioni che potrebbero ancora farsi alle direzioni di quelle tratte che non sono eseguite, e degli effetti che possono presumersi da tali variazioni. Nel progetto di massima della strada Ferdinandea dall’ingegnere Milani compilato, approvato dalla Direzione della società lombardo-veneta, come dall’autorità superiore governativa, la linea che scorrer debbe tra Brescia e Verona, invece di volgere, come la strada regia ordinaria, direttamente a questa città, toccando Lonato, Desenzano e Peschiera, sulle sponde del lago di Garda, in siti ameni e popolatissimi d’uomini attivi ed industriosi; devia per Castiglione delle Stiviere e Villafranca, onde correre, a quel che pare, in siti più piani, è per avvicinarsi forse maggiormente alla città di Mantova, fortezza importante, dalla quale così più poco dista 91
Nel rispetto della sua popolazione e del suo traffico, come forse per motivo strategico, certo conveniva che la strada medesima avesse una, se non diretta, almeno prossima relazione colla detta città.
Codeste considerazioni assai gravi sembrano però potersi ugualmente rispettare, senza allontanarsi dalle sponde del detto lago. Perocché la navigazione a vapore, ivi già stabilita, porterebbe un più gran numero d’avventori e di merci alla nuova strada, dalle fiorenti sponde del lago medesimo, e dalla vicina strada del Tirolo, mentre la linea condotta su quelle rive a Peschiera, Desenzano e Lonato fino a Brescia, da dove in vece vorrebbe farsi deviare, poi sino a Chiari, continuerebbe per Treviglio a Milano nella proposta direzione.
Dal detto luogo di Chiari inoltre si vorrebbe deviare un’altra linea diretta a Lecco sul Lario, intersecando ad angolo retto la linea che da Monza si vorrebbe pure protendere sino a Bergamo.
Questa città poi, in vece di raggiungere la via Ferdinandea verso Treviglio, come vuolsi divisato, la raggiungerebbe a Chiari, con il predetto tronco particolare, il quale verrebbe al suddetto punto d'intersecazione, sicché da una parte per Monza si andrebbe a Milano, dall'altra per Caprino a Lecco, e dall’ultima a Chiari.
La maggior spesa di cotesta nuova linea aggiunta sarebbe certo abbondantemente compensata dalla minore distanza che vi sarebbe da Venezia a Lecco, dove trovasi la gran strada, che va a Riva ed a Chiavenna, onde alle alpi dello Spluga, per cui il transito dall’Adriatico alla Svizzera ed alla Germania meridionale sarebbe assai vantaggiato da una maggiore brevità.92 Cotesto progetto ci sembra d’una utilità così evidente, nel rispetto economico, che noi non esitiamo ad approvarlo, sembrandocene opportuno il momento. Perocché, siccome si stanno ancora compilando e discutendo i progetti particolareggiati da Chiari a Brescia, fintanto che ottengasi la decisione dell'autorità superiore cui essi furono rassegnati, è possibile introdurre nel progetto di massima la discorsa variazione.
Un’altra ancora ne venne proposta, la quale a noi pare egualmente utilissima, perchè raggiunge lo scopo che si avea forse in mira col deviare da Brescia, per Castiglione delle Stiviere e Villafranca, la strada Ferdinandea: d’avvicinarsi cioè a Mantova; e sarebbe di derivare da Peschiera un’altra linea, la quale venisse per Roverbella a quella città direttamente 93.
L'aumento di spesa che ne resulterebbe ci sembra pure doversi compensare forse colla maggiore concorrenza di persone e di merci che potrebbero per detta linea particolare venire alla strada Ferdinandea, verso la quale le popolazioni ed i prodotti del Modenese, del Parmigiano e del Piacentino, come delle province lombarde, in quella direzione situate, arriverebbero più facilmente convenendo a Mantova, dove troverebbero l'anzidetto tronco conducente a Peschiera.
Ancora; un’altra giunta o ramo sarebbesi ideato nelle province lombarde, vogliamo dir quello che dal passo del Po a Piacenza, ove terminerebbe la linea di cui parleremo nel seguito ai capitoli 6.°, 7.° e 8.°, proveniente da Ancona per l'Emilia, il Bolognese, gli Stati estensi e parmensi, arriverebbe per Casalpusterlengo, Lodi e Melegnano alla città di Milano, la quale avrebbe così due grandi linee da essa dirette verso l'Adriatico ai punti di Venezia ed Ancona. L’una, tutta interna, senza uscire dal Regno Lombardo-Veneto; l’altra, per gl’indicati Stati di Parma; Modena e pontificio, chiamati così ad ancora più attive relazioni coll’operosa e ricca capitale insubre 94.
Cotesta linea avrebbe un ostacolo grave assai, nel rispetto però più della spesa che dell’arte. Intendiamo di accennare il ponte da farsi in tal caso sul Po a Piacenza, il qual ponte, costrutto in modo a lasciar libera la navigazione, dovrebbe certamente costare una ragguardevole somma.
Questa difficoltà dapprima costringerebbe forse ad una interruzione della linea al detto passo del Po, con istabilire due servizi separati, di cui l’uno solo venisse a quel punto; l'altro da Piacenza procedesse oltre pe' tre Stati preallegati, coi necessari concerti e cautele di cui faremo nel seguito parola.
L'interruzione sarebbe forse men dannosa quando si adottasse un Porto natante con ruotaie, atto a ricevere i treni disgiunti dalla locomotiva, che li avrebbe sino, alla sponda condotti; e mosso il detto porto, o da una macchina a vapore con esso natante, o da una macchina, pure a vapore od anche idraulica, ma fissa su l'una di esse sponde.
Malgrado questo notevole miglioramento all'attual modo di passare quel fiume, e molti altri non muniti di ponti fissi, vuolsi riconoscere tuttavia, che la mancanza d'uno di questi sul Po a Piacenza, per congiungere le due linee, torrebbe a queste un gran pregio, sia pel maggior tempo occorrente, e sia pure nel rispetto economico della maggior spesa che forse ne deriverebbe ai viandanti ed alle merci; ondechè meriterebbe gran lode quello sforzo e concerto che farebbe superare l’ostacolo, mercè della costruzione d’un ponte stabile sul fiume Po.
Tolta una tale difficoltà, la linea da Milano agli Stati parmensi, estensi e pontifici, i quali hanno frequentissime attuali corrispondenze di persone e di merci con la detta Milano, sarebbe grandemente utile, e perciò può presumersi dover essere forse, se non produttiva quanto la strada Ferdinandea, almeno d’una rendita approssimativamente adequata. Perocché i luoghi per cui passerebbe, tutti assai popolati, e le varie città importanti che essa porrebbe in più pronta continua relazione, somministrerebbero alla divisata via un gran numero di viandanti, e fors'anche un ragguardevole trasporto di merci.
Noi, riservandoci di parlarne ancora più diffusamente al relativo capitolo 8.°, facciamo intanto fin d’ora voti sinceri acciò, superati gli ostacoli, che pur troppo non ci dissimuliamo gravissimi, fors'anche per ora invincibili, finché non prevalgano idee più larghe e progressive, in senso ben inteso però (e senza la menoma lesione de’principi conservatori che ci vantiamo quant’altri di professare), la detta linea possa una volta essa pure attuarsi nella nostra Penisola, la quale avrebbe così nelle sue parti più popolale e più ubertose una compiutissima rete delle nuove comunicazioni.
In tal guisa Milano, cui non può contendersi nell’alta Italia un primato ragguardevole per grandi ricchezze, popolazione ed attività già somma di relazioni personali e di traffico, vedrebbe codesto primato notevolmente crescere ancora in breve, mercè delle indicate varie linee che dalla capitale lombarda partirebbero per scorrere l’intera Penisola.
Siffatto aumento sarebbe poi tanto più grande, se le vie ferrate del subalpino Stato sardo, delle quali parleremo al capitolo 5.°, venissero, com’è spediente, a congiungersi ai varii punti che indicheremo, onde stabilire non interrotte comunicazioni tra Genova, Torino e Milano.
I punti di partenza pertanto da questa città, ommessi per ora quelli provenienti dagli Stati sardi preallegati, di cui parleremo altrove, sarebbero, a parer nostro, i seguenti:
Il primo della gran via Ferdinandea per Treviglio, Chiari, Brescia, Lonato, Desenzano e Peschiera a Verona; indi per Vicenza, Padova e Mestre a Venezia; la qual via avrebbe lungo di essa le due proposte deviazioni; una, recedente da Chiari per andare a Lecco; e da Trezzo poi procedente con altra deviazione per arrivare a Bergamo; — l’altra da Peschiera su Mantova.
L’altro punto di partenza da Milano, per la già fatta strada di Monza, ivi si devierebbe a sinistra verso Como, ed a destra per l’accennato punto di Trezzo, andrebbe a Bergamo, intersecando la suddetta nuova linea proposta da Chiari a Lecco.
Il terzo punto di partenza sarebbe quello diretto per Melegnano, Lodi e Casal-pusterlengo al Po verso il Piacentino, a fine di arrivare alla divisata via degli Stati parmensi, estensi e pontifici.
Le stazioni di partenza e d'arrivo, una già fatta a Porta Nuova, continuerebbe a servire per Monza ed altre delle direzioni sopra indicate. — L’altra già ideata fuori a Porta Tosa, tra essa e l'Orientale, ma non ancora costrutta, servirebbe unicamente alla via Ferdinandea. — L'ultima, per la strada di Melegnano, Lodi e Casal-pusterlengo, potrebbe idearsi e costrursi a Porta Romana.
Questo triplice concetto di separate partenze nelle indicate direzioni pare a noi ad ogni altro suggerito preferibile.
Il secondo specialmente migliorerebbe le attuali condizioni, che diconsi poco prospere della linea esercitata da Milano a Monza.
Senza allungare poi di molto il cammino per Como, avrebbe il vantaggio di ridurre notevolmente la spesa della via per colà decretata, risparmiando circa un terzo della nuova strada da farsi; poiché la tratta da Milano a Monza, cui basterebbe aggiungere una seconda via di ruotaie pello scambio delle direzioni, supplirebbe al detto terzo risparmiato.
Cotesto ordinamento delle suddette linee farebbe inoltre cessare ogni malcontento de’ Bergamaschi, i quali avrebbero, per venire a Milano, una diretta linea; mentre per andare a Brescia ed oltre, avrebbero l’indicata deviazione di Chiari, che per quel punto li porterebbe alla Ferdinandea; e per andare al lago, a Como ed oltre pure., avrebbero anche l’accennato tronco tendente a Lecco, e quello da Monza a Como. Per tal modo l’attiva e così industriosa popolazione di Bergamo e delle sue valli avrebbe un facile, comodo e profittevole sfogo ai molti suoi prodotti.
Quanto al tronco veneto della ridetta strada Ferdinandea, notiamo che di alcune sue diramazioni già venne chiesta la concessione, ed anche, per quanto recenti notizie affermano, questa venne accordata per una linea verso il Tirolo.
Quella da Padova per Monselice e Rovigo andrebbe a Ponte Lago Scuro, dov’è il confine del regno Lombardo-Veneto verso lo Stato pontificio; ivi, passato il Po cogli attuali mezzi, ovvero con quello migliorato, che già indicammo anche pel passo del Po a Piacenza (posciachè ivi non può pensarsi ad un ponte stabile); si verrebbe ad incontrare colla linea che da Ferrara potrebb’essere diretta a Bologna, della qual linea sarà fatta parola al capitolo 8.° Un’altra linea, partendo da Mestre, potrebb’essere diretta su Treviso, dal qual punto potrebbe poi essere rivolta a Trieste.
Finalmente, migliorato che fosse il Porto di Chioggia, com’è possibile, una linea ferrata che da esso partisse, e per Cavarzeri ed Adria venisse ad uno dei bracci più navigabili del Po, sarebbe molto profittevole al traffico avviato per quella via.
La navigazione a vapore stabilita lungo il fiume da Torino a Ferrara, non sarebbe impossibile, quando s’eseguissero alcune opere d’incanalamento che occorrono, specialmente da Torino a Casale, per mantenere il fiume libero da ogni ostacolo sì nelle basse che nelle piene acque; ed immenso beneficio quello sarebbe pel traffico italiano, il quale certamente se ne servirebbe per tutte le merci di gran peso, e delle quali non preme il più pronto recapito. Cosi, per esempio, la canape, il riso ed il cacio lombardo, che prendon la via di Trieste, potrebbero dai varii scali del Po scendere il fiume, e portarsi a Ferrara ed a Goro con facilità ed economia di spesa, per esser quindi condotti all’indicato scalo triestino.
Codesto sistema veneto aggiunto alla già approvata via Ferdinandea, la quale tanto è più avanzata nella sua linea veneta di quella lombarda, andata sgraziatamente soggetta, alle narrate vicissitudini, ci pare molto pregevole e degno d’essere accolto dall’illuminato governo austriaco, con quegli ordini e cautele che esso governo stimerebbe di fissare.
La linea verso Treviso per Trieste essendo parte di quella che già notammo volersi probabilmente avere anche nel rispetto strategico dal governo medesimo, non sembra dover trovare in questo alcuna difficoltà.
E quanto alle altre due linee da Padova a Ponte Lago-Scuro, e da Chioggia al Po, malgrado il dubbio di veder per ora protratta poi la prima nello Stato pontificio, attesa l’ivi notata ripugnanza ad accogliere il nuovo sistema di comunicazioni, pare a noi tuttavia che sarebbe convenientissima, sia perchè quella linea avvicina contrade popolatissime, sia perchè, ambo mettendo al Po, debbon dar vita alla navigazione su quella grande arteria italiana, della quale, come già notammo, ora non traesi tutto il possibile partito. Riepilogando ora il sin qui detto rispetto alle strade ferrate già attuate, ed ancora decretate od ideate soltanto nel regno Lombardo-Veneto, ne emergono queste più sommarie indicazioni ed avvertenze.
1.° Venezia, grandemente decaduta dal primiero splendore, e fatta, da ricca, misera del tutto, venne dal nuovo suo governo e dall'illuminato patriottismo d’alcuni suoi cittadini richiamata a vita novella. Il porto franco concedutole restituiva qualche attività al traffico di mare. L’opera grandiosa della diga marmorea di Malamocco meglio assicura il ricovero degli approdanti. La colossale opera del ponte sulla laguna, congiungendo Venezia alla terra-ferma, compierà il pieno suo risorgimento, Perocché la detta unione faciliterà ogni speculazione di commercio sì interno, che estero allo scalo veneto.
2.° Milano e la Lombardia, dopo aver avuto altre volte fiorente industria sì agricola che commerciale, durante il dominio spagnuolo, non d’altro occupato che di smungere quelle terre ubertose, opprimendone le svegliate ed attive popolazioni, esse pure decaddero a segno, che al finire del secolo XVII ed al principiare del XVIII la terra lombarda, da guerre incessanti d’altronde desolata, come dalle pestilenze e dalle epidemie, presentava l’aspetto della più estrema miseria. Ma cessato, la Dio mercè, quel dominio letale, e succedutone un altro più castigato e paterno, sebbene pur forestiero, fino dal principiare del secolo scorso esse altresì risorgevano; se non che la prima soltanto di quelle due industrie fioriva, mentre l’altra appena dall’esordio del corrente secolo prese un notevole avviamento. E certo questo debbesi in gran parte all’ottima sistemazione delle strade ordinarie, le quali da abilissimi ingegneri fatte costruire e mantenute, nel cessato regno d’Italia, come dopo il tornato dominio austriaco, da cui costituivasi il regno Lombardo-Veneto, potevano e possono altrui servire d’esempio.
3.° La novella maniera d’ordinare le comunicazioni, mercè delle vie ferrate, dovea naturalmente mostrarsi applicabile al regno suddetto, specialmente collo scopo d’avvicinate il primo scalo marittimo, e la seconda città d’esso regno alla sua prima capitale, comprendendosi come Milano e Venezia, congiunte con poche ore di cammino, avrebbero dovuto grandemente-vantaggiare i rispettivi traffici a vicenda.
4.° Se i primi autori del divisamento d’aprire una via ferrata tra Venezia e Milano furono certamente mossi dal pensiero, altrove mandato con buon successo ad effetto, di tentare una profittevole speculazione bancaria, non è men vero però, che l’idea loro trovò favore nell'universale, perchè la coscienza del maggior numero sentiva l'utilità dell’assunto.
5.° Quindi è che, non solo le autorità municipali assentivano al progetto; ma le stesse autorità superiori cui appartiene conoscerne e giudicarne si mostrarono ad esso propense; nè, dopo avere studiato l'affare, denegarono quella protezione efficace, che sola potea farlo procedere a seconda del bisogno.
6.° Compilato da valente ingegnere il progetto di massima, e costituitasi la società, da alcuni notabili fondatori, perchè potesse la società medesima operare legalmente, ricorrevasi all'approvatone governativa, la quale dalla sovrana autorità con premura venne conceduta.
7.° È da lamentare però, che fin dal primo esordio l’impresa, da pochi considerata come un assunto italiano di pubblica utilità, fu dal maggior numero de' partecipanti riguardata come una speculazione di Borsa da tentarsi utilmente, atteso il preveduto aumento del valore al corso delle azioni.
8.° Quindi gli scandali dell’aggiotaggio e del giuoco che lo alimenta; quindi le sempre succedenti crisi di quelle operazioni di credito più fittizio che reale; quindi lo scoraggiamento dei perdenti al giuoco, onde il discredito ed il grave pericolo di veder tornare fallita l’impresa, con immenso pubblico danno, con disdoro del paese.
9.° Il governo, veduti gl’inconvenienti della speculazione privata, in cui s’era troppo insinuato il giuoco, saviamente arrivava a comprendere che difficilmente essa avrebbe potuto riuscire nelle imprese di grandi linee di vie ferrate, e che per conseguirne gl’incontrastabili vantaggi, era spediente ed opportuno il soccorso e l’opera del pubblico erario e de' suoi ufficiali. 10.° Quindi con provvedimento legale il principe decretava le linee di Stato, il maggior numero delle quali assumeva di far eseguire a carico d’esso, mentre per le altre, concedute a forma di privilegio attribuito a' privati od a società, riservavasi di farle terminare a proprie spese, quando per difetto di mezzi non avessero i concessionari potuto compierle, salvo a rimborsar loro le spese prime.
11.° La società della via Ferdinandea non tardava ad avere necessità dell'applicazione a suo riguardo del provvido e paterno decreto. Chiamato il sussidio governativo, se ne concedeva il benefico affidamento; questo solo bastava a far risorgere il credito dell'impresa; ma le azioni d’essa, nuovamente poste al giuoco, tornate in pregio con largo premio, uscivano quasi tutte d’Italia.
12.° Allora in vece gl’italiani avrebbero dovuto procurare di conservare nella Penisola le azioni; e, postochè le medesime presentavano in fin di conto un sicuro e discreto collocamento, non avrebbero più dovuto cederle ai banchieri esteri, ed, unicamente occupati di mandare a termine l’opera, avrebbero dovuto cercare di sollecitare la pronta compilazione de’ progetti definitivi e l'approvazione loro per tosto curarne l’esecuzione.
13.° Nella sezione veneta questo scopo era in parte raggiunto; in quella lombarda sgraziatamente non ne succedeva altretanto; ossia che lo spirito di municipalismo vi fomentasse le seguite gare, o sia che lo scarso numero degli azionisti poca premura potesse aver per l’impresa, o sia che il concorso di varie circostanze la rendessero sempre tarda ed anche periclitante; fatto sta, che la gestione d’essa non procedeva con quell’attività ed energia di provvisioni, che pur era necessaria all’uopo.
14.° Allora il maggior numero degli interessati esteri ricorreva al governo, perchè con un più diretto suo intervento soccorresse all’assunto, onde mandarlo a termine; procurando cosi di renderlo produttivo per coloro che vi avevano investiti i propri capitali.
15.° Se debbesi lamentare che l’impresa, probabilmente a seguito di tal domanda disciolta, cessi dall’essere, come pur avrebbe dovuto una speculazione italiana, nell’interesse dell'universale, poiché gli è quello l’unico spediente atto a compir l’assunto, è forza desiderare che venga L’istanza, d’altronde all’equità non contraria, accolta.
16.° Fin qui della via Ferdinandea; un’altra pure ideata da Milano a Como, e conceduta ad un privato, benché di più facile esecuzione, non era più felice. Le contestazioni litigiose insorte tra il primo concessionario ed il suo rilevatario, faceano sospender l’opera, e l’ordinamento istesso della società che l’avrebbe dovuto assumere; sin visto l’esito della vertenza, la quale tuttora pende avanti i tribunali. E lecito sperare che, composta la lite o definitivamente risolta da ultimo giudicato, possan gli uni o gli altri attuare l’impresa.
17.° Un’altra concessione fu accordata ed attuata da Milano a Monza, e sebbene dapprima essa venisse valutata a somma di cui si poteva sperare frutto adequato, cresciuto il valore ideale dell’impresa, questa di poi cedevasi ad un prezzo cui si suppone non sia la rendita adequata. Codesta speculazione men buona adunque si potrà tuttavia migliorare quando estesa quella linea verso Bergamo e verso Como nel modo accennato, si potrà così procurarle un ben maggior numero d’avventori.
18.° Quantunque debbasi lamentare il ritardo frapposto alla compilazione ed approvazione de’ progetti particolareggiati; tuttavia, postochè esso è seguito, trovasi un compenso nell'opportunità di rettificare mercè di alcune varianti ed aggiunte, la linea proposta dall’ingegnere Milani nel suo progetto di massima. Queste varianti ed aggiunte sembrano consigliate dal pensiero:
1.° Di meglio far corrispondere l’intera linea inferiormente a Chiari, e specialmente dallo scalo veneto, col lago di Como, d’onde alla Svizzera ed alla Germania meridionale sarà facilitato il transito.
2.° D’assicurare alla città di Bergamo, così importante pe’suoi traffici, una più facile e più diretta corrispondenza con Milano e colla linea Ferdinandea intera, inferiormente al detto punto di Chiari.
3.° Di meglio accostarsi al lago di Garda colla proposta variante di direzione da Brescia a Verona, onde accrescere il numero degli avventori, che certo, da quelle rive e dalla vicina strada del Tirolo verrebbero.
4.° Di procurare, colla giunta proposta da Peschiera a Mantova, una più diretta comunicazione di quella fortezza colla via Ferdinandea, con profitto altresì -delle altre province che ne sarebbero più lontane verso quella parte.
5.° Di congiungere il termine di quella linea (Mestre) collo scalo di Trieste, onde assicurare così le comunicazioni in modo non interrotto da Vienna a Milano.
6.° Di congiungere ugualmente la detta linea via Ferdinandea collo Stato pontificio da Padova a Ferrara, ed atteso lo sperabile vantaggio della navigazione sul Po, non solo di procurare che la linea da Padova a Bologna intersechi a Ferrara il gran fiume, ma con altra breve tratta aggiunta da Chioggia alle foci meglio navigabili del Po verso Ferrara, pure accrescere il concorso delle merci a quel punto.
7.° Finalmente di porre Milano in relazione diretta colla via che pegli Stati parmensi, estensi e pontifici debbe condurre allo scalo d’Ancona, e col tempo fors’anche da esso; o frattanto da Bologna alla Toscana, a Roma ed a Napoli; congiungendo altresì le partenze da Milano per le direzioni finora accennate con altre linee che toccassero a quelle degli Stati.
Mercè di questi divisamenti e di quelli di cui sarà fatto parola al cap. 5.°, concernente agli Stati sardi, non vi ha dubbio che il traffico sì estero, che interno del regno Lombardo-Veneto avrebbe un notevolissimo incremento, il quale tutto intero tornerebbe a suo profitto, e dell'universale interesse della Penisola. Nè, conoscendosi come sia illuminata l'amministrazione austriaca, è lecito dubitare ch'essa concorra coi potenti mezzi de' quali può disporre, a meglio facilitare il buon esito del proposto assunto, e certamente essa vi è pure interessata, poiché, accrescendo viepiù la prosperità di quelle più ricche province dell’impero, aggiugne alla potenza di questo forza maggiore.CAPITOLO III.
Strade ferrate già decretate ed in corso d'esecuzione da Trieste a Vienna d'Austria ed al regno Lombardo-Veneto.
Trieste, modesto borgo or ha poco più d'un secolo, fatto già di presente ricchissimo emporio del commercio europeo, credesi per le strade ferrate esso pure chiamato ad un’ancora crescente prosperità. Nè per la risorgente fortuna dell’antica Vinegia ci sembra correre alcun pericolo quello scalo, come vollero insinuare alcuni gretti pensatori.
Le rispettive speculazioni cui possono, attendere i due scali, veneto, e triestino, ci paiono infatti così distinte, che, lungi dal nuocersi l’un l'altro, debbono a vicenda giovarsi, con facilitare le relazioni che dall'Oriente per l’alta e bassa Italia alla settentrionale Germania ed alle province slave possono viepiù avviarsi, mercè del più facile scambio dei reciproci prodotti.
La Strada Ferdinandea Lombardo-Veneta, che mette a Venezia, e la breve tratta marittima che separa i due porti, superata colle navi a vapore in poche ore, assicurano all’emporio triestino più facili, più sicure e men costose relazioni tra i suoi trafficanti e quelli dell'alta, come della bassa Italia e del Levante.
La strada poi ora in costruzione, entro a pochi anni compiuta, fra Trieste e Vienna d’Austria, promette al detto porto una gran somma di relazioni, commerciali dirette non solo con tutta la Germania, cui le altre strade austriache porgono facile accesso, ma ben anche colle province slave anzidette, mercè delle altre vie ferrate boeme, ungare e polacche, dal governo austriaco fatte costrutte per conto proprio o concedute a società private con un'alacrità ed un ardire illuminato veramente lodevole.
Posto così in immediata e diretta relazione cogli empori più ragguardevoli che giacciono sul mare del Nord, e colla grande arteria germanica del Danubio, chiamata essa pure a così, attive future relazioni coll'Oriente, il porto di Trieste si vedrà fatto centro d'un traffico ben più esteso di quello attuale, che pure già è ragguardevolissimo.
Nè può nascere, ripetesi, alcun timore che gli altri porti italiani, crescendo in prosperità, mai vengano pur essi a pregiudicarlo. Perocché anzi le crescenti speculazioni degli uni e degli altri a tutti daranno nuovo e progressivo elaterio, dal quale per certo deriverà la comune ricchezza.
E così debb’essere infatti d’ogni scalo della Penisola intera, ripetiamolo pure ancora; poiché, come già si è più volte notato, il commercio tende a riprendere le antiche, sue vie, e l’Italia un'altra volta debbe tornare ad esser centro e primo scalo al gran traffico, ch’erasene dipartito, se i suoi reggitori ed i suoi abitanti sapranno coglierne l’occasione.
Le presenti condizioni del commercio di Trieste col Levante, ordinate con un navilio nazionale che attivamente concorre, con quelli esteri, già salirono a notevole prosperità. I nuovi mezzi di comunicazione sopra indicati singolarmente abbreviando le distanze agevoleranno ogni speculazione, e quello scalo sarà fra non molto costituito il primo emporio dove l’Europa settentrionale trafficherà ooll’universale.
Vuolsi per anco notare che la posizione di Trieste, oltre ad essere felicissima pel commercio dell’Oriente colla detta parte d’Europa, mercé delle agevolate comunicazioni provenienti da essa, lo sarà del pari pel commercio di lei colle Antiglie e col continente americano meridionale, quando le ideate intersecazioni dell'italiana penisola concederanno di giugnere più-brevemente dall'Adriatico al Mediterraneo, ed ai punti di questo più vicini all'Oceano, onde si va a quella parte del nuovo Mondo.
Trieste, unito cosi, per le vie di Venezia, de1 Po e d’Ancona agli scali di Livorno e di Genova, come spiegheremo nel seguito, avrà prontissime relazioni coi principali emporii dove segue il maggior trafficò, che il nuovo mondo è chiamato a conservare, non ostante l’accennata rivoluzione, per cui ritorna il commercio orientale alla primiera sua direzione.
Sarà quindi quell’emporio fatto centro dove convergeranno, quante alla settentrionale Europa, le speculazioni del nuovo e dell’antico commercio. Rispetto al congiungere la strada ferrata da Vienna a Trieste con quella Ferdinandea Lombardo-Veneta, in altro modo che colla navigazione del trattò di mare ond’è separata la laguna dallo scalo dell’Istria, e ciò mercè della diramazione d’una linea che scorra da Padova-a Trieste per Treviso: se si eseguisse da una speculazione privata soltanto, forse ne sarebbe dubbia la convenienza. Ma questa ci pare siavi intera pel governo austriaco nell'aspetto politico e strategico. Per la qual cosa presumesi che quell'illuminato governo non tarderà ad attuare egualmente siffatta comunicazione, come quella che da Vienna d’Austria per una linea non interrotta di vie ferrate brevissimamente condurrà alla ricca ed importante Milano, la quale può chiamarsi la seconda città dell’Impero austriaco.
Le accorte disposizioni che già vedemmo date dal governo imperiale per dotare lo Stato intero d’una compita rete di strade ferrate, assicurano che non sarà ommesso il congiungimento delle due linee preallegate, quantunque questo possa già seguire colla detta brevissima navigazione di poche ore. Perocché questa, sebbene sia più sovente facile ed economica; attese le frequenti fortune di mare del golfo triestino, potrebb tuttavia talvolta ancora presentare l'inconveniente d’un ritardo e di qualche pericolo nelle relazioni tra Vienna e Milano95.
La natura delle speculazioni commerciali cui è chiamato l’emporio triestino è, come facilmente comprendesi, quella d’un immenso traffico di commissione, mercè del quale ivi s'opereranno gli scambi de’ prodotti delle une con quelli delle altre contrade aventi relazioni per detta via. E niuno ignora di quali ingenti e sicuri profitti sia perenne sorgente siffatto traffico, purchè venga regolato con norme illuminate e facili a praticarsi, non ommesso il sussidio di larghe poste di capitali; onde i trafficanti siano in grado di operare le convenienti anticipazioni, le quali, fatte a tempo, rendono profittevoli le! speculazioni: e quando non sia trascurato del pari il soccorso d’un navilio nazionale che possa coll'estero concorrere, mercè d'abbondanti ed economici trasporti.
Coteste diverse esigenze sembrano essere a Trieste ormai assicurate.
Ivi difatti, oltre ad una numerosa quantità di navi ordinarie, vediamo la società del Lloyd austriaco avere più di venti battelli a vapore i quali assicurano prontissime le relazioni coll'Oriente, e sono preferiti, come già vedemmo, agli stessi battelli francesi ed inglesi pella maggiore rapidità di quelle relazioni in certe direzioni.
Cotesta rapidità ben intese disposizioni delle leggi sanitarie rendono viepiù assicurata, senza menomamente esporre la pubblica salute, premunita ugualmente dalle provenienze sospette col non protrarre oltre modo le cautele necessarie al proposito.
Tutte le facilitazioni sono procurate al commercio di transito, il quale tanto arricchisce i luoghi dove segue, coi salari ed altri utili delle anticipazioni fatte dagli speditori.
Capitali ingentissimi vengono tuttodì impiegati nell’assicurare il cauto ricovero d’ogni merce o derrata, cui tocchi d'ivi aspettare opportuno ed utile scambio.
Dritti minimi sono, imposti per le spese d’ostellaggio, di deposito, di camallaggio ed altre; alle quali spese è noto come i trafficanti debbano avvertire ne' cómputi loro quando ad essi occorre di speculare sopra qualche spedizione.
Le discipline doganali, sebbene in gran parte ancora regolate nell*austriaco impero col sistema di protezione esagerata, soventi volte eguale alla proibizione, sembrano gradatamente volgersi, però a più liberali principi alla quale nuova tendenza certamente riuscirà di grande vantaggio al traffico sì locale, che di tutto l’impero; perchè meglio faciliterà lo scambio delle sue produzioni superflue, dacchè tale scambio prospera là solo dove è più libera la concorrenza.
Questa vuolsi presumere grandemente cresciuta quando l’Impero medesimo venga pure aggregato alla lega doganale germanica, come succederà forse col tempo, tanta pur n’è la rispettiva convenienza. Perocchè non è difficile comprendere come sarebbe ai traffici vantaggioso il poter percorrere; tutta l’immensa distanza che separa Trieste da Danzica e da Amburgo, esso pure un dì o l’altro allo Zollwereinh riunito.
Finalmente, scuole eccellenti di navigazione e di commercoo vengono a Trieste aperte, dove si educano abili navigatori ed illuminati negozianti, i quali saranno la maggiore cautela alla prosperità viepiù crescente di quell’emporio,
In somma, stringendo in più brevi parole il nostro discorso rispetto all’emporio suddetto, può dirsi ch’esso già è di presente ad ottima condizione avviato; e che questa condizione presumesi viepiù chiamata a smisurato incremento, mercè delle più facili, più pronte e meno costose relazioni, che assicureran fra non molto le vie ferrate già decretate ed in corso d’esecuzione, come quelle altre che il governò solerte ed illuminato non ometterà per certo di aprire ancora onde rendere compiuta l’opera sua.
CAPITOLO IV.
Strade ferrate già attuate, in corso esecuzione, decretate, o divisate soltanto in Toscana ed a Lucca.
La Toscana fu ricca altre volte di capitali accumulati dai numerosi suoi speculatori e dagli industri suoi manifatturieri, dapprima all’arte della lana, più tardi anche a quella della seta specialmente applicati.
Codesta contrada vide nel medio evo le sue navi portare oltre mare dal Porto Pisano i prodotti de’ suoi opifici, scambiati colle ricche produzioni dell’Oriente.
Pisa e Firenze avevano allora in ogni parte d’Europa fondachi e fattorie, dove trafficavamo i capitalisti ed i fabbricanti loro.
Ma le intestine discordie surte in ogni città, le ire municipali che l'una contro l’altra muoveano a guerre incessanti; le rivalità sanguinose con Genova e con Venezia successivamente impoverirono la Toscana intera, fatta poi serva d’un suo cittadino, il quale a tutti soprastava per ricchezza e per artificiosa politica.
La caduta delle toscane repubbliche era contemporanea della cessazione d’ogni traffico in esse; laonde i capitali fuggirono ed alla primiera operosità mercantile succedettero l’ozio improduttivo e molta miseria.
Intanto aggravavasi siffatta lamentevole condizione di cose dal mal esempio de’ vizi che quei principi porgevano ai sudditi; chè se la stirpe medicea d’ogni bell’arte e delle scienze come delle lettere fu illuminata proteggitrice, non fu certamente maestra d'alcuna virtù.
Uno di que' prìncipi tuttavia esperto nella scienza di governo, senti come fosse necessario a quello Stato un altro scalo marittimo più atto a farvi rinascere qualche traffico.
Livorno, prima modesto, villaggio peschereccio, era da lui creato Porto-Franco ed i molti privilegi concedutigli tosto vi chiamarono trafficanti d’ogni nazione,.
Successivamente viepiù favorito, quell'emporio cresceva in estensione, in popolazione ed in ricchezza specialmente, quando, per somma ventura della Toscana, un’altra stirpe di principi di specchiata virtù succedeva ai Medici, per opposte tendenze affatto degeneri.
Il gran Leopoldo chiamò la Toscana a nuova prosperità morale e materiale, con farvisi promotore d’ogni onesta ed utile disciplina. Praticandole vere dottrine della scuola economica italiana, esso fondò il proprio governo sui savi principi d’una tolleranza illuminata e della vera libertà civile e commerciale.
Livorno, dove questi principi erano applicati al commercio generale, singolarmente viepiù cresceva i propri traffici; e quantunque mancassero nella Toscana gli antichi capitali, tuttavia quelli esteri sopragiunti colà favorivano nuovamente la produzione.
Durante l’invasione straniera e la guerra continentale, che desolò l’Europa al principio del secolo, Livorno vide esso pure, com’ogni altro scalo marittimo, deserto il proprio porto. Lo squallore e la miseria, da una letale pestilenza ancora aggravati (la febbre gialla del 1804), minacciavano quella città d’intera rovina; perocché gli speculatori esteri colà andati a trafficarvi o eransi rovinati, o fuggivano portando seco ogni loro avere.
Ma tornati nel 1814 all’avito dominio gli ottimi principi e confermati a Livorno gli antichi favori, risorgevano in quell'emporio le utili speculazioni, ed il traffico col Levante in ispecie fruttava molti guadagni.
Quando prendevano avviamento le strade ferrate, gli speculatori toscani, tosto sentirono come fosse necessario a Livorno il servire di scalo ad una di esse, onde meglio potessero colà avviarsi e riceversi gli scambi de’ prodotti della Toscana, non che della Penisola intera con quelli che d*oltre mare derivano.
Se non che era grave ostacolo all’assunto il difetto di capitali; laonde per molti anni l'utile idea fu ristretta ad tino sterile voto, e nulla più.
Intervennero finalmente gli esteri capitalisti, incitando alcuni speculatori toscani ad assumere, da essi assistiti, l’impresa d'una strada ferrata da Livorno a Firenze.
Le due case bancarie Pietro Senn e Comp. di Livorno ed Emmanuele Fenzi di Firenze, ricorsero separatamente prima, poi di concerto, onde ottenere insieme unite la concessione di detta strada, esponendo aver mandato da varii negozianti esteri di prendere interesse per un capitale in complesso di più milioni di lire in una società anonima per la costruzione quella via.
Le due case predette ottennero una sovrana risoluzione del 14 aprile 1838, mercè della quale la domanda loro venne accolta a queste condizioni:
I.° Che nel termine d’un anno, al più di mesi diciotto, decorrendi dal I.° maggio allor prossimo, fatti, a tutto lor carico, rischio e spesa gli studi occorrenti, rassegnerebbero al regio governo un completo e ben dettagliato progetto descrittivo ed estimativo della strada suddetta, con indicazione degli ideati modi d’esecuzione, si nel pubblico, che nel privato interesse.
2.° Che quando piacesse al principe accogliere quel progetto, facessero fede d’aver raccolte in sufficiente numero azioni di società anonima per eseguirlo, riservando 1/6 di esse pei nazionali che volessero acquistarle, lasciati gli altri 5/6 agli speculatori esteri. 3.° Che nel caso di denegata approvazione a quel progetto che darebbe presentato, le spese d’esso cadessero a carico dei postulanti, senz’alcuna pretesa a carico del governo.
4.° Che le due case bancarie fossero direttamente responsabili di faccia ai terzi delle anticipazioni che esigerebbero a cautela dell’adempimento delle sottoscrizioni; ed il governo solo lo fosse di faccia ad esse case bancarie quando ricevessero, le sue casse alcuna parte di quelle anticipazioni.
Ottenuta la concessione, i fondatori della divisata impresa, con pubblico manifesto del 24 aprile, suddetto, offrirono a tutti coloro che vorrebbero partecipare alla medesima lo spaccio delle azioni fissate al N.° di 30,000 del valore ciascuna di toscane lire 1,000 onde comporre il capitale di lire 30,000,000 giudicato necessario a far fronte alla relativa spesa. Dichiararono che sarebbero rilasciate, atteso il lasso di tempo richiesto prima che la società potesse costituirsi, delle ricevute provvisionali, alla ripresentazione delle quali verrebbero consegnate tante promesse di azioni, frattanto che fossero poi spediti i regolari certificati di queste. Le promesse suddette si offerivano nominative od al portatore, in arbitrio dei concorrenti, ed in caso, venissero rilasciate nominative, vollero esclusa qualunque responsabilità della verificazione della girata, qualora non esistesse preventiva opposizione96
Erano inoltre richieste queste altre condizioni: 1.° Il pagamento del 10 per % d’ogni azione a mani dei fondatori, da convertirsi nelle spese degli studi occorrenti, con deposito del soprapiù in una pubblica cassa.
2.° Le spese tutte a carico, prorata, degli azionisti.
3.° La riserva di 300 azioni beneficiarie fatta a favore de fondatori.
4.° L’emissione delle azioni al pari, ma non in numero eccedente le 50 per ogni soscrittore.
5.° I pagamenti delle rate successive solo in ragione dell’occorrenza de' fondi; quando il presunto totale non fosse richiesto, riduzione delle azioni alla somma realmente sborsata.
6.° Quando invece fosse insufficiente, lecito alla società di permettere ai fondatori lo spaccio del maggior numero d’azioni che si crederebbe necessario.
7.° Niun nuovo versamento dopo il primo del 10 per %, finché fosse accordato il privilegio che, approvato il progetto, venisse costituita la società.
8.° Nel caso di denegata concessione, restituzione del detto primo sborso,sotto deduzione però delle spese di perizia, ed altre amministrative da giustificarsi.
9.° Quando i versamenti ulteriori richiesti non venissero fatti in tempo utile, decadenza degli azionisti, dichiarata, colle forme solenni da stabilirsi dalla società, a profitto comune delle rate prima pagate.
Chiudevasi il manifesto con le più lusinghiere assicurazioni della fortuna che sarebbe toccata all’impresa97.
Queste condizioni e codesto affidamento produssero l'ideato effetto. In breve le azioni ebbero pronto spaccio; i fondatori riscossero pel 10 per % di 39,700 azioni (atteso che 300 erano lor date gratis) lire 2,970,000.
E volendo dar opera alla presentazione del progetto, per determinare la linea ch’in esso dovrebbe seguirsi, nominarono una commissione composta delle persone più rispettatili per vasta dottrina, come per specchiata onestà, affinchè, «formata una carta topografica del più esteso raggio da Firenze a Livorno, studiassero sul terreno le linee che sopra detto raggio potrebbero percorrersi, sciegliendo finalmente fra esse quella che respettivamente presenterebbe maggiore vantaggio sotto i rapporti della brevità, popolazione, commercio e minor difficolta d’esecuzione».
Quella commissione, era composta dei
signore rev. Padre G. Inghiami, delle Scuole Pie.
" professore Giuseppe Pianigiani.
" architettò Francesco Leoni.
" ingegnere Tommaso Bianchi.
" architetto Domenico Giraldi
" architetto Giuseppe Martelli.
" ingegnere Paolo Folini.
" architetto Luigi Bettarini, membri,
e n'era presidente il colonnello, or generale, conte don Luigi Serristori.
Si accinse la commissione con tanto zelo a soddisfar l'incumbenza, che il 5 luglio di quello stesso anno 1838 presentò la sua relazione, in cui conclude poco meno che all’unanimità (sette contro due voti) per la scelta della linea scorrente la valle dell’Arno.
Mentre in Toscana faceansi questi preparativi, cercavasi al’estero un reputato ingegnere onde affidargli la compilazione del progetto di massima e particolareggiato.
Codesto ingegnere si rinvenne nella persona del signor Roberto Stephenson, noto in tutta Europa per la sua grande abilità, singolarmente provata nella costruzione da esso ideata e diretta della celebratissima via ferrata apertasi tra Londra e Birmingham.
L’ingegnere suddetto, fatti gli occorrenti studi, trovò che la linea proposta dalla commissione toscana era assolutamente quella da preferirsi. E furono dello stesso parere gl’ingegneri Stoppner è Townshend, da lui mandati sulla faccia de' luoghi per istudiare il terreno e prendere gli appunti necessari, onde compire l'incumbenza avuta.
Colla sua relazione del 30 aprile 1839, il signor Stephenson, previo esame da esso pur fatto de luoghi, presentò il di lui progetto particolareggiato, seguendo in esso all’incirca la direzione suggerita dalla commissione suddetta, e valutando la spesa dell’opera divisata in lire toscane 13,463,760 98
Il progetto diviso in quattro sezioni offeriva i seguenti calcoli parziali: I.a Sez. da Livorno a Pisa... lir. tosc. 1,567,320
2.a " da Pisa a Pontedera... " 1,584,570
3.a " da Pontedera ad Empoli... " 2,196,930
4.a " da Empoli a Firenze 4, 514,940
per la sola strada ferrata.... lir. tosc. 9,863,760
Inoltre per le stazioni. lir. tosc. 900,000
Pel materiale di locomozione..." 2,700,000
Totale eguale ut supra, lire toscane 13,463,760 99 Quantunque il presidente del Consiglio d’amministrazione nel suo discorso detto l'1 luglio 1842, due anni prima quasi che fosse terminata ed aperta la prima sezione, affermasse: le spese fin allora seguite su quella tratta non eccedenti nell’insieme d’esse il calcolo preventivo, (asserzione questa non confermata nel discorso susseguito all'apertura suddetta, letto il 17 giugno 1844), tuttavia noi crediamo potersi prevedere ad opera tutta compita grave anzi che no l'eccedenza, fatta ragione della lunghezza della strada, d’alcuni luoghi difficili ch’essa percorrer debbe, ed avuto, del resto, per norma i precedenti occorsi al proposito per tutte le vie ferrate costrutte, la di cui spesa reale consunta sempre ha ecceduto quella preventivamente calcolata.
Sottoposto il progetto Stephenson all’autorità superiore, quello era approvato, e volendosi attuare l’impresa, emanava il sovrano rescritto del 25 febbraio 1840, per forma del quale statuivasi:
1.° Concedersi la facoltà di costrurre l’ideata strada alla società anonima da costituirsi colle norme segnate nel manifesto 24 aprile 1838 dei fondatori.
2.° Non esser valida la facoltà suddetta se entro un dato termine i fondatori non raccolgono il capitale di lire 17,000,000.
3.° Doversi fissale una tariffa dei prezzi ci trasporto di persone e merci.
4.° Spirato il termine della concessione privilegiata del dritto di riscuotere il prezzo di que' trasporti, dovere il governo subentrare ne' dritti della società.
5.° Non poter questa restringersi alla costruzione d’una o più di quelle tratte; permettendosi d’incominciare quella da Livorno a Pisa, e di proseguir quindi le altre sino all’intero compimento d’esse da Livorno a Firenze.
In seguito emanò il definitivo motuproprio di concessione del 5 aprile 1841.
A quel sovrano atto, promulgato dall' I.R. Consulta, tenne dietro la promulgazione, pur seguita per parte del direttore generale d’acque e strade, il 20 aprile 1841 de’capitoli approvati da S.A.I. e R: col sovrano rescritto praellegato del 5 aprile suddetto; i quali capitoli contengono le condizioni e riserve della concessione alla società anonima, di che nel motuproprio dello stesso giorno, per lo stabilimento d’una strada a ruotaie di ferro da Firenze a Livorno.
E finalmente pubblicavansi approvati gli statuti della società anonima preallegata.
Incominciati i lavori della prima sezione da Livorno a Pisa, malgrado la breve distanza e la nessuna difficoltà de’luoghi affatto piani su cui discorre la via, essi lavori, che al dir del perito doveano compiersi in 15 mesi, lungamente durarono, poichè solo al 14 marzo 1844, cioè quasi 5 anni dopo la presentata perizia, e 3 successivi alla concessione, si ebbe terminata quella breve tratta, e si potè incominciarne l’esercizio per tutta la sua lunghezza.
Frattanto i fondatori, i quali aveano, come già si è detto, collocate tutte le azioni, operarono in modo ch’esse prontamente salissero a prezzo maggiore del nominale, celebrando nella moltiplicata corrispondenza loro i grandi vantaggi presunti dall’ideata via, i di cui prodotti affermavansi dover essere ragguardevoli.
Contemporaneamente, riscosso da essi il primo a conto, trascurarono dal farne il deposito nelle regie casse, com’eransi obbligati; fatte al proposito istanze da alcuni azionisti, i quali richiedeano tale cautela, nacque una lite, nella quale pretendevasi aver facoltà di ritener quelle somme, attese alcune circostanze non prevedute; ma il deposito, sotto la deduzione delle prime spese d’ordinamento, salite alla somma di lire toscane 298,506,11,4, cioè circa 1/10 del fondo totale, venne ordinato dai tribunali, e tosto eseguito dal fondatori.
A queste emergenze succedeva, dopo il giuoco dell’aggiotaggio, la solita crisi, ed il valore al corso delle azioni per tal modo scadeva, che troviamo nel discorso del presidente, detto il 17 di giugno 1844, che pochi mesi prima le azioni erano assolutamente in bassa fortuna, non trovando acquisitori.
Ma il notevole prodotto ricavato dall’esercizio del primo semestre della tratta preallegata da Livorno a Pisa fece tosto risorgere il prezzo delle azioni e rivivere l’impresa100, attalchè vennero ripresi i lavori per la tratta fra Pisa e Pontedera, la quale sperasi aver compiuta nel 1845101. Essendo cessata una delle cause cui s’attribuisce il notevole ritardo dell’impresa in discorso, la quale dovea terminarsi tutta in anni quattro; per le difficoltà frapposte alla spropriazione dei terreni per causa di pubblica utilità, mediante le provvisioni date dal governo toscano, vuolsi credere che la concepita lusinga non torni fallita.
Se non che pare, ciò malgrado, molto tempo ancora occorrere all’apertura dell'intera linea da Firenze a Livorno (che doveasi come s’è detto, compiere in anni quattro), alla qual cosa potrebbesi ovviare quando s'incominciassero anche i lavori dalla parte di Firenze, e si venissero così ad incontrare dai due capi d’essi. Perocché in difetto la più lunga distanza, e le maggiori e più difficili opere renderanno necessario l’impiego d’un molto maggior tempo.
Tanto più necessario sarebbe un tale provvedimento rispetto alla strada Leopolda, che, dovendosi essa congiungere ad Empoli colla strada ferrata centrale toscana, della quale parleremo nel seguito, appena sarebb’essa compiuta sino a quel punto, si potrebbe attuare l’esercizio da Siena a Firenze.
Perchè poi, pronto, facile ed attivo fosse all’estero il commercio delle azioni della strada ferrata Leopolda, i fondatori ebber cura di commettere in tutte le piazze d’Europa di qualche riguardo case bancarie reputatissime, coll'incumbenza di spandere e propagare i manifesti loro, spacciare le azioni proposte, riscuotere i versamenti richiesti a conto del prezzo delle medesime, pagare, finalmente, il primo utile di lire 5 contato dopo l’esercizio del 1.° semestre della tratta da Livorno a Pisa, ed i successivi.
Come scorgesi dai fatti sin qui narrati, desumendone l’indicazione dalle stesse pubblicazioni officiali, l’impresa in discorso veste tutto il carattere d’una speculazione bancaria d’effetti commerciali posti in corso, sulle varie piazze d’Europa, coi soliti vanti d’operazione di non mai veduta uguale utilità; e scorgesi ancora che riuscita come tante altre dapprima la detta operazione: poi caduta com'esse pure in bassa fortuna, ed altra volta risorta, finché forse nuovamente cada: anziché esser tutta un’impresa di pubblica utilità, come vantavasi, piuttosto è un giuoco di borsa operato sulla strada ideata, seguito tra le varie piazze commerciali di Europa, poichè, oltre ai 5/6 delle azioni, le quali in Toscana trovarono pochissimi acquisitori, sonosi collocate all'estero, donde vennero quasi tutti i fondi fin qui spesi per le opere eseguite102.
Premessa la narrativa de' fatti seguiti per la via ferrata Leopolda, la prima delle tante altre in Toscana ideate; passiamo per ordine di data a quella pure ordinatasi tra Pisa e Lucca da una società di speculatori lucchesi, i quali ricorsero all’annuenza necessaria loro dei due sovrani di Toscana e di Lucca, dovendo sui territori dei due Stati discorrere.
I signori Carlo Minutoli Tegrini,
Tommaso Giannini,
Avvocato Pasquale Berghini,
Felice Francesconi
e Giuseppe Vitali
avendo fatto a.S. A. R. il S. duca di Lucca un progetto preliminare per lo stabilimento di una strada a ruotaie di ferro da Lucca a Pisa, da intraprendersi da una futura società anonima da essi proposta, sottoponendo all'approvazione dell’A. S. gli statuti di quella società, chiesero la concessione, privilegiata dell'esercizio della medesima coll’osservanza della proposta tariffa dei prezzi di trasporto; e la prelodata A. S. si degnò annuire alla fatta domanda con suo motu proprio del 10 dicembre 1841.103 Contemporaneamente essi ricorrevano a S. A. I. e R. il gran duca di Toscana, onde ottenere ugual concessione per la tratta dell’ideata strada che decorre sugli Stati toscani, ed ottenuto l'impetrato favore, si fecero premura di parteciparlo al pubblico. Successivamente pubblicarono un manifesto per cui proposero l’ordinamento d’una società anonima di azioni 2,500, del valor nominale di lire lucchesi 4,000 cadauna (la lira lucchese vale 0,75 di franco o lira italiana o di Piemonte). Reputando la somma di lire 2,5000,000 sufficiente a far fronte alla spesa dell’ideata opera in quel manifesto annunziarono pagabili le dette azioni per decimi (ossia rate di lire 100) di due in due mesi; mediante emissione successiva di tante cartelle provvisionali, le quali di mano in mano spedite, doveano contenere ciascuna l’indicazione de’ pagamenti fatti, e vi si poteano attergare le girate dei varii possessori d’esse, finché all’ultimo pagamento si spedisse poi la cartella dell’azione definitiva.
£ perchè potesse la speculazione rendersi comune agli abitanti de' due Stati, faceano aprir registro per soscrivere alle azioni suddette nelle città di Firenze, Prato, Pistoia, Pescia, Lucca, Pisa e Livorno.
Intanto approvavansi i capitoli pella costruzione della strada dai due governi; ciascuno per la propria tratta, in conformità del progetto compilato dall'ingegnere Bianchi, e con deputazione d’un ingegnere governativo, col titolo di regio commissario, onde soprantenderne i lavori. — Dichiaravasi definitivamente costituita la società anonima, e per essere state collocate tutte le azioni, si annunciava cessato il primo spaccio d’esse. — Adunatasi la prima adunanza generale pel giorno 30 luglio 1844, e si pubblicava dai due governi la tariffa uniforme pei due Stati.
La linea della via ferrata, uscendo da Pisa, conduce ai bagni di San Giuliano, e quindi per Ripafratta, non lontana dal Serchio, si rivolge a Lucca.
I lavori incominciarono, e furono dapprima spinti con molta attività, che poi dicesi scemata, onde temesi che l’apertura della strada, la quale si annunciava per imminente, possa essere ritardata. Le azioni ebbero un primo favore, poi scapitarono esse pure quasi come quelle della Leopolda; ma tornate queste in favore dopo l’apertura dell’esercizio della linea da Livorno a Pisa, risalirono quello pure nel loro valore al corso, a segno che il Manuale dell'azionista nel proemio, afferma: essere le medesime tanto richieste e tanto dai possessori sostenute in favore, che già del primo decimo è raddoppiato il prezzo.
Dal detto proemio e dalla carta annessa al Manuale resulta, che la società lucchese intendeva protrarre la via ferrata da Pisa a Lucca sino a Pistoia almeno, passando presso a Pescia, Borgo a Bugiano e Monte Catini, e supponendo intesa pure un’altra linea conceduta tra Pistoia e Firenze per Prato, ne conchiudeva: due essere così le vie da Firenze a Livorno, ed ambo credeva utili e convenienti, pretendendo non poter l’una all’altra nuocere; essersi il governo toscano riservata la facoltà di concederle; il solo concorso delle popolazioni intermedie, come succede altrove, bastare ad assicurare alle due linee prodotti ragguardevoli 104.
I divisamenti della società lucchese sembrano bene avviati. Il sovrano di Lucca già estese la prima concessione fino ai confini del proprio Stato; quello di Toscana concedette ad una società toscano-lucchese formatasi la facoltà di fare al proposito gli studi occorrenti dal confine sino a Pistoia, la qual cosa equivale ad un affidamento di concessione definitiva, compiti ed approvati che sieno gli studi suddetti, cui però vuolsi che non si pensi per ora; ondechè non ci è dato di riferire il resultato d’essi sì nel rispetto tecnico, che in quello economico, nè possono citarsi le presunte spese, come neanche la sperata rendita105.
Mentre la speculazione, con ogni maniera d’incitamenti, ideava i progetti fin qui descritti, e quegli altri ancora che narreremo nel seguito, un lodevole sentimento di patria carità muoveva alcuni cittadini sanesi a dotare la patria loro d’una via ferrata, avente il doppio scopo di portar brevemente a Firenze ed a Livorno.
Trovavano in un abilissimo ingegnere, già pratico della materia, perchè da molti anni occupato nei progetti e lavori della via Leopolda, un generoso concittadino, il quale volontario esibiva l’opera sua, offerendo d’assumere gratuitamete il progetto definitivo d’una strada dai pressi’ di Siena, che per le valli dell’Arbia, della Staggia e dell’Elsa arrivando all’Osteria Bianca, venga ad incontrare la strada Leopolda ad Empoli, senz’alcun altro corrispettivo, fuori quello dì lire toscane quattromila, mediante le quali resterebbero a suo carico le spese de’ canneggiatori, d’aiuti, ecc.
Da questo atto generoso sorretti, que’cittadini, nel parteciparlo ai Sanesi con manifesto del 14 agosto 1844, invitavano i loro compaesani ad unirsi per comporre la detta sommai di lire 4,000 in dugento azioni da lire 20 cadauna, onde dar corso al progetto, del quale in detto invito dimostravano non solo l'utilità, ma anche la necessità. Perocché se Siena non fosse, come tante altre città toscane, riunita a Firenze ed a Livorno, sarebbe ormai certa la sua segregazione, quindi la sua decadenza.
Vuolsi ad onore ben meritato dichiarare il nome degli ottimi che così operarono; ed erano: l’ingegnere professore Giuseppe Pianigiani, perito gratuito; e promotori i signori marchese Alessandro Bichi — cavaliere Emilio Clementini — Giovanni Montorselli — Luigi Nencini — conte Giovanni Pieri — Abramo Servadio — Antonio Tamanti di Montalcino — e Policarpo Bandini106
Raccolta in pochissimi giorni la somma addimandata di lire quattromila, i promotori suddetti, costituitisi in comitato, non indugiarono a porgere al principe un ricorso, ond'impetrare la regia sanzione per proseguire nell’assunto. Quella ottenuta con dispaccio del 3 settembre successivo; nell’analogo manifesto del 9 detto mese, informavano il pubblico del felice e pronto resultato conseguito; confortando ancora i propri concittadini, e quei Toscani che potrebbero aver interesse nella nobile impresa, ad aggiungere ancora altre oblazioni, onde accrescere quel fondo per far fronte alle altre spese occorrenti, oltre a quelle vive da rimborsarsi all'ingegnere professore Pianigiani, ritenuto obbligato all’assunto impegno, a fine di preparare una società definitiva, la quale assuma definitivamente l'impresa suddetta, promuovendone ed ottenendone dal principe la concessione.
Terminarono il manifesto coi, attestare come fosse dovuto omaggio di pubblica riconoscenza al prelodato professore Pianigiani pel generoso regalo fatto dell'opera sua alla patria, ed annunziarono ai capitalisti nazionali ed esteri que'primi passi loro ad una impresa che si potea fin d’allora affermare dover riuscire un utile è sicuro impiego delle ricchezze loro 107.
Mentre a seguito del permesso anche ottenuto nel citato rescritto del 3 settembre, di fare gli occorrenti studi tecnici, a quelli attendeva senz’altro indugio il professore Pianigiani, onde averli fra tutto maggio 1845 compiti, com’erasi obbligato, il comitato dei promotori ebbe notizia dell’essere cotali studi condotti a segno che la materiale costruzione della via ferrata ideata non era altrimenti incerta, e potrà riuscire ben modellata a confronto d’altri esempi di strade tracciate in terreni di configurazione consimile.
Cosi pure venne informato dal segretario, che gli studi economici offrivano fondata speranza che i capitali necessari all’impresa potranno produrre un utile proporzionato alla occorrente loro quantità, e così che la speculazione potrebbe riuscire lucrosa anzi che no pegli associati.
Epperò col manifesto del 23 dicembre 1844, informato il pubblico di questi dati, proposte le condizioni che, salva la sovrana approvazione, dovrebbero invariabilmente servir di base alla società anonima, per la costruzione della strada ferrata da Siena alla strada ferrata Leopolda, informavano il pubblico medesimo ancora, che nel tempo decorso tra la deliberazione e la pubblicazione di quel manifesto fu esitata una quantità ragguardevole di azioni, e che dopo un tal fatto il comitato, profittando del tempo a vantaggio dell'impresa, stava occupandosi della compilazione degli statuti sociali onde sottoporli più presto alla sovrana sanzione; — e d’altra parte, che il signor professore Pianigiani, volendo secondare le premure del comitato, esibivasi di presentar quanto prima i disegni particolarizzati del primo tronco stradale da Siena a Poggibonzi per sottoporre, questi pure alla sovrana approvazione108
Per contribuire ad infondere negli animi dei concorrenti all’acquisto d’azioni la necessaria fiducia, pubblicava inoltre contemporaneamente il comitato suddetto il prospetto economico, geografico, statistico della strada in discorso, comprovante potersi sperare da essa un annuo provento superiore all’8, per % della somma occorrente per la spesa dell’opera assunta 109
Compitosi il numero di azioni di lire 1,000 necessario a comporre la somma di lire toscane 10,000,000; presentato dal prof. Pianigiani il regolare progetto tecnico, e dal comitato de’promotori lo statuto della società anonima; l’uno e l’altro venivano approvati dall'autorità superiore, la quale con motu proprio sovrano, notificato dalla real consulta, emanato il dì 5 aprile 1845, concedeva ai signori Giovanni Pieri, Alessandro Bichi Ruspoli, Emilio Clementini, Giovanni Montorselli, Luigi Nencini, Abramo Servadio, Antonio Tamanti e Policarpo Bandini la facoltà di costrurre e godere per anni 100 una strada a ruotaie di ferro da Siena ad Empoli, ordinando a tal effetto una società anonima di cui si approvavano contemporaneamente i proposti statuti: con che fosse eseguito il sottoposto ed approvato progetto dell’ingegnere professore Pianigiani, e si osservassero i capitoli di condizioni apposte all’impresa lo stesso giorno 5 aprile 1845, notificati dalla direzione generale d’acque e strade; tra le quali specialmente quelle della direzione da darsi, ad essa; del facoltativo suo riscatto dopo 15 anni d’esercizio; dell’osservanza della fissata tariffa; delle cautele d’ordine e. di sicurezza da praticarsi ne' lavori, ed altre prescrizioni tendenti al compiuto, buono e cauto successo dell’impresa,.
La direzione viene come segue accennata all’articolo 1.° dei capitoli:
«La strada ferrata avrà il suo cominciamento e la prima sua stazione presso Siena nella valle del torrente Malizia; e precisamente nello spazio interposto fra il detto corso d’acqua, la via della villa di Vico, e la R. Romana ... Partendo da questo punto, e adagiandosi sulle pendici volte a Levante, traverserà per mezzo di un traforo il colle di monte Arioso, che separa il versante dell’Arbia da quello della Staggia. Quindi.mantenendosi dappresso ai fossi di monte Arioso e di Carpella, passerà una prima volta il torrente Staggia poco al disotto della presa d’acqua del mulino delle Badesse. Dopo quest’incontro proseguirà sempre per la valle della Staggia, sviluppandosi il più presto sulla riva destra, passando sotto i paesi di Montereggioni e di Staggia, traversando in piano la strada R. Romana in vicinanza del ponte della Bista, e ripassando sotto di essa con un secondo traforo presso l’altro ponte di Colle, e giungerà alla stazione di Poggibonzi sulla spianata che si apre fra questa terra e il più volte menzionato corso della Staggia.
Dopo Poggibonzi il cammino della strada ferrata sanese sarà per la Valle dell’Elsa, toccando Certaldo e Castel Fiorentino, e mettendo finalmente alla stazione della via Leopolda presso Empoli».
Quanto alla direzione particolareggiata da Poggibonzi ad Empoli, non ancora proposta ed approvata come lo è da Poggibonzi a Siena, si riservano i capitoli d’approvare le successive proposte, osservate le norme di massima sopradette.
Le curve non possono essere ne’ risvolti minori di 500 braccia di raggio (il braccio toscano vale 0,5835 di metro).
Le pendenze, secondo i varii luoghi segnati, noti potranno eccedere il 3,62, il 6,61, e l'11 e 90 per 1,000.
La strada dovrà essere terminata fra anni cinque, e posta in esercizio. Sarà per ora con due sole guide di ferro. Potrà averne quattro occorrendone il bisogno. Sarà cinta e separata da ogni sua adiacenza. Avrà proporzioni uguali a quella della via Leopolda. Dovrà la società concertarsi coll'impresa di questa per la corrispondenza de’ convogli. E sarà finalmente tenuta di osservare le regole; ulteriormente promulgate intorno all’uso, alla polizia, alla sicurezza del transito, al modo di regolare la celerità delle locomotive e alla conservazione della strada ferrata, e delle altre opere accessorie, non meno che alle prescrizioni relative tanto ai trasporti di moneta, oggetti preziosi e piccoli pacchi, quanto alle moli di gran peso e alla esclusione delle materie che presentano qualche pericolo, come sarebbero quelle facilmente incendiabili; come pure alle discipline tutte politiche c doganali.
Finalmente que’ provvedimenti fissano la paga dell’ingegnere in lire 8,000 all'anno, l’ordinamento e corrispettivo de’ Consigli di costruzione e successivamente d’amministrazione, i controlli e gli utili ad essi assegnati, le regole dello scioglimento della società.
Siccome nel primo ordinamento di essa eransi assegnate ai fondatori 300 azioni beneficiarie, per far fronte alle spese d’ordinamento, queste liquidate, avendone consunte, specialmente in provvisioni bancarie ed in senserie per la cessione delle azioni reali solo 207, si è nello statuto dichiarato che le 93 residue azioni industriali verrebbero convertite in altretante azioni reali paganti, le quali sarebbero vendute al pubblico incanto, e che l'aggio ricavato andrebbe a beneficio della società, non de' promotori, rimborsati, e nulla più, d’ogni esposto da essi.
E quanto al pagamento delle azioni, lo statuto anzidetto lo fissa per rate, di 1/20 successivamente da farsi in ragione de' fondi occorrenti; coll’avvertenza che, non essendo necessaria l’intera somma’di lire 10,000,000, le azioni saranno ridotte della somma risparmiata; eccedendosi quella, sarà accresciuto il numero occorrente d’altre azioni pure di lire 1,000 necessario a comporre la somma mancante.
Queste sono, sommariamente epilogate, le regole della società per la strada ferrata centrale toscana110. Appena ottenute dal comitato sanese le necessaria facoltà d’operare, senza frapporre altro indugio, si dovevano cominciare i lavori, i quali voleansi aperti il 15 agosto con solenne festa e con la desiderata attività e regolarità.
L'ordine assunto ci chiama ora a.parlare della concessione preliminare accordata lo stesso giorno 4 aprile 1845 da S. A. I. e R. il gran duca ai signori Teodoro F. Mastiani Brunacci, Giorgio G. Zust, Michel'Angelo Barlugi e figlio, Leone Arbib e Comp., Enrico Rodolfo Ghebard, Angiolo Bartoli e Bonaiuto Paris Sanguinetti collettivamente di fare gli studi per la costruzione d’una strada ferrata da Livorno fino al confine romano, traversando la Maremma, passando da Grosseto e toccando la nuova dogana del Chiarone.
Gli studi anzidetti stanno, per quanto si afferma, facendosi, ma noi non sappiamo indicare chi ne abbia l’incumbenza, nè a qual punto siano, e quali resultati già presentino.
Altri pretendono che col pretesto della mal’aria, non siano incominciati, nè siasi peranco scelto il perito.
Solo possiamo dire scriversi a Livorno queste sentenze, riferiteci da un giornale, sull'ideata strada.
«Questa linea percorre varie fertili pianure, che da un punto per la via Leopolda si allaccia a Firenze, coll’altro accenna a Roma ed a Napoli, ond’è chiamata a divenire, come la più naturale comunicazione tra queste tre capitali, una delle più utili e belle strade della Penisola.
«II capitale sociale, approssimativamente calcolato necessario all’impresa, viene determinato in 32 milioni di lire toscane, divisi in 32 mila azioni di lire 1,000 cadauna 111.
Alle quali indicazioni aggiunge un altro giornale, che le azioni, o, per meglio dire, le promesse di quelle erano già in tal favore, che già vendevansi a Firenze ed a Livorno al 105 per % e così con 5 per % di premio, e che aveansi domande per 140,000 azioni, e così per 140,000,000 di lire toscane, quantunque il numero delle azioni da spacciare solo fosse di 32,000 112.
Queste sono le scarse notizie che abbiamo ottenute intorno alla strada maremmana.
Lo stesso giorno 4 aprile 1845 ancora S. A. I. e R. il gran duca accordò ai tre fratelli Bartolomeo, Tommaso e Pietro Cini un’altra concessione preliminare di fare gli occorrenti studi per la costruzione di una strada ferrata detta dell'Appennino tra Pistoia ed il confine della provincia bolognese, per la Valle dell'Ombrone e per la Valle del Reno. I quali studi, compiti nel 1845, si dovrà sottoporre alla sovrana sanzione il progetto particolarizzato e definitivo di detta strada.
Intanto col manifesto loro del 22 aprile 1845 i promotori dell’impresa fratelli Cini, offerirono al pubblico la formazione d’una società anonima intitolata Della strada ferrata dell'Appennino; assumente l’impresa di costruire, aprire all’uso del pubblico, e mantenere la strada nel di lei interesse ed a tutte sue spese, rischio e pericolo 113 Codesta società colle solite regole generali ordinata, dovrebbe durare anni 100, epoca della durata della concessione; avere un
capitale sociale di.... | lire toscane 12,360,000 |
divise in azioni ......... | » 12,360 |
delle quali azioni reali paganti...... | » 12,000 |
e in azioni beneficiarie ... | » 360 |
attribuite al Consiglio d’amministrazione provvisionale erettosi, il quale «potrà liberamente disporne per indennizzare le persone che avranno sostenuto cure e spese per la formazione del progetto e la organizzazione della società medesima».
Queste norme, partecipate anche al pubblico con notificazione della regia consulta del 14 detto mese d’aprile, dispongono fra le altre cose eziandio, che gli acquisitori delle azioni dovran pagare intanto il 5 per % d’ognuna d’esse, a mani del signor Laudadio della Ripa, eletto cassiere: — Che le cartelle delle promesse d’azioni saranno firmate dal signor Bartolomeo Cini, uno de’promotori;— Che il secondo 1/20 dovrà pagarsi fra quattro mesi; — Che gli altri 18/20 saran successivamente pagati a pena di decadenza, previo avviso, anticipato di due mesi del Consiglio d’amministrazione della società costituita; — Che ogni 1/20 godrà del frutto del 4 per % a carico della società, contando dalla fine di ciascuno dei mesi nei quali sarà avvenuto il pagamento; — Che la somma di lire 12,360,000, essendo eccedente il bisogno, ogni azione verrà ridotta al solo minor valore occorrente, e quando fosse insufficiente, saranno emesse azioni supplementarie di lire 1,000 caduna nel numero necessario; — Che la formazione del progetto, e l’esecuzione dei lavori, come ogni direzione tecnica sono affidate al signor Tomaso Cini, il quale eserciterà gratuitamente l’ufficio suo per quanto spetta alla compilazione degli studi e del progetto definitivo, e rispetto all’esecuzione dei lavori, avrà una provvisione, da fissarsi per ogni miglio di strada costrutta: — Che quando fosse negata la concessione definitiva, o per qualsivoglia altro motivo non potesse attuarsi la società, le somme incassate verranno restituite ai possessori delle promesse d’azioni, detratto però il disborso dei frutti già pagati, non che il montare delle spese fatte per gli studi, per la formazione del progetto, ed altre concernenti all’ordinamento della società; le quali spese saranno giustificate con pubblico rendiconto.
Che il Consiglio d’amministrazione, creato, supponesi, dai fondatori, è intanto composto dei signori:
Professore Eusebio Giorgi, delle Scuole Pje, presidente.
Cavaliere G. B. Amici, vice-presidente.
Marchese Ferdinando Panciatichi Ximenes.
Pietro Igino Coppi.
Bartolomeo Cini.
Pietro Cini.
Lacdadio della Ripa, cassiere.
Dottore Raimondo Meconi, segretario.
Il tutto come meglio è spiegato nell’anzidetto manifesto 22 aprile 1845, il quale inoltre esordisce col prendere a dimostrare la somma convenienza dell’impresa in ragione della importanza massima dell’ideata strada114.
Ignoriamo a qual punto siano gli studi, che sappiamo però proseguiti con molta alacrità, essendo il signor Cini sussidiato da collaboratori inglesi pratici nella materia. Cosi pure non ci è noto a qual punto sia lo spaccio delle azioni, ma pensiamo che sarà però sicuramente compito a suo tempo, durando le presenti tendenze.
L’ultima recentissima concessione definitiva di strade ferrate in Toscana a noi nota la è quella accordata colla notificazione del 25 giugno 1845 a Gaetano Magnolfi, Pietro Igino Coppi, Raimondo Meconi, Orazio e Alfredo fratelli Stall; Giuseppe Francesco Sloane e Giuseppe Vai; per forma della quale è loro fatta facoltà di formare una società anonima per azioni; la quale assuma dì costruire ed aprire all’uso pubblico e mantenere nel suo interesse e a tutte sue spese, rischio e pericolo; una strada a rotaie di ferro da Firenze a Pistoia; passando per Prato; colla durata del privilegio per soli anni 60 a vece di 100, e colla riserva; visto il progetto definitivo, di farvi le modificazioni e variazioni di cui sarà meritevole; e di prescrivere rispetto alla costruzione, attivazione ed esercizio della strada; alla redenzione del privilegio; e alla decadenza del medesimo le condizioni trovate giuste e congrue; analogamente a quanto è stato Stabilito nei motu propri e nei capitoli relativi alle strade ferrate da Firenze a Livorno, da Lucca a Pisa, e da Siena ad Empoli.
Furono ancora aggiunte le seguenti condizioni a carico della società.
Pagamento del canone di lire 10,000 annue all’orfanotrofio della Pietà di Prato; finché durano i lavori e non è in via l'esercizio della strada.
Pagamento del canone di lire 30;000 annue dall’atto dell’incominciato esercizio.
Volendolo l’orfanotrofio suddetto; riscatto del preallegato canone, mediante pagamento del capitale di francesconi 100,000, equivalenti a lire toscane 666,663, 13,4.
Apertura a spese della società d’officine nell’orfanotrofio predetto,corredandole di convenienti maestranze all’oggetto di procurar mezzi d’istruzione e lavoro agli orfani nel mantenimento e nel maneggio del materiale mobile della strada in esercizio.
Fondazione di sei posti gratuiti in perpetuo nel detto stabilimento, con pagare il capitale o fondo a ciò necessario di lire 25,200, prelevando la detta somma dall’emolumento del 1 per % accordato sul capitale sociale; che spetterà come onorario al Consiglio d’amministrazione durante la costruzione.
Presidenza di quel Consiglio attribuita al direttore di quell’orfanotrofio; senza che ne avvenga mai perciò alcun obbligo al detto istituto. Proibita remissione d’ azioni industriali, tutte dovendo esser paganti quelle da emettersi per lire toscane 6,000,000.
Cauzione di lire 2,000,000 versata nelle regie casse, da non ritirarsi che dopo l’erogazione de’ tre quarti del capitale occorrente all’impresa.
Finalmente, da un’espressione dell’articolo prescrivente la detta cauzione, che si ammette pagabile pei concessionari dalla società italiana ed austriaca per le strade, residente in Londra, come, da notizie indirette pure ricavasi che i concessionari medesimi non sono che gli agenti o soci rappresentanti di quella società inglese, la quale è la stessa di cui già si è tenuto discorso al capitolo 2.°, che, presieduta dal signor Jackson, vuole assolutamente attendere a speculazioni consimili in Italia, proponendosi, appena il giuoco d’esse nella borsa di Londra verrà come al solito attuato, che larghi saranno i profitti dei banchieri115 l.
La recente concessione ed il tempo brevissimo corso dopo di essa, non ci concedono di ragguagliare del punto cui sono i lavori di perizia, e dei calcoli preventivi fatti della spesa occorrente ai lavori ideati, come della rendita che si presume di trarre dall’esercizio della detta via 116.
Noi taceremo pertanto d’essa per ora.
Queste sono le concessioni sì preliminari che definitive concedute in Toscana.
Molte altre ancora diconsi proposte, ed in istanza; chè in Toscana, come vedesi, è somma la tendenza a speculare su questo nuovo mezzo di comunicazioni, se non altro nel progettarle117. Fra i molti divisamenti ideati di tal natura ci ristringeremo ad indicare i principali per cui vuolsi che siavi positiva istanza, e da più compagnie al tempo istesso, le quali si disputano la preferenza della medesima concessione.
1.° Da Firenze per Arezzo in val di Chiana al confine pontificio.
2.° Da Firenze per la Romagna a Faenza.
3.° Da Livorno per Pisa, Lucca, Carrara, Massa e Sarzanese a Pontremoli e Parma.
In Toscana non credesi però che lo spaccio delle azioni sia molto.
Vuolsi che le strade finora concedute, escluse quelle proposte ancora soltanto, tengano impegnato un capitale nominativo d'oltre i 100 milioni; ma che appena sianvi dei capitali Toscani per un milione di lire. Il resto son capitali esteri, chiamati dai banchieri toscani agli oltremontani con incessanti inviti circolari indirizzati ai corrispondenti loro, ai quali come di ragione pingonsi tutte ottime le proposte speculazioni118.
Nessuna rete ordinata di strade ferrate è stata decretata in Toscana dal governo, il quale pare essersi tratto tratto successivamente deciso ad approvazioni parziali e speciali non sempre collegate fra loro, abbandonando ad intesa libertà la speculazione privata.
Nè alcun sussidio in sostanza veniva conceduto ad incoraggiamento di quelle speculazioni; perocché tale, non può chiamarsi, a rigore, l’esenzione dei dazi di dogana, conceduta a tutti i concessionari pei ferri e meccanismi provenienti dall’estero onde attuare le nuove vie. Imperciocché è chiaro che, se queste non si facessero, que’ dazi non sarebbero altrimenti riscossi.
Anzi dalle concessioni medesime vedesi non corrisposto interesse alcuno per le somme fatte depositare qual cauzione degli assunti impegni dalle compagnie, come si scorge riscosso il diritto di bollo straordinario sulle molte cartelle di cui occorre la spedizione per le promesse d'azioni e per le azioni definitive ondechè debb’essere notevolmente aumentato il ramo del bollo della toscana finanza.
Il solo provvedimento direttivo generale emanato relativamente alle strade ferrate in Toscana è la notificazione del 15 aprile 1845, con cui la reale Consulta, d’ordine di S. A. I. e R. ha segnate le norme da osservarsi dai promotori d’impresa per la costruzione di strade a ruotaie di ferro destinate a pubblico transito, i quali abbiano ottenuto la facoltà di farne gli studi119*.
Codesto provvedimento, che stimiamo opportuno di riportare per intero, stabilisce preventivamente le condizioni generali che il governo ha deciso d’imporre ai concessionari, oltre a quelle particolari, che per la specialità del caso potranno poi occorrere.
Queste condizioni generali sono:
Il deposito in una pubblica cassa di 2/20 del fondo sociale a titolo di cauzione.
L’intera risponsabilità dell’impresa a carico dei concessionari.
Il privilegio duraturo per anni 100, durante i quali potrà percepirsi il prodotto della strada, riscosso sotto l'osservanza dell’approvata tariffa.
La devoluzione della strada al governo scaduto il secolo, salvo l’acquisto, da convenirsi, del materiale.
La decadenza dal permesso di fare gli studi incorsa da coloro che li incominciassero, ed emettessero azioni o promesse delle medesime, senz’aver fatto replicatamente pubblicare un manifesto il quale dichiari le varie condizioni dell’impresa.
Il tutto com’è meglio accennato nella notificazione preallegata.
Questa è la notizia de’ fatti seguiti in Toscana dal 1838 in poi rispetto alle strade ferrate, i progetti delle quali; senza un ordine prestabilito successivamente, tutti approvati con molta facilità dal govemo, ove fossero tutti realmente mandati ad effetto, farebbero di quella non molto estesa provincia italiana la contrada più intersecata in vario senso dalle nuove comunicazioni.
Cotesta somma tendenza de’ Toscani ad ideare strade ferrate; assai conforme del resto a quelle tendenze consimili che notansi del pari in Francia, nella Gran Brettagna ed in Germania, quantunque succeda in proporzioni più esigue, ci conduce ad esporre alcuni serii riflessi, onde il pubblico criterio discerna il positivo dall’ipotetico, la realtà dalle illusioni, il beneficio probabile dai danni che possono prevedersi.
Non può contendersi, che il congiungimento dell’emporio di Livorno con Firenze, passando per Pisa, è consigliato come utilissimo; perocché esso pone que’ tre centri di popolazione ragguardevole agglomerata in più facile, più pronta e men costosa relazione, onde nascer debbe fra essi un notevole aumento di traffichi e di relazioni.
Quando poi si potesse protender quella via ferrata da Firenze, si verso Roma che verso Bologna e le Legazioni, per giugner quindi a-qualche scalo degli Stati pontifici sull’Adriatico, ed alla strada Ferdinandea; o, per parlare più esattamente, ad alcune diramazioni di questa nella valle del Po: non può negarsi, che l’emporio suddetto sarebbe grandemente beneficato dalle crescenti speculazioni derivanti da siffatta condizione di cose.
Ma volendosi freddamente giudicare la questione, pare a noi che due vie presentandosi tra Livorno e Firenze, una sola di esse per ora almeno conveniva di scegliere, non ambedue, come si è fatto; perchè dalla doppia opera così intrapresa’ debbe necessariamente derivare un soverchio dispendio, colla certezza d’un ben scarso utile.
Vogliamo parlare delle due linee: 1.° Da Pisa in Valdarno per le Fornacette, Pontadera, Empoli, Ponte a Signa a Firenze.
2.° Da Pisa; pure per Lucca, Monte Catini, Pescia, Pistoia e Prato, anche a Firenze.
Quella più breve, ma di più difficile, perciò relativamente più costosa costruzione; transitante per luoghi men popolati; ed in certi punti fors’anche esposta alle solitamente disastrose inondazioni dell’Arno.
Questa più lunga in vero; ma di poche miglia soltanto; porgente accesso a città importanti; a luoghi popolatissimi; e ricchi per fiorente industria agricola e manifatturiera; di più, posta alle falde dell" Appennino ed allo sbocco delle varie valli d’esso conducenti alla gran valle del Po.
A caso vergine i vantaggi delle due linee sembravano, adunque non lasciare dubbio sulla, convenienza maggiore della seconda; solo avendo a cosa fatta la prima acquistato di poi pregio maggiore per l’ideata sua congiunzione ad Empoli colla successivamente progettata strada centrale toscana proveniente da Siena.
Coloro che leggeranno il Rapporto della commissione toscana del 5 luglio 1838 (pag. 7 del Manuale dell’azionista già citato), più ancora la Relazione e stima del signor R. Stephenson (pag.34, Manuale suddetto), ne’ quali documenti lungamente si discute quale sia la linea da scegliersi; potran forse reputare a primo aspetto men fondate, nel rispetto tecnico almeno, le nostre ragioni. Perocché si dirà: ove quella seconda linea fosse stata riconosciuta più conveniente davvero, certamente gli egregi e dotti membri della commissione toscana; così pratici de’ luoghi, e il celeberrimo ingegnere inglese non avrebbero tralasciato dal proporla di preferenza alla prima.
L'obbiezione è grave assai, specialmente contro noi, che siamo ben lontani dal proferirci versati nelle tecniche cognizioni; altrimenti che come esser lo debbe un amministratore cui spetti giudicare le proposte dei periti.
Ciò malgrado, accingiamoci a discuterla.
Nella risoluzione di qualsivoglia problema non si può dedurre la sicura notizia dell’incognita, che partendo dagli elementi dati per base alla questione. Ora la commissione toscana e l’ingegnere inglese aveano incumbenza di suggerir una linea toscana la più breve e meno costosa che si potesse ideare da Livorno a Firenze passando a Pisa.
I committenti erano Toscani, e, certi di conseguire l’annuenza del proprio principe, erano men sicuri d’aver quella del duca di Lucca, specialmente se, com’è probabile, aveano notizia che a Lucca pur erano speculatori, i quali voleano tentare impresa consimile, come di fatti è succeduto.
La concorrenza adunque tra due imprese, che potevano divenir rivali, sembra esser stata la causa prima per cui tacquero al proposito della seconda linea committenti e periti.
Nè ciò dovea sorprendere all’epoca del 1838-39 in cui facevansi i progetti; laonde molto opportunamente i periti suddetti notavano gl’inconvenienti d’una linea, la quale andasse verso Prato e Pistoia per tornare poi in Val d’Arno, dove era forza di rimanere, per venire più presto e senza toccare quel di Lucca a Pisa ed a Livorno.
Ma ciò ch’era fondato e ragionevole nell’esordio della pratica, quando aveasi lusinga del sicuro suo buon esito, può esserlo meno assai nell’epoca attuale, dopoché la speculazione soggiacque a tanto ritardo ed a molte perdite; e dopo che, se si eccettua la succeduta predente favorevole reazione, l’opera fu per molti anni screditata, e potrebbe per avventura esserlo ancora.
In questa ipotesi pare a noi pertanto, che, come tra Parigi e Versaglia fu men prudente la costruzione di due vie ferrate, l’una e l’altra chiamate a sicura perdita, così tanto più tra Firenze e Livorno può dirsi assai arrischiata una speculazione consimile.
Ma la strada centrale toscana, dicesi, annienta ogni eccezione contro quella Leopolda pel Val d’Arno ; poiché anzi col procurarle il concorso d’una più numerosa popolazione e d’una gran parte del traffico interno toscano, essa ne migliora la condizione, la quale da perdente può divenir profittevole.
Non si contende che l'idea di fare la via Sanese fu un incidente fortunatissimo per la Leopolda, dopo che meno prudentemente quella deliberavasi dì condurre come fu condotta, e ciò specialmente se si verificherà nella massima parte il calcolo da presunti prodotti della detta strada centrale, ma si ripete, che a caso vergine, una sola linea, e non due; e la seconda, non la prima, doveansi deliberare e mandare ad effetto per parte di privati speculatori.
Abbiamo detto di speculatori privati, perchè altra parte, se il governo toscano si fosse risolto a concedere soccorsi reali e diretti alle due imprese, allora certamente, quanto all’utilità generale, ambedue sarebbero state profittevoli.
Nè la cosa sarebbe invero a quella finanza incomportabile, quand’anche essa si privasse di quell’impura sua rendita del lotto, come per onore di lei desideriamo di tutto cuore ne avvenga, vedendosi nella Germania Stati minori od almeno uguali all’incirca (come Bade, Wurtemberga e Sassonia) entrare animosi in tale assunto, e gravare il proprio avvenire con nuovi debiti, per procurarsi il beneficio attuale delle nuove comunicazioni, quantunque a differenza della felice e pacifica Toscana, molto saviamente di poche armi provveduta, debbano a gravi spese militari sopperire.
Stringendo in più brevi parole il sin qui detto, è lecito conchiudere: che, come speculazione privata, la costruzione delle due linee sembra a noi meno utile, e quindi, che i vantati futuri profitti di esse voglionsi presumere assai minori, per modo che, se le due speculazioni non saran perdenti, molto esiguo tuttavia debbe riuscirne il profitto.
Ci conferma in questa opinione il convincimento in cui siamo, che i calcoli preventivi delle spese occorrenti per costruire e mantenere le vie Leopolda, Toscana-Lucchesé e centrale saranno sicuramente oltrepassati per le cause altrove già dette, come dovunque è succeduto; e che le presunte rendite d’esse vie sonosi esagerate, la Lucchese in ispecie, al solo ed unico fine di procurare alla speculazione un pronto spaccio delle azioni, facendo col giuoco di borsa, notevolmente crescere il valore al corso di esse, e conseguire tosto a profitto de’ promotori larghi guadagni.
Laonde ne pare, che se il governo toscano non avesse lasciato cosi libera azione all’aggiotaggio colla facile approvazione d’ogni progetto, avrebbe più cautamente operato.
Difatti sembra lecito temere, per molte fra le concessioni toscane accordate (giacché questi nostri riflessi sono a tutte applicabili), che dato un primo o, per parlare più esattamente, un secondo sfogo al giuoco dell’aggiotaggio; conseguito mercè d’esso qualche profitto, le azioni, anche divise, occorrendo, in frazioni, per curarne il più facile e miglior spaccio, acquistinsi infin di conto da persone le quali non conoscano tutta l’estensione ed il pericolo del carico che assumono. Perocché un tal carico, dapprima tenuissimo, attesi i ripartiti versamenti stabiliti successivamente, colla realtà d’essi richiesta, diviene per molti grave assai, e quindi corre pericolo di non essere adequato ai mezzi di cui l’azionista imprudente ha a disporre.
La Toscana già trovasi, come a tutti è noto, desolata dal giuoco del lotto, il quale ivi assorbe ogni frutto dell’economia e del lavoro, vedendovisi una popolazione di abitanti 1,500,000 giuocare ogni anno all’incirca lire 5,000,000; proporzione questa, enorme e rovinosa, cui non giugne alcuno degli altri Stati italiani, pur gravati dall’infausto balzello, ed a cui non mai giunsero la Francia ed altre contrade, quando aveano esse pure il fatal giuoco, ora felicemente in quelle soppresso120.
Noi, che sinceramente amiamo la Toscana, dove ci onoriamo d’aver molti amici carissimi, confessiamo temere assai che in essa, coll’occasione delle vie ferrate in soverchio numero intraprese da società private senz’alcuno governativo concorso, s’aggiunga alla piaga del lotto, già causa non dubbia per la medesima di molto danno morale ed economico, quella altres'ì dell’aggiotaggio, ugualmente perniciosa nei due rispetti.
Non possiamo quindi approvare la soverchia moltiplicazione degli accennati progetti.
E se, come sembra potersi temere, alcuni fra essi solo incominciansi senza poi aver termine, scorgiamo nel discredito che ne avverrà a quelle imprese un danno gravissimo, il quale può tornare pregiudicievole all’insieme di tutte quelle speculazioni, taluna delle quali pur avrebbe potuto riuscir fruttuosa per le migliori condizioni in cui trovasi.
Ancora; quando si fanno progetti di strade ferrate, specialmente per opera di speculatori di banco, come per la Leopolda, la Lucchese ed altre Toscane è succeduto (tranne per la centrale, in vero da fine patriottico inspirata), si calcola il numero di persone abitanti la zona cui debbe la strada servire; quello, de’ viandanti e delle merci, come del bestiame che passan sulle strade ordinarie attuali; si pone per indubitato, cha tutti coloro che or vanno a piedi, preferiranno il nuovo veicolo; — che, il bestiame, or condotto a’ suoi piedi, si farà viaggiare in vettura; — che le merci, lentamente carreggiate o navigate, si vorran tutte condotte velocemente dalle locomotive, come se di tutte premesse il pronto attivo, a poche soltanto necessario; — poi, sommato il totale, ed ingrandito ancora, perchè aumenta sempre il transito delle persone che vanno in carrozza, si deduce tale una somma, che lancia travedere ai progettanti ed a coloro che ad essi credono, certissimo un ingente frutto.
Questo poi si fa alto suonare pelle borse e pei banchi d’Europa, e fortunato allora chi ottiene d’essere ammesso all’industriale banchetto121 Ma al tempo delle illusioni succede quello del disinganno, e dopo questo viene il discredito, talvolta il fallimento delle imprese; le quali imprese, in fin di conto, scorgonsi solo aver fruttato ai promotori o fondatori d’esse, perchè possessori d’azioni industriali, e ancora quando col favore dell’aggiotaggio riuscirono a tosto venderle con profitto122.
Siamo assai dolenti di dover severamente giudicare, codeste imprese, ma i fatti replicatamente seguiti altrove quelli ch’oggi ancora abbiam sottocchio, né fanno un dovere a coloro che, come noi, vogliono bensì celebrare i vantaggi del maraviglioso nuovo mezzo discorso di circolazione così utile alla produzione, distribuzione e consumo della generale ricchezza, considerata qual potente elemento di prosperità e di vera civiltà, senza però incontrare i pericoli di tal novità123.
Nell’encomiare i vantaggi di metodo così fatto, nell’incitare i nostri concittadini della Penisola, come i governi d’essa ad ordinarlo pel maggiore incremento della prosperità della patria comune, le dottrine della scuola Italiana cui ci onoriamo di appartenere che concedono che si tacciano gli abusi ed i pericoli che possono derivare in codesta maniera dell’aggiotaggio124 Napoli vide seguire, anni sono, casi lamentevoli per esso, colle tante società anonime colà poi fallite; e noi vogliamo sperare che non sieno per ripetersi al proposito delle nuove strade ferrate.
Il regno Lombardo-Veneto corse il pericolo di veder andar fallita pei raggiri del giuoco di borsa la bella sua impresa, e sol debbe alla saviezza del provvido suo governo se ne usciva illeso, e se potrà conseguire l’ideato scopo di vederla felicemente terminata.
Gli Stati sardi fin ora pure si conservarono illesi dà quel flagello, per la previdenza d’un governo savio ed illuminato; e si accingono, come direm pure fra non molto, all’assunto in discorso, mantenendosi prudentemente lontani dal correr siffatto pericolo.
La Toscana sola in Italia sembrandoci grandemente avviata ad inciamparvi ed a servir di tema alle replicate speculazioni dell'aggiotaggio sulle piazze estere, noi dovevamo dirlo senza esitazione, poiché vediamo ai suoi azionisti ed a quelli esteri promessi frutti, cui nè Gran Brettagna, nè Belgio, nè Francia, nè Lamagna giunsero mai per le imprese consimili fatte in luoghi d’immenso traffico, con popolazioni numerosissime ed operosissime a confronto delle nostre.125
Ed appunto perchè ardentemente, desideriamo veder quanto prima è possibile attuate le ideate imprese, non vorressimo che fossero assunte sbadatamente senza osservare le regole della prudenza 126
Le nostre parole spiaceran forse a taluni; ma noi non scriviamo per gli speculatori di borsa; sibbene per tutti i nostri fratelli della Penisola, cui facciamo omaggio del frutto de’ nostri studi sulla materia, ai quali studi da molti anni noi attendiamo; contentissimi se i nostri riflessi, incitando popoli e governi alle speculazioni fondate e ragionevoli; terranno gli uni e gli altri lontani dalle imprudenze industriali, dalle quali sempre nasce molto danno economico, e, quel che più importa, moltissimo danno morale.
Gli speculatori di borsa niun mezzo tralasciano per generare illusioni.
Per tacer di molte loro asserzioni, basti il dire vedersi nel Lloyd austriaco di Trieste ed in alcuni altri giornali della Penisola articoli, ch'essi vi fan tratto tratto inserire come nei periodici oltremontani; ne’ quali articoli si annunciano mirabili gli effetti presunti dalle ideate speculazioni.
Così a Livorno ed alla Toscana tutta van profetando dovere le divisate linee fruttare un movimento commerciale immenso, atto ad arricchirla; invece non mancano i vaticini più spaventosi sui funesti effetti della concorrenza degli altri porti italiani, se quelle strade non sono sollecitamente intraprese.127
Così l’avvocato Landucci dichiara nel Giornale agrario di Firenze, n.°74 le linee toscane nè anche bastevole doversi quelle protrarre onde collegare tra loro le varie italiane province; e fin qui lodiamo l'assunto, purchè fosse ristretto al necessario ed al possibile. Ma quando vorrebbe che Livorno fosse elemento di via primeggiante sur ogni altro scalo, quando conducendo la strada Leopolda da Firenze a Loiano vorrebbe spartirla in due grandi linee, delle quali una andrebbe a Roma, l'altra in riva all'Adriatico; e presumerebbe con queste attrarre agli scali di Livorno e d’Ancona il commercio dell’intera Europa; non possiamo dividere la sua opinione in questi termini espressa: «Così tutte le merci della Germania verrebber a noi dal porto d’Ancona, mentre quelle della Francia e dell’Inghilterra andrebbero all’Umbria; alla Marca ed alla Romagna da Livorno»; a meno che intenda parlare delle sole merei destinate alla consumazione interna di quelle province; la qual cosa già di presente succede e solo sarebbe dalle strade feriate resa più facile; più pronta e men costosa.
Il sopra citato giornale triestino del Lloyd austriaco, nell'assentire alle idee del signor Landucci; dicendo ch’esse incontrano l’approvazione di molti, aggiunge: che a distruggere la concorrenza temuta da una linea che da Genova andasse a Milano, il già citato chiarissimo signor ingegnere Gastinelli; pisano propose la linea da Lucca a Parma per Pontremoli; un’altra da Lucca a Modena; già pretesa approvata per quanto all’esiguo territorio lucchese concerne; un’altra, infine, che da Grosseto per le Maremme a Roma ed a Napoli portasse.
Tutti codesti progetti certo sarebbero utili e possibili trattandosi di strade ordinarie là dove per avventura ancora mancano; chè molte pur già esistono in quelle direzioni. Ma pretendere di ridurle tutte a vie ferrate gli è un’impresa colossale; che possono solo ideare gli speculatori dell’aggiotaggio.
Qual compenso, difatti, potrebbe sperarsi adequato all’enorme spesa di tanti passi dell’Appennino nella sua maggiore altezza e profondità specialmente; con difficoltà d’arte gravissime; solo per provveder da Livorno qualche centinaio di migliaio d’abitanti; ora facilmente provveduti altrove; ed anche dallo stesso scalo colle vie ordinarie? Perchè una di codeste imprese convenga, importa che sia grandissimo il numero dei consumatori da provvedere; — che altre vie di transito ugualmente facili non s’abbiano, a que’ lontani scali cui vuolsi giugnere; — che tenue sia la spesa od almeno riesca adequata al presunto reale prodotto.
Queste condizioni mancando assolutamente a molti dei progetti toscani e lucchesi, ne duole il dover dire, che possono chiamarsi più ipotetici che reali, e che non possiamo perciò predicarne l'utilità, come di molti altri già s’è detto e si dirà ancora.
Vero è che certa scuola pseudo-economica professa il principio di incitare con ogni maniera di stimoli la produzione, senza imbarazzarsi poi nè punto nè poco, ch'essa riesca per avventura mal distribuita e consunta con perdite individuali, e senza prendersi il menomo pensiero degli effetti morali che possono derivare.
Cotesta scuola disprezzerà probabilmente i nostri timori, chiamerà ignavia la nostra prudenza.
Noi, che non le apparterremo mai, tranquilli sulle nostre intenzioni, convinti della bandita opinione, non cesseremo perciò dal predicarla.
Premesse queste considerazioni, applicabili, ripetesi; a quasi tutte le concessioni accordate, ed anche solo impetrate, ne restano ancora alcune, altre speciali ad esse relative.
Della via Leopolda e Lucchese null’altro ne resta a dire; se non che, avuto riguardo alle distanze ch’esse dovran percorrere, pare a noi l’estimo delle spese doversi in realtà sicuramente oltrepassare, non potendoci noi persuadere che, ad opera tutta compita, un kilometro di strada ferrata italiana abbia a costar meno di quanto costarono per kilometro e coston tuttora le strade ferrate francesi e belgiche.
Quanto alla strada ferrata centrale toscana, se si eccettua altresì qualche dubbio intorno alla sufficienza della somma assegnata per sopperirle la spesa e relativamente al presunto montare della sua rendita, ci gode l’animo di dover porgere a quell’impresa patriottica le più sincere lodi.
Infatti la sola carità di patria inspirò l'autore del progetto ed i promotori d’esso. Gli uni e gli altri, con lodevole quanto raro disinteresse, non vollero ritrarre alcun beneficio particolare dallo spaccio delle azioni; e dalla sempre privilegiata qualità di fondatori; ed il nobile tratto usato di voler attribuire alla società intera le azioni beneficiarie risparmiate; dopo pagate le spese di ordinamento, è un atto che non si potrebbe bastantemente pubblicare e lodare.
Con questi diportamenti gli ottimati sanesi acquistarono perenni dritto alla riconoscenza de' concittadini loro; come alla stima e riverenza di tutti gl’Italiani; tra i quali vorremmo veder molti imitatori; chè allora sicuramente non così facili si renderebbero le speculazioni meno rette dell’aggiotaggio.
Solo è a lamentare, che non essendo gli abitanti sanesi ricchi di capitali inoperosi da impiegar nelle azioni; i promotori dell'impresa dovettero quasi interamente dipendere dai sensali e banchieri pel collocamento delle azioni della società anonima della strada centrale toscana; onde deriva, che le azioni suddette; esse pure in pochi giorni notevolmente cresciute, e prima ancora che potessero ragionevolmente acquistar credito, furono materia di giuoco, e fonte o soggetto d’aggiotaggio.
Tranne questo neo, del resto conseguenza d’una condizione di cose insuperabile; la impresa sanese è degna di servire d'esempio a tutta Italia; e fa ascrìvere i fondatori d’essa tra i migliori e più illuminati cittadini della Penisola.
Se abbiamo meritamente lodata la concessione sanese; non sappiam darci pace e persuaderci come abbia potuto sorgere in mentì toscane (così svegliate del resto, illuminate e di buon criterio dotate); ed accreditarsi al punto di trovare approvazione l’idea d’una strada ferrata tra Livorno e Grosseto per le Maremme toscane.
Difatti; chi anderà a passatempo in quelle, Maremme sanesi, nelle quali pur troppo la mal’aria resiste a tutti gli sforzi che da tre generazioni d’ottimi prìncipi si fanno per migliorarla; e restituire que’ luoghi a salubre coltura ed a sicura abitazione? 128 Nessun grave interesse di commercio, nessuna curiosità, nessun impulso ad ulteriore transito ci sembrano poter mai risolvere buon numero di viandanti ad accorrere in qne’ luoghi diserti e spopolati; e quanto ai terrazzani, cui poco arride fortuna come salute, essi certo non saran mai in numero, sufficiente a fornire avventori bastevoli a dare larghi prodotti; atti a compensar la spesa d’una sì lunga strada129
Quanto al vantato probabile prolungamento di quella strada dal confine pontificio a Roma, passando o no per Civitavecchia, vuoisi notare che, avuto riguardo specialmente alla tendenza poco favorevole alle strade ferrate attribuita al governo pontificio, l’idea di congiungersi al suo confine per quel punto, è in vero, se non altro, poco felice.
Supporre difatti, che mentre si hanno da Firenze varie altre direzioni di strade scorrenti in regioni amene, popolate e di facile passo, ove volendolo si possono costrurre strade ferrate meglio assai che in terreni paludosi, sovente allagati dalle acque, mancanti di sufficienti scoli, que' terreni siano in vece preferiti, malgrado l’anzidetta sfavorevole condizione, gli è veramente uno sforzo d'illusione, che la sola occasione, resa così più, facile, di giuocare può avere inspirato.
Non si sa poi comprendere come, a fronte di siffatte circostanze, abbiasi potuto scrivere di questa ideata strada, ch'essa è la più naturale comunicazione fra Firenze, Roma e Napoli, e che riuscirà una delle più belle ed utili strade della Penisola. Affè, che l’asserzione è per lo meno esagerata! Chiamare belle le incolte o pantanose pianure di Grosseto, e chiamarle più belle di tante amene e deliziose contrade di cui abbonda l'Italia, per le quali passeranno le molte altre vie ferrate che fra noi vanno ad aprirsi, è un'affermare sì apertamente contro il vero, che neppure accorto può dirsi lo spediente.
Pretendere poi d’annoverare codesta via tra le più utili della Penisola, è un voler asserire cosa in aperta contradizione contro i resultati più accertati dalla sperienza.
Finora le strade più utili, cioè più produttive, reputaronsi quelle che attraversano contrade di popolazione maggiore, più agglomerata e più operosa per attività di speculazioni commerciali.
Queste condizioni sono ben lontane dal potersi supporre nella strada Maremmana, dove la popolazione di Livorno certo non è frequentemente diretta a Grosseto, e quella di questa città e sua comarca è ben lontana dall’essere numerosa e data a traffico operoso.
Il giudicio adunque proferito sulla detta strada, riferito nella mentovata Gazzetta di Torino, la quale ha ripetuto quanto venne scritto a Livorno, non può nè debbe altrimenti consideraci che come uno de'soliti artifici di borsa, tendenti a promuovere l’aumento delle promesse di azioni.
Il fatto finalmente indicato dagli Annali di Statistica di Milano della domanda di 140,000 azioni, mentre solo n’erano vendibili 32,000, è, a nostro parere, novella prova, lo ripetiamo, della speculazione tutta aleatoria, e non di vera pubblica utilità, che costituisce la domanda della strada in discorso.
Conchiudiamo: i denari spesi ne’ proposti studi, essendo, a nostro parere, sprecati, e potendosi più utilmente impiegare altrove, noi facciam voti perchè migliori consigli decidano il governo toscano a ritirare la concessione preliminare accordata, com'è libero di fare, senz’aspettare che, svanite affatto le prime illusioni, sopravenga la crisi, e caduto il corso delle azioni, codesta impresa, non mandata ad effetto, vada a collocarsi nel novero di quelle molte speculazioni mal fondate, morte appena nate.
La speculazione dei fratelli Cini è ben lontana dal meritare un uguale giudicio. Una strada ferrata che da Pistoia per la Valle dell'Ombrone, e, superato l'Appennino, per quella del Reno vada a Bologna per la regione della Porretta, la quale dà ora il nome all'ottima strada ordinaria attuale, sarà una strada sommamente utile al commercio della Toscana, perchè favorirà le speculazioni del porto franco di Livorno, il quale meglio potrà provvedere l’Italia centrale delle merci che arrivano a quello scalo; — perchè servirà a congiungere il Mediterraneo coll’Adriatico, quando saran mandati ad effetto gli altri divismenti ideati di vie ferrate conducenti da Bologna per l’Emilia ad Ancona, e per Ferrara, Rovigo e Padova a Venezia, come già si è detto al capitolo 2.°, e si dirà con maggiori particolari al vegnente capitolo 8.°; — perchè, protendendosi da Bologna la divisata via ferrata per gli Stati estensi, parmensi, lombardi e sardi, colle decretate od ideate strade che dovranno attraversarli, farà comunicare Livorno e Firenze con Modena, Parma, Piacenza, Milano, Torino e Genova, come già si è accennato al capitolo 2.0, e meglio si vedrà ancora a quelli 5.°, 6.°,7.° ed 8.° Malgrado cotesta innegabile utilità, noi confessiamo che, tenuto conto degli 82 ad 85 kilometri che separano Pistoia da Bologna avuto riguardo alla difficoltà di superare la quantunque ivi depressa vetta dell'Appenino, per cui occorrerebbero tuttavia forse trafori (tunnels) e piani inclinati in que' gioghi; anche aggiunta alla somma di lire toscane 12,360,000 presunta dai fratelli Cini necessaria alla concessione loro, una più adequata somma onde sopperire alla spesa occorrente per continuare la strada ferrata dal confine toscano e pontificio a Bologna, crediamo che la somma da spendersi sia cosi ingente da non potersi compensare con adequato prodotto.130 Epperò, pensando al rimedio, fin d’ora dobbiam dichiarare cbe lo spediente ideato a Bologna di risparmiare i trafori ed i piani inclinati, superando le parti erte e scoscese con cavalli e non colle locomotive, staccate dai treni a piè delle salite, ci pare un partito utilissimo in siffatti casi, perchè il tenue perditempo che sol ne deriva sarà largamente compensato dalla spesa assai minore.
Del resto preghiamo il lettore di aspettare a proferir giudicio di questo temperamento quando sia giunto al capitolo 8., dove coi migliori particolari svolgesi un tale divisamento, che a noi pare meritevole di preferenza.
L'ultima concessione toscana, accordata in sostanza, come abbiam veduto, alla società inglese, italiana ed austriaca ci chiama a serii riflessi. Tenuto anche conto del supposto massimo avviamento d’una strada ferrata tra Firenze e Pistoia, la breve distanza, le spese maggiori occorrenti per l’acquisto di terreni fertilissimi, ed il carico gravissimo assunto della pattuita largizione dell’ingente capitale d'oltre a 100,000 francesconi, che l’orfanotrofio della Pietà, di Prato non mancherà di esigere, poiché gliene venne attribuito il dritto ne’patti fissati, non ci concedono di credere che la speculazione sia profittevole.131
Quantunque i sussidi ai pii istituti meritino in generale d’esser tenuti in pregio, nel caso speciale però a noi non pare meritevole d'approvazione quello pattuito colla società inglese. Questa probabilmente assentiva a quelle gravose-condizioni, quantunque persuasa di non ritrarre poi dall’esercizio dell’ideata via una rendita sufficiente a compensare la spesa, della costruzione, manutenzione ed esercizio, giunta al frutto del capitale preallegato d'oltre 100,000 francesconi, perchè volea ad ogni costo, dopo esser stata ripulsa a Torino, a Milano ed a Bologna, che non fosse vano il titolo da essa assunto, ed avesse almeno una concessione in Italia, dov'erasi da Londra, senza la menoma cognizione de’ luoghi, proposto di specular largamente, onde non sfiduciare i suoi azionisti del regno unito.
D’altronde a Londra, quelle stesse onerose condizioni soscritte, con arte fatte valere qual prova del buon affare, possono viemeglio giovare al giuoco delle azioni che si emetteranno della strada pistoiese, appena potrà pubblicarci a quella borsa, ed alle altre della Gran Brettagna, l'ottenuta concessione; ondechè il lucro dell’aggiotaggio colà ricavato sarà largo compenso ai 100,000 francesconi pagati.
Nè può riputarsi seriamente bandito per l'Inghilterra il divieto che vedesi nella detta notificazione scrìtto, quale cautela aggiunta alle prime concessioni, d’emettere azioni prima che siano versati i 2,000,000 di lire toscane convenuti di cauzione (i quali del resto saranno tostamente sborsati), perocché non saranno le dette azioni certamente spacciate in Toscana, ma a Londra ed altre piazze commerciali inglesi, dove per l'abbondanza di capitali, trattandosi di speculazione lontana, sul conto della quale un manifesto ben inteso può dir cose molto favorevoli, s’otterran facilmente larghi guadagni per l'aggio conseguito sulle azioni.
Quanto ai tre altri progetti di vie ferrate, per cui più compagnie sono in istanza, noi ci asterremo per ora dal proferire giudicio su quelle direzioni, riferendoci al più lungo discorso che d’esse facciamo ai capitoli 6.° ed 8.° 132. Del resto ripeteremo l’espressione del voto sincero che facciamo, onde l'illuminato e paterno governo toscano, seriamente avvertendo alle conseguenze che potrebbero derivare dalla soverchia moltiplicità delle concessioni, che abbandonerebbero le più essenziali comunicazioni interamente all’industria privata, senza aver poi mezzi veramente efficaci a costringerla a terminare le sue imprese, ove per difetto di mezzi dovesse sospenderle, come può di nuovo succedere appena segua una crisi, pensi con un più diretto suo intervento, anche di qualche sussidio, ad essere più sicuro di veder coronate di buon successo le imprese medesime, postochè le ha lasciate incominciare; e quanto a quelle non ancora concedute, ben bene s'accerti della realtà dei mezzi d’esecuzione, nè si confidi unicamèhte, come finora, alla sola ventura di speculazioni unicamente fondate sull’aggiotaggio.133 Riepilogando ora il nostro troppo lungo discorso sulle tante strade ferrate toscane ideate, derivano queste conclusioni: 1.° La Toscana fu altre volte ricca e fiorente per capitali accumulati dagli industriosi suoi abitanti.
2.° Decaduta nel seguito per causa delle discordie civili e delle emigrazioni, che altrove portarono l’industria e que’ capitali che le succedute peripezie non consunsero, divenne povera e serva d’un suo cittadino.
3.° Venuta sotto il paterno reggimento d'altri ottimi prìncipi, cominciò a risorgere mercè dell’applicazione d’un buon governo economico, per cui il porto franco di Livorno, sostituito pe’ traffici di mare all’antico Porto Pisano, venne in condizione assai fiorente, atteso il concorso d’esteri capitali.
4.° Tornata in peggior condizione per le ultime guerre, alla ristaurata pace del 1814 restituita agli ottimi suoi sovrani, cui era stata usurpata, nuovamente la Toscana risorse, crescendo in ricchezza ed in civiltà.
5.° Quando ideavasi il mirabil trovato delle vie ferrate, sentivano i Toscani la necessità d’averne, che tendessero al principale loro scalo marittimo; se non che il difetto dei necessari capitali era un ostacolo.
6.° Proposta l’impresa d’una via ferrata da Livorno a Firenze col concorso di capitali esteri, il principe concedeva il chiestogli privilegio; ma condotto l’assunto a men buone condizioni per effetto dell’aggiotaggio, l’impresa è ancora ben lontana dall’essere mandata a compimento; e perchè l’altra impresa pur sorgeva di condurre a Firenze in direzione diversa, ambe non possono presumersi fruttanti l’utile annunciato sperabile agli azionisti.
7.° Frattanto la facilità con cui s’accordavano le concessioni facea sorgere molte altre domande, in gran parte concedute; le une utilissime, come la strada centrale toscana da Siena ad Empoli, e così a Firenze ed a Livorno, col mezzo della raggiunta via Leopolda; l’altra da Pistoia (essa pure unita a Firenze) a Bologna attraverso del Appennino. — Le altre inutili, se pure non sono anche dannose, pel giuoco di borsa del quale son causa, anzi quasi unicamente soggetto, come lo è, per esempio, quella ideata, non si sa comprendere con quale fondato motivo, da Livorno a Grosseto nella Maremma.
8.° La premura d’ottener concessioni, e la facilità con cui queste accordansi, non ha forse permesso di bene accertarne i calcoli presuntivi, i quali suppongono dispendii che saranno generalmente oltrepassati, e rendite esagerate da illusioni, che possono indurre a gravi errori, con danno de’ creduli azionisti accalappiati da accorti speculatori d’aggiotaggio.
9.° A tutto luglio 1845 la condizione delle strade ferrate toscane resultava essere la seguente:
1.° Da Livorno a Firenze. 1.a sezione da Livorno a Pisa; in esercizio, con buon prodotto.
- 2.a " Da Pisa a Pontedera, prossima a terminarsi.
- 3.a " Da Pontedera ad Empoli, non ancora incominciata.
- 4.a " Da Empoli a Firenze, idem.
2.° Da Lucca a Pisa, in costruzione, la quale lentamente procede.
3.° Da Siena ad Empoli, in costruzione, che anzi debbe procedere attivamente.
4.° Da Firenze a Pistoia conceduta definitivamente, senza che però ne siano ancora formati i relativi studi, per conto almeno de’ concessionari.
5.° Da Lucca a Pistoia; concessione preliminare di formare i relativi studi, cui si attende attualmente con molta lentezza.
6.° Da Pistoia alla Porretta; stessa concessione preliminare per ]a formazione de’ relativi studi, cui attendesi con molta alacrità.
7.° Da Livorno a Grosseto; stéssa concisione per la compilazionedegli studi, che ignoratisi a qual punto condotti, nè manco a chi affidati.
8.° Da Firenze per Arezzo in Val di Chiana; domandata al tempo istesso da quattro compagnie, che si disputano la preferenza.
9.° Da Firenze per la Romagna a Faenza e Forlì; domandata pure da due compagnie, che si contendono la preferenza.134
10.° Da Livorno a Parma per Pontremoli; impetrata da una compagnia lucchese, tuttora in istanza presso i governi toscano, lucchese e parmense; già depellita da quelli di Modena e sardo, sui territori de’ quali tutti dovrebbe passare.135
Una siffatta quantità di domande, avuto riguardo all’esigua estensione dello Stato toscano, sembra dimostrare in modo non dubbio che la Toscana è fra tutte le province Italiane quella dove la speculazione ha preso maggiore avviamento, senza che però smora, malgrado le facili concessioni, le opere abbiano corriposto ai concetti, nè sembrino potervi corrispondere col tempo.
Se codesto avviamento in ispeculazioni tutte aleatorie, anche fatte con capitali esteri, sia veramente utile al paese nel rispetto economico, come in quello morale, sembra lecito dubitarne assai, come par lecito altresì far voti, perchè con prudenti e savi temperamenti il governo avvisi a prevenire que’ danni che potrebbero derivare da imprese fallite, nelle quali gl’interessi materiali, la dignità sua ed il buon credito dell’universale possono scapitare, come può esser molto pregiudicata la moralità della popolazione* Abbiamo trattato questa parte del nostro discorso da scrittor coscienzioso; il quale, mentre rispetta l’autorità d'un governo savio e paterno, com'è senza dubbio il toscano, crede però non essergli irriverente, nè perciò dispiacergli, quando espone, colla debita temperanza, i pericoli che possono sovrastare alla repubblica, acciò sia ad essi apposto opportuno rimedio.
Le nostre rette intenzioni sono mallevadrici del non aver noi voluto esercitare contro l’autorità che regge la Toscana alcuna censura; noi confidiamo pertanto ch'essa accoglierà con benevola indulgenza le povere nostre parole, da solo buon fine dettate.
Quanto a coloro che speculano sul giuoco di borsa, noi confessiamo di conservarci indifferenti al modo in cui accoglieranno la nostra scrittura, intorno alla quale ne appelliamo soltanto all’onesto pubblico criterio.
CAPITOLO V.
Strade ferrate già decretate ed ancora in progetto negli Stati Sardi di terraferma.
Genova con una popolazione svegliata, sobria ed atta a molta fatica, la quale è singolarmente applicata alla navigazione, sempre trovò in questa industria un fecondo elemento di prosperità136. Avviatisi nell'Oriente all’epoca delle Crociate, mentre coi ricchi noli ricavati da’ fedeli colà portati, si procurarono capitali da commerciare, i Genovesi, come i Veneziani, spingendosi arditamente ai più remoti scali, tosto trovarono modo di cumulare larghi profitti, mercè delle accorte speculazioni da essi fatte.
Coleste speculazioni ben tosto arricchirono Laguri e Veneti; e se pel meno tranquille e meno solido governo interno della madre patria quelli ebbero più tempestose vicende d’ire cittadine, da cui questi non furono così travagliati, onde meglio poterono allargare, sì nella Penisola italiana, che nelle colonie del Levante, il proprio dominio non è men vero, però, che i privati a Genova come a Venezia singolarmente riuscirono a cumulare immensa copia di capitali.
Ma le conquiste musulmane, più ancora le malaugurate rivalità delle due repubbliche, soventi volte in guerra tra loro, distogliendole da’ pacifici negozi, cominciarono ad indebolirle del pari in quelle colonie levantine, le quali pur erano per esse primo demento di potenza e di ricchezza.
Gradatamente perduti quegli scali, veniva nuova occasione di decadenza, la quale consuma vasi di poi colla scoperta del Capo di Buona Speranza e delle Americhe. Perocché, avviatosi per altre parti il gran traffico, Portoghesi e Spagnuoli, Olandesi ed Inglesi cominciarono essi pure ad intraprenderlo, e, posti in migliore condizione di luoghi, tosto se ne impadronirono. Onde nacque che il Mediterraneo, un dì centro del traffico medesimo, come già notammo, rimase diserto quasi, e vide disseccato il fonte da cui era nata l’opulenza delle due città di Venezia e di Genova.
Questa cercava bensì, col mezzo di molti suoi capitali e degli arditi suoi navigatori, di trasportare il centro delle sue speculazioni agli emporii di Cadice e di Lisbona, continuando a ricavare ancora qualche utile dal commercio di commissione, ivi fatto dagli speculatori genovesi colà condottisi. Ma decaduti nel seguito anche quegli scali, in ragione del progresso fatto da quelli dell’Olanda e della Gran Brettagna, gradatamente viepiù scadeva ancora il commercio ligure.
Ridotta in certo modo, al piccolo e grande cabotaggio, come dicesi, e ristretti a pochi navigli i viaggi di lungo corso, Genova giugneva al finire del secolo passato, ricca bensì ancora di capitali privati, posti a frutto ne' varii banchi o debiti pubblici d’Europa ma con traffici attivi molto esigui a confronto di quelli de' secoli trascorsi.
Succeduta la rivoluzione francese e l’invasione d’Italia, Genova, la quale all’ombra della sua neutralità riusciva ancora a conservare qualche traffico esercitato col detto mezzo del cabotaggio, successivamente mutato il governo di lei, é fatta serva di Francia, vedea decrescere anche quella sorgente di lucro rimastole.
L’assedio di quella città (1793-1800) era ancora più fatale ai commerci del suo emporio, e la riunione della Liguria all’impero francese ne consumava la totale rovina. Perocché il blocco continentale rendeva il porto di Genova deserto, e i capitali dai Genovesi investiti all’estero, in gran parte perduti, od almeno più non fruttanti, erano un’altra causa di lamentevole decadenza. 137 Venne il 1814 ristauratosi brevemente un governo proprio, esso non avea mezzo alcuno di far risorgere i traffici, sia perchè ristretto ad angusti confini, circondato da linee daziarie, queste facevano men buona, la sua condizione; sia perchè le disperse facoltà, cadute nella sopraccennata rovina non concedevano di tentare imprese di gran momento; nella concorrenza speoialihente d’altri popoli già avviati a fortunate speculazioni.
Rurnita la Liguria agli Stati sardi pei patti dì Vienna (1815), il novello signore non mancò di cercare ogni mezzo onde dar nuova vita al commercio dell' acquistata provincia, e dopo doverlo francato con abili negoziati, come con energiche dimostrazioni, dall'aggressione de’corsari barbareschi; procurato con atti di protezione, che potesse mostrarsi nuovamente in buona condizione nei mari del Levante; incitato con favori ai viaggi di lungo corso verso le Americhe, in pochi’anni s’ottenne ohe il navilio mercantile genovese molto crescesse, ed ai più lontani scali giungesse con fortunate speculazioni la sarda bandiera; i quali risultati certo non avrebbe mai conseguito il ristabilito governo proprio del 1814, per le accennate sfavorevoli condizioni.138
Se non che l'estensione contemporaneamente presa dai traffici di Marsiglia e di Trieste, e la circostanza felice in cui sono que’ due scali, che a molto maggior numero di consumatori direttamente provvedono, come la difficoltà di superare i gioghi dell'Appennino che sovrastano al porto di Genova, erano gravi ostacoli al più grande incremento del suo traffico. Quantunque non s'ommettesse di rendere tosto più facile l'arrivo a Genova dall’interno pel còlle de’ Giovi, mercè d’una strada carrettiera sostituita a quella disagevole del colle della Bocchetta, più mulattièra che carreggiabile; la difficoltà di quei passi onde veniva caro il trasporto5 non tralasciava dal nuocere nella concorrenza che allo scalo ligure facevano quello francese ed austriaco preallegati.139
Tanto è vero che vi sono difficoltà derivanti da condizioni di luogo, cui la maggiore alacrità e tutta la perizia de’ provvedimenti governativi non può rimediare od almeno in parte soltanto!
In que’ frangenti il mirabile trovato delle strade ferrite e delle locomotiva sur esse avviate annunciava una rivoluzione nella direzione e nell’importanza rispettiva de' traffici.d’ogni scalo.
Le divisate imprese di dette strade da Milano a Venezia; da Trieste a Vienna; da Marsiglia all'interno della Francia, e da Livorno all’interno della Toscana erano, tanti avvisi da cui derivava, evidente la necessità ineluttabile pel porto di Genova d’aver esso pure una di tali vie, la quale rendesse più pronti, più facili e meno costosi i trasporti da quello scalo all’interno della Penisola italiana.
Trattasi, infatti, di conservare a Genova i suoi avventori; i quali sonò direttamente parte degli Stati sardi (un'altra provvedendosi a Nizza ed a Savona); ed indirettamente per via del commercio di transito, Piacenza e Parma, Milano Con parte della Lombardia, ed alcuni Cantoni della Svizzera con varie province della Germania meridionale per le vie del Moncenisio, del Sempione, del San Bernardino, del San Gottardo, e dello Splughen.
Il governo di S. M. il re di Sardegna non tralasciava di pensare all’importanza del caso ed ai modi di provvedervi, frattanto che l’industria privata scorgendo nella costruzione ed esercizio di quelle strade un largo campo di speculazioni, essa pure ideava di tentare quella da Genova all’interno della Penisola.140
Varie domande a tal fine erano dal 1834 al 1837 presentate al R. governo da privati, onde ottenere il privilegio di costrurre ed esercitare una strada ferrata tra Genova ed il confine lombardo verso Pavia, con diramazioni verso Torino per le valli del Po o del Tanaro, e verso Arona per la Lomellina ed il Novarese.
Il governo, convinto dell’importanza dell’impresa, non si mostrava alieno dal favorirla; se con che era giustamente trattenuto dall’accogliere issofatto quelle domande sul dubbio della realtà loro, temendo che servissero per avventura d’occasione a speculazioni d’aggiotaggio, e nulla più, come in molti Stati era succeduto, con grave scandalo, e con molto danno morale ed economico.
Prima di risolversi al proposito giudicò per anto doversi per bene studiare la cosa, non solo nel rispetto tecnico, onde conoscere se fosse realmente possibile il passo de’ gioghi dell’Appenino, attesa la sua rapidità molto scoscesa verso il mare, ma anche nel rispetto politico, strategico e commerciale.
A questo fine nel 1837 eleggevasi una numerosa commissione composta d’uomini di Stato e di esperti ufficiali militari, e del Genio civile, cui mandavatsi di studiare l’argomento nei rispetti preallegati, con dare al proposito il suo parere.
Intanto ordinavasi ad altri ufficiali del Genio civile di attendere a studi speciali onde veder se fosse possibile, com’era già stato altre volte ideato, durante il dominio francese, di transitare l’Appennino con un canale a conche, il quale dal golfo ligustico mettesse al Po, mercè delle acque che vanno al detto mare, e di quelle che convergono in quel gran fiume dai monti liguri.141
Questo provvedimento avea per iscopo di prevedere l’accennato ostacolo del difficil transito de’ gioghi con una via ferrata, e di trovare, occorrendo che questa fosse ipipossibile, un succedaneo ad essa.
L'ingegnere ispettore cavaliere Carbonazzi disimpegnava l’incombenza progettando il canale in discorso, senza che quel divisamento avesse di poi altro seguito, attesa la provata possibile costruzione d'una via ferrata, certo di molto preferibile per la grande economia di tempo derivante da quel transito.142
Intanto la commissione come sopra eletta, in una bene elaborata sua relazione fatta di pubblica ragione, soddisfaceva pure all’avuto incarico, esponendo molto chiaramente t rispettivi interessi cui doveasi avvertire nel trìplice rispetto sopra indicato, politico, strategico e commerciale.
Astenendosi dal profferir giudicio nel rispetto tecnico, essa proferivasi favorevole all’impresa, datocché la medesima fosse possibile, e suggeriva le cautele da apporsi a.scanso d’ogni temuto inconveniente, come le condizioni ed i favori da accordarsi, ove si volesse concedere all'industria privata un’opera di tanto momento.143
Mentre coteste pratiche succedevano, trattavasi di accordare ad una società formataci a Genova la facoltà di far seguire gli studi per una strada ferrata da concedersegli poi, approvato che ne fosse il progetto, a certe privilegiate condizioni, escluso però sempre qualunque affidamento di concorso diretto per parte, del pubblico erario, ed ammesso soltanto quello indiretto di alcune esenzioni di dogana è d’altri tributi per le occorrenze dell’impresa.
Questa concessione venne accordata colle R. patenti del 10 settembre 1840 per le quali era fissato il termine di diciotto mesi alla presentazione di quegli studi.144 Le condizioni apposte a quel patto erano, come scorgesi da quella legge, tutte provvisionali, e intese in senso affatto eventuale.
Là società commetteva all’ingegnere nazionale Porro un progetto di massima, ch'esso fece ideando la via suddetta da Genova al Po, pel colle de’ Giovi, col passo del fiume al punto detto di Giarola, per protendersi inoltre verso Pavia, dove supponeva potersi congiungere con un altro protendimento della strada da Venezia a Milano.145
Convien pensare che il progetto Porro non presentasse alla società tutto il desiderato grado di certezza; perocché quella, a maggiore cautela richiese il celebre ingegnère inglese Brunel figlio, di visitare i luoghi; e gli comunicò quel diviso onde averne il suo parere.
L’ingegnere suddetto, lodate in massima le idee fondamentali del Porro, dichiarato possibile il passo de’ Giovi, mediante un tunnel con due piani inclinati, assumeva il carico di compilare una particolareggiata perizia della strada in discorso.
Avute le occorrenti dilazioni per tale lavoro, esso lo presentò al finire del 1843.
Vuolsi che la direzione ideata dal Brunel sia all’incirca conforme a quella dell’ingegnere Porro, tranne pel passo del Po divisato al punto di Bassignana, là dove quel fiume riceve il confluente del Tanaro, invece del puntò inferiore di Giarola146 Partirebbe, dicono, la strada dal porto di Genova, se non oppongonsi considerazioni strategiche le quali in vero sembrano facili a superare e quando no, in tal caso da San Pier d’Arena, fuori della linea delle fortificazioni, comincierebbe soltanto la strada, ed entrerebbe nella valle della Polcevera; quindi, oltre a Pontedecimo, in quella del Riccò dove ascendendo l’Appennino per piani inclinati arriverebbe a 340 metri d’altezza dal livello del mare. Ivi un tunnel, lungo 1800 metri, le farebbe passare l’ancor più alto giogo del colle dei Giovi, sboccando a Busalla, da dove per la valle di Scrivia, prima con altro piano inclinato poi per una pendenza ordinaria, verrebbe a Serravalle, quindi a Novi e Pozzolo-Formigaro. Da questo punto la strada si biforcherebbe; una linea andrebbe a Bassignana pel passo del Po, d’onde per la Lomellina a Pavia; l’altra linea verrebbe a passare il Tanaro in Alessandria, da dove, con altro progetto potrebbe protendersi nelle valli del Tanaro o del Po (passandolo in questo caso a Casale) verso a Torino; mentre dalla Lomellina si diramerebbe a punto conveniente, con altro progetto pure, la linea verso Mortara, Novara ed Arona.147
Il progetto Brunel, limitato al passo del Po e ad Alessandria, era valutato alla spesa di 32 milioni, circa; quello del Porro, poco appresso in eguali confini tenuto, si calcolava alla sola spesa di 18 milioni. Deferito il progetto Brunel ad una commissione d’ingegneri del governo, essi lo ravvisarono degno dell’autore, proponendo solo alcune modificazioni di maggiore cautela, suggerite da una più esatta conoscenza de’ luoghi, notando ancora potersene presumere la spesa, ascendente ai 40 milioni, oltre ad altri cinque milioni occorrenti per servir l’interesse delle azioni durate il tempo che la strada non frutterebbe ancora per non essere terminata.148 Mentre queste cose succedevano, il governo eleggeva un’altra commissione d’amministratori, di militari e d’ingegneri, cui mandava d’esaminare nuovamente la convenienza dell’impresa nel rispetto politico, strategico, commerciale e finanziere; ed inoltre ordinava d’opinare sulle nuove domande della società genovese, la quale, invece d'esibire d’assumete l’opera alle condizioni pattuite colle R. patenti del 10 settembre 1840, nonostante l’espresso diffidamento, di cui nell'articolo 4° d'esse, sul nessun concorso diretto dell’erario pubblico, rappresentò che, dopo d’aver fatti accurati calcoli sul presunto prodotto dell’ideata strada, supposto dover fruttare il 5 1/2 per % abbisognava tuttavia d’una garanzia dell’interesse minimo del 4 1/2 per % onde potere più sicuramente spacciare all’estero e tenere in credito le azioni che dovrebbero procurarle il capitale occorrente.
Questa proposta variava interamente la condizione della pratica.
Ignorasi quale fosse il parere esternato dalla commissione preallegata, perchè non fatto di pubblica ragione; se non che si fecero note, le determinazioni del governo con due, successive regie lettere patenti del 18 luglio 18944 e del 13 febbraio 1845.
Colla prima si fissano definitivamente le linee governative o maggiori di Strade ferrate ne’ regii Stati sardi di terraferma.
Colla seconda è statuito, che codeste linee saranno eseguite per opera, cura e conto diretto del governo, esclusa così ogni concessione d'ess alla privata industria, salva l'ndennità che di ragione, per le spese utili fatte, alla società genovese, colla quale non venne così, pei motivi in quella legge 13 febbraio accennati, chiuso il patto eventuale prima inteso, attese le nuovamente proposte condizioni.
Le linee fissate dalla legge del 18 luglio 1844, come in essa vedesi, erano le seguenti;
1.° Linea da Genova a Tonno per Novi, Alessandria e la valle del Tanaro.
2.° Linea. Diramazione da quella, con passo del Po verso la Lomellina, d’onde a Novara ed al lago Maggiore; riservata la decisione del punto più utile e sicuro pel varco del Po (che dicesi, e sperasi, pelle cause già dette, fissato a Valenza), seguiti che siano gli studi ordinati a tal fine ad ingegneri pratici dei luoghi.
Compiuta od intrapresa la costruzione di detta, strada, bipartita nelle accennate direzioni verso Torino ed alla Lomellina, il governo si è riservato coordinare la terza linea colla diramazione d’un altro tronco, il quale da quello verso la Lomellina metta alla Lombardia, nella direzione che le circostanze saranno per consigliare più opportune; ordinati intanto gli occorrenti studi: i quali studi, come si vede alle dette Regie patenti 13 febbraio ultimo, trovansi già assai inoltrati.
Tale è il sistema delle strade ferrate definitivamente ordinato, negli Stati sardi di terraferma.149
Cotesto sistema, avuto riguardo alla speciale importante posizione degli Stati medesimi, ed ai mezzi che quella previdente ed accorta amministrazione già seppe ed ancora saprà certamente raccorre in larga copia; promtette allo Stato come all’universale tutti quei vantaggi cui nella propria condizione può quella contrada aspirare, onde conservate ed accrescere la presente sua prosperità, come dimostreremo nel seguito più diffusamente.
La determinazione governativa sopraccennata, che il pubblico voto da alcuni anni invocava, è stata accolta difatti con grato animo dai sudditi, perchè non potea essere più, prudente ed accorta: dacchè, mentre assicura ognuno degl’interessi generali preallegati, cui tanto premeva di avvertire, esclude il pericolo dell'aggiotaggio, altrove notato così flagrante, così, esteso, così fatale; dal quale pericolo, per buona ventura loro, sonosi finora conservati illesi, quegli Stati, con molto vantaggio economico, e, quel che più monta, con immenso beneficio morale.
Premessa la descrizione de’ fatti, giova ora esporre alcuni riflessi atti a mostrare ancora com’essi fossero conseguenza di condizioni speciali, e come se ne possano presumere altre conseguenze felici, avuto riguardo alle preallegate condizioni, se si eseguiscono davvero, e come furono intesi i promulgati provvedimenti.
Abbiamo veduto che il porto di Marsiglia far a Genova una concorrenza dannosa. Fermiamoci ancora su quest’idea, e svolgiamo alcuni particolari d’essa.
Marsiglia, fatta ancora astrazione delle viepiù crescenti sue speculazioni coll'Algeria, ha un notevolissimo numero di consumatori, ai quali direttamente provvede, sì le derrate e merci che dall'Oriente procedono, che quelle del Nuovo Mondo e di altre regioni, dalle quali viensi per l'immenso Oceano.
Posta per le già decretate vie di comunicazione interna quanto prima in futura facile e pronta relazione con due empori principali delle sponde francesi dell'Oceano (Bordeaux e lo Havre), come coll'emporio centrale massimo di Parigi, donde per le vie ferrate delle Fiandre francesi e belgiche avrà accesso ai mari del Nord-ovest; Marsiglia intanto va ad avere fra non molto una via ferrata fino ad Avignone, prossima a compiersi.
Mentre il Rodano da quel punto fino a Lione già le procura una facile comunicazione con questo primario emporio interno della Francia, fra alcuni anni Marsiglia avrà la già decretata altra strada ferrata, che dal punto ove termina quella d'Avignone, si protenderà sino a Parigi, attraversando Lione.
Da questa città partono altre direzioni, che van sul Reno, direttamente per la Francia, ed indirettamente per la Svizzera.
Arrivando pel Rodano, reso tutto navigabile fino a Ginevra, vuolasi pur far comunicare Marsiglia col Reno superiore a Basilea.
La navigazione del Rodano al Reno per la Svizzera è possibile pei laghi di Ginevra e di Neufchatel, e da questo, pei fiumi Thielle ed Aar, il quale si getta nel Reno inferiormente a Soletta ed Arau, poco prima d’arrivare a Basilea. Cotesta navigazione solo è interrotta tra il lago di Ginevra e quello di Neufchâtel dall'ultima giogaia del monte Iorar, il quale estolle il capo suo tra la catena del Iura e quella delle Alpi, e forma in quella parte della Svizzera il punto culminante che separa la conca o versante delle acque dirette al Mediterraneo da quelle direttte al mare di Germania,.
Un piccolo rivo detto di Pompape scaturisce su quella vetta, e diviso in due torrenti, scorre pei due opposti pendii al lago di Ginevra, e quindi al Rodano, da una parte, al lago di Neufchâtel, e quindi al Reno, pei fiumi Thielle e Aar predetti dall’altra.
La distanza da Morgés, o da Ouchy sul lago di Ginevra, a Yverdun su quello di Neufchâtel è di circa sei leghe svizzere (24 o 25 kilometri), e gli ostacoli pel congiungimento dei due laghi sono così facili a superare, che più volte qae' solerti ed industriosi abitanti già divinarono di vincerli; anzi alla fine del secolo scorso fu cominciato a tale scopo un canale a conche.
Se non che la prosecuzione attuata in Francia del canale detto dì Monsieur, destinato la congiungere il Rodano al Reno, ponendo in comunicazione diretta Lione, Berfanzone, Mulhouse e Strasburgo, nocque al transito per la Svizzera, od almeno fece concepire permesso così serii timori, che l'incominciato canale, detto di Entreroche, tra Morges e Yverduno, fu sospeso ed abbandonato.
Ciò non pertanto vuolsi notare evidente che la strada più breve, peciò più naturale per le merci procedenti dal Mediterraneo alla Gerniania meridionale è per la Svizzera, e nell’indicata direzione per Ginevra, Neufchâtel, Soletta, Àrau e Basilea; a meno che dal lago Maggiore s'arrivi con velocità e facilità eguale a quello di Costanza.
Ancora; è del pari evidente, che Marsiglia ed i dipartimenti francesi della valle del Rodano hanno interesse di giugnerè facilmente a Ginevra per mezzo del detto fiume reso navigabile, o per una via ferrata da Lione à Ginevra.
Il primo spediente venne riconosciuto possibile in una visita fatta nel 1842 dal ministro de'lavori, pubblici di Francia, coi primari ufficiali di quel genio civile. Il secondo d’una via ferrata si sta meditando, ed è quello più probabile, attesa la gran’copia di capitali che hanno i trafficanti di Lione e di Ginevra.150
Appena l’uno dei due partiti sarà decretato e di certa esecuzione, il congiungimento preallegato dei due laghi verrà operato, già il signor Perdonnet, ricco capitalista di Losanna, ha formato al proposito una società d’azionisti, dalla quale si fecero compilare due progetti di canale e di strada ferrata, essendosi nel seguito scelto questo come più conveniente, e noi l’abbiamo sott’occhio, scorgendolo particolareggiato e compito, vedendovisi persino già convenute le occupazioni de’ terreni privati occorrenti.
Marsiglia ha dunque tutta la probabilità d’accrescere ancora il suo transito all’alto Reno per la Svizzera; e noi abbiamo espressamente voluto notarlo per dimostrare agli Italiani che, lungi dal farsi concorrenti tra di loro pei rispettivi scali della Penisola, essi hanno invece tutti interesse d'unire i loro sforzi per accrescere i punti di contatto tra l’Italia e la Svizzera medesima, onde arrivare più facilmente agli stessi punti per le vie ancora più brevi che offrono i detti loro scali onde arrivare all’Oriente.
Cotesti divisamenti che nella presente epoca d’ardite imprese sono gli uni certi, gli altri assai probabili, potendo attribuire al porto di Marsiglia la facoltà privilegiata di provvedere quasi tutta l’Éuropa delle provenienze d’Oriente, vogliono essere seriamente meditati dai governi e dagli economisti, come dagli speculatori italiani, perchè essendo nota la solerzia dei Francesi, non è a dubitare che costoro stiano inoperosi nella gara commerciale; epperò importa assai che gl’Italiani tutti si associno onde concorrere almeno, senza lasciarsi sfiduciare dalla difficoltà dell'impresa, od, anneghittire da una colpevole quanto imperita sonnolenza, ponendo mente soltanto alle grette rivalità tra porto e porto italiano.
Se fosse, previi gli studi da farsi, possibile il progetto tempo fa ideato da certo Médail di Bardonèche, in val di Dora Riparia oltre Susa, di perforare ivi l’alpe con un tunnel che uscirebbe a Modana in val d’Arco (Moriana, provincia del ducato di Savoia), sarebbe scansato il Moncenisio, il quale è il solo erto giogo; che separa in quella direzione Torino da Ginevra.151
La strada ferrata da Genova a Torino già decretata, e prossima a farsi, prolungata in vai di Susa facilissimamente sino a Bardonèche senza necessità di piani inclinati; poi passato il detto tunnel, prolungata ancora pella valle dell’Arco, e dell'Isera del pari facilmente fino al pianoro di Ciamberì, porgerebbe facilissimo mezzo d’arrivare a Ginevra, entrando nella valle del Rodano, ossia che ciò seguisse con vie navigabili pel lago del Bourget, il canale od emissario d’esso detto di Ferriere; che va nel Rodano, reso poi navigabile allinsù e verso Lione; ossia che si attuasse il progetto già esistente d’uma via ferrata pella Chantagne e valle del Rodano verso Ginevra.
Cotesto progetto del tunnel, sola difficoltà grave di quella direzione, venne al suo nascere trattato di sogno, e fruttò al suo autore,ora defunto, ripulse e taccia d’utopista.
Però, mentre alcuni dubitavano assai che possa quell'impresa tentarsi con qualche probabilità di buon esito, esperti ingegneri affermarono non impossibile l’opera ond’è, che l'importanza di lei sembra meritarle un pronto studio di verificazione per accertarsi della probabilità o no di tale assunto.
Quando questa probabilità risultasse fondata, non occorre gran perspicacia a comprendere come lo scalo di Genova avrebbe il vantaggio di poter utilmente provvedere in transito tutta la Svizzera e la Germania meridionale colle provenienze dell’0riente, e come quello scalo troverebbe nelle speculazioni relative larga sorgente di prosperità, la quale sarebbe un termine fortunato a quell'ulteriore decadenza onde temesi ancor minacciato lo scalo anzidetto.
L’ideato perforamento dell’alpe inoltre, mercé del proposto tunnel al colle detto della Rovere, fini di Bardonèche, valle d'0ulx, per uscire presso a Modana in vai d’Àrco, non avrebbe, notiamo, il solo vantaggio di aprire nuove relazioni colla Svizzera e colla Germania meridionale. Avrebbe altresì quello di singolarmente confermare, facilitare ed accrescere le attuali relazioni commerciali colla Francia.
Tutti coloro che avvertono alle eondizioni presenti del gran traffico, sanno che gli Stati sardi figurano nelle statistiche commerciali francesi, per un commercio attivissimo e ragguardevolissimo, il quale oltrepassa i cento milioni. Le reciproche convenienze di moltiplici scambi sono tali, che le due, contrade hanno il più grande interesse di cercare ogni maniera di facilitarli.
Se dal lato dell’Alpi marittime alcuni passi possono migliorarsi, tentando anche in esse una via ferrata quando se ne speri adequato prodotto, e se d’altronde, per via della navigazione del littorale e di comode strade che a questo arrivino, può in gran parte supplirsi a della via ferrata; dal lato della Savoia, vuole interesse de’ regii Stati sardi di terraferma, che si faccia ogni sforzo per arrivare il più presto e più comodamente che sia possibile a Lione, principale emporio dove vanno le sete, prodotto il più ricco, ed il più essenziale degli Stati medesimi.
Ora il divisato tunnel alpino, quando sia possibile, conducendo per le indicate valli brevemente e securamente a Ciamberì (dove ora il più veloce corso, però da Torino, non può essere minore colle poste d’ore 24, e coi carriaggi accelerati di due o tre giorni, cogli altri di sette ed anche di otto), scorgesi che dalla città di Ciamberì entrando nella valle del Rodano, ai punti di Chanaz o di Yenne, s'andrebbe con una via ferrata velocemente a Lione, come già di presente, scendendo quel fiume, in sei o sette ore vi si perviene coi battelli a vapore.
Nè è a dubitare che la Francia non facesse, dal canto suo, le opere occorrenti per congiungersi a noi; perocché quella direzione prolungata verso Ginevra, le darebbe pure facile e pronto accesso alla Svizzera per la detta valle del Rodano.
Il divisato più facile passo delle Alpi è pertanto del massimo interesse per le attuali, come per le nuove relazioni commerciali delle contrade subalpine. Anzi osìam dire che nelle presenti tendenze del gran traffico, esso è una così grave ed ineluttabile necessità per le medesime, che debbesi studiare ogni modo per vincere tutti gli ostacoli.
Ritengasi difatti, riperiamolo, ancora, che una strada ferrata sta per compiersi da Avignone a Marsiglia; che un’altra da Avignone a Parigi, passando per Lione, è già decretata, e prossima ad appaltarsi; e che questa compita, le 220 leghe circa cui distano le due città di Parigi e Marsiglia, sarebbero colla velocità dei trasporti ridotte a brevissima durata di tempo a confronto di quello attualmente impiegato.
Ora si comprende come a mantenere, ossia a non perdere gran parte del transito per la Savoia ed il Piemonte dalla Francia all’Italia (il qual transito in difetto tutto si rivolgerebbe forse per Marsiglia, da dovè colla navigazione a vapore ed anche con quella ordinaria andrebbe ai varii scali marittimi della Penisola), importa grandemente di rendere il detto passo dèlie Alpi breve, comodo, non mai interrotto, securo.
Le considerazioni che precedono sono così evidenti, che non sembrano necessarie ulteriori dimostrazioni. Solo noteremo ancora che la città capitale di Torino, già in tanto progresso, riceverebbe dalla divisata impresa un nuovo elemento di grandissima prosperità. Perocché sarebbe comoda, gradita e secura stazione della più gran parte del transito tra Francia, Svizzera e Germania meridionale verso l'Italia, d’onde per le vie di Genova e di Milano s’andrebbe ai due mari e nell’interno della Penisola.
Ma supponiamo il peggior evento dell’avverato vaticinio di coloro che temono impossibile il tunnel ideato dal Medail.
Allora è chiaro che converrà ristringersi a pensare più attivamente di procurare al porto di Genova un facile accesso al pianoro lombardo e piemontese, ed al lago Maggiore, dove convengono le tre strade del Sempione, del San Bernardino e del San Gottardo, che servono al transito verso la Svizzera e la Germania.
Se non che non lice sperare di passare que’ gioghi ertissimi altrimenti che per mezzo delle vie ordinarie.152 Queste però, mantenute in istato lodevole e quasi sempre aperte, attesa la minore distanza, saranno sempre preferite, specialmente quando opportune negoziazioni, di non difficile esito, a quanto affermano persone bene informate delle tendenze d’alcuni governi cantonali svizzeri, rendano più facile per que’ cantoni il transito, mercè l'abolizione d’ogni pedaggio e d’ogni monopolio di trasporti; e quando altri negoziati facilitino alle merci procedenti da Genova l’accesso allo Zollwerein germanico, il quale traendo da quello scalo le provenienze d’Oriente occorrenti alla Germania meridionale (Trieste continuando a provveder l’altra parte), avrebbe il vantaggio di non aver alcuna linea doganale, ed una molto minore distanza da’ luoghi d’origine.
Le relazioni commerciali tra Genova e lo Zollwerein, passando per paesi coi quali l’industria germanica non ha, come colla Francia, alcuna rivalità nè politica, nè commerciale, sarebbero preferite a quelle da Marsiglia per Lione e Strasborgo, o per Lione, Ginevra e Basilea.
Epperò evvi fondato argomento a credere che la confederazione germanica farebbe al nostro transito tutte quelle maggiori facilitazioni che si potrebbero ragionevolmente desiderare; le quali facilitazioni del resto potrebbero trovar compenso, coll’avviar da Genova al Levante i manofatti della confederazione medesima, che cercano dovunque sfogo, com’è noto, per spacciare l'eccedente produzione loro.
L'unione del Piemonte col Zollwerein della Germania, per via della Svizzera, surrogherebbe ne’ tempi odierni agli uffizi che ne' secoli di mezzo facea la lega anseatica, la quale altro non era che una linea di comunicazione tra il Baltico ed il Mediterraneo, libera dalle molestie che recar le poteano le perpetue gare tra la Francia e l’impero.
Chi desiderasse più ampie notizie sulla crescente importanza dello Zollwerein può leggere le interessanti scritture pubblicate sur esso dai signori de la Nourais e Berès, e Léon Faucher, francesi; Dieterici, Haefken e List, tedeschi; l’ultimo de’ quali, specialmente nello Zollwerein-Blatt, giornale dell’associazione, da cui molti giornali francesi, tedeschi ed inglesi traggono parecchie indicazioni, presenta varii rendiconti degni di grande interesse, che quel celebre economista sa esporre con tutto l’acume della vera scienza.
L’associazione germanica, notasi nel giornale della Società francese di statistica, è ormai fatta un vasto mercato, cui le varie nazioni dell’orbe intero chiamano d’essere ammesse. — Abbraccia un’estensione territoriale di 28 mila leghe quadrate,con una popolazione di 26,623,611 abitanti. — Porge -alle finanze dei varii governi associati una rendita di 22,492,598 scudi di Prussia, eguali a lire italiane 83,500,00 circa. — Ha un’esportazione di 70 milioni di detti scudi, ed una importazione di pari somma, eguale a lire italiane 220 milioni circa, calcolando lo scudo prussiano a lire italiane 3.75.
L’Inghilterra, inquieta de’ progressi dell’industria germanica, cerca venir con essa a patti favorevoli, e trova ostacolo nel sistema protettivo, cui lo Zollwerein da qualche tempo pure inclina per rappresaglia al consimile trattamento che incontrano altrove i suoi prodotti. La Francia è in continui negoziati collo stesso scopo; ma finché pretende solo a vendere, e non a comprare, esagerando ancora quel sistema, da cui, più avveduta, comincia a recedere la Gran Brettagna, non è a credere chei suoi, comunque abili negoziatori, riescano a far gran frutto. Il Belgio, più accorto, conchiuse un trattato che favorisce i suoi porti di Ostenda ed Anversa, mercè della via ferrata che da Colonia (Prussia) vi arriva; e ciò con danno dei porti anseatici, ancora trattenuti dall’influenza inglese dal partecipare all’associazione.
L’Olanda propone a questa un accordo, che le apre il libero commercio delle ricche sue colonie e delle Indie, d’onde alla Cina. Finalmente il Brasile, gli Stati-Uniti ed altri Stati ancora fanno al Zollwerein vantaggiose proferte.
L’Italia, posta a fronte di quell’Oriente dove si va nuovamente a rivolgere il gran traffico; finitima quasi alla Confederazione, almeno dal lato della Svizzera; non separata da essa su quel punto da alcuna linea doganale, rimarrebbe forse sola inoperosa a cercare di combinare colla medesima relazioni di traffico, quali facilitino il transito delle merci germaniche all'Oriente e lo scambio di queste coi prodotti del medesimo pei porti italiani?... Noi osiamo sperare che gli uomini di Stato della Penisola mediteranno su questa idea, e consiglieranno provvedimenti che tendano ad attuarla.
Arroge che, conseguite codeste facilita, si renderebbe più probabile l’ideata costruzione d’una strada ferrata da Coira a Basilea per Zurigo, o pel lago di Costanza; la quale strada gii venne proposta; ed allora la linea di transito in discorso non avrebbe altra interruzione per mancanti vie ferrate, che quella degli erti passi delle Alpi preallegati, i quali sono assicurati però dalle ottime vie ordinarie già esistenti; quando altri gioghi ancora non possano superarsi per avventura con tunnel.
Le comunicazioni poi tra Genova ed il pianoro lombardo e piemontese vedonsi già in parte assicurate dalle promulgate leggi; perocchè, oltre alla linea verso Torino e verso Àrona, la terza linea prevista dalle regie patenti 18 luglio 1844 debbe col tempo attuarsi: tanto si farà, evidente il vantaggio del congiungimento della via ferdinandea a quella ligure-piemontese, almeno per coloro che giudicheranno con retto criterio la quistione, senza lasciarsi travolgere dalle grette idee d’una rivalità, che non debbe nè può esistere fra i tre scali di Genova, Venezia e Trieste, i quali possono avere ognuno adequate proprie e sufficienti speculazioni di traffico.
Quando si verificasse poi la divisata costruzione d’una via ferrata tra Bologna e Piacenza, per Modena, Reggio e Parma, del quale divisamente parleremo ne’ seguenti capitoli, non è a dubitare che il governo sardo, così accurato nel badare all’interesse dell'universale, o direttamente o con altro degli accennati sussidi e spedienti, procurerebbe che una nuova linea da Novi per Tortona e Voghera fosse diretta a Broni, suo confine verso il Piacentino.
Parleremo ne'seguenti capitoli 6.°, 7.° ed 8.° di questa linea.
Intanto or qui ne basti notare: essersi formata a Londra una società coll’intento di speculare su tutte le strade italiane ancora da concedersi, con profferte di patti in apparenza larghissimi, ma sull’accettazione de’ quali non si potrebbero abbastanza raccomandare le maggiori possibili cautele. Perocché il modo in cui queste società si formano decidendosi ad assumere imprese senza la menoma preventiva informazione e perizia, spacciando intanto le azioni loro alle borse d’Europa, e giuocando sur esse, porge argomento a pensare che siano speculazioni d’aggiotaggio, più che reali imprese da attuarsi.
À noi pare, niun giudice migliore esservi della convenienza vera d’una strada ferrata od altra, che il governo, il quale ha tutti i dati occorrenti per valutarne l’importanza. Quindi, sia che gli uffiziali di lui vi pensino i primi, sia che i privati gli suggeriscano una data linea, crediamo doversi prima ed avanti ogni cosa prontamente ordinare un progetto di massima per essa, onde accertare, se sarà possibile, in linea d’arte; poi fare le occorrenti indagini sul probabile suo presunto avviamento, a fine di poter calcolare se i vantaggi diretti od indiretti di quella comunicazione si possano presumer tali da provarla utile. Maturati cotesti preliminari, o conviene al governo la costruzione ed esercizio diretto, ed esso può liberamente assumerlo, esente da ogni vincolo od impegno con società speculatrici; o meglio è spediente l’opera di queste, ed allora la pubblicazione del progetto di massima suddetto, e del risultato delle indagini preal-legate, tosto faranno sorgere società serie e facoltose, le quali si presenteranno a tentare d’assumere l'impresa alle migliori condizioni. Quest'è, a nostro parere, il più prudente partito che debbono scegliere i governi italiani, anziché quello d’approvar progetti privati e far concessioni prima di ben conoscere la vera importanza d’ogni impresa, come fecesi in Toscana.
Finché poi la terza linea, prevista dalle regie patenti 18 luglio 1844 citate possa attuarsi, è da notare che, se la via ferrata diretta dal Po per la Lomellina ad Arona si devia leggermente da Mortara a Novara, passando per Vigevano, oltre al raccogliere una popolazione maggiore, si avvicina per tal modo al confine lombardo-veneto; che, stabilito un deposito d’uscita al transito a Vigevano stessa, i convogli di merci, condottivi da Genova in brevissimo tempo, con spesa minima, avrebbero molto profitto a preferir quella via a quella di San Martino Siccomario, per dove passa il transito ora diretto alla Lombardia, attesa la brevissima distanza tra Vigevano e Milano, e la facile e più economica comunicazione già esistente col mezzo del canale di Abbiategrasso.
Altre linee possono ancora col tempo accrescere l’attività del commercio interno tra Cuneo e Torino per Savigliano e Racconigi, e tra Pinerolo e Torino; le quali linee ove si, congiungessero con quella governativa procedente da Genova; la prima, dopo che avesse passato il Po superiormente a Moncalieri; la seconda inferiormente al passo di quel fiume, sarebbero così abbreviate e di più facile esecuzione per minor costo.
Ora parliamo ancora d’altre linee possibili ed utili. Il Piemonte superiore potrebbe desiderare ancora una linea che da Asti fosse continuata pella valle del Tanaro, la qual linea, sebbene di facile esecuzione, non sappiamo se presenterebbe forse un sufficiente compenso ne' suoi prodotti, neanche indirettamente considerati.
In cotesta direzione, volendosi stare nel probabile e nei confini dell’utilità men dubbia, pare che col tempo, ed avendosene i mezzi, se fosse reso navigabile, come si afferma possibile, il Tanaro fino a Ceva da Asti, quando fosse perfezionata la via ordinaria da Ceva a Garessio, Albenga ed Oneglia, si avrebbe un’interna comunicazione sufficiente ai bisogni di quei luoghi; la quale comunicazione darebbe anche vita alla Riviera di Ponente, ora per varie circostanze insuperabili di tempo e di luogo ridotta in condizione meno prospera. A tanto ci sembrano doversi ridurre i divisamenti che si contengono in una spiritosa lettera inserita da un nostro amico carissimo, da lodevole amor patrio mosso, nel N.° 16 delle letture di famiglia.153
Quanto al progetto di far passare la linea da Alessandria a Novara ed Arona per Casale e Vercelli anziché per Mortara e Vigevano: se non può contendersi che la spesa maggiore di essa e le difficoltà gravi del transito de’ colli che separano l’Alessandrino dal Monferrato, come pure la maggiore sua lunghezza, troverebbero qualche compenso, nelle due popolazioni agglomerate di Casale e di Vercelli, cui quella linea servirebbe; vuolsi notare però che essa farebbe perdere le popolazioni numerose ed attive della Lomellina, come i trasporti de’ risi che da questa vanno a Genova. Tuttavia sarebbe da valutare la circostanza dell’aver già fatta la via tra Vercelli e Novara pel caso d’una linea diretta da Torino per Vercelli a Novara e Milano, di cui parleremo fra non molto.
Ma un’altra circostanza gravissima ci consiglia a non credere quella via per Casale e Vercelli preferibile a quella per Valenza,Mortara e Vigevano; perocché se la terza linea tra la Lomellina ed il confine lombardo-veneto, di cui nelle ridette regie patenti 18 luglio 1844, art.° 3.°, fosse tosto attuata, certo sarebbe meno importante il transito per la Lomellina e Vigevano specialmente; ma finché la detta linea non é che un progetto, all’esecuzione del quale debbono concorrere più volontà, il passo per Vigevano é di tutta importanza pel porto di Genova, attesoché può conservare ad esso parte della provvista di cui ora gode della ricca e popolata Milano. Difatti, lo ripetiamo, un collo di merce partito dal porto franco ligure, e condotto al deposito di transito che converrebbe aprire a Vigevano, non avrebbe più, uscendo per quel punto da’ regii Stati, che poche miglia a fare per vare a Milano, dove potrebbe di più giungere pel già indicato canale di Abbiategrasso, con un mezzo di trasporto molto economico. Cotesta considerazione ci pare così essenziale pel porto di Genova, minacciato di perdere colla strada Ferdinandea parte della provvista suddetta di Milano, da non sembrar più dubbio che essa debba ad ogni altro interesse di commercio interno prevalere.
Abbiamo parlato poco prima d’una linea da Torino a Milano per Vercelli e Novara. Fermiamoci un momento ancora su questa idea.
È fuori dubbio che, per quanto sia importantissima la conservazione della prosperità commerciale del porto di Genova, è pure egualmente importante pel traffico interno non solo, ma anche pel transito dalla Francia alla Lombardia di pensare a dotare le province interne del Piemonte delle nuove vie di comucazione. Ora collegare insieme con vie ferrate Torino, Genova e Milano debb’essere un'idea fondamentale, cui vuolsi avvertire nel definitivamente fissare la rete stradale dei regii Stati sardi di terra-ferma.
Il piano che da Torino va a Milano, sebbene intersecato da molti fiumi, non presenta difficoltà alcuna alla sistemazione d’una strada ferrata, la quale in quattro ore metterebbe dalla capitale del Piemonte a quella lombarda, ove fino a questa fosse protratta dal confine sardo.
Le difficoltà che vi possono essere all’incontro delle dette linee ai punti già indicati del Gravellone verso Pavia, e di Sesto Calende verso il lago Maggiore, forse non esisterebbero al punto del confine che separa il Novarese dal Milanese.
Una linea adunque tra Milano e Torino in quella direzione non sarebbe nè difficile, nè improbabile.
I suoi proventi, perchè unirebbe insieme molte popolazioni assai agglomerate, sarebbero tali da impegnare sicuramente una compagnia ad intraprenderne la costruzione, anche senza sussidio alcuno, quando il governo stimasse concederla per non assumere soverchio peso, già dovendo esso dirittamente pensare alla costruzione delle linee fissate colle RR. PP. 18 luglio 1844, prima d’ora citate. D’altronde, se male non siamo stati informati, fino dal 1840 erasi domandata per essa una concessione senz’alcun sussidio .
Vero è obbiettarsi a codesta idea, che la linea da Torino ad Alessandria, poi da questo punto condotta per la Lomellina a Mortara ed a Vigevano, supplirebbe all’uopo, senza che occorra un’altra linea; perocché varcato il Ticino a Vigevano, più breve ancora sarebbe la linea lombarda che dovrebbe incontrare la piemontese. Laonde più facili potrebbero essere al proposito i concerti. Ma vuolsi replicare che, sebbene non possa contendersi che con un tal mezzo si arriverebbe ugualmente a Milano da Torino, a linea diretta sarebbe più breve passando per Vercelli e Novara, e porgendo a quelle ricche province un grande vantaggio, esse farebbero certo, dal canto loro, ogni sforzo e sacrifizio per conseguirlo.
Gli Stati sardi di terra-ferma sarebbero allora intersecati in vario senso da una compita rete di strade ferrate; la qual rete assicurerebbe ad essi un florido commercio interno e di transito, con immenso avviamento delle speculazioni più profittevoli.
Vorrebbero alcuni, cui la linea diretta da Torino a Milano per Vercelli e Novara, come a noi, singolarmente piace, che, soppressa quella da Alessandria a Novara per Mortara e Vigevano, da Genova si venisse a Torino per poi rivolgersi a Vercelli e Novara, e da quest’ultimo punto ad Arona sul lago Maggiore da una parte, come a Milano per San Martino Ticino dall’altra.
Osservano al proposito che per le persone la deviazione non sarebbe importante, attesa la velocità del cammino in fatto di perditempo. E quanto alle merci, siccome non v’ha per esse premura, basterebbe a compensare il gran giro una tenuissima tariffa dei prezzi di trasporto delle medesime che potrebbe ancora tenersi inferiore ai prezzi attuali.
Noi non possiamo dividere cotesta idea, la quale qui abbiamo notata solo per farci carico d’ogni concetto delle opinioni sparse nel pubblico. Perocché crediamo per le provenienze da Genova, sì per le merci che per le persone, soverchia la deviazione, e reputiamo della massima importanza pel porto di Genova di arrivare per la via più breve alla Lombardia. Non si contende che l'aumento delle divisate lìnee rende l'impresa più gigantesca; ma credesi che un reale vantaggio compenserebbe il sacrificio di tanto sforzo; d'altronde ricordiamo il noto proverbio: il mondo è di chi se lo piglia. Noi crediamo poi, che nella presente tendenza a tentare i più maravigliosi conati, restare addietro degli altri e non imitare un ardire fatto comune, anche ai governi più cauti e meno propensi a novità, equivale a far passi retrogradi, ad esporsi al perìcolo di rimaner segregati nelle immense speculazioni del gran traffico che vanno ad intraprendersi.
Vi sono circostanze di posizione, le quali sono inevitabili, e quella dei regii Stati di terra-ferma, posti frammezzo a contrade dove tanto si vanno a moltiplicare le nuove vie di comunicazione, è appunto una di tali condizioni, cui, checché dicasi o facciasi, forza è di consentire a pena di decadere e grandemente.
Conchiudiamo adunque che l’antica provata saviezza de’ principi della real casa di Savoia, i quali nelle arti della guerra come in quelle della pace sempre seppero curare la prosperità delle province successivamente per decreto della divina provvidenza al loro dominio aggregate, non verrà certo meno in questa occorrenza; e che quanto prima le divisate linee destinate a collegare insieme Torino, Genova, Milano, Ciamberì, Lione e Ginevra, saranno, per quanto ad essi appartiene, attuate.
I vantaggi delle già decretate o solo proposte linee di vie ferrate, considerate rispetto al commercio interno poi, possono riassumersi nelle seguenti considerazioni:
I.° Le nuove strade renderanno più rapido e meno costoso lo spaccio de' prodotti che abbondano nelle antiche province agricole degli Stati sardi.
2.° Faranno più facile lo scambio di que' prodotti con quegli esteri.
3.° Accresceranno i prezzi di molte cose or meno utili, onde nascerà aumento di produzione, e quindi di consumazioni.
4.° Renderanno maggiore la facilità di provvedere la sussistenza delle popolazioni più agglomerate, Torino e Genova, come di fornirle d’ogni altra merce ad esse occorrente. 5.° Aumenteranno il valor de’ terreni, non come adesso pel ristagno de’ capitali accumulati, che non trovano collocamento; ma pel maggior frutto prodotto da’ terreni stessi.
6.° Accresceranno le transazioni commerciali tra l’una e l’altra provincia; le quali transazioni sono sempre maggiori in ragione delle più brevi distanze e delle più facili corrispondenze.
7.° Faranno più rapido perciò il giro de’ capitali, accorrenti sempre in maggior copia là dove sono più certi di trovare utile collocamento.
8.° Sarà per esse strade fatta più grande la probabilità di vedere sorgere nelle province agrìcole utili speculazioni, or trascurate per difetto di capitali; mentre in altre province molti ne sono stagnanti ed inoperosi, come lo dimostra il tenuissimo frutto ora ritratto da quelli.
9.° Faciliteranno moltissimo il modo d’attendere personalmente alla cura de’ propri affari, col recarsi più prontamente da un luogo all’altro senza più dover ricorrere all’opera d’un mandatario, sempre costoso, talvolta trascurato o men fedele.
10.° Inspireranno a maggior attività popolazioni or neghittose, sia per le più frequenti occasioni ad esse offerte di spiegare quell’attività; e sia per l’esempio più evidente e più vicino d’altre popolazioni così solerti ed attive nel procacciarsi guadagno, come sono quelle della Liguria a confronto delle piemontesi.
11.° Scemeranno pertanto la tendenza all’ozio in cui poltriscono molte popolazioni cittadine, con danno della produzione e della morale.
12.° Saran meglio distribuite quelle popolazioni in ragione della maggiore facilità che avranno di trovare lavoro.
13.° Si vedrà pregiato in sommo grado il tempo, ora tenuto dai più in nessun conto, quantunque sia quel pregio un mezzo molto efficace onde risolvere a trar vita operosa e profittevole.
14.° Faranno crescere notevolmente il numero de’ viandanti esteri, i quali, malgrado il rapido transito, lasceranno tuttavia ragguardevoli lucri.
15.° Agevoleranno la pronta comunicazione d’utili idee e di notizie, le quali pur sempre giovano all’aumento della civiltà, ed alla distruzione de’ tanti pregiudizi di luogo e di tempo ancora notati nelle popolazioni più rozze.
16.° Finalmente, opereranno l'interà fusione di relazioni fra due popolazioni lungamente divise da nazionali antipatie, in certo qual modo promosse quasi dai rispettivi governi lungamente rivali, e dalle incessanti e sanguinose gare seguite fra di loro altre volte.
Questi sono i presunti benefici che ricaverà l’universale.
Or vediamo quelli direttamente presunti pel governo, indipendentemente dalle considerazioni strategiche, sulle quali, attesa la nostra incompetenza, solo ci crediamo lecito notare che per la maggiore facilità di portar prontamente dall’uno all’altro punto minacciato uomini e munizioni da guerra, debbe riuscire più efficace la difesa, minore lo sforzo a prepararla, più facile il mezzo di salvare uomini, munizioni ed altre cose di cui fosse urgente la maggiore conservazione.
Ancora; l’azione del governo, la quale è sempre in ragione diretta delle distanze cui estendasi, più facilmente sarà notevolmente accresciuta,.
La più pronta diramazione de’ suoi ordini, oltre al meglio assicurarne l’opportunità per le più recenti informazioni degli uffiziali minori cui occorresse invocarli, riuscirà molto più efficace.
Gl’incontrastabili vantaggi della centralizzazione allora si otterranno pienamente, che cesseranno i molti difetti d’essa pure innegabili; i quali difetti appunto derivano principalmente (oltre alla troppa complicazione delle pratiche) dalle soverchie distanze che l’autorità direttiva debbe raggiungere co’ suoi provvedimenti, e dal perditempo e tardanza cui questi vanno soggetti.
Nè venga a dirsi che, anche ammesso qualche profitto dalla riscossione del prodotto de’ trasporti, quel profitto non sarebbe adequato alla spesa; perocché questa non tanto vuolsi ragguagliare, come già si è notato, al pro che frutterà direttamente l’esercizio della strada in discorso, sibbene all'aumento generale che risulterà dall’accresciuta produzione derivante dal maggior moto delle persone, delle merci e delle speculazioni, cui sono causa. Se queste speculazioni per solo effetto della quiete e dell’ordine di cui si gode, mercè della pace universale e del buon governo d’ottimi prìncipi, già nello stato attuale, malgrado le meno pronte relazioni, vedonsi ogni giorno crescenti e più fruttuose: può presumersi con fondamento ben più rapida una tale progressione, quando sia immensamente accresciuta la facilità, l'economia, la rapidità delle decretate ed ideate comunicazioni.
Crescendo il moto e la somma degli affari, aumentandosi perciò la produzione e la consumazione, debbe necessariamente crescere il provento delle pubbliche tasse, le quali, anche aumentate, poi se occorre, per util causa, riusciranno meno gravose di ciò che ora sono; perocché quanto esse vengono più ripartite sur un maggior numero di contribuenti, e quanto più questi diventano agiati e facoltosi, tanto più si fanno migliori le condizioni del pubblico erario.
Aumentandosi le rendite di questo, possono accrescersi ancora le spese di pubblica utilità, dalle quali sempre deriva nuova sorgente di maggior produzione, onde nuovi mezzi ancora di consumazione sparsamente diffusa nell'universale.
Più occupati, più agiati, più contenti perciò i sudditi, essi debbono naturalmente essere più quieti, più sottomessi al freno di provvide leggi, con minore necessità quindi di repressione contro coloro che volessero a quelle attentare, e con riduzione pertanto della spesa che da tale repressione suol derivare.
La condizione politica del governo fatta dunque più sicura e più forte, ne debbe nascere certo la conseguenza d’una maggiore sua consistenza; d’un più esteso credito, sì politico che finanziere; d’una maggiore considerazione conseguita all’estero; d’un più gran rispetto procacciato nell'interno; finalmente d’una più cauta e più grande nazionale indipendenza.
Non senza motivo abbiamo aspettato ad esporre a questo punto della nostra scrittura i singoli vantaggi presunti dalle vie ferrate, i quali vantaggi, avuto riguardo alle varie condizioni di luogo e di ordinamento, s’otterranno ugualmente anche negli altri Stati della Penisola, dove già sono attuate in parte, od anche debbono esserlo le dette vie; perchè, presumendoli dal sistema adottato negli Stati sardi di terra-ferma, il quale sistema abbiamo creduto, per gli esposti motivi, meritevoli di preferenza, potevamo così darne la compiuta indicazione.
Nel parlare delle varie linee di strade ferrate, sì decretate che progettate soltanto, od ancora possibili ad idearsi negli Stati sardi di terra-ferma, non si è fatto caso di quelle diversamente ideatesi nella Savoia, onde facilitare per essa il transito dalla Francia alla Svizzera, sia partendo da Lione, che da Grenoble; sia toccando l’estremo punto della Savoia al suo confine verso Francia nella valle del Rodano; sia attraversando il centro d’essa per le valli dell'Isera e di Faverges, ed il lago d’Annecy verso Ginevra; sia, finalmente, seguendo alcuna delle direzioni attuali da Ciamberì a Ginevra, o quelle chiamate della Chautagne e della Semine.154 Cotesti progetti di strade ferrate, cui la prima domanda d’un ingegnere francese, Chabert, diè origine nel 1841, chiedendo esso allora di potere da Seyssel dalla sponda sinistra del Rodano andare a Ginevra; la quale domanda venne dal governo sardo reietta: furono in Francia di nuovo ventilati ne’ Consigli dipartimentali del Rodano e dell’Ain, come in quello municipale di Lione, ed una compagnia Reyre pur di Lione esibiva al pubblico le sue idee al proposito.
La pubblicazione di que’ documenti, e la ripulsa della domanda Chabert e soci fii oggetto d’un opuscolo stampato nell’aprile 1842 col titolo: Mémoire concernant le projet d'établissement d’un chemin de fer sur la frontière occidentale du duché de Savoie, dans lequel cette création est appréciée dans ses effets tant généraux que particuliers, et notamment dans ses rapports avec les autres voies de transit présentement employées sur les États continentaux de S. M. le roi de Sardaigne, par un habitant de la frontière (un barone di Silan).
In quest'opuscolo, l’autore pretende provare che la linea da Chanaz a Ginevra, sull’estremo confine, è il solo mezzo che resti alla Savoia per conservare sul suo territorio parte del transito dalla Francia alla Svizzera; il qual transito la straniera concorrenza le farà perdere quanto prima. — Che se non si fa quella linea, si farà quella sulla sponda francese ugualmente, sebbene più difficile, onde assicurare le relazioni tra Lione e Ginevra in modo pronto ed economico. — Che la linea tra Chanaz e Ginevra acquisterebbe maggiore importanza quando al punto detto del Molard convergesse da una parte verso Lione e Parigi, dall'altra verso Torino per Ciamberì e la valle dell'Arco, eseguendosi il preallegato progetto Médail; sicché allora il rimprovero di non essere abbastanza centrale alla Savoia cadrebbe affatto per detta linea.
Nel seguito sorgeva un’assai viva polemica nel Courier des Alpes (giornale della Savoia), ai NN. 30, 31, 33, 37 41 e 45 di quest'anno, con cui alcuni innominati, considerando la quistione non solo nel punto esclusivamente dell’interesse dell’intero ducato, neanche in quello dello Stato cui è la Savoia aggregata; ma perfino onde promuovere il solo vantaggio or dell'una ed or dell'altra delle province del ducato stesso, pretendono or questa ed ora quella linea o direzione promuovere.155
Cotesta polemica di località, o di campanile, come dicesi dallo straniero, noi consideriamo al momento affatto inopportuna.
Se fosse mandato ad effetto il ridetto progetto Medail, con direzione per Ciaraber' e Ginevra, certo sarebbe, come già si è detto, utilissimo, anzi indispensabile il protendimento verso Francia per Chanaz; col passo al ponte del Molard, d’onde a Lione ed a Parigi.
Tranne cotesto caso, non si vede motivo sufficiente a favoreggiare il transito della Francia, cioè da Marsiglia e da Lione a Ginevra, con accrescimento di danno notevole al porto di Genova. Nessuna considerazione politica ed economica difatti ciò consiglia per certo.
Nè perchè quel transito potrebbe seguire sul vicino confine di Francia, sebbene in modo assai più difficile, sarebbe prudente risolvervisi; perocché appunto per la minore difficoltà allegata dalla parte della Savoia, resta evidente che s’aumenta il vantaggio dell’emporio francese a danno di quello ligure.
Altro è considerare tutti gli scali italiani, senza alcuna mira di rivalità fra di loro, perchè aventi nella sostanza interessi conformi e conciliabili; altro è poi sacrificare cotesti interessi a quelli d’un emporio estero, il quale già ha troppi vantaggi sui nostri scali, perchè se gliene concedano ancora altri nuovi e spontanei, i quali a' detti nostri empori sarebbero dannosi in sommo grado. Si comprende una politica liberale che non cerchi nuocere altrui, abbenchè estero; ma offrire poi un nuovo mezzo di recare a noi maggiore pregiudicio, non è liberalità; sarebbe spensierato abbandono dei propri interessi; sarebbe assoluta imperizia governativa ed economica.
Ripetiamolo adunque, l'esecuzione della via ferrata da Torino verso Lione e Ginevra, potendosi eseguire, come accertasi, il progetto Medail preallegato, è un’idea felicissima e di sommo utile, la quale merita tutta l'attentione del governo sardo.
Ma ad essa debbe alligarsi l’esecuzione di vie ferrate nella Savoia, che l’attraversino da una parte per la Valle dell’Ardo (intersecata quella d’Isera) alla valle del Rodano verso fa Francia; dall'altra, dal punto di Aiguebelle per la valle dell'Isera ad Albertville, e da questa città per le valli d’Ugine e di Faverges verso Ginevra, se però non sono insuperabili gli ostacoli da vincere, nel qual caso converrebbe attenersi alla valle del Rodano.
Ogni altro pensiero che a tale divisamente non fosse subordinato, non meriterebbe per ora di fissare l’attenzione del governo sardo, perocché a fronte degl’interessi particolari, di qualche lucro di trasporti conservato ad alcuni punti della Savoia, prevalgono in massimo grado gl’interessi ben maggiori del porto di Genova, che tanto preme al detto governo ed allo Stato intero di curare colla massima sollecitudine, come infatti egli sempre fece finora.156 Siffatti interessi, richiedono più che mai d’essere seriamente avvertiti, noi non cesseremo dal predicarlo.
Posti gli Stati del re di Sardegna frammezzo alla Francia ed alla Germania, dove le linee di strade ferrate si moltiplicano in ogni maniera, essi sarebbero minacciati d’una fatale segregazione, se si rimanesse inoperosi in tanto conato. Perocché tutti gli altri scali del Mediterraneo, sì italiani che francesi, e persino quelli spagnuoli, assorbirebbero ogni relazione commerciale coll’Oriente; essendo chiaro, a nessuno più convenire allora di praticare lo scalo ligure, da dove o nessuna linea di via ferrata porterebbe oltre, o se ve ne fosse, questa al solo commercio interno dello Stato subalpino, al più della Penisola condurrebbe, non oltre l’Alpi, verso Francia, Svizzera, Lamagna ed altre più lontane regioni.
Cotesto riflesso non abbisogna, crediamo, d’ulteriori dimostradoni, troppo essendo evidente da per sé stesso.
Agli animi gretti, dubbiosi, esitanti, i quali vanno spargendo l’idea che, partecipando al moto dell’universale nella fattispecie, si possono correre pericoli nel rispetto morale e politico, con fusione d’idee e di costumi a noi meno appropriati, risponderemo senz’esitazione alcuna: esservi quaggiù tendenze insuperabili, cui è inutile pensare di sottrarsi; raggiugnere sempre quelle tendenze ugualmente ogni parte dell’orbe incivilito; miglior partito essere per certo quello d’accoglierle con opportunità, non ommesse intanto le possibili cautele che debbono da un illuminato governo usarsi onde prevenire ognuno de’ temuti pericoli. Peggiore fra tutti gli spedienti essere quello poi d’un inoperoso temporeggiamento; perocché, dovendosi in fin di conto subire ugualmente la legge comune, quando l'applicazione d'essa più non è opportuna, ne conseguita incontrarsi allora egualmente il carico pubblico della spesa di tali vie, onde sottrarsi ad un assoluta segregazione ed all’universale danno derivante da essa, senza più ricavarne i vantaggi che in momento più opportuno, prima che si avviassero altrove i traffici si sarebbero conseguiti, e restare il disdoro d’una provata imperizia governativa.
Ma coteste avvertenze ed inquietudini sono per lo meno superflue là dove, come negli Stati sardi, un governo illuminato, accurato ed attivo sa sceverarsi da siffatte grettezze, dubbietà ed esitazioni, come per le vie ferrate provasi coi provvedimenti già promulgati, o che si stan meditando, e come per ogni altro rispetto di pubblica prosperità dimostrano tanti altri provvedimenti illuminati, paterni e prudenti.
A coloro, infine, cui piacesse affermare esagerata cotesta sposizione; certo il danno dell’ingente spesa cadente a carico de’ sudditi; nullo il beneficio economico sperato; ugualmente conseguiti dall’ordine e dalla quiete, come dal buon governo, gli allegati vantaggi, anche senza le strade in discorso, daremo una sola risposta, e sarà questa: vedete l’irrecusabile esempio del succeduto nel Belgio prima notatoessa ci par senza replica.157 Riepilogando, anche pegli Stati sardi di terra-ferma, il nostro discorso, emergono queste avvertenze e conclusioni:
1.° Genova, per condizione di luogo e per popolazione singolarmente atta,come Venezia, all’industria della navigazione, da essa traeva ne’ tempi andati larga sorgente di prosperità, di potenza e di ricchezza, derivante dall’esteso suo traffico. Se non che, cessato questo nel Mediterraneo per la scoperta d’altre vie conducenti all'India, e per quella d’un nuovo mondo, Genova essa pure decadde, e si vide ridotta a men florida condizione. Tornato il commercio alle antiche sue vie, cominciò pure a rivivere il traffico ligure, ma la concorrenza di Marsiglia e di Trieste, è
ostacolo a maggiore incremento, se non si facilita l’accesso al porto di Genova con istrade ferrate.
2.° Gli antichi Stati della monarchia di Savoia non ebbero altre volte gran traffico, perchè, più addetti alle arti della guerra che a quelle della pace, non attendevano a speculazioni mercantili. Chiamati però di poi anch’essi a concorrere nella tendenza commerciale che distingue l’epoca nostra, e posti in ottima condizione per intervenirvi, abbisognano essi pure di strade ferrate, onde non solo conservare, ma accrescere per essi il transito dall’Italia ed Oriente oltre l'Alpi.
3.° Coteste considerazioni avvertite per tempo dal governo sardo mentre, lo mossero a provvedere frattanto largamente il proprio dominio d’ottime vie ordinarie, gli fecero da molti anni pensare seriamente ai mezzi d’avere strade ferrate. A tal fine accoglievansi dal 1834 ni 1837 varie domande di privati speculatori, tendenti a costrurre ed esercitare una strada ferrata tra Genova e il confine lombardo, con diramazione verso Torino e il lago Maggiore. Se non che, temendo che quelle domande fossero, come altrove, occasione a speculazioni d’ aggiotaggio, prima di risolversi al proposito, l’autorità giudicò conveniente di fare studiare per bene la cosa,’ non solo nel rispetto tecnico, onde accertarne la possibile esecuzione, ma eziandio nel rispetto politico, strategico e commerciale, onde conoscerne la convenienza.
4-° A quest’effetto eleggevasi nel 1837 una commissione per istudiar l'argomento, ed opinare intorno ad esso. La relazione di quel consesso dimostrò conveniente l’assunto, quando da’ periti fosse riconosciuto possibile, ed allora emanarono le RR. PP.10 settembre 1840, le quali accordavano ad una società genovese la facoltà di fare gli studi per una strada ferrata da concedersele poi, approvato che ne fosse il progetto, a certe privilegiate condizioni, escluso pero sempre qualunque affidamento di concorso diretto per parte del pubblico erario, ed ammesso soltanto quello indiretto d’alcune esenzioni daziarie.
5.° Compilatisi i permessi studi prima dall’ingegnere Porro, poi dall’ingegnere Brunel, si riconobbe possibile l’esecuzione dell’opera. Ma richiesto iteratamente dalla società al governo un ragguardevol concorso, malgrado il proclamato contrario diffidamento contenuto nelle RR. PP. 10 settembre 1840, era ovvio che si deliberasse intorno alla probabile maggiore convenienza che il governo potrebbe avere d’assumere egli stesso l’impresa, come, con molto vantaggio, si è in altri Stati fatto.
6.° Quindi con legge del 18 luglio 1844, venne decretato doversi costrurre una strada ferrata da Genova a Torino per Novi, Alessandria ed Asti; da questo aversi a diramare al punto d’Alessandria un’altea linea, la quale, passato il Po verso la Lomellina, volgesse a Novara ed al lago Maggiore; riservarsi d’ordinare ancora la diramazione d’un’altra linea dal detto passo del Po per la Lomellina al confine lombardo in quella direzione che le circostanze consiglierebbero più opportuna.
7.° Ancora; con altra legge del 13 febbraio 184S determinatasi che, indennizzata la società genovese per le spese utili da essa fatte negli stadi conceduti alla medesima, le strade come sopra decretate si dovessero con più spedite regole d’amministrazione costrurre ed esercitare per opera e cura diretta del governo medesimo.
8.° Narrati così i fatti seguiti, considerando inoltre più particolarmente la speciale condizione de’ regii Stati rispettò al nostro assunto, abbiamo discusso la medesima;ed avvertendo principalmente all’interesse massimo di conservare al porto di Genova l’antica sua florida condizione, viepiù minacciata dalla crescente importanza di quelli di Marsiglia e di Trieste, se questi soli avessero vie ferrate che dall’interno ad essi portino maggiore traffico, abbiamo conchiuso doversi a quel pericolo con ogni maniera di aiuti ostare.
9.° Solo rimedio all’uopo notavasi esser quello di procurare allo scalo ligure, attraverso il Piemonte e la giogaia alpina, un facile arrivo a Ginevra, d’onde per la Svizzera a Basilea e lungo il Reno al mare del Nord. Nè impossibile abbiam creduto pater dichiarare l’assunto quando resultino felici gli studi da farsi per chiarire1 il modo d’attraversare con un tunnel le Alpi, dalla valle della Dora Riparia entrare in quella dell’Areo, e da questa o pella valle d’Isera, Faverges ed Annecy, o pella pianura di Chambery e la valle del Rodano o della Semine andare a Ginevra; i quali studi vennero ordinati e sono intrapresi.
l0.° La probabilità di questa impresa solo dichiarassi poter servire di norma alle future concessioni che si chiedessero di linee minori attraversanti la Savoia, onde facilitare l’accesso dalla Francia a Ginevra. Perocché, nel solo caso del possibile passo preallegato dell’Alpi e della costruzione d’una via ferrata da Genova a Ginevra, quelle concessioni di linee minori sarebbero senza pericolo pei ligure emporio, ed anzi faciliterebbero gli arrivi di questo non solo alla Svizzera, ma ben anco alla Francia. 11.° Il sommo interesse di cotesta linea alpina per il porto di Genova, mercè d’essa chiamato a sperare una novella immensa prosperità, troppo si dimostra evidente perché occorressero maggiori dimostrazioni; specialmente quando dal punto di Alessandria una linea venga prolungata fino al Piacentino, onde raggiungervi la strada ideata da Piacenza ad Ancona pegli Stati parmensi, estensi e pontifici. Perocché scorgesi come, avendosi allora una linea di comunicazioni facili e pronte, non interrotta, da Anversa o da Ostenda ad Ancona, attraverso le preallegate contrade, questa sarebbe la via più breve, perciò più celere da Londra al Levante, epperò verrebbe sicuramente preferita dal commercio inglese coll’Oriente.
12.° Passando a ragionare della linea, tra Genova ed il lago Maggiore, abbiamo particolarmente insistito sulla convenienza massima di condurla preisso a Vigevano, attesa la brevissima distanza che separa questo città dalla ricca Milano, solita fin qui a provvedersi a Genova, ed attesa la facile e più economica comupicazione già esistente tra Vigevano e Milano del canale d’Abbiategrasso. Cotest’avvertenza dichiarammo, essenziale, finché non è certa una diretta comunicazione tra gli Stati sardi e Milano, intesa per reciproco accordo. Perocché la linea da Genova ad Arona supplirebbe fin d’ora in gran parte a questa diretta comunicazione, e sarebbe preferita dal commercio alla via attuale ordinaria per Tortona, Voghera, e Pavia, tenendo la via ferrata fino a Vigevano e da quel punto l’ordinaria, od il canale suddetto.
13.° Altre linee minori tra Cuneo e Torino per Savigliano e Racconigi, e tra Torino e Pinerolo abbiam pure accennate possibili e, facili, con molto vantaggio del commercio interno del Piemonte. E rispetto al prolungamento desiderato d’una linea che da Asti, per la valle del Tanaro si conducesse a Ceva ed oltre l’Appennino nella Riviera di Ponente, notammo che l’impresa, assai costosa e non adequata forse allo scarso commercio che si avvierebbe per quelle parti, potrebbe essere supplita dalla ottima via ordinaria attuale prossima a compiersi da Ceva al mare, mentre il Tanaro, reso navigabile da Ceva fino ad Asti, assicurerebbe il divisato scopo in modo più economico, perciò più praticabile.
14.° Quanto al condurre la linea da Alessandria a Novara ed Arona per Casale e Vercelli, anziché per Mortara e Vigevano, fatta anche astrazione dalla distanza e dalla spesa maggiore; ci sembrò essere ostacolo insuperabile quello d’allontanarsi dal confine lombardo, cui per le già dette ragioni nell’interesse del porto di Genova preme il tenersi, per quanto è possibile, più vicino, onde supplire alla mancante linea diretta tra Genova e Milano, riservata ancora per le future contingenze.
15.° E rispetto ad una linea diretta da Torino a Milano, non ne tacemmo la facile esecuzione e l’utilità somma, sebbene fatta la decretata linea tra Torino e Genova, e fra Alessandria e Vigevano possa supplirvisi in gran parte arrivando da Torino a Vigevano per Asti, Alessandria, Valenza e Mortara; solo restando la breve tratta di via ordinaria o di canale da Vigevano, e da Abbiategrasso a Milano.
16.° Le progettate direzioni una volta attuate, siccome venne dal governo per atto di veramente paterna ed illuminata sollecitudine per la pubblica prosperità solennemente ordinato, abbiamo facilmente dimostrato come saranno d’un immenso utile per l’universale, atteso l’incremento che ne avverrà certamente al commercio, alla civiltà ed alla fusione delle tendenze e degl’interessi delle varie province de’ regii Stati sardi di terra-ferma. -—
Ancora; notammo come dovessero pur riuscire profittevolissime al governo medesimo, del quale faciliteranno l’azione, aumentandone altresì la rendita, poiché dall’accresciuta generale ricchezza sempre deriva il maggior prodotto de’ dazi governativi, e ne segue una più grande facilità a soddisfarli, onde il maggior contento dei sudditi e la minore necessità di reprimerne gli atti contrari all’ordine pubblico.— E finalmente osservammo, come sarebbe per le decretate vie meglio assicurata la difesa dello Stato dai nemici, sì interni, che esterni, mercè delle più facili e delle più pronte relazioni stabilite tra Genova, Alessandria e Torino.
Le discorse considerazioni dimostrando quale sommo beneficio sarà pel governo e pe’ sudditi il nuovo sistema di comunicazioni ideato non solo, ma decretato, doversi direttamente quanto prima intraprendere dal governo istesso a pubblico dispendio; il quale dispendio pensiamo aversi, come nel Belgio è succeduto, col tempo a compensare, mercè della rendita ricavata dall’esercizio delle strade: ognuno facilmente comprende quanta riconoscenza debbasi all’ottimo principe, il quale, mosso dal proprio illuminato criterio, da quella sviscerata sollecitudine, che gli fa indefessamente curare ogni ramo di pubblica prosperità possibile a procurarsi ai sudditi, senza lasciarsi arrestare dagli esitanti e dai meticolosi, ebbe l'onorevol coraggio di decretare, con singolare antiveggenza e senza inciampare in alcuna imprudenza altrove fatta, colle strade ferrate, la maggiore prosperità del proprio Regno.
CAPITOLO VI.
Strade ferrate in progetto compito, però ancora da approvare negli Stati parmensi.
Se si eccettuano alcune pubblicazioni, anche poco esatte, di giornali, non si conoscono documenti officiali che attestino la parte presa dagli Stati parmensi alla generale tendenza d’ordinare una ben intesa rete di strade ferrate nella Penisola.
Noi ci ristringeremo parlando sul proposito, ad indicare le poche informazioni avute da sicuro fonte perchè derivanti da persone pratiche di tale bisogna.
Fino dal febbraio dell'anno 1842 alcuni ingegneri milanesi ottennero dal governo di Parma di poter fare in quel ducato gli occorrenti studi tecnici pella costruzione di una strada ferrata che dal regno Lombardo-Veneto per Piacenza, Parma conducesse al Modenese.
Compiuto l’assunto lavoro, essi presentarono nell’agosto del 1844 il relativo regolare progetto al governo parmense, accompagnandolo d’un diviso di statuto sociale, onde assicurarne l’esecuzione, calcolata nella presunta spesa di sette milioni di lire italiane. Cotesta somma si dovea raccorre con settemila azioni da lire 1.000 ciascuna, pagabili per decimi ad intervalli non minori di sei mesi.
Il ministero parmense opinò, a quanto affermasi, favorevolmente al progetto, fino dal 17 gennaio 1845; se non che la relativa sovrana decisione, tuttora da emanare, non sembra per ora prossima, per considerazioni che s’ignorano, e forse dipendono da causa d’alta politica, che non è lecito investigare.
Gl’istessi ingegneri milanesi, nella ipotesi della costruzione del divisato tronco verso Modena, fecero contemporaneamente gli studi tecnici occorrenti per raggiungere da Piacenza la strada Ferdinandea,onde avere la corrispondenza della via di Parma con Milano.
Intanto un’altra compagnia di speculatoti fece formar pure un progetto di strada ferrata tra Parma e Pontremoli, mentre altra compagnia faceva eseguire quello corrispondente d’una linea di tali vie, la quale da Pontremoli andasse a Lucca.
Gli speculatori annunciarono già approvati cotesti progetti dai sovrani di Lucca e di Parma, ed i giornali di Milano e di Genova ripeterono tale annuncio, il quale per ora (settembre 1845) non pare ancor esatto ogni cosa essendo allo stato di mero progetto, e nulla più.
Di cotesti progetti qual’è la probabilità d’esecuzione; quale la presunta utilità; quali ne sarebbero i prevedibili effetti sul commercio speciale dello Stato parmense, o dell’Italia in generale?
Ecco ciò che ci accingiamo a discutere.
In linea d’arte, per quanto ci appartenga tenerne discorso, sicuramente l’esecuzione della linea tra Piacenza e Modena per Parma, e di quella da Piacenza ad un punto qualunque della trada Ferdinandea, non può presentare il menomo ostacolo; perocché si tratta di luoghi affatto piani, o quasi, solo intersecati da frequenti corsi d’acque.
La linea poi tra Parma, Pontremoli e Lucca potrà benissimo pel corso delle valli che versano nella gran valle del Po ed al mare le acque loro, anche eseguirsi senz’altra difficoltà, oltre quella del passo del giogo che separa i due versanti. Ma questo passo, che potrà farsi, o con piani inclinati o con tunnel, od ancbe, come da Novi a Genova, coi djie modi con temporaneamente, non può presentare difficoltà maggiori di quelle che offre la detta strada ligure, e che l’arte ha dichiarate facili a superare.
Non è adunque dal lato dell’arte improbabile l’esecuzione delle progettate vie.
Ma ciò premesso, il calcolo della spesa, il solo che sia noto da Piacenza al confine modenese, valutato a sette milioni di lire, sembra egli probabile?
Noi confessiamo che, sia che avvertasi alla distanza da percorrere, sia che si ponga mente ai corsi d’acque da passare, crediamola divisata somma insufficientissima all’uopo, e gravissima poi quella ulteriormente da presumersi necessaria per la costruzione del ponte sul Po a Piacenza, che dovrà assolutamente passarsi per giungere alla via ferrata Ferdinandea; noto essendo come sia a quel punto esteso il gran fiume; a meno che si consentisse ad una interruzione della linea, e si progettasse di lasciare l’attuale passo del fiume suddetto sur un ponte natante; la qual cosa, come scorgesi, torrebbe tosto gran parte del suo pregio alla nuova comunicazione divisata.
Ma queste difficoltà sono minime a confronto di quella massima dell’enorme spesa cui dovrebbe ascendere una strada ferrata; da Lucca a Parma, se si considera la distanza ed i luoghi per cui debbesi passare.
Diasi di fatto un’occhiata alla carta corografica d’Italia,e scorgesi che il passaggio dell’Appennino da Lucca a Parma per Pontremoli è poco meno del triplo in distanza, dell’Appennino che separa Genova dal piano lombardo che comincia a Novi. Ora i calcoli fatti per questo transito più probabili ascendono a poco meno di 30 milioni; si ristringano anche a 20, esempio non ancora succeduto di spesa reale minore della calcolata.
La spesa adunque da Lucca a Parma per Pontremoli può presumersi di 50 milioni quasi, e se questa spepà possa farsi in realtà da una società la quale avvisi ad opere effettive e non a speculazioni d’aggiotaggio, se possa farsi senza intervento di soccorsi governativi; se possa sperarsi compensata da prodotti adequati, sì lascierà giudicare dagli uomini che, estranei alle speculazioni preallegate, alieni dalle illusioni, con mente fredda, con sano criterio e con idee positive sanno valutar le pratiche sulle quali debbono deliberare.
A questa difficoltà gravissima della spesa, vuolsi ancora aggiugner quella del diverso territorio su cui dovrebbe passare la progettata via. Vogliamo parlare del transito di questa inevitabile sul territorio di Massa, appartenente al ducato di Modena, e su quello sardo; onde tre altre linee doganali e politiche a passare perciò fermate indispensabili, visite di effetti, vidimazioni di carte, ec., epperò notevole perditempo.
D’altronde, se siamo bene informati da Modena, ci consta che chiesta dai progettanti lucchesi una tale facoltà di transito, essa venne ricusata, dal sovrano estense, come credesi che sarebbe ugualmente denegata negli Stati sardi.
La strada in discorso adunque, anche supposta possibile nel rispetto dell’arte e della spesa, sarebbe resa improbabile per gli accennati rifiuti dei prìncipi, senza il consenso dei quali non può farsi.
Dovendo poi giudicare dell’utilità delie proposte vie quando quella di Piacenza a Modena da una parte sia posta in relazione con la strada Ferdinandea per a Milano, e dall’altra venga diretta per Bologna e le Legazioni allo scalo minore, ma tuttavia importante, di Ancona: non v’ha dubbio che il commercio interno ed esterno delle province attraversate, ed anche di quelle della Penisola intera che han con esse relazioni, può esserne grandemente vantaggiato; in ispecie quando da Piacenza un altro protendimento per Broni, Stradella, Voghera, Tortona e Novi venisse a congiungere i due porti di Genova e di Ancona.
Questa linea secondaria da Genova a Piacenza sarebbe molto profittevole al porto di Genova, il quale conserverebbe così la facoltà di provvedere delle derrate che vengon d’oltremare il ducato di Parma e di Piacenza; facoltà che in difetto potrebbe perdere ove si facesse senza di essa la linea che da Ancona venisse a Bologna, Modena, Parma e Piacenza. Laonde deriva la convenienza pel governo sardo di fare al proposito tutte le possibili facilità, perché l’impresa in discorso venga mandata ad effetto, come ne venne già fatta all’uopo la proposta, la quale sarebbe con ogni argomento di probabilità accolta.
Non si può negar tuttavia che tali vantaggi sarebbero secondari, quando si paragonino a quello primario sperato fondatamente dalla strada Ferdinandea, se questa si unisse immediatamente od anche mediatamente, ma a tenuissimo intervallo, con quella ligure-piemontese. Sebbene secondari; essi vantaggi meritano però di venir pregiati assai, specialmente pe’ luoghi che sarebbero con detta strada posti in diretta relazione, perchè più facili, più pronte e meno costose riuscirebbero loro le corrispondenze e le speculazioni relative di traffico speciale diretto ed indiretto, o di transito, come agevolmente comprendasi.
Quando poi si mandi ad effetto la divisata via da Torino a Lione ed a Ginevra, è chiaro che il protendimento da Alessanadria al Piacentino sarebbe un miglioramento d’immensa importanza, come si vedrà più evidentemente dimostrato nel vegnente capitolo 8.° parlando degli Stati pontifici. Perocché la linea diretta per essi sur Ancona diventerebbe, atteso il transito del commerció estero coll’Oriente, una delle primarie vie di questo.
Quanto alla popolazione chiamata a percorrere le due strade verso Milano, come verso Genova e Torino, sebbene in alcuni luoghi essa sia meno agglomerata ciò non di meno sarebbe ancor assai ragguardevole per richiedere di procurarle siffatte maniere di comunicazione.
Tutte queste ragioni ci fanno pertanto opinare, che delle tratte in discorso, la prima e la seconda dal confine modenese alla strada Ferdinandea per Parma e Piacenza, come da questa città a Genova ed a Torino, sarebbero utili, sebbene più costose della somma presunta, e quindi difficilmente presunte, dover produrre alla società che le intraprenderebbe un adequato compenso.
Che perciò esse correrebbero il pericolo di non potersi reggere senza soccorso governativo, fors’anche di neppure potersi terminare, come già è succeduta a varie di tali imprese. La terza linea poi da Lucca a Parma per Pontremoli, sebben possibile nel rispetto dell’arte, non lo è a modo alcuno, attesa la grave spesa occorrente all’uopo; avuto riguardo al nessun adequato compenso sperabile, e fatto riflesso che sicuramente non sarebbe autorizzata; laonde non si può presumere probabile a compiersi e solo temesi che possa essere oggetto di speculazioni dannose di aggiotaggio o d’inutili spese.
Se adunque gli Stati parmensi vogliano davvero aver parte all'ordinamento ben inteso della rete delle strade ferrate della Penisola, noi crediamo necessario il concorso del governo, praticabile mercè d’una garanzia d’interesse minimo, cui quella pubblica finanza potrà sottostare facilmente per la detta prima linea, come per quella da Piacenza a Broni; e quanto alla linea di Pontremoli, reputiamo prudente rinunziarvi.158
CAPITOLO VII.
Strada ferrata ideata soltanto negli Stati estensi.
La società bolognese della quale faremo parola nel seguente capitolo 8.°, avendo concepito il divisamento di far costrurre la strada che da Ancona per l’Emilia venga a Bologna ed al Po
verso Ferrara, per protendersi quindi ancora all’alta Italia, dovea necessariamente pensare a rendere cotesto progetto più utile mercè della continuazione della via nel Modenese, a fine di raggiungere la linea testé indicata possibile del Parmigiano, diretta da Parma al confine degli Stati estensi versò Reggio di Modena.
La necessità di cotesto protendimento attraverso gli Stati estensi non abbisogna d’alcuna dimostrazione, dacché troppo chiaramente risulta alla semplice ispezione d’una carta topografica.
Il danno immenso d’una interruzione della via ferrata negli Stati suddetti, per cui sarebbe impedito e notevolmente ritardato almeno l’accelerato corso delle relazioni su quella linea, è troppo evidente perchè occorrano altre parole a dimostrarlo.
Per questa interruzione difatti i molti vantaggi della divisata comunicazione dell’alta Italia con Ancona sarebbero in certo modo quasi annullati rispetto alle speculazioni del commercio estero e di transito accelerato delle merci e delle persone. Sicché la linea pontificia o bolognese, come chiamar si voglia, sarebbe, senza più, ridotta alle molto esigue proporzioni d’una linea interna, la quale da Bologna per l’Emilia accenni ad Ancona.
Da cotesta men felice condizione di cose dovrebbe nascere necessariamente, che la bolognese, impresa (come più ampiamente dimostreremo al suddetto vegnente capitolo 8.°) invece d’essere, d’uno sperabile prodotto adequato alla spesa occorrente per far la strada, resulterebbe di così tenue provento, che forse non tornerebbe più vantaggioso il tentare affatto assunto.
Coteste considerazioni dimostrano pertanto, che la linea estense è una necessità per quella parmense, molto più ancora per quella bolognese, e che niun sforzo debbesi ommettere per conseguire lo scopo d’ottenerla.
Finora a noi non resulta che a Modena siasi dal governo o dai cittadini pensato ad intraprendere cotesta linea; nè ci consta che fossero state fatte a tutto aprile 1845 domande ufficiali collo scopo sopra accennato per parte degli interessati.
Bensì sappiamo soltanto, che i deputati delle due società bolognese e parmigiana, avendo cercato di presentire le disposizionidel sovrano estense al proposito del passo in discorso, vennero da S. A. I. e R. benignamente accolti; e se non si prometteva loro un attivo concorso nel proposto assunto, non si lasciavano però partire dal sovrano cospetto senza qualche lusinga di permettere, occorrendo, la comunicazione in discorso, coll’accennata linea attraversante gli Stati, estensi, a quelle condizioni e cautele che il reggitore d’essi stimerebbe di apporre.
Cotesta lusinga vuolsi all’occorrenza sperare verificata per effetto della d’altronde nota saviezza, di cui saprà far prova il governo estense; e se il povero nostro discorso potesse per avventura contribuite all’uopo, noi non tralasceremo d’esporre qualche breve riflesso atto a dimostrare la rispettiva convenienza della concessione preallegata.
In fatti la divisata linea, assicurando, quando sia in tutta la sua estensione compiuta, la comunicazione tra Ancona, Genova e Torino, come tra Ancona e Milano, farebbe passare pel Modenese un ragguardevolissimo transito dì merci e di persone, del quale transito ci par superfluo discutere il profitto. — Porgerebbe ai sudditi estensi un mezzo di rapidissimamente corrispondere con Bologna, Parmna e Milano, dove hanno tante e così importanti relazioni. — Li metterebbe in più vicino contatto con Firenze e con Livorno, mercè dell’accesso alla Toscana, reso più facile per la strada detta della Porretta, di cui già parlammo al capitolo 4.° e torneremo a parlare nel venturo capitolo 8.° — Procurerebbe ai soprabbondanti prodotti del Modenese uno sfogo verso i varii punti sin qui accennati, facilitando lo scambio di que’ prodotti con quelli per avventura mancanti al detto Stato. — Insomma darebbe gran vita ad un commercio operoso tra quella contrada e le circonvicine, con reciproco profitto di tutte.
Suppongasi invece denegato l’assenso della divisata linea pel Modenese: è chiaro che la società bolognese come la parmigiana dovrebbero pensare ad un congiungimento diverso delle rispettive linee; il quale congiungimento, sebbene molto più difficile ad ottenersi, atteso il grave ostacolo del passo del Po, tuttavia potrebbe tentarsi pel Mantovano, o mercè di qualche altra diramazione da idearsi sulla strada Ferdinandea.
Allora è chiaro del pari, che gli Stati estensi si troverebbero in certo modo segregati da ogni moto commerciale della Penisola. Al quale moto, per l’opposto, nel divisato nostro assunto quegli Stati sarebbero chiamati a grandemente partecipare; — com’è parimenti innegabile che, mentre il commercio privato sarebbe perdente di tutti que’ lucri che più attivi scambi potrebbero procurargli, la stessa pubblica finanza pel ridotto traffico vedrebbe scemare le sue rendite; poiché i dazi indiretti d’essa riuscirebbero per le cessanti relazioni assai men produttivi.
Nè, a senso nostro, pare che la breve distanza tra il confine parmigiano e bolognese sarebbe, perchè più celeremente superata, compensata dagli inconvenienti che nel rispetto politico e daziario potrebbero temersi appunto per quel così celere transito.
A chiunque conosca, anche in modo elementare soltanto, quali cautele ne’ due rispetti possono usarsi per impedire l’accesso di genti sospette, come la perpetrazione di frodi daziarie, sarà facile persuadersi, che cotesti timori per un governo oculato, previdente ed all’uopo energico, non debbono arrecare in cosi utile assunto.
Siccome delle cautele suddette noi parleremo al prossimo discorso IV, così, a scanso di ripetizioni, pensiamo spediente tacerne qui i particolari, ristringendoci per ora ad affermare che sì fatte cautele sono praticabili, senza impedire un celere transito, e senza pregiudizio alcuno della sicurezza, come della finanza.
Ora, posta per vera cotesta circostanza di fatto, non sapremmo trovare altra ragione che consigliasse di ricusare il passo per gli Stati estensi alla linea in discorso.
Resta ad esaminare se un tal passo convenga concederlo a totale rischio e spesa delle due società bolognese e parmigiana, ovvero della prima soltanto; oppure se sarebbe più spediente concedere il passo medesimo ai trasporti provenienti dai due confini sur una linea costrutta ed esercitata per contò d’una società o del governo istesso di Modena. Noi abbiamo un sì pieno convincimento della prosperità che aspetterebbe codesta linea, quando riesca a compiersi in tutta la sua divisata estensione da Milano, Torino e Genova ad Ancona per le direzioni preallegate, che non esitiamo ad affermare l’intera convenienza speciale che avrebbe il governo modenese di non lasciar fare da una società estera quella speculazione, ma di assumerla egli stesso, o per mezzo d’una società da esso promossa ed ordinata.
Di fatto, la non grande lunghezza della linea estense; i luoghi piani per cui debbe passare; le acque non grosse che sol debbe varcare; la molta popolazione agglomerata del ducato in quella direzione residente, che approfitterebbe della divisata strada; il grandissimo transito che succederebbe per essa, da due confini in senso opposto, diretto ai due punti estremi dell’intera linea, come a quelli intermedii, essi pure popolatissimi, ed aventi prodotti varii da spacciare e permutare: sono tanti motivi, i quali non concedono di dubitare che non fosse per venirne all’impresa largo prodotto. Il supporre che questo non riuscisse per avventura adequato, nella condizione speciale di quella linea, ci pare contrario ad ogni regola di buona amministrazione e di previdenza calcolatrice. Ma, posto ancora che così fosse per l’impresa in sè stessa considerata, non esitiamo ad affermare convenir sempre al governo estense, o di assumerla egli stesso, o di promuovere all’uopo con appropriati sussidi una società privata indigena.
Perocché, sia la spesa diretta che incontrerebbe nel caso dell’impresa da lui assunta, sia il soccorso che dovrebbe concedere alla società privata che l’assumesse, senza lusinga d’adequato compenso, onde assicurate il provento de’ capitali in essa impresa impiegati, troverebbero largo corrispettivo nell’aumentata rendita del fisco; dappoiché, come abbiamo notato, cotesta rendita accresciuta sempre accompagna il maggiore avviamento delle relazioni commerciali.
Queste le son cose di tale evidenza economica e finanziera, che sarebbe quasi un far torto il supporre a taluni necessarie più ampie illustrazioni.
Alle considerazioni che precedono, noi stimiamo ancora spediente aggiungerne altre, degne d’essere valutate da un governo oculato e prudente.
Certo che le cautele di sicurezza e daziarie, delle quali abbiamo poco prima fatto parola, e di cui parleremo ancora nel vegnente Discorso IV, si potrebbero ugualmente praticare verso gli agenti della società estera cui di concederebbe il transito per lo Stato estense sulla via ferrata che gli verrebbe fatto lecito di costrurre ed esercitare per conto proprio.
Tuttavia non può contendersi, com’è troppo chiaro, che coteste cautele molto meno sarebbero assicurate, di ciò che potrebbero esserlo quando la linea suddetta fosse costrutta ed esercitata, o per conto diretto del governo estense, o per quello d’una società da esso promossa ed approvata, avente rappresentanti ed agenti sudditi od anche esteri, ma dal detto governo dipendenti in virtù di speciale contratto o concessione.
Quand’anche si voglia supporre non mutato il materiale di locomozione, la qual cosa sarebbe utilissimo di fare, onde scansare il carico e discarico frequente a cosi brevi distanze; sarebbe sempre possibile dì far usare il detto materiale da agenti sudditi; sicché in questi si avrebbero più certi mallevadori delle cautele preallegate; nè costoro s’attenterebbero a violarle od a lasciarle mena osservate, perchè a ragione temerebbero una più pronta e più efficace repressione. Meglio informati poi delle circostanze di luogo, saprebbero esercitare una vigilanza ben più attiva e conducente a risultati assai più certi. Non può contendersi adunque, che anche nei rispetti preallegati converrebbe al governo estense di assumere, o direttamente ò per mezzo dell’indicata società, la costruzione ed esercizio della strada in discorso sul suo territorio.
Dopo aver bastantemente, a nostro patere, ragionato della linea fin qui indicata, né resta a dire se altre vie ferrate vi sarebbero, le quali potessero fin d’ora, od anche col tempo soltanto, convenire allo Stato estense.
Noi confessiamo che, volendo star nel probabile sempre, e scansare le illusioni, onde troppo frequentemente lasciansi abbagliare molti fra coloro che trattano coteste materie, non sappiamo vedere altre linee convenienti all’uopo. In fatti una linea la quale da Modena corresse a Mantova, per raggiunger quella che vedemmo con ragione proposta dalla detta città per Roverbella a Peschiera, onde ivi unirsi alla strada Ferdinandea Lombardo-Veneta, sebbene potrebbe certamente esser comoda perchè abbrevierebbe singolarmente quelle distanze, avvicinando luoghi fiorenti per ricca agricoltura e per molta popolazione agglomerata, non lascerebbe tuttavia fondata lusinga d’un adequato prodotto, attesa la gravissima spesa del passo del Po; il qual passo, ove non fosse assicurato praticabile alle locomotive, coi debiti comodi lasciati tuttavia alla libera navigazione del fiume, renderebbe minimo il beneficio d’una via ferrata su quella linea.
Quanto ad un’altra linea poi, la quale per le province estensi venisse a Massa valicando l’Appennino, e ponesse pure così in relazione Modena con Lucca, Pisa e Livorno; quantunque non possa negare pur comoda assai una tale diramazione, ora percorsa da una buona via ordinaria; non può del pari nascondersi la sussistenza del gravissimo ostacolo dell’esuberante spesa del varco dell’Appennino, che l’arte potrebbe bensì superare ivi come altrove, ma senza la menoma fiducia d’un adequato corrispettivo prodotto.
Non si crede pertanto che sia il caso di doversi fermare a maggiormente discutere cotesta idea.
Resta finalmente a parlare, nel rispetto degli Stati estensi, della linea già accennata proposta da speculatori lucchesi e parmigiani; la qual linea, partendo da Lucca, verrebbe a Parma per Massa, Carrara, Sarzana e Pontremoli, e toccherebbe così gli Stati di Lucca, Modena, sardi e parmensi.
Cotesta linea nel precedente capitolo 6.° come nel 4.° noi già credemmo dover dichiarare difficilissima, per non dirla impossibile affatto, non tanto nel rispetto dell’arte, quanto rispetto all’ingente spesa che monterebbe l’opera senza la menoma fiducia d’un adequato compenso.
Ricorderemo ancora come osterebbero all’assunto le serie difficoltà di celere transito che presenterebbe il passo per quattro diversi stati a così vicine distanze, lungo le quali occorrerebbero incessanti fermate per l’esercizio delle cautele politiche e daziarie ch’ogni governo ha diritto di prescrivere per sicurezza di Stato, come a scanso di frodi doganali; ondechè tornerebbe quasi interamente fallito il beneficio della sperata economia di tempo.
Rammenteremo, finalmente, l’opposizione preveduta d’alcuni de’ governi che dovrebbero consentire all’opera.
Riepilogando adunque il fin qui detto sulle vie ferrate ideate o da idearsi negli Stati estensi, occorre più brevemente notare;
1.° La prolungazione della linea bolognese verso la parmigiana per gli Stati preallegati essere una necessita; la quale quando non venisse soddisfatta, renderebbe, per l'interruzione che ne risulterebbe, la speculazione di quelle due linee molto meno vantaggiosa, per non chiamarla probabilmente perdente, quando le dette due linee fossero ridotte all’importanza molto esigua di due linee di commercio interno, e non di quello estero, atto ad assicurare un ricco e molto esteso transito per que’ luoghi dalle più lontane regioni dove si estende il traffico.
2.° Cotesta necessità consigliare alle due società bolognese e parmigiana, e specialmente alla prima, di non ommettere sforzo per conseguire siffatto intento.
3.° La concessione che esaudirebbe un tal voto, essere dei pari nella convenienza d’ogni interesse ben inteso del governo estense, al quale in difetto potrebbe succedere di vedersi segregato da ogni relazione commerciale in cotal parte della Penisola, con danno non solo de’ privati traffici, ma anche de’ prodotti del fisco. Questo, invece, concedendosi il passo, aver certezza di accrescere la propria rendita in ragione dell’aumento naturale delle consumazioni che ne avverrebbe, mentre, negandolo, vedrebbe scemare la rendita medesima in ugual ragione del minor numero de’ passeggieri e delle merci trasportate.
4.° La concessione in discorso potersi agevolmente combinare colle cautele politiche e daziarie richieste dalla sicurezza dello Stato e dall’interesse della finanza.
5.° I prodotti sperabili dall’esercizio di cotesta linea, quando quelle cui metterebbe capo fossero nell’estensione loro compiute, consigliare per ogni verso al governo estense, o di assumere egli stesso la costruzione e l’esercizio di quella linea, o di conceder l’una e l'altra ad una società da esso promossa occorrendo, ed ordinata con rappresentanti ed agenti sudditi, anziché accordare tal concessione alle preallegate due società estere, o ad una d’esse anche soltanto; e ciò eziandio perché le cautele di cui sopra sarebbero in questo caso, quantunque tuttavia possibili, di meno sicura osservanza però. Potersi un servizio proprio ordinare anche usando lo stesso materiale d’esercizio, onde scansare il danno di frequenti scarichi e discarichi.
6.° Finalmente, la linea preallegata dal confine parmense al bolognese per lo Stato estense protratta, essere la sola veramente da riputarsi conveniente per lo Stato medesimo. Le tre altre che si potrebbero ideare verso Mantova e verso Massa per le province estensi, come il passo accordato a quella che da Lucca vorrebbesi condotta a Parma per Massa, Carrara, Sarzana e Pontremoli, sebbene potessero offerire qualche comodo ed utile di più celere relazione, non porgerebbero sicuramente la menoma fiducia di adequato compenso; e l’ultima poi avrebbe il danno di non offerire neppure una ragguardevole economia di tempo; perocché le tante fermate che si dovrebbero fare onde praticare le cautele sì politiche che daziarie richieste ai confini de’ quattro Stati preallegati, dato anche ch’essi concedessero il passo medesimo, assorbirebbero per ogni verso gran parte del tempo lucrato sul trasporto eseguito colla via ordinaria.
Noi desideriamo che le nostre idee, inspirate dal retto fine di vedere gli Stati estensi essi pure ammessi a quel ben inteso progresso che desideriamo all’intera Penisola, la quale tutta sempre consideriamo qual patria comune, giungano a persuadere il principe chiamato dalla Divina Provvidenza a governare gli Stati anzidetti.CAPITOLO VIII.
Ordinamenti ideati di società pell'apertura divisata e da divisare di strade ferrate negli Stati pontifici.
Gli Stati pontifici, posti nell’Italia centrale, sono in condizione molto favorevole per aver linee di strade ferrate, le quali sarebbero, non solo interessanti e fondatamente presunte utili nel rispetto del commercio interno; ma offerirebbero ancora al commercio estero tali vantaggi da rendere quelle linee, ove siano bene coordinate, d’una grande importanza, non che italiana, europea.
Sebbene nessun documento officiale e legislativo, come in pareccbi altri Stati d’Italia, ci possa finora autorizzare ad allegare già inteso un ordinamento di vie ferrate pontificie a regolare sistema ridotto; tuttavia, lavori coscienziosi ed illuminati, fatti con singolare perizia, sì nel rispetto tecnico, che in quello economico; — proposte savie quanto prudenti, perché non fondate sopra illusioni leggermente concepite; — domande appoggiate a precedenti mature indagini, secondate dal concorso di notevoli personaggi, come dal patrocinio d’uomini di Stato godenti di meritato credito: sono argomento bastevole a farci presumere che gli Stati pontifici essi pure prenderanno attiva e principal parte all'ordinamento ben inteso della rete delle strade ferrate italiane.
L’impulso ad illuminati e savi concetti venne al proposito, dalla dotta Bologna; da quella città, la quale fino dall’epoca prima del rinascimento de' lumi in Europa tanto nelle scienze che nelle lettere e nelle arti belle, sempre ha mostrato una singolare intuizione a curare ogni ramo del progresso civile.
Sollevatisi a considerazioni di grave momento, non ristrette entro ai confini d’un gretto municipalismo, ma spinte persino oltre la cerchia de’ limiti naturali, non che dello Stato pontificio, della Penisola intera, uomini di largo, avveduto e generoso proposito seppero scorgere che nell’attuale rivoluzione dei traffici del mondo, Bologna e le province che la circondano poteano tendere a singolari vantaggi; — che cotesti vantaggi erano loro attribuiti dalla favorevole condizione dei luoghi; — che se avessero trascurato di assicurarseli, avrebbero corso gravi pericoli di decadenza, da cui per ogni verso conveniva premunirsi.
Coteste idee fondamentali mossero, fino dal 1° agosto 1844, a risolvere il capitano Gansoni e l’ingegnere Scarabeili a pubblicare, incoraggiati dagli stimoli d’alcuni distinti loro amici, un programma, col quale invitavano i più distinti cittadini di Bologna a riunirsi onde pensare all'ordinamento di strade ferrate nelle province dello Stato pontificio dette delle Legazioni (Bologna, Ravenna, Forlì, Urbino, con Pesaro ed Ancona, oltre alla ferrarese).
Le speranze dei proponenti non furono deluse. Nel successivo mese di settembre un primo nucleo d’illuminati cittadini bolognesi d’ogni ceto formavasi onde assumere la cura della proposta impresa, quanto agli incumbenti da farsi per ottenere le superiori annuenze necessarie, lasciando ai progettanti il solo pensiero di studiare il progetto nel rispetto tecnico.
I promotori della bella impresa meritano che siano qui registrati i nomi loro.
Signori marchese commendatore Camillo Pizzardi, presidente della sezione fondatrice.
- Marchese Annibale Banzi.
- Cavaliere Gioacchino Rossini.
- Cavaliere professore Gian Battista Magistrini,
- Marchese Luigi Pizzardi.
- Avvocato Vincenzo Piana.
- Angelo Ferlini, segretario della commissione e membro della sezione tecnica.
- Ingegnere ispettore Pietro Pancaldi, presidente della commissione.
- Professore ingegnere Filippo Antolini.
- Ingegnere Luigi Pancaldi.
- Capitano Giacomo Antonio Ganzoni.
- Ingegnere Carlo Scarabelli.
Tutti dodici caratanti e primi fondatori dell’impresa; i due ultimi autori del progetto di massima, come si dirà nel seguito. L'eminentissimo cardinale Vanicelli Casoni, legato pontificio a Bologna, convintosi dell’immensa utilità del divisamento, concedeva tutto l’illuminato concorso della sua protezione; ondechè, incoraggiati da quel primo successo, i predetti signori fondatori dell’impresa, per opera e cura dei signori Ganzoni e Scarabelli, sorretti anche dai consigli e direzione dell'ingegnere ispettore Pietro Pancaldi, come aiutati dal professore architetto Filippo Antolini ed ingegnere Luigi Pancaldi, tosto s’accinsero a far compilare il progetto di massima d’una strada che dal confine estense per Bologna e l’Emilia conduca ad Ancona, scalo principale dello Stato pontificio sull’Adriatico.159
Cotesto lavoro, del quale accenneremo i particolari e le vedute, era in otto mesi compiuto, previe le più accurate indagini, sì nel rispetto della condizione de’ luoghi, che relativamente, ai dati che poteano all’estero servire d’utile confronto, ed imitarsi all'occorrenza.
Mentre l’arte studiava la migliore e più sicura esecuzione del concetto, i fondatori della società bolognese con molta avvedutezza e prudenza, uscendo da’ confini dello Stato proprio, pensavano ad assicurarsi se la proposta linea, con un protendimento nei varii Stati dell’Italia superiore, potevasi lusingar di riescire una linea principale italiana, che al gran traffico della Penisola servisse.
E cominciando dal vicino Stato estense, pel quale dovrebbe esordire il detto protendimento, le esplorazioni loro fecero ad essi conoscere che, se per ora non era la pubblica autorità ivi disposta ad aiuti e protezione, non vorrebbe neanco frapporre ostacoli d’esecuzione, se i governi limitrofi desideravano il passo della linea in discorso.
Quanto al governo parmense, risultava loro, che al tratto già progettato tra Parma e Piacenza, preliminarmente conceduto alla società Caccianino e compagni di Milano, era facile assicurare la continuazione dall’un lato fino al confine estense, e dall’altro sino a quello sardo e milanese.
E siccome era indispensabile l’annuenza dell’autorità locale per gli atti frequenti che ai soci potessero occorrere, costoro rivolgevano all’eminentissimo cardinale legato, come a quell’autorità che poteva concederla più efficace.
Il suddetto porporato non esitò ad accogliere l’istanza nel modo più benevole, e dichiarò volerla raccomandare egli stesso a Roma, tanto reputava l’impresa utile allo Stato; ed intanto promuoveva dal governo centrale a sè stesso la facoltà di ricevere formalmente dai progettanti le relative proposte; la quale facoltà essendogli stata conceduta, tosto venne subordinata l’analoga domanda.
Il marchese Camillo Pizzardi, presidente della società formatasi, appena ebbe, compilato dagl’ingegneri preallegati, il progetto di massima, del quale si è fatto cenno prima, quello umiliava egli stesso personalmente al Santo Padre, recandosi per tale effetto a Roma, dov’era molto benignamente accolto in replicata udienza di Sua Santità: onde, fatto ritorno in patria, assicurò aver fondata lusinga che le relative determinazioni supreme di concessione della facoltà d’attendere all’idea la impresa non tarderebbero ad emanare, essendosi frattanto delegato ad un congresso di arte l’esame del proposto progetto. Nuovi più recenti riscontri dati da persone capitate in Bologna informavano, nel maggio scorso, che l’autorizzazione sopraccennata colà reputavasi imminente, e tale speravasi; perocché risultavano per insinuazioni gravi di persone assai accreditate, gradatamente svanite le prevenzioni che si supponevano contro cotesta nuova scoperta dell’industria nel rispetto di pubblica o di privata sicurezza, e per la soverchia facilita di relazioni attribuitale; prevenzioni queste le qua]i, come già si disse al capitolo I.°, non possono reggere al menomo serio esame e discussione che se ne voglia fare tra persone di buona fede, le quali intendano davvero di curare, governando, la pubblica prosperità.
Quest’è brevemente la serie dei fatti fin qui seguiti relativamente alla proposta via ferrata pontificia o bolognese, come chiamare si voglia.
Ora ne resta pel nostro assunto a trattare della sposizione del progetto di massima surriferito. Cotesta spasizione ci riesce assai facile, colla scorta d’informazioni che abbiamo avute da persone cui occorse di vedere e procurarci per copia, passando a Bologna, un interessantissimo privato manoscritto intitolato; Vedute che servirono di base ai proponenti delle strade ferrate pontificie trans appennine; in cui si contengono curiosi ed interessanti particolari concernenti il detto progetto; dai quali particolari vennero da noi desunti i punti più essenziali, che molto ci servirono in questa parte del nostro lavoro.
Noi indicheremo dapprima le dette vedute, e quando in esse ci parrà potersi alcuna opinione contendere, lo faremo, non già coll’animo di mostrarci censori molesti od intolleranti sibbene, col retto fine d’una più libera discussione, onde sempre debbe nascere la più esatta nozione del vero e dell’utile.
Ed in primo luogo chiamasi in quel lavoro se, dovendosi ragionevolmente pensare a linee principali e continuate, anziché ad altre minori e saltuarie, come s’è fatto altrove, segnatamente in Toscana, quali esser debbono coteste linee principali pello Stato pontificio.
Non dubitasi al proposito di rispondere che prima fra le dette linee si presenta quella conducente dall’estremo confine settentrionale dei domini pontificii alla città e porto d’Ancona, e da questa alla gran metropoli della cristianità; della qual linea, e più specialmente della prima parte di essa, parlarono appunto il Gallzoni e lo Scarabeili nel già citato programma loro.
Domandasi nel seguito quale sia pei proponenti il motivo della preferenza data alla detta linea, anziché ad altre non meno essenziali a primo aspetto, che pur potrebbero condursi pel centro dello Stato alla sua capitale.
Rispondesi; di queste essere così evidente l’utilità per condizione favorevole da non lasciar in dubbio che siano tosto o tardi intraprese senza timore d’alcun pericolo nel differirle. Di quella, invece, essere urgente di tosto pigliarne l’assunto, a scanso di vedersi da altri prevenuti, i quali avviino il gran traffico per altra direzione, sebbene quella per la linea pontificia meriti, attesa la sua maggiore brevità, la preferenza.
Di fatto, avvertendo ai varii progetti di strade ferrate, intraprese, decretate o divisate soltanto nell’Italia superiore, è facile comprendere ch’essi non tanto mirano a più pronte, più comode e men costose relazioni tra le varie province di quella parte della Penisola, quanto tendono tutte ad assicurare per esse la maggior somma possibile del transito del traffico europeo coll’Oriente.
A questo principalmente avvisano i divisamenti che abbiamo veduti in via d’esecuzione nel regno Lombardo-Veneto; ad ugual fine debbono tendere quelli degli Stati sardi, quando la rete già per essi decretata venga cominciata, estesa e compiuta.
I divisamenti lombardo-veneti possono riputarsi far concorrenza a quelli dello Stato pontificio; quelli degli Stati sardi, invece, si possono coordinare con questi e vantaggiarsi a vicenda.
In altri termini, se Trieste e Venezia possono pretendere di essere gli scali esclusivi dell’Oriente, Genova, Livorno ed Ancona possono ugualmente pretendervi; questa specialmente per maggiore brevità delle distanze: primo oggetto sempre nei computi dei trasporti commerciali, se contemporaneamente ottiensi per essi col più breve e più pronto cammino il men caro prezzo de’ noli.
Cotesta idea merita d’essere studiata coi computi predetti, perchè in siffatta guisa meglio è dimostrata la convenienza della proposta linea pontificia. La quale, anche fatta astrazione del maggior vantaggio che avrebbe su Marsiglia, Genova e Livorno, quando la direzione dalla Svizzera e dalla Francia per la Savoia si adottasse nel modo accennato al capitolo 5 (Stati sardi) sarebbe la più breve per all’Oriente, ad eccezione d’un’altra che vedemmo ancora possibile al capitolo 1.° (regno di Napoli), sebbene di più difficile perciò dubbia esecuzione; cioè quando la linea dell’Italia centrale si protendesse fino ad Otranto od a Taranto
In fatti, calcolando le distanze, troviamo quanto segue:
Da Alessandria (Piemonte) a Milano . kilom. 95
Da Milano per Cremona a Parma . . . »
120
Totale
kilom. 215
Questo calcolo si fonda sulla supposizione che le pratiche tentate, a quel che dicesi, di venire a Parma da Milano per Cremona dalla via Ferdinandea, e non per Piacenza e Lodi, onde nemmeno giungere per Broni, Voghera e Tortona ad Alessandria, riuscissero al fine di conservare la relazione col regno Lombardo-Veneto, ed escluder quella cogli Stati sardi; la qual cosa però non sembra probabile.
La distanza surriferita di kilometri 215, percorsa con locomotiva sopra strada ferrata, richiederebbe 5 ½ ore di tempo, ed una spesa di lire 8 austriache per individuo.
Invece da Alessandria suddetta, punto centrale cui arriverebbero le provenienze di Svizzera, Francia e Genova, la distanza non è che di kilometri 140; la quale distanza, ove fosse percorsa, non con locomotiva, ma con diligenze a cavalli sopra strade ordinarie, richiederebbe 15 ore di tempo e lire 20 austriache di spesa.
La sproporzione poi sarebbe ancora maggiore nel trasporto delle merci.
D'altronde Alessandria, come sopra, essendo distante da Milano ………….. kilom. 95 Aggiunta la lunghezza della Ferdinandea kilom. 271 Si ha la distanza di ………….. kilom. 366
per andare da Alessandria a Venezia.
Da Alessandria a Parma invece corrono kilom. 140 Da Parma a Ferrara………. »
110 Da Ferrara per Padova a Venezia………. »
100 Totale distanza
kilom. 350
Tal che i transiti da Genova e Torino a Venezia, e viceversa, riuscendo l’ordinamento di una linea da Torino e da Genova per Parma, Modena, Bologna, Ferrara e Padova, sino a quell’estremo punto della linea Ferdinandea, sarebbero vantaggiati di kilometri 16 sul transito che tenesse per Milano l’intero corso della detta linea Ferdinandea.
Inoltre, se si considera che da Parma ad Ancona sono | kilom. | 288 |
di strada ferrata proposta, cui uniti da Alessandria a Parma i sopra detti | » |
140 |
si ha la distanza totale di....... | kilom. | 428 |
da Alessandria ad Ancona. La quale sebben maggiore dei sopra indicati kilometri 366 che corrono da Alessandria a Venezia per Milano e la via Ferdinandea, attesa la maggiore vicinanza d’Ancona aH’Oriente dimostra sempre più lontano lo scalo veneto.
Cotesti calcoli acquistano una ben maggiore importanza, se in vece di considerare le divisate linee come atte ai transiti da Genova a Venezia e ad Ancona, si considerano rispetto ai transiti transalpini, che potrebbero aversi per la Savoia alla Francia ed alla Svizzera; e per Arona e il lago Maggiore ai gran passi del Sempione, del San Bernardino, del San Gottardo od altri alla Svizzera suddetta ed alla Germania meridionale.
Già ripetutamente notammo altrove che cotesto commercio transalpino, e sopra tutto il colossale traffico dell’Inghilterra coll’Oriente, può essere sorgente di grandi utili per le varie linee italiane su cui passerebbe.
Già si è pure avvertito come l’Inghilterra, la quale ora pratica parte di quel transito all’Oriente per la Francia, preferirebbe sicuramente la via che pel Belgio, le province Renane e la Svizzera verrebbe all’Alpi, come quella che la renderebbe men dipendente dalla Francia medesima, la quale, checché facciasi molto onorevolmente dai rispettivi governi, avrà sempre una rivalità, se non politica, commerciale colla Gran Brettagna.
A queste ragioni di minor dipendenza aggiungansi ancora quelle di minore distanza, di minore spesa e di minore durata del viaggio, e si comprenderà come la linea italiana per Ancona divisata nel sistema pontificio, debba prevalere a quella della linea francese ora tenuta.
Di fatto per questa si contano da Calais ad Alessandria d’Egitto, convegno del passaggio all’Oriente, kilometri 4,030, che si valutano nel progetto dover costare la spesa di scudi romani da lire 5. 3o caduno, scudi romani 73.10, e possono richiedere di tempo all’incirca ore 234 ⅓.
Invece per la linea anconitana sono di distanza kilom. 3,520, col costo valutato a scudi 66.70, coll’impiego di tempo d’ore 201. Laonde sulla distanza, economia di kilometri 510; sulla spesa, quella di scudi rom. 6.40; sul tempo, quella di ore 33 ½.
Risparmi questi così ragguardevoli da far preferire la linea predetta per Ancona a quella di Francia, e tali a promettere alla linea italiana larghi proventi.160
Notiamo cogli autori del progetto, che le distanze ed i tempi di percorrenza sono approssimativi ma calcolati con princìpi conformi per entrambi le linee. Il costo è dedotto dalla misura di scudi 2 per ogni 100 kilometri di strada ferrata, e scudi 1.75 per ogni 100 kilometri di mare. Tanto il prezzo, che le distanze e ’l tempo di percorrenza sulle Alpi sono quelli attualmente in pratica, onde nasce, che quelle abbreviate ancora, l’economia sarà maggiore.
Da questi calcoli assai evidenti gli autori del progetto bolognese deducono manifestarsi tendenze nemiche nei divisamenti altrui, confrontati con quello da essi proposto, che si vorrebbe impedire, specialmente dai Lombardo-Veneti, poiché gli Stati sardi, ove non trascurassero il congiungimento da Alessandria a Piacenza per Voghera e Broni, avrebbero anzi interessi conformi.
Reputano poi indifferente lo Stato parmense a ricevere il transito da Milano, o dirittamente per Voghera e Broni suddetti.
Suppongono tendere Livorno a preferire relazioni con Milano per Pontremoli e Parma, a quelle con Milano pure per Pistoia e Bologna.
Ne conchiudono doversi attivamente pensare a difendersi da concorrenze siffatte, mercè della proposta via, della quale, reputano cosi dimostrata la massima importanza ed utilità.
Doversi, non facendolo, temere una segregazione dal gran traffico europeo, la quale lascerebbe senza utile impiego i capitali che sono in paese; senza lavoro molti braccianti; cui la divisatà impresa ne assicurerebbe in maggiore copia; senza proficua occupazione non pochi individui della classe media, cui la nuova strada procurerebbe uffici diversi; mentre la numerosa classe degli agricoltori ne avrebbe un più celere ed economico trasporto delle raccolte derrate, tal che se ne agevolerebbe lo spaccio migliorandone il valore.
Osservano invece: Ancona, il cui presente stato d’importanza commerciale può dirsi tra gli scali italiani secondario, dovere colla proposta impresa salire a grande importanza per modo da potersi annoverare fra non molto tra i primi dell’Adriatico.
Bologna essere chiamata a divenire uno de’primi punti del traffico interno dell’Italia centrale, per le molte diramazioni che da essa partendo servirebbero alle diverse relazioni del traffico sì generale, che speciale.
Ferrara, ora caduta in basso stato, poter risorgere del tutto, divenire scalo importante della navigazione italiana, e punto essenziale d’una linea di congiungimento tra le due principali vie ferrate della Penisola, ove si adottino per essa gli spedienti, che esporrem fra non molto, pur divisati.
Le molte città intermedie dell’Emilia, tra Bologna ed Ancona; tutte trovarsi cosi avvicinate, rese più attive nelle rispettive relazioni loro, con immenso profitto d’ogni industria, e col beneficio ancora d’una più mite convivenza civile. Cotesti presunti effetti della proposta impresa ci conducono ad alcune riflessioni concernenti ai medesimi.
Non può negarsi il vantaggio della proposta linea rispetto al commercio coll’Oriente, a qualunque altra perciò da preferirsi, eccettuata soltanto quella già indicata spinta insino ad Otranto.
Non possono del pari negarsi i benefici effetti che per essa linea proposta tornerebbero alle città per le quali passerebbe.
Non si può neanche negare che, assicurato, come, sarebbe probabile, il passo per l’Italia all’Oriente in altre direzioni, quelle province degli Stati pontificii verrebbero a patirne una dannosa segregazione, la quale le avvierebbe a certa decadenza.
Interamente concordi siamo pertanto, come vedesi, cogli autori del progetto in quanto agli effetti utili o dannosi dell’assumere o no la proposta impresa.
Se non che dobbiamo dichiarare, in coerenza alle cose prima da noi dette, che non vediamo l’unico motivo a risolversi al proposto assunto nella denunciata emulativa concorrenza delle supposte nemiche tendenze d’altri scali italiani.
Se pur troppo debbonsi lamentare le idee di gare municipali, soventi volte adesso ancora, come sempre, causa di grave danno tra noi, non è a dedurne ch’abbiansi quelle a combattere con idee consimili, e col pensiero di procurarsi un utile coll’altrui danno.
Ne, non cesseremo dal predicarlo; i varii scali italiani, cosi come sono disposti, quando senza provvedimenti coattivi lascinsi alle naturali tendenze loro, conserveranno ciascuno i traffici veramente necessari ed utili ad essi, perdendo soltanto quelli superflui e men proficui; ed avranno ognuno quegli elementi di prosperità solida e durevole, che la rispettiva condizione debbe ad essi assicurare nel moto universale del commercio.
Noi non possiamo ammettere, uno scalo non poter lucrare che a danno dell’altro, e che occorra lo stimolo d’argomenti fondati sur un gretto ed egoistico municipalismo per risolvere l’uno o l’altro luogo a difendersi da temuti danni, a curare il conseguimento di sperati vantaggi.
Tutti gli scali italiani, pertanto, lo ripetiamo, possono con una giusta ripartizione delle rispettive più naturalli relazioni di traffico, curare que’ vantaggi di reciproco scambio che fondano il buon commercio sull’utile comune, senza che occorra a miglioramento della propria condizione il fondar questa sul danno altrui, specialmente su quello de’ fratelli della Penisola.
Condanniamo adunque cotesti pensieri emulativi; ammettiamo i fatti suggeriti ma da altro più retto fine dettati; da quel pensiero che, tutti figli d’una madre comune considerandoci, tutti ci vuole cospiranti ad uguale lecito scopo in ogni ramo dell’umana operosità, sicché ne torni il vantaggio comune della prosperità universale della intera Penisola.
Dato sfogo anche per questo rispetto all’idea fondamentale, che regge l’intero nostro, quantunque povero, lavoro, esporremo ancora le considerazioni prevalenti che han diretto il divisamento tecnico.
Nel gettare uno sguardo alla linea che meglio conviene scegliere pel collocamento delle ruotaie ferrate dal confine estense ad Ancona, evidente scorgesi la preferenza meritata, a poche altre vie ferrate conceduta, di quella che riunisce il vantaggio singolare di poter conservare senza sensibile variazione la direzione dell’attuale gran via Emilia, perchè quasi perfettamente rettilinea; perchè intersecata dal maggior numero di città e borghi ragguardevoli; perchè formata sulle falde delle colline, ove il terreno, senza essere soverchiamente ondeggiato, è di natura più solida di quella delle parti basse della pianura, e presenta minori bisogni di terrapieni delle località intersecate da frequenti torrenti, aventi arginature di considerevole altezza, e meno vi è a temere il pericolo delle inondazioni.
Che se tutte queste e molte altre ragioni furon causa che su questa linea si andassero formando ne’ passati seeoli tanti e cosi considerevoli centri d’abitazioni, nel conservare una direzione di poco scostata dalla via Emilia, conservatisi al paese gli antichi, vantaggi, comprendendo nel proposito sistema tutti quegli importantissimi centri ed emporii commerciali, rispettando le preesistenti relazioni, nè distruggendo, così alcun capitale per crearne de’ nuovi altrove; com’è appunto avvenuto nelle contrade dove le strade ferrate nuove sorsero a concorrere con la diversa direzione ad esse data contro gli antichi centri commerciali.
Per tal guisa sciolto il problema della linea da prescegliersi, in modo così evidentemeente opportuno e consentaneo ai bisogni ed ai voti dell’universale, sono anticipatamente eliminate le molte querele che d’ordinario altrimenti nascono per interessi lesi; e viepiù è troncato l’ádito a qualsiasi gara municipale tra luogo e luogo avido di nuovi utili, o sospettoso di temuti danni, onde derivan maggiore quiete civile, e minori occasioni di molestie, talvolta anche odiose ai governi.
Egli è da tutte queste considerazioni diretto, che il progetto della nuova strada costeggia a poca distanza le vie Flaminia ed Emilia, conservando, per la pochissima variazione della direzione, la lunghezza lineare dell’attuale strada postale; ond’é che la lunghezza suddetta può valutarsi a kilonetri 227, di cui tra
Bologna ed Ancona circa . . . . . kilometri 200 e tra Bologna ed il confine estense a circa »
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Tra i lavori sul terreno la parte la più importante è da attribuirsi alla costruzione dei ponti i quali, essendo frequenti ed in parte di non piccola estensione, richiederanno un considerevole capitale per far fronte alla relativa spesa.
Ancora; vuolsi ritenere probabilmente per grave assai la spesa dell’espropriazione de’ terreni da occuparsi; conciossiachè non tanto per quantità, che per la massima produzione agrìcola che fruttano sostengasi ad ingente valore.
Riservata ai più speciali studi, da eseguirsi sul terreno all’atto dell’esecuzione del progetto particolareggiato, una più precisa estimazione di questi due oggetti di spesa, e di quegli altri tutti che si riferiscono alla costruzione del piano stradale, il progetto di massima ideato dai signori Canzoni e Scarabeili, pone a base del suo calcolo preventivo un costo che i proponenti non presumono poter superare nell’atto pratico i seguenti compiiti in scudi romani.161
Per espropriazione de’ terreni, in genere, su | ||
tutta la linea.... scudi romani | 706,400 | |
Movimento di terra e ghiaia.... " | 394,980 | |
Ponti e muramenti ... " | 681,000 | |
Attraversamento ed intersecazioni di strade | 113,500 | |
Quindi presumesi il costo del piano stradale. | ||
scudi romani | 1,915,880 | |
Aggiungansi per gli oggetti di un costo meno | ||
ipotetico, perchè meglio noti, le seguenti spese: | ||
Per armatura di ferro e di legno posto, in opera . " | 1,589,000 | |
Stazioni con rispettivo corredo. " | 400,000 | |
Veicoli di trasporto........ " | 420,000 | |
Spese generali, cioè, spese di pro- | ||
gettazione scudi romani | 100,000 | |
" d'amministrazione, perdite, | 250,000 | |
interessi, ec. " | 150,000 | |
" diverse a calcolo | 425,120 | |
Totale capitale reputato occorrente dai proget- | ||
tanti in .... scudi romani | 5,000,000 |
Giusta l’opinione de’ progettanti suddetti una tal somma di cinque milioni di scudi romani, confrontata a’costi effettivi di quelli d’altre strade ferrate già state, eseguite in località le quali hanno molta analogia con quella proposta, fatte ad un solo binario di ruotaie, e che poterono servirsi di ferro d’estera produzione esente di dazio d’importazione, sembra più che sufficiente all’uopo: ondechè presumesi ohe non sia accusabile il detto progetto di troppo tenue valutazione.162
Noi confessiamo di non dividere interamente cotesta fiducia. Perocché crediamo in primo luogo una strada chiamata, come cotesta, ad un grandissimo avviamento non potersi sottrarre, per ragione di sicurezza, ad avere due binari di ruotaie, e doversi provvedere d'un materiale locomotore e di carriaggio di ben maggiore valore di quello calcolato.
D’altronde 227 kilometri, secondo la valutazione più comune di lire 300,000 il kilometro, importano la spesa di lire italiane 68,000,000, mentre quella calcolata non è che di sole lire italiane 25,150,000. Ci sembra pertanto soverchiamente tenue la calcolata minore spesa, ridotta ad anche meno della metà del detto costo medio denunciato.
Nè crediamo, ripetesi ancora, potere le strade ferrate italiane per avventura costar meno di quelle belgiche e francesi, le quali più avvicinano quando non l'oltrepassano il detto costo medio. Imperocché, se vi sarà qualche risparmio sur alcun articolo di spesa, molti altri saranno per certo più cari assai. Laonde noi pensiamo che, se la società bolognese non vuole esporsi ad insufficienza di mezzi raccolti, debbe pensare, ordinandosi, ad accrescere le sue valutazioni.163
Premesse queste avvertenze, ci resta ad esporre quali calcoli presuntivi facciansi sul prodotto sperabile dalla progettata via.
A parere de’ progettanti si crede che li mezzi produttivi di essa siano tali, che reggere potranno non solo con favorevol presunzione relativamente al compenso d’interessi ed ammortizzazioni del capitate sopra calcolato di scudi romani 5,000,000, ma che di più potranno fruttare un giusto premio a, coloro che vorranno investire i propri capitali in siffatta impresa.
Per comprovare una tale asserzione gli autori del progetto enumerano alcuni dati sui quali fondano la presunzione loro.
Non può nascere, dicono, dubbio alcuno sopra le grandi prerogative di cotesta linea di strada ferrata, poiché essa riunisce dieci delle più popolate e ricche città; le quali da una parte si sono già apevjte buone strade ordinarie alla volta di Toscana, e dall’altra hanno delle spedite comunicazioni coi porti canali dell'Adriatico posti fra Goro ed Ancona, il di cui porto per le cure del governo pontificio è risorto in gran parte dallo squallore in che le vicende del governo medesimo lo avevano ridotto.
Non v'ha quindi argomento a temere che le comunicazioni interne fatte più frequenti e più rapide per la strada ferrata in corrispondenza delle suddette strade ordinarie, non siano per riuscire di sommo vantaggio a Bologna, ad Ancona ed alle altre città; castelli e grossi borghi; i quali, situati lungo la via Flaminia ed Emilia, offrono un mezzo di trasporto rapido, comodo ed economico ad una popolazione valutata dal censimento al numero di 1,072,221 abitanti, sparsi nelle cinque province pontificie, che sarebbero intersecate da Ponente a Levante dalla nuova, strada ferrata proposta.164
Quand’anche poi si volesse ristringere il calcolo ad una sola zona di tre kilometri ragguagliati di paese limitrofo alle due parti della strada; si avrà sempre emessa potrà servire direttamente ad una popolazione di 430,000 abitanti; popolazione la quale corrisponde ad abitanti N.° 315 per ogni kilometro quadrato: numero questo che può dirsi uguale, se pure non oltrepassa; tutte le altre contrade le più popolate e le più floride; aventi strade ferrate che le intersecano.
Nè basta ancora; mentre può tenersi per fermo che, oltre al vantaggio circoscritto dai limiti sopra indicati, la proposta linea avrà tra i confini estensi ed Ancona un avvenire molto proficuo, specialmente quando verrà estesa alle più lontane relazioni italiane ed europee prima indicate, mercè di altre linee di vie ferrate corrispondenti.
Volendosi tuttavia per ora i proponenti ristringere a calcoli per loro avviso molto esigui; onde scansare qualunque taccia d’esagerazione; badando allo stato presente soltanto; e non al > futuro presunto, e contenendosi, come dicono, nel positivo, anziché trascorrere all'ipotetico: presentano qual frutto de’studi loro i dati principali che seguono, sui quali dati fondarono le proprie presunzioni.
Quantunque i presenti futuri destini della proposta via si possano credere assai prosperi, ed a quelli di niun’altra inferiori; e quantunque, stando alle basi calcolate, per esempio, da professori chiarissimi per la via lombardo-veneta, si avesse motivo a calcolare la popolazione avviata per la strada in discorso a N.° 848,258 percorrente l’intera linea: tuttavia, modificando in termini assai più temperati cotesto adeguato, si ristringono gli autori a calcolare la detta popolazione a 300,000 pasaaggeri annui percorrenti l’intera linea, ed a 30,000 tonnellate di merci ed altri oggetti trasportati sur essa strada.
Ora col prezzo medio di scudi romani 2.40 per i primi, e di scudi romani 6.40 Per le seconde, che è quanto a dice: per ogni individuo scudi romani — . 01, ½: per ogni tonnellata scudi romani — . 04, per ogni miglio romano percorso; questi due principali rami d’entrata fornirebbero l’annua somma di scudi romani 912,000. Nè sarà meno probabile che di fronte a questo introito le spese ascendano a scudi romani 362,000, per cui il netto prodotto riparabile sopra l’accennato fondo di scudi romani 5,000,000 offrirebbe una rimanenza attiva di scudi romani 550.000, equivalenti all’11 per % del capitale.
A questi cómputi de’ progettisti noi crediamo, in tesi generale, potersi opporre qualche eccezione, che pregheremo i chiarissimi proponenti, non che i fondatori della società, di seriamente meditare insieme a quelle già fatte sul costo primitivo presunto dell’ideata via.
Noi crediamo alla futura massima prosperità di codesta strada, quando però soltanto gl’ideati probabili suoi protendimenti nella superiore Italia saranno attuati. Finché ciò segua, la strada medesima sarà, a nostro parere, d’ordine secondario; ed i prodotti d’essa, sebbene ragguardevoli e sufficienti, noi lo speriamo, a porgere frutto-adeguato del capitale per essa speso; tuttavia pensiamo abbia codesto frutto a resultare molto inferiore a quello, per nostro avviso, troppo largamente presunto dell’11 per %, avuto riguardo al maggior costo primitivo suddetto.
Ammettiamo per vera la popolazione censita delle cinque province. Riconosciamo discreto e fondato il presunto adeguato di quella supposta avviata fin da principio sulla proposta via; crediamo anzi ch’essa sarà anche più probabilmente ecceduta. Così pure non contendiamo la quantità presunta delle merci, come approviamo il discreto prezzo valutato de’ trasposti.
Ma ciò su cui crediamo errare il calcolo, oltre al ridetto maggiore costo primitivo, gli è le spese d’esercizio, calcolate, a nostro parere, a somma troppo esigua.
Coteste spese vediamo ascese nel Belgio alla somma del 51⅓ per %; ora crediamo essere gravissimo errore di credere che le imprese italiane ahbiano fin dal principio ad essere men costose delle oltremontane.165
Se per alcuno de’ capi di spesa ammettiamo potervi essere, non solo eguale, minore dispendio, per quelli essenziali esso debb’essere di gran lunga maggiore.166
Il costo primitivo delle macchine fatte venir di lontano; anche senza pagamento di dazio, non solo sarà maggiore, ma il continuo incessante ristauro di esse dovrà necessariamente essere ben più costoso, sia che facciasi, com’è più probabile, da artefici esteri, i quali fatti appositamente venire costeranno più cari assi; sia che si facessero quelli, a scarso numero di pochi capi ridotti, supplire da operai del paese, i quali meno pratici, anche meno pagati individualmente, per lavoro meno efficace resulteranno perciò più costosi.
L’uso delle dette macchine, sul principio men noto agli agenti del paese, dovrà essere maggiore; e perciò più grande avrà ad essere la spesa de} ristaurò di esse.
Ma ciò in cui si può affermare che sarà notevole assai il maggiore dispendio, sarà il combustibile, che si ha a tenuissimo prezzo nell’Inghilterra, in Francia, in Lamagna, e specialmente nel Belgio, dove le cave del carbon fossile sono per lo più a pochi passi dalla strada, ed escavate per antichissima pratica con tanta economia, da essere quel combustibile a prezzo affatto minimo. Ora in Italia, dove assolutamente manca il combustibile preallegato, nè il caro prezzo della legna concede di supplirlo con essa, sarebbe grave errore supporre che la spesa d’esso, fatto, com’è forza, condurre da grandissime distanze, non risultasse sempre più grave assai.
Cotesto eccedente di spesa noi crediamo, col maggior costo della manutenzione dei veicoli, non solo compensare abbondantemente ogni alttra spesa minore di personale (supposti anche ridotti al minimo gli agenti e ministri esteri assoldati per l’esercizio); ma dover essere per tal modo superiore da far si che il totale dispendio ecceda la proporzione risultante dai rendiconti delle strade già attuate altrove.
Malgrado cotesti riflessi, che ci conducono a doversi notevolmente ristringere la ragione dell’11 per % sperata ne’ presunti prodotti, noi crediamo tuttavia che, anche grandemente ridotta, codesta ragione rimarrà però tale ancora da offerir forse un adeguato sufficiente compenso. E quando ne’ primi anni dell’assunto questo non fosse bastevole, siccome siamo persuasi che l’estensione del sistema ad una linea italiana non solo, ma europea, dovrà nel seguito poi rendere l’impresa profittevolissima: così crediamo per tal modo all’utilità di essa che pensiamo non dovrebbe esserle denegato il soccórso d’un intervento governativo; mercè del preferito concorso della garanzia d’un interesse minimo, sufficiente ad allettare i capitali.
Considerando poi la difficoltà probabile d’ottenere un tale concorso dall’erario centrale dello Stato pontificio, notoriamente in difetto d’avanzi da consecrare a nuove spese; non esitiamo a confortare le rappresentanze, municipali e provinciali, se vi sono, di quelle province e comuni a spontaneamente tassasi a tal fine della somma che sarebbe necessaria all’uopo di supplire, al detto interesse minimo da guarentire; convinti come siamo che lo stesso aumento de’ dazi locali risultante dal maggiore moto delle persone, delle cose e degli affari abbondantemente compenserà il sacrificio ove occorra.
Le nostre osservazioni pertanto, lungi dall’essere dirette a scoraggire dall’impresa, tendono a confortar i generosi ed illuininati cittadini che l’idearono, a persistere nel concepito assunto; e solo ebbero per iscopo di suggerirne ordinamento in modo più cauto, a scanso di errori che potrebbero in vece, come succedette altrove, comprometterla, affinchè più sicuro ne sia il pieno buon successo.
Premesse le date indicazioni sulla parte tecnica ed economica, ora ne occorre parlare del modo in cui si divisa ordinare la società che debbe assumere l’impresa suddetta.
I notabili che generosamente già somministrarono i primi mezzi per avviare l’utilissimo divisamento, mostrarono fin qui intenzioni così rette, disinteressate ed illuminate, che si chiarirono più mossi da carità di patria nel proprio assunto, che non dal desiderio di tentare a profitto loro un’utile speculazione.
Essi non intendono difatto di procurarsi con quella un monopolio o privilegio, sibbene vogliono farla di pubblica ragione, onde renderla comune a chiunque voglia attendervi, tostocbè vi saranno stati debitamente autorizzati.
Le condizioni principali alle quali cotestoro desiderano di aprire un’associazione di capitalisti sono le seguenti:
"1.° Volendo che l’impresa sia composta d’industriali dello Stato, onde provare eziandio che in esso non mancano a tal fine i mezzi e le intelligenti intenzioni, si progetterebbe che tutte le azioni che sarebbero disponibili (oltre quelle per cui s’obbligano i fondatori istessi) restino a preferenza assoluta di persone domiciliate negli Stati pontificii.
" 2.° L’atto di società (statuto) si vorrebbe sottoposto all’approvazione sovrana, onde serva di poi agli azionisti di legge irrevocabile.
"3.° Bologna sarebbe sede principale dell’impresa, ma anche le altre città centrali di Legazione avrebbero una rappresentanza nell’impresa medesima, a segno che di 25 membri componenti il Consiglio superiore, non meno di 5 sarebbero assegnati alla città di Ancona, e 3 per ognuna delle altre.
"4.° Chi volesse farsi azionista dovrebbe nell’atto della sottoscrizione pagare a garanzia dell’impegno che assume una ventesima parte della somma per cui s’obbliga, e queste somme, pagate le spese di progettazione, si vorrebbero depositate nelle pubbliche casse a comune cautela. Altri pagamenti non si dovrebbero richiedere finché il progetto particolareggiato fosse dai superiori dicasteri approvato, e si dovessero incominciare i lavori.
"5.° Perchè niuno potesse venire indotto in errore intorno all’economica condizione dell’impresa, si dovrebbero far noti a tutti i prospetti parziali che giustificano i dati particolari sopraindicati.
"6 Il tutto sarebbe regolarmente pubblicato per le stampe appena verrebbe ottenuto l’impetrato favore della concessione od annuenza e tostocbè sarebbe fatta lecita una tale pubblicazione.
"7.° La società assumerebbe l’impresa dal confine estense ad Ancona; subordinatamente avrebbe un’impresa secondaria a Ferrara, da cui si ordinerebbero, operazioni concordi con quelle della società bolognese; delle quali operazioni faremo nel seguito parola.
" 8.° Non sarebbero create, come in quasi tutte le altre società, azioni industriali, qual premio ai fondatori. Solo ne verrebbero emesse in numero sufficiente a far fronte alla spesa del progetto di massima e particolareggiato o definitivo. Questo compenso sarebbe stabilito al 2 per % del capitale da impiegarsi nell’impresa, ed i fondatori assumerebbero il carico d’anticiparne il montare, a tutto lor rischio per quanto ne occorre, finché venga il progetto dal governo approvato; ottenendo poi il rimborso in tante cartelle d’azioni quante saran necessarie a saldare il concorso del 2 per % suddetto. Avrebbero essi ancora il dritto di prelazione nel sottoscriver a suo tempo fra tutti ad una terza parte delle azioni da spacciare, pagando come gli altri le somme fissate per ogni parte.
" 9.° Atteso il molto lodevole divisamento d’escludere le promesse di azioni e l’aggiotaggio che sempre ne deriva, per le azioni effettive da spacciare, si è proposto un mezzo nuovo molto ingegnoso, fin qui non usato per quanto a noi consta, il qual mezzo debbe, per quanto è possibile, frenare il detto aggiotaggio. Si diviserebbe a tal fine di spartire il capitale destinato all’impresa in due parti uguali, di cui l’una suddivisa in azioni offerte agli speculatori in somma assai minima per allettare i piccoli capitali. L’altra metà si vorrebbe suddivisa in 650 carati, di scudi 4,000 ciascuno. Cotesti carati sarebbero effetti troppo considerevoli per servire all’aggiotaggio; e sarebbero accessibili a’grandi capitalisti del paese, i quali non per giuocare, ma per avere la strada e contemporaneamente fare un’utile impiego aprirebbero i loro scrigni.
" 10.° Acciò poi fossero cotestoro compensati della minor latitudine che avrebbero nella speculazione, si assegnerebbe ai carati la priorità onde conseguir, prima delle azioni, il 5 per % di frutto; ed ogni carato avrebbe inoltre il dritto d’intervenire ipso jure alla riunione del Consiglio dirìgente l’impresa. Così si conseguirebbe il doppio scopo d’avere unita la metà del capitale in forma solida, fuori dell influenza delle borse. L’altro d’interessare gli ottimati al buon successo dell’opera in modo stabile, perciò preferibile al momentaneo concorso delle operazioni bancarie".
Coteste condizioni speciali, che, giunte alle altre solite servirebbero ad ordinare la proposta impresa, ci sembrano molto savie, prudenti ed accorte.
Solo ne pare che la limitazione fissata ai capitalisti indigeni sia men necessaria e men conveniente. Imperocché crediamo difficile trovare nello Stato tutto il capitale occorrente all’uopo tra i fondi oziosi, cui solo conviene ricorrere per non distoglierli per avventura da altre speculazioni, utili esse pure, che verrebbero cosi a patirne danno.
D’altronde o l’impresa è buona e debbesi applaudire a che essa chiami il concorso de’ capitali esteri, i quali verrebbero opportuni ad accrescere la produzione generale. O sarà men profittevole, e debbesi pregiare, assai il detto ooncorso, il quale sarebbe un utilissimo sussidio.
Ancora; se la società non potesse ottenere che a Modena governo o privati s’accingessero a continuare la via sullo Stato estense sino al suo congiungimento con quella parmense; e solo riuscissero,come venne già detto, ad ottenere il passo, sottostando a ragionevoli cautele: non è dubbia la convenienza che avrebbe la società bolognese d’estendere il proprio assunto a tale prolungamento.
Finalmente, per meglio ancora chiarire generosa, e patriottica l’impresa, vorrebbesi bandito affatto anche il nome delle azioni beneficiarie, e solo apposto il patto di prelevare sui primi versamenti degli azionisti il rimborso delle spese di progetto anticipate, ed ancora dovute ai progettanti.
Per tal modo resta evidente, che sarebbe esclusa l’imputazione che ancora far si potrebbe di speciale guadagno ai fondatori sul 2 per % assegnato pel progetto, che taluno potrebbe supporre non tutto impiegato nelle spese del medesimo.
Cotesti miglioramenti alle proposte condizioni d’associazione ci parrebbero atti a renderla compiuta ed a farla meritevole di essere proposta ad esempio a tutte le società consimili della Penisola, molte delle quali pur troppo sembrano a basi men buone appoggiate. Premessi cotesti particolari intorno alla società bolognese divisata, ne’ quali ci siamo di preferenza ad ogni altra italiana estesi, perchè la reputiamo fra tutte più degna di lode, perciò meritevole d’imitazione: ora ne resta a dire quali altri divisamenti siansi fatti o converrebbe fare di strade ferrate negli Stati della Santa Sede.
Ed in primo luogo notiamo che il protendimento della via bolognese fino a Ferrara è un’operazione della massima importanza, sia che si consideri rispetto alle relazioni interne, sia che si avverta a quelle d’altri Stati della Penisola, od a quelle europee.
Anni sono un ingegnere Ferlini compilò un progetto idraulico per la canalizzazione del ramo del Po, detto di Volano, che ha foce nella rada di Goro, la quale vuolsi che sia tra le più sicure dell’Adriatico. Giusta questo progetto, le navi mercantili che solcano quel mare dovrebbero proseguire il corso loro sino alle porte di Ferrara. Il progetto fu approvato dal governo pontificio, ma non ebbe ancora una base economica onde raccogliere i capitali occorrenti. Intanto si tratta col governo estense onde ottenerne la cooperazione. Cotesto, progetto una volta eseguito, intese le discipline concernenti alla navigazione del Po, annunciate dai patti di Vienna, e non mai combinate, e fatti i miglioramenti di cui avesse d’uopo il letto superiore del gran fiume fino a Torino: è fuori dubbio che quella grande arteria italiana, ora così trascurata, acquisterebbe vita novella, e sarebbe mezzo d’attivissimo traffico. Ferrara poi, da squallida, povera ed abbandonata, risorgerebbe, perchè sarebbe fatta centro e punto primario d’un commercio di commissione notevolissimo.
A migliorare ancora cotesta condizioni importerebbe che a Ferrara giungesse la via ferrata, e l’altra versasse nell’oltre Po da una parte sino a Padova, dove si congiungerebbe alla Ferdinandea a quel punto; e verso Mantova dall’altra, onde arrivare per la già indicata strada alla’stessa via Ferdinandea al punto di Peschiera.
La strada da Bologna a Modena passando per San Giovanni in Persiceto ivi si diramerebbe, e per Cento arriverebbe da una parte a Ferrara, dall’altra a Modena. Nell’Oltrepo da Ferrara andrebbe per Rovigo e Monselice a Padova.
Quanto al passo del Po, punto di più grave ostacolo che sarebbe da superare, o si ammetterebbe l’interruzione della via ferrata, come già abbiamo detto al capitolo 2.° (Strada Ferdinandea); oppure, come si vuole da alcuni, si potrebbe adottare un porto natante perfezionato, il quale, avendo ruotaie, fosse atto a ricevere almeno una buona frazione di treni per ogni passaggio, e si muovesse con una macchina a vapore o fissa sulle rive del fiume, o che fosse sullo stesso porto natante: ondechè sarebbe mantenuta la costante comunicazione sulle due rive del gran fiume; il quale, essendo confine, sarebbe occasione per facilitare, col proposto modo di passarlo, le operazioni di polizia e di dogana, separando i treni de’ passaggeri da quelli delle merci.
A chiunque esamini la carta corografica de’ luoghi sarà ben facile di scorgere come queste direzioni proposte sarebbero utilissime. Perocché, posto il facile arrivo della Toscana a Bologna pella via della Porretta, di cui già parlammo al capitole 4.° (Toscana e Lucca); della quale via parleremo ancora fra non molto, vedesi che il congiungimento del Mediterraneo da Livorno coll’Adriatico alla rada di Goro, già menzionata, sarebbe assicurato, ed a distanza che può dirsi brevissima da quella parte, mentre la comunicazione tra il detto porto toscano e quello d’Ancona per la proposta via dell’Emilia sarebbe ugualmente assicurata; e più lontano verso Venezia, per la via da Ferrara a Padova; sarebbe del pari attuata la congiunzione.
Ancora; questa a più grandi distanze verrebbe ugualmente praticata con maggiori risultati. Vogliam dire da Genova ai preallegati tre punti d’Ancona, di Goro e di Venezia.
Al punto di Goro poi, l’arrivo da Genova non sarebbe fino a Ferrara che di 340 kilometri, mentre per la via di Milano a Venezia ne avrebbe 460 almeno e siccome da Ferrara a Trieste non si contano che 80 kilometri di più che da Venezia, è facile comprendere che più breve sarebbe ancora l’arrivo a Trieste da Genova per Goro a confronto di quello per Milano a Venezia.
Come è facile persuadersi che lo scalo austriaco, terminate le strade ferrate (dal Nord a Vienna, e da questa a Trieste) diventando sempre più centro d’un gran traffico, s’avrebbe da quello, volendolo, il transita Verso Genova a tutte le procedenze del Nord per l’America meridionale e le Antiglie, con risparmio dell’oziosa e pericolosa navigazione dell’Adriatico per venire nel Mediterraneo oltre la Sicilia.
Cotesto mezzo di transito per la Penisola italiana, intersecata cosi in ogni senso per servire al gran traffico del Levante e del Nuovo Mondo, ognuno comprende come riuscirebbe profittevole ad essa, e quanto acquisterebbe in ricchezza ed in civiltà la patria nostra.
E lecito adunque far voti perchè possano attuarsi tali divisamenti.
Fin qui della strada in discorso. Ora è opportuno parlare ancora di quella da Pistoia a Bologna per la via chiamata della Porretta.
Abbiamo veduto al capitolo 4.° (Toscana e Lucca) come, anche ammettendola per il punto più facile del varco dell’Appennino dalla Toscana alle Legazioni, si muovano seri dubbi sulla convenienza di praticarvi una via ferrata con locomotive su tutta la sua estensione, attesa la grave spesa che crediamo doverne derivare.
Ora aggiungeremo un’idea suggerita dà persona assai pratica de’ luoghi, e non digiuna di notizie tecniche, la quale a noi pare di più facile e più probabile esecuzione.
Mercé degli studi preliminarmente fatti da’ Bolognesi si sa che da Bologna al confine toscano (distanza metri 65,000) non vi ha che una differenza di livello di metri 266.— Che dal confine toscano all’Ospedaletto (altri metri 15,000) il declivio si mantiene circa ad uguale condizione.— Che dall’Ospedaletto all’opposto versante, sorgenti del fiume Ombrone, vi è il solo gruppo di monte da superare, e che dalla sorgente dell’Ombrone a Pistoia è possibile uno sviluppo adattato anche alle locomotive.167 Ora, posto il dubbio della soverchia spesa, senza sufficiente compenso, dubbio questo anche a Bologna nato, perocché neppure colà si pose interamente fede ai calcoli toscani; fu divisato, come già si è detto, un temperamento che provvede all’uopo, col dare all’impresa elementi più economici.
Si vorrebbe pertanto una strada ferrata con locomotive da Bologna all’Ospedaletto. Dall’Ospedaletto a Pistoia poi (metri 30,000) si farebbe la strada ferrata pure, ma ad uso soltanto di cavalli, pei treni staccati dalle locomotive, ed essendovi un declivio dal 2 al 3 per % non occorrerebbe perciò la spesa maggiore di piani inclinati e di tunnels.
Così operando, tenuissima perdita s’incontrerebbe, nei risultati del servizio; dappoiché, giunti i treni a piè del monte, non saran necessari carichi e discarichi, ma unicamente farà mestieri staccare i treni dalla locomotiva, ed attaccarvi i cavalli. Così pure nelle discese, i treni, muniti del necessario freno, se occorre, saran semoventi.
Qui, trattasi di sole miglia italiane 5 ½ lungo le quali occorrerebbe siffatto provvedimento, e quindi supposto ancora che si percorressero con cavalli in 45 minuti piuttosto che in 15 colle locomotive, scorgesi che vi sarebbe solo una mezz’ora perduta perciò un sacrificio minimo a confronto della grande spesa risparmiata, onde ne avverrebbe più sicura l’esecuzione dell’opera: altrimenti d’incertissimo assuto.168
Con la proposta modificazione, posta la distanza da Bologna a Pistoia di kilometri 100, ed il costo di costruzione della strada (escluso qualunque lavoro d’arte grandioso) valutato a lire italiane 150,000 per kilometro, ne avverrebbe che si potrebbe avene un’ottima comunicazione col solo capitale di quindici milioni, pel quale potrebbe sperarsi adequato prodotto, cioè:
500 biglietti al giorno a | lire | 6 | = | 3,000 | |
4,500 | |||||
100 tonnellate a …………… | " | 15 | = | 1,500 | |
Laonde all'anno la rendita di | lire | 1,642,500 | |||
dedotto il 50 per % di spesa ………. | " | 821,250 | |||
resterebbe il prodotto netto di | " | 821,250 | |||
pari al 5 per % del capitale speso |
Cotesto calcolo preventivo della spesa più probabile e della rendita men dubbia ci pare quello che merita maggior fede de’calcoli toscani: ne’ quali dbbiamo confessare di vedere più di una illusione, come già si è notato al capitolo 4.°, in cui nostro malgrado credemmo poter dubitare seriamente della possibile esecuzione di codesta impresa.
Questa, al postutto, dobbiamo proclamare, non che utilissima, necessaria alla prosperità della via bolognese; epperò doversi intraprendere, quand’anche fosse perdente. Perocché solo mercè di essa verrebbe a tal punte assicurato il congiungimento del Tirreno coll’Adriatico, e le relazioni dello scalo di Livorno con quelli di Ancona, Venezia e Trieste sarebbero grandemente migliorate, come verrebbero a ricever più facile ed utile sfogo i prodotti permutabili delle Legazioni.
Quest’avvertenza ci conduce a conchiudere che, supposta ancora eccedente le lire 150,000 per kilometro la spesa calcolata, come forse può accadere, sarebbe l’assunto in discorso tuttavia sempre da tentarsi, mediante eque convenzioni tra le due società bolognesi e toscane, onde combinare quell’accordo che meglio accennerebbe al divisato scopo.
Quand’anche poi calcoli più accurati, che vorremmo del resto ancora fatti (poiché siamo tuttavia esitanti nel credere impossibile in quelli esposti un errore) di mostrassero men conveniente alle due società l’impresa: non dubitiamo d’affermare cosi evidente l’utilità d’essa, che, nell’interesse generale il pubbblico erario dovrebbe con qualche suo concorso sussidiarla, colle avvertenze prima accennate per regola della competenza del detto concorso.
Prima di chiudere il nostro discorso su cotesta strada della Porretta da Bologna a Pistoia, è opportuno e spediente avvertire non essere quella la sola direzione proposta.
D’un altra ancora si è nel pubblico parlato, e ce ne informa un opuscolo recentemente pubblicato in Bologna dal signor avvocato Carlo Monti, il quale pare aver studiato molto accuratamente la condizione de’ luoghi.169
In questo lavoro l’autore dapprima nota come, condotto da un onorevole incarico a percorrere e ripercorrere le creste dell'Appennino, gli fu dato osservare un varco già da molti notato, da pochi, esplorato, da niuno applicato, per quanto si sappia, all’opportunità d’un sisteina stradale, ch’esso quindi piglia l’assunto di svolgere e fare di pubblica ragione.
Sembra al Monti, che il congiungimento tra Venezia e Livorno da esso lui indicato ai descritti punti come il più facile, sia inoltre il più diretto e breve, quindi preferibile. Esponiamo l’assunto di lui colle stesse parole da esso usate.
«Presa una carta geografica dell’Italia, e tra i due punti in che sugli opposti mari veggonsi situate Venezia e Livorno, tirata una linea retta, si vedrà agevolmente come questa percorra una distanza d’aria di miglia 145 geografiche o comuni d’Italia da 6o al grado equatoriale. Bologna, ohe può considerarsi come l’emporio dell’Emilia, siede precisamente nel centro della retta linea ad uguale distanza d’aria dal porto di Livorno e dal lembo del veneto estuario.
«A sviluppare però sul terreno la linea d’aria accennata per la traccia possibile di una strada, si esigerà segnare una ristrettissima zona di terreno entro la quale la linea possa deviare con qualche breve tortuosità o diramazione, necessitata dalla condizione topografica di qualche località o dalla convenienza di toccare Padova Monselice, Rovigo, Ferrara, Bologna Vergato, Porretta, San Marcello, i Bagni Lucchesi, Lucca e Pisa.170
«Nello imprendere pertanto ad esporre il progetto di una consimile linea stradale, debbo avvertire che tengo superfluo chiamare l’attenzione intorno alle strade ferrate già esistenti in costruzione nelle pianure alle due estremità, quella, cioè, che, attraversata la laguna, correrà da Venezia a Padova, quella che da Lucca metterà per Pisa, a Livorno. Così pure stimo che bastino brevi, cenni sulle strade regie, erariali o provinciali che già esistono per una parte da Padova sin oltre a Porretta, e per l’altra da Lucca sino alle Terme Lucchesi.
» Il tratto della linea che più minutamente io prenderò ad esame è quello che dalle Terme porrettane dovrebbe avere, principio, per trovar termine alle lucchesi. Tratto che, abbracciando tutto il sistema dell’Appennino da attraversare ne’suoi due versanti, riunisce le difficoltà più temute.
«E perchè la retta linea tra Venezia e Livorno già di per sè addita come da Bologna giovi ognora risalire il Reno sino a Porretta, e di qui proseguire col Reno medesimo sino ad attraversare la vicaria toscana di San Marcello per raggiungere la Lima e scenderla sino alla sua immissione nel Serchio presso le Terme Lucchesi, così il corso dei due torrenti Reno e Lima, e la traccia di una strada regia che di già attraversa la vicaria suaccennata, mi porgeranno, argomenti bastevoli a provare come le più opportune condizioni topografiche ed idrografiche concorrano a rendere facile e di poco dispendio il compimento del sistema stradale su tutta la linea, sia che parlare si voglia di strada ordinaria, o che a strada ferrata volgasi il pensiero.171
" Come poi inutile sarebbe dire dell’importanza assoluta o rispettiva dei due punti marittimi da congiungere; così stimo anche superfluo intrattenermi di quella delle città di Padova, Ferrara, Bologna, Lucca e Pisa, di cui le tre prime sono veicolo al commercio dell’Emilia col Veneto, colla Lombardia, colle Marche, mentre le altre lo sono a quel dell’Etruria colla Lunigiana e col Ligure: tutte poi egualmente punti, importantissimi nelle due grandi regioni che Appennino forma, e per le transazioni economiche, e pel transito di terra tra l’Italia superiore ed il resto della Penisola.— Ma nel tralasciare ogni considerazione su questi punti notabilissimi dell’ideata linea, lo stesso tecnico esame cui mi accingo, trarrà a dire alquanto intorno ad un paese meno osservato che la linea tocca, e che, a malgrado delle Appennine sommità presso le quali è situato, non è da lasciare inavvertito anche sotto il rispetto economico e commerciale: paese che vita acquistò dalla strada, regia che la magnificenza di Pietro Leopoldo aperse all’Etruria per la Lombardia; e che viepiù ne acquisterebbe se congiunto venisse all’Emilia, che tuttora gli rimane chiusa.
" Questi cenni generali basteranno a fornire una idea astratta della linea stradale proposta; ma l’assunto mio m’obbliga a quelle spiegazioni che la pratica esige per passare dalle astrazioni alla realtà. Imperocché, per coloro che sono avvezzi a giudicare colla scorta delle carte più che colle nozioni dell’esperienza, l’additato facile varco dell’Appennino parrà, senza meno, un problema da sciogliere. La soluzione però di questo problema è appunto, il fine principalissimo del mio studio.
" Laonde, prima di occuparmi più particolarmente dell’ideata linea stradale di congiunzione tra i due mari, mi è d’uopo chiamare l’attenzione dei leggitori sui rilievi da me fatti intorno:
" 1.° Al sistema dell’Appennino nelle additate località ed alle sue giogaie da attraversare;
"2.° All’origine ed al corso del Reno, che la linea stradale dovrebbe risalire;
"3.° Alla condizione topografica del territorio intermedio di San Marcello da tragittare per raggiungere dal Reno la Lima;
"4.° All’origine ed al corso della Lima da seguire sino alla sua confluenza nel Serchio.
"Dietro a queste preliminari indagini chiaro emergerà che per la proposta linea stradale non havvi Appennino, ossia non vi sono gioghi tali da superare, che obblighino a lunghe e moleste tortuosità, o a dispendiosi trafori. Imperocché la traccia stridale a traverso dell’Appennino e lungo le sponde dei mentovati torrenti distesa, correrebbe, senza contrari accidenti del terreno, sopra un piano inclinato continuo; il quale si manterrebbe costante nelle alternate sue cadenti, per lo più inferiori all’1 e non mai superiori al 3 per % e queste ultime inclinazioni per soli brevissimi tratti anche correggibili si verificherebbero.
"Questi risultamenti mi agevoleranno il cenno tecnico che io darò quindi di tutta la linea stradale progettata, senza ommettere qualche considerazione economica intorno ad essa, dettatami non pur dall’interesse generale dell’Italia superiore, ma da quello più particolarmente dei paesi che verrebbero posti tra loro a contatto. In questo cenno io non trala&cierò di mostrare come, trattandosi di strada ordinaria, sia anche lontana l’idea di doverla costruire in tutta la estensione della linea; chè la strada è quasi nella sua totalità compiuta ed attivata, comechè interrotta in alcuni brevissimi tratti sin qui sfuggiti all’attenzione dell’arte, e quindi alle provvidenze dei governi.
"Chiuderò, da ultimo (dice il Monti), l’assunto mio coll’applicare a questa traccia stradale il sistema delle rotaie di ferro;,e nello addurne i vantaggi, non ne dissimulerò le difficoltà. I progetti per altri varchi dell’Appennino, l’accordo di questa traccia col sistema generale di rete stradale italica, saranno da me brevemente toccati prima di concludere che, anche nell’ipotesi di strada ferrata, questa è forse la sola traccia trasversale possibile e proficua, nell’Appennino settentrionale; come quella che, per la congiunzione dei due mari, offre sopra ogni altra il complesso delle condizioni più favorevoli all’esecuzione, alla riuscita ed alla pubblica economia dei paesi più opulenti della nostra Penisola172».
Queste che abbiamo riferito parole del Monti bastano a chiarire l’idea del suo assunto.
Aggiungiamo ora, esser quello svolto nella Memoria di lui con particolari termini, che sembrano assai fedeli ed esatti, dedotti come sono dalle indicazioni geografiche più accurate, fatte di pubblica ragione rispetto a que’ luoghi.
Ed aggiungiamo ancora, che, dopo avere esaminato l’andamento de’ luoghi suddetti colle indicazioni preallegate, l’autore suppone dapprima che l’ideata comunicazione abbia a succedere con vie ordinarie; nel qual caso si tratterebbe soltanto di collegare quelle già esistenti con una tratta di miglia 20, di cui diciotto nuove affatto, e due da migliorare e da correggere.
Volendosi poi applicare un sistema di via ferrata a codesta direzione tra Bologna e Lucca, nota l'’autore, che da Bologna avendosi un insensibile salita per miglia 45, e da Lucca per miglia 30, abbenchè debbasi ascendere a 769 metri sul livello del mare, onde superare il colle del Lobbio, giogaia subappennina che chiama di secondo crine: non sarebbe grande la difficoltà di applicare il detto sistema.
Il signor Monti crede finalmente essere cotesta direzione la più conveniente ed utile nel rispetto economico; perocchè a parere di lui tutto l’andamento della linea tocca a quattro diversi domini, e riesce ad intersecare tutte le grandi strade aperte alle regioni più opulente e popolate della nostra Penisola.
Dopo avere indicato questa seconda idea di congiungimento fra, i due mari, passiamo a ricordare ancorà le due altre strade di cui già abbiamo parlato al capitolo 4-° (Toscana e Lucca), cioè quella che da Firenze per il Val d’Arno continua fino ad Arezzo, d’onde per due vie può essere continuata fino ad Ancona, o per Città di Castello, Fratta e Fano; o per le Chiane, passando d’accosto, al lago Trasimeno e Perugia; e quella che da Bologna arriverebbe à Firenze per Forlì, e quindi per la via Emilia, passando prima pel Val d’Arno fino a Pontassieve, indi per Diconiano a San Godenzo, Osteria, San Benedetto, ec.
Ecco dunque quattro direzioni proposte, intorno alle quali è nostro debito di proferire un giudicio.
Giova al proposito premettere, che questo no può essere assoluto, perocché sarebbe prima forse mestieri di far seguire sui luoghi lavori geodetici e calcoli comparativi, che non siamo in condizione di procurarci.
Per quanto però si può giudicare dai dati generali avuti da persone dell’arte e bene informate delle contrade che a avrebbero a percorrere, crediamo potersi esporre un’opinione all’incirca fondata su basi appaganti.
La tratta _o direzione tra Bologna e Lucca, indi a Pisa e Livorno, anche ammessi i vantaggi allegati di facile accesso, non ci sembra, se abbiamo da parlare francamente, preferibile a quella prima descritta, che per la stessa Valle del Reno e la Porretta, superato l’Appennino, verrebbe a Pistoia per la Valle dell’Ombrone, invece d’entrare dalla Porretta pure nella Valle della Lima, e quindi in quella del Serchio verso Lucca. Perocché, quantunque l’ispezione della carta corografica sembri indicare men lunga questa via da Bologna a Livorno, essa non presenta tuttavia i vantaggi dell’altra, la quale per comprendere nella sua direzione successiva da Pistoia a Livorno la città di Firenze, e le popolatissime contrade che avvicinano codeste città, pare a noi dover avere un ben maggiore concorso, e quindi porgere un ben maggiore provento.
Cotesta circostanza in materia di strade ferrate, come si è già avvertito è essenzialissima, e spesso consiglia appunto qualche non troppo lunga deviazione per meglio raccogliere un più gran numero di avventori.
D’altronde, se certo lo scopo principale è il congiungimento dei due mari, non meno importante è il fine di facilitar ed accrescere le relazioni tra Firenze e la Toscana intera con Bologna e l’Emilia. Ora è facile comprendere come da Firenze e da varii punti della Toscana la via per le valli dell’Ombrone e del Reno sarebbe più diretta e comoda, che non quella per cui si dovrebbe scendere gran parte del Val d’Arno per salir poi, in senso opposto recedendo, quelle del Serchio e della Lima, e scendere quindi nella predetta valle del Reno. Questa sola considerazione ci pare dovrebbe bastare per risolvere ad abbandonare l’idea del signor avvocato Monti.
In un solo caso forse dovrebbe questa prevalere, ed è quello in cui il varco dell’Appennino per passare dal Val di Reno al Val d’Ombrone fosse così malagevole e costoso, che non si potesse concepir lusinga di superarlo con una via ferrata, senza gravissimi sforzi, la qual cosa d’altronde vedemmo, al capitolo 4.° ed in questo, non impossibile.
Ma questo ostacolo non ci pare doversi temere: conciossiachè la detta via ferrata risulta praticabile in quella direzione; e se il transito del punto culminante dell’Appennino da Bologna a Pistoia (via della Porretta), non si potrà rendere più facile con un foro o galleria (tunnel) senza un gravissimo dispendio, il quale si presume scarsamente compensato dal troppo tenue prodotto; abbiamo, veduto esservi mezzo di risparmiare quell'opera e la relativa spesa col proposto spediente d’usare per la tratta più scoscesa i treni tirati dai cavalli, interrompendo per poche miglia soltanto il corso delle locomotive.
Ed abbiamo veduto altresì, che da questo spediente, economico e di facilissima esecuzione, non può avvenire notevol ritardo di tempo od incomodo pe’ viandanti.
Un ultimo riflesso ancora fa, a senso nostro, prevalere la linea per Pistoia da noi prescelta, su quella di Lucca, ed è l’aver in questa due linee di dogane di più che in quella; laonde incaglio e perditempo per le formalità daziarie e di polizia. Certo, che si potrebbero le linee daziarie superare dai convogli mediante convenzioni tra i governi, ma queste ognun sa come siano malagevoli a conchiudere.
Se la direzione che noi preferiamo primeggia per le accennate cause su quella proposta dal signor avvocato Monti, tanto più ci sembra poi dover essa prevalere sulle altre due.
Su quella che da Firenze per il Val d’Arno andrebbe ad Arezzo, d’onde ad Ancona (l’una delle già indicate due vie); perchè la seconda, quantunque non possa imputarsi di gravi difficoltà, e singolarmente avvicini Ancona a Livorno meglio di ciò che vi riesca quella da noi preferita per le valli del Reno e dell’Ombrone e riesca utile ancora per la sua continuazione verso Roma: tuttavia non crediamo quella meritevole di preferenza per la doppia spesa che ne nascerebbe, quando si volesse anche avere aperta la strada della Porretta, onde comunicare, com’è necessario, più direttamente da Livorno a Venezia.
Su quella poi che pel Val d’Arno superiore e per Val Montone, ripetesi, andrebbe a Forlì, tanto più dovrebbe la di noi preferita via prevalere; perocché, fatta anche astrazione dalle difficoltà degli erti passi da superare di cui già parlammo al più volte citato capitolo 4.°, vi sarebbe sempre l’ostacolo importantissimo della soverchia deviazione. Difatto, mentre per Pistoia da Bologna a Firenze si avrebbe la sola distanza di 120,000 metri, dalla parte di Forlì sene contano 148,000; ond’è che 28 kilometri di prolungamento, per maggior tempo e per la spesa più grave, sarebbero un ostacolo così essenziale da risolvere ad abbandonare il pensiero della linea pel Val d’Arno e Val Montone fino a Forlì, dove si congiungerebbe colla va Emilia.173
Arroge ancora, che, se questa avvicinerebbe forse Livorno ad Ancona, e così renderebbe, più prossimo a quel punto il congiungimento de’ due mari; essa non compirebbe l’intero e precipuo fine di tale congiungimento.
Cotesto fine non solo gli è quello d’unire i due scali di Livorno e di Ancona, ma eziandio di congiungere al primo quelli di Venezia e di Trieste, ommessa anche la più vicina relazione col termine della navigazione del Po a Ferrara ed a Goro. Ora ognun vede, ripetesi, come la via per Pistoia più brevemente di quella per Forlì conduca a’ punti preallegati; e perciò sia da preferire, mentre non tanto essenziale è la deviazione per Bologna verso Ancona.
Gl’interessi del commercio generale adunque; le condizioni economiche dell’impresa; il maggiore comodo de’ viandanti; la maggiore brevità del cammino che il più gran numero di questi avrebbero a percorrere, sono indubitatamente ragioni atte a far prevalere la suggerita via pistoiese.
Dopo avere parlato della comunicazione a nostro avviso più essenziale, perchè tende a congiungere i due mari, ci resta ora a parlare delle altre linee ancora possibili negli Stati pontifici.
Diciamo possibili, perchè l’esarne della carta tali le dimostra, senza che però finora alcun divisamento renda quelle probabili.
Queste linee o direzioni, a nostro parere, ci sembrano poter essere, partendo dal gran punto centrale della capitale dell’orbe cristiano, le quattro seguenti:
1.° Da Roma ad Ancona.
2.° Da Roma a Firenze.
3.° Da Roma a Civitavecchia.
4.° Da Roma a Napoli.
Esaminiamone successivamente la convenienza e l’importanza; nel farlo noi dichiariamo servirci in gran parte del già citato opuscolo del cavaliere San Fermo.174
Rispetto alla prima ed alla seconda linea riportiamo le parole dello stesso chiarissimo autore, che vedonsi dalla pag. 14 alla 19 del suo citato opuscolo.
- "Congiunzione di Ancona e di Firenze con Roma.
" Ma riunite Bologna ed Ancona con Firenze, e questa poi con Pisa e Livorno, rimane a vedersi quale è il partito migliore per congiungerle con Roma.
"Vorrebbe una troppo necessaria economia, e interesse medesimo del commercio, dell’amministrazione e dei territori, che nel verificare questo congiungimento vi si combinassero i legami speciali degli Stati della Chiesa con la loro capitale: legami che domandano, senza dubbio, che la strada sia la più breve possibile fra Ancona e Roma. Esamineremo sotto questo punto di vista quanto riguarda la strada da Firenze a Roma, e quanto più particolarmente concerne la unione di Ancona con la sua capitale.
Strada da Firenze a Roma.
Primo tronco fino all’incontro della strada di Ancona.
"Sopra due andamenti cader possono gli esami, sopra quello, cioè, di Perugia e quello di Siena. "La strada di Perugia rimontar dovrebbe Val d’Arno fino a Pontassieve, vale a dire quel tronco medesimo di metri 15,000 che formerebbe parte della riunione della Romagna per Forlì, San Godenzo, Dicomano con Firenze. Da Pontassieve riascendendo sempre la valle stessa, la quale per un breve tratto di metri 8,000 fino a Rignano si ristringe sensibilmente, la strada per Incisa, Figline, San Giovanni, Monte Varchi, proseguirebbe fino allo sbocco del fiume Ambro nell’Arno medesimo. Questa tratta è di metri 26,000 circa, nè si abbandonerebbe in seguito la stessa valle se non fra la confluenza dell’Ambro e rincontro della Chiana, tratto di circa 19,000 metri, dove la costruzione ferrata, sarà forse più scabrosa a verificarsi. Toccata la Chiana, il suolo diviene più opportuno, e la strada stenderebbe lungh’essa per metri 36,000 di estensione fino alla via che da Cortona porta a Montepulciano, lasciando a manca ed a picciola distanza, Arezzo, Castiglione Fiorentino e tutti i paeselli intermedi, ed a manca pure l’elevata città’ di Cortona.
"Abbandonandosi alla Dogana Ossaia la valle della Chiana, ed attraversato il confine toscano-papale presso Sanguineto, entrerebbesi colà negli Stati della Chiesa, mantenendosi, quant’è possibile, con andamento retto al Nord del lago Trasimeno, e proseguendo per Colpicione, Antria e Corriano a Perugia. Da Cortona a questa città la distanza ferrata può valutarsi in metri circa a 36,000.
"Perugia è uno fra i luoghi più importanti dello Stato pontificio, situata pressoché nel centro della Penisola, e per conseguenza a portata di concentrare in sè gl’interessi di un vasto territorio.
"Secondo tronco da Ancona a Roma fino all’incontro della strada di Firenze.
"Dovrebbe questa congiungersi con quella da Firenze a Roma in vicinanza di Perugia e, meglio ancora di Foligno. Spoleto è troppo meridionale, nè si eviterebbero allora fra Ancona e quella città moltiplicate alture ben difficili a superarsi. La corrispondenza fra le valli che portano da una parte all’Adriatico, dall’altra al Tevere sono colà infatti troppo distanti, nè in direzione opportuna ond’essere agevolmente riunite. Ed anzi qualunque fosse quella che si presciegliesse, gravissime saranno sempre le difficoltà che s’incontreranno in questo tronco di strada.
"Tre sarebbero gli andamenti da esplorarsi. Il primo, da Ancona scendendo per il rivo detto Aspido, raggiungerebbe Loreto, indi per Recanati, Macerata. Forse che il tronco fra Loreto e Recanati riuscir potrebbe troppo montuoso, ed in tal caso tentar si dovrebbe di discendere da Loreto, nella valle solcata dal fiume Potenza, la di cui foce serve di porto a Recanati rimontando la quale si giungerebbe rimpetto Macerata. Questa città siede sopra di un alto piano che separa la valle Potenza da quella del Chienti, sboccante essa pure nell’Adriatico. Una volta avvicinata questa, non sarebbe difficile forse riascendere per Tolentino fino a Serravalle. Ma colà s’erge un’altura che la divide da quel rivo torrenticcio il quale, lungo il pendio occidentale, scende fino ai piedi del colle di Foligno, ove s’incontrerebbe la strada da Firenze per Perugia a Roma. Lo sviluppo totale di quest’andamento può valutarsi di metri 123,000 circa.
"La seconda via si staccherebbe dalla riunione di Bologna con Ancona, precisamente ove il fiume Esino sbocca nel mare. La strada riascender dovrebbe per esso passando per Iesi, Serra San Chirico, Petro-Saia; Sasso-Ferrato e Sant’Emiliano seguendo le sinuosità o picciole valli aperte dalle acque montane. Quattro in cinquemila metri però oltre Sant’Emiliano, esiste il giogo dividente la china a Levante da quella a Ponente, mediante cui si rivolgono le acque nel Mediterraneo per mezzo dell’Arno e del Tevere. Passa per colà la strada postale da Fossombrone per Cagli e Nocera. Il punto dove superar si dovrebbe questo giogo cade nelle vicinanze della stazione postale della Schieggia, e poco dopo s’incontrerebbe la vallicella che dà passaggio al torrente Chiascio, il quale tortuosissimo, per Brocca, Colpalombo, Val Chiascio e Sterpeto porterebbe la strada a riunirsi con la ferrata fra Perugia e Foligno, sopracorrente alla stazione postale della Madonna degli Angeli. Così disegnata la distanza totale fra detto punto ed Ancona, si ridurrebbe a metri 120,000 circa.
"Il terzo andamento il quale, comunque più tortuoso ed esteso, sarebbe a preferirsi, minori essendo, di gran lnga le difficoltà che presenta, seguirebbe da Ancona la spiaggia del mare, e girando il monte Comero proseguirebbe fino al porto di Recanati. Da quel punto riascenderebbe lungo il fiume Potenza fino al castello Raimondo dopo aver passato, per San Severino, indi per Matelica e Cereto fino al ponte dell’Abacina, da dove poi piegherebbe lungo la Valle del fiume Giano ad animare l’industre città di Fabiano, continuando a rimontare per la valle stessa fino a Cancelli. A quel punto comincia il dorso alpino che separa il versante dell’Adriatico da quello del Mediterraneo, e che vincer si dovrebbe con un perforaemnto onde raggiungere Fossato o Vicinanze, indi la valle del torrente Chiascio distendente nella Spoletana.
"La maggior sinuosità di questa linea si troverebbe, come si disse, ampiamente compensata dai minori ostacoli che vi s’incontrano, e quantunque pazienti studi soltanto, potessero farne conoscer la preferibilità: pure non crederemmo infondata la supposizione che avesse anzi questa a riuscire la sola praticabile ove la Valle Chiascio si prestassed ad un conveniente sviluppo.
Terzo tronco dalla unione delle due strade di Firenze e di Ancona fino a Roma.
"La strada attuale fra Perugia e Roma passa a poca distanza da Assisi, prosegue per Foligno, Spoleto, Terni, Narni e Borghetto, in vicinanza del quale attraversa il Tevere, e per Civita Castellana e Nepi giunge a Roma. " Il suolo che percorre non sembra opporsi all’esecuzione di una strada ferrata, la quale dopo il passaggio del Tevere seguir dovrebbe la valle spoletana formata dalla Maroggia. Oltre Spoleto però il terreno si fa montuoso, innalzandosi sempre più fino al culmine che esiste prima di giungere alla Stellara. Da quel luogo si può discendere lungo il rivo che sbocca nella Nura sopra Terni, fiume che si potrebbe costeggiare praticando la strada sulla destra onde evitare qualsiasi ponte di rimarco fino a Narni. Due esser potrebbero in seguito le direzioni da seguirsi: la postale, cioè, e l’altra, più lunga, per la Nura e la valle del Tevere. Fra Narni, Otricoli e Mogliano il suolo è molto ineguale prolungandosene l’irregolarità fino al Borghetto, ove si passa il Tevere, e dove il paese comincia ad allargarsi e ad appianarsi.
" L’altro andamento per le valli Nura e Tevere, se riuscirebbe forse con minori pendenze e minori difficoltà di costruzione, obbligherebbe però ad uno sviluppo tortuosissimo, per cui ritenersi dovrebbe preferibile il primo.
Strada da Firenze per Siena e Roma.
I vantaggi cospicui derivanti dalle comunicazioni ferrate nascer fecero nei Sanesi il ben giusto desiderio di collegarsi essi pure alla strada leopoldea. Questo braccio di unione movendo da Siena scenderebbe per la valle Staggia, indi per la valle dell’Elsa ad incontrare la Leopoldea fra Samminiato ed Empoli.
" La distanza totale, è di metri 64,000, dei quali 25,000 corrono lungo la Staggia, valle più erta e difficile, 13,000 lungo la parte superiore dell’Elsa, meno disagevole della prima, ma però sensibilmente pendente; tutto il rimanente poi passando per terreni facili ad attraversarsi. Nè le differenze di livello vi sarebbero di ostacolo, non eccedendo queste metri 3oo circa da distribuirsi sopra l’intera estensione di metri 64,000; differenze, d’altronde, che si potrebbero facilmente modificare con un ben consigliato progetto.
" Ma, da Siena verso Roma difficile sembra combinarvi una strada ferrata, bastando accennarne lo sviluppo per convincersi come impossibile sia forse di congiungerle in tal modo fra loro.
"Staccandosi la strada infatti da Siena, scender dovrebbe per la valle dell’Arbia, rimontare per il rivo torrenticcio Serlate, attraversare il picciolo dorso che la separa dal torrente Asso, indi costeggiarlo fin dove sbocca nell’Orcia, che si riascenderebbe fino al torrente Miglia, o fino al Gragnano per rinvenire il passo migliore onde superare il dorso Alpino, e raggiungere il torrente Astrone non lungi da Sarteano, seguendo il quale entrare nella Chiana a poca distanza della città di Pieve.
"Costeggiata poi per alcun tratto la Chiana fino al fiume Argento, si attingerebbe lunghesso il fiume Paglia presso Orvieto, indi il Tevere, che seguir si dovrebbe fino a Magnano, dove allargandosi la valle, gioverebbe passare per Viterbo, Ronciglione, Sutri, e per il lago di Bracciano con linea possibilmente retta giugnere a Roma.
"Le grandi tortuosità e le divergenze medesime che sono indispensabili per ridurre meno inaccessibile quella successione di monti, renderebbero questa strada, oltre che di una scabrosissima e forse inconciliabile esecuzione, di un dispendio poi gravissimo, e di una estensione oltremodo lunga; poiché, mentre il braccio da Siena alla Leopoldea ascende a metri 64,000 circa, l’altro da Siena a Roma non riuscirebbe minore di metri 230,000 circa. Ciò nondimeno parve necessario di farne parola onde provare che la via di Perugia e le diramazioni sovraccennate meglio soddisfanno le viste di economia, e maggiormente conciliano quegli interessi politici e commerciali che importa di assicurare e di favorire.
"Dovendosi proferir su coteste idee un giudicio, dobbiamo confessare che noi dividiamo interamente l’opinione del chiarissimo autore, per la scarsa conoscenza che abbiamo di que’ luoghi. Notiamo però che nel proferir le idee del San Fermo, come degne d’essere accolte, lo facciamo, com’egli stesso pure ha protestato, collo scopo soltanto d’accennare quella direzione come oggetto di ulteriori studi, non già per proporne a dirittura l’adozione in massima.
Di fatto, anche coloro che meno sono intendenti di coteste imprese sanno che da una sola esattissima esplorazione de’ luoghi, ed accurata levatura de’ piani e dei profili, si può trarre quel giusto criterio che debbe poi decidere la direzione definitiva da darsi ad un progetto di massima. E tutti sanno del pari; che una accurata operazione geodetica preventivamente fatta, soventi volte dimostra non esistente o minimo l’ostacolo là dove forse esso più grave temevasi, o ne fa, all’opposto, scuoprire alcuno gravissimo là dove neppur sognavasi d’incontrarlo.
Ciò che possiamo affermare fin d’ora, forse con maggior sicurezza, si è la verità dell’allegata nessuna convenienza della linea indicata da Siena a Roma; imperciocché le difficoltà gravissime di essa appaiono alla sola ispezione della carta corografica tali quale le descrisse il San Fermo. D’un’altra direzione ancora da Firenze a Roma questi non parlava, forse perchè non potea essa soccorrere alla mente di lui, sebbene l’attiva speculazione de’ Livornesi, come già vedemmo al capitolo 4.°, abbia saputo idearla ed anche ottenerla approvata. Noi vogliamo parlare della linea che da Livorno, condotta a Grosseto per le Maremme, protratta poi, o verso Civitavecchia lungo il mare, o più direttamente verso Roma a dirittura, condurrebbe alla Città Santa.
Dopo il già detto al capitolo 4.° intorno a questa strada, la quale passerebbe in luoghi malsani e spopolati, crediamo inutile tornare su quest’argomento per nuovamente dimostrarne la nessunissima convenienza; sicché pendiamo poter prescindere da ogni ulterior discorso al proposito.
Delle tre direzioni adunque conducenti da Firenze a Roma per Perugia, per Siena, o per le Maremme, anche prima di far per esse il menomo studio geodetico sui luoghi, sembra potersi conchiudere essere probabile che la prima debba per ogni rispetto prevalere, perchè essa è la più facile e la più economica, come anche la più breve e la più produttiva pel maggior numero che avrebbe d’avventori, laonde è probabile ch’essa non presenterebbe gli ostacoli gravissimi delle altre due.
Quanto alla terza linea da Roma a Civitavecchia, riferiamo pure le idee del già citato cavaliere San Fermo, che vedonsi scritte alla pag. 20 del suo opuscolo.Unione di Roma con Civitavecchia.
"La seconda strada, la cui utilità sarebbe incontrastabile per la capitale del mondo cattolico, tenderebbe a congiungerla con l’unico porto degli Stati pontificii esistente sul Mediterraneo, vale a dire con Civitavecchia, inattivo essendo quello d’Ostia: il quale se sarebbe a preferirsi per la sua posizione presso lo sbocco del Tevere, e per la sua vicinanza a Roma, offre però tali ostacoli da non permettere un accesso facile e sicuro, ad onta di grandi somme che vi si consacrassero per migliorarlo.
" L’esecuzione di questa strada non sembra difficile in forza della qualità del suolo che attraversa, ed ascenderebbe prossimamente a metri 64,000, un terzo de’ quali si svilupperebbe a poca distanza dal mare.
" Può nascere forse l’idea non irragionevole di conciliare col legame di Roma anche quello delle province inteme della Chiesa: legame non difficile ad ottenersi ove si praticasse una strada la quale, da Civitavecchia passando per Corneto, rimontasse la valle del fiume Cercone fino a Viterbo; ed attraversando ad Orte il fiume Tevere, riascendesse la Nura fino a Narni, riunendosi così alla strada che da Firenze ed Ancona si porta a Roma.
" Nè picciolo sarebbe il vantaggio di poter comunicare in tal modo da una parte con Ancona sull’Adriatico, e dall’altra con Civitavecchia sul Mediterraneo, porti ambidue soggetti alla Chiesa, e regolati, per conseguenza, da eguali leggi finanziere.
Coteste idee noi dobbiamo confessare, che non possono farci dismettere l’opinione già proferita al capitolo 1.° (Napoli) sulla scarsa convenienza di quella linea.
Di fatto essa ci sembra inutile quanto al congiungimento dei due mari. Poiché, posto eseguito il medesimo all’insù, da Livorno ad Ancona e Venezia, ed all’ingiù, da Napoli a Termoli, Manfredonia o Brindisi, e ciò per vie più rette e brevi, un terzo punto di congiunzione per una linea molto più lunga, perciò costosissima, non ci sembra poter interessare a modo alcuno la navigazione sì del Mediterraneo, che dell’Adriatico.
E rispetto al più pronto arrivo da Napoli a Roma, abbiamo al detto capitolo 1.° troppo evidentemente provato come non vi sarebbe il menomo risparmio dì tempo; e come certamente sarebbe per ciò preferita con fondamento una via ferrata diretta da Napoli a Roma a quella di Civitavecchia, cui si dovrebbe pervenire colla navigazione a vapore.
Noi non crediamo pertanto, che possa convenire ad una società di speculatori l’impresa di far costrurre una via ferrata tra Civitavecchia e Roma. Molto meno poi pensiamo, che possa un tale assunto intraprendersi dal governo pontificio, le cui finanze certamente non offrono una soprabbondanza di prodotti, la quale possa consigliargli la gravissima spesa derivante da tale assunto.
Queste le sono verità troppo evidenti, perchè occorrano intorno a detta strada altri riflessi.
Finalmente, quanto all’ultima linea o direzione di via ferrata da proporsi; la quale conducesse da Roma a Napoli, ci occorre del pari ricordare gli argomenti già addotti al preallegato capitolo 1.° per dimostrarne la somma utilità.175
A scanso di ripetizioni pertanto nulla aggiungeremo al proposito, se non che, volendosi la via più breve, e certo la meno costosa, anche per minori difficoltà di luogo da superare, e posto specialmente il protendimento della linea da Capua a Gaeta: sarebbe men dubbia la convenienza di protendere ancora la nuova strada tra Gaeta e Roma nella direzione all’incirca della presente strada ordinaria, che per le Paludi Pontine, poi per Velletri; Genzano ed Albano giunge a Roma.
E quando però si volesse, come pare più spediente, passare per luoghi più sani, più ameni, più popolati, la via di Ceperano ci sembra meritevole di preferenza, dacchè la maggiore sua lunghezza sarebbe di poco riguardo; e la spesa più ingente che forse ne deriverebbe, sarebbe compensata dal maggiore prodotto e dagli altri vantaggi sopra indicati.
Cotesta linea da Roma a Napoli, come quella conducente da Roma a Firenze, non si potrebbero a modo alcuno decretare però, senza che precedessero tra i governi pontificio, napoletano e toscano le necessarie rispettive negoziazioni e convenzioni.
Infatti a nessuno di que’ governi per certo potrebbe convenire d’intraprendere la propria linea nell’una o nell’altra direzione, senza un positivo affidamento di venire incontrato dalla linea corrispondente dello Stato limitrofo.
Cotesta convenzione a noi sembra altamente consigliata dall’interesse dei tre governi; o sia ch’essi avvertano ai rispettivi traffici loro, o sia che avvertano al punto che sarebbe certo di maggiore prodotto, quello di facilitare ed accrescere il numero dei forestieri soliti a visitare le città di Firenze, Roma e Napoli; noto essendo come que’ forestieri siano la principale fonte di lucro di quelle città per le ingenti somme che vi lasciano, condotti come sono da un bel clima, dalle antiche memorie, e dai monumenti dell’arte ad abitare e visitare que’ luoghi.
La venuta de’ forestieri in Italia, e segnatamente nelle tre indicate capitali, può riguardarsi la principale e più rilevante sorgente di traffico per la medesima, attese le consumazioni d’ogni maniera che vi promuove, onde nascono:
1.° Un gran vantaggio allo spaccio de’ prodotti;
2.° Il maggiore profitto che i possidenti delle case ritraggono dalle pigionate abitazioni;
3.° I lucri notevoli del traffico particolare, fatto specialmente dal popolo minuto, sgraziatamente così poco inclinato alle fatiche dell’agricoltura e delle manifatture;
4.° I numerosi salari ch’esso popolo ritrae da servizi personali di vario genere prestati ai forestieri che ivi cápitano.
Il governo pontificio poi specialmente ci pare il più interessato nell’assunto, perchè è quello cui sì nel rispetto economico, che nel morale della maggiore sua influenza religiosa, debbe premere di accrescere e di facilitare l’arrivo a Roma di un maggior numero di forestieri provenienti da ogni parte della cristianità.
Nè si creda, come vogliono alcuni, ch’essi vi si condurrebbero egualmente, perchè ora già ve ne accorre un gran numero, malgrado le poche facilità di cui godono. Perocchè la cosa poteva benissimo succeder prima quando i comodi del viaggiare erano scarsi dovunque; ma di presente, che ogni contrada europea porge a coloro che vogliono visitarla facilità e comodi di ogni maniera: non è a dubitare che la differenza troppo enorme notata una volta tra paesi i quali sono di que’ vantaggi largamente dotati e quelli che s’ostinerebbero a non offrirli ugualmente, non allontani in fin di conto da questi un grandissimo numero di viandanti.
Se a siffatte considerazioni troppo evidenti, relative all’interesse d’ogni luogo, aggiungiamo poi ancora quella gravissima prima notata dell’immenso vantaggio che deriverebbe a tutta la Penisola, e specialmente allo Stato pontificio, del transito lungo di essa, perciò anche di questo, del commercio di tutta Europa coll’Oriente; di leggeri si potrà comprendere come debba premere a quel governo di non lasciar sfuggire l’occasione di procurarsi un tal beneficio. Perocchè, trascurate una tale occasione, si fa, per chiunque sia anche men perspicace, evidentissimo che aperte dovunque le nuove vie di comunicazione, e facilitato con favori e con comodi d’ogni maniera il transito delle persone e delle merci per altra parte, lo Stato che persisterà a non entrare in un consimile sistema, sarà per l’avvenire condannato ad una pregiudicevolissima segregazione; e quindi, non solo non conseguirà alcuno de’ profitti ingentissimi che ritraggono quegli Stati dove con più savio consiglio seguesi un opposto sistema, ma pur anco perderà gli stessi utili ricavati nell’attuale condizione di cose.
Nè ci sembrano a modo alcuno fondati i timori onde son travagliati certi uomini di Stato, che le strade ferrate possano essere bensì nel rispetto economico convenienti, non così in quello politico.
Pretendono cotestoro, che l’immenso moto che ne deriva delle persone, può per avventura incitare gli animi a maggiore indipendenza dal freno dell’autorità; facilitare le relazioni tra i susurroni e porger loro più agevol mezzo di praticare le male arti che sogliono usare per meglio ostare al freno di leggi paterne tendenti alla conservazione degli ordini attuali, ed all’allontanamento perciò d’ogni novità pericolosa; finalmente le nuove vie generare tra’ popoli una soverchia fusione, la quale possa per cattive tendenze d’uno od anche di varii tra essi, comunicar queste anche alle popolazioni più castigate, finora, la Dio mercè, conservatesi esenti da ogni tabe morale.
Cotesti argomenti, che taluni van facendo contro le strade ferrate, ci sembrano affatto insussistenti, anzi sono essi, a nostro parere, una prova certissima più di scarso avvedimento, che non di vera perizia nella scienza governativa.
Imperciocché, o si tratta della propagazione delle idee, e tra esse d’alcuna che sia pericolosa; ed a questo già serve la stampa che, rapidissimamente dovunque diffusa, sa spargerle anche ne’ luoghi più appartati, malgrado gli sforzi di qualsiasi più severa censura. Questa, non fatta in modo illuminato, spesso più riesce a dar pregio ed importanza a cose che non l’hanno, le quali non onorate del divieto proibitivo, forse cadrebbero in un meritato dispregio, anziché produrre alcun effetto su menti perspicaci ed accorte, come in generale son quelle degl’italiani. 0 si tratta delle relazioni che potrebbero stabilirsi tra uomini di mal affare, aventi sinistre intenzioni; e queste più facilmente, sebbene in maggior tempo, si stabiliscono con mezzi di circolazione, quantunque più tardi ed incomodi, ma reconditi ed inosservabili, che non con quello palese e di facile vigilanza de’ nuovi veicoli, ne’ quali, un’accorta amministrazione di polizia sa collocare quanti agenti occorrono per essere d’ogni cosa a tempo opportuno informata.
Ancora; la stessa maggiore prontezza con cui si possono far pervenire gli ordini governativi, e le direzioni più opportune agli ufficiali d’ogni luogo, come il più sollecito facile arrivo dei mezzi di repressione col rapido trasporto della milizia, ci sembrano spedienti di governo utilissimi, degni perciò di essere grandemente apprezzati da coloro che san reggere i popoli con accorta previdenza, senza lasciarsi aggirare da men fondati sospetti, i quali più sovente conducono all’esitazione, al timore, alla debolezza che non all’energia, alla giustizia, alla prontezza de’ provvedimenti.
D’altronde ognun sa che il miglior mezzo di mantenere le popolazioni subordinate al freno di leggi paterne e provvide, le quali non escludono all’uopo la necessaria fermezza e l’opportuna repressione nell’interesse dell’ordine, della quiete comune e della generale prosperità che ne derivano, più consiste nel procurare che le popolazioni medesime siano occupate, dedicandosi ad un attivo lavoro da cui esse traggono onesto e sufficiente guadagno che alla sussistenza loro provvede, di ciò che vi si possa riuscire coll’impedire ogni movimento di traffico, condannandole all’inerzia ed alla penuria che spesso da questa deriva.
Cotesto riflesso si riconosce tanto più vero, se si pon mente alla circostanza, essenziale a notarsi, del pericolo che v’ha a lasciare un popolo poltrire nell’ozio e nell’ignavia, mentre gli altri che lo circondano tutti sono in vece diretti alla più grande e più profittevole operosità.
Nè un governo può lusingarsi mai di tenere ignota ai propri sudditi la miglior condizione di que’ popoli che sono a vita operosa diretti perocché nessuno può impedire le emigrazioni temporanee dei detti sudditi; i quali, vedute altre contrade fiorenti per profittevol lavoro, tornando in patria, anche con esagerazione talvolta, vengono a celebrarvi l’altrui prosperità.
La conseguenza di queste relazioni si degli emigrati indigeni reduci in patria, che de’ forestieri provenienti da luoghi dov,è maggiore prosperità, è facile a comprendersi dover essere l’invidia della migliore condizione altrui, il malcontento di quella propria. Ora, se ciò sia nel vero interesse d’un governo che voglia tenersi con buon successo in un sistema di ben intesa conservazione, si lascierà al libero ed imparziale giudizio di chiunque esamini la quistione della convenienza delle strade ferrate senza idee pregiudicate, senza fini secondari che non si possano apertamente professare, e senza alcuna illusione, sì pro, che contro le strade medesime.
Infatti noi vediamo che i reggimenti più illuminati d’Europa s’affrettano ad accogliere cotesto nuovo sistema di comunicazioni; e vediamo a tal fine intenti, non tanto i governi i cui ordini poggiano sul maggior concorso de’ cittadini al governo medesimo, quanto anche quegli altri in cui questo concorso è minore, e l’autorità legittima trovasi in mano di pochi ridotta, senz’altro controllo. Anzi vediamo che in taluno di questi governi le provvisioni relative, atteso il minore incaglio che incontrano di un più scarso numero di volontà deliberanti (dalle quali volontà talvolta derivano effetti pregiudicievoli all’interesse dell’universale), cotesto interesse meglio scorgesi curato.
La conclusione di questa parte del nostro discorso, che abbiamo fin qui riservata, onde più opportuna riuscisse ed a qualunque Stato che ne abbisognasse per avventura fosse inoltre applicabile, ci pare esser questa: Che, mentre tutto l’orbe incivilito adotta le nuove vie di comunicazione, anche per coloro che più sarebbero esitanti sulla reale ed intera utilità di esse dovrebbe chiamarsi gravissimo errore di governo il non entrare nello stesso sistema. Perocché, mentre da una parte si rinuncia incautamente ai vantaggi ch’esso può procurare, anche ridotti di tutto ciò che le illusioni della opinione favorevole per quelle vie può immaginarsi di men fondato; dall’altra per scansare perìcoli insussistenti, od almeno facilissimi a prevedere ed a rimediare, s’incontrano pericoli ben più gravi, che possono recar danni maggiori accora di quelli temuti.
Da retto fine soltanto mossi, noi abbiamo creduto fosse dovere d’uno scrittore coscienzioso di entrare in cotesti particolari, coll’onesto intendimento di persuadere, chiunque fosse ancora esitante nell’accogliere una novità, la quale però a primo aspetto comprendiamo abbia potuto muovere a qualche dubbio. Ci lusinghiamo pertanto che i ragionamenti esposti troppo evidenti e chiari, perciò troppo facili ad intendersi da chiunque sia di sufficiente criterio dotato, e da intenzioni rette del pari animato sol pensi quindi ad osservare il proprio mandato di curare la prosperità de’ sudditi, varranno a conseguire lo scopo che dettò il nostro lavoro; quello di vedere l’Italia intera non esser l’ultima ad entrare nel nuovo sistema di comunicazioni dall’umano ingegno ideato. Riepilogando le cose dette finora intorno alle strade ferrate ideate, o possibili a progettare nello Stato pontificio, ne emergono queste sommarie avvertenze e conclusioni:
1.° Che le province dello Stato medesimo, poste ai centro d’Italia, sono in condizione assai favorevole per aver strade ferrate, utilissime al commercio d’essa sì interno, che estero;
2.° Che, mossi da questo pensiero, alcuni uomini illuminati e generosi della dotta Bologna, sempre stata nella via d’un ben inteso progresso, idearono una di quelle strade tra il confine estense ed Ancona lungo l’Emilia, con diramazione da Bologna verso Ferrara ed il Po, la quale può essere diretta quindi a Padova, onde a Venezia;
3.° Che tosto vennero fatte le pratiche occorrenti dagli uomini associatisi per tale assunto, onde ottenere dalla suprema potestà la necessaria annuenza; e che v’ha fondato argomento a sperare sia codesta impresa favorita e protetta dal rappresentante di quella potestà a Bologna, laonde sembra che, previe le opportune verificazioni, possa venire accolta ed approvata;
4.° Che contemporaneamente essendosi fatte pure le necessarie istanze, onde conoscere se la strada in discorso potrebbe protendersi negli altri Stati dell’alta Italia per raggiungere la strada Ferdinandea e quella ligure-piemontese; n’è resultato, che gli Stati estensi, se non proteggeranno l’assunto, nè manco vi porranno ostacolo; — che negli Stati parmensi già vennero precedenti concessioni accordate, ed altre vengono ancora sperate; — che nel Lombardo-Veneto e negli Stati sardi è probabile e facile un congiungimento alle linee loro;
5.° Che il progetto di massima già esteso della via bolognese per l’Emilia si raceomanda per somma convenienza, e sembra perciò presentare nessun ostacolo tecnico e tutta la desiderabile economia;
6.° Che se i calcoli preventivi della relativa spesa sembrano dover essere oltrepassati, la presunta rendita dell’esercizio di quella strada lascia credere tuttavia sempre potersi ritrarre sufficiente ed adequato compenso alla spesa medesima;
7.° Che il divisato ordinamento sociale onde raccogliere i capitali necessari a sopperire a quel dispendio, sembra ideato in modo prudente ed accorto, il quale assicura l’impresa senza esporla al perìcolo dell’aggiotaggio, da cui sono tante altre consimili imprese travagliate.
8.° Che la diramazione verso Ferrara ed il Po, oltre al porgere un’utilissima comunicazione con Venezia e Trieste, può giovare assai ad avvivare la navigazione, del gran fiume specialmente quando, attuato il progetto, tempo fa compilato, di stemare a tal finte il ramo detto di Volano, ed intese le norme della navigazione superiore tra i diversi Stati, come fu dai patti di Vienna prescritto, si potrà profittare di quella grande arteria italiana, ora abbandonata con pregiudizio del traffico.
9.° Che l’altra diramazione verso Firenze per le valli del Reno e dell’Ombrone, nella regione detta della Porretta, sembra quella meritevole di preferenza per assicurare il congiungimento dei due mari Mediterraneo ed Adriatico da Livorno a Venezia e ad Ancona; — e che le altre tre linee pur divisate per detto congiungimento — l’una per le valli del Reno, della Lima e del Serchio diretta a Lucca, — l’altra pel Val d’Arno superiore e il Val Montone a Forlì, dove raggiungerebbe la via Emilia diretta: sur Ancona e Bologna, — l’ultima pel Val d’Arno superiore sino ad Arezzo, d’onde per Città di Castello e Fano ad Ancona pure; — non sembrano raggiungere lo scopo d’unire Bologna a Firenze, e Livorno ad Ancona e Venezia nel modo più spedito, più economico e più comodo, come pare vi accenni la predetta via della Porretta;
10.° Che le condizioni economiche della divisata strada Emilia, quando sia dotata delle sopraccennate diramazioni, sono fra le migliori. Perocché, il congiungimento che direttamente e colle diramazioni preallegate essa assicura dei due mari, agli indicati scali di questi, procura un gran vantaggio alla navigazione dei mari medesimi, e facilita altresì le spedizioni da Trieste e da Venezia su Livorno e su Genova per l’Atlantico; ed avvicina così le Antiglie e l’America allo scalo triestino, ed al traffico germanico e slavo, di cui quello sarà punto essenziale. 11.° Che Inoltre la linea per l’Emilia, congiunta a quelle estense, parmense e sarda, e protratta, d’altra parte, poscia verso Roma, Napoli ed Otranto, sarà la più breve e la più comoda via per andare dall’Oltre l’Alpi all’Oriente, e verrà singolarmente preferita dal traffico inglese, quando unita, come si divisa, la linea piemontese per la Savoia a Ginevra, e quindi a Basilea dagli scali d’Anversa e di Ostenda, cui per le linee renane e belgiche già si perviene, si potrà da que’ porti giugnere all’ultimo dell’estrema parte d’Italia, e così si abbrevierà dalla Gran Brettagna ad Alessandria d’Egitto notevolmente il cammino, con ragguardevole risparmio di tempo e di spesa;
12.° Che possono anche ordinarsi altre linee ferrate nello Stato pontificio, le quali da Roma siano dirette verso Ancona, Firenze, Civitavecchia e Napoli; — che quanto alla prima (da Roma ad Ancona), la quale può seguire l’Andamento all’incirca della strada attuale ordinaria postale, non è a dubitare che sia utilissima ad avvivare il commercio interno dello Stato pontificio, e contribuire ad assicurare l’indicata non interrotta comunicazione dell’Oltre l’Alpi all’Oriente lungo l’intera Penisola. Rispetto alla seconda (da Roma a Firenze), oltre al tendere pure a questo scopo, potrà; avvicinando le due città, accrescere grandemente il numero degli avventori alle medesime; ed è preferibile la direzione pel Val d’Arno, Arezzo e Perugia, dove potrebbe congiungersi alla via d’Ancona, anzichè le altre due direzioni ideate per Siena, o per Grosseto, quella perchè presenta troppi ostacoli da superare, quindi soverchia spesa; questa, perchè passando in luoghi spopolati, deserti e malsani, è da scansare più che da prescegliere, come già si è provato discorrendo di quella linea ideata dagli speculatori livornesi ed approvata dal governo toscano. Quanto alla terza da Roma a Civitavecchia, sembrare essa men conveniente per la spesa non adequata alla sua scarsa importanza; perocchè la troppa distanza tra Civitavecchia ed Ancona rende superfluo un terzo congiungimento de’ due mari a que’ punti, essendovi gli altri due da Livorno ad Ancona e Venezia, e da Napoli a Manfredonia, Termoli, Brindisi ed Otranto ben più diretti ed opportuni. — Finalmente, rispetto alla quarta (da Roma a Napoli), esser quella convenientissima, sia che proseguasi la strada da Capua a Gaeta per le Paludi Pontine, o sia che si preferisca, come par più spediente, la via per Ceperano, più amena, più sana e più popolata; perocché due gran centri di popolazione, come sono le dette capitali, da innumerevoli forestieri sempre visitate, promettono all’impresa un adequato provento, ed inoltre assicurano la più volte accennata continuazione della linea diretta all’estremo scalo d’Italia verso l’Oriente;
13.° Che però coteste varie linee di comunicazione non possono intraprendersi se non precedono i necessari concerti e le relative convenzioni fra i tre governi di Roma, Napoli e Toscana; imperciocché a niuno d’essi potrebbe convenire d’attendere al proprio assunto, senza il positivo affidamento della congiunzione della sua linea con quella corrispondente dello Stato limitrofo;
14.° Che queste convenzioni sono nel rispettivo interesse de’ tre Stati, e specialmente di quello pontificio, cui debbe premere di facilitare, per quanto è possibile, l’arrivo a Roma del più gran numero di fedeli da ogni parte della cristianità. — E che a tutti tre inoltre importa di conservare la gran copia dei forestieri soliti a visitare quelle tre capitali, in cui spendono somme ingentissime, le quali sono la principale sorgente de’ loro guadagni; sorgente che sarebbe certo fatta minore, se, mentre nelle altre contrade procuransi ai viandanti comodi d’ogni maniera, ivi solo si trascurasse il più essenziale, delle più pronte relazioni, assicurate coi nuovi veicoli;
15.° Che gli argomenti per cui si vorrebbe vedere in cotesti veicoli un pericolo politico, sebben s’ammetta il vantaggio economico, tuttavia non sono nè punto nè poco fondati, e non possono reggere perciò ad una discussione seria, leale e temperata, scevra da ogni preconcetta opinione. Perocché i pericoli preallegati esistono ugualmente colle sole attuali vie ordinarie, e con esse men facilmente ancora si possono prevenire e rimediare di ciò che possa succedere lungo le nuove vie che si possono agevolmente invigilare, e servono d’aiuto ai più pronti ed energici provvedimenti governativi di repressione quando ne occorre il bisogno.
16.° Finalmente, che le nuove strade, procurando agli altri popoli (i quali tutti le adottarono, qualunque sia la forma larga o stretta del governo loro) accrescimento di ricchezza e di prosperità; la notizia di siffatta condizione non goduta potendo generare invidia e malcontento in quelli che ne sarebbero privi; sembra consigliato da una ben intesa politica di non porgere motivo a cosiffatta sfavorevole opinione de’ sudditi verso l'autorità; e quindi mostrarsi ben più periti nel reggere i popoli qne’ governi che secondano il pubblico voto, di coloro che, per mal inteso sospetto o timore, persisterebbero a negarlo.
Coteste diverse considerazioni sembrano dunque di per sè stesse troppo evidenti, perchè non si debba concepire lusinga di vedere anche nello Stato pontificio appagato finalmente un tal voto; noto essendo come quel governo del resto sia stato altre volte fautore d'opere grandi, generose ed utili, delle quali esistono tanti monumenti, e con prudente ed avveduta politica abbia saputo andar a seconda de’ tempi e delle circostanze pel maggior bene de’ popoli commessi alle sue cure.
CAPITOLO IX.
Riepilogo e conclusioni del Discorso III.
Esposti i fatti già consumati ed i divisamenti ideati soltanto, ora ne resta a fermare ancora i nostri riflessi sul complesso dei medesimi, per dedurne la condizione più probabile della Penisola rispetto al trattato argomento.
Abbiamo veduto molti essere in Italia i progetti, poche finora le realtà conseguite; rimane ora che imparzialmente, si giudichi quale tra esse ancor possa presumersi conseguibile; quale più improbabile e da collocarsi piuttosto in una delle due ipotesi ugualmente fallaci, e men convenienti; quella delle illusioni di menti meno esperte, le quali non sanno progettare in modo adequato ai mezzi di cui si può disporre; ovvero quella delle immorali e non fondate speculazioni dell’aggiotaggio, le quali, avvisando soltanto a servirsi de’ progetti di strade per pretesto alle speculazioni suddette, nemmen per sogno pensano poi alla reale esecuzione di esse.176
Per procedere con orbine in cotesto assunto più generale, cominciamo dal farci un’idea più sommaria della rete di strade ferrate italica; colla scorta delle proposte gii accolte od ancora da accogliere.
E siccome quando ci avviene di rinvenire in quelli cbe ci han preceduto nell’assunto idee alle nostre conformi all’incirca, per meglio esporle non esitiamo a servirei delle parole istesse de’ chiarissimi autori che primi le accennarono, così ci prevalghiamo di nuovo del già citato opuscolo del signor avvocato Monti; ed ecco l’indicazione che esso ci dà alle pagine 30 a 34 della rete italica da esso ideata. 177 "La nostra Penisola molto lunga e molto stretta, fuorché nella suà parte boreale, avrebbe d’uopo di una rete che legasse tra loro le capitali tutte dei diversi Stati colle altre città primarie, ricche, industri e commercianti; e specialmente cogli empori marittimi. Ma per legare agevolmente insieme tutte le primarie città un obice fortissimo si trova in quella spina dorsale di monti che traversa longitudinalmente da capo a fondo tutta la Peuisola, e divide in due opposti versanti le sue acque. Per tal modo l’Appennino separa, colle alte sue creste ed i formidabili suoi speroni, Genova da Torino, Milano, Venezia e Bologna da Firenze e da Livorno; Ancona da Roma; Manfredonia e Brindisi da Napoli. Imperocché queste città siedono le une sui fiumi che immettono nell’Adriatico, e le altre sugli opposti clivi, ohe scolano nel Mediterraneo.
"Posta una tale configurazione della Penisola, nell’ipotesi di rete ferrata generale, vien tosto alla mente il pensiero di una doppia linea longitudinale in ognuna delle due regioni adriatica e mediterranea, che corra da capo a fondo; e quello di linee traversali, che le suddette due linee principali tra loro congiungano nei punti più interessanti. — Ma questa idea è pur essa attraversata da fortissime difficoltà.
"Primieramente, la giogaia Appennina, nella parte settentrionale o più larga, della Penisola, non corre a modo da dividerla equamente in due parti, ma dalla Lunigiana volge repentinamente all’occaso, e sommerge gli ultimi suoi gioghi nel mare di Genova. -Dunque al distacco di una delle due linee longitudinali da quest’ultimo porto italico, o dal punto superiore di Nizza, per iscendere con essa lungo il litorale del Mediterraneo a Lucca ed a Livorno, si opporrebbero i forti ed invincibili ostacoli dell’Appennino-Ligure o quei delle due riviere di Levante e di Ponente, tutte montagnose e scogliere. D’altronde questo tratto longitudinale da Nizza, per Genova e Lucca a Livorno, poco riuscirebbe vantaggioso attesa la concorrenza di una navigazione a vapore piena di attività lungo la costa, e poco gioverebe all’immensa regione del Piemonte, della Lombardia e del Veneto; che di per sè sola tutta comprende, può dirsi, la parte più importante dell’Italia superiore178.
"La seconda difficoltà, pur essa suscitata dall’Appennino, è quella di trovare la facilità dei varchi per le linee traversali. Imperocché, sebbene nulla più riesca oggidì difficile all’arte o superiore al coraggio delle intraprese, pure non è a dissimulare che l’Appennino è forse una delle giogaie più indomite al sistema dei tagli, delle gallerie, o dei fori che lo attraversino. A persuadersene basterebbe por mente alla frequenza dei suoi strati franosi; ai sedimenti di laghi già racchiùsi tra le sub-appennine giogaie; ai massi ovunque smossi o tra loro coesi da argilla; ma quel che é più (dalla parte specialmente adriatica), alle chine lunghissimamente distese, spesso interrotte da serre che, in diversa direzione percorrenti, s’incrocicchiano, e tra le quali d’uopo è salire e discendere più volte prima di arrivare alle creste maggiori. — Le quali condizioni ne persuadono che più giovi cercare nella criniera i varchi da natura agevolati, di quello che contare sugli sforzi dell’arte ad aprirli.179 "Ciò premesso oso ora manifestare come a me sembri cbe le linee longitudinali possibili in Italia sarebbero le seguenti:
"Nella regione mediterranea: quella che, staccandosi da Livorno, per Pisa, passasse a Firenze, indi scendesse alle Maremme toscane ed alle pontificie a toccare Civitavecchia e Roma; e di qui proseguisse a Terracina per unirsi al tronco ferrato di Capua e Caserta, e far capo a Napoli ed a Salerno; mercè la protrazione esistente di Castellamare. — Al resto del regno siculo, da questa parte, poco gioverebbe volgere il pensiero, essendo le due Calabrie, citeriore ed ulteriore; sino a Reggio, paese montuoso e mancante di floride città.
"Non è così dalla parte della regione napoletana adriatica, la quale, indipendentemente dalla ricchezza de’ suoi prodotti; addita, tra altri; a quel celebre porto di Brindisi, che fu nei tempi antichi l’emporio italico per le relazioni d’Oriente; relazioni che, pel tragitto ora felicemente rinnovellato dell’istmo di Suez e del mar Rosso agli empori dell’Asia australe ed orientale, promettono di arricchire di nuovo gli scali del mezzodì dell’Europa. La linea longitudinale staccata da Otranto o da Brindisi, risalendo l’adriatica regione; lungo la Puglia, la Capitanata e l’Àbruzzo, raggiungerebbe le Marche pontificie, toccando Ancona, indi tutte le principali città della Romagna sino a Bologna. — Qui però la linea longitudinale, affrontando la immensa Valle padana e le sterminate pianure della Lombardia e del Piemonte, dovrebbe bipartirsi, stendendosi; da una parte,a toccare le città primarie, dei ducati estense e parmigiano, per risalire a Milano ed a Torino; e mirate alle alpi francesi; — dall’altra, correre per Ferrara alle contrade venete, e da Padova risalire, girando il lembo superiore del Golfo; alla Marca Trivigiana ed al Friuli, e, varcato il Carso, da Gradisca mirare a Trieste ed alle Alpi austriache.
"La strada ferrata Ferdinandea da Venezia, per Verona, a Milano riuscirebbe come linea trasversale tra i due tronchi longitudinali su accennati il Veneto, cioè, ed il Lombardo-Piemontese. Il tronco poi, che unisce Gennova ad Alessandria e Milano, sarebbe quasi protrazione, della stessa grande linea trasversale Ferdinandea. Nè a quest’ultimo tronco ligure-piemontese riuscirebbe forse disagevole vincere le difficoltà dell’Appennino; imperocchè da questa parte le sue elevazioni non sono così sterminate; ed i suoi massi granitici e le scogliere sono qui, più che altrove appropriate ai tagli ed alle gallerie.
"Tutte le su accennate linee longitudinali e trasversali liguri, piemontesi, lombarde, venete, parmensi, estensi, bolognesi e ferraresi compirebbero l’essenziale sistema di rete stradale dell’Italia superiore, legando tra loro tutti i punti importanti di essa. E mercè la linea longitudinale adriatica da Bologna a Brindisi, tutte le pianure italiche del Po verrebbero collegate coll’intera ragione orientale italiana. — A congiungerle però con l’Etruria e colle altre contrade dell’Italia media ed inferiore, bagnate dal Mediterraneo, sarebbe mestieri di una linea trasversale che da una parte si distaccasse dal punto più prossimo alla Lombardia, e raggiungesse, dall’altra, la linea longitudinale del Mediterraneo, nel punto più importante e più vicino. Questi due punti chiaramente vengono additati dalle due città di Bologna e di Lucca. Quella, come vertice cui converrebbero le linee longitudinali veneta, lombarda e romagnola; questa, come la città dell’Etruria più prossima a Livorno, da cui si staccherebbe per discendere lungo l’Italia occidentale la linea longitudinale del Mediterraneo. Una consimile linea trasversale, tra le su accennate due città supplirebbe anche al mancato tratto della longitudinale ligure; e gioverebbe non pure a congiungere la Toscana alla Lombardia; ma a contatto dell’Etruria porrebbe l’Emilia. -Laonde chiaro apparisce di quale importanza riuscirebbe il varco dell’Appennino, nella presente memoria descritto, qualora appropriato si riconoscesse ad una traccia ferrata.
"A compiere però il cenno che io mi proposi, intorno al sistema di rete generale italica, giova avvertire che, se le suddescritte linee longitudinali e trasversali già di per sè toccherebbero tutti i punti più importanti della Penisola, e per esse eziaiidio si otterrebbe, nell’Italia superiore, la vicendevole congiunzione di una regione all’altra; quest’ultima condizione però, non si verificherebbe egualmente per l’Italia media ed inferiore. Inperocché, lungo queste due terze parti della Penisola, disgiunte rimarrebbero tra loro le città situate sulle due linee parallele longitudinali, e quindi i porti che siedono sugli opposti mari. — D’altronde sarebbe pur desiderabile un passo trasversale tra Ancona e la valle del Tevere per mirare, da una parte a Firenze ed a Livorno, dall’altra, a Perugia, Civitavecchia e Roma. Al par di questo, essenziale sarebbe il tronco trasversale che unisse la capitale del regno delle Due Sicilie alle sue grandi e fertili province dell’Adriatico, mirando a Brindisi, Bari e Manfredonia.
"In quanto al varco marchigiano, io non so se più agevole riuscir potrebbe quello che risalisse il Metauro a raggiungere Val di Tevere per Urbania e Borgo San Sepolcro, o non piuttosto quello pel Tronto da Ascoli a Rieti ed a Roma per le tracce dell’antica strada Salara. — Con minore esitanza però si potrebbe decidere intorno al varco napolitano, tra Napoli e Manfredonia, per Benevento; poiché i geografi additano come colà sia quasi spianato il passo, salendo, pel Volturno e pel Sabbato, a Castel-Franco, d’onde si discende dolcemente per Troia, a Foggia e a Manfredonia, mediante la valle del Gelone.180 Volendosi ora discutere il complesso dell’ideata rete, la quale, tranne per quanto concèrne alla linea da Bologna per le valli del Reno, della Lima e del Serchio, ed a quella che per le Maremme toscane andrebbe a Civitavecchia ed a Roma, è all’incirca quella paratamente da noi esposta ne, singoli capitoli che precedono, ci sembrano spedienti i seguenti riflessi intornò ai divisamenti del chiarissimo autore.
1.° Ammessa per molto esatta la condizione materiale de’ luoghi da esso descritta, è riconosciuti in gran parte per veri gli ostacoli che si frappongono alla direzione longitudinale di due linee Mediterranea ed Adriatica, e quella delle trasversali che le congiungano, non possiamo interamente dividere l’opinione del signor Monti quando preferisce di cercare nella da esso chiamata criniera de’monti i varchi da natura agevolati, anziché contare sugli sforzi dell’arte ad aprirli.
Riconosciamo che l’Appennino presenta serie difficoltà al sistema dei tagli, delle gallerie o dei fori che lo attraversino.
Ammettiamo che gli esempi accennati degli sforzi meccanici fatti in America non sono in generale interamente tra noi applicabili.
Ma quanto al primo punto, quello dei tagli e gallerie, non crediamo tra noi impossibile di superare l’ostacolo.
I piani inclinati sono per certo costosissimi; presentano l’inconveniente del maggior tempo occorrente ad ascenderli, e senza dubbio, dovunque possono scansarsi, lo saranno utilmente.
Ciò però non toglie, per nostro avviso, che s’abbiano a
condannare assolutamente nell’Appennino, come sembra all’autore, que’ piani.
Quelli, in fatti, dal Brunel divisati nel di lui progetto del passo del colle dei Giovi, che si debbe superare da Genova, per venire nelle valli della Scrivia e del Po, ci sembrano provar fondata la nostra opinione.
A questa aggiungeremo, che tale spediente può anch’essere ad altri punti dell’Appennino applicabile, e per esempio al varco d’esso là dove le valli del Reno e dell’Ombrone sono da quei gioghi separate, se non fosse d’ostacolo la spesa non adeguata al presunto prodotto, motivo per cui al capitola 8.° abbiamo suggerito di prescinderne .
Così pure crediamo che, ad onta della natura franosa dei gioghi medesimi, là dove non lunghe gallerie possono far risparmiare una notevole altezza da superare; e la spesa non eccessiva in ragione del presunto prodotto lo concede, coteste gallerìe possono tentarsi con sistemi di costruzione d’esito sicuro; come ce ne offre pure l’esempio la galleria dal prelodato signor Brunel proposta al detto colle dei Giovi, che l’autore istesso, del resto, riconosce probabilmente possibile nel divisato luogo. Egli la suppone però con inconvenienti minori, che non soho tali; imperciocché crediamo essere que’ gioghi quanto ogni altra parte dell’Appennino franosi, ma potersi tuttavia con solide ed ingegnose costruzioni vincere l’ostacolo.
2.° Non possiamo, ripetesi, ammettere la convenienza della linea longitudinale, la quale, staccandosi da Livorno, andrebbe per le Maremme toscane e pontificie a toccare Civitavecchia e Roma, per le cause che crediamo avere abbastanza accennate ne’ capitoli 4.° ed 8.°, le quali cause è dunque inutile or qui accennare ancora.
3.° Per le ragioni pur dette allo stesso capitolo 8.° non prediamo, ripetesi ancora, preferibile il congiungimento di Livorno con Bologna, per le valli del Serchio, della Lima e del Reno, a quello da noi proposto, per le valli dell’Arno, dell’Ombrone e del Reno suddetto.
4. ° Riconosciamo men conveniente per ora di protendere oltre Brindisi la via ferrata napoletana, sebbene non possa contendersi che, condotta a Taranto o ad Otranto, essa più avvicinerebbe alla direzione dell’Egitto (Alessandria), dove debbe rivolgersi tutto l’avviamento commerciale verso l’Oriente.
5.° Siccome il punto più essenziale nell’ordinamento della discorsa rete, la quale non al solo commercio interno d’Italia debbe provvedere, ma principalmente vuol avere per iscopo di renderla la via necessaria del commercio coll’Oriente per tutta l’Europa; così sarebbe stato pregio dell’opera che l’autore, oltre all’indicata comunicazione ora in corso d’esecuzione da Trieste verso la Germania, avesse anche toccato con qualche maggiore particolare delle altre, che dalla valle del Po potrebbero intraprendersi pei passi dell’Alpi che dal resto della detta Europa ne separano.
Coteste comunicazioni in qualche punto più privilegiato potranno forse ancbe aver luogo con vie ferrate. Nel maggior numero delle altre almeno possono ottenersi col portare le diramazioni delle nostre linee ai passi migliori della catena alpina, or già superati colle vie ordinarie.
Fra quei punti più privilegiati merita d’essere qui specialmente ricordato quello di cui s’è fatto cenno, che da Torino per la Savoia condurrebbe a Lione ed a Ginevra; e quando gli ordinati studi, lo chiariscano, come credesi, veramente possibile, non è a dubitare ch’esso sarebbe il più interessante pel gran traffico, non che d’Italia, dell’intera Europa.
Le divisate linee adunque avrebbero per principale oggetto:
1.° Di servire alla comunicazione più facile, più pronta e meno dispendiosa del traffico italiano interno tra i varii scali marittimi della Penisola non solo, ma tra le diverse capitali de’ varii Stati d’essa:
2.° D’assicurare su due punti essenziali il congiungimento de’ due mari Adriatico e Mediterraneo, con immenso vantaggio della navigazione più lontana, oltre Gibilterra specialmente:
3.° Di far servire la Penisola intera, per le varie direzioni proposte, di scalo al commercio di tutta Europa coll’Oriente, chiamandovi perciò un transito immenso, il quale vi porterebbe guadagni ingentissimi, ed un aumento notevole di civiltà per la fusione che ne deriverebbe tra i varii popoli.
Ma questo certo assai lusinghiero prospetto è esso d’una non dubbia probabilità?
Gli ostacoli che si frappongono, saranno essi tutti superabili?
Noi confessiamo di sentirci al proposito sotto al peso di gravi timori, o sia che si consideri il difetto di volontà e di mezzi che presso alcuni sembrano allignare, o sa che si abbia riguardo all’abuso delle speculazioni aleatorie, che già si è introdotto.
In primo luogo, notiamo le pur troppo sfavorevoli prevenzioni d’alcuni uomini di Stato, i quali, mossi da soverchio spirito di conservazione, inclinati a condannare, qualunque novità, suppongono nelle vie ferrate pericoli affatto insussistenti.
In secondo luogo osserviamo che i capitali non abbondan per modo fra noi, che si possa presumere bastare il paese all’assunto: essere perciò necessario il concorso de’ capitali esteri, e questo concorso trar seco indubitatamente il pericolo dell’aggiotaggio.
Fra di noi pertanto, più che altrove, è necessaria una grande previdenza nell’ordinamento di cotali imprese, nelle quali debbe aversi per iscopo costante di procurarne ai sudditi gl’incontrastabili vantaggi, tenendoli contemporaneamente immuni dai pericoli che esse non tralasciano eziandio dal presentare sì nelle illusioni che si creano sur opere meno proficue, e sì nelle inoneste speculazioni dell’aggiotaggio preallegato, cui quelle imprese sono occasione.
Un altro motivo noi troviamo ancora nel dubitare assai della reale esecuzione di molte fra le divisate imprese di strade italiane, ed è quello che finora neppur risultano assunte da capitali italiani nella proporzione che doveva sperarsi, e piuttosto che filtro, parvero aver servito di tema, a speculazioni delle borse estere.
Spieghiamo i particolari di questo fatto innegabile, il quale a parer nostro è molto espressivo, e di grave insegnamento cagione.
Abbiamo veduto che la strada da Napoli a Castellamare e Nocera, sola impresa di strade ferrate italiane fin qui tutta mandata a termine, è stata eseguita da estranei, e con fondi d’una società francese le,azioni della quale tutte son possedute a Parigi, senza che neppure segua di esse il menomo traffico alla borsa di Napoli, dove nessuno finora, malgrado l’innegabile buon successo dell’impresa, ebbe una parte attiva alla medesima, se si eccettua qualche banchiere forestiere residente in Napoli, il quale probabilmente acquistando alcune azioni operava per commissione di case bancarie estere corrispondenti.
Sappiamo che le azioni della strada Leopolda in Toscana furono quasi tutte spacciate alle borse estere, di Germania, e gli stessi supplicati delle due case di Firenze e di Livorno, le quali impetrarono la facoltà di fondare la società anonima assumente l'impresa di detta strada Leopolda, provano che i due banchieri promotori operavano ad incitamento d’alcune case bancarie estere, le quali aveanli richiesti di speculare su tale argomento.
Abbiamo veduto che, dopo un prontissimo spaccio delle promesse d’azioni, seguito fino dal 1838, la reale esecuzione dell’opera procedeva lentissimamente, a segno che solo alla primavera del 1844 una brevissima minima tratta o sezione d’essa strada da Livorno a Pisa compivasi e mandavasi ad esercizio: mentre le tre altre più lunghe sezioni, ben più difficili e più costose ad eseguire, sono tuttavia da terminare, malgrado il migliorato corso delle azioni, prima decadute per modo da non avere più alcun prezzo, or risalite oltre il pari; -onde ricavasi, che il primo favore delle promesse di azione fu un giuoco di borsa, come lo è ancora l’attuale risorgimento di esse, senza che i lavori lentamente ricominciati siano indizio di vera confidenza nel buon successo dell’impresa.
Vediamo che le molte altre società toscane or surte, e con tanta facilità da quel governo approvate quasi tutte, coll’apposita condizione di molte azioni beneficiarie ai soci fondatori, sono in massima parte a mani di banchieri, i quali già trafficano con premio le promesse di azioni, prima ancora che regolari progetti dimostrino possibile e conveniente l’opera.
Per la meno probabile poi tra di esse, come crediamo averlo provato, quella delle Maremme, sappiamo che l’esaltazione delle menti de’ giuocatori è giunta al segno di far presentare domande di promesse di azioni per 140,000 di esse, quando ve n’ha 30,000 soltanto da esitare, e che già sonosi a Livorno pattuiti premii del 5 per % per cessioni di quelle che s’otterranno dai fondatori.181
Lo stesso sappiamo succedere all’incirca con maggiore o minore intensità di calore delle molte altre divisate strade toscane e lucchesi.
Ora chiamiamo a chiunque sia più disposto a prestar, fede a siffatte imprese, se cotesti sono indizi che siano quelle in discorso assunte da capitali toscani, é da uomini i quali abbiano veramente fatta palese la reale intenzione d’eseguire l’opera; o piuttosto salve poche eccezioni, gli assuntori non si dimostrino, speculanti sulle dette promesse d’azioni, per le quali, ricavato che abbiano qualche lucro coi conseguiti premii, essi non sentiran per certo più la menoma premura.
Chiamiamo ancora, se in tanto numero di promesse d’azioni, smerciate e passate, le une a mani dì banchieri esteri, che le acquistarono per tosto rivenderle con anche tenuissimo beneficio; le altre a mani di speculatori indigeni, i quali le acquistarono, pure senza avere la facoltà di pagarne l’intero valore, ma solo colla lusinga, difficile poi a verificarsi, per tutte, di rivenderle con profitto, non si possa credere più probabilmente che il maggior numero di quelle azioni sarà lasciata andare perento pel non seguito pagamento delle rate d’acconto successivamente richieste.
Preghiamo chiunque abbia qualche criterio nel giudicio di tali imprese, specialmente nel rispetto tecnico, a dirci: se, posta pure per interamente possibile l’esecuzione delle divisate opere, per quanto all’arte concerne, sia poi probabile l’esecuzione medesima di esse, colla sola spesa ideata dapprima necessaria all’uopo; quando si conoscono già perizie particolareggiate infinitamente superiori ai calcoli ideali de’ fondatori, e quando la tratta sola eseguita, la più facile, breve ed economicamente fatta, oltrepassò di molto la somma calcolata, non nel progetto primo di massima; ma nel secondo particolareggiato dell’altronde celeberrimo ingegnere pratichissimo di tai lavori, che lo avea compilato.
A Siena la strada da quella città per Empoli, detta centrale, venne ideata, è vero, per sentimento di patriotismo, ma non risultano i fondi più raccolti a Siena, o in Toscana che altrove. Anzi i documenti per essa pubblicati lascian travedere che furon del pari ministri dell’incetta de’ fondi suddetti i banchieri livornesi e fiorentini, i quali operarono per conto di case bancarie estere, non ommessa, s’intende, la solita provvisione, fors’anche il premio sulle cedute azioni.
Quanto alle strade pontificie, finora in solo progetto, affatto esordiente, non può dirsi se le azioni d’esse rimarranno in paese. Si ebbe, è vero, il lodevole intendimento di farne una speculazione, non solo italiana, ma dell’Emilia. Però, ciò potrà forse riuscire? Pei carati divisati di 4,000 scudi l’uno, in cui vuolsi dividere la metà dell’occorrente fondo, lo crediamo possibile.
Imperciochè se l’Emilia per difetto di moto, e per molte circostanze infelici ha ora aspetto di molta povertà, ciò può dirsi delle masse, cui manca operoso lavoro, non dei possidenti li suoi ubertosi terreni. — Ma per le azioni in cui sarà ripartita l’altra metà del detto fondo, succederà colà come altrove, che quelle azioni si spaccieranno sui mercati esteri; e già abbiamo d’altronde notato non doversi neppur lamentare fino ad un certo segno cotesto fatto. (Vedi il capitolo 8.°)
Ma non bastapo ancora coteste indicazioni; andiamo nel regno Lombardo-Veneto, e ricordiamoci un momento le vicende passate ed attuali della strada Ferdinandea; esse accrescono le prove del nostro assunto.
Sappiamo che fino dal primo spaccio delle promesse d’azioni, se alcuni cittadini doviziosi di Milano e Venezia chedero un lodevolissimo esempio col sottoscrivere per un numero ragguardevole d’esse; però il maggior numero degli abitanti, anche facoltosissimi, non partecipò a tale atto di entusiasmo patrio, e si tenne per tal modo freddamente lontano dal concorrere alla speculazione, che sopra 50,000 azioni spacciate, appena 3,000 ora restano, come ci venne assicurato, a mani di abitanti il regno Lombardo-Veneto, mentre le altre tutte sono a mani di speculatori viennesi, o delle varie borse della Germania.
Ancora; ci è noto che per una grandissima parte delle azioni vendute dapprima nelle province lombardo-venete, quando anni sono, prima che il governo benefico intervenisse col provvido affidamento dato, mercè del quale sostenne la cadente impresa, i soscrittori, vedendo queste così periclitante, e fatto quasi nullo il valore al corso delle dette azioni, tralasciarono di corrispondere le rate d’acconto richieste, attalchè moltissime furono quelle perente, che si dovettero restituire in tempo, onde non vedere il più gran numero delle azioni originarie cessare d’esistere, col dubbio di trovar poi altri acquisitori delle nuove che sarebbe stato necessario creare.
Ci è noto del pari, che emanata la provvidissima determinazione sovrana preallegata, la quale fece risorgere impresa col renderne possibile e sicura l’esecuzione, tornate in pregio le azioni, restituite in tempo quelle perente, cresciuto il valore al corso (prima caduto a nessun prezzo quasi) fino al 130 per % cioè con un premio del 30 per %; moltissimi degli azionisti delle province preallegate approfittarono di quel momento di buona fortuna per esitare le azioni loto, le quali nello scarsissimo indicato numero restarono in Italia, e sono ora a mani pella maggiore parte degli speculatori viennesi preallegati.
Sappiamo che il maggior numero di cotestoro, più occupato forse di liquidare i propri fondi, realizzando il benefido possibile ad ottenersi, che di veder poi la strada realmente fatta, tolto argomento dalla lentezza in cui procedono i lavori, nella tratta lombarda specialmente, dove non si seppe imitare l’alacrità spiegata sulla tratta veneta, nella quale più inoltrate sono le opere, hanno, e non senza probabilità di buon esito, fatto istanza perché la società ceda al governo il proprio assunto fin d’ora, incaricandosi della sua gestione. La qual domanda è probabile sia risolta coll’accordare il compenso promesso in obbligazioni fruttanti il 4 per % (ora che scriviamo, valsenti il 122 per %)
Laonde più probabilmente il governo medesimo terminerà l’opera, della quale gli speculatori viennesi preallegati non sembran più gran fatto teneri, intenti come sono troppo evidentemente, ripetesi, a riavere i loro fondi e nulla più, per dedicarli a speculazioni consimili, tuttodì moltiplicate, specialmente nella Germania, nella quale le linee vanno vieppiù, come altrove, crescendo in ogni senso con ingentissimi profitti.182
Gli stessi fatti di scarso interesse preso da speculatori lombardo-veneti nelle altre tratte di vie ferrate (di Monza e di Como) fatte, od anche solo ideate, si mostrano evidentissimi anche ai meno informati; sicché può con tutto fondamento dichiararsi che, se alcuni cittadini, mossi da amor patrio, mostrarono un generoso impegno nel divisato assunto; se alcuni scrittori da eguali sentimenti animati, cercarono di stimolare la pubblica opinione al proposito, sgraziatamente le gare municipali e personali tosto insorte (vieta malattia, ripetiamolo ancora, dell’infelice itala terra), la scarsa tendenza alle idee nuove, il dubbio di perdere il proprio danaro, rattennero singolarmente gli speculatori italiani, che abbandonarono quasi interamente agli esteri l’impresa; ondechè si dimostrò verificata la dichiarazione governativa di S. M. I.e R., la quale nel conceder benefica il preallegato affidamento, onde non lasciarci fallire l’impresa, per illuminato motivo di pubblica utilità a ciò risoltasi, notava non essere l’autorità persuasa, della sufficienza ed idoneità de’ mezzi della società a continuare nel divisato assunto, e quello mandar a compimento. Gli stessi sintomi di scarso interesse preso dal maggior nnmero degli speculatori italiani, pelle ideate imprese d’altri Stati della Penisola osserviamo; perocché se alcuni pochi fra i detti speculatori, corrispondenti per lo più di banchieri esteri, cui speravano e sperano cedere con premio le promesse d'azioni; se alcuni benemeriti cittadini più illuminati, da zelo patrio mossi, perchè convinti dell’utilità generale dell’assunto, si mostrarono impegnatissimi nei divisamenti proposti, quanta all’universale fu scarsa l’operosità nell’occuparsi realmente di dotare la Penisola d’una ben intesa rete di vie ferrate.
L’emulazione tra Stato e Stato, e tra scalo e scalo, venne ancora ad accrescere le difficoltà di buon esito, che le gare municipali e personali preallegate, e lo scarso interasse de’ nazionali avevano già dimostrate evidenti pur troppo.
Ora paragoniamo cotesto stato di cose a quello notato Oltrementi, nella Francia, nel Belgio e nella Germania, le quali cuopronsi di variee linee in ogni senso; più ancora oltremare, dove, nella’Gran Brettagna, vedonsi sempre più moltiplicate le comunicazioni di tale natura.
Vero è che in quelle contrade pur notasi un furente aggiotaggio, il quale anzi specialmente in esse prevate ed ha vita; ma l’esecuzione reale contemporanea delle linee ne tempera, almeno nel rispetto economico, li funesti effetti; i quali effetti, d’altronde, già alcuni governi avvertono a tentar di frenare.
Nella nostra Penisola, invece, confessiamolo pure francamente, abbenchè con dolore, è a prevedere l’aggiotaggio solo, senza la contemporanea esecuzione delle opere, od almeno per brevissime tratte in più che esigue proporzioni; e se è vero che la somma principale del detto aggiotaggio si fa all’estero, non è men vero però, che parte ancora ne invade il paese, cui già basta di troppo il giuoco del lotto ad impoverire, senza che faccia mestier della giunta del giuoco di borsa, parimente rovinoso.
Da queste considerazioni deriva che l’assunto utilissimo delle vie ferrate italiane, le quali quando riuscissero a compiersi in lunghe linee potrebbero sicuramente far mutar faccia al paese, e tornarlo all’antica celebrata floridezza e ricchezza; lasciate però a mani di società private, non sassidiate nè dirette dall’intervento governativo, non ha, a nostro parere, tutta la speranza fondata di buon esito, checché dicasi in contrario negli ampollosi programmi banditi; e che se i paterni governi della Penisola tutti non si accingono ad imitare in ragione de’ propri mezzi ed in alcuno de’ varii modi suggeriti i governi napoletano, sardo ed austriaco, coll’intervenire nel benefico assunto, vi è foridato timore pur troppo, che le tante imprese ideate non conseguiranno il divisato scopo. Laonde, se si eccettua qualche breve tratta posta in più felici condizioni, nel resto il maggior numero di quelle progettate, restando allo Stato di progetto, e nulla più, non serviran che di tema a speculazioni aleatorie, dimostrando la debolezza de’ nostri mezzi, anche con scarso onore del paese.
Non credasi, per avventura, dall’umano lettore che si voglia ora da noi infondere, scoraggiamento per le da prima tanto lodate imprese. No; chè noi piuttosto sempre vogliamo anzi promuoverle, ma in senso bene inteso; — ridurre la quistione delle strade, ferrate alla vera sua essenza; — sceverarla dalle illusioni che alcuni utopisti van propagando; e più ancora da quelle spacciate da coloro che, speculando sulla credulità del maggior numero, solo pensano a procacciarsi un pronto guadagno, senza pensar poi nè punto nè poco alla reale esecuzione delle opere;. — pingere all’universale i pericoli ed i danni di codeste speculazioni men rette e non dilicate; — mostrare infine come, badando più al presente che all’avvenire, gli ostacoli frapposti dalle idee pregiudicate, dalla mala volontà e dal difetto di mezzi, possano superarsi e far conseguire il vero fine cui tendesi, d’associare la bella e cara nostra patria comune al movimento generale che notasi in tutta Europa, ed anche altrove, per tale rispetto, prevalendosi d’un’ottima condizione di luogo. 183 Se tutte le difficoltà d’esecuzione però son vere ed importanti, tuttavia è lecito rispondere che per ora, almeno, finché meglio sia persuasa l’opinione di coloro che debbono prender parte all’assunto, l’esecuzione successiva di qualche tronco parziale, e segnatamente di quelli che toccheranno ne’ principali scali marinimi, ed ai punti continentali di confine coll’estero, non solamente rimuoverà le difficoltà, ma risolverà gli esitanti ed i renitenti a superarle essi pure.
È un circolo vizioso da una parte, virtuoso dall’altra; chi rin- indugia,accresce le difficoltà, anche altrui, senza dubbio; chi fa, le scema. — Ondechè in tutte le difficoltà sono in questa materia come in altre cose italiane, nuove ragioni di far quel poco, ma tutto quel poco che pur si può onestamente fare.
Accenniamo ora alciini temperamenti che sarebbero acconci all’uopo di superare molle di quelle difficoltà.
E fuori di dubbio che la ben intesa combinazione d’una rete italica di strade ferrate successivamente eseguita mirabilmente gioverebbe all’assunto, perchè produrrebbe il risparmio di linee inutili; meglio distribuirebbe i vantaggi dell’impresa, e ne accelererebbe altresì il compimento.
Cotesta felicissima combinazione dì cose ai privati è impossibile, d’altronde per certi rispetti fors’anche sarebbe men conveniente: Ma dai governi, perchè non farebbesi? Noi crediamo che un Congresso dove fossero rappresentati tutti gli Stati italiani indipendenti, il quale congresso avesse il mandato di concertare cotesta rete, i punti di congiunzione delle diverse linee, e i modi della corrispondenza di queste fra di loro tra l’uno e l’altro Stato, concordando pure le cautele di sicurezza politiche e daziarie cui voglionsi sottoporre i convogli, sarebbe lo spediente più utile che la ben nota e provata sapienza governativa de’ prìncipi che reggono la Penisola saprebbe ideare.
Nè alcuna rivalità di precedenza, d’opinioni e d’interessi a nostro senso dovrebbe o potrebbe allignare, fondatamente almeno; perocché crediamo avere ne’ varii capitoli di questo Discorso pienamente provato, e qui ancora ripetiamo che’ l’intera indipendenza di ogni Stato potrebbe conciliarsi con tali accordi, come si concilerebbero anche le diverse tendenze governative, e i rispettivi interessi: ammesso per questi, come non è dubbio, che ogni scalo ha peculiari operazioni ad esso, più che ad ogni altro convenienti: e che gli utili, fra tutti con giusta lance spartiti, sarebbero in generale ed anche ne’ singoli particolari maggiori.
Le grette idee di rivalità commerciale conducendo alle gelosie, alle rappresaglie, alla segregazione, se per poco fan prevalere qualche industria coattivamente incitata, alla lunga rovinano quelle ed altre industrie ancora, e segnano la decadenza, non il progresso delle nazioni. Noi non cesseremo pertanto dal predicarlo, protestando a nome della scienza contro le prevalenti contrarie sentenze di qualche nostro incauto vicino, che solo pretende vendere e non comprare come se il vero commercio dei popoli fra di loro non dovesse unicamente consistere nel libero scambio de’ rispettivi prodotti, regolato dal vero utile presente e futuro d’ognuno.
Quanto all’ulteriore intervento, governativo nell’esecuzione delle linee che sarebbero decretate in ogni Stato, previo il detto concerto, ricordiamo le considerazioni già accennate nel Discorso I; le quali considerazioni ci sembra abbiano dimostrato utilissimo il concorso diretto del governo là dove l’erario di questo ha credito sufficiente per assumere tal carico ad oneste e moderate condizioni; ed abbiano provato utile del pari il concorso dell’industria privata all’impresa, in tutto od anche in parte soltanto, con o senza il sussidio della garanzia d’un interesse minimo, conceduto dall’erario dello Statò ed anche delle province, se occorre, in ragione de’ casi diversi che possono presentarsi.
Rispetto all’allegato innegabile difetto di capitali notato in Italia, osserviamo poter benissimo l’industria estera ammettersi a speculare sèlle nostre imprese di vie, ferrate; anzi essere utilissimo il suo intervento, purcbè si tratti d’assunto reale non fittizio, bene ne sieno chiariti i patti e le cautele; e queste conservino all’autorità la propria indipendenza, la tutela della pubblica sicurezza e dell’ordine, come degl’interessi comuni.
E finalmente sì nel senso economico che nel morale, sia, per quanto è possibile, allontanato il pericolo dell’aggiotaggio.
Di questo ci resta a parlare più a tango ancora.
Non credasi che, dominati da idee preconcepite, in ogni speculazione commerciale, fatta mercè d’operazioni di credito col giro e rigiro de’ capitali, sempre si veda da noi lo spauracchio dell’aggiotaggio, come a certi rigoristi succede.
No; noi ammettiamo anzi la piena libertà di quelle operazioni, come d’ogni altra speculazione commerciale, seguendo la legge dell’onesto e del giusto vantaggio privato, cui ogni trafficante ha, ci affrettiamo a riconoscerlo, pieno ed intero diritto.
Solo pretendiamo escludere il gioco, che fondasi sulle speculazioni fittizie, fallaci, simulate, ingannevoli, perciò meno rette od oneste; ondechè speriamo aver consenziente ogni uomo di giusto criterio, il quale tenga nel dovuto: pregio la pubblica e la privata moralità.
L’abuso dell’aggiotaggio in fatto di strade ferrate vuol essere a nostro parere distinto in due divers stadii:
L’uno comprende quello del giuoco, che suol farsi sui soli progetti, nè anche regolarmente compilati, ma solo ideati in genere; e quell’abuso succede mediante promesse di future azioni, che si rilasciano in forma di cambiali, girabili, negoziate alle borse.
L’altro è quello delle speculazioni, che fondansi sul prodotto effettivo, che fruttano le dette imprese già compite o quasi; per modo a sicuramente poterne prevedere l’esito.
Sebbene nel primo stadio possa talvolta essere meno pericoloso e fatale il detto giuoco che quello del lotto, o le altre speculazioni tutte aleatorie di borsa, che si fanno sui futuri prezzi probabili delle cedole00 di pubblico credito e delle merci, ad una data epoca liquidabili, perchè un uomo, di retto criterio dotato, può anche calcolare l’evento probabile della rendita delle divisate strade; però, siccome per mezzo di ampollosi e mendaci manifesti possono ingannarsi anche i più cauti, coll’incitare l’avidità del guadagno nel maggior numero; e siccome fra cotestoro più abbondano i creduli che i diffidenti; li quali creduli, sedotti o dalle speranze loro offerte come sicure a conseguirsi, o dal nome e dal credito della persona posta a capo dell’impresa con fama d’accorto ed onesto speculatore, si lasciano accalappiare dai manifesti di associazione preallegati; così, checché siasi recentemente predicato e deciso, in senso opposto presso i nostri vicini, noi crediamo doversi cotal genere di speculazioni assolutamente vietare ai fondatori delle società anonime assumenti un’impresa di via ferrata. — Pensiamo specialmente doversi avvalorare il divieto con opportune ed adequate sanzioni penali, e particolarmente aversi ad estendere ai progettisti e mediatori, i quali cercassero speculare sulle illusioni altrui.
Quanto alla seconda classe, non sempre le speculazioni sur essa fatte costituiscono l’aggiotaggio; anzi più sovente, tali non possono a modo alcuno chiamarsi.
Potran dirsi tali, è vero, quando, appena esordiente l’impresa i fondatori d’essa, pel più pronto ed utile spaccio delle loro azioni industriali, che vorremmo per ciò proscritte nel modo più assoluto pure; e per la migliore vendita con premio delle altre azioni, con manifesti ampollosi, contenenti calcoli ipotetici ed esagerati, da vietarsi perciò, tenterebbero di farne tosto salire il valore al corso a prezzo esuberante. Ma quando una strada già è compiuta o prossima ad esserlo; che i calcoli per essa fatti sono dall’autorità riconosciuti ed approvati (proscritto perciò ogni bilancio fittizio), allora se le azioni spacciansi e giran venali di mano in mano sul mercato, della libera ma non sedotta concorrenza, ognuno appieno sapendo che cosa vende, e cosa acquista: non sappiamo vedervi alcun pericolo nè danno economico e morale.
L’azione è tale, una merce, che piace ad ogni trafficante, perchè dovunque vendibile, ed in ogni momento, senza alcuna formalità, senza spese di trasporto, di trapasso, di magazzino e di dazio, e perchè, pagata all’atto della vendita, o cautelata nel prezzo dal buon credito dell’acquirente, esclude ogni pericolo di perdite. Essa riesce quindi ben più comoda di qualunque altro impiego di capitale effettivo.
L’esperto capitalista pertanto, il quale preferisce un’azione che gli porge un frutto certo del 3 o del 4 per % ad un collocamento del proprio capitale in mutui, soggetti al fallimento del debitore, in acquisti di beni rurali, esposti a molti pericoli d’infortuni derivanti dall’inclemenza delle stagioni, o da altre cause; ed anche alla compra di case soggette ad incendii ed a deperimento: non si può considerare come uno speculatore d’aggiotaggio e vuol essere quindi lasciato pienamente libero nell’opera sua.
Questa gli facilita così il mezzo di un onesto collocamento, di un sicuro ricupero del proprio danaro, ogni qualvolta ei voglia spacciare la sua azione, potendolo fare senza neppure esporre il suo nome e la sua firma.
Dalle cose fin qui dette deriva doversi a nostro parere:
1 -° Vietare i manifesti ampollosi, ipotetici, mendaci, tendenti a creare illusioni; e perchè possano più efficacemente impedirsi, doversi l’autorità riservare l’approvazione d’ogni pubblicazione di simil natura:
2.° Aversi a controllare con severa esattezza ogni calcolo preventivo fatto dai fondatori delle società, e contraporsi a quei calcoli quelli degli agenti uffiziali del governo:
3.° Doversi assolutamente proibire qualunque emissione d’azioni beneficiarie ai fondatori suddetti. Perocché, quanto al rimborso delle prime spese di fondazione e di progetto, esse sono assicurate dal primo a conto che pagano gli azionisti, e l’anticipazione fatta di quelle spese è sicuramente compensata a sufficienza dal premio solitamente ricavato dallo spaccio delle azioni distribuite fra di loro per la vendita:
4.° Doversi pure vietare, sotto adeguata pene di multa ed anche correzionali, il traffico delle promesse d’azioni, le quali debbono restare fisse a mani del primo acquirente, finché siano convertite in cedole effettive d’azionista:
5.° Potersi queste, pagate che siano in una data proportione, onde escludere gli avventori simulati, ed aver soltanto quelli serii, realmente interessati all’impresa, liberamente trafficare sul mercato della concorrenza:
6.° Aversi a proscrivere li così detti mercati a termine delle azioni, perchè quelli sono quasi sempre contratti fittizi, o giuochi soltanto intesi tra persone, le quali nè possono vendere ciò che non hanno, nè intendono acquistare in realtà alcuna di quelle azioni.
Coleste poche sommarie regole disciplinari concernenti all’emissione ed allo spaccio delle azioni ci sembrano bastare ad impedire ogni riprovevole abuso d’aggiotaggio, tralasciandosi da noi l’indicazione delle formalità da osservarsi per cautela dell’efficacia loro, perocché le, varie leggi già promulgate al proposito possono servire d’esempio, e riuscire efficaci se si fanno osservaret.
Nè venga a dirsi, come certi opponenti a quelle regole a torto pretendono, che incagliandosi oon esse lo spirito d’associazione, se ne ritarda il progresso. Perocché, o si tratta d’associazione fondata, su basi giuste, oneste e profittevoli, e non debbe, perciò menomamente riuscir grave l’osservanza di tali discipline. O si tratta di speculazione arrischiata, tutta aleatoria, più probabilmente pericolosa e fatale, perchè dannosa a tutti coloro che vi partecipano, tranne agli autori d’essa, che soli guadagnano, ed allora è fortuna che sia anzi impedita una tale speculazione, appunto pel ben inteso progresso di quel medesimo spirito d’associazione non mai tanto pregiudicato quanto dall’infortunio che poi tocca a quelle imprese solitamente fallite, come se ne potrebbero addurre, in Italia e fuori innumerevoli esempi.
Qui taluno potrà forse imputarci la contraddizione di predicare ad ogni passo di questo e d’altri nostri lavori un’intera, libertà commerciale, e poi di suggerir la cautela delle discipline vincolanti, in questa conclusione pratica del nostro discorso. Cotesta contraddizione, se ben si considera l’argomento, non è che apparente. — Noi siamo e sarem sempre inclinati a promuovere la libertà del traffico in questo senso: di non imporgli alcun soverchio aggravio, di non stimolare in esso la produzione con leggi vincolanti proibitive o restrittive; di non prescrivere regole tecniche, tranne per quanto concerne alle cautela di sicurezza; di non accordar privilegi, monopolii e premii, i quali promuovano prodotti men naturali e meno adeguati alla speciale condizione de’ luoghi. — Ma ciò non toglie che nell’interesse morale ed anche economico de’ sudditi, mercè d’una larga tutela e dell’istruzione assai diffusa, si vieti quanto è dannoso, s’insegni a tutti ciò che è utile. — D’altronde non tutti popoli già hanno compiuta la propria educazione industriale, ed a quelli tra essi, come pure vuolsi riconoscere di presente l’italiano, in cui or quell’educazione è appena esordiente, possono occorrere cautele le quali sarebbero ad altri popoli che più progredirono, superflue. In que’ popoli potendo esser molte le vittime accalappiate dalle seduzioni degli imbroglioni, spetta al governo d’istruire e d’illuminare; intanto di frenare l’abuso che si presenta sempre facile ad introdursi. — In questi invece men necessarie son tali cautele, perchè i maggiori lumi rendono più accorti gli speculatori.
La conclusione di questo nostro Discorso III è adunque:
1.° Che una ben intesa rete di strade ferrate, le quali, attraversino in vario senso la Penisola, onde agevolare le spedite ed economiche sue relazioni sì interne, che estere, è una ineluttabile necessità, la quale, quando non fosse, soddisfatta, condurrebbe ad una fatale segregazione:
2.° Che in vece, provvedendosi a tale bisogno, ne avverrà immenso vantaggio pel commercio italiano sì interno, che estero e di transito; perchè la speciale condizione de’ luoghi mirabilmente si presta a tale assunto, e perchè la presente rivoluzione; onde il traffico generale è ricondotto alle antiche sue vie, può far tornare l’Italia ad essere lo scalo d’Europa più vicino all’Oriente, dove quel traffico più è praticato:
3.° Che per meglio accennare allo scopo d’ordinare una ben intesa rete di strade ferrate non bastano i capitali indigeni e gli sforzi dell’industria privata, ma è necessario l’intervento in primo luogo dei vani governi italiani, acciò quella rete sia tra di essi concertata; e quindi occorre lo speciale concorso d’ogni governo, mercè dell’opera sua diretta nell’assunto, o di un opportuno sussidio che cauteli l’impresa privata dai danni che potrebbero renderla perdente:
4.° Che tanto più necessario si manifesta un tale provvedimento, che le imprese di tal natura già avviate in Italia, tranne qualche tenuissima eccezione, sembrano periclitanti anziché no, e più dirette a servire di tema a speculazioni aleatorie, che non a procurar le strade in discorso al paese:
5.° Che codeste speculazioni aleatorie voglion, essere opportunamente represse, perchè più che altrove possono tra noi riuscire pericolose e dannose:
6.° Che l’istruzione diffusa e l’educazione propagata in ogni classe di persone rendendo gli speculatori, e gli operai illuminati ed accorti, ne avviene che col tempo potrà forse concedersi ancor più libera azione all’industria privata; ma che intanto questa vuol essere sorretta da una larga tutela, la quale senza incagliare la libertà de, traffici più naturali, perciò più utili, impedisca tuttavia le operazioni arrischiate ed imprudenti, e specialmente quelle fondate sul giuoco:
7.° Che le prevenzioni delle idee preconcepite, avverse alle strade ferrate in Italia, debbon successivamente cedere ad una discussione temperata ed onesta delle quistioni che presenta l'assunto; la quale discussione prova insussistenti i temuti pericoli, sicuri invece gli sperati vantaggi:
8.° Finalmente, che la ben nota saviezza di tutti i governi della Penisola fa sperare con fondamento, che, cedendo essi all'espresso ardente voto dell'universale, vorranno gli uni mandare a termine le imprese da essi già promulgate; gli altri, previe le sopra indicate intelligenze, provvedere com’è dai più importanti interessi loro richiesto.
Usando così i prìncipi italiani con perspicacia ed opportunità, salve le cautele che seguono, dell’autorità che loro compete, essi la faranno paternamente servire a soddisfare ad un ben giusto comune desiderio, ed accresceranno viemaggiormente la prosperità de’ popoli di cui per decreto di lassù pur sono gli ottimi reggitori.
DISCORSO QUARTO.
DELLA CORRISPONDENZA FRA LE VARIE LINEE DI STRADE FERRATE DE' DIVERSI STATI DELLA PENISOLA; — E DELLE CAUTELE POLITICHE ECONOMICHE, DAZIARIE, DI SICUREZZA, ED, ALTRE OCCORRENTI DISCIPLINE.
Fin qui abbiamo esposto in qual modo fosse più conveniente ordinare le strade ferrate fra noi, dopo averne chiarita l’ urgente ed ineluttabite necessità. — Accennate le direzioni già scelte per quelle vie, dimostrammo quali altre ancor restassero a scegliere, onde conseguire l’assunto di avere una ben intesa rete stradale ferrata, atta a favorire l’aumento de’ traffici nella Penisola.
Ora, per compiere la nostra impresa, ci rimale a parlare dei mezzi che meglio riescono ad attuare l’esercizio più pronto, facile, sicuro ed utile delle nuove strade, quando esse, vennero felicemente mandate a termine.
Noi non intendiamo in quest’ultima parte del nostro lavoro di segnare tutti i minuti particolari delle discipline che meglio occorre di promulgare e far osservare al proposito.
Solo è nostro pensiero d’accennar brevemente a quali interessi pubblici e privati importi di provvedere nell’ordinamento di siffatte discipline.
Del resto, quanto ai particolari anzidetti, gii si han di presente tali è sì ben intesi esempi degni d’imitazione che, avuto il debito riguardo alle varie circostanze di luogo, onde possono risultar necessarie ed opportune alcune modificazioni, basterà l’accennare molti fra i regolamenti promulgati presso le varie nazioni per tale rispetto, perchè venga così soddisfatto l’assunto di suggerire i migliori ordini da attuarsi anche tra noi riguardo alle nuove vie.
Gli oggetti sui quali più occorre di fissare la nostra attenzione, si dichiarano adunque senz’altro essere i seguenti; 1.° Il modo d’ordinare una ben intesa corrispondenza dei convogli, che debbono l’un l’altro succedersi nell’esercizio delle strade in discorso184:
2.° Le cautele politiche da ordinarsi onde l'azione governativa si mantenga sur esse vie sempre libera, pronta, avveduta, forte ed energica all’uopo:
3.° Le cautele economiche, mercè delle quali il buon governo dell’impresa sia interamente assicurato, sì nell’interesse dell’universale, che de’ privati:
4 .° Le cautele daziarie, che debbono assicurare la libera e cauta azione dei dritti del fisco, senz’alcun nocumento od incaglio però della libertà e rapidità de’ traffichi:
5.° Le cautele di sicurezza, colle quali possano i viandanti e le merci guarentirsi dai varii pericoli cui la forza e la velocità delle macchine locomotrici, ove fossero incagliate o mal dirette, potrebbero per mala ventura essere occasione:
6.° Ancora; alcune altre discipline e cautele atte a far procedere quel servizio in modo che pienamente sia conseguito lo scopo cui vuolsi diretto.
Parliamo or dunque successivamente delle avvertenze da usarsi per ognuno degli anzidetti oggetti185
CAPITOLO PRIMO.
Corrispondenza de’ convogli.
In una contrada in cui, come nell’italiana penisola, sono varii Stati, più da limiti convenzionali circoscritti, che non da confini naturali ed assoluti divisi; ne’ quali Stati, di maggiore o di minore estensione, notasi inoltre conformità intera di popolazione, d’indole, di lingua, di religione e di costumi, non che di tendenze all’incirca uguali; vuolsi avvertire, rispetto alle vie ferrate ivi ordinate o da ordinarsi:
1.° Che nuocerebbe assai alla rapidità, al maggior comodo ed all’economia de’ viaggi fatti sur esse vie, se si dovessero ad ogni confine, frequentemente incontrato, mutare i veicoli per servirsi soltanto di quelli appartenenti al governo od alla società privilegiata dello Stato sul di cui territorio scorre la battuta via:
2.° Che quando all’incontro può essere necessario per fortuito accidente o per già sufficiente uso, di mutare anzi i detti veicoli, il diverso confine preallegato può essere opportuna occasione di fare un tal cambio.
Difatto ognuno di leggieri comprende, come possa riuscire occasione di molesto, dannoso ed inopportuno ritardo il mutare sovente le locomotive, le vetture ed i carri destinati a condurre persone e merci, quando da pochissimo tempo soltanto ivi trovarsi caricate.
E si comprende del pari come codesti troppo frequenti cambi sarebbero causa d’aumento di spesa, sì per scaldare ed usare troppo brevemente le macchine, che pei moltiplicati carichi, e discarichi di persone, di bestiame e di merci, e pegli incessanti ritorni a vuoto, che occorrerebbero dei detti veicoli.
Suppongasi, per esempio, i convogli di Lucca, di Bologna, di Parma o di Firenze diretti su Livorno o su Firenze; su Modena; su Bologna e su Pistoia, o viceversa; quando si dovessero cambiare ai diversi confini di quegli Stati le locomotive, le vetture ed i carri, appena fatto un viaggio di poche ore, d’un’ora ed anche meno, egli è chiarissimo che ne risulterebbe un gran perditempo, un frequente tornare a vuoto, un inutile dispendio di combustibile, un sì incessante mutare di veicoli, e perciò una tale ripetizione di carichi e di scarichi, da generar confusione tra gli agenti del servizio, essi pure troppo frequentemente mutati, ed il pubblico; onde nascerebbero altresì sbagli ed equivoci ne’ rispettivi indirizzi.
Per ovviare a siffatti inconvenienti v’ha un solo rimedio, ed è quello di combinar d’accordo i servizi delle varie linee; intendere le distanze ch’ogni locomotiva, col seguito de’ suoi veicoli occorrenti al trasporto, debbe percorrere giornalmente; — tenere rispettivamente conto delle spese e delle esazioni ad ogni servizio occorso, e liquidare il reciproco debito e credito a ciascun’epoca di tempo determinata.
S’hanno a’ questo proposito esempi ritolto facili ad imitare di trattati seguiti, ed osservati senza il menomo disturbo o difficoltà, sì nella Gran Brettagna, che nella Germania tra varie società. Ma ne piace singolarmente accennare quelli stipulati ed osservati tra il governo belgico, e la società della strada prusso-renana, tra il detto governo e quello francese, e finalmente persino tra il governo prelodato del Belgio e la società della via ferrata inglese da Londra a Douvres; coi quali trattati si convenne di prendere e di rimettere merci e viandanti dall’una all’altra via, tenendosi rispettivamente conto del dare ed avere reciproco, da liquidarsi ad epoche determinate.186 Le condizioni particolari, di que’ contratti sono interamente praticabili nella nostra Italia, salve le varianti occorrenti per diverse distanze, e per altra condizione di luogo.
Supponiamo un convoglio il quale parta dal piè dell’Alpi, in Val di Dora Riparia, per scendere nella Penisola a Milano, od alla via che pegli Stati parmensi, estensi e pontifici: andrebbe in Ancona; è chiaro che nel primo caso, sarebbe affatto inutile mutar veicoli pel brevissimo tratto del Regno Lombardo, che s’avrebbe ancora a percorrere dal confine del Ticino sino a Milano; e che perciò, usate le debite cautele politiche e daziarrie, delle quali faremo parola fra non molto, sarebbe nel rispettivo interesse delle parti, che il convoglio piemontese seguisse il suo cammino sino a Milano, tenendo conto all’amministrazione della strada lombarda percorsa della quota de’ dritti riscossi per la tratta d’essa battuta, dedotte le spese di trazione.
E quanto al ritorno, per non farlo inutilmente a vuoto, è chiaro pure, che in compenso delle persone e delle merci condotte la strada lombarda dovrebbe lasciare merci e persone quante ne potrebbe il detto convoglio piemontese condurre, caricando inoltre e conducendo coi propri veicoli ogni quantità soprabondante sino a Torino, da dove tornerebbero essi poi carichi pure fino a Milano ed oltre, pelta stessa ragione di reciprocità.
Nel secondo caso, in vece, la linea che parte nel detto Val di Dora], dal piè del divisato tunnel, per giugnere sino a Piacenza, essendo già bastantemente lunga e sufficiente ad occupare i veicoli d’un convoglio, e renderne forse, necessario il cambio onde farvi le occorrenti riparazioni, sarebbe anzi conveniente fissare il detto cambio a Piacenza; laonde l’amministrazione della strada piemontese dovrebbe tener conto a quella della strada parmense del prodotto netto riscosso per la breve tratta percorsa dal rispettivo confine sino a Piacenza.
Giunte a questo punto, persone e merci passerebbero sul convoglio parmense; il quale le porterebbe sino al punto cui le amministrazioni delle tre strade parmense, estense e pontificia avrebbero fra di loro convenuto d’arrivare collo stesso convoglio, tenendosi rispettivamente conto del reciproco debito e credito cui darebbe occasione l’andirivieni de' varii convogli.
Siccome poi sarebbe incomodo, più costoso e meno spiccio il dover pagare ad ogni confine così prossimo, la rispettiva quota fissata; si dovrebbe usare la facilitazione, praticata ne' luoghi anzidetti di ricevere per conto altrui il prezzo dell’intera tratta percorsa, tenendone poi diviso conto a chi s’aspetta.
Coteste brevissime indicazioni, date a mo’ d’esempio, ci sembrano bastevoli a far comprendete come sia rispettivamente facile ed utile imitare le convenzioni preallegate, ordinandone anche fra noi l’applicazione.
Ci restringeremo a notare ancora soltanto, che nelle suddette convenzioni non si dovrà ommettere di stipulare le disposizioni occorrenti per assicurare l'aiuto reciproco de' mezzi di trasporto necessari, sia per l'aumento di passeggieri e di merci successivamente aggiuntisi lungo la via, sia per le degradazioni seguite, che rendessero inservibile alcuno de' veicoli in esercizio.
Codeste degradazioni dovrebbero potersi riparare anche nello Stato altrui, pel più pronto e nuovo utile uso del veicolo nel ritorno, se è possibile, o mercè de' ristauri fatti nelle rispettive officine, o, se credesi più conveniente, mercè dell’apertura d’un officina propria nel detto Stato altrui.
Con queste avvertenze il cambio o la continuazione de’ convogli sarebbero ordinati per modo, che né deriverebbe il minimo perditempo possibile, ed inoltre nessuno spreco d’inutile trazione de' convogli suddetti. E ne deriverebbe altresì, che l’interesse delle imprese, come il vantaggio ed il comodo de' viandanti e del commercio, sarebbero nel modo più cauto reciprocamente assicurati.
Le norme fin qui suggerite, facilmente intese, ripetesi, altrove, e senz’alcun inconveniente colà praticate, non potrebbero nè manco presentare la menoma seria difficoltà fra di noi. Quando non si volesse poi per avventura pattuire la reciproca osservanza di siffatte norme, troppo ne sarebbe evidente il reciproco danno, perchè occorra farne più ampia dimostrazione; e troppo è nota d’altronde la perspicacia di coloro che avrebbero a convenire de’ proposti patti, perchè sia lecito supporli alieni o difficili ad intenderli, giacchè, contrastando all’onesto profitto altrui, incontrerebbero frattanto a proprio danno una notevol perdita.
Non possiamo pertanto dubitare che, appena attuate le divisate nuove comunicazioni, si stipuleranno fra le rispettive amministrazioni di esse le convenzioni atte a farle procedere con reciproco vantaggio e comodo, come fin qui si è detto.
CAPITOLO II
Cautele politiche.
Tra le varie cautele da ordinarsi per le strade ferrate, quelle politiche meritano fra noi una speciale avvertenza, perchè possono essere argomento di serie difficoltà tra Stato e Stato, e causa di molto perditempo nel corso de’ convogli.
Non mancano tuttavia, a parer nostro, i mezzi di superare codeste difficoltà, onde scemare notevolmente il perditempo.
Cotesti mezzi che proponiamo, sono, fra gli altri, per esempio, i seguenti: 1.° Far accompagnare dal confine il convoglio (senza obbligarlo a fermarvisi per la necessaria verificazione dei ricapiti di polizia richiesti) dal numero occorrente di guardie od agenti di polizia, incaricati d’invigilare perchè nessun viandante estero, collocato, se vuolsi, in separate carrozze, arrivato alla propria destinazione, possa sottrarsi all’obbligo impostogli di dare all’ufficio di polizia aperto in ogni cala d’arrivo e di partenza (stazione) que’ riscontri che si desiderassero sul conto di lui: 2.° Rendere i conduttori ed agenti dell’amministrazione della strada responsali del nessuno sbarco di persone estere prima che, siansi al detto ufficio di polizia presentate; la qual cosa può cilmente ordinarsi, mediante reciproca rimessione e istituzione obbligatoria di così detti scontrini, permutanti il passaporto ordinario e regolare ritenuto al confine, e portato dai detti conduttori ad ogni ufficio politico cui abbia dichiarato scendere il forestiere:
3.° Assegnare ne’ convogli ai regnicoli vetture separate dai forestieri, acciò quelli, solitamente i più numerosi, a nessuna indagine sottoposti, possano senz’altra formalità scendere ed andare pe’ fatti loro ad ogni stazione sì d’ultimo arrivo, che intermedia, mentre questi, quando vogliansi sottoporre ad alcuna indagine, possano venirvi assoggettati:
4.° Impedire che lungo la via ed alle stazioni intermedie si lascino da viandanti lettere non consegnate all’ufficio postale, cui è riservato il dritto di mandarle a destinazione mediante la fissata tassa, rendendo anche responsali di tal frode i conduttori187 5.° Per meglio aver azione su costoro, come sui varii altri agenti inferiori del servizio della strada ferrata, riservarne all’amministrazione di polizia la nomina, od almeno l’approvazione, attribuendole la’ facoltà di richiederne la rimozione, quando risultino trasgressori de’ doveri ad essi imposti in fatto di cautele politiche. In tal guisa, potendo avere agenti sicuri e fidati, l’amministrazione suddetta avrebbe mezzo di esser a tempo avvertita di tutto quanto potrebbe interessare l’ordine pubblico e la sicurezza privata:
6.° Quando ne fosse anche il caso, per veramente necessaria vigilanza, non per molesta inquisizione, la quale non crederemo mai essere nel ben inteso interesse d’alcun governo di praticare, collocare agenti segreti fidatissimi, i quali destramente indaghino quanto sarebbe spediente conoscere a maggiore tutela della privata e pubblica sicurezza.
Nel porgere codesta avvertenza, coll’espressa speciale preallegata protesta, che a solo fine di paterna e prudente vigilanza, largamente praticata, da noi si consiglia un siffatto spediente, non mai collo scopo di suggerire, ripetesi, la menoma molesta inquisizione, d’altronde sempre più dannosa, che utile, atteso che indispone l’animo dei sudditi ed allontana i forestieri dallo Stato, dove sarebbe praticata: noi dichiariamo non intendere di tutte indicare le discipline che possono ordinarsi in fatto dipolitica vigilanza; ma solo accennarne alcune, le quali, occorrendone la vera necessità, potrebbero giovare, all’uopo. Del resto applaudiremo sempre a che sian fatte anche per esse, credendolo opportuno, le maggiori facilità, poiché l’animo nostro più è a fiducia che a sospetti inclinato.
Quando poi invece, per speciali contingenze si reputassero opportune maggiori cautele, noi ci dispenseremo dal suggerirle; lasciando che le rispettive amministrazioni politiche pensino ad ordinarle come reputano più spediente. E ci ristringeremo a notare soltanto come convenga almeno, che siano ordinate in modo, che si consumi il minor tempo possibile nelle prescritte formalità; — che niuna fra esse inutile venga fissata; — che i regnicoli, i quali altrimenti possono invigilarsi, non vi siano sottoposti, per quant’è possibile; — che anche gli esteri non lo siano in modo superfluo; nè mai contr'essi pratichinsi vessazioni, e si permettano atti brutali per parte degli agenti inferiori. Perocché, in difetto, mancherebbe senza dubbio alla Penisola il concorso de' viaggiatori, che vedemmo altrove essere il suo principale frutto, e ciò con danno economico grave assai, e, dicasi pur francamente, anche con danno morale pel malcontento derivante da tali soverchie cautele.
Codeste cautele, del resto, si dovrebbero in ogni parte della Penisola ordinare conformi; previi i necessari concerti fra i diversi governi italiani, le varie amministrazioni politiche dei quali meglio e più facilmente eserciterebbero così la vigilanza rispettivamente ad esse affidata, e colle reciproche corrispondenze od indicazioni più sollecitamente ed in modo più opportuno conseguirebbero il proprio assunto.
Terminando queste avvertenze sulle cautele politiche, stimiamo inutile aggiungere altri particolari sur esse, e specialmente ogni ulteriore discorso sulla facilità che le nuove strade ferrate offrono, quando ne occorre il bisogno, di portar prontamente efficaci mezzi di repressione là dove fosse minacciata la pubblica quiete, conducendovi coi nuovi veicoli armi ed armati in numero sufficiente con ben maggiore velocità, tal cosa essendo di per sè stessa troppo evidente.
CAPO III.
Cautele economiche e commerciali.
Sotto questa rubrica noi comprendiamo principalmente le discipline e cautele da osservarsi per le Tariffe dei prezzi di trasporto da stabilirsi sulle vie ferrate italiane, e le regole concernenati alle società intraprenditrici, là dove furono le dette strade ad esse concedute, acciò siano così più cauti gl’interessi del pubblico e de’ privati.
A questo doppio proposito occorrono pertanto alcuni generali riflessi, che sembrano d’applicazione comune men dubbia. 1.° Le spese di costruzione e d’esercizio delle vie ferrate italiane debbono in generale riuscire in ogni parte della Penisola all’incirca uguali, tranne qualche speciale eccezione, neppure da notarsi nell’interesse dell’universale.188
2.° Per questo motivo sarebbe conveniente adottare in tutte le vie ferrate da ordinarsi fra noi una tariffa uniforme, ragguagliata ad una determinata somma per persona, per capo di bestiame, e per peso di merce trasportati lungo esse vie, e ad ogni kilometro percorso,.
3.° Al più ne’ luoghi più difficili, come al passo de’ tunnel e de’ piani inelinati, potrebbe fissarsi una giunta proporzionale di pedaggio, onde compensare la maggiore spesa di cui quelle opere sarebbero state causa.
4.° Certo che sarebbe un grandissimo beneficio per la patria comune l’adottare in ogni provincia o Stato di essi misure, pesi e monete al tutto conformi, e la generale tendenza che notasi a quelli decimali sarebbe certamente occasione molto opportuna d’introdurre siffatto miglioramento. Però, quand’anche la cosa non fosse per ora in ogni Stato praticabile, la desiderata uniformità di tariffa non verrebbe perciò impedita; perocché, sarebbe facilissimo d’applicarla egualmente, mediante ragguaglio di misure, di pesi e di monete d’ogni Stato.
5.° Codesto provvedimento delle tariffe ugnali singolarmente faciliterebbe i rispettivi cómputi da farsi tra Stato e Stato, e fra strada e strada, de’ quali s′è parlato nel precedente capitolo I.°; ed ai viandanti risulterebbe di gran comodo dover corrispondere sur ogni strada un ugual prezzo.
6.° Questo dovrebbe stabilirsi molto tenue; la sperienza già fatta delle varie tariffe avendo dimostrato che le più discrete son quelle che fruttano prodotti maggiori; perchè chiamano una più grande copia d’avventori.
7.° Una tale avvertenza è tanto più opportuna fra noi, dove ancora pur troppo così poco si pregia l’economia del tempo, e dove cosi’ searse sono le facoltà del maggior numero, che se non si offerisse al volgo un evidente e positivo profitto a servirsi delle nuove vie, esso continuerebbe sicuramente a preferire le antiche, benché lentissime, coi tardi veicoli loro, quando non preferisse ancora percorrerle a piedi.
8.° Nell’ordinare le tariffe importa avvertire di fissare od almeno dichiarare distinti il prezzo del trasporto e quello del pedaggio. Il primo debbe rappresentare il compenso dovuto per la spesa del trasporto medesimo; il secondo il frutto del capitale impiegato nella costruzione; ambo, in oltre, debbono comprendere un discreto profitto da attribuirsi all’impresa nel più, de’ casi. Cotesta divisione del dritto di trasporto da quello di pedaggio è indispensabile per sistemare i rispettivi conti da tenersi fra le varie amministrazioni delle diverse linee, come si è detto al precedènte capitolo 1.°, quando reciprocamente l’una all’altra serve d’aiuto e di concorso. Perocché non é difficile comprendere come in certi casi solo sia dovuto dall’una all’altra linea il rimborso del dritto di trasporto, o quello di pedaggio, od anche amendue: la quale diversa applicazione del rispettivo debito e credito non potrebbe farsi se i due dritti non fossero dapprima interanetite distinti, od almeno riuscirebbe assai più difficile e complicata.
9.° Per le già dette ragioni nessuno scalo italiano avendo vero interesse a far concorrenza pregiudicevole agli altri, tutti dovrebbero interdirsi straordinari ribassi diprezzo nelle rispettive tariffe, senza previo concerto fra le varie amministrazioni,lasciando così che le distanze diverse e le vane condizioni di luogo, come la rispettiva convenienza muovano gli avventori a preferire l’una o l’altra via.
10.° Si comprende che quest’avvertenza parrà dapprima ad alcune menti, guidate dalle solite grette tendenze di rivalità municipale o, di Stato, strana, per non dir peggio, e verrà perciò molto difficilmente accolta; ma noi, lo ripetiamo ancora, non iscriviamo per promuovere quelle tendenze, che intendiamo anzi combattere colla maggiore efficacia, perchè le crediamo sommamente pregiudicevoli al ben inteso nostro progresso, quindi alla vera nostra prosperità.189 11.° Crediamo pertanto, che se i governi e le società della Penisola avranno il coraggio di adottare in vece l’opposta liberale tendenza da noi suggerita, tutti vi troveranno, in fin di conto, il vero e durevole vantaggio loro; perocché, se perderanno in gualche caso, nel massimo numero d’essi avranno maggiori profitti, mercè del più naturale e più grande concorso che otterranno dell’universale.
12.° Ammettiamo però dover ciò essere tra’ varii Stati e società affatto reciproco; e quando non si riuscisse ad intendersi, allora soltanto, sebbene a malincuore, riconosciamo potersi in via provvisionale tenere l’altro sistema opposto della concorrente.
13.° Per accennare al sopra indicato da noi creduto utilissimo, scopo d’avere tariffe uguali in tutte le strade ferrate italiane, occorrerebbe un generale convegno de’ governi della Penisola, i quali concordassero tra di loro le tariffe suddette, e ne prescrivessero l’osservanza, sì ai propri agenti, dove le strade sono direttamente amministrate, che alle società, là dove a queste vennero concedute: comminando, in caso di trasgressione, pene adequate contro coloro che contravenissero a siffatto precetto.
14.° Colle precedenti avvertenze riconosciamo di scostarci dalla dottrina della libera ed illimitata concorrenza predicata da molti anni ne’ nostri scritti; ma crediamo doverci a tal atto risolvere per causa d,utilità generale, che vediamo nel ben inteso interesse commune d’avviare alle loro strade più naturali i traffici rispettivi, onde conseguire quel vero vantaggio dell’universale che tanto preme di ordinare fra noi, al fine costante cui è diretto il nostro assunto di far dell’Italia intera una sola famiglia, quand’anche sia, com’è la Germania, in più Stati divisa.190
15.° Nè crediamo poi cosi difficili ad intendersi i reciproci accordi, purché i governi vogliano sinceramente pattuirli, diretti da liberali tendenze, adessi inspirate dal pieno convincimento della vera rispettiva convenienza che troveranno in fin di conto a cosi operare, onde giugnere a quella fusione d’opinioni e d’interessi italiani, cui ci pare debbano tutti accennare pel fine sopra indicato.
Fin qui dell’ordinamento delle tariffe.
Quanto all’ordinamento delle società intraprenditrici, là dove a queste venne conceduta la costruzione delle strade col successivo esercizio delle medesime, molte sono le regole sì generali che speciali già indicate durante questo nostro discorso; le quali regole si dovrebbero comprendere ne’ rispettivi capitoli d’appalto da stabilirsi.
A scanso d’inutili ripetizioni noi ci asterremo dal qui riepilogarle. Solo ci ristringeremo a notare, doversi nei detti capitoli prescrivere:191
1.° Aversi ad osservare nella costruzione delle strade, quanto alla direzione loro, forma e solidità delle opere, le norme divisate nel progetto particolareggiato, sì e come fu dall’autorità superiore approvato, nè potervisi fare alcuna benché menoma modificazione, se non precede il consenso dell’autorità suddetta:
2.° Il materiale dell’esercizio dover essere della qualità e nella quantità prescritta dal detto progetto:
3.° Non potersi la strada col predetto materiale usare, se non precede una regolare, esatta e minuta collaudazione d’ogni opera e provvista, previi gli opportuni sperimenti fatti, dagli uffiziali ingegneri a tal fine dal governo delegati.192 4.° Doversi applicare all’esercizio il numero di uffiziali, ministri ed agenti reputato necessario al sicuro, pronto e regolare corso de’ convogli, fissando le rispettive incumbenze, dritti e doveri di essi in apposito regolamento da approvarsi dall’autorità preallegata:
5.° Essere quegli agenti, ministri ed officiali tenuti osservare le varie cautele politiche, economiche, daziarie di sicusezza ed altre fissate pel sicuro e regolare esercizio dell’impresa, a pena di sottostare a quelle sanzioni che si crederà ovvio stabilire nel regolamento suddetto:
6.° Ancora; essere gli amministratori civilmente tenuti responsali pel fatto degli agenti predetti d’ogni danno derivato a viandanti, al bestiame od alle merci in caso di trascuranza, imprudenza o sopruso, salve inoltre le maggiori pene dalle leggi comminate ove ne sia il caso:
7.° Doversi fissare per ogni giorno il numero delle corse da farsi da’ convogli; — la velocità minima e massima che dovranno avere; — il tempo medio perciò che dovranno impiegare per ogni kilometro delle varie parti della via da percorrere; — il numero delle persone e del bestiame, come il peso delle merci da condursi con ogni vettura o carro; — - il numero ancora di quelle e di questi da assegnarsi ad ogni locomotiva;,— l’ordine in cui si debbono disporre nella fila del convoglio;— le regole da osservarsi per l’assegnamento de’ posti, il salire e lo scendere da essi, quanto alle persone, il carico e scarico del bestiame e delle merci; — le scritture da farsi e da spedirsi a’ viandanti, e da rimettersi da questi ai conduttori, onde accertare i loro dritti:
8.° Ancora, voglionsi ordinare i provvedimenti da darsi ne’ casi d’impedimento insorto lungo la via per ostacoli o guasti seguiti; — di materiale inservibile; — di aiuto resosi necessario; — di sinistri succeduti, e simili: 9.° Si dovrà pure stabilire un modo facile e pronto di porgere i richiami che taluno credesse aver diritto di fare contro l’amministrazione ed i suoi agenti per inosservanza delle discipline e cautele prescritte, onde tosto conseguire la dovuta indennità:
10.° Nè vuolsi omettete di determinare i dritti competenti all’amministrazione verso i privati, acciò la strada sia di ogni guasto per essi fatto mantenuta illesa; — non possano frapporre ostacolo alcuno, al corso de’ convogli; — ogni viandante che usa d’essi si conformi alle discipline fissate; — i confrontanti alla strada ne rispettin la cinta, le barriere, le difese; — non innalzino che alla prescritta distanza case o edifici; — il tutto sotto pena de’ danni causati, da valutarsi speditamente con regolare contradittorio giudicio.
Tutto ciò relativamente all’ordine da osservarsi nella costruzione e nell’esercizio delle strade concedute a società industriali.
Quanto poi al buon governo interno di queste società, si dovrebbe statuire:
1.° Non potersi alcuna società anonima definitivamente costituire per tali imprese, finché la concessione d’esse sia stata accordata ad alcuni tra i soci fondatori, proponenti la societa193 2.° Poter bensì costoro pubblicamente richiedere il concorso d’altri soci; ed ottener promesse di azioni, ma queste non essere a modo alcuno trafficabili, sì alle borse, che ne’ banchi pubblici o privati, a pena di nullità d’ogni impegno od obbigo assunto, e d’una multa:
3.° Non essere ammessa l’istituzione d’alcuna azione beneficiaria; bensì concedersi soltanto ai fondatori la facoltà di prelevare dal primo fondo sociale la somma occorrente a rimborsarli delle spese per essi anticipate, onde fondare la società medesima, pagare le spese di concessione e di perizia primitiva:
4.° Fatto codesto stralcio, il fondo versato dai soci all’atto, della prima sottoscrizione loro, aversi a depositare in qualche pubblica cassa; acciò sia garante dell’osservanza de’ fissati patti, finché, avviata a pieno compimento l’opera, possa anche un tal fondo destinarsi al perfezionamento di essa:
5.° Nell’atto della definitiva costituzione della società dover risultare già versato, come si è detto prima, da ogni, azionista, contemporaneamente alla sottoscrizione di lui, almeno un decimo del valore dell’azione, ed assumer esso, inoltre, l’obbligo di versare gli altri nove decimi a determinate epoche, sotto, pena di decadenza d’ogni diritto, e colla perdita delle somme già pagate, cadenti à profitto della società.
6.° Le azioni definitivamente emesse, si nominative, che al portatore, potersi bensì trafficare direttamente tra i privati, o per ministerio dei pubblici sensali, con remissione effettiva però del titolo dell’azione, non mai mediante i così detti contratti a termine marché à terme), dichiarati proscritti dalla legge si generale di commercio, che speciale dello statuto della società, approvato dall’autorità legislativa; e ciò sotto pena, oltre alla nullità del contratto, di multa, da raddoppiarsi in caso di recidiva, in cui si farebbe anche luogo alla rimozione del sensale, ove questo siavisi ingerito.194
7.° La società costituita dover eleggere tra’ suoi azionisti un consiglio direttivo, il quale la governi a norma del proprio statuto — coltivi ogni suo interesse; — nomini gli ufficiali ed agenti dell'amministrazione; — li rimuova, occorrendo; — devenga ogni anno ad un pubblico rendiconto agli azionisti in convoca generale raccolti; — proponga ad essi i provvedimenti più utili alla società, ed, ottenendoli approvati da essa e dal governo, quelli eseguisca colle prescritte norme.
8.° Ogni atto, si della direzione, che della società, dover avere un’intera pubblicità legale, acciò ciascun interessato possa esserne informato, e reputandosene leso, opporvisi colle formalità da prescriversi, onde emani dall’autorità governativa la determinazione, cui sì gli uni che gli altri dovranno poi uniformarsi:
9.° Finalmente si dovrebbero prescrìvere quelle norme più speciali concernenti alla natura propria della società (che può essere diversa in ragione di tempo, di luogo, fors’anche delle persone che la compongono) che sarebbero reputate più convenienti ai singoli casi.
Segnate le regole più opportune concernenti alle tariffe; — indicate quelle discipline che sono più convenienti relativamente all’ordinamento dell’esercizio, quando questo concedesi a società industriali; — proclamate le norme principali che debbon presiedere alla costituzione ed agli atti di queste: solo ne resta, terminando questa parte del nostro discorso, a dire, che quando l’esercizio vien praticato direttamente dal governo per mezzo dell’azienda cui è affidato, si ritiene ch'essa osservi le stesse avvertenze date rispetto alle tariffe, come riguardo all’ordinamento dell’esercizio medesimo, colla sola differenza, che l' azienda suddetta, in vece d'essere, come la direzione, responsale de' suoi atti verso la società industriale, che non esiste in tal caso, lo è verso l’autorità suprema dello Stato.
CAPITOLO IV.
Cautele daziarie.
Quando un convoglio giugne sur una strada ferrata al punto di confine che separa uno Stato dall’altro, le cautele daziarie cui debbonsi sottoporre merci e persone sono importantissime.
Da una parte vuolsi assicurare la giusta e necessaria riscossione de’ dritti o dazi dovuti al fisco, escludendo perciò nell’ordinamento delle cautele in discorso qualsiasi facilità d’operare il contrabando, il quale, ove fosse possibile non ostante quelle cautele, verrebbe sicuramente tentato per effetto d’avidità mercantile.
Dall’altra parte preme assai di non obbligare i viandanti a formalità, dalle quali derivi inutile perditempo; perocché allora la durata di questo prolungando d’altretanto quella del viaggio, e riducendo così l’economia, derivante in vece dalla velocità delle corse, cesserebbe o sarebbe grandemente scemato il più importante beneficio del nuovo trovato.
Riguardo adunque alle formalità o cautele daziarie importa distinguere nell’ordinarle due casi, richiedenti diversa regola:
1.° Quello di merci destinate a fermarsi lungo la via per essere consumate ne’ luoghi da questa percorsi, o dove va fermarsi il convoglio:
2.° Quello di merci, le quali debbono transitare soltanto per que’ luoghi.
Ancora; debbono anche, sì per le une, che per le altre di codeste merci, prevedersi due altre speciali emergenze:
1.a Quella di merci che partono col convoglio dalla prima sua mossa, per le quali perciò possono gli speditori soddisfare in tempo utile le necessarie formalità daziarie, senza che queste ritardino menomamente il corso del viaggio.
2.a Quella di merci, le quali, raggiungendo il convoglio medesimo lungo la via, durante il suo corso, preme di non assoggettare a soverchie fermate, perchè ne avverrebbe sicuramente un notevole perditempo, atto esso pure a distruggere il più importante fra i pregi del nuovo mezzo di comunicazione.
Premesse queste essenziali avvertenze, ecco come sembra a noi che si potrebbe egualmente cautelare l’interesse del fisco e del commercio, e conservare il beneficio della rapidità delle relazioni, senza porger facile occasione di frodi.
Il materiale destinato a trasportare le merci, che trovansi negli anzidetti casi, debb’essere, a parer nostro, com’è in fatti in più luoghi, separato e distinto per ogni specie d’esse merci.
Quanto alle merci dà consumarsi lungo la via o nell’ultima fermata, facilmente comprendesi, che accolte e munite dagli uffiziali della dogana del solito bollo atto ad accertarne l’intangibilità, basterà che all’arrivo d’esse a destinazione siane liquidato e pagato il relativo dazio all’uffizio della dogana, aperto a tal fine alla cala d’arrivo.
Rispetto alle merci destinate al transito, munite esse pure dei voluti bolli: quelli apposti, non occorre altra formalità, che quella dello scarico da darsi al confine d’uscita, staccando i detti bolli.
Per maggiore cautela, coteste merci delle due specie, poste in separati carri, ripetesi, dovrebbero ancora, specialmente trattandosi di piccoli colli di più facile occultamento, e, di quelli entrati in transito, venir poste in carri chiusi, e sì le une che le altre lasciarsi durante il viaggio sotto la custodia d’un doganiere, il quale, posto in sito eminente del convoglio, munito della chiave de’ carri chiusi, sarebbe in grado di vegliare con efficacia acciò non si commettesse alcuna frode.
Trattandosi poi di merci indigene indirizzate dall’uno all’altro luogo, non destinate all’estero, non essendo soggette a’ dritti di dogana, ma ai dazi di consumo locali soltanto, pur che pongansi anch’esse in carri separati, non occorrono formalità, e basterà che allo scarico loro paghino il dovuto dazio.
Se poi sono destinate all’estero , basterà che alla dogana di confine, e meglio ancora a quella di partenza, se vi si trova, siano munite del relativo bollo e spedizione che le accompagna, con pagamento del fissato dritto, solitamente di sola bilancia, cioè sì tenue da non tentare alla frode.
Queste formalità daziarie fin qui discorse sono facili e pronte, e lo saran tanto più se ad ogni cala d’arrivo e di partenza verran deputati doganieri e gabellieri, sì del servizio attivo, che sedentario, in numero sufficiente ad eseguire sollecitamente le operazioni loro attribuite.
Con questa cautela, che meglio assicura una vigilanza continua sugli arrivi e sulle partenze, occorrendo per avventura difficoltà di necessario appuramelito per qualche spedizione, non occorrerebbe, fermare il convoglio, e basterebbe scaricare la merce sospetta all’uffizio della stazione, per essere poi, verificata ed eliminata che sia ogni difficoltà, ricaricata e condotta alla propria destinazione con un altro successivo convoglio.
Finalmente, mediante la facoltà conceduta agli uffiziali della dogana d’ogni grado di salir su’ convogli e percorrere in ogni senso le linee, scegliendo su’ carri e vetture i posti più atti ad esercitare l’ufficio loro, senza che siano tenuti a nessun pagamento di dritto di trasporto, resta escluso ogni pericolo di frode, ne v’ha il menomo incaglio nel corso de, suddetti convogli.
Infatti abbiamo l’esempio del convoglio che parte da Lilla (Francia), attraversa il Belgio, e va a Colonia (Prussia), passando così quattro linee di dogana senza lunghe fermate, che ne rallentino la somma velocità, poiché lo stesso giorno arriva a destinazione, e ciò succede quantunque la distanza sia di 400 kilometri, e sia colà immenso il moto delle relazioni commerciali: anzi queste son fatte così più caute ancora quanto all’osservanza delle leggi daziarie, spesso frodate su quella linea di difficile custodia, quando usansi altri modi di trasporto.195
Giunto a questo punto del nostro lavoro, il lettore aspetta certamente da noi un cenno sulla unione doganale, che si potrebbe intendere fra i vani governi italiani; mercè della quale unione, ad esempio di quanto succede nella Germania, ogni formalità di dogana tra Stato e Stato della Penisola potrebbe venir soppressa, con grande vantaggio del suo traffico interno, e della rapidità de’ viaggi.196
A questo riguardo ricorderemo quanto già altre volte abbiamo scrìtto su tale argomento.
La presente condizione della divisione politica dell’Italia, di cui una parte trovasi aggregata ad uno Stato estero, non concede, a nostro parere, per ora almeno, una siffatta unione, tranne in due casi, troppo difficili a verificarsi perchè si possano supporre possibili:
1.° Che la parte della Penisola congiunta allo Stato estero, ne fosse, in fatto di dogana soltanto, separata per star unita agli altri Stati della Penisola, ed aver con essi discipline doganali conformi, ordinate in modo liberale, cioè escluso il sistema proibitivo e protettore:
2.° Che quella parte d’Italia, coll’intero austriaco Impero e tutti gli altri Stati della Penisola insieme venissero aggregati all’unione doganale germanica, colle norme però più liberali da questa prima adottate, non già con quelle successivamente in essa di poi introdottesi e che ancora vogtionsi ordinate dai fabbricanti di Germania, e da alcuni de’ governi che ne sostengono le istanze, per mal inteso spirito di rappresaglia; molto meno ancora con quelle del preallegato sistema protettore e proibitivo, ora vigenti nell’Impero austriaco, perocché a lungo andare noi reputiamo più dannose che utili siffatte norme.197
Nel 1.° caso, per quanto agli interessi italiani concerne, certo che la cosa sarebbe utilissima, ma non potendosi negare svantaggiosa al resto della monarchia austriaca, il cui governo è così illuminatò, neppure occorre pensarvi.
Nel secondo caso, sarebbe certamente utilissima l’unione supposta, con ragione recentemente chiamata da un altro scrittore che trattò l’argomento, una magnifica idea, una magnifica combinazione, la quale collegherebbe insieme tutta la media Europa, creando un moderatore tra l’Occidente e l’Oriente contrapesanti, onde sarebbero ben promossi da questa unione economica i grandi e veri interessi commerciali molto consimili dell’Europa media dal Baltico al Mediterraneo.
Ma questa bellissima idea, che toglierebbe ogni linea doganale da Reggio di Calabria e da Trieste insino a Danzica, per motivi i quali non occorre qui discutere, perchè ci farebbero uscire dai confini che ci siamo prefissi, e d’altronde sono facili a comprendersi, e già vennero da altri esposti; quest’idea, ripetesi, non è, per ora almeno, praticabile.
Quanto ad una unione doganale de’ soli Stati italiani, esclusa la parte aggregata a Stato estero, mentre riconosciamo che nel rispetto de’ scemati vincoli essa sarebbe pure utilissima, ripetiamo il dubbio altra volta già esposto sulla possibile conclusione dei patti relativi.
Non neghiamo però, che quando due o più Stati italiani, ad esempio di quanto fecesi appunto nell’esordire dell’unione germanica, cominciassero ad accordarsi per tale rispetto, colle norme in Lamagna intese, sarebbe cosa ottima e molto profittevole al commercio italiano, specialmente al più libero esercizio, e perciò al più gran prodotto delle divisate nuove strade ferrate.
Ma ripetiamo, come altra volta, tenere per ora difficilissimo l’assunto, anzi reputarlo impraticabile.
Laonde conchiudiamo nell’interesse del ben inteso ordinamento d’una rete di vie ferrate italiana doversi per ora ristringere i nostri divisamenti al pensiero d’ordinare soltanto le cautele daziarie sin qui suggerite, le quali almeno tenderanno a ridurre notevolmente l’incaglio che le linee doganali, così come sono ora stabilite, non potrebbero a meno di frapporre al più pronto, libero ed utile esercizio di quelle vie.
In questa occorrenza però non possiamo tacere la necessità urgentissima d’un generale convegno di tutti i governi che reggono le varie parti della Penisola, onde stabilire, oltre al già discorso accordo concernente la corrispondenza tra le varie linee di strade ferrate, dritti portorii eguali e reciproci per tutte le marinerie italiane ne’ var i scali; perocché siffatto provvedimento, lungi dall’essere rispettivamente nocivo, come erroneamente suppongono alcuni, riuscirebbe a tutti reciprocamente utilissimo.
Siccome poi tutte le marinerie della Penisola sono all’incirca in eguale condizione, tranne per quanto spetta al numero della popolazione rispettiva in esse impiegata, così non tarderebbe a stabilirsi il vero profitto comune nell’opera rispettivamente più utile ad ognuna di esse per ragione di luogo, con immenso vantaggio sulle marine estere, colle quali la nostra concorrenza nel traffico levantino sarebbe certamente profittevolissima. Conciossiachè molto più frequenti per noi sarebbero le occasioni di guadagnar noli anche dai trafficanti esteri, i quali in generale ricercano con premura il trasporto italiano, perchè sicuro, fedele, ardito al bisogno, e più di tutti economico.
A conclusione di questa parte del nostro discorso sembra lecito affermare:
1.° Che se potessero sopprimersi le varie linee daziarie ora esistenti tra Stato e Stato italiano, l’ordinamento delle vie ferrate ne trarrebbe per certo grande vantaggio:
2.° Che però, non potendosi giugnere ancora a tale scopo, è tuttavia possibile d’ordinare le cautele daziarie per modo, che nè pregiudichino ai dritti del fisco, nè nuocciano grandemente al commercio, nè incaglino le facili e pronte comunicazioni ideate:
3.° Che riuscirà utilissimo al traffico di mare come a quello terrestre colle nuove strade accresciuto, lo stabilimento di dritti portorii assai moderati, uguali ed uniformi per tutti gli scali marittimi italiani.
Sia lecito adunque esprimere il voto, che i savi governi della Penisola procurino quanto prima ai sudditi loro questi miglioramenti.198CAPITOLO V.
Cautele di sicurezza.
Non può contendersi che il nuovo mezzo di trazione delle vetture e carri impiegati sulle vie ferrate, consistente nelle
macchine locomotive spinte dalla portentosa forza del vapore, porta seco alcuni pericoli gravissimi per l’altrui sicurezza, se per mala ventura vengono trascurate le cautele necessarie a prevenire i pericoli anzidetti; le quali cautele importa d’osservare, tanto nell’interesse de’ viandanti e del commercio, che in quello dei conducenti istessi de’ convogli e del materiale d’essi.
Nella nostra Italia coteste cautele sono tanto più necessarie, che, succedendo qualche sinistro sulle nostre vie ferrate, l’effetto morale d’esso sarebbe molto più grave che altrove, e tasterebbe sicuramente per lungo tempo a tener lontano il volgo da siffatto mezzo di locomozione, attesa la minore premura che qui si ha di non perder tempo e l’educazione meno ardita ed arrischiata d’una gran parte della popolazione, più facile assai ad abbandonarsi al timore, anche men fondato.199
Noi non entreremo neppure in questa parte del nostro discorso in troppo minuti particolari, e ci ristringeremo soltanto ai punti più essenziali.
Importa pertanto avvertire:
1.° Che la nuova strada ferrata non sia aperta al pubblico, se non è prima stata collaudata e sperimentata da’ periti governativi, e dichiarata da essi esente dal menomo pericolo in ogni sua parte ed accessorio.200
2.° Che segnatamente l’armatura di essa, le traverse, cioè, i cuscinetti e le ruotaie sieno ben collocati per modo da rendere comodo e sicuro il corso de’ convogli dovunque, e specialmente nelle curve o risvolti:
3.° Che le locomotive risultino scelte nelle migliori officine, della specie più sicura, e cogli ultimi perfezionamenti per esse adottati; — così pure i loro carri di seguito (tenders), le carrozze (waggons), ed altri carri per persone, bestiame e merci; — nè si l’una che l’altra parte di quel materiale si ammetta nei magazzini o rimesse della strada per esser impiegati nell’esercizio d’essa, se non ne precede pure la regolare collaudazione per parte dei detti periti:
4.° Che la strada, interamente cinta od isolata, sia così nei suoi lati inaccessibile; non abbia sulle sue sponde costruzioni che la rendano praticabile; e quegli edifizi che possono esserle vicini siano ad una distanza legale determinata:
5.° Che la strada suddetta ad ogni distanza da fissarsi abbia il casotto necessario al ricovero del guardiano incaricato di avvertire coi prescritti segnali del sicuro passo del convoglio, o della necessità d’arrestarlo per insorto ostacolo o guasto della via:
6.° Che dovunque la strada ferrata è da un’altra ordinaria allo stesso piano attraversata, e non da ponti o viedotti, l’entrata ed uscita dalla detta strada ordinaria alla ferrata sia assicurata con una cancellata da aprirsi soltanto ad epoche fisse quando il guardiano incaricato d’aprirla e di chiuderla è sicuro che non passerà alcun convoglio:
7.° Che ad ogni locomotiva, carrozza e carro venga assegnato l’occorrente numero di conduttori ed agenti, perchè il servizio proceda regolare e senza pericolo; nè costoro possano commettere angarie e soprusi, dovendosi nell’interesse del pubblico e dell’impresa licenziare al menomo fondato richiamo:
8.° Che non si possano caricare da essi nelle carrozze o carri merci pericolose, come sarebbero quelle facilmente accendibili, od in quantità eccedente quella fissata dal regolamento:
9.° Che venga fissato, come già sè detto, il tempo minimo, medio e massimo da impiegarsi nel corso delle locomotive; — nè queste mai siano costrette ad usare forza soverchia d’impulso che possa occasionare esplosione, uscita delle ruote dalle rotaie, rottura di sale, o d’altre parti della macchina e de’ veicoli che la seguono; — ed occorrendo, si in quella che in questi, la menoma degradazione, tosto si cessi dal farne uso per eseguirne la sollecita riparazione:
10.° Che prima d’ogni partenza, ed a ciascuna fermata nelle stazioni, i periti che accompagnano il convoglio visitino perciò attentamente ogni macchina, carrozza e carro, onde accertarsi se possano proseguire la corsa senza pericolo alcuno:
11.° Che al momento della partenza, e prima di fare il segnale d’essa, i conduttori del convoglio s’accertino se ogni cosa è all’ordine, se tutti coloro che han dritto a salirvi sono collocati al proprio posto; — nè permettano ad alcuno di scendere lungo la via, ed anche alle fermate, sì definitive che intermedie, piima d’aver dato il fissato segno d’avviso:
12.° Che arrivando alle gallerìe (tunnels) e piani inclinati usino tutte le maggiori cautele che saran prescritte per passarvi senza pericolo alcuno, ed al menomo segnale de’ guardiani, od anche al solo sospetto di ommessione di questi, tanto ai detti punti, che lungo l’intera via, tosto ordini il conduttore la fermata, nè lasci proceder oltre il convoglio prima d’essersi, accertato del nessun pericolo:
13.° Che succedendo, malgrado siffatte cautele, tuttavia qualche rottura o degradazione nei veicoli o nelle ruotaie, od anche solo temendola fondatamente imminente, ordini il conduttore suddetto egualmente la fermata; — e quando non fosse fortunato abbastanza per prevenire un sinistro, quello occorrendo, tosto conduttori ed agenti, felici abbastanza per scamparne, colla massima prontezza, calma e coraggio mandino per mezzo dei guardiani alle prossime stazioni avviso dell’occorso pei necessari aiuti; ed intanto provvedano a quelli che possono coi passeggeri, pure rimasti illesi, prestare, procurando di quietare gli animi spaventati, e di sollevare gl’infelici cui fosse per mala ventura toccato qualche ferita, cercando di porli in luogo sicuro ed agiato: 14.° Finalmente, che i detti conduttori siano dichiarati risponsali personalmente d’ogni sinistro che fosse per succedere a seguito della loro trascuranza nell’usare le prescritte cautele; — siano perciò dichiarati rimossi issofatto dall’ufficio loro, previa inchiesta da farsi dall’autorità competente; ed essendo inoltre riconosciuti colpevoli in maggior grado, vengano sottoposti alle pene ulteriori che sarebbero dalla legge sancite.
Queste sono le avvertenze principali da aversi presenti, in via di precauzione ordinata dall’amministrazione; resta poi ancora necessaria la pubblicazione d’una legge penale, la quale stabilisca pene adequate contro coloro che, per incuria o malizia, attenterebbero alla sicurezza della strada, de’ convogli, delle persone, del bestiame e delle merci lungo di essa avviati.
Senza entrare del pari ne’ minuti particolari che costituir possono tali attentati, noteremo soltanto i seguenti:
1.°D lasciar vagare bestiame sulla strada per caso aperta:
2.° Il porre od abbandonare sur essa corpi estranei, i quali possano esser d’ostacolo al libero corso de’ convogli, far uscire le ruote dalle guide loro, fermare od interrompere la locomotiva:
3.° Gittar sassi od altri oggetti atti ad ingombrar la strada medesima attraverso la cinta di essa:
4-° Accender fuochi ad una distanza così minima, che possa venirne pericolo d’incendio ai transitanti convogli:
5.° Distruggere o degradare con effrazione od altro modo la cinta suddetta, gli edifizi od una parte qualsiasi della strada:
б.° Levar dal sito dove sono infisse le traverse, i cuscinetti, le ruotaie, le piatteforme girevoli e simili, e degradare o distruggere le banchine:
7.° Portar fuoco o materie accendibili per cui possa avvenire, o succeda in fatti, l’incendio de’ convogli:
8.° Attentare in qualsiasi modo insomma con opere di fatto e maliziosamente al libero corso ed alla sicurezza della strada, dei convogli, delle persone, bestiame e merci, con animo determinato, e col fine di nuocere, od anche per sola imprudenza, la quale possa ritenersi colpevole. Per cotesti diversi atti, o sia che, consumati, abbiano effetto, e non nascan sinistri, ossia, che possano farne nascere e solo siano scansati per circostanze indipendenti dalla volontà degli autori d’essi, debbon essere comminate, ed, occorrendo» applicate pene adequate più o meno severe.
Le varie nazioni presso le quali il nuovo trovato delle strade ferrate ebbe già esteso avviamento, promulgarono al proposito regolamenti disciplinari e leggi penali, che possono utilmente venire imitati.
Tra i regolamenti singolarmente ne piace indicare quello vigente nel Belgio, che trovasi nella già citata opera del Teisserenc sulle strade belgiche; nel quale regolamento notasi provveduto molto saviamente ad ogni cautela occorrente; e ciò con ottimo effetto; perocché vuolsi ad esso attribuire se le strade belgiche, mal grado l’egualmente notevole velocità de’ convogli, ciò non di meno offrono ne’ rendiconti, come più volte s’è notato, uno scarsissimo numero di sinistri; la qual cosa non può dirsi delle vie inglesi e francesi; e quanto alle tedesche, la sicurezza maggiore nasce in gran parte dall’assai minore velocità delle corse.
Fra le leggi penali, finalmente, vuol essere accennata come più appropriata e compita alle possibili emergenze quella recentemente promulgata in Francia dopo ripetute discussioni.201 Queste sono le cautele che c’incumbeva di consigliare in punto di sicurezza202.
CAPITOLO VI.
Altre discipline e cautele.
L’ordinamento dell’esercizio d’una via ferrata è cosa ad un tempo così grave e complicata, che, malgrado le molte avvertenze fin qui discorse nell’accennare le cautele occorrenti nel rispetto politico, economico, daziario e di sicurezza, dopo aver insegnato come debba seguire la corrispondenza de' convogli: restane anconi ad indicare alcune altre discipline e cautele pur necessarie affinchè l'ordinamento suddetto riesca sicuro ed in ogni sua parte cosi esatto e regolare, che pienamente soddisfaccia al proprio assunto.
A questo riguardo, escluse sempre le soverchie particolarità, basteranno alcuni brevissimi cenni.
1.° Si premette che la soprintendenza del buon governo di una via ferrata, sia essa pure regolata direttamente per mezzo di regia azienda, o venga conceduta in vece all’industria privata, debb’essere affidata ad un’amministrazione speciale, incaricata di far procedere in modo regolare, sicuro e pronto l’importante bisogna.
2.° Ne,due casi v’ha questa sola differenza, che nel primo, l’amministrazione speciale debbe avere mezzi d’azione e di controllo; nel secondo, lasciata l’azione all’industria privata, il solo controllo è dalla pubblica amministrazione ritenuto ed esercitato,
3.° Da questa premessa discende, l’azienda operante, o l’amministrazione, che debbe solo controllare, dover avere il numero di periti, contabili, ministri, uffizioli ed agenti che occorrono a far procedere il servizio rispettivamente attribuito; e le incumbenze d’ognuno di cotestoro doversi chiaramente segnare ne’ regolamenti d’ordine interno da promulgarsi al proposito.
4.° È ufficio de’ periti proporre e fer eseguire le opere; — degli amministratori, ordinarne e soprintenderne l’eseguimento; — de’ contabili, pagarne il prezzo; — degli agenti, di custodire, agire e far procedere l’esercizio.203 5.° La computisteria di questo vuol essere chiara e spiccia; — l’esazione, aver per elemento unico le bullette a madre-figlia; — le spese, gli ordini di pagamento dell’amministrazione al contabile, spediti sul certificato del perito; — lo scarico, la quitanza del percipiente; — il complesso della giustificazione delle scritture, in ambo i casi di regia azienda o di privata società indu-
industriale, doversi dare con un pubblico annuale rendiconto, il quale ad appagamento di tutti chiarisca ogni parte del buon governo.
6.° Perchè, mercè d’una efficace e spedita divisione del lavoro, ogni parte del servizio proceda pronta e sicura, sarà bene venga ad appositi agenti assegnata, con prescrizioni determinate; ed anche sia affidata con regolari distinti appalti, se occorre, per ogni parte del servizio, onde, meglio chiarita la responsabilità dell’azienda, quella venga curata a dovere.
7.° Acciò l’esazione proceda con ordine e con controllo, ogni parte d’ essa dovrà sempre avere uffizi speciali aperti, con sufficiente numero di contabili ad essi applicati, e coll’incarico di sollecita spedizione, mediante scritture brevissime, contenenti le sole indicazioni indispensabili, e nessuna superflua, a scanso di perditempo.
8.° Perchè sia cansata ogni confusione, la distribuzione delle stanze dove si prendono i posti, gli anditi da essi alle cale d’arrivo e di partenza, distinte affatto, e le sale dove si aspetta la partenza medesima, o si arriva, dover essere ampie, sufficienti al bisogno, e regolate da appositi ministri ed agenti, i quali in modo spedito, pulito e preciso ad ognuno porgano gli occorrenti avvisi; — ritirino le spedite bullette, onde controllar l’esazione; — tfacciano ad ognuno prendere la direzione che gli spétta; — e provvedano perchè il rispettivo collocamento ne’ posti, come l’uscita da essi seguano senza disordine, senza ritardo, senza pericolo.
9.° Potendo succedere tra codesti agenti e ministri ed il pubblico vertenze e discussioni, importa che, oltre ad un agente superiore dell’amministrazione operante, incaricato di tosto risolverla con precisione, imparzialità, urbanità e fermezza,occorrendo anche con energia: ad ogni stazione principale sia anche costantemente addetto un commissario di polizia; abbia costui l’incumbenza di soprintendere all’ordine compito dell’esercizio; — di provveder sollecitamente sugli insorti richiami cogli stessi princìpi; — d’accertare legalmente qualsiasi contravvenzione ai regolamenti ed alle leggi; — di curarne a suo tempo l’inquisizione e la punizione, con forme spedite e facili; — di dare le provvisioni interinali occorrenti ne’ casi d’urgenza, specialmente quando succedono sinistri; — di contenere autorevolmente chiunque volesse attentare agli ordini stabiliti: usando, in tal caso, il concorso della pubblica forza, destinata ad ogni stazione in numero sufficiente, con incumbenze meramente passive, con nessuna azione direttiva, e tenuta ad usar modi fermi bensì, ed all’uopo anche energici, ma sempre urbani, perciò esenti da qualsiasi angheria e brutalità.
10.° Siccome gli arrivi e le partenze dalle stazioni possono dar luogo ad affollato concorso, onde potrebbe nascere confusione e disordine, fors’anche sinistro; oltre al disporre perchè ognuna delle dette stazioni abbia accessi e recessi amplissimi, distinti, e facilmente praticabili, come già s’è detto: converrà disporre acciò le vetture tirate da cavalli arrivino e partano con ordine prestabilito, portando o conducendo avventori alla strada ferrata; — esse vetture, inoltre, abbian luogo separato da quello assegnato ai pedoni; — nessuna inutil fermata sia alle medesime lecita; — e i conducenti d’esse, dal commissario di polizia dipendenti, ed agli agenti dell’amministrazione, come della pubblica forza subordinati, prontamente vengano nel menomo abuso repressi e frenati.
11.° Le masserizie ed effetti che portan seco i viaggiatori, il cui peso lecito e senz’altro pagamento ammesso, vuol essere stabilito prima, possono esser causa di disordine e di richiami. Importa che siano prontamente registrate, distinte con un numero d’ordine, collocate in carri chiusi, restituite à chi spettano sulla presentazione dello scontrino dato ricevendole, previo pagamento del trasporto d’ogni pesata eccedente la quantità assegnata.
12.° Il numero de’ convogli, le ore di partenza d’essi, fissate ad intero pubblico comodo, notificate all’universale in modo chiaro e preciso; — il tempo da impiegarsi per le corse, e l’ora all’incirca degli arrivi, debbono fissarsi dall’amministrazione superiore colle necessarie avvertenze, specialmente là dove è una sola fila binaria di ruotaie, perchè sia assolutamente rimosso ogni pericolo di scontro negli andirivieni; — e dove sono due file binarie di ruotale acciò sempre libero sia il cambio. — Dovrà sempre esser fissa la fila assegnata all’andare, come al venire, a scanso pure d’equivoci, dai quali derivassero eziandio per mala ventura i detti scontri, sempre terrìbili e fatali.
13.° Per quanto è possibile, i viaggi de’ convogli debbonsi tutti fare di giorno. Se però il gran concorso richiede che quelli si facciano anche di nottetempo; maggiori vogliono essere le cautele per prevenire qualunque pericolo, mediante l’illuminazione sufficiente del convoglio sì esterna che interna delle vetture; — mercè di segnali d’avviso convenuti, onde sia preveduto ogni ostacolo, e fermata, occorrendo, la mossa del detto convoglio, — e mediante deputazione d’un maggior numero di ministri ed agenti preposti a regolarlo.204
14.° Quanto al trasporto delle merci, distinto affatto da quello delle persone, e quando ambi possono formare un convoglio condotto separato, così ordinato: sarà opportuno e spediente che la ricevuta e la rimessione di esse merci registrata brevemente, previa la pesata loro, risulti per iscritture facili e chiare; — che siano osservate le già suggerite cautele economiche e daziarie; — che per maggiore pubblico comodo, ed anche pel più grande concorso, l’amministrazione della strada prenda e rimetta a domicilio degli speditori ogni collo da ricevere e da consegnare, ordinando a tal fine uno speciale servigio gratuito, dato in appalto.205
15.° Finalmente, ognuna di coteste discipline e cautele dovrà esser dedotta a comune notizia in modo facile e chiaro, onde sia da tutti intesa, mercè di regolamenti e proclami, ripetutamente pubblicati, ed anche distribuiti agli avventori, acciò tutti conoscano i rispettivi dritti ed oneri. — In ognuno de’ quali regolamenti dovrà specialmente contenersi l’avvertenza: niuna esazione esser lecita ai ministri ed agenti a titolo di mancia, beveraggio e simili, a pena d’imputata concussione, e perciò di pronta rimozione, indipendentemente dai più gravi ulteriori castighi che fossero meritati. E ciò al fine che tutti sappiano che, pagato una volta il dritto di trasporto fissato dalla tariffa in corso, nessun altro benché menomo pagamento è dai concorrenti dovuto; e che per solo condannevol sopruso potrebbero gli agenti suddetti farsi lecito di praticarne, niun altro diritto di compenso essendo ad essi dovuto che il proprio salario.206 Queste sono le più essenziali avvertenze che ne pare doversi dare per lo migliore ordinamento dell’esercizio d’una via ferrata. Se per avventura ne fosse taluno ommesso, supplirà senza dubbio l’accorgimento di coloro cui sarà tale ordinamento affidato.
CAPITOLO VII.
Ancora; alcuni ultimi essenziali riflessi sulle conseguenze dell’aggiotaggio.
Parlando per l’ultima volta delle società industriali, cui molti vorrebbero vedere esclusivamente affidato l’assunto delle strade ferrate tra noi, senza riflettere al più probabile avvenire del maggior numero di quelle società, crediamo ancora dover fare alcune osservazioni sur esse, onde meglio così fissare l’attenzione degli uomini di Stato che debbono approvarle, e degli speculatori, come de’ privati d’ogni specie, i quali hanno capitali da impiegare, non in ispeculazioni d’aggiotaggio, ma in solidi e reali investimenti.
Lo spirito d’associazione, applicato ed attuato in imprese d’industria d’ogni specie con mezzi reali ed efficaci, è sicuramente atto a produrre risultati utilissimi, cui qualsìasi più facoltoso trafficante da sè, ed anche col concorso di pochi e del più esteso credito, mal potrebbe riuscire. — Ma lo spirito d’associazione esercitato in modo tutto aleatorio non può produrre che risultati fatali alla pubblica ed alla privata moralità ed economia. — Cotesti risultati sono quelli del giuoco tenuto nelle biscazze, dove per qualcuno arricchitosi colle male arti di quelle speculazioni, innumerevoli sono le vittime.
Non è vero che gli eccessi dell’aggiotaggio attuato col giuoco di borsa siano un male soltanto dell’epoca nostra.
Molti dati si hanno, i quali provano che nelle antiche repubbliche italiane esso allignava ugualmente; e le borse della ventura, onde venne poi il giuoco del seminario, erano certamente una delle specie di aggiotaggio che praticavansi allora, collo stesso fine, sebbene con modi e form diverse. — In vece le società potentissime di San Giorgio ed altre, come i varii banchi istituiti in quelle repubbliche, erano associazioni aventi mezzi reali ed efficaci, le quali salirono a quel segno di prosperità di cui l’istoria ci ha tramandato la memoria.207
A’ tempi da noi men lontani la Francia ci porgeva nel secolo scorso esempi ripetuti dei furori dell’aggiotaggio.
Nell’Olanda esso allignava del pari, come ricavasi da un italiano scrittore, ch’ivi risiedeva lungamente (Gregorio Leti).
A’ dì nostri, là dove lo spirito d’associazione è applicato ai pubblici lavori, ed in ispecie alle imprese di vie ferrate, il farneticare dell’universale in simili imprese segue le stesse fasi; quello d’abbandonarsi con furore alle illusioni di mal concepite lusinghe; e d’abbandonarvisi senza aver mezzo di continuar nel giuoco, sperando non già negli utili futuri dell’impresa quando sia compita, ma nei guadagni d’una prematura cessione del carato sociale, mediante un premio conseguibile appena che il valor nominale, salito al corso del cambio, conceda di ottener dalla vendita il detto premio, calcolato sull’intero valor nominale suddetto, di cui s’è appena sborsata però una parte minima soltanto208.
La differenza che vuolsi notare nell’età nostra dall’antica, tutta sta nella più gran somma cui salgono le speculazioni dell’aggiotaggio: la qual cosa deriva da ciò, che ne’ tempi attuali essendo molto cresciute le ricchezze reali, è naturale vogliansi pure accrescere quelle simulate, di cui nella massima parte compongonsi le speculazioni aleatorie in discorso.
Le tre nazioni dove gli eccessi dell’aggiotaggio salgono ad un massimo punto, anche perchè son le più ricche nella nostra Europa (tacendo dell’America settentrionale, dove il malanno giunto all’estremo trovò nelle molte rovine causate un efficace contegno), sono la Gran Brettagna, la Francia, e la Germania. Anche nella capitale spagnuola l’aggiotaggio è animatissimo; se non che il difetto assoluto di mezzi in tutti, lo rende talvolta affatto nullo e ideale, meno per qualche ricco banchiere.
Nella Gran Brettagna, all’opposto, in ragione appunto dell’ingente ricchezza reale, che molte ardite e fortunate speculazioni le procacciarono, quella che fittiziamente si pretende creare è giunta a segno che par favoloso.
Perchè le nostre parole non abbiano taccia d’esagerate, riportiamo la relazione fatta al proposito da uno de’ più riputati giornali del Regno-Unito, traducendo il sunto d’un suo articolo relativo dato da un foglio periodico francese.
«Non è in Francia soltanto», dice quel periodico, «che le immaginazioni ed i capitali si gettano ciecamente nelle speculazioni di strade ferrate. Lo stesso furore notasi pure in Inghilterra, e vi ha già prodotti assai disastri. Varie case di Liwerpool furono costrette di deporre il loro bilancio, dopo di essersi rovinate con temerarie operazioni sulle azioni di codeste strade. Oggi il Times contiene un eccellente e interessantissimo articolo sullo stato delle cose in proposito, di cui ci parve utile di presentare l’analisi e riprodurre i riscontri. Ciò potrà illuminare gli spiriti fra noi, e antivenir forse molte catastrofi. Non basta declamare contro l’aggiotaggio, bisogna procurare di frenarlo; se esso ha preso un sì rapido volo in Francia, sono da accagionarsene in gran parte quegli stessi che affettano di mostrarsene i più scandolezzati. Si è tanto e tanto detto che gli affari di strade ferrate erano miniere d’oro, che la folla finì con credere a tutte queste belle promesse, e si gittò ad occhi chiusi nelle speculazioni che doveano compierle. Lo stesso abbiam detto, è accaduto presso i nostri vicini. Quivi le operazioni in azioni di strade ferrate si aggirano oggi su di un capitale enorme. Giusta il Times, 44 nuove compagnie sonosi formate nel corso di un solo anno, per intraprese che richiederanno un capitale di 900 milioni.
«Le azioni da esse rilasciate ascendono a 1,086,690, e il totale dei premii già ottenuti su queste azioni è stimato di 90 milioni.
«Da un altro canto si contano 58 compagnie, anch’esse di formazione recentissima, e che operar debbono su di un capitale di presso a 1,200 milioni. Il numero delle azioni emesse dalle medesime è di 1,413,000, e il valore dei premii già guadagnati su queste azioni è di 120 milioni circa.
«Talché presentemente il numero delle azioni di strade ferrate circolanti sul mercato inglese, e alimento quotidiano della speculazione, vuol essere calcolato come segue:
Per le vecchie compagnie | …. | azioni | 9,100,000 |
Per le 44 compagnie formatesi nel 1844 | …. | " |
1,086,650 |
Per le 58 nuove compagnie | …. | " |
1,413,000 |
Totale azioni | 11,599,650 |
Così in Inghilterra il giuoco alla borsa si esercita su più di 11 milioni di azioni di strade ferrate. Ma qui non istà il tutto, e questo non comprende che le azioni delle strade ferrate stabilite nei tre regni.209 "Bisogna aggiungervi tutti i titoli delle strade ferrate belgiche, francesi, tedesche, ec., ec., che sono ogni di l’obbietto di mille transazioni nelle borse delle principali citta inglesi, di Londra e di Liwerpool segnatamente. Il Times fa ascendere a 20 il numero di queste strade straniere le cui azioni sono giornalmente segnate sul solo mercato di Londra, e a 250 milioni il capitale che queste azioni rappresentano.
"Trattando questo soggetto", aggiunge il foglio inglese, "noi non possiamo dispensarci dall’eccitare l’attenzione sul modo onde queste azioni ai distribuiscono, e sulle persone che ne prendono la maggior parte. La Camera dei Comuni ha fatto stampare la lista di tutti i soscrittori di azioni in varie intraprese di strade ferrate per una somma maggiore di 50,000 franchi.
Sarebbe superfluo dimostrare l’impossibilita pei più di questi soscrittori di soddisfare agli impegni contratti. Il fatto è evidente, notorio. Vi si veggono donne, persone poste in condizioni subalterne, obbligate per somme che variano da 1,200,000 franchi a 15 milioni. Evidentemente nulla di serio può esservi in simili negozi, e le azioni non furono soscritte che per essere trasferite in tempo opportuno, quando il corso si sarà elevato artificialmente, a qualche speculatore più confidente o più ignorante.
"Cosi l’aggiotaggio ha raggiunte, di là dello Stretto, proporzioni a cui non è per anco, grazie al cielo, salito fra noi. Si è parlato, è vero, a Parigi l’anno scorso di una soscrizione di 22 mila azioni (capitale 11 milioni) fatta da un personaggio più celebre, che ricco; ma si sa pure essere stata questa una delle cause che hanno fatto escludere dal concorso la compagnia sulle cui liste si trovavano soscrizioni così colossali. Gl’Inglesi sono ancora i nostri maestri a questo riguardo, e giova sperare che noi non andremo mai di pari passo con essi.
"Da tutti i fatti e da tutte le cifre che egli espone, il Times deduce due conclusioni. La prima si è che, quando si tratterà di versare la totalità dei capitali esigibili per le strade straniere i cui titoli sono fra le mani di portatori inglesi, il denaro scarseggierà sul mercato, e una crisi finanziera sarà a un dipresso inevitabile. La seconda si è che, oltre a quanto è dovuto all’estero per le azioni soscritte, il capitale impegnato nella stessa Inghilterra nelle linee nazionali è fuori di proporzione coi mezzi disponibili e applicabili a simili affari; e si vedranno allora vendere i consolidati e gli altri yalorì in cui si sono fatti da lunga pezza impieghi. Nuova causa questa di perturbazione da non trascurare in verun modo.
"Le riflessioni del giornale inglese", aggiunge quello francese "sono buone a meditare dappertutto, perchè perfettamente giuste. L’Inghilterra corre manifestamente ad una crisi; ora una crisi in Inghilterra non può non ripercuotersi sui principali mercati del mondo. La Francia se ne risentirà più presto e più profondamente per avventura, che gli altri paesi, perchè essa porta già in sè stessa cause attive di perturbazione, che al primo urto debbono «necessariamente spiegarsi.
"Prudenti adunque coloro che preveggono queste eventualità, e le segnalano altrui fra i deliri del giorno. Prudenti coloro i quali, giacché la gestione delle grandi linee di ferro non ha potuto essere lasciata fra le mani dello Stato, la vogliono almeno affidata a compagnie serie e potenti, capaci di portare, senza cedere, il peso, di tutte le emergenze che l’avvenire può riservarci"
(Dalla gazzetta di Torino N.° 205 del 9 settembre 1845; che tolse tale articolo dal giornale francese La Presse del 2 detto mese ed anno).
I riflessi del foglio francese, come quelli del periodico inglese, certo sono giustissimi. — Se non che, il rimedio che vantasi applicato in Francia, qual succedaneo al principale temperamento, indicato fallito, di non abbandonare tutte le speculazioni in discorso all’industria privata, a parer nostro è ben lontano dall’essere efficace, e dal prevenire le crisi; esso può anzi accrescerne le rovine.
II giornalista francese, noto da lunga pezza per esser favorevole all’aristocrazia bancaria, ne loda le speculazioni; e mentre molti giorni prima prendeva a giustificare la coalizione delle varie società industriali formatesi onde escludere ogni concorrenza favorevole al governo (perciò ai contribuenti) nell’appalto che dar si dovea della nota strada del Nord: pretende che quella coalizione fu anzi utile, perchè così fece cadere l’affare in mano a quella società che sola potrà disimpegnarlo a dovere, pei larghissimi mezzi di cui possono disporre que’ potenti moderatori delle borse di Parigi e di Londra.
L’argomento sarebbe fondato forse, se l’impresa rimanesse davvero a mani di que’ facoltosissimi speculatori.
Ma qui appunto sta il vizio del ragionamento del foglio francese.
È noto che que’ fondatori dell’impresa, dopo essersi assicurato lo spaccio del numero occorrente di azioni, colle promesse avute di molti altri speculatori, essi pure ricchissimi, fonderanno ancora la società anonima, la quale emetterà le azioni definitive, ed avrà in ultima analisi la gestione reale dell’impresa, sia essa composta d’azionisti potenti ed illuminati, ovvero no.210
Lo scopo delle case bancafie fondatrici altro non è adunque che una speculazione di borsa. — La molta fama d’accorgimento e di prudenza che quelle case hanno, avendone giustamente fatto salire il credito a grande solidità, è naturale che la fiducia dell’universale reputi la speculazione medesima anche migliore di ciò che in realtà può essere. — Quindi il rapidissimo accrescimento delle azioni, immensamente diffuse e ripartite in ogni più modesta casa; chè tutti vogliono averne. — Quindi il pronto spaccio d’esse al favorevolissimo prezzo, che le case bancarie preallegate non omettono di tosto lucrare, cessando così dall’appartenere all’impresa, tutta lasciata in mano degli illusi, che avran pagati carissimi i titoli o cedole d’essa, credendoli un’inesaurirbile miniera di lucro.
Se poi questa fiducia conseguirà il pieno suo effetto, lo dira l’avvenire. Intanto ciò che solo v’ha di sicuro e positivo attualmente si è il guadagno realizzato nella prima vendita delle azioni fatta dai banchieri, cbe le ebbero al valor nominale.
Strana tendenza dell’uomo a sempre illudersi! Son pochi anni appena cbe alcune di quelle stesse case bancarie potenti ottenevano la concessione d’una delle strade di Versaglia, ed emettevano azioni per essa del valore di lire 5oo. La fama di quegli speculatori ne facea, crescer tosto il valore al corso, a segno che i fondatori della società per tal fine creatasi vendevano tutte quelle azioni oltre a lire 800.
Costrutta ed esercitata la strada suddetta, le concepite illusioni svanirono; i ricchi fondatori delle azioni le lasciarono a mani del volgo; — e successivamente decadute, nel valore al corso, arrivarono ad esser ridotte a poco più della metà di quello nominale; — attalchè se qualche combinatone ulteriore di prolungamento proficuo di quella linea od altro spediente non viene a migliorare nell’avvenire l’impresa, questa correrà il certo pericolo del fallimento; — laonde l’unico profitto d’essa tutto starà nel primo lucro conseguito dai fondatori.
Ebbene, ciò malgrado, il pubblico parigino applaude al rinnovamento della stessa speculazione quanto ai modi; — poiché, se accresci il valore dell’impresa e la lunghezza della strada, le condizioni, quanto ai fondatori, sono le stesse, — e, non ostante l’esempio recente avuto, tutti vogliono, un’altra volta correre il pericolo di veder rinnovato il caso già seguito.
Ma si dirà: le condizioni sono diverse. Nel primo caso le spese, calcolate in somma insufficiente, ed il prodotto, valutato troppo largamente, furon causa del poco felice esito della speculazione.
In vece’nel caso attuale la spesa prima reale è certa e nota; quella successiva si conosce del pari in modo positivo; la rendita risulta, dai calcoli fatti, più che adequata a procacciare un largo profitto. Questo frutterà dunque agli azionisti; qualunque essi siano, nè alcuna delle temute crisi consimili a quella del detto primo caso potrà succedere.
Rispondiamo che: se la discussione della pratica mostrò certa la prima spesa, probabilmente sicura quella ulteriore, fondati però 'tanto non parvero i calcoli del prodotto, poiché le Camere opinarono doversi accrescere la proposta durata della concessione, onde meglio assicurare fruttuosa la speculazione. D’altronde, il frutto da concedersi valutavasi a proporzioni assai minori di quelle cui dovrèbbe ascendere se il valore al corso delle azioni salisse, per effetto dell’aggiotaggio, com’è da prevedersi, ad altissimo prezzo; ed allora è facil comprendere, che la speculazione da fruttuosa debbe diventar perdente, per effetto dell’illusione creata dal gran credito de’ primi speculatori; i quali soli probabilmente riusciranno a conseguir profitto, mentre i successivi, o non ne trarranno alcuno, od al meno uno molto esiguo in confronto di quello sperato.
Queste induzioni, che a noi paiono innegabili, dimostrano come pecchi l’argomento del giornalista francese, e come il da esso vantato temperamento sia lontano dal rimediare ai pericoli dell’aggiotaggio, cui solo avrebbero in Francia potuto ovviare le proposte del signor conte Darù, delle quali altrove si è parlato, e che noi abbiamo creduto dover suggerire.
Nè le tante altre società che ogni corriere annuncia formarsi in quel regno per aspirare alle concessioni successive ancora da accordarsi, quand’anche esse pure si eoalizzino per raccogliere copia maggiore di mezzi, opereranno altrimenti, nè esse avranno risultati diversi. Il giuoco crescerà sicuramente in Francia come in Inghilterra ed in Germania, finché non sia efficacemente frenato; e se le proporzioni saranno diverse in ragione della presunta e reale ricchezza delle tre contrade, gli effetti ne saranno adequatamente consimili.
Succederanno allora pertanto le stesse conseguenze, le quali noi crediamo dover qui accennare ben più estese e più gravi di quelle dai due giornalisti inglese e francese accennate soltanto nel previsto caso di crisi. 1.° L’industria agricola, in vece di arrivare a que’ miglioramenti di cui tanto pur è ancpra bisognevole, mercè d’utili imprese in essa assunte; per le quali imprese occorrerebbero nuove poste di capitali aggiunti a quelli già in essa impiegati; scaderà maggiormente, od almeno rimarrà viepiù stazionaria, perchè le saran fors’anche tolti alcuni de’ capitali ch’ora son investiti in ispeculazioni agricole per* convertirli in acquisti d’azioni.
2.° Lo stesso succederà, ed in proporzioni anche maggiori, all’industria manifatturiera, la quale ai vedrà tolti molti capitali ch’ora l’alimentano per correre pure all’investimento in azioni di vie ferrate.
3.° Molte fra le tante economie, collocate sicure alle casse di risparmio; sedotte dalle illusioni dell’aggiotaggio, ne saranno ritirate per aadare alla stessa destinazione. E tanto è ciò vero, che da qualche tempo a questa parte notasi ridotto in molte d’esse casse il prima osservato aumento de’ collocamenti superiori sempre allora ai chiesti rimborsi, ch’ora invece li superano. La qual cosa; se in parte può in Francia anche attribuirsi alla legge che ristrinse il massimo accolto degli impieghi, vuolsi pure attribuire alla crescente mania dell’aggiotaggio nelle vie ferrate.
4.° Le già antiche consimili imprese di vie’ ferrate o d’altri pubblici lavori anche felici; e cresciute nel loro valore capitale pei lucri conseguati; abbandonate con premura mercè della vendita delle azioni loro per convertirne il prezzo ne’ nuovi investimenti; avranno per certo ad incontrare una notevol perdita pel ridotto valore delle azioni suddette e perciò del capitale sociale cumulato dell’impresa.
5.° Le cedole consolidate de’ debiti governativi, in generale, per effetto della pace e della buona gestione delle finanze del maggior numero degli Stati, salite al corso ad un valore, di molto eccedente quello nominale, vendute in più grande quantità sul mercato per concorrere ai nuovi investimenti, scapiteranno grandemente nel detto valore ai corso, onde nascerà una grave causa di perturbazione nella fortuna pubblica e de’ privati. Allora, lungi dall’accelerarsi la redenzione di que’ debiti e dal facilitarsene il minore aggravio, mercè del noto spediente delle conversioni, onde ridurne gl’interessi; si renderan quelle conversioni impossibili; e dovendosi, per una causa qualunque contrar nuovi debiti dal governi, le condizioni che faran loro i capitalisti, rivolti ad altre speculazioni, saranno ben più onerose.
A queste innegabili conseguenze dell’aggtaggio pregiudizievoli all’universale, vuoisene ancora aggiungere due altre, le, quali, sebbene tocchino direttamente soltanto ai casi pecuìiari delle singole imprese, e di coloro che in esse perdono le proprie sostanze, non sono meno dannose indirettamente alla ricchezza generale, di tanto scemata sempre quanto si può valutare il cumulo delle perditei ndividuali.
Difatti, un’impresa di vie ferrate, la quale per difetto di previsioni, o per erronee illusioni sia perdente a segno da non potersi compire, od anche compita, da non potersi esercitare senza grave perdita, o da correr persino incontro ad un pieno fallimento, sarà certamenteuna grave rovina, e per le spese prime, fatte inutili, e per quelle future, rese più gravi e più costose, onde salvar quelle già anticipate, e finalmente per i gravi dissesti che produrrà nell’ordinamento del lavoro, con datino degli operai ad esso addetti, e del processo, della produzione.211
Ancora; le perdite e le rovine private, dalla crisi prodotte, operando sempre direttamente, come per riverbero, sopra una ìnfinità di transazioni particolari, non solo saran lesi i fonti della produzione suddetta arrestata nel suo corso, ma, crescendo l’importanza del sinistro, crescerà la miseria pubblica e privata.
Queste sono, a nostro parere, le conseguenze che è pur troppo lecito, anzi dovere, temere dall’aggiotaggio.
Ora quali effetti pregiudicevoli sulla moralità e sulla stessa condizione economica d’una nazione producano siffatte conseguente, sembra inutile dimostrare. Perocché là dove l’avidità di guadagno è promossa all’eccesso e con ogni maniera d’incitamenti, come d’arti subdole e meno oneste; — là dove le frequenti rovine traggono a grave infortunio, fors’anche a disperazione; — là dove invece gli straordinari arricchimenti di pochi non sono frutto d’assiduo lavoro e d’operosa economia, ma solo derivati da raffinata malizia, o della cieca fortuna, fanno un triste contrasto colla rovina di molti miseri accalappiati dalle male arti d’alcuni giuntatori; non sr potrà credere certamente avviata a successivo perfezionamento morale la popolazione, nè sperarsi mai prospera, in fin di conto, la condizione economica di questa.212 Il trionfo dell’aggiotaggio, adunque è compagno del lutto delle molte sue vittime, e per quanto esso sia fin qui riuscito a penetrare nelle aule più riverite e più potenti; — a persuadere che esso ha l’arte di creare capitali; — a spacciarsi comè atto a soccorrere colle sue operazioni l’autorità; — a convincere che concorre al mantenimento così prezioso dell’ordine ed a comprimere i politici trambusti, ottenendo in compenso di tanti pretesi servigi alla repubblica non solo que’ larghi premii in danaro, che sono in sostanza l’unico suo scopo, ma eziandio autorità, influenza ed onori; noi nom possiamo, come tanti altri, sagrificare a siffatto idolo; epperò crediamo debito d’uno scrittore coscienzioso di combatterne coraggiosamente le male arti, di smascherare i subdoli modi con cui all’ombra di quegli speciosi argomenti d’ordine, di sicurezza e di stabilità governativa, che ugualmente possano ottenersi senza l’aggiotaggio, esso cerca insinuarsi anche là dove per buona ventura ancora non è penetrato. Ma ecco un altro argomento d’uomini retti bensì, ma troppo facili a rassegnarsi a que’ mali che suppongono inevitabili.
Sia pure vero, dicon essi, che l’aggiotaggio produca qualche atto immorale; che ne’ casi di speculazioni perdenti esso arrechi rovine private, ed anche danno economico universale; è però un male inevitabile, come tanti altri della presente civiltà: per l’aggiotaggio intanto, se le speculazioni sono felici, grandemente, cresce il capitale nazionale; — per laggiotaggio svegliasi l’operosità dell’universale in sommo grado, e ne nasce una grande attività di traffici, la quale accresce la produzione, e va moltiplicando le facoltà private di coloro che ad essi traffici attendono; — per l’aggiotaggio moltiplicasi all’infinito il giro e rigiro del capitale circolante, ripetendo ad ogni giro il frutto dell’operazione.
Tolgasi con provvedimenti restrittivi questo mezzo di speculazione aleatoria, deriverà l’inazione de’ traffici; e mentre tutte le nazioni che ci circondano attendono ad essi con istraordinaria operosità, noi per iscrupoli morali, e per timori di pericoli economici, rimarremo inoperosi, e dopo aver vissuto qualche tempo stazionari, fatta ragione dell’altrui progresso universale, primeggiante sempre alcune private rovine, le quali sono come i morti e feriti del vincitore in una battaglia (chè quella è pugna industriale) successivamente impoveriremo del tutto, e saremo ugualmente rovinati.
D’altronde, aggiunqesi, volere o non volere, finché vi saranno speculazioni di traffico, vi sarà aggiotaggio; e la cosa è tanto vera, che anche lì dove son leggi proibitive d’esso, quello succede egualmente, non solo di soppiatto, ma nel modo più notorio.
Nella nostra Italia istessa, in fatti, per tacer di Germania e di Francia, abbiamo esempi di società neppure ancora costituite, nè aventi altra concessione tranne quella di fare studi, senza esser certe d’avere quella definitiva, quindi anzi non ottenuta; le quali, abbenchè proibite di spacciare azioni, gran parte però ne aveano di mano in mano collocate.
Tanto fa adunque di permettere ciò che non può vietarsi; perchè almeno non si porge lo scandalo della violazione delle leggi e si può alle Borse, con regole da stabilirsi’, ovviare alle frodi particolari, pìu facili sempre a succedere ne’ contratti clandestini, fatti in frode alla legge, che non in quelli stipulati notoriamente, in modo lecito e legale.
Noi non abbiamo voluto tacere alcuno degli argomenti con cui si pretende, con vario fine, difendere od almeno scusare l’aggiotaggio. Ci proveremo ora a combatterli successivamente.
1.° Si premette che l’aggiotaggio vuolsi distinguere dalla speculazione; della quale esso non che l’abuso; ed a questo riguardo preghiamo i lettori d’aver presente l’opinione invocata dell’economista Chevalier, che abbiamo trascritta alla nota 3 della pagina 70; come si pregan del pari a rammentare quella già da noi esposta al capitolo 8.° del Discorso III.213 Non torneremo pertanto a scanso di ripetizioni su questa indispensabile distinzione. Noi lodiamo, lo dichiariamo nuovamente, la speculazione, e la desideriamo promossa e favorita; solo vogliamo proscritto adunque l’abuso d’essa.
2.° Non si contende che nel principio del secolo, coerente le speculazioni di credito pubblico giovarono a far conseguire quella pace di cui godiamo. Nel contribuire con questa al riordinamento delle finanze di molti Stati, nel consolidarne il credito, quelle speculazioni giunsero a rendere possibile la riduzione dei carichi, che assai gravi pesavano sui popoli. In ciò i banchieri, che allora specularono sui pubblici prestiti, mentre con calcoli previdenti si arricchirono, ad un tempo furono benemeriti della cosa pubblica. — -Lodansi adunque i premii ad essi largiti.
3.° Ma anche in questa materia insieme all’uso nacque pure l’abuso. Imperocché, allettati dalle rapide fortune fatte in quelle speculazioni, sorsero in gran numero altri speculatori, attalchè i traffici sui pubblici debiti degli Stati divennero la principale occupatione dei banchieri, tutti intenti a trasportare dall’uno all’altro debito de’ varii governi i capitali loro, in ragione del maggiore o minor favore del valore al corso delle cedole di essi.
— Allora cominciò l’abuso della speculazione, cioè l’aggiotaggio; — allora le nuove di politica sì interna che estera serviron di mezzo a far alzare o cadere ad arte il detto valore al corso; e quando non si aveano le nuove anzidette atte a produr
variazioni, esse si supponevano, ideandole anche inverosimili, purchè riuscissero ad agire per poco sulle menti illuse de’ giuocatori. - Allora, per meglio attuare il giuoco, si praticò lo spediente dei mercati a termine, vere scommesse, aperte anche ai nullatenenti. Perocché non trattasi in esse già d’acquisto reale d’alcun valore, ma solo di scommettere che una data qualità, d’essi avrà, in capo ad un certo tempo (un mese per lo più), un valore determinato; il qual valore non verificandosi, trattasi di pagare non già le cedole acquistate al proclamato valore, ma solo la differenza che passerà tra il valore reale registrato alla borsa, e quello presunto, e non verificatosi.
Come scorgesi adunque, coloro che attendono, a cosiffatto giuoco, nè han mestieri di capitali ingenti per specular sovr’esso in proporzioni anche larghe assai; — nè lucrando un ragguardevol guadagno, questo costò loro fatica o pena alcuna cui debbasi premio; — nè menomamente crearono capitale alcuno od aumento della generale ricchezza; sibbene una fittizia affatto ne han supposta, la quale non ha alcuna realtà, se si eccettua la somma, per sè poi, rispetto all’universale, poco ragguardevole, de’ premii lucrati da vincitori nel giuoco.
4.° Se questo processo tutto aleatorio sia utile alla cosa pubblica; — se giovi a mantenere l’ordine e la quiete; — se concorra a render più solido il credito de’ governi; — se faccia questi più securi nell’esistenza loro, noi ne lasceremo il giudizio agli stessi nostri avversari di buona fede, come li vogliamo pur giudici, della benemerenza, da attribuirsi ai promotori ed attori di siffatto giuoco.
Troppo pregiasi da noi il buon criterio degli avversari preallegati per credere che vogliano, discussa seriamente la vertenza, opinare in senso diverso dal nostro; troppo stimiamo reale, e non infinta, la moralità loro, per supporre, che vogliano ancora difendere una pratica provata in ogni suo particolare immorale.
5.° Quanto al dir poi che il male dell’aggiotaggio sia una conseguenza inevitabile della presente civiltà, noi non possiamo a modo alcuno ammettere che il vero progresso non possa sussistere senza siffatto abuso, conducente, come riconoscono, l’immoralità. Cotesto progresso vero tale non si potrà mai ammetter pure da noi, se non è anzi accompagnato dalle maggiori cautele morali; — chè il traffico onesto, la sola speculazione, cioè, su’ valori reali e non fittizi, attuata tra gente idonea a dedicarvisi, può sussistere senza il concorso dell’abuso d’essa, e meglio promuove anzi l’aumento della produzione.
Tuttociò ci par cosa di per sè così evidente da neppure richiedere ulteriore discorso.
6.° Per l’aggiotaggio solo con si accresce il capitale nazionale il quale aumenta soltanto per speculazioni fatte con mezzi reali, non con mezzi fittizi, cui la propria nullità vieta di produr cosa alcuna. — D’altronde, le imprese felici nascono dalla vera speculazione, non dall’abuso d’essa; chè, atteso il difetto di giusti calcoli e di consumata prudenza, il detto abuso sa tentare solo imprese arrischiate, per lo più perdenti.
7.° Per l’aggiotaggio non svegliasi un’operosità generale efficace; piuttosto, occupando le menti in non fondate illusioni, si distraggono dal lavoro indefesso e produttivo, come da quello spirito d’ordine e di economia il quale solo produce l’accumulazione della ricchezza; questa le imprese arrischiate e temerarie non possono conservare, perché anche, acquistata col giuco di sorte, non con assidua fatica, disperdesi colla stessa facilità con cui si conseguiva.
Laonde allo stesso modo che le facoltà private non aumentano nelle biscazze il maggior numero di quelle facoltà, il capitale nazionale dilapidato al giuoco di borsa.
8.° Per l’aggiotaggio non si moltiplica punto col giro e rigiro il capitale circolante. Perocché, il giuoco essendo quasi sempre attuato senza mezzi reali, e con soli capitali supposti, anche ammesso un giro e rigiro di questi in più mani, la produzione non può ricavarne aumento alcuno, nessun frutto potendo nascer mai dal nulla; o se ne nasce, sarà mediante anzi il consumo d’altretanta copia di capitale effettivo perduto dal giuocatore, che l’ha avventurato contro il nullatenente.
9.° Non sussiste a modo alcuno che dal cessato aggiotaggio derivi l'inazione de’ traffici, e un’assoluta inoperosità, dalle quali però è vero che deriva la decadenza. L’operosità nazionale impiegata nel lavoro assiduo, e nelle speculazioni solide ed efficaci meglio anzi mantiene l’attività comune, che non l’operosità eccedente i mezzi degli speculatori, i quali mezzi consumansi in isterile fatica. No, non sono vani scrupoli morali, nè men fondati timori economici che conducano a proscriver l’aggiotaggio; egli è il rigore necessarip de’ buoni precetti, l’interesse ben inteso della produzione che consigliano i reggitori onesti, prudenti ed avveduti a condannare un giuoco in cui perdonsi la virtù e le sostanze!
10.° No, non è vero che l’aggiotaggio sia inseparabile dal progresso ben inteso, nel quale abbondano, lo dichiariamo, l’agio comune e le ricchezze equamente diffuse! Egli è compagno piuttosto del mal inteso progresso, dove pochi sono i ricchi epuloni, innumerevoli i miseri faticatori; i quali, bagnato di sudore e di lagrime lo scarso pane che guadagnano lavorando, vedonsi preclusa la via alle economie con cui solo potrebbero migliorare la condizione loro; o se riescono a forza di privazioni a farne alcuna, la vedono carpita da un giuntatore, d'essi più destro ed avveduto, il quale seppe illuderli al giuoco.
11.° No, non è vero che una nazione in cui non abbia ancora, la Dio mercè, penetrato l’aggiotaggio, perchè mancante d’operosità, sia esposta a divenir povera e decaduta a fronte degli operosi vicini presso i quali alligna quel giuoco! Essa potrà ugualmente progredir faticando, in ogni ramo d’industria vera, ritraendone guadagni reali, senza corrompersi colle male arti del giuoco. Posto ancora, che, più castigata, a minori cimenti si avventurasse, e più lentamente arricchisse, il frutto più puro del suo lavoro risulterebbe più solido, più durevole, più diffuso nell’universale; epperò meglio assicurerebbe la comune e generale prosperità, preferibile sempre, osiamo pur dirlo, alle immense ricchezze da pochi raccolte, mentre è desolante la miseria del maggior numero. Non può temersi adunque dell’assenza dell’aggiotaggio la generale povertà, debbesi in vece prevedere da esso la rovina dei più fra coloro che vi attendono.
12.° Quanto al dir poi impossibile d’impedire un tal giuoco, risponderemo: non negare che l’avidità personale può farlo nascere, e praticare anche là dove esso è vietato, ma molto meno gravi allora esserne e men diffuse nell’universale le conseguenze, di ciò che accade là dove apertamente giuocasi alle pubbliche Borse, ed i fogli periodici ne registrano le fatali speculazioni. Succedere in ciò come del giuoco del lotto là dove questo venne abolito; chè alcuni giuocatori viziosi e pervicaci continuano bensì a giuocare all’estero, o ne’ lotti clandestini, ma tolta al maggior numero l’occasione, esso tralascia la viziosa abitudine, e converte in utili spese od in proficue speculazioni quelle somme dianzi consumate improduttivamente nel giuoco.
13.° Un governo il quale abbia autorità, e sappia praticarla con prudente fermezza non manca di mezzi per curar l’osservanza de’ propri provvedimenti; e si dovrebbe compiangerlo di non sapervi riuscire, come di deplora in fatti la condizione di quegli Stati in cui, malgrado il divieto delle speculazioni più arrischiate dell’aggiotaggio, quella, per esempio, de’ mercati a termine, esse si lasciano notoriamente praticare, con permettere che se ne registrino i risultati ai listini della borsa, e che i sensali, cui è interdetto il traffico, vi abbian parte, senza che siano rimossi, come dovrebbero, dall’uffizio loro. Si fatto esempio non prova a modo alcuno impossibilità vera; prova piuttosto debolezza od immoralità governativa, forse i due mali al tempo istesso.
14.° Il caso citato seguito in Italia di spaccio d’azioni fatto non ostante il divieto promulgato, non è prova d’impossibile osservanza di questo, solo dinota seguìta una violazione della legge suddetta, come d’alcune altre interviene. D’altronde non essendo quello spaccio legalmente permesso, nè alle Borse, registrato, solo può essere seguito, in modo privato affatto, e tra intimi e confidenti; epperò con ben minor copia d’illusioni, e delle dannose conseguenze di queste, che notansi quando la speculazione è pubblica ed a tutti accessibile.
15.° Quando un governo stabile e regolare promulga un divieto lo mantiene osservato in tutti i casi che sono ad esso noti, qualche infrazione non avvertita del medesimo non può chiamarsi una violazione scandalosa della legge, sihbene uno de’ soliti incidenti dell’umano consorzio in cui sempre furono e saranno uomini trasgressori delle leggi, alcuni puniti delle pene sancite contro essi, perchè colti in colpa, altri a caso impuniti, perchè il reato loro non venne a notizia del governo, non per chè questo, anche saputolo, trascurava la prescritta repressione.
16.° Allegar, finalmente, preferibile la tolleranza d’un abuso perchè dalla sua più recondita pratica potrebbero venirne conseguenze peggiori, che se fosse nell’atto della tolleranza medesima regolato con qualche freno, ei pare im argomento affatto erroneo nel caso speciale. Vi sono, è vero, nel civile consorzio alcuni mali che, propri dell’umana debolezza, non potendosi interamente far cessare, si tollerano con qualche regola anche notorii, per cansare mali più gravi; ma tra questi non può annoverarsi l’aggiotaggio al quade abbiam veduto possibile un freno.
Conchiudiamo; se un governo vuole davvero appor questo freno, sta in sua mano di farlo, e il savio provvedimento, promulgato dall’oracolo della legge, fatto osservare con prudente ed accorta fermezza, debbe fruttare resultati utilissimi al vero progresso, giovando alla morale ed alla stessa più solida condizione economica della nazione.
A coloro che allegassero più ricche alcune delle nazioni dove ora più ferve l’aggiotaggio, a confronto d’alcune altre, dov’esso non è ancora penetrato, risponderemo: chè quelle nazioni, già ricche, ben più lo sarebbero in realtà se tanti capitali consunti nel giuoco si fossero a più solide e più reali speculazioni applicati. — La vera ricchezza loro, frutto d’alcune di queste speculazioni, è dell’assiduo, come dell’efficace lavoro, temperare bensì le dannose conseguenze del giuoco; renderne meno sensibili e palesi le funeste conseguenze; ma a lungo andare, crescendo il male ed aggravandosene gli effetti, poter succedere a quelle nazioni come ad altre è succeduto, di veder giungere i disastri economici a segno di consumare la generale rovina. — La minore ricchezza delle altre nazioni, dove non ancora penetrò l’aggiotaggio, non derivate menomamente dall’assenza di questo, sibbene dal difetto d’operosità nelle speculazioni vere ed efficaci, da vizioso ordinamento del lavoro, da erronei provvedimenti economici a guesto relativi. Rimediati cotali difetti, quelle nazioni, premunite ancora al tempo istesso dalla tabe dell’aggiotaggio, ben più presto giugnerebbero a vera e solida prosperità, poichè ogni speculazione di traffico in esse promossa, e da savie regole governata, in breve riuscirebbe a porgere i più larghi profitti.
Discussa ne’ termini più estesi la materia presa a trattare, ora rimane a far cenno dell’applicazione delle nostre dottrine ai varii Stati della Penisola.
In essa, la Dio mercè, finora la piaga dell’aggiotaggio o non allignò mai, od appena si mostrò esordiente.
A Napoli, anni sono, le imprese che a quell’abuso conducono, se male ordinate, ad un tratto si moltiplicarono, come già notammo.
Nè mancarono scrittori, i quali tentarono di aggirare l’opinione e persuaderla di potere crear dal nulla immensi valori.214 Un momento riuscirono là dove le menti più vive più erano soggette a cadere in siffatte illusioni. Ma una circostanza lamentevole, già accennata al capitolo I.° discorso III, la quale gravemente pregiudicò quelle istituzioni di credito, se produsse rovine, riuscì però ad illuminare il buon senso pubblico sulla fallacia delle bandite teoriche. Lo spirito d’associazione ne fu gravemente compromesso: e fu vero infortunio, lo dichiariamo, ma la tabe del giuoco fu anche annullata, e noi, le auguriamo che non si rinnovi più mai.
A Milano ed a Venezia si tentò d’introdurvela nell’esordire dell’impresa della via Ferdinandea, ed anche nel corso delle sue peripezie; ma il buon senso italiano ivi pure, la Dio mercè prevalse.
A Trieste il traffico reale abbastanza occupa da una parte; dall’altra manca l’occasione, quella strada facendosi dal governo.
Nella Toscana, in vece, ed a Lucca, come abbiamo veduto, non mancarono tali occasioni. Se gli speculatori trovarono il paese per più ragioni non ancora preparato a figurare come primo partitante nel giuoco, seppero associarvi l’estero, e le cose sono avviate a segno, che può col tempo, se non si provvede all’uopo, aggiungersi al malanno del lotto quello ancora dell’aggiotaggio; del che preghiamo il cielo venga quell’ottimo e bel paese preservato, mercè della saviezza d’un governo paternale, che ancora è in tempo ad arrestare la funesta tendenza. Negli Stati sardi la previdente saviezza d’un governo paterno ed oculato, resistendo alle sollecitazioni degli speculatori, i quali non mancarono di cercare con ogni maniera d’inviti e proposte di ridurlo al mal passo, seppe finora tenere illeso il paese da quella tabe; e mentre notiamo come i sudditi debbono essergliene grati, faceiam voti perchè, senza lasciarsi sedurre dagli altrui sofismi, o intimorire da certe impazienze, quel governo continui nel tenuto sistema.
A Parma, a Modena, a Bologna ed a Roma fin qui mancò l’occasione. Noi, che pensiamo potersi far le vie ferrate senza inciamparvi, ben lontani dal desiderare che non si facciano, come vorrebbero alcuni, per sfuggire ai pericoli dell’aggiotaggio: auguriamo a quegli Stati, che i reggitori d’essi, imitando gli altri governi italiani, i quali seppero tentar l’assunto, scansando gli abusi d’esso, procurino ai sudditi un beneficio che il voto pubblico non dubbio sollecita nel modo più evidente ed insieme più giusto.
A tutti i governi italiani, in somma, desideriamo il cauto e retto ordinamento delle vie ferrate, che la rispettiva condizione de’ luoghi dimostra utili ed opportune; colle cautele però gii consigliate e che seguono, qui riepilogate in più esatta formola, onde tener sempre lontano dalla Penisola il fatale malanno, cui ci credemmo tenuti a muover guerra, svelandone e combattendone le male arti e le illnsioni:
1.° Nell’ordinamento di qualsivoglia società per azioni sia proibito di creare ed attribuire ai fondatori quelle beneficiarie.
2.° Venga in tale occorrenza pure vietato di far traffico delle promesse d’azioni, molto più delle prime ricevute provvisionali delle dette promesse, con cui i concorrenti impegnansi, mediante una determinata somma versata, a promettere di prendere un dato numero di azioni.
3.° Non sia lecito alcun traffico di azioni che dopo la costituzione definitiva della società, e remissione regolare delle cedole costituenti la proprietà d’ogni azione.
4.° Dichiarisi specialmente proscritto l’uso de’ contratti a termine, coi quali prendesi l’impegno di rimettere ad epoca fissa, ed al prezzo convenuto, un determinato numero di azioni, che non si hanno; pagandosi soltanto, senz’alcuna rimessione di titoli, a scadenza il montare della differenza che passa tra il prezzo convenuto ed il valore al corso.
5.° Sia perciò proibita alle borse commerciali la liquidazione di siffatte differenze, e vietato ai sensali addetti a quelle borse di prender parte in tali negozi; registrarli ne’ loro taccuini e conti-aperti; prestare il proprio ministero a quelle liquidazioni, come a qualsiasi contratto di compra e vendita di azioni senza la oontemporanea rimessione materiale delle cedole o titoli d’esse.
6.° Non possano i listini della borsa registrare e far noti che i prezzi occorrenti delle cedole così vendute e comprate, non mai quelli di ricevute provvisionali, di promesse d’azioni e di contratti a termine.
7.° Sia vietato ai giornali di registrare nelle pagine loro manifesti per società non autorizzate, e prezzi correnti d’azioni altri che quelli legalmente registrati alla borsa de’ contratti seguiti come al precedente n.° 5. Non mai i prezzi correnti, e nè manco le offerte di vendita delle ricevute provvisionali, delle promesse d’azioni e dei contratti a termine seguiti. Così pure non possano promulgare qualunque calcolo preventivo concernente a società per azioni, senza la previa autorizzazione del presidente del tribunale di commercio.
8.° Siano comminate ai sensali come ai trafficanti d’azioni ed agli editori risponsali dei giornali, i quali tutti contravenissero ne’ modi come sopra vietati, pene di multa, di rimozione dall’ufficio, ed anche personali di carcere ne’ casi di recidiva, e d’insolvibilità.
Tutte queste discipline per niente incagliano le speculaziooi reali e non fittizie, che volessero farsi delle azioni definitive, delle quali anzi desideriamo promosso e protetto il traffico serio ed onesto. Tutta la severità del proposto provvedimento sol tende adunque a frenare il giuoco, il traffico fittizio ed illecito, come i soprusi che possono farsi all’altrui buona fede; raggiri questi che la buona morale condanna, nè l’interesse economico richiede di permettere, perchè anzi ad esso nocivi.
Noi non ci nascondiamo, terminando, che questo capitolo dell’opera nostra spiacerà grandemente a tutti coloro di cui tende ad incagliare le abitudini e la professione di giuocatori di borsa.
Gli uni ci accuseranno di scrupolo morale ed economico; gli altri d’assoluta ignoranza de’ progressi della scienza; di esser seguace d’idee pregiudicate e retrograde; di severità eccessiva; di avversione allo spirito d’associazione; di contradizione, in fine, a quelle dottrine di vero progresso, tratto tratto bandite nel corso dell’opera nostra.
I moderatori delle Borse che partecipano all’aggiotaggio ci chiameranno nemico della libertà commerciale, e forse minacceranno di non voler sottoporre i capitali loro a tali vincoli.
Quanto a questa minaccia, confortiamo i governi a non ispaventarsene; perchè, sempre quando offrano speculazioni convenienti, nelle quali siavi fondata lusinga di lucro, i capitali accorreranno solleciti, e si rassegneranno a qualsivoglia vincolo che non tocchi alla sorgente vera del lucro medesimo, com’è appunto il caso.
Rispetto alle imputazioni fatteci, noi ci rassegniamo a sopportarle, sebben convinti di non meritarle; indifferenti come siamo a riuscire, o no, graditi a coloro cui cerchiamo anzi d’impedire ogni anche menoma azione ed autorità fra noi. — Chè il pensiero di potere, anche approssimativamente soltanto, riuscire in siffatto assunto, con immenso vantaggio morale della patria nostra, è ben largo compenso alla malavoglia, ed anche alle stesse contumelie che ci potrebbe fruttare questa parte dell’opera nostra.
CAPITOLO VIII.
Riepilogo e conclusione del discorso IV.
Volendo brevemente riepilogare ancora le cose dette in questo capo, come si è fatto de’ precedenti, onde trarne una conclusione di men dubbia applicazione, occorre osservare:
1.° Non poter isfuggire a chicchessia la necessità di stabilire ordinate relazioni tra le amministrazioni delle varie strade ferrate proposte, perchè i convogli d’esse abbiano sicura ed utile corrispondenza fra di loro; la quale corrispondenza quando non venisse, come s’è proposto, ordinata, sull’esempio dell’inteso e praticato altrove, molto danno ne avverrebbe a quelle imprese, si di perditempo, che di maggiore spesa.
2.° Dover perciò gli Stati o società che successivamente nella nostra Italia manderanno a termine le strade loro, e ne cominceran l’esercizio, prima intender fra essi i patti relativi a siffatta corrispondenza de’ convogli, imitando le preallegate altrui già seguite convenzioni, mercè delle quali il servizio delle dette strade riuscirà più sicuro, più pronto e men costoso, con rispettivo vantaggio de’ contraenti che molto erroneamente opererebbero, se trascurassero siffatti reciproci concerti.
3.° L’ordinamento politico attuale della Penisola richiedere l’ordinamento d’alcune cautele politiche sulle nuove strade, ond’escludere ogni pericolo che si possa suppor derivante dalla straordinaria rapidità delle relazioni. Codeste cautele però potersi regolare in modo, che, mentre ne sarà tutelato il pubblico ordine e la sicurezza de’ governi, non ne avvenga inutile perditempo per soverchie fermate ai confini, e pubblico malcontento per moleste inquisizioni; perciò allontanamento de’ viandanti.
4.° Potersi conseguire siffatto scopo, se anche, ad imitazione del praticato altrove, si adotterà lo spediente di ritirare al detto confine le carte di libero transito, di cui ogni viaggiatore estero è munito (cioè passaporti), all’atto del partir de’ convogli, permutandole coi così detti scontrini, da restituirsi arrivando a destinazione; dove nell’ufficio di polizia appositamente aperto si potran poi praticare le indagini reputate necessarie sul conto di ogni viandante senza che più sia ritardato il corso del convoglio.
5.° Giovare assai, che coteste norme e formalità nano tra i varii Stati italiani concertate uniformi, anche al fine d’ottenere il migliore esercizio delle varie amministrazioni politiche, le di cui relazioni reciproche sarebbero così talvolta occasione d’utili indicazioni nell’interesse dell’ordine. 6.° Queste norme e cautele però suggerirsi da noi, con speciale protesta, ch’esse vengan ordinate e praticate con prudente, larga e moderata tutela, non mai coll’intendimento di suggerir moleste angherie, da cui l’animo nostro, più a fiducia che a sospetti inclinato, è anzi molto alieno.
7.° Una eguale e conforme tariffa italiana per tutte le strade ferrate della Penisola, ragguagliata ad un tanto per kilometro su di esse percorso da ogni persona, capo di bestiame, o pesata di merci, essere nella generale e rispettiva convenienza d’ogni amministrazione; doversi portanto desiderare che tutte a tal fine si concertino per intendere e promulgar concordi la tariffa suddetta.
8.° Essere quella propizia occasione per certo d’adottare pesi, misure e monete conformi, nel rispettivo valore e divisioni, se non nella denominazione, scegliendo di preferenza quelle decimali, cui tende l’universale. Perocché sarebbero così grandemente agevolati i rispettivi rendiconti di debito e credito che le diverse amministrazioni debbono tenere aperti, e liquidare ad epoche determinate a reciproco compenso degli aiuti datisi. Che se questo miglioramento non fosse ancora possibile, potersi tuttavia, ciò non ostante, fare eziandio la suggerita tariffo conforme, mediante esatto ragguaglio de’ pesi, misure e monete d’ogni Stato con quelli dell’altro.
9.° Al fine di non suscitare alcuna concorrenza tra Stato e Stato della Penisola, non doversi, a parer nostro, considerare leciti ed utili straordinari ribassi delle tariffe; perocché il ben inteso interesse dell’universale richiede anzi che, considerandoci tutti quai membri della stessa famiglia, tutti concorriamo in modo eguale a stabilire il vero utile comune ne’ rispettivi traffici tra di noi e l’estero.
10.° Non essere, come alcuni suppongono, così difficili i rispettivi relativi concerti da intendersi tra’ varii governi della Penisola, purché vi si accingano essi lealmente, e colla suddivisata liberale intenzione d’una comune fusione interessi. La quale fusione è interamente praticabile senza la menoma lesione della indipendenza de’ singoli Stati in cui è di presente l’Italia divisa; come non ne fu lesa l’indipendenza de varii Stati germanici, dov’essa fusione così utilmente si è per essi operata. — in questo solo senso avere il lettore ad intendere le ripetale nostre esortazioni d’italiana concordia, non già in altra politica intenzione, alla quale non è mente nostra prender parte alcuna. Poiché allo Stato nostro attuale noi avvertiamo soltanto, nè sur alcuna politica futura contingenza speculiamo; ma solo delle economiche nostre condizioni vogliamo qui discorrere, tenendoci ad ogni altra vertenza estranei.
11.° Doversi stabilir regole di costruzione chiare e precise, come per la provista di materiale perfetto ed adequato al bisogno; — ancora; doversi deputare il numero occorrente d’agenti, ministri ed uffiziali, bene segnandone le incombenze, i premii, i castighi ed i casi di responsabilità civile cui son per essi tenuti gli amministratori.
12.° Aversi a fissare le norme tutte concernenti la partenza ed arrivo de’ convogli; — all’ordine da osservarsi in essi; — alla durata delle corse; — al materiale da destinarvisi in ragione del concorso; — alle formalità e discipline da prescrivere perchè non segua confusione o sinistro; — ai provvedimenti da darsi quando ne succedano; — al modo pronto e facile di porger querele fondate per dovute indennità; — alle regole atte ad impedire attentati, ed a curarne la repressione come il risarcimento de’ danni quando si commettano malgrado l’usata vigilanza.
13.° Nel caso d’ordinamento di società anonime per costrurre ed esercitare le nuove vie, doversi prevedere colle più efficaci cautele gli abusi che la sperienza dimostra successivamente in esse introdotti dalla più condannevole avidità personale degli speculatori, sia col vietare le azioni beneficiarie, il traffico delle promesse d’azioni, il commercio d’azioni non ancora possedute, da rimettersi a termine; il tutto sotto pene di multe ed anche personali, come di rimozione dall’ufficio, contro i mediatori che vi prestassero il proprio ministero. 215 14.° Ancora; doversi ordinare il governo intanto e direttivo di quelle società per modo, che l’interesse degli azionisti, sovente esposti a gravissime giunterie, sia efficacemente cauto; - giovare a tal fine che i più illuminati e facoltosi fra’essi ne siano i direttori; — che la più grande pubblicità accompagni gli atti ed i rendiconti di questi; — e che gli statuti delle dette società, studiati a dovere, approvati previo attento esame dall’autorità legislativa, con opportuna vigilanza di questa, si facciano puntualmente osservare.
15.° Richiedersi a cautela degli interessi del fisco, che siano le corse de’ convogli ordinate in guisa, che men facile con esse riesca il contrabando, senza che però ne avvenga soverchio ritardo nelle corse predette; come può ottenersi praticando le suggerite formalità, altrove già sperimentate bastevoli all’uopo.
16.° Una lega doganale italiana certo essere utile se potesse ordinarsi con norme veramente liberali nel rispetto economico; ma dubitarsi con fondamento della possibile sua conchiosione, sia di tutti gli Stati italiani, sia di quelli soltanto non aggregati ad estero dominio, e sia, finalmente, di tutta la Penisola e dell’intero austriaco Impero, cui parte di essa è congiunta, coll’unione germanica. — La quale ultima unione, ove fosse così accresciuta, sarebbe una magnifica combinazione pel gran traffico del mondo.
17.° I pericoli delle strade ferrate essepdo gravissimi per la sicurezza de’ convogli, delle merci, e più ancora delle persone, importare assai che niuna cautela venga omessa o trascurata per impedirli, e succedendo, ciò malgrado, alcun sinistro, per apporvi sollecito rimedio. — Potersi siffatto scopo conseguire con efficacia ove si adottino le suggerite cautele, le quali in altri Stati già praticate vi resero men frequenti i detti sinistri. — E siccome, non ostante quelle cautele, l’umana perversità con attentati iniqui potrebbe tuttavia tentare di farne succedere, essere necessarie leggi penali severe, atte a contenere chiunque volesse rendersi colpevole di siffatto reato.
18.° Ancora; oltre alle regole prescritte per la corrispondenza de’ convogli e per le cautele politiche, economiche, daziarie e di sicurezza, essere necessarie altre cautele e discipline, merci delle quali l’ordinamento delle vie ferrate riesca viepiù sicuro, esatto e regolare. — Coteste cautele e discipline maggiori consistere specialmente nel ben inteso ordinamento dell’amministrazione di quelle vie, sia che il governo le ritenga a proprie mani, o sia che le conceda all’industria privata; — nel deputare per l’amministrazione, come per l’esercizio il numerò d’ufficiali ministri ed agenti probi e capaci che occorrono; — nel segnarne in modo chiaro e preciso le incombenze, le pene ove manchino al dover loro, i premii se invece lo adempiono con zelo ed intelligenza; — nell’ordinar eoa esattezza tutto ciò ch si riferisce alla contabilità dell’impresa, prescrivendo pubblici rendiconti per la medesima;216— nel disporre il numero e l’ordine de’ convogli, l’accesso e recesso alle cale di arrivo e di partenza, l’orario delle corse, la velocità e la durata di queste, il collocamento ne’ posti, la destinazione delle vetture che conducono merci e viandanti alle nuove strade da quelle ordinarie, in guisa che non succeda alcuna confusione per quanto sia grande il concorso; - nel prescrivere per quanto è possibile di giorno soltanto le corse suddette; — ed ove sia necessario farne anche di notte, nel provvedere acciò, ben illuminati i convogli, e da maggior numero d’agenti regolati, sia viemeglio rimosso ogni pericolo di sinistro; — nel fissare per l’andare e pel venire le guide da percorrere in modo ben chiaro ond’evitare gli scontri sempre fatali e pericolosi; — nel promulgare, finalmente, ad intera comune notizia tutte le regole fin qui discorse, acciò sian davvero a tutti note, e venga, per quanto è umanamente possibile, rimosso ogni pericolo d’abuso e di attentati, specialmente quelli contrari alla sicurezza, e i soprusi delle mancie e beveraggi, che debbono severamente vietarsi.
19.° Doversi avvertire essenzialmente all’attuale piaga sociale dell’aggiotaggio, la quale gravemente, minaccia l’intero civile consorzio. — Aversi difatto dai riscontri che porgono i fogli periodici della Gran Brettagna, che il giuoco di borsa versa colà sur una somma tale di valori, ed in modo così arrischiato, che necessariamente debbe nascerne una crisi, la quale per riverbero debbe farsi sentire nell’orbe intero. — Nella vicina Francia, sebbene le somme poste in giuoco, attese le minori facoltà, non siano così ingenti, nulla meno l’esaltazione delle menti per l’aggiotaggio avendo pure guadagnate le classi minute, doversi ivi pure temere scossa eguale. — Nè la concepita lusinga di veder la crisi dominata dai moderatori della Borsa più facoltosi essere fondata; perocché s’essi dapprima assumon le impreae, col pronto spaccio delle azioni, su cui ottengono grandi guadagni, dalle imprese medesime si tolgono, per lasciarne ogni pensiero alla folla degli azionisti, cui spesso tocca, cessate le illusioni ed arrivata l’ora del disinganno, di veder ridotte assai le concepite lusinghe; e la realtà dimostrando perdente la speculazione, venirne straordinario ribasso delle azioni, onde le crisi, dalle quali talvolta il fallimento.
20.° Finalmente da questi dati risulta provato quanto sia nel rispetto morale ed economico dannoso l’aggiotaggio; e distinto esso nuovamente, coi fallaci suoi cómputi, che a soli valori fittizi accennano, dalla vera speculazione, che fondasi su valori reali, aversi ad esaminare sino a qual punto possano ammettersi gli argomenti di coloro che vogliono difendere od almeno scusare quest’abuso della speculazione suddetta. — Cotesti argomenti non reggere ad una seria discussione, quand’anche in ogni più favorevole senso loro si adducano; — dimostrarsi dalla confutazione d’essi, che l’industria agricola e manifatturiera, ogni specie di traffichi, i risparmi del povero, i crediti, del governo tutto in somma è dall’aggiotaggio posto in pericolo; la condizione morale ed economica delle popolazioni esserne perciò gravemente pregiudicata; le contrade dove ancora non è penetrato, aversene a mantenere preservate per l’avvenire. — Fra esse l’Italia averne avuto anni sono un saggio a Napoli, di poi felicemente cessato, sebben con danno dello spirito d’associazione: — Nel Regno Lombardo-Veneto aver tentato di penetrare, ma inutilmente. — A Trieste le occupazioni commerciali e la strada intrapresa dal governo non avervi dato occasione. — In Toscana ed a Lucca invece le soverchie concessioni avervi per tal modo aperto il campo da temerne funestissime conseguenze. — Negli Stati sardi la prudente riserva del governo, resistente ad ogni raggiro fatto al proposito, essere riuscita a mantenere illeso il paese da quella tabe. A Parma, a Modena, a Bologna ed a Roma non essere penetrato per difetto di occasione, che si vorrebbe però vedere non derivante dal rifiuto assoluto d’apertura di nuove strade, ma solo impedita dalle cautele ordinate per impedire che s’introduca nelle concessioni. — Coteste, cautele, infine, esser per tutti quelle già accennate al n.° 13, e bastare esse all’assunto di lasciar libera e non incagliata mai la speculazione sulle azioni, impedito solo l’abuso di essa, applicato alle azioni beneficiarie, alle promesse d’azioni, ed ai contratti a termine, vietandone di tutti il traffico.
Queste sono le norme e le cautele che ci sembrano, atte ad assicurare la compiuta e sicura esecuzione del divisato ordinamento di vie ferrate italiane.
Con tali norme e cautele ci pare che ad ogni interesse provvedesi; — con esse ogni parte dell’assunto materiale è conciliata con quello morale, che non mai debbesi trascurare in qualsiasi umana speculazione. — Colle medesime, in somma, crediam per fermo, accennarsi davvero allo scopo di promuovere colla maggiore efficacia la prosperità intesa della patria comune, impiegandovi mezzi leciti, di facile e pronta applicazione, senza il concorso d’alcuna utopìa di princìpi, d’illusioni preconcepite, o di pericolose dottrine, per cui governi e privati, con ragione interessati a scampare da ogni danno ed errore, potessero concepir dubbi sulla possibile pratica esecuzione, o timori sulle prevedibili conseguenze di questa.
Niuna cosa di fatto abbiam proposta, cbe già altrove non sia stata praticata e sperimentata possibile e vantaggiosa.
Nessun abuso o pericolo altrove sorto abbiamo ommesso di notare, contemporaneamente proponevo efficaci ed opportuni rimedi.
Niuna discussione morale ed economica abbiam ricusato d’intraprendere, abbencbè taluna fosse anche dilicata, procurando d’assumerla con leali ed onesti pensieri, e di trattarla con parole quiete e temperate, senza alcuna opinione preooncepita, e col solo fermo proposito di farne emergere la conoscenza del vero e del giusto, al quale scopo abbiamo fiducia d’essere giunti.
Posta in siffatta condizione di cose la materia da noi trattata, speriamo cbe, volendosi mandare ad effetto il proposto ed universalmente desiderato ordinamento, questo potrà a buon fine procedere, mercè dell’ottimo pubblico criterio, cbe notasi nella presente progressiva civiltà; — e mercè del prudente ed illuminato accorgimento de’ governi italiani, i quali sicuramente o continuando nella lodevol via finor già battuta, od entrandovi d’ora in poi col badare alle norme e cautele sopraccennate, sapranno efficacemente far progredire l’assunto, e mandarlo tosto a buon termine.
In fatti, cbe il pubblico criterio ogni giorno si vada migliorando fra noi, non è più lecito dubitarne, se si avverte all’universale tendenza d’educare, instruire e migliorare ogni classe della popolazione, in ispecie quella più numerosa, finora (conviene ammetterlo) lasciata in molte parti della Penisola in una lamentevole ignoranza. Dalla quale è naturale che nascano idee pregiudicate, quindi una decisa renitenza ad accogliere ogni miglioramento morale e materiale; renitenza di cui i nemici del progresso, per men retto fine, spesso sanno approfittare con trista abilità, onde far tornar fallita ogni più facile ed utile impresa.
Cotesto miglioramento, quando la nascente generazione sarà veramente educata ed instruita, non solo sarà più facile, perchè cesserà il principale ostacolo ch’or le è frapposto; ma nascerà spontaneamente promosso da quegl’istessi ch’ora gli sembrano avversi.
Che il moderno progresso civile sia conciliabile, anzi interamente consono coi princìpi religiosi e morali, si dimostra da tali argomenti ed autorità, che sarebbe un volere perder tempo e fatica farne qui materia d’ulteriore discorso. Dal quale perciò si prescinde, troppo essendone il maggior numero persuaso, e quanto ai pochi ancor riluttanti ravvisando al postutto inutile combattere opinioni radicate dall’ostinazione, o da men retti interessi promosse.217 Che i governi italiani vogliano sinceramente il bene de’ propri sudditi, e perciò curino con premura la pubblica prosperità, ricavasi da molti provvedimenti loro, i quali a tal fine appunto accennano; e si deduce altresì dalla più libera discussione, che molti fra essi concedono di quanto alla detta prosperità può contribuire, usate le cautele stimate opportune all’uopo.
Non mai adunque vi fu occasione più opportuna e più propizia di questa per entrare in una via di largo e ben inteso progresso civile. — Non mai vi fu maggiore e più efficace mezzo di propagare il detto progresso, senza pericolo alcuno, ripetesi, di quello dell’apertura di numerose vie ferrate, le quali porranno gl’Italiani tutti non solo in pronta, libera e men costosa relazione fra di loro, ma eziandio cogli altri popoli dell’orbe intero.
Terminiamo adunque quest’ultima parte del nostro quarto discorso col ripetete il voto già più volte espresso di veder universale il concerto de’ governi e de’ privati nella bella ed utile impresa, e coll’esprimere pure la fiducia di non veder deluse le nostre speranze, derivanti da un ben giusto ed onesto desiderio.DISCORSO QUINTO.
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CAPITOLO UNICO.
Riepilogo finale ed ultima conclusione.
Nel nostro primo discorso, brevemente ricordata l’antica condizione dell'italiana civiltà, spiegammo per quali cause al rinascimento d’essa, venuto dopo la barbarie flagrante del medio evo, le vie di comunicazione, vero elemento di prosperità e misura della condizione civile d’un popolo, erano tra di noi men buone, quanto alle strade, sebbene quanto ai canali cominciassero ad essere meglio governate, giovando questi ad un tempo all’agricoltura ed all’industria.
Toccate di volo le speculazioni onde si alimentava il commercio di Roma più conquistatrice che trafficante, delle sue relazioni coll'Oriente, dove sempre è seguito il gran traffico, abbiamo parlato, notando come il Mediterraneo fosse il primo tra i mari navigati, e servisse a quelle relazioni, destinate a pascere il lusso della repubblica ed a nutrire il popolo re.
Cessato lo splendore della romana potenza, durante la quale gli Alessandrini erano fattori di mezzo mondo, come lo erano stati prima i Fenizi ed i Cartaginesi, ricordammo che i Greci nel Basso Impero, poi gli Arabi, quindi gl’Italiani al finire del medio evo avessero il primato commerciale.
Della malaugurata perdita di questo,, epperò della decadenza d'Amalfi, di Pisa, di Venezia e di Genova abbiamo successivamente parlato, ricordando quella decadenza derivata prima dalle lamentevoli italiane discordie; quindi dalla mutata via de’ traffichi, dopo la scoperta d*altre strade verso l’Oriente e il Nuovo Mondo; ondechè il primato suddetto, passato dall’Italia ai Portoghesi, poscia agli Olandesi ed Inglesi, in cotestoro consolidavasi a’ dì nostri, diviso in parte però con Francia e con Lamagna.
Per tali rivoluzioni notammo che la nostra Penisola dal lungo, fatale, rovinoso dominio spagnuolo, che ogni lume e bene spense tra noi, era così prostrata ed a miserrima condizione ridotta, da vedere i nostri mari deserti, i nostri campi incolti, le nostre città povere e spopolate, quant’erano altre volte ricche e fiorenti; lasciataci appena la memoria delle passate nostre glorie e dell’antica nostra prosperità, quasi a vergognoso confronto della flagrante nostra miseria.
Ha la divina provvidenza, osservammo, la quale non mai ci ha del tutto abbandonati, fe’ sorgere dallo stesso primato altrui, onde nasceva per noi tanto danno, l’occasione d’un nuovo rinascimento, il quale già esordisce e potrà compiersi, se avveduti, come altre volte, sapremo prevalerci dell’opportunità di tempo, applicando l’antico nostro proverbio: il mondo è di chi se lo piglia.
Tornato il commercio ormai alle antiche sue vie, mercè delle fortunate, perchè intelligenti ed ardite speculazioni degli Inglesi, ricordammo ancora come la favorevole nostra condizione di luogo, sempre sia tale, che se non potremo ne’traffichi ricuperare l’antico primato, colla nostra popolazione, così idonea alla navigazione e di svegliato ingegno, potremo tuttavia efficacemente associarci ai popoli ch’ora lo posseggono, partecipando agli immensi vantaggi che debbono ritrarsi dagli incessanti trovati dell’industria, e da un commercio praticato con proporzioni molto superiori a quelle antiche.
Brevemente descritta la storia di codesta nuova rivoluzione del commercio coll’Oriente, noi segnammo il corso ch’esso sembra voler prendere;— i mezzi di comunicazione onde va a servirsi; — le difficoltà sì di luogo, che sanitarie, le quali paiono ormai superate; — e, più di tutto, i vantaggi che si possono presumere dalla maggiore rapidità delle transazioni, prima condizione che assicura l’economia di tempo e di spesa ne’ trasporti.
Su codesti mezzi di comunicazione specialmente fissati i stri pensieri, del mirabil recente trovato delle vie ferrate e de’ veicoli sur esse scorrenti siamo giunti a parlare, toccandone con pochi cenni la storia; e, non esitando a proferire utilissima quest’altra rivoluzione ne’ traffichi, la dichiarammo senz’alcun dubbio atta a condur questi ad uno stato di mirabile fin ora ignota prosperità.
Per la nostra Italia specialmente, ravvisando cotale rivoluzione utilissima, dichiarammo esserci perciò risolti a tenerne particolare discorso, onde proporre allo studio ed alla discussione illuminata ed imparziale de, nostri concittadini come veramente si possano le vie ferrate ordinare fra noi; — come già esordienti esse vadano ne’ varii Stati della Penisola introducendosi a’ di nostri; — e come nell’interesse dell’intera patria comune convenga definitivamente ordinarle, acciò riescano a noi, che tutti dobbiamo considerarci quai membri della stessa famiglia, profittevoli davvero; la qual cosa è l’ultimo scopo del nostro lavoro.
Entrati pertanto in materia, seguendo l’assunto nostro, a fine di proceder in esso col necessario ordine, abbiamo, sulla scorta de’ fatti consumati, nel secondo discorso trattato de’ varii sistemi ordinati per le vie ferrate, si nella vecchia Europa, come nell’ancor giovane America settentrionale.
Discussa la rispettiva convenienza d’ognuno di que’ sistemi, studiandone i vantaggi e gl’inconvenienti, come i pericoli, ne accennammo li risultati finor conseguiti, là dove furono introdotti i sistemi preallegati, considerando quali fossero all’Italia applicabili, e quali no.
Fermate le nostre idee sur un’ultima formola d’ordinamento, a tre spedienti principalmente abbiamo avvertito, perchè da noi reputati più utili agli interessi attuali e futuri della Penisola.
1.° Li dove la condizione del credito governativo concede di sopportare la spesa della costruzione e dell’esercizio delle vie ferrate, abbiamo opinato, essere più conveniente che i governi, conservando le medesime in propria mano, per mezzo d’apposita azienda quelle nuove strade facciano costruire ed esercitare almeno per le maggiori linee d’esse, senza far capo dell’industria privata, non concedendole ad essa, come si è in più luoghi fatto. 2.° Cotesto concorso dell’industria privata in vece si accetti senza alcun sussidio governativo in tutta od in parte soltanto della rete stradale che debbesi, previo attento studio delle attuali possibili relazioni sì interne che estere, combinare e decretare; — e le relative concessioni da farsi all’industria preallegata, non mai perpetue, ma temporanee, siano accordate a certe condizioni da pattuirsi fra le quali il privilegio de’ pedaggi riscossi su quelle strade, onde compensare le spese di costruzione dell’esercizio suddetto; — tutto ciò per le linee di più gran traffico, e dove la popolazione più agglomerata promette tale un concorso da assicurare un adequato prodotto atto a fornire il detto compenso.
3.° E là dove il primo partito è impraticabile, per la condizione economica del governo; ed il secondo non lo sembra del pari, perchè lo scarso traffico attuale ed il futuro presunto, come la minore popolazione non lasciano sperare che convenga all’industria privata d’assumere una tale impresa; la speculazione dovendo tuttavia ciò non pertanto riuscire utilissima agli interessi dell’universale, che ciascun governo ha il nobile e paterno mandato di promuovere e di tutelare con ogni maniera d’aiuti: perciò abbiamo creduto dover predicare la necessita ineluttabile di concedere tuttavia la costruzione e l’esercizio di quelle strade all’industria medesima, coll’accennato compenso de’ pedaggi, conceduti per a tempo, salva sempre la facoltà del riscatto anche prima della scadenza della concessione.
Siccome poi il detto compenso sarebbe talvolta insufficiente, premendo di risolvere i capitalisti all’impresa, fra i varii mezzi di sussidio governativo proposti ed usati, non abbiamo esitato ad affermare che l’assicurazione d’un interesse minimo del capitale impiegato dalle società concessionarie, sarebbe fra tutti lo spediente più profittevole sì agli speculatori, che ai governi ed all’universale.
Fondati in tal guisa i primi canoni dell’ordinamento proposto, nel terzo discorso abbiamo trattato della più speciale applicazione loro all’Italia nostra.
Ed in primo luogo, considerandone la posizione topografica, non abbiam dubitato nel dichiararla più che atta ad avere un ecceliente sistema di strade ferrate, in ben intesa rete di esse concertato.
Considerata inoltre più particolarmente l’attuale e futura presunta condizione de’ traffici già esposta, quella abbiam pur dichiarata col tempo dover riuscire ottima per ogni rispetto.
Considerate, in fine, le presenti necessità dell’Italia, non abbiamo parimenti tralasciato di predicare per essa urgente ed indispensabile un pronto ordinamento delle sue vie ferrate; — fatale, pericoloso, sommamente dannoso qualunque indugio a ciò fare; — una rovinosa segregazione, poterne infatti derivare dagli altri Stati della Penisola, come da quelli che sono oltre l’Alpi ed il mare; — doversi a qualunque costo scansare un tal danno; — averne i varii governi italiani il debito, come l’interesse più evidente; — non potersi, conoscendo le ottime intenzioni e l’illuminato criterio loro, temere ch’essi vogliano quindi ricusare ai propri sudditi un tàl beneficio, conscii, come pur sono, del paterno preallegato mandato ricevuto dalla Provvidenza di reggere i popoli in guisa che ne derivi il ben inteso progresso loro, epperò la vera prosperità pubblica.
Però, se le strade ferrate si giudicarono e predicarono da noi non solo utilissime, ma d’una urgente ed ineluttabile necessità, cui preme di soddisfare: la nostra imparzialità richiedeva che non si tacesse d’alcuni abusi e pericoli cui l’ordinamento di esse può porgere occasione, vogliam dire specialmente l’introduzione dell’aggiotaggio quando l’impresa di quelle vie concedesi a private società.
Quindi, mentre ogni nostro studio fu diretto a consigliare le strade ferrate più convenienti a ciascun Stato della Penisola, non abbiamo pretermesso le ripetute necessarie avvertenze tendenti a prevenire l’abuso sopr’accennato; e là dove per mala ventura e per errore de’ governi esso già riuscì a penetrar nello Stato, col dovuto rispetto ai governi medesimi, cui per dovere, come per istinto ci professiam riverenti, non abbiamo esitato però ad avvertirli del mal passo nel quale già inciamparono, od ancora son prosami a cadere, consigliando contemporaneamente gli tuni rimedi atti a sanare od a prevenire soltanto un male morale ed economico, che reputiamo grave per ogni rispetto.
Le ire cittadine e le gare municipali, peste antica d’Italia, e causa principale della rovina di lei, doveansi da noi notare, come si notarono infatti.
E siccome la tendenza del giorno è tutta di concorrenza mercantile; e col pretesto di questa,, le gare medesime vedonsi pur troppo inclinate a risorgere, od a mantenersi più vive, promosse nuovamente, come sono, e con raffinata malizia fatte nascere dai nemici dell’italiana quiete, concordia e prosperità: così era ufficio di buon cittadino, anche sotto quel velo combatterle, siccome abbiam fatto, pigliando l’assunto di dimostrare ai nostri concittadini, niuna concorrenza dovervi essere tra l’uno e l’altro scalo d’Italia; ognuno d’essi avere speciali, proprie, più naturali speculazioni, che possono sufficientemente occuparlo, e porgergli bastante guadagno, senza che gli occorra battere le altrui pedate, attentare ai lucri degli scali fratelli.
Codesta proposizione, difficile pur troppo a farsi gradire fra noi, ma non men vera perciò, frequentemente tratto tratto, ogni qual volta era opportuna, ripetemmo, onde riuscisse a persuadere l’universale: che dalla sola fusione d’interessi, di tendenze e d’opinioni concordi, unicamente dipende il nostro risorgimento; e che dal solo generale convegno degli Italiani in una sola famiglia pure dipende la vera nazionalità loro, e le conseguenze felici d’essa possono ottenersi.— -Le quali conseguenze sono interamente possibili senza alcuna lesione dell’indipendenza de’varii Stati della Penisola, com’è succeduto appunto nella Germania, risorta davvero soltanto dal di che, riunita in una confederazione di Stati connazionali, ella seppe creare opinioni, tendenze ed interessi conformi alla tedesca famiglia, della quale pertanto proponiamo l’esempio ai nostri concittadini. Abbiamo inoltre protestato in questo solo senso aversi le nostre parole ad intendere, non mai ad altri fini politici, cui ci terremo sempre estranei, potersi quelle sospettare rivolte; perchè ai veri interessi positivi' d’Italia badando unicamente, noi non crediamo consone ad essi altre idee, così come sono da taluni intese. Ricordate coteste generali avvertenze di massima, ci resta ora a richiamare al lettore brevemente le cose dette sur ogni Stato italiano relativamente al nostro assunto.
1.° E cominciando da quello dove fu prima aperta una via ferrata, il regno delle Due Sicilie, delle strade ferrate ivi costrutte ed esercitate parlammo, che da Napoli a Castellamare ed a Nocera de’ Pagani, e da Napoli a Caserta, a Capua ed a Nola vennero indirizzate: quella all’industria privata conceduta; questa in mano di regia azienda conservata. — Giudicando ambe le imprese, le predicammo utili, perciò lodevoli specialmente quando saranno nell’accennato modo compiute e perfezionate.
Passando nel seguito a trattare dei divisati futuri progetti colà surti, e valutandone la rispettiva convenienza, onde assicurare al regno una comunicazione collo Stato pontificio; il congiungimento dei due mari; ed il più facile accesso dall’Adriatico e dall’ionio all’Oriente: abbiamo discusso le varie direzioni proposte, predicandone la rispettiva e relativa utilità; conchiudendo coll’esprimere la lusinga che l’illuminato governo napoletano non ricusi d’attendere al beneficio assunto, col dotare codesta parte essenziale ed estrema della Penisola di quella frazione della rete comune, che debbe al ben inteso ordinamento delle strade ferrate italiane così efficacemente contribuire.
3.° Passando a parlare del regno Lombardo-Veneto, narrammo la storia della strada Ferdinandea, da Venezia a Milano; strada così utile, di tanto profitto sperabile, però da così lamentevoli vicissitudini per le note discordie accompagnata.
La storia quindi abbiamo esposta delle due strade minori pur concedute da Milano a Monza, e da Milano a Como; quella terminata ed in esercizio; questa neppure incominciata, per le seguite discordie anch’essa arenata.
Discusse nel seguito le varie linee proposte, e giudicata la rispettiva convenienza di esse, alcune modificazioni abbiamo suggerite, le quali ci sembrano dover riuscire profittevoli al commercio sì interno, che esterno del regno.
Lamentate le continue gare che condussero allo scioglimento di fatto della società concessionaria della strada Ferdinandea, con quella imparzialità di cui ci onoriamo: abbiamo tuttavia riconosciuto giusto ed inevitabile il preso partito; poiché quasi tutte le azioni della società suddetta eransi lasciate andare fuori d’Italia, quantunque in questa parte d’essa non mancassero però mezzi ed intelligenza, per conservarle e mandare a buon fine l’assunto. Terminando, abbiamo esposto il voto che per opera dell’illuminato governo austriaco sia mandata a termine la bella ed utile impresa; dai Veneti con maggiore alacrità, conviene ammetterlo, che dai Lombardi fin qui curata e proseguita; e vengano in quella pur fuse le altre imprese minori, com’è dalla rispettiva convenienza consigliato.
Ancora; abbiamo aggiunto: esser quella occasione opportuna, perchè la rete lombardo-veneta si congiunga a Trieste, onde avere una comunicazione non interrotta di via ferrata con Vienna; — dirigasi inoltre verso i laghi dell’Italia superiore, onde porgere accesso più pronto e più facile ai passi dell’Alpi, che ivi sboccano; — proseguasi verso il Piemonte e Genova, emporio naturale e principale dell’Italia superiore; — sia collegata all’Italia centrale, per Piacenza, Parma, Modena e l’Emilia, diretta per questa ad Ancona, scalo importantissimo, che all’Oriente conduce; — lo sia del pari a Roma da quello scalo, ed alla Toscana per Bologna. Nè abbiamo dubitato d’affermare che quelle ideate direzioni, attesa la ricchezza e feracità de’ luoghi popolatissimi che sarebbero dalle vie ferrate percorsi; e per le relazioni di commercio estero che faciliterebbero coll’intera Europa oltre l’Alpi, e coll’Oriente; come col Nuovo Mondo oltre il mare: promettono all’impresa largo compenso, e certamente le assicurerebbero una prospera condizione, accrescendo intanto la ricchezza, già così ragguardevole, di quelle italiane province.
3.° Brevemente discorrendo della strada triestina; che da quel ricchissimo emporio pei sommi gioghi dell’Alpi, con inuditi sforzi d’ingegno e d’arte debbe condurre all’austriaca capitale, ponendo così l’Italia in relazione colle molte strade germaniche e slave, ne abbiamo dimostrato la somma convenienza pel commercio sì dell’Italia, che dell’Oriente e del Nuovo Mondo coll’intera Lamagna e colle province slave. Queste avvertimmo essere chiamate a grande progresso dì civiltà e di ricchezza, come si appalesa dalle tendente in esse notate, che la prudente antiveggenza del governo austriaco saprà certamente regolare.
Giudicando poi dall’attuale prosperità dell’emporio di Trieste di quella futura che può sperare, attuati che siano i fatti divisamenti, non abbiamo esitato a presumerla molta e certissima.
4.° Trattando delle strade ferrate toscane, e de’ moltissimi divisamenti d’esse, con tanta facilità approvati, mercè delle varie concessioni accennate, che per amore di brevità non si ripetono, abbiamo giudicato la convenienza relativa di quelle diverse linee.
Sebbene con rammarico, ad onor del vero però, abbiamo creduto dover esporre dubbi gravissimi intorno alla reale utilità, e perciò intorno all’esecuzione effettiva di quelle linee.
Singolarmente poi ci siam creduti in debito di lamentare che siasi nella d’altronde felice, quieta ed illuminata Toscana lasciato così apertamente libero il campo all’aggiotaggio, aggiungendo codesto malanno morale ed economico gravissimo alla piaga del giuoco del lotto, cha già tanto travaglia quella contrada, recandole danno gravissimo ne’ due rispetti.
Perocché, molte fra le concessioni ottenute, a solo fine di giuoco di borsa ci paiono chieste, senza che sia lecito sperare di vederle eseguite; e quand’anche lo fossero, senza che possa presumersene mai compenso adequato al dispendio derivante dall’opera.
Nel desiderio sincero di rimediare alla critica condizione cui ci pare la Toscana avviata, continuando in un sistema di troppo facili e soverchie concessioni di vie ferrate, noi abbiamo creduto però di dover suggerire al suo governo di soccorrere le imprese veramente utili all’universale, che abbiamo indicate. Per le quali imprese la Toscana sarebbe posta in più facile, pronta e men costosa relazione coll’Emilia, colla bassa Italia, e col suo principale scalo marittimo di Livorno. — Quanto alle altre concessioni, poiché domandate, ripetesi, a solo fine di aggiotaggio, noi abbiamo reputato utile e giusto di proporne l’annullamento, indicando la cosa ancora legale e possibile. 5.° Degli Stati sardi di terra-ferma ragionando poscia, abbiamo esposto la storia de’ varii progetti fatti per dotare il porto di Genova d’una via ferrata conducente al Po, indi alla capitale, alla Lombardia, al lago Maggiore.
Lodata la prudenza temporeggiante del prìncipe e del suo governo, il quale prima di risolversi maturamente studiò ogni quistione concernente alla pratica; poi appigliossi al più savio partito di far da sè, prevalendosi delle esitazioni e delle men fondate pretese d’una società che avea ottenuto una concessione provvisionale di studi da farsi; di quegli studi abbiamo discorso, e di quegli altri ulteriori che sarebbe conveniente intraprendere.
Tra codesti studi specialmente abbiamo celebrati quelli dal governo sardo ordinati per superare il passo dell’Alpi in val di Dora Riparia, e girne alla Savoia, alla Francia, alla Svizzera. — Il quale scopo, ove si potesse conseguir davvero, sarebbe il più fortunato evento che potrebbe succedere alla monarchia di Savoia, poiché verrebbe grandemente onorata nelle età future per l’esecuzione di sì ardito ed utile concetto.
Questo, di fatto, molto accrescerebbe i traffichi subalpini, restaurando la fortuna periclitante del genovese emporio, ed ai commerci dell’intera Penìsola riuscirebbe assai profittevole; dacché, mentre meglio li farebbe corrispondere colla Francia, colla Svizzera e con Lamagna, chiamerebbe definitivamente lungo l’Italia il passo de’ traffichi della Gran Brettagna coll’Oriente.
Cotesto primario interesse degli Stati sardi e d’Italia, lungamente discusso e mostrato degno della sollecitudine d’un governo paterno, non abbiamo tralasciato di ragionare di alcune altre linee ferrate interne proposte, delle une lodando il divisamento, dèlie altre confutando Terrore con quella temperata ed imparziale libertà, colla quale, da ogni spirito di parte o considerazione di luogo interamente sceverati, ci faremo sempre dovere ed onore d’esporre i nostri pensieri.
Narrate le linee decretate dal principe, mossi dalle preallegate cause di utilità generale, abbiamo esposto il nostro voto per quelle altre linee che ci sembrano inoltre utili ed opportune, nella fiducia di vederle a suo tempo esse pure eseguite, attesa la notoria illuminata previdenza d’un governo progressivo, il quale tanti e sì segnalati benefici già impartiva ai sudditi coi provvedimenti emanati da tre lustri in poi durante un regno fatto per ciò memorando.
6.° Brevemente parlando degli Stati parmensi, narrammo il già compito progetto in essi fatto d’una via ferrata che da Piacenza porti al confine verso Modena, passando per Parma, ed abbiamo espresso il voto di veder quel progetto finalmente approvato.
Dell’altro progetto parlammo poi, il quale protenderebbe quella da Piacenza verso il Piemonte e verso la Lombardia, non omettendo di lodarne il concetto, perché consentaneo all’interesse di tutta la rete italiana, che sarebbe così collegata.
Non abbiamo potuto proferire giudicio consimile intorno all’altro progetto di andar da Parma a Livorno per Pontremoli. Perocché la grave spesa, cui non è sperabile mai adequato compenso; le molte linee di confine da oltrepassare; il perditempo che nè deriverebbe per sottostare alle cautele politiche e daziarie, onde sarebbe scemato, se non fatto nullo, il beneficio, sono, a nostro parere, ostacoli gravissimi, quando non fosse ancora interamente insuperabile il rifiuto fatto dai governi sardo ed estense di concedere il passo.218
7.° Discorrendo nel seguito dello Stato estense, notammo come una sola linea di via ferrata sarebbe nella somma convenienza del medesimo di aprire, ed è quella che, dal confine parmense al pontificio passando, per Modena condurrebbe.
Abbiamo cercato di mostrare la non dubbia utilità di codesta linea, coi più irrefragabili argomenti, esprimendo il voto di persuader con essi il principe che regge quell’italiana provincia, acciò, dalle povere nostre parole convinto, intraprenda egli
i stessol’opera, come parrebbe più conveniente, od almeno conceda ad altri autorità di farla.
D’altri progetti di strade ferrate da Modena per la Toscana, attraverso l’Appennino, e da Modena pure verso la Lombardia, non abbiamo creduto che fosse spediente parlare, perchè assai dubbia ne sarebbe la convenienza, atteso il tenuissimo prodotto che potrebbe sperarsene, certo non atto mai a compensarne la ragguardevole spesa; avvertenza questa, la quale, si nell’interesse privato che pubblico, vuolsi ognora aver presente al pensiero quando s’intraprende di discutere l’utilità di consimili assunti.
8.° E parlando da ultimo degli Stati pontifici posti nell’Italia centrale, abbiamo narrato come il convincimento della felice posizione loro in fatto di vie ferrate muovesse alcuni ottimi cittadini della dotta Bologna ad ideare una società collo scopo di far costruire una strada dal confine modenese ad Ancona per Bologna e l’Emilia.
Esposto il progetto di quella strada, ed imparzialmente giudicato il medesimo, quello abbiamo lodato assai; non tralasciando però dal notare in questo, come in quasi tutti gli altri italiani progetti, l’errore d’insufficienti calcoli preventivi, menda questa pericolosa, perchè espone di poi le imprese a mancare dei necessari mezzi, e se succede loro di poi per mala ventura qualche discredito, può trarle anche all’estrema rovina d’un fallimento.
Quantunque l’approvazione del progetto di massima bolognese s’aspetti da molti mesi, sperasi ancora di ottenerla dal governo pontificio, mercè del deciso patronato che si degna accordargli l’eminentissimo cardinale Legato di quella provincia; e mercè altresì della fiducia che debbesi avere nell’illuminato discernimento del governo medesimo. Ondechè, credendo fermamente ad una prossima concessione, noi abbiam fondato il nostro discorso su tale affidamento. Quindi abbiamo discusso quali altre linee sarebbe ancora spediente congiungere a quella come sopra proposta.
In primo luogo notammo l’utilità di quella che sarebbe a Venezia diretta per Ferrara sino al Po, e quindi per Monselice e Rovigo a Padova. In siffatta occorrenza non abbiam tralasciato di parlar lungamente del modo di superare il difficile passo del Po; e specialmente abbiam creduto di dover trattare dell’ordinamento utilissimo della navigazione del gran fiume, ora trascurata: quantunque i patti di Vienna avessero stipulato liberta intera a tale proposito, e quantunque non sia difficile di superare alcuni ostacoli di luogo, ed alcuni altri di men fondate pretese insorte tra Stato e Stato, purché vi concorra reciproca buona volontà in una discussione imparziale.
Nel seguito abbiamo ancora parlato della linea tra Bologna e Firenze per le valli del Reno e dell’Ombrone; la qual linea, detta anche della Porretta, per le ragioni lungamente esposte, sembra doversi preferire alle molte altre pur suggerite in varia direzione.
Inoltre abbiamo ragionato della linea che da Ancona potrebbe andare a Roma, congiungendosi a Perugia con quella ivi condotta da Firenze per Arezzo: preferibile essa pure ad altre linee toscane, che da Siena o da Grosseto venissero al pontificio confine.
Della nessuna convenienza di queste linee ripetutamente fatto discorso, ugualmente abbiamo esposta l’inutilità dell’altra linea da Civitavecchia a Roma.
In vece molto profittevole, anzi necessaria al compimento dell’italiana rete, abbiamo chiamata la linea che da Roma ad un punto qualunque pel confine da convenirsi andrebbe verso Napoli, sia che per le Paludi Pontine rivolgasi, o sia che per l’altra attuale strada di Ceprano si diriga.
Prevedendo gli argomenti che taluni, avversi alle strade ferrate, credono contr’essi potersi invocare, specialmente nel rispetto politico, onde attribuir loro pericoli più temuti che reali: abbiamo creduto poter vittoriosamente combattere quegli argomenti, purché si discutano con uomini di buona fede, coscienziosi e leali, i quali vogliano seriamente discorrerne, e con lealtà; nè ricusino il mandato d’ogqi governo savio, quello di curare la pubblica prosperità.
Codesti argomenti noi crediamo provar senza replica: le vie ferrate, purché ben regolate, non presentare il menomo pericolo' politico, morale ed economico pei governi e pei sudditi. — Risultare anzi utili sì agli uni, cbe agli altri in sommo grado; — ai primi, perchè, oltre al facilitar loro i mezzi di dominio, nell’accrescere la comune prosperità, aumentano pure quella dell’erario; — ai secondi, perchè, porgendo alla produzione generale un immenso incitamento, fecondano in tal guisa la ricchezza de’ privati, de’ quali moltiplicano i lucri, che ne risulta l’agio universale ed un’evidente pubblica felicità.
Nel quarto nostro discorso, esposte le dottrine fondamentali, ed accennate le varie emergenze de’ luoghi dove quelle dottrine debbonsi applicare: siamo passati ad indicare in quali migliori maniere fosse più conveniente ed efficace accingersi all’ideata impresa d’ordinare in Italia un ben inteso sistema di vie ferrate.
Dopo aver parlato de’ modi di meglio assicurare la pronta, facile e men costosa corrispondenza de1 convogli ne’ continui loro andirivieni sulle varie strade fra esse collegate: siamo passati a lungamente discutere le cautele politiche, economiche, daziarie, di sicurezza ed altre, che tra noi voglioasi usare a tutela de’ molti interessi contrari, se non in sostanza, in apparenza almeno, che si presentano nell’ordinamento in discorso.
Di codeste cautele abbiamo dimostrata la necessità, la somma convenienza, i felicissimi effetti che possono sperarsene; i pericoli ed abusi che, mercè di esse, possono scansarsi, onde meglio conseguire il proposto intento.
Insistendo specialmente sull’abuso riprovevole dell’aggiotaggio, già descritto al capo primo ed al capo secondo, segnatamente al capitolo 8.° di questo: noi, dopo aver confutati tutti gli argomenti con cui taluni pretendono difenderlo od almeno scusarlo, insegnammo con quali regole più efficaci esso potesse prevenirsi e reprimersi, nell’ordinare le discipline relative.
Raccolte così le fila de’ precedenti quattro discorsi, in questo volendo ancora riepilogare, come si è fatto, le esposte discussioni, se ne deduce l’ultima conclusione che segue.
1.° Lq strade ferrate possono e debbono farsi in Italia, dove sono anzi un’urgente ed ineluttabile necessità.
2.° Quando si tralasciasse di fare le strade suddette, lo Stato che mancherebbe di quelle occorrenti alla sua posinone geografico-commereiale sarebbe infallantemente segregato dagli altri della Pènisola e dell’Europa intera nel rispetto civile e commerciale; quindi l’universale ne risentirebbe gravissimo danno morale ed economico; onde il governo ne avrebbe un notevole disdoro, per il trascurato pubblico vantaggio; ed anche un ragguardevole pregiudicio pel provocato malcontento de’ sudditi, giustamente dolenti di vedersi negato un siffatto mezzo di prosperità, a tanti altri popoli procurato dal proprio governo.
3.° I governi italiani, il cui buon credito finanziere concede di trovar denaro con tenue frutto da corrispondere, non debbono abbandonare all’industria privata la cura di costrurre ed esercitare la strada in discorso; — debbono anzi ciò fare direttamene per mezzo d’apposita azienda, da essi a tal fine instituita.
4.° Quando ostacoli insuperabili di finanza od altri non concedano ai governi d’assumere essi stessi l’impresa delle strade ferrate, o solo di farlo in parte, allora possono accordare la costruzione e l’esercizio privilegiato di tutte o d’alcune soltanto delle linee decretate all’industria privata. Se quelle linee sono giudicate bastantemente profittevoli per compensare della spesa occorrente, mediante la concessione d’un pedaggio privilegiato, non occorre quella d’altro sussidio governativo. Se reputasi poi quel pedaggio non sufficiente compenso, sopra ogni altro sussidio, è da preferirsi quello dell’eventuale corrispondenza d’un interesse minimo della somma spesa nell’opera, ove il prodotto netto di esso pedaggio non giunga ad eguagliare il detto minimo.
5.° Per iscansare il pericolo dell’aggiotaggio, quella concessione debbe contenere le occorrenti norme restrittive del traffico delle azioni e delle promesse delle azioni suddette, come il traffico de’ mercati a termine. — E per assicurarsi da ogni altro pericolo debbonsi adottare le occorrenti cautele politiche, economiche, daziarie, di sicurezza ed altre suggerite nel discorso IV appunto a tal fine, dopo aver al tempo istesso per bene assicurate le reciproche relazioni fra le varie linee, mercè della combinazione concertata delle corse de’ rispettivi convogli.
6.° Ciò premesso, ecco la gran rete di strade ferrate italiane, che dall’Alpi all’estremo confine della Penisola debbesi, a parer nostro, adottare, previo concerto fra varii governi d’essa.
Posta possibile una comunicazione oltre l’Alpi ne’ varii passi delle giogaie loro, che dividon l’Italia dal resto dell’Europa, noi crediamo non doversi bmdare a fatica ed a spesa per riuscir nell’assunto d’assictirare quelle comunicazioni mercè del nuovo trovato.
L’esempio dell’Austria, in fatti, può venir seguito, e sarà forse da essa medesima continuato anche dalla parte del Tirolo, ove snpponesi già fatta una concessione che può proseguirsi.
Lo sarà pure dalla Svizzera, dove si mostra da poco tempo molta premura per tali imprese, essendosi alcune d’esse attraverso i cantoni di Basileaj di Zurigo, di San Gallo, de’ Grigioni e del Ticino, la Dio mercè, recentemente intese.
Rispetto al gran traforo dell’Alpi, che debbe portare dal Piemonte alla Savoia ed oltre, sperasi che gli studi ora in corso concedano di tentar l’opera.
La facilità di superare le Alpi marittime verso il punto in cui da esse staccasi l’Appenino per correre l’Italia partendola, non lascia dubitare d’un esito felice quando si reputasse utile siffatto assunto.
Questi sarebbero i quattro punti per cui credesi possibile entrare colle nuove vie di comunicazione nella Penisola da oltre l’Alpi, che la separano dalla restante Europa.
Ora, da essi partendo, è facile anzi che no ideare l’accennata rete.
Lascisi per ora sospesa ogni idea intorno all’ultimo punto. Questo, partendo dal Varo presso a Nizza marittima, lungo il mure, col traforo d’alcuni promontorii verrebbe sino ad Albenga, per passare con un tunnel fatto al colle di San Bernardo nella valle del Tanaro, e quinci fino ad Asti; con diramazioue, se fosse giudicata spediente, da Pollenzo per Bra a Savigliano onde raggiugner Torino senza andar fino in Asti; e si lasci quest’idea sospesa finché più attenti studi economici mostrino veramente utile l’impresa; a meno che una società industriale solida, seria risponsale offerisse di assumerla a tutto suo carico, col solo compenso del privilegiato prodotto de’ trasporti.
Posta questa futura combinazione, secondaria d’altronde, all’uopo in sospeso, parliamo definitivamente delle altre fin d’ora possibili.
Due grandi linee dovrebbero scendere l’Italia; — l’una, partendo dalla Dora Riparia, verrebbe a Torino, Asti ed Alessandria, dove da una parte andrebbe, per Novi e il colle dei Giovi superato, al grande emporio di Genova, solo scalo naturale dell’alta Italia; — dall’altra parte andrebbe al lago Maggiore, cui verrebbero a sboccare le linee svizzere; — continuerebbe poi la gran linea suddetta, dopo quell’incrocicchiamento centrale di Alessandria, per Piacenza, Parma, Modena, Bologna e la restante Emilia, dove andrebbe far capo allo scalo di Ancona, da cui all’Oriente.
L’altra linea, partendo dal lago di Como, dove sboccherebbero pure le linee svizzere, verrebbe a Milano, e pel regno Lombardo-Veneto andrebbe a Venezia, abbreviata anche la via da questa all’altro estremo punto del lago di Como che mette alla Valtellina, mercè d’una derivazione da Chiari per Trezzo a Lecco ed oltre, onde scansare il giro per Milano a coloro che ivi non fossero rivolti.
Coteste due grandi arterie italiane potrebbero trasversalmente congiungersi da Torino a Milano; — da Genova a Milano pel punto di Vigevano od altro; — da Milano a Piacenza per Lodi e Casalmaggiore; — da Bologna, a Padova per Ferrara e Rovigo; — finalmente dall’estremità della via Ferdinandea potrebbe essa congiungersi a quella austriaca ohe viene a Trieste.
Sarebbe così la gran rete italiana fino a que’ punti di Genova, Ancona, Venezia e Trieste compiuta. Codesti punti servirebbero di scalo al commercio orientale di tutta Europa, in ragione delle rispettive provenienze.
La Toscana poi, con un sistema laterale a quelle due grandi linee, sarebbe ad esse collegata mercé d’una linea che da Livorno (suo emporio marittimo, scalo esso pure all’Oriente) verrebbe a Bologna, passando a Firenze e Pistoia per la via detta della Porretta, lungo le valli dell’Arno, dell’Ombrone e del Reno.
Avrebbe cosi la Toscana per l’Emilia e per la via verso Venezia accesso all’Adriatico, ed altri congiungimenti de’ due mari sarebbero in tal guisa assicurati.
D’altra parte, in Toscana una linea tra Firenze e Perugia per Arezzo potrebbe assicurare le comunicazioni colla bassa Italia; ivi incontrando la linea che sarebbe continuata da Ancona a Roma, seguendo all’incirca la direzione delle strade attuali.
Dalla capitale dell’orbe cattolico una linea potrebbe successivamente venir condotta a Napoli nella direzione riputata più conveniente fra le due che possono scegliersi; e quindi dal grande emporio partenopeo, esso pure scalo all’Oriente, dovrebbe portarsi attraverso i luoghi più popolati del Regno a quel porto dell’Adriatico o dell’Ionio che si crederebbe più spediente fra quelli di Termoli, Manfredonia, Brindisi, Otranto o Taranto, ed anche a due fra essi, onde avere cosi un altro congiungimento dell’Adriatico col Mediterraneo, e scali più inoltrati verso l’Oriente.
Una strada ferrata che dai mari del Nord, in più direzioni, attraverso tutta Europa venisse a varii scali italiani, direttamente corrispondenti col Levante, sarebbe pel commercio universale un tal vantaggio, che resta affatto superfluo tenerne altro discorso per dimostrare cosa di per sè troppo evidente.
Altre volte siffatta impresa sarebbe parsa ad ogni uomo savio un’utopia; ora non ne è più dubbia la possibile realtà, anche per coloro che men sono corrivi a credere alle ideate novità; perocché, dato che siano concordi le volontà che debbonosi accingere all’opera, nè mancano i mezzi per mandarla ad effetto, nè l’arte è insufficiente al bisogno.
Disse taluno che fra qualche anno i gradi dell’incivilimento delle nazioni si segneranno probabilmente sulla scala di proporzione delle popolazioni a’ miriametri delle strade ferrate che quelle possederanno.
Questa sentenza, si aggiunse, che a primo aspetto pare troppo materiale, è però fondata; dacché la materialità in questo caso è quella d’un corpo sano e ben disposto, il quale serve all’animo, all’intelligenza ed anche alla virtù.
Ora aggiungasi ancora, per l’ultima volta, cbe l’urgenza di giugnere a tal punto è per l’Italia somma.
Conciossiachè nel decennio incominciato le nuove abitudini commerciali possono stabilirsi; e se trascuriamo la presente opportunità di chiamarle fra noi coll’aprir loro numerose vie ferrate, che ad ogni tendenza, ad ogni interesse soddisfacciano, altri non mancheran di prevalersene, cogliendo il frutto d’una più sollecita speculazione.
Prese altre abitudini, spesso irremediabili, non ci sarà più nulla da fare per l’accrescimento de1 nostri commerci, delle nostre industrie, delle nostre agricolture, delle nostre grandi operosità nazionali in somma.
Allora, altro che primato, come voglion taluni, nemmeno parità otterremo; e se non provvediamo in tempo, decaderemo, ripetesi ancora, e grandemente, sinché giungeremo a così bassa condizione, che sarebbe difficile prevederla peggiore.
La divina previdenza, dalla quale altre volte fummo con evidente benefica protezione, scampati, quantunque a tristissima condizione ridotti, anche in questa occorrenza saprà, speriamolo, inspirare governanti e governati, a non frammettere indugio alcuno ad accingersi all’urgente profittevole assunto.
Nessuno, che abbia criterio atto a comprendere l’importanza degli interessi cui debbesi provvedere, vorrà, del resto, assumere in faccia alle più tarde età il gravissimo carico d’aver lasciato, non ostante una così opportuna occasione, consumare la nostra rovina, fallire ogni più fondata speranza.
La più severa, ma non men giusta condanna de’ nipoti rispetterebbe senza fallo, e le pagine d’una storia imparziale non mancherebbero di registrare l’errore..., dicasi pure, il reato!
In somma, l’opportunità è evidente.
Il ben deciso voto del pubblico, non può essere più favorevole.
I mezzi non mancano, dopo che uomini e capitali, fatti cosmopoliti, accorrono dovunque possono operare utilmente.
Tra di noi, ove prudenza, concordia e buona volontà presiedano alle necessarie combinazioni, le condizioni di tempo, di luogo e di persone non potrebbero essere migliori.
I governi italiani hanno inoltre tutte le condizioni di libera azione, mediante l’illimitata autorità loro attribuita, che ad essi concede d’operare senza il menomo ostacolo d’opposizione, sicuri ancora d’essere avvalorati dalla concorde approvazione della pubblica opinione.
Ancora; possedono tutti i lumi ed il criterio occorrente per guidarsi nell’opera, con attività, con prudenza, con savio accorgimento.
Il concorso di tanti e sì utili requisiti non può adunque tornar vano.
Le deluse nostre speranze sarebbero un così grande infortunio, che la mente nostra non osa fermarvi il pensiero, nella fiducia in cui vive, che il cielo voglia preservarcene.
In questa lusinga noi teiìniniamo il nostro discorso, ristringendoci soltanto ad alcune ultime dichiarazioni, necessarie a meglio chiarire le nostre intenzioni.
Nel proferir giudicio sul da noi reputato migliore ordinamento delle strade ferrate italiane, non pretendiamo aver promulgata alcuna sentenza assoluta; sibbene crediamo aver esposte quelle opinioni che pel maggior consenso d’uomini pratici de’ luoghi, come degli interessi d’ogni italiana provincia, ci venne fatto raccogliere, valutando le opinioni preallegate con imparziale criterio, scevro d’ogni idea municipale specialmente, e col solo pensiero anzi di promuovere, mercè delle nuove comunicazioni, quella tanto desiderata fusione d’interessi e di tendenze comuni a tutti gli abitanti della Penisola; la quale fusione, non cesseremo dal ripeterlo ancora, tutti debbiamo desiderare, perchè egualmente profittevole ai governanti ed ai governati, a qualunque delle province italiane essi appartengano.
Cotesta sentenza, cbe per l’ultima volta noi proclamiamo col più intimo convincimento d’un animo, mòsso da vera carità di patria, non sarà gradita a coloro che le grette emulazioni del municipalismo pongono a primo fondamento d’ogni speculazione cui s’accingono. Da sì opposto fine diretti, essi forse vorranno confutare le nostre proposte, pretendendo di provar necessaria la concorrenza e la rivalità; atto di mera dabbenaggine l’esser altrui generoso, per vedersi corrisposto, senz’alcuna reciprocità, con atti contrari; in somma ognuno dover pensare a sè, nè darsi guadagno vero senza l’altrui perdita.
A questi argomenti avendo noi già abbondantemente risposto nel corso del nostro lavoro, anche colle più eloquenti altrui parole, ci asterremo adunque dal replicare: dacché ciò sarebbe affatto inutile; troppo difficile essendo persuadere le altrui pregiudicate opinioni quando derivano da causa d’interesse privato, contrario a’ princìpi di pubblica economia e d’utilità generale.
Compiangendo adunque l’errore altrui, lasceremo, tacendo, che la sperienza dell’avvenire convinca anche i più schivi del fondamento delle nostre dottrine.
Narrando i fatti seguiti in ogni Stato italiano, ci siamo attenuti a tutti que’ documenti officiali ed a tutti que’ dati statistici che riuscimmo a procurarci, sì resi di pubblica ragione, che privatamente comunicatici dall’altrui benevola cortesia.
Di questa ci professioni gratissimi verso que’ molti che ci favorirono. Del maggior numero però de’ quali abbiamo taciuto i nomi, non già per appropriarci le idee altrui, senza attribuirle a coloro cui spettano; ma per una riguardosa discrezione, la quale ci ha consigliato di non indicare coloro cui dubitammo potesse ciò convenire per considerazioni private di luogo, di tempo ed anche di speciale propria condizione; le quali considerazioni, facili, del resto, a comprendersi da chiunque conosca la patria nostra, voglionsi rispettare ne’ tempi e nei luoghi in cui ci è dato di scrivere.
Nell’esprimere ogni nostra opinione, abbiamo cercato di farlo in termini moderati ed urbani, nè crediamo che alcuno posssa imputarci d’esserci scostati da tal regola, conforme, dd resto, alla nostra natura, alle nostre abitudini, ai princìpi religiosi e morali cbe ci facciam vanto di professare.
Che se alcuno diversamente giudicasse le nostre parole, attribuendo ad esse un senso che non han certamente: noi preghiamo l’indulgenza de’ lettori benevoli a volerle accogliere soltanto come l’espressione delle rette e temperate opinioni che abbiamo veramente inteso d’esporre, non mai con diverso sott’inteso fine di pungere chicchesia, di mancare di riguardo ad alcuno, d’essere diversamente interpretato.
Vero è che talvolta ci siamo espressi con indegnazione contro le male arti altrui; ma questa indegnazione., apertamente proferita, noi reputiamo onesta, perciò lecita, nè intendiamo qui certamente scolparci della medesima; chè anzi ci onoriamo di combattere ogni atto immorale, e dovunque ci venga fatto scuoprirlo, crediamo esser debito d’uno scrittor conscienzioso di farlo conoscere e di riprovarlo. Che se nel così fare spiaceremo ad alcuni tristi, da cui tali atti per bassa speculazione commettonsi: speriamo trovare largo compenso nell’approvazione de’ buoni, i quali, la Dio mercè, sono fra noi in numero infinitamente maggiore, ad essi unicamente avendo inteso indirizzare questo nostro qualsiasi povero lavoro.
Nè ci nascondiamo ancora, che taluna delle nostre opinioni potrà per avventura spiacere a coloro di cui contradice le idee, o può arrestare i progetti; che quindi l’opera nostra sarà occasione di qualche risposta tendente a confutare le nostre sentenze.
Non inclinati alle polemiche, noi dichiariamo fin d’ora di non aver inteso in alcuna parte di questo lavoro di provocarle. Epperò, ove si tratti soltanto di rettificar fatti, i quali, su meno esatte informazioni, fossero stati da noi esposti diversamente da quel che sono in realtà, purché ci si provi l’errore, da noi certo involontariamente commesso, e ci vengano dimostrate non fondate le conseguenze che ne avremmo dedotte: non esiteremo a ricrederci, devoti, come sempre saremo, alla santa causa del giusto e del vero.
Ma se in vece si trattasse soltanto delle dottrine economiche e morali da noi professate in questa scrittura, le quali dottrine taluno pigliasse l’assunto di confutare; siccome esse derivano da un coscienzioso convincimento, radicatosi nell’animo nostro dallo studio d’una già lunga vita e dalle più serie meditazioni confermato durante una pratica di più lustri ne’ pubblici uffici: così, nell’atto che rispettiamo l’altrui diverso pensiero, preghiamo però ci sia fatto lecito di rimanere senz’altro nel nostro, non già per ispirilo d’ostinazione, ma perchè siamo convinti dell’inutilità d’ogni ulteriore discussione.
Questa, di fatto, condurrebbe ad una superflua polemica, la quale; anziché eliminare le difficoltà, complicando le quistioni, non farebbe che accrescerle con pubblico danno.
Noi crediamo i nostri princìpi fedelmente e chiaramente esposti e formolati in modo esatto.
Quelli de’ nostri avversari possono esserlo del pari.
La pubblica opinione, alla quale con intera fiducia noi ne appelliamo, potrà perciò, fra le opposte sentenze, con intera libertà, bene informata, decidere, approvando o rigettando le rispettive dottrine, secondo che il proprio criterio d’ogni uomo imparziale ed illuminato, sempre giusto quando non è da false od erronee sposizioni sviato, saprà suggerirgli.
Su codesto criterio adunque noi riposiamo tranquillamente, e sulle nostre intenzioni, che osiamo affermare rettissime, come su quelle eguali de’ molti nostri ottimi concittadini, che vorranno dare qualche attenzione all’opera nostra.
In questa noi abbiamo, ripetesi, inteso a far prova di carità patria, e di modi temperati ed urbani.
Se a noi verrà con eguali sentimenti e con modi conformi risposto, come far debbesi tra buoni concittadini degni d’amarsi e di stimarsi a vicenda, noi ci proferiamo fin d’ora gratissimi a chi vorrà in si fatta guisa trattarci.
Che se in vece (come pur troppo succede talvolta fra noi, per difetto, crediamo, di pratiche discussioni, nelle quali si può avere diversa opinione senza scendere ad acerbità personali) si volesse tenere appunto questo sistema d’acerbità, noi dichiariamo fin d’ora, che, conservandoci indifferenti ad esse, tralascieremo assolutamente dal farvi alcuna risposta.
Devoti alla patria comune, per essa abbiamo scritto, non per altro fine; e certamente non per noi, che così poca parte pur siamo della repubblica. Quindi ogni ulteriore lavoro che ad oggetto personale fosse rivolto, non ci troverebbe sicuramente disposti ad attendervi con quello zelo e con quella costanza con cui non abbiamo esitato a dedicarci all’opera che abbiamo perciò appunto intitolata ai nostri concittadini.
D’altronde, superflua, lo ripetiamo ancora, sarebbe ogni altra nostra parola. Perocché finora noi scrivemmo coll’intendimento di giovare alla comune prosperità.
Se per buona nostra ventura abbiamo riuscito, ci reputeremo felici, e ne ringrazieremo la Divina Provvidenza, la quale ci ha permesso di compiere questa povera nostra fatica frammezzo alle molte infermità ond’é di continuo travagliata la misera nostra esistenza.
Che se avessero a tornar vani i nostri sforzi, sarebbe affatto inutile continuarli; quindi miglior partito sarebbe certamente un silenzio ulteriore. Il quale silenzio almeno non prolungherebbe discussioni inutili, anzi dannose e poco dicevoli, specialmente quando fossero accompagnate dalla menoma personale contumelia, onde potesse appunto derivare la continuazione di quei dissidii ch’abbiamo cercato di combattere costantemente in questi nostri discorsi.
Gli ottimi cittadini, de’ quali, la Dio mercè, pur tanto ancora abbonda la nostra Italia, approveranno, noi lo speriamo, questa condotta, da retto fine inspirata.
Di que’ pochissimi che non sono tali, crediamo, senza peccar d’alterigia, esser lecito di non curare il giudicio.
Raccomandata pertanto all’indulgenza de’ lettori benevoli la nostra scrittura, noi ci auguriamo, che possa non tornare interamente fallito lo scopo di essa; e che almeno, promossa dall’opera assunta la discussione sur una larga scala d’universale interesse, e non più circoscritta ne1 confini d’un gretto municipalismo, abbiano a derivarne risultati profittevoli alla comune prosperità, cui solo anelano i sinceri nostri voti.
APPENDICE
E
DOCUMENTI
DOCUMENTO N.° I
_____
QUADRO SINOTTICO
DELLA
MARINERIA MERCANTILE DE' VARI STATI D’ITALIA.
Stati d'Italia | Pesca e piccolo cabo taggio | Tonnel laggio attri buito | Lungo corso e gran cabo taggio | Tonnel laggio attri buito | Totalità dei legni | Totalità del tonnel laggio | Totalità dei marinai |
Regno di Sardegna | N° 2,533 | 17,009 | N° 1,076 | 150,663 | N° 3,609 | 167,762 | 17,925 |
Principato di Monaco | 78 | 387 | .. |
.. |
78 | 387 | 300 |
Principato di Lucca | 107 | 3,108 | 21 | 918 | 128 | 3,936 | 754 |
Gran Ducato di Toscana | 691 | 13,009 | 80 | 12,656 | 771 | 25,665 | 5,301 |
Stati Pontifici | 610 | .. |
153 | .. |
763 | .. |
.. |
Regno delle \ Continente | 5,811 | .. |
992 | .. |
6,803 | 166,523 | 40,308 |
Due Sicilie / Sicilia | 1,904 | .. |
467 | .. |
2,371 | 46,3674 | 12,206 |
Governo di Venezia | 941 | 11,038 | 318 | 38,643 | 1,259 | 49,681 | 6,015 |
Governo di Trieste | 1,242 | 9,225 | 606 | 109,043 | 1,848 | 118,268 | 9,52 |
Totali | N° 13,917 | 53,776 | N° 3,713 | 311,923 | N° 17,630 | 578,896 | 92,329 |
Annotazioni.
Queste indicazioni quanto al regno di Sardegna ragguardano l'anno 1848.
Se avessero riguardato l’anno 1841, il personale della marineria sarebbesi registrato al numero di 36,179 individui, perchè allora erano
Capitani, padroni e maestranze | N.° | 2,206 |
Marinai e mozzi | » | 15,266 |
Pescatori e barcaiuoli | » | 18,807 |
La differenza deriva dal non essere più stati inscritti nei nuovi ruoli della marineria i barcaiuoli ed i pescatori della costa; ma solo gl’individui che effettivamente navigano.
Pel granducato di Toscana le indicazioni sono anche del 1843; così pure pel ducato di Lucca e pel principato di Monaco.
Per lo Stato pontificio ragguardano pare le indicazioni Tanno 1843. Si ha il numero dei legni, non quello de’ naviganti; cui il Serristori, dal quale prendiamo questi rincontri, non ha certo potuto ottenere se non l’ha registrato. — Nota egli doversi credere, che dall’anno 1838 debb’essere succeduta una grande declinazione in tutte quattro le categorie di legni accennate; perocché i legni di lungo corso, soli, sommavano allora a 107, e tutti insieme ascendevano a 1,234 i legni d’ogni grandezza.
Per il regno Lombardo-Veneto, il quadro riguarda pure l’anno 1843.
Non abbiamo, come fece il Serristori (Ann. Stat., aprile 1845, p. 135), inscritto navi e marinai del littorale ungarico, della Croazia militare e della Dalmazia, quantunque il nostro ottimo amico abbia notato: «1.° Che questa marina si deve ritenere perfettamente italiana, come quella degli altri Stati d’Italia, giacché in quelle contrade non si paria che l’italiano, ed in alcuna parte l’illirico, la cui costruzione é italiana del pari; 2.° Che il numero de’ marinai indicato può essere ridotto d’un quarto circa, perchè nelle accennate province non s’inscrivono militarmente, come in parecchi altri paesi, e siccome una parte dei legni è slternativamente stazionaria, questa non conserva i suoi marinai che passano in altri legni, cosicché figurano alle volte come marinai di due legni ad un tempo».
Queste ragioni del chiarissimo autore, sebben abbiano qualche fondamento di verità, non vennero però da noi adottate; perchè, a stretto rigore, il littorale ungarico, la Croazia militare e la Dalmazia non sono province italiane. Se la nostra lingua é in molti luoghi d’esse familiare, ciò vuolsi attribuire al lungo dominio d’un governo italiano sur esse (il veneziano). Del resto l’Italia, a senso nostro, ha per estremo confine in quella parte l’Istria; opperò di essa soltanto, cioè del governo di Trieste (porto italiano), abbiamo veduto registrare i marinai e le navi.
Pel regno di Napoli le indicazioni sono quelle del 1838, in cui seguì la più recente pubblicazione autentica. Vuolsi credere però d’allora in poi grandemente cresciuto il navilio delle Due Sicilie, ed il numero de’ naviganti sur esso.
A chi volesse conoscere i particolari della condizione, della marineria nel regno delle Due Sicilie gioverà consultare la bella opera che pubblica in Napoli il signor Giovanni Bursotti, col titolo Biblioteca di Commercio, della quale già uscirono XVI dispense, che molto si debbe lamentare non vadano più sparse in Italia, e specialmente siano a mani de’ negozianti ed amministratori, che soprantendono al commercio o praticano in esso.
Perocché, ricca di peregrine notizie di fatto, servirebbe ad illuminare gli uni e gli altri nelle speculazioni e determinazioni loro, e propagando fra di essi le buone dottrine economiche, servirebbe a svellere più d’un errore. da menti pregiudicate, le quali seguono norme ormai degne d’essere abbandonate.
Queste diverse indicazioni ci porgono argomento a dichiarare che il tonnellaggio totale del navilio italiano, ed il numero de’ marinai che servono sur esso, è molto maggiore di quello registrato, sebben già conseguente. Arroge, questo numero essere inferiore soltanto alla popolazione marittima della Gran Brettagna e degli Stati-Uniti d’America, che sono le due prime marinerie del mondo. — Quanto alla Francia, la quale in potenza marittima militare, come in quella di terra certo di molto sopravanza quella riunita dei varii governi della Penisola, per quanto spetta alla popolazione data alla navigazione, noi crediamo che appena uguaglia, seppure non è inferiore a quella dell’Italia. E ci confermano in quella opinione le stesse dichiarazioni officiali del personale della marineria, ed il fatto, ben essenziale a notarsi, del vedere il governo costretto a levar uomini dei dipartimenti interni per armare le sue navi della marineria militare, e l’altro fatto, pur notevole, del veder concedere ai bastimenti mercantili che battono la banchera francese d’avere un terzo di marinai forestieri, i quali sono per lo più genovesi o della contea di Nizza.
Coleste diverse indicazioni adunque ci persuadono che la marineria italiana ha tutte le condizioni richieste per mostrarsi nuovamente come altre volte nell’Oriente, ed ivi attendere ad utili speculazioni.
Nè queste speculazioni nel progredire felicemente si fermerebbero col tempo al solo Levante; chè potrebbero ancora protrarsi, come altre volte, alle Indie ed alla Cina, dove ora si apre un vastissimo campo ai traffichi di tutto l’orbe incivilito.
Il comitato inglese delle Indie orientali, in una recente pubblicazione che riferisce le operazioni del commercio britannico ne’ mari posti a levante del Capo di Buona Speranza pel solo 1.° semestre 1845, porge alcune indicazioni che giovano a meglio comprendere quanta sia l’immensa importanza de’ commerci dell’India e della Cina ch’or tengono ancora quella via, ed in gran parte tornerebbero a quella antica attraverso l’Egitto, il mar Rosso ed oltre, quando quel passo fosse reso più agevole ai traffici.
Il movimento totale de’ trasporti ne’ preallegati mari fu durante l’epoca suddetta di navi n.° 963 dello stazzo di tonnellate n.° 397,000. Circa i due terzi, notasi, della navigazione di tutti i paesi trafficanti in que’mari. E si nota ancora, esser in quel novero comprese soltanto le operazioni dirette o di lungo corso dalla Gran Brettagna a quelle spiaggie e viceversa, non essendovi annoverate quelle, pure immense, che seguono tra scalo e scalo delle spiaggie medesime, colla navigazione detta di grande cabotaggio; la quale, dopo la liberazione d’ogni vìncolo pei sudditi britannici di trafficare in que’mari, ebbe un grande aumento, che occupa una notevol parte del navilio inglese-indiano. Le direzioni diverse degli accennati trasporti si dividono come segue:
navi | tonnellate | |||
Il Capo, Maurizio e l'Arabia | … | n.° | 211 | 62,22 |
Bombay, Calcutta, Madras e Ceylan | … | " | 437 | 189,915 |
Java, Sumatra e Singapore | … | " | 54 | 20,074 |
Filippine e Cina | … | " | 137 | 58,901 |
Australia ed Oceania | … | " | 124 | 65,89 |
Coteste varie indicarioni di direzione bastano a porgere un’idea della quantità delle navi di lungo corso, che lascerebbero l’attuale strada per battere nuovamente quella antica, passare in vista de’nostri scali, toccarli, fors’anche farvi speculazioni ad esse, come a noi, profittevoli.
Nel 1844 il movimento generale era stato, durante lo stesso semestre, di navi n.° 951 e di tonnellate 368,000.
Sebbene l’aumento sia tenuissimo, la relazione fa osservare che lo sviluppo delle operazioni fu tuttavia colà importantissimo. Dubitavasi che le lusinghe concepite sul traffico cinese avessero soverchiamente incitato ad operar su quel punto. Ma questo dubbio, non s’è verificato, e non è colla Cina che si accrebbero le transazioni dirette, ma per le presidenze britaaniche, come per Maurizio ed il Capo. Osservansi anche aver gran parte le estrazioni del guano dalle isole d’Angra-Pequena.
Gli stati del commercio dd porto di Calcutta pel 1844 fan vedere che le importazioni di quello scalo salirono
al valore di | … | fran. | 162,000 |
in vece di quelle del 1843, salite a soli | … | " | 112,000 |
che le esportazioni furono di | … | " | 234,000 |
mentre nell'anno pri a erano state di soli | … | " | 191,000 |
onde un accrescimento totale di | … | " | 83,000 |
Notasi ancora in quel documento, che pochi sono gli Stati i quali non abbiano grandi interessi in quella parto dell’orbe. Dopo che venne aperto e fatto libero il traffico colla Cina, parecchie potenze, anche di second’ordine, vi han fatte speculazioni cui prima certo non pensavano. — Anversa, Stocolma, Danzica, Hamburgo, hanno spedito negli anni 1844 e 1845 navigli carichi di prodotti belgici e tedeschi.
Trieste, coll’aiuto delle principali case di banco, fonda attualmente una gran società pel traffico coll’India, ed ha deciso di stabilire fattorie ne’ principali mercati asiatici.
Nella presente condizione de’ traffici marittimi della nostra Penisola era naturale che Trieste esordisse nelle novelle speculazioni. Abbreviata la durata loro, col ritorno alle antiche vie, anche gli altri scali italiani, Venezia e Genova specialmente, dove di capitali non s’ha difetto, debbono associarsi al movimento triestino.
L’India, continuasi a riferire, offre ai capitali, ai lumi ed all’attività delle nazioni dell’Occidente un campo che tende a viepiù ingrandirsi, a farsi in certo modo illimitato. La navigazione a vapore sì estende ed avvicina i mari dell’Oriente col Mediterraneo. — La coltura del caffè, dello zuccaro, dell’indaco, s’accresce e si perfeziona. — I processi di fabbricazione si migliorano, mercè dell’introduzione degli opifici meccanici. Calcutta sola ricevette nel 1843 e 1844 per più di 4 milioni di macchine destinate al lavoro dello zuccaro. Alcuni esempi furono seguiti con fervore; la qual cosa resulta dal vedersi l’importazione britannica dello zuccaro indiano salita dai 3 milioni al montare di 45. — Sul cotone notasi lo stesso progresso. È noto che l’India istessa ne consuma 4 a 5 milioni di quintali, e ne somministra 500,000 all’industria cinese; e se quella coltivazione ancora si migliora, siccome quella pianta, dal Capo Comorin sino all’Himalaya, cresce abbondante, scorgesi che l’India sarebbe, come l’Egitto, nella miglior condizione per provvedere l’Europa intera di tal genere, dacché la mano d’opera colà è molto men cara dell’America e di qualunque altro Stato produttore in cui servano a quella coltivazione gli schiavi.
Il commercio dell’Indie Orientali, in somma, è in una nuova fase di progresso, dopo che la Gran Brettagna gli ha conceduto favori consimili a quelli accordati al traffico delle Antiglie; la maggiore libertà ddle speculazioni, la riduzione delle tariffe debbono viepiù farlo fiorire.
Se si parla poi della maggiore importanza che prende il traffico colla Cina, vedesi da quella relazione, ch’esso fu nel 1844 attivissimo. L’importazione dei tessuti vi prese un aumento straordinario. Sopra 307 navi giunte, 228 portavan bandiera inglese, 55 americana, 10 olandese, 7 francese, ec. Il valore delle importazioni e delle esportazioni del porto di Canton eccedeva quello precedente pel commercio britannico di 210 milioni, e pegli Stati-Uniti di 49 milioni. Le esportazioni consistono in thè, seta greggia e cassia; le importazioni in tessuti di lana e cotone, ed oppio, di cui s’introdussero nel 1844, 41,000 casse del valsente di oltre 100 milioni; scambiando così il thè, merce salutare ed igienica, con un velenoso narcotico.
Cotesti dati ci sembrano interessare indirettamente la marineria italiana, in quanto dimostrano agli speculatori qual vasto campo sia aperto ai viaggi di lungo corso; e se per ora, tranne la Gran Brettagna e l’America, appena si mostrano in que’ lontanissimi lidi le altre bandiere più potenti d’Europa, non è presunzione raffermare che, ripreso l’antico cammino, le bandiere degli Stati italiani potrebbero nuovamente mostrarsi in quegli scali dove altre volte già ebbero potenza e credito.Documento N.° II.
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STRADE FERRATE DEL BELGIO
Ristretto del Rendiconto della rendita e della spesa dell'azienda pel 1844.
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La legge promulgata il 1.° maggio 1834 sulle strade ferrate impone al govono l'obbligo di rendere alle Camere un conto relativo alla costruzione ed all'esercizio delle vie ferrate; ed ecco quello presentato dal ministro de’ pubblici lavori il 19 febbraio 1845 per lo scaduto anno 1844.
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Capitolo 1.° Al 31 dicembre 1844 le spese di costruzione e di primo stabilimento erano liquidate nella somma totale di fr., o L. 144,746,774 06.
come infra ripartite. Strada sola | L. | 111,254,032.37 | |
Casamenti, macchine ed accessorii | |||
de' piani inclinati | » | 1,488,136.36 | |
Casamenti e cinte della stazioni | » | 7,488,273.95 | |
Dipendenze delle stazioni | » | 1,983,350.25 | |
Spese generali, di personale, condotta ed ufficio | " | 4,398,033.35 | |
Materiale dei trasporti | » | 18,134,947.78 |
|
Somma eguale |
L. | 144,746,774.06 |
144,776,774,06 |
La lunghezza totale delle strade decretate dalle leggi 4.° maggio 1884 e 27 maggio 1837 è di... kilometri 559 /tossiano leghe ili di 5,000 metri Di cui a doppia viat... kilometri 2Ì35 o 47 leghe a una solat» 324 o64 8fi0 cioè a doppia via da Brussella a Anversa kil. 46» da Malines a Gand» 57» da Malines a Vertryck» 41» da Tirleipont al confine di Prussia *t» 94 Totale kilometri 235 o leghe 47 Ad una sola via. Da Gand a Ostenda»t67» Da Gand al confine di Francia verso Lilla.»t58» Da Mouscron a Tournay»t19» DaLanden a‘S. Trond». 10» Da Brussella al confine di ‘Francia(Quiévrain)»t8i» Da Braine-4e-Comte a Namur»t8#» Neff interno d*Anversa»•t3»» di Brussella»t3» Sotterraneo di Cumptich»t1 Totale ìdlometri 324 o leghe 64 8flo Insieme kilometri 559 o leghe 111 8fl0 di 5,000 metri
NB. Quantunque la lunghezza massima delle strade sia ad una sola via, sono però disposte per modo a ricevere due vie di ruotaie, eccettuati soltanto i tunnels (gallerie o fori) di Cumptich, di Braine-le-Comte, e di Godarville, e della linea da Landen a Saint-Trond.
Al 31 dicembre 1844 il costo medio d’un kfiometro di strada era di lire 258,938. 77, e per adequato di lire 1,294,693. 85 per ogni lega belgica di cinque kilometri; cioè:
Per kilometro | Per lega | |||
Strada propriamente detta | L. | 201,685.45 | L. | 1,008,427.25 |
Stazioni e dipendenze | » | 16,943.87 | » | 84,719.35 |
Spese generali | » | 7,867.68 | » | 39,388.40 |
Materiale dei trasporti | » | 32,441.77 | » | 162,208.85 |
Totali L. | 258,938.77 | L. | 1,294,693.85 | |
delle vie ferrate, riscontrasi a tutto il 1844:
che risultavano d'assegnamento | L. 150,264,063.75 |
Sulle quali erano al 31 dicembre suddetto liquidate | » 145,984,080.63 |
____________ | |
Onde la somma ancora libera di | L. 4,879,974.12 |
Alle quali aggiunte per liquidate non ispese | 571,159.11 |
____________ | |
Laonde erano disponibili al 31 dicembre suddetto | L. 4,851,133.23 |
Restavano però a spendere per lavori in corso | » 2,427,046.63 |
____________ | |
Laonde il solo residuo disponibile di | L. 2,424,086.60 |
Dovendosi ancora spendere per anteriori impegni | » 2,202,670.48 |
____________ | |
Resta il solo tenuissimo fondo libero di | L. 221,416.12 |
appena bastevole alle spese impreviste arretrate. Attalchè l’intero assegnamento totale può dirsi consunto.
Il materiale disposto pel servizio lungo la strada era il seguente al 1.° 1845
Locomotive … N.° 146 Tenders o carri annessivi … " 145 Vetture per viaggiatori … " 631 Waggons per mercanzie (carri) … " 1,908 Idem per servizio all'impresa … " 371
Però aperte che siano interamente le relazioni colla Francia, si crede che saranno indispensabili gli aumenti atti a portare il detto materiale a
Locomotive … N.° 158 Vetture per posta … " 9 Vetture pe' viaggiatori ordinari … " 788 Waggons per merci … " 2,648 Idem di servizio … " 364 E finalmente fusti o sacca di cuoio … " 1,024
Le spese d’esercizio costarono nel 1844 tire 5,765,430.80, ripartite come segue:
Amministrazione generale | L. 363,503.56, | ossia | 6. | 30/100 per % |
Manutenzione della strada e delle stazioni | » 1,400,071.34 | -- | 24. | 28/100 » |
Locomozione e mantenimento del materiale | » 2,841,734.51 | -- | 49. | 29/100 » |
Trasporti | » 956,324.16 | -- | 16 | 59/100 » |
Esazione | » 203,797.23 | -- | 3. | 54/100 » |
____________ | ||||
Laonde in tutto | L. 5,765,430.80 | ossia | 100. | |
_____________ | ||||
NB. Codeste spese sono andate sempre d’anno in anno scemando, e tanto più riesce sensibile la diminuzione se si avverte che ogni anno cresceva l’estensione delle linee esercitate.
Volendo meglio conoscere i particolari di tali spese, possono i sovrascritti riscontri cosi suddividersi:
Totale | Per ogni lega | ||
Amministrazione | Stipendi e indennità | L. 207,336.68 | L. 0.42 |
generale | Mano d’opera, lavori, somministranze, ec. | » 156,166.88 | » 0.31 |
Stipendi e indennità | » 114,280.96 | » 0.23 | |
Manutenzione delle strade | Mano d’opera, lavori, somministranze, ec. | » 1,069,890.38 | » 2.15 |
e stazioni | Rinnovamento de’ travicelli e delle ruotaie | » 216,100.00 | » 0.43 |
Locomozione, manutenzione | Stipendi e indennità | » 125,718.09 | » 0.26 |
del materiale | Mano d’opera, lavori, somministranze | » 2,716,016.42 | » 5.46 |
Trasporti | Stipendi e indennità | » 574,052.68 | » 1.16 |
e riscossione | Mano d’opera, lavori, somministranze | » 586,068.71 | » 1.18 |
_______________ | _______ | ||
Totali | L. 5,765,430.80 | L. 11.60 | |
_______________ | _______ |
Cotesta spesa nel 1843 era stata proporzionatamente maggiore, cioè per lega ... L. 14.59
È a notarsi che l’economia ottenuta sul combustibile (coak) specialmente ha luogo dacchè, fissata ad ogni macchina locomotiva la quantità cui ha diritto per ogni lega percorsa, con una determinata velocità, per ogni quantità risparmiata assegnasi all’agente incaricato di regolarla, un dato premio, sicchè se gli fa prendere maggior cura per interesse proprio dell’opera sua.
Già abbiamo veduto come siano i più moderati fra tutti quelli d’Europa i prezzi di trasporto lungo le strade del Belgio quanto alle persone.
Ci resta a notare, quanto alle merci, come, a fine di conseguire lo scopo sempre avuto di attrarre pel Regno ai suoi due scali marittimi d’Anversa e di Ostenda il traffico dell’intera Unione doganale germanica in via di transito, non si risparmiarono le transazioni e stipulazioni internazionali, e nel pattuir le medesime accortamente si fecero tutte quelle facilitazioni di formalità e di prezzi che poteano procurare il maggiore avviamento in fatto ottenuto. Il numero de’ viaggiatori fu nel 1844 il seguente:
Ì 4.* classe 801,334 1 2t• idem 928,606 8,860,862 3.’idem 2,070,0221 Trasporti militari... 6,2141tQffj idem straordinari.. 14,4531t* Totale N.° 3,381,529
La proporzione de’ viaggiatori fu per le tre classi. Nella prima del.t40 per % Nella secondat27» Nella terzat61 7/i*» j 100 Il corso cotidiano de’ viandanti è stato per giorno di.. N.° 9,239 De’ quali, civilit» 9,181» militarit» 57 Presi a parte due mesi dell’anno di maggiore e di minore avviamento, vedesi che la media quotidiana fa in settembret. N.° 13,228 dicembret• 6,398 poco pià della metà soltanto. Nel 1844 il peso totale delle bagaglio fu di kilogr. 40,496,068 La media d’ogni viandante...»t3 Ia/ioo Ittrasporti dì danaro sonante sono anche accolti, ma fin qui ebbero poco avviamento-Montarono nel 4844 a L. 29,448. Ittrasporti per cotti 0 batte di merce sono di quattro specie: 4.* classe trasporti per collo da 5 kil. é meno, colli N.° 227,480. 2.*tclasse a peso da 5 a 50 kilogramml.... kilogr. 4,96^000 3.*tclasse idem da 50 a 500»’t» 21,468^500 4.atclasse idem da 500 a 4,000»tjt» 43,370,390 Totale kilogr. 89,800,910 1t■ -* Paragonali ai trasporti del 1843, vi fu nel 1844 aumento Po* colli dì 5 kilogr. e menotdel 48 per % Per quelli da5a50tt»26» Per quelli da 50 a 500tt» 27» Per quelli da 500 a 4,000t» 260»
L’ultimo aumento notevole deriva dalle ultime convenzioni fatte coll’Unione germanica; dalle quali convenzioni pattuivasi ogni collo non poter essere valutato che della 4.a classe, cui però attribuivasi un dritto minimo; e ne derivò dal 1843 al 1844 un aumento, che risulta essere nella proporzione del 56 per %; ondechè dimostrasi largamente conseguito il fine di quelle stipulazioni.
Volendosi conoscere come i viandanti distribuironsi nelle dieci più importanti stazioni, vediamo i seguenti riscontri:
Brussella (Nord) ebbe viandanti | … | N.° | 436,389 |
Gand | … | " | 246,731 |
Anversa | … | " | 192,987 |
Malines | … | " | 189,994 |
Brussella (Sud) | … | " | 181,334 |
Liegi | … | " | 132,663 |
Bruges | … | " | 120,273 |
Lovanio | … | " | 111,934 |
Mons | … | " | 103,073 |
Verviers | … | " | 85,563 |
Insieme più della metà del totale generale | … | N.° | 1,793,951 |
Istituito lo stesso calcolo per le merci troviamo parimenti pelle dieci stazioni di maggior rilievo pe’ trasporti d’esse, i riscontri che seguono:
Liegi ebbe nel 1844, in peso di grosse merci | … | kilog. | 89,442,112 |
Anversa | … | " | 61,026,322 |
Ans | … | " | 48,908,661 |
Manage | … | " | 33,055,280 |
Lovanio | … | " | 25,071,736 |
Tournay | … | " | 21,637,731 |
Charleroy | … | " | 21,035,246 |
Écaussines | … | " | 15,137,630 |
Chênée | … | " | 14,970,452 |
Gosselies | … | " | 12,330,360 |
Laonde le dieci stazioni ebbero insieme di grosse merci kil. | 342,615,530 |
ossia circa il 66 per %, ovvero i 2/3 del totale de’ fatti trasporti,
Sono curiose a vedersi le particolari suddivisioni note, sì nella relazione che negli annessivi quadri, della distribuzione d’ognuna delle preallegate quattro classi di merci in ciascuna di quelle dieci stazioni od altre, che per la rispettiva classe debbon figurare fra le dieci maggiori.
Passando a descrivere la rendita, essa risulta nel 1844 alla somma totale d’un prodotto brutto di L. 11,930,493. 31
Nel 1813 era stata di » 8,994,439. 33
Onde l’aumento di L. 9,936,053. 98
ossia del 24 86/100 per % o quasi ¼.
Come segue ripartiti fra i varii rami di prodotto.
Indicazione della specie. Prodotto 1844. Prodotto 1843. Aumento totale del 1844
Viaggiatori L. 6,166,548. 94 5,489,950. 90 684,289. 74 = 41 per % Bagaglie Finanze Vetture Gav. e best. Merci in dii. Id. delcarr. Prod. strao. 394,734*. 19t340,839. 91t63,898.91 = 15 38,646.90t99,435.07t9,181.83=34 906.334.00t171,371* 00t34,963.00 = 90 494.840.00t86,089.50t38,750.50 = 45 899,538.05t690,149.77t979,388.98 = 45 3,393,013. 90t9,300,443.641,099,6001 96 = 44 76,870. 40t10,718. 37t06,159. 03 =647 Totali L. 11,930,493.31 9,044,968. 76 9,189,994. 55»» Ded. pagate alla Francia»t46,899.43 46,899.43»» Resid. tot rendita t. 41,230,408. M 8,994,48». 33 2,236,053. 96 = 35 per %
Il prodotto adunque delle vie ferrate belgiche nel 1844 può distribuirsi, fra le varie specie d’esso ne’ ragguagli che seguono.
Viaggiatori e bagaglio-t58 */» per % Piccole merci.t8 per%j 37 */3 per % Grosse mercit.99 per % f Finanze, vetture, bestiame, ec.t. 3^ per % 100» Il corso totale del servizio si è ripartito come segue nel 1844. Per quello de’ viaggiatori fu circa del. 66 per % Per quello delle mercit34» 400 *
Suddiviso ancora il prodotto de' viaggiatori, eccone i risultati: 1.* classe.. L. 1,594,134. 75. Viandanti civili di [ 9.* idem 3.* idem Trasporti j Militari... Straordinari» 9,918,545.95Vt6,130,993.30» 9,391,313. 3o"» 9,345.991t«i» 96,940. 35 It35,555’ Totale L. 6,166,548.94 L. 6,166,548.9*
Sono ugualmente curiosi a notarsi le particolari suddivisioni accennate del prodotto del trasporto delle merci; tralasciandole per amore di brevità, notiamo solamente: 1.° che le ultime convenzioni stipulate accrebbero dall’Allemagna specialmente gli arrivi, e per essa le partenze, quindi la rendita:2.° che questa è minore ricetto agli arrivi e partenze di Francia: 3.° che quanto a’ viandanti la 3a classe d’essi è di poco conto nelle reiasioni internazionali; le altre due un po’ più.
La rendita totale può ancora suddividersi per relazioni internazionali ed interne.
1.°tRelax, internazionali colla Germania L. 1,819,900 ossia 11 75/^00 p. °JQ 2.°t.tcolla Francia» 1,090,700» 917/tòo p.% 3.°tRelazioni interne...» 8,879,900» 79 */i 00 p. % Totale L. 41,230,500 * 400t» Nel decennio dal 1835 al 1844 la rendita delle vie ferrate belgiche fu: Pei viaggiatori eì>agag]ie ditL. 35,406,193.66 Per le merci, ett» 43,899,444.-72 Prodotti diversi e straordinarit» 147,949. SS Totale L, 49,453*587.61
Onde scorgesi, avuto riguardo alla rendita sopraindicata del 1844, la quale di molto oltrepassa il quinto del detto totale del decennio, come sia stato ingente l’aumento de’ prodotti.
Passando quindi la relazione ministeriale ad alcune considerazioni generali, degne esse pure di molto interesse, nota i seguenti particolari:
La rendita totale brutta del 1844 fu quella già indicata di L. 11,330,493.31 Le spese d’esercizio (exploitation) salirono nell’anno a» 5,765,439» 80 Residuasi adunque la rendita netta del 1844 a L. 5,465,062,51 • * • Laonde le dette spese d’esercizio ascendono al 51 p. % E la rendita netta è soltanto del.t48 3/VPa % Nel 4843l’esazione totale brutta era stata di.tL. 8,994,439.33 Le spese d’esercizio eran salite a.»t» 5,476,645. 72 Onde la rendita netta di L. 3,547,823.64
Cosicché le dette spese d’esercizio salirono al 60 9/10 per % E la rendita netta solo del 39 1/10 per %
Laonde scorgevi notevolissimo l’aumento spiccio derivato da due cause; la prima l’aumento degli avventori; la seconda l’economia nelle spese d’esercizio.
Il numero delle leghe percorso dai convogli nel 1843 e 1844 è stato rispettivamente di 375,434 nel primo anno, e di 497,064 nel secondo; ed il numero medio delle leghe esercitate è stato di 96 ½ pel primo, e di 111 8/10 nel secondo; onde si deducono i seguenti ragguagli, essi pare degni di venire notati.
1.° Che la rendita media brutta per ogni lega percorsa era stata
Nel 1843 ditL. 93. M Nel 1844 di.t» 99. 00 E che fu.... Nel 1841 di.t»91.«Nel 1849 di.t»93.47 9.° Che à prodotto «pròto della rendita, dedotte le spese d’esercizio, eri stato: Per ogni lega percorsa Nel 1843 ditL. 9. 37 Nel 1844 di.t»41.00 Ch’esso prodotto fa. Nel 1841 di soletL. & 81 e nel 1849 t’»8-08 3.° Che la renditq media totale per lega di strada esercitata era stata: Nel 4843 ditL. 93,906. (B Nel 1844 di.t» 100,461. 04 La rendita medesima Nél 1841 di soletL. 91,901. 00 e nel 1849 già dit» 94,311. 63 4° Che 0 prodotto spiccio per lega delle strade belgiche Ai dunque Nel 1841 di soletL. 34,895. M Nel 1849 di....» 34,803.91 Nel 1843 di.t» 36,454.43 e nel 1844 finalmente di.t. * 48*88! 60
Onde si scorge qoanto e quale fu il progresso nel solo periodo d’anni quattro. Ora vedemmo prima che la spesa totale delle vie ferrate belgiche a tutto il 1843 fa di...... L. 137,573,077.
Che a tutto il 1844 essa era di » 144,746,774. 06
Onde nasce ohe il capitale medio posto a frutto è di » 141,1159,925. 67
Il tprodotto spiccio del 1844 essendo stato di L. 5,465,062. 51
ne nasce una rendita o frutto netto del 3 89/100 per %, ossia quasi il 4 per % del capitale posto a frutto nella colossale impresa, così coronata di pieno successo.
Non comprese ancora per vendita d’oggetti fuori d’oso, affitti di terreni, ecc. L. 19,755. 96
Per servizi gratuiti prestati all’erario di trasporti diversi almeno più di L. 950,000. 00
Sicché può dirsi che la rendita spiccia delle vie ferrate belgiche oltrepassa il 4 per %.
L’ultima indicazione finalmente concerne ai casi disgraziati occorsi nel biennio. 1848 Viaggiatori morti per 4» 48 1 Persone trovatesi lungo la via 5» 1» UflLriali ed operai deD’azienda
4 4 4 Suicidatisi»»
- .»
Totali 11 4 18 6
altri cui di feriti pt p«il ■yrodem atai impndw altra CMM propria cava 1844 Viaggiatori mòrti per» 3 - 9 9 Persone trovatesi lungo la via 4»
- »
Uffiziòli ed operai dell’azienda 4 1 4 6 Suicidatisi 1 «3»» ’» Totali dai quali appare una notevole diminuzionet 8 4 8 15
Questi sono i riscontri più ragguardevoli che ci parve utile di accennare, desumendoli dalla relazione preallegata e dai XLVII quadri ad essa uniti, i quali colla medesima sono un documento molto onorevole per quell’amministrazione, e provano quanto ordine ed attività regni in quell’azienda, da che, appena spirato l’anno, è in grado di porgere un cosi particolareggiato rendiconto.
Provano ancora come l’intervento governativo diretto possa, operando con attività, energia e moralità, conseguire resultati utilissimi, che dimostran proficuo l’assunto.
Dimostrano un progressivo miglioramento, il quale si può anche altrove presumere, quando si voglia procedere colle stesse norme attive, capaci, morali.
Sono un indicio della ragguardevole prosperità d’un regno, dove un’amministrazione savia, morale, abilissima, in meno di tre lustri seppe fondare la nazionalità ed indipendenza del paese, il credito dello Stato, l'aumento della pubblica prosperità.
Documento N.° III
_____________
ELENCO
DEGLI OPUSCOLI PUBBLICATI SULLA QUISTIONE
DELLE DUE LINEE DA MILANO A BRESCIA PER TREVIGLIO O PER BERGAMO
N.° 1.° Rivista di varii scritti intorno alla strada ferrata da Milano a Venezia del dottore Carlo Cattaneo, inserito nel IV volume del Politecnico di Milano. — Milano, Pirola, 1841.
» 2° Primi studi dell’ingegnere Tomaso Meduna intorno ad un progetto di ponte sulla laguna di Venezia (negli Annali di Statistica, dicembre, 1837).
» 3.° Strada ferrata da Venezia a Milano (Atti officiali della società. — Venezia, Gondoliere, 1837, con tre tavole).
» 4.° Memoria, in rapporto ai bisogni della città e provincia di Bergamo. — Bergamo, Crescini, 1837.
» 5.° Idem, con alcune osservazioni degli Annali di Statistica. — Milano, Lampato, 1838;
» 6.° Esame delle osservazioni degli Annali di Statistica. — Bergamo, Crescini, 1838.
» 7.° Primo rapporto annuale dell’ingegnere G. Milani. — Milano, Bernardoni, 1838.
» 8.° Progetto dell’ingegnere Bruschetti per la strada di ferro da Milano a Bergamo (Biblioteca Italiana, tomo 89), 1838.
»9.° Statuti della società per la strada ferrata, ec. — Bernardoni, 1838.
» 10.° Nuovo esame della questione per congiungere la città di Bergamo ec. — Bergamo, Crescini, 1840.
» 11.° Qual linea seguir debba da Brescia a Milano, ec. Memoria dell’ingegnere Milani. — Milano, Bernardoni, 1840.
N.°12.° Dietro quali considerazioni, ec., si debba determinare il luogo ove cominciare i lavori, ec., Memoria del ingegnere Milani. — Venezia, Gondoliere, 1840.
» 13.° Sopra la risoluzione degli azionisti nel congresso di luglio 1840; discorso di J. Castelli. — Venezia, Santini, 1840.
» 14.° Protocollo del primo congresso generale degli azionisti in Venezia, ec., (col rendiconto dei direttori ). — Venezia, Gondoliere, 1840.
» 15.° Progetto dell'ingegnere G. Milani. — Venezia, Antonelli, 1840, con tavole.
» 16.° Dell'importanza di bene scegliere le linee per le strade ferrate in Lombardia. Memoria di Carlo De Kramer. — Milano, Pirola, 1840.
» 17.° Cenni sulla questione della linea da Milano a Venezia, di J. P. — Milano, Lampato, 1841.
» 18.° Le strade ferrate in Lombardia; Cenni dell'ingegnere C. Possenti — Milano, Monti, 1841.
» 19.° Sul vantaggio che passi per Monza e Bergamo, ec. Memoria dell'ingegnere G. Rossetti. — Milano, Pirola, 1841.
» 20.° Cenni dell'industria e sul commercio di Treviglio. — Treviglio, Messaggi, 1841.
» 21.° Lettera dell'ingegnere G. Milani, sopra la memoria intitolata: Nuovo esame, ec. — Milano, Lampato, 1841.
» 22.° Sulla scelta della linea per le strade di ferro in Lombardia. Ulteriori cenni, ec., dell'ingegnere G. Bruschetti. — Milano, Bernardoni, 1841
» 23.° Ricerche sul progetto di una strada di ferro da Milano a Venezia, estratto dagli Annali di Statistica, fascicolo di giugno 1836. — Milano, società degli editori degli Annali, 1836.
» 24. Intorno alla progettata strada a ruotaie di ferro nel regno Lombardo-Veneto in rapporto ai bisogni della città e provincia di Bergamo, con alcune osservazioni degli Annali di Statistica. — Milano, Società degli editori degli Annali, 1838.
» 25.° Alcune osservazioni all'articolo del signor dottore Carlo Cattaneo intitolato: Rivista di varii scritti intorno alla strada ferrata da Milano a Venezia, ec., di P. A. G. — Milano, fratelli Ubicini, 1841.
» 26. Osservazioni intorno alla linea da scegliersi da Milano a Brescia per la privilegiata strada ferrata Ferdinandea Lombardo-Veneta, di Ambrogio Gaspari— Milano, Manini, 1840.
» 27.° Lettera dell'ingegnere R. G. ai membri della commissione del tronco da Brescia a Milano della strada ferrata Ferdinandea Lombardo-Veneta. — Milano, Guglielmini e Radaelli, 1841.
» 28.° Osservazioni al discorso popolare di Jacopo Castelli sulla strada ferrata da Brescia a Milano per la via di Bergamo.— Verona, Antonelli, 1841.
N.° 29.° Epilogo e conclusione dello scritto dell'ingegnere Milani, intitolato: Appello al buon senso pubblico sul voto e sulle illustrazioni del voto della commissione istituita nel congresso di Venezia degli azionisti della strada ferrata Lombardo-Veneta nel 1840. — Verona, Bisesti, 1842.
» 30.° Replica del dottor Carlo Cattaneo alla risposta dell'ingegnere Giovanni Milani (inserita nel Politecnico, N.° 21). — Milano, Pirola, 1841.
» 31.° Continuazione e fine della replica dei dottore Carlo Cattaneo alla risposta dell'ingegnere Giovanni Milani (inserita nel Poltecnico, N.° 22). — Milano, Pirola, 1841.
» 32.° Bergamo e la strada ferrata da Milano a Venezia; riassunto storico-critico dedicato alla moltitudine ed agli azionisti da Gottardo Calvi, con alcune osservazioni sul voto della commissione d’esame, ed una lettera al dottor Carlo Cattaneo.— Osservazioni sul conto della conmissione; lettera di Gottardo Calvi, inserita nello stesso opuscolo. — Milano, Bernardoni, 1841.
» 33.° Bottuini Giovanni Battista, Leonino Secco Suardo, Pietro Moroni, Memoria intorno alla progettata strada a ruotaie di ferro nel regno Lombardo-Veneto in rapporto ai bisogni della città e provincia di Bergamo. — Bergamo, Crescini, 1837.
» 34° Antonio Maironi, Esame delle osservazioni soggiunte dagli Annali universali di Statistica alla Memoria pubblicata da un Comitato bergamasco, intorno alla progettata strada ec., come sopra. — Bergamo, Crescini, 1838.
» 35.° Nuovo esame della questione sul modo migliore per congiungere la città di Bergamo alla grande strada ferrata Lombardo-Veneta. -Bergamo, Crescini, 1840, coll'annessavi Memoria dell'ingegnere G. A. Pagnoncelli.
» 36.° Jacopo Castelli, Sopra la risoluzione degli Azionisti della società della strada ferrata da Venezia a Milano nel congresso 20 luglio 1840. Discorso popolare.— Venezia, Santini, 1840.
» 37.° Ingegnere Bruschetti, Sulla scelta delle linee per le strade di ferro in Lombardia. Ulteriori cenni, osservazioni e notizie.— Milano, tipografia Bernardoni, 1841.
» 38.° Davide Hansemans, Le strade ferrate e i loro imprenditori. Memoria tradotta dal tedesco dell'ingegnere Giuseppe Cadolini, Milano, Guglielmini e Radaelli, 1838.
» 39.° G. Sega. Della questione e delle memorie sulla strada Ferdinandea Lombardo-Veneta. (Nello stesso fascicolo degli Annali di Statistica). N.°40.° Annali di Statistica, fascicolo di dicembre 1887, osservazioni alla pagina 336; diversi fascicoli del 1840 e 41.
» 42.° Raccolta di tutti gli articoli che vennero pubblicati dalla privilegiata Gazzetta Veneta relativamente alla preferibilità della linea che dovrà percorrere la strada ferrata Ferdinandea da Brescia a Milano; con appendice degli articolip ubblicati dal Vaglio. — Venezia, Alvisopoli, 1841.
NB. Come scorgesi dal precedente elenco, gli scritti non mancarono alla polemica; anzi sgraziatamente tanto abbondarono da disgradarne anche i più curiosi di simili pubblicazioni. — L’effetto di queste può dirsi essere stato fatale al buon successo dell'impresa, e noi crediamo ch'esso contribuì grandemente a generare poi l’indifferenza mal’augurata dell’opinione per l’impresa medesima; sicché ne avvenne il succeduto abbandono degli azionisti italiani, i quali vendettero agli esteri, onde nacquero le ultime peripezie della società, la quale, se non si fosse suscitata la questione bergamasca, forse avrebbe felicemente compiuto il proprio assunto.
Documento N.° IV
PRODOTTO PRESUNTIVO LORDO
DELLA
STRADA FERRATA DA LUCCA A PISA
Avuto riguardo alla situazione speciale e vantaggiosissima di Lucca, a cui fanno capo tante strade diverse, alla folta popolazione e somma industra sua e dei paesi circostanti, alla natura degli uomini, vivace e mobilissima, ed alle notizie raccolte colla maggiore diligenza intorno ai transiti attuali, si è ritenuto che ordinariamente si porranno in movimento 400 persone nei giorni feriali, e 800 nei festivi, per condursi da Lucca a Pisa e Livorno, e viceversa da queste due città a Lucca, Pescia, Pistoia, nella Riviera, nel Pietrasantino, nella Garfagnana, e in tutti quei luoghi le cui strade mettono a Lucca.
IN PASSEGGERI | Movimento ordinario nel corso dell’anno. | lire tosc. | |||
---|---|---|---|---|---|
Giorni feriali 281, a 400 transitanti per giorno, calcolando una lira di andata ed una di ritorno, prezzo medio, danno un’entrata, annua di | L. | 324,800 | 359,200 | ||
Giorni festivi 84, a 800 transitanti per giorno, come sopra, danno |
» | 434,400 | |||
Movimento straordinario in alcuni tempi dell’anno. | |||||
I Bagni di S. Giuliano, per dove transita la strada ferrata, stanno aperti quattro mesi, e supponendo che vi concorrino da Pisa, Livorno e Lucca 200. persone al giorno, produrranno, calcolando 40 soldi per transito, prezzo medio |
» | 24,000 | 51,000 | ||
I Bagni di Lucca stanno aperti cinque mesi, e supponendo che il comodo della strada ferrata non vi attiri che 50 persone di più al giorno, produranno, a una lira per transito |
» | 45,000 | |||
Lo spettacolo teatrale di Lucca dura due mesi (vi si danno circa 30 recite), e supponendo che 200 persone per ogni sera di spettacolo approfittino della strada ferrata per recarvisi da Pisa e da Livorno, darà un prodotto, ad una lira per transito, di |
» | 12,000 | |||
Totale | L. | 410,200 | 410,200 |
IN PASSEGGIERI | lire tosc. | |||||
---|---|---|---|---|---|---|
Riporto L. | 440,200 | |||||
I lavoratori emigranti tutti gli anni per la Corsica, Maremma, ec., dal Lucchese e dalla montagna modanese e parmigiana ascendono a circa 4,500, e calcolando un paolo per transito, daranno un prodotto di |
L. | 6,000 | 6,000 | |||
Totale prodotto in passeggieri L. | 446,200 | |||||
IN MERCANZIE219 | Importazioni. | |||||
Grano e granaglie, sacca 450,000, a soldi 3 il sacco |
L. | 22,500 | ||||
Merci diverse, libbre 3,000,000, a soldi 4 il 100 |
» | 6,000 | ||||
Esportazioni. | ||||||
Olio, carta, tela, merci diverse, libbre 8,000,000, e soldi 4 il 400 |
» | 16,000 | ||||
Transiti. |
DOCUMENTO N.° V.
__________
PROSPETTO ECONOMICO GEOGRAFICO-STATISTICO
DELLA
STRADA FERRATA DA SIENA ALLA LEOPOLDA
OSSIA
DELLA STRADA FERRATA CENTRALE TOSCANA
____________
Prospetto economico.
Basi del calcolo. — Le somme del movimento medio giornaliero dei viaggiatori e delle mercanzie, e quelle mensuali delle bestie, si ebbero tenendo sulla strada per più mesi, tanto di notte che di giorno, dei contatori, debitamente sorvegliati, che tutto registravano.
Il prezzo dei trasporti fu calcolato su quello stabilito nelle tariffe delle strade ferrate Leopolda e Lucchese, in proporzione della lunghezza della linea.
Da queste operazioni si conobbe con tutta certezza, che attualmente transitavano per la via postale per ogni giorno 500 passeggieri; per ogni anno N.° 15,000 bestie grosse, N.° 200,000 bestie piccole, e 150 milioni di libbre di merci.
Tutto questo movimento, valutato come sopra, diede
una entrata lorda di ...... | lire | 1,680,000 |
che, depurata dal 40 per % di spese annuali, in | " | 672,000 |
Restò un’entrata netta di |
lire | 1,008,000 |
Non fu per altro stimato di basare le speranze della rendita della proposta via ferrata prezzando il movimento secondo le accennate tariffe, ma anzi fu creduto dover tenere i calcoli molto più bassi per i seguenti motivi: Primieramente, deve per una parte considerarsi che moltissime sono le merci che le province limitrofe a Siena devono esportare verso le parti settentrionali della Toscana, come grano, olio, lardo, pelli, lane, marmi, terre, coccola, legno di costruzione e da ardere, carboni, maiali ed altri bestiami.
Dall’altra parte la strada ferrata centrale della quale tutte le dette province devono servirsi, scende con insensibile continua pendenza da Siena verso la via Leopolda, per cui le merci che per essa caleranno, potranno muoversi per ragione della loro gravità con leggera forza motrice, lo che equivale a dire senza aumento di spesa e di combustibile, qualunque sia la loro quantità.
Non essendovi aumento di spesa in proporzione dell’aumento della quantità di genere esportabile, ne consegue che si può diminuire il prezzo del suo trasporto, senza pericolo di perdita.
Ma diminuendo assai il prezzo del trasporto del genere, niun altro transito potrà reggere il confronto di quello che offrirà la via ferrata, quindi assorbirà essa a suo profitto ogni movimento delle circostanti province, specialmente riflettendo che essa non ha rivalità di canali, nè di fiumi navigabili; laonde i calcoli furono nuovamente innalzati sopra prezzi molto più bassi di quelli dalle tariffe stabiliti, e così fu ridotto a soli soldi sei per ogni cento libbre il prezzo del trasporto delle merci d’esportazione, ed a mezzo paolo per capo (circa centesimi 28) quello delle bestie piccole, e non ostante si ottenne per entrata annuale la
la somma di | lire | 1,345,416. 13 . 4 |
dalle quali detratte le spese annue in ragione | ||
del 40 per %sull'incasso lordo in . . . | " | 538,166.13. 4 |
restano nette |
lire | 807,250. 00. 0 |
Quali dovendosi dividere sul capitale di milioni dieci, costituiscono un utile annuo di più dell’8 per % non calcolando quell’aumento di moto che lo stabilimento delle strade ferrate ha prodotto ovunque furono introdotte, e che nel caso attuale deve considerarsi indispensabile per la meschinità dei prezzi figurati di trasporto.
Condizioni geografiche e statistiche. — La strada ferrata centrale, internandosi nel centro della Toscana dal Nord al Sud, la divide per la sua lunghezza in due eguali sezioni; per questo le fu assegnato il nome di Centrale, e per questo devono in essa affluire tutte le popolazioni delle province che stanno all’est, al sud, all’ovest della medesima. Niun’altra linea, dopo la Leopolda, potrebbe essere ben collocata quanto questa. Essa giunge alla strada ferrata Leopolda, tagliandola quasi nd centro ad angolo retto, per cui i passeggieri, percorrendola, potranno a piacere dirigersi o sulla diritta a Firenze, o sulla sinistra a Pisa, Lucca e Livorno; così le più grandi dttà toscane si troveranno riunite in un sol gruppo, ed a distanze poco differenti da Siena; condizioni che niun’altra linea che fosse laterale potrebbe realizzare.
Sboccando verso Empoli, si congiungerà colla via pistoiese, che per la nuova strada della Porretta conduce a Bologna, quindi immediatamente per l’alta Italia; e siccome la nostra linea potrà proseguirsi per la Chiana o per la Maremma a piacere, essa diverrà allora la più corta e la più centrale via italiana.
La strada centrale, percorrendo il breve tratto di miglia 33, incontra sei grossi paesi, così uno ogni cinque miglia, senza contare Siena da cui parte, e le quattro grandi città a cui mira.
Ognuno di questi sei paesi tiene un ragguardevole mercato settimanale; così accadono lungo la linea sei mercati per settimana, ossia uno ogni giorno feriale, i quali arrecano un grande movimento nell’interno della linea, che nei precedenti calcoli non si è valutato.
La popolazione che deve necessariamente affluire nella strada centrale è di 330,800 abitanti: qualunque linea parallela ad essa, e che fosse laterale, non potrebbe averne la metà; e siccome la linea Leopolda possiede 405,200 persone, la unione delle due strade fonde insieme una popolazione di 736,000 abitanti, per la qual cosa le due strade si baratteranno un numero grande di trasporti, e l’una influirà sull’aumento della rendita dell’altra, cosicché è nell’interesse della società Leopolda la costruzione della centrale toscana.
Il terreno sul quale deve costruirsi la via, è ricco di ghiaia, materiali e legname da costruzione, nè traversa esso fiumi di entità, per cui non occorrono grandi lavori di ponti.
Recapitolando le condizioni geografiche-statistiche della progettata via ferrata, ne emerge che riunisce in un sol gruppo Firenze, Lucca, Pisa e Livorno a Siena, che è centralissimo per la Toscana; che porgerà la più corta comunicazione coll’alta Italia per Bologna, e potrà continuarsi per le Chiane o le Maremme; che riunisce insieme 736,000 abitanti; che nel suo breve corso lambisce sei grossi paesi.Documento N.° VI
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STRADA FERRATA DELL’APPENNINO
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MANIFESTO.
Sua Altezza I. e R. il granduca nostro sovrano, con veneratissima risoluzione del dì 4 corrente aprile, si è degnata concedere ai sottoscritti promotori della costruzione di una strada a rotaie di ferro destinata al transito pubblico, da Pistoia al confine della provincia bolognese passando per la valle d’Ombrone e per quella del Reno, la facoltà di farne gli studi, con l’obbligo di sottoporre dentro il corrente anno 1845 alla sovrana sanzione il progetto di costruzione di detta strada, particolarizzato ed in ogni suo rapporto completo, e contemporaneamente il progetto dello statuto della privata società anonima da costituirsi, per interesse e a spese, rischio e pericolo della quale dovrà essere costruita, aperta all'uso pubblico, e mantenuta la strada, quando la società stessa ottenga la concessione definitiva, con le condizioni che l'I e R. A. S. troverà giusto e congruo di stabilire, e nel caso che la stessa I. e R. A. S. riconosca meritevoli della sovrana approvazione i progetti che le saranno come sopra presentati.
Se vi ha una strada ferrata che possa con fiducia di ben augurato avviso annunziarsi al pubblico, ella è certamente la strada suddetta che da Pistoia, traversando gli Appennini, conduce al confine bolognese; perchè non solo pone in diretta comunicazione la Toscana con le Legazioni, ma, congiungendo Livorno a Bologna, può dirsi che realizzi fin ora il progetto dell'unione dei due mari, il Mediterraneo e l’Adriatico.
E che ciò sia vero, basti il considerare che da Livorno a Bologna per Pisa, Lucca e Pescia, città riunite tutte da strade ferrate, mercè le già accordate concessioni sovrane, si avrà la sola distanza di miglia 90, le quali potranno percorrersi da 4 in 5 ore. Resultato veramente straordinario, a cui conseguire, compita che sia la strada che annunziamo, niente altro resta se non la facile impresa di gettare rotaie di ferro sulla via pianeggiante che serve ora a condurre dalla Porretta a Bologna; impresa che verrà eseguita tostochè il governo pontificio ne accordi la facoltà, come giova sperare che sarà per accadere. Da questo ravvicinamento tra la Toscana e le Legazioni, tra Livorno e Bologna, tra il Mediterraneo e l’Adriatico, il commercio dovrà per necessità aumentare in proporzioni che sono incalcolabili; perchè la è cosa innegabile, che il commercio si estende in ragione della brevità delle distanze, della facilità ed economia dei trasporti.
Or tutti sanno che una strada unica mena dalla Toscana a Bologna correndo una linea di miglia 120 a muoversi da Livorno, di miglia 60 a partirsi da Firenze. Ma forse non tutti conoscono per prova, che in questo secondo non lungo tratto di sole miglia 60 è forza ai viaggiatori per posta consumare 14 in 16 ore, come è necessario consumare 5 in 6 giorni per i trasporti delle mercanzie, se pure non siano impediti e trattenuti, come spesso avviene, da contraria stagione.
Che se, malgrado un tale ritardo, difficoltà e malagevolezze di cammino, da cui tanta deriva spesa di tempo e di denaro, il commercio generale tra l’interno della Toscana e le Legazioni è al presente attivo e prosperevole, come assai importante è quello tra Livorno e Bologna, a quali grandi proporzioni non si allargheranno i cambi, i traffici, le negoziazioni, quando le due province saranno riunite da una linea ferrata che si correrà in ore, quando quelle popolatissime città potranno far baratto in un giorno delle merci che una trae dal Mediterraneo, e l’altra dalle sue ubertose campagne e dai territori delle Marche, e dei vicini ducati di Modena e Parma, ai quali tutti serve di emporio? E già l’avviamento commerciale nella direzione stessa sulla quale va ad aprirsi la nostra linea, è tale e tanto, che indusse una società di privati, instituita in Pistoia col capitale di lire 800,000, a costruire una strada ruotabile che, muovendosi appunto da quella città, giungesse alla Porretta, strada che quando sarà compita, non potendo a meno di rimanere danneggiata dalla concorrenza della strada ferrata, dovrà, secondo le sovrane risoluzioni di S. A. I. e R., ricevere un indennizzo come sia di giustizia, dalla società costruttrice della strada ferrata medesima. Che se l’esempio splendido che ora dà la Toscana, sarà imitato, come ne portiamo fiducia, dagli Stati a lei confinanti, facilmente s’intende che alla strada nostra verranno ad allacciarsi le linee di Parma, Ferrara e Modena (e per conseguenza la strada Ferdinandea), e così Livorno sarà ravvicinato a quella prima città da un cammino di 7 ore, e dalle ultime due non sarà lontano che per il cammino di sole 6 ore.
Questo a considerare le cose in un ristretto punto di vista: perchè ove piacesse più avanti spingere i propri calcoli, sempre in una sfera di probabilità che in questo genere d’imprese divengono da momento in momento certezze, sarebbe facile il persuadersi che una strada ferrata da Bologna a qualsiasi porto dell’Adriatico condurrebbe all’effetto di avere in un giorno al più il cambio delle merci tra Livorno e Venezia, quel cambio che oggi si opera in mesi. Nè è da dubitare che a tanta utilità di effetti possa minimamente contradire la difficoltà dell’opera. La strada da costruirsi, su cui richiamiamo col presente manifesto l’attenzione del pubblico, per giungere da Pistoia al confine bolognese passando l’Appennino toscano, si stenderà sopra una linea di circa 20 miglia, per incontrare al suo termine la nuova strada che conduce a Bologna con un tratto di circa 30 miglia. La conformazione della montagna nel punto dov’essa la varcherà, e quella delle vallate sottoposte è molto più favorevole che in ogni altra parte degli Appennini toscani; quindi offre una linea di non difficile salita, dopo la quale si supera col mezzo di non lunga galleria la maggiore altezza, e si sbocca nella valle bagnata dal Reno, lungo il qual fiume può proseguirsi fino a Bologna, avendo sempre una pendenza inferiore all'uno per cento.
La brevità od agevolezza di questa linea è dovuto specialmente, ripetiamo, ad una particolare configurazione degli Appennini nostri e della adiacente valle del Reno; circostanze che eccitarono già l’imperatore Napoleone, negli ultimi tempi del suo impero, a decretare, sul progetto dell’ingegnere Poirée, una grande strada postale lungo il Reno, che restò tra i desideri pel subito cessare del suo potere. La strada nostra taglia l’Appennino in punti che per la loro poca elevazione sono intieramente al coperto da bufere e da ridossi di neve; e quella parte di essa che, per essere la più prossima alla cima del monte, potrebbe credersi esposta a tali inconvenienti, ne resta difesa dal trovarsi tutta chiusa nella galleria. Così non è da temere in modo alcuno che nella stagione la più rigida manchi numeroso concorso di viaggiatori, mentre poi quel concorso sorpasserà ogni espettativa nel mesi caldi e temperati per tanto popolo affluente ai famosi bagni della Porretta, ed alla Montagna Pistoiese.
Le cose delle quali abbiamo fatto cenno assicurano la facilità della tecnica costruzione della via ferrata dell’Appennino, e la molta utilità che è per derivarne a quanti prenderanno parte nell’impresa. Però i promotori, nell’atto di annunziare che vanno immediatamente ad intraprendersi gli studi per presentarne i resultati alla sovrana approvazione, offrono intanto al pubblico le seguenti
CONDIZIONI
Che dovranno servire di base agli statuti della società anonima per la costruzione della strada ferrata dell’Appennino, salva l’approvazione sovrana, e con le condizioni che S. A. I. e R. troverà giusto e congruo di stabilire, in ordine sempre alle disposizioni della notificazione della I.e R. Consulta del 15 aprile detto.
1.° La società è anonima, ed assume il nome di Società Anonima della Strada ferrata dell'Appennino.
2.° La detta società anonima, ottenuta che abbia la sovrana concessione di costruire, aprire all’uso pubblico; e mantenere la strada nel di lei interesse, ed a tutte sue spese, rischio e pericolo, s'intende che assuma sopra di sè il successo dell'impresa, qualunque sia per esserne il resultato.
3.° La società suddetta ha la sua sede in Firenze, e può avere agenti altrove occorrendo.
4.° È rappresentata da un Consiglio di amministrazione come appresso (§17).
5.° Durerà per anni cento dal giorno della attivazione della strada, e per i suddetti cento anni goderà il privilegio dei trasporti per la strada da costruirsi, e percepirà il provento eventuale del prego dei medesimi sulle tariffe che saranno approvate. Dovrà indennizzare come sia di giustizia la società della strada Leopolda da Pistoia ai confine pontificio presso la Porretta, della quale strada è stata intrapresa e sarà proseguita la costruzione. Decorsi poi cento anni, quando non piaccia in allora alla sovrana munificenza di accordare un ulterior privilegio, il governo entrerà al possesso della medesima, e delle opere accessorie senza sborso di sorta alcuna, salvo a concertare allora ciò che riguarda gli oggetti mobiliari.
6.° Il capitale sociale sarà di dodici milioni e trecentosessantamila lire, diviso in dodicimilatrecentossessanta azioni di lire mille ciascuna. Trecentosessanta delle dette dodicimilatrecentosessanta azioni sono gratuite e industriali, e di esse liberamente disporrà il Consiglio d’amministrazione a suo beneplacito, come unico mezzo accordatogli dalla società per indennizzare le persone che avranno sostenuto cure e spese per la formazione del progetto, e la organizzazione della società medesima.
7.° Ogni acquirente di azioni pagherà il cinque per cento dell'ammontare delle azioni assegnategli nelle mani del cassiere della società, e riceverà contemporaneamente la cartella o cartelle di promesse di azioni estratte da un libro a doppia matrice, firmate dal signor Bartolommeo Cini, uno dei promotori, e dal signor Laudadio della Ripa, cassiere.
8.° Le azioni saranno al portatore o nominali a piacere dell’acquirente; verranno emesse alla pari, cioè per il valore nominale delle medesime; porteranno un numero progressivo, e verranno munite del bollo straordinario dell’amministrazione toscana.
9.° Se il capitale di lire 12,360,000 esuberasse alla impresa, le azioni saranno tutte ridotte a minor valore; se non fosse sufficiente, saranno emesse delle azioni supplementarie di lire 1,000 per ciascuna.
10.° Il pagamento delle azioni si effettua in ventesimi del loro valore nominale, e in effettivi contanti, cioè in rate di lire cinquanta per azione. Il primo ventesimo deve pagarsi nell’atto dell'acquisto della promessa d’azione. il secondo ventesimo dovrà essere pagato immancabilmente a scadenza di quattro mesi dalla data del presente manifesto.
11.° I rimanenti diciotto ventesimi si pagheranno uno alla volta a richiesta del Consiglio di amministrazione, il quale non potrà intimarli a minor distanza di mesi due fra l'uno e l’altro pagamento, e dovrà darne avviso preventivo di mesi quattro.
12.° In adempimento delle prescrizioni contenute nella Notificazione della R. Consulta del 14 aprile corrente, decorso un mese a contare dal giorno in cui l’amministrazione toscana del bollo restituirà ai promotori dell’impresa le matrici munite della relativa formalità, e successivamente di quindici in quindici giorni finché non sia intervenuta la concessione definitiva alla società legalmente costituita, i promotori medesimi faranno conoscere alla persona che verrà destinata dall’I. e R. governo il numero delle promesse di azioni che avranno emesse, ed a maggior cautela e per conto dei possessori delle promesse di azioni, eseguiranno il deposito dell’ammontare dei due primi ventesimi in una cassa pubblica da destinarsi dall’I. e R. governo medesimo, dove rimarranno, senza corresponsione d’interesse, sino a che non sia ottenuta la concessione definitiva per incominciare i lavori.
13.° Quelli che dopo un mese dal giorno delle scadenze come sopra stabilite e da stabilirsi non avranno pagato il ventesimo a cui sono come azionisti obbligati, perderanno le somme sborsate, senza poter opporre diritto o benefizio alcuno, e le somme perdute cederanno a vantaggio del corpo generale della società.
14.° Le somme per ogni ventesimo sborsate goderanno del frutto del quattro per cento a carico della società, contando dalla fine di ciascuno dei mesi nei quali sarà avvenuto il pagamento, cosicché tutte le somme incassate entro un dato mese, diverranno fruttifere il primo giorno del mese venturo. I frutti saranno pagabili nel mese di maggio di ciascun anno, e saranno prelevabili a rate nel conto degli utili della strada ferrata.
15.° Nel caso che per mancanza della definitiva sovrana concessione, o per qualsivoglia altro motivo non potesse intraprendersi la costruzione della strada, le somme incassate saranno restituite ai possessori delle promesse d’azioni, detrazione fatta però del disborso dei frutti, delle spese commesse per gli studi, per la formazione del progetto ed organizzazione della società; le quali spese saranno giustificate con pubblico rendiconto.
16.° La società, e finché essa non sarà costituita, il Consiglio d'amministrazione non ammetteranno sequestri nè sul capitale, nè su gli interessi, nè sopra ai dividendi delle azioni.
17.° Il Consiglio di amministrazione è composto dei signori
Professore Eusebio Giorgi delle scuole Pie, presidente,
Cavaliere professore Giovan Battista Amici, vice-presidente,
Marchese Ferdinando Panciatichi Ximenes,
Pietro Igino Coppi,
Bartolommeo Cini,
Pietro Cini,
Laudadio della Ripa, cassiere,
Dottor Raimondo Meconi, segretario. 18.° La formazione del progetto di costruzione, la esecuzione dei lavori e la direzione tecnica della strada sono affidate al signor Tommaso Cini, ingegnere e direttore dei lavori.
19.° Egli potrà intervenire alle adunanze del Consiglio, senza però aver voto.
20.° Il Consiglio di amministrazione starà in carica fino alla attivazione della strada, e l'ingegnere direttore fino al termine di tre anni dopo l'attivazione medesima.
21.° Allorché il Consiglio e l’ingegnere direttore nominati cesseranno nel modo che sopra dalle loro attribuzioni, subentreranno ad essi un nuovo Consiglio ed ingegnere, che saranno eletti dagli azionisti, i quali potranno, volendo, rieleggere i dimissionari.
22.° Il Consiglio d’amministrazione, come l’ingegnere direttore dei lavori, eserciteranno le loro funzioni gratuitamente, durante la esecuzione degli studi, e la compilazione del progetto definitivo di costruzione.
23.° In seguito saranno retribuiti, il Consiglio con un emolumento che non sorpasserà l’uno per cento sul capitale sociale per tutto il tempo che resterà in carica, e l’ingegnere direttore con una provvisione fissa per ogni miglio di strada già costrutto.
24.° Il Consiglio a suo tempo eleggerà nel proprio seno uno o più gerenti, ai quali sarà commessa l’esecuzione delle sue deliberazioni, e si avranno per delegati dal Consiglio stesso a rappresentare la società.
25.° Il Consiglio si avrà per costituito legalmente con l’intervento di cinque fra i suoi membri.
26.° In caso di mancanza permanente di alcuno dei componenti, il Consiglio provvederà alla rielezione col nominarne altro in sostituzione.
27.° Le deliberazioni del Consiglio sono rese a pluralità di voti: nel caso di parità il presidente, o, in di lui assenza, chiunque ne fa le sue funzioni, avrà doppio voto.
28.° Le deliberazioni del Consiglio restano autenticate dalla firma del presidente, o del suo faciente funzioni e del segretario.
29.° Ottenuta che siasi dall’I. e R. governo la concessione definitiva della costruzione della strada, e l’approvazione degli statuti sociali, il Consiglio convocherà un’adunanza generale degli azionisti per eleggere due sindaci destinati a rivedere i rendiconti, che il Consiglio stesso pubblicherà a suo tempo, e per deliberare su quanto altro potesse a seconda delle circostanze occorrere.
Firenze, 22 aprile 1845.
- I promotori
- Bartolomeo Cini
- Tommaso Cini
- Pietro Cini.
Documento N.° VII
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NOTIFICAZIONE
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L'illustrissimo signor cavaliere commendatore Alessandro Manetti, direttore generale delle acque e strade, in adempimento degli ordini contenuti nel biglietto dell’I e R. segreteria di finanze dei 24 giugno stante, rende noto al pubblico che
Sua Altezza Imperiale e Reale si è degnata concedere a Gaetano Magnolfi, Pietro Igino Coppi, Raimondo Meconi, Orazio e Alfredo fratelli Hall, Giuseppe Francesco Sloane e Giuseppe Vai la facoltà da essi congiuntamente implorata di formare una società anonima per azioni, la quale assuma di costruire e aprire all'uso pubblico, e mantenere nel suo interesse e a tutte sue spese, rischio e pericolo una strada a rotaie di ferro da Firenze a Pistoia, passando per Prato, con prendere sopra di sè il successo dell’impresa, qualunque sia per esserne il resultato.
La società suddetta avrà per anni sessanta il privilegio dei trasporti e transiti sulla strada da costruirsi, e perciperà per altretanto tempo a contare dal giorno in cui la strada sarà aperta al pubblico, il provento eventuale del prezzo di essi trasporti e transiti sulla tariffa che sarà approvata dall'I. e R. governo.
Decorsi sessanta anni, il governo entrerà in possesso della strada e delle opere accessorie alla medesima, senza esser tenuto a sborso di sorta alcuna, salvo a concertarsi con la società per ciò che riguarda gli oggetti mobiliari.
I prefati promotori e concessionari Magnolfi, Coppi, Meconi, fratelli Hall, Sloane e Vai dovranno, a tutto il corrente anno 1845, presentare all’I e R. governo il progetto della strada particolarizzato e in ogni parte completo, e contemporaneamente il progetto dello statuto della società anonima che verrà da essi formata.
Sua Altezza Imperiale e Reale si riserva di indurre nei suddetti progetti le variazioni e modificazioni di cui saranno riconosciuti meritevoli, e di scrivere rispetto alla costruzione, attivazione ed esercizio della strada, alla redenzione del privilegio e alla decadenza dal medesimo, le condizioni che troverà giuste e congrue analogamente a quanto è stato stabilito nei motu-propri e nei capitoli relativi alle strade a rotaie di ferro da Firenze a Livorno, da Lucca a Pisa, e da Siena ad Empoli.
Nel manifesto da pubblicarsi a tenore della notificazione promulgata dalla real consulta ne’ 45 aprile prossimo passato saranno inserite le appresso condizioni, che devono formare onere alla suddetta società anonima, e alle quali resta essenzialmente subordinata la presente concessione.
I. Che per tutta la durata della concessione, a cominciare dal giorno che la strada sia messa in esercizio, sarà tenuta ed obbligata la società medesima a dare e con effetto pagare anno per anno all’orfanotrofio della Pietà di Prato una prestazione o rendita di lire toscane trentamila titolo di canone privilegiato gravante la strada ed ogni attenenza e dependenza di essa, da considerarsi detta annua prestazione o rendita come una spesa necessaria prelevabile sugli incassi provenienti dal prezzo dei trasporti e transiti per la strada, anteriormente e prelativamente ad ogni altra spesa, in modo tale che la mentovata annua prestazione o rendita di lire trentamila mai venga a mancare in favore dell’enunciato orfanotrofio, tranne il solo caso di deperizione della strada stessa, e però ammesso anche l’evento che in qualche anno la strada medesima non produca utili, ciò nonostante dovrà la prestazione o rendita delle lire trentamila corrispondersi con effetto al prefato stabilimento, essendo affatto indipendente dagli utili predetti.
II. Che sarà del pari tenuta ed obbligata la società anonima costruttrice ad affrancare in tronco la prestazione o rendita suddetta pagando in effettivo contante all’orfanotrofio la somma di lire toscane seicentosessantaseimila,seicentosessantasei, soldi tredici e denari quattro, qualora l’orfanotrofio nel termine di due mesi a contare dal giorno della presente Notificazione dichiari di scegliere e volere in luogo e vece della detta prestazione e rendita la indicata somma di lire seicentosessantaseimila, seicento sessantasei, soldi tredici e denari quattro, prezzo e capitale dell’affrancazione.
III. Che nel caso in cui l’orfanotrofio elegga e voglia l’affrancazione che sopra, le dette lire seicentosessantaseimila, seicentosessantasei, soldi tredici e denari quattro dovranno essere dalla società costruttrice pagate durante il tempo della costruzione della strada in tre rate eguali, nel modo e termini che saranno stabiliti di concerto tra il detto pio stabilimento e il Consiglio d’amministrazione della prefata, società anonima costruttrice.
IV. Che a spese della medesima società anonima costruttrice saranno aperte officine nell’orfanotrofio corredandole di convenienti maestranze all’oggetto di procurar mezzi di istruzione e lavoro agli orfani nel mantenimento e maneggio del materiale mobile occorrente alla strada in esercizio.
V. Che verranno fondati sei posti gratuiti in perpetuo nel detto stabilimento, con pagare il capitale o fondo a ciò necessario nella somma di lire venticinquemila e dugento, prelevando la detta somma dall’emolumento dell’uno per cento sul capitale sociale che spetterà come onorario al Consiglio di amministrazione della società durante la costruzione.
VI. Che il medesimo Consiglio di amministrazione durante la costruzione e fino alla attivazione della strada, sarà presieduto dal direttore dell’orfanotrofio, con questo però, che il fatto del medesimo direttore non obbligherà mai per alcun titolo o causa lo stabilimento.
Oltre le condizioni suddette formanti onere alla società anonima che verrà costituita, i promotori e concessionari sopra nominati avranno in proprio gli obblighi che appresso:
1.° Di non emettere alcuna azione industriale, dovendo il capitale della società essere integralmente costituito con azioni tutte paganti.
2.° Di corrispondere a titolo di donativo all’orfanotrofio la somma di lire diecimila annue a contare dal giorno della presente Notificazione, e durare fino a che la strada non sarà costruita e posta in attività.
3.° Di non procedere alla emissione di alcuna azione o promessa di azione fintantoché per parte dei promotori e concessionari, e per essi dalla società italiana ed austriaca per le strade ferrate residente in Londra, non sia fatto nella cassa dell’I. e E. depositeria un deposito di due milioni di lire toscane, o in denaro contante o in equipollenti valori, secondo che meglio parrà all’I. e R. governo; da non potersi detto deposito ritirare se non quando verrà fatto constare al governo medesimo di essersi erogati nella costruzione della strada tre quarti del capitale occorrente all’impresa, e da servire tal deposito per garanzia degli obblighi assunti dai promotori e concessionari summentovati: il deposito che sopra, da effettuarsi in ferma di vero e proprio deposito regolare, dovrà essere eseguito entro il termine di tre mesi a contare dal dì della presente Notificazione.
4.° Di uniformarsi alle prescrizioni e condizioni di che nella predetta Notificazione pubblicata dall’I. e R. consulta nel 15 aprile prossimo decorso in quanto siano conciliabili con le condizioni, dichiarazioni e prescrizioni sopra espresse.
Dalla Direzione generale delle acque e strade, li 25 giugno 1845.
Il segretario Camillo Lapi.
Documento N.° VIII
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NOTIFICAZIONE
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La Real Consulta, in obbedienza degli ordini di Sua Altezza Imperiale e Reale partecipati con biglietto dell’I e R. segreterìa di finanze del dì 14 aprile stante, rende pubblicamente noto die l’I. e R. A. S. con veneratissima risoluzione del dì 4 detto ha dichiarato e prescritto quanto segue:
Art. 1.° I promotori dell’impresa per la costruzione di una strada a rotaie di ferro destinata al transito pubblico, i quali abbiano avuta da Sua Altezza Imperiale e Reale la facoltà di farne gli studi, dovranno entro il termine che secondo i casi e le circostanze verrà ad essi assegnato dal Dipartimento delle reali finanze, sentita la direzione generale delle acque e strade, presentare all’I e R. governo il progetto della strada particolarizzato e in ogni sua parte completo, e contemporaneamente il progetto dello statuto della privata società anonima da costituirsi, per interesse, e a spese, rischio e pericolo della quale dovrà essere costruita, aperta all'uso pubblico, e mantenuta la strada, quando la società stessa ottenga la concessione definitiva. I progetti che fossero presentati dopo spirato detto termine non saranno attesi.
2.° La concessione sarà fatta alla società suddetta, ma con le condizioni che S. A. I. e R. troverà giusto e congruo di stabilire, e nel caso soltanto che la prefata I. e R. A. S. riconosca meritevoli della sovrana approvazione i progetti che saranno come sopra presentati dai promotori.
3.° Oltre le condizioni che caso per caso verranno imposte a forma dei precedente articolo, resta in generale determinato:
Che i promotori dovranno depositare in una cassa pubblica da destinarsi dal governo, la quale non corrisponderà veruno interesse, l’importare almeno di due ventesimi del valore nominale di tutte le azioni o promesse di azioni emesse prima della concessione definitiva;
Che la società la quale ottenga la concessione di costruire, aprire all’uso pubblico, e mantenere la strada nel suo interesse, e a tutte sue spese, rischio e pericolo, assume sopra di sè il successo dell’impresa, qualunque sia per esserne il resultato;
Che la società avrà per anni cento il privilegio dei trasporti per la strada da costruirsi, e perciperà per altretanto tempo il provento eventuale del prezzo dei medesimi sulle tariffe che saranno approvate;
Che decorsi cento anni, il governo entrerà in possesso della strada e delle opere accessorie alla medesima senza sborso di sorte alcuna, salvo a concertare ciò che riguarda gli oggetti mobiliari.
4.° Decaderanno dall’ottenuto permesso di fare gli studi per presentare i progetti di che nell’art. 1.° i promotori che incominciassero questi studi, ed emettessero azioni, o promesse di azioni prima di pubblicare un manifesto da inserirsi per due volte consecutive nella gazzetta di Firenze, e che contenga le appresso indicazioni e dichiarazioni.
5.° Il manifesto da pubblicarsi indicherà:
Le basi sulle quali sarà formato il progetto dello statuto sociale da presentarsi come sopra all’I e R governo.
II capitale dai promotori approssimativamente calcolato necessario all’impresa;
IL valore di ciascheduna azione e il numero di esse;
La somma non mai minore del ventesimo del valore di ogni azione da pagarsi in effettivo contante nell’atto dell’acquisto di azioni o promesse di azioni;
La somma non mai parimente minore di un altro ventesimo del valore di ogni azione che dovranno effettivamente pagare i possessori di azioni o promesse di azioni prima della concessione definitiva;
Le formalità con le quali saranno emesse le azioni o promesse di azioni, munite del bollo straordinario dell’amministrazione toscana;
Il nome delle persone destinate a firmare le ricevute delle somme pagate in conto delle azioni o promesse di azioni;
Il termine dentro il quale i promotori sono in obbligo di presentare al governo i relativi progetti.
6.° Il manifesto suddetto, oltre le disposizioni degli art 2.° e 3.° della presente Notificazione, conterrà le dichiarazioni che appresso:
Che l’emissione delle azioni o promesse d’azioni sarà fatta alla pari, cioè per il valore nominale delle medesime;
Che decorso un mese a contare dal giorno in cui l’amministrazione toscana del bollo restituirà ai promotori dell’impresa le matrici munite della relativa formalità, e successivamente di quindici in quindici giorni fin che non sia intervenuta la concessione definitiva alla società legalmente costituita, i promotori predetti faranno conoscere alla persona che verrà destinata dall’I e R. governo, il numero delle azioni, o promesse di azioni che avranno emesse, ed eseguiranno i depositi prescritti nell’art. 3.° della presente Notificazione; Che se per la non intervenuta concessione, o per qualsivoglia altro motivo non potesse intraprendersi la costruzione della strada, le somme incassale dai promotori saranno restituite ai possessori delle azioni, o promesse di azioni, fatte le deduzioni per i titoli che nel manifesto dovranno essere espressamente dichiarati.
7. Saranno i promotori dell’impresa personalmente responsabili di faccia ai terzi del non adempimento degli obblighi dai medesimi assunti col manifesto predetto, e dell’omissione delle indicazioni e dichiarazioni che a forma dei precedenti art, 5.° e 6.° esso deve contenere, e per ogni migliore effetto dovranno depositarne con le debite formalità, e contemporaneamente alla pubblicazione, un esemplare firmato di proprio pugno nell’archivio generale dei contratti della città di Firenze, e un altro esemplare, parimente firmato di proprio pugno, nella cancelleria della corte regia.
8.° Essendo la materia delle pubbliche strade di esclusiva competenza dell’I. e R. governo, resta dichiarato che i progetti relativi alla costruzione di strade a rotaie di ferro per uso pubblico formate senza preventiva autorizzazione del governo predetto, saranno da esso riguardati per illegali, e perciò inattendibili.
Dalla Real Conculta, il 15 aprile 1845.
V. V. Giannini.
P. Mensini.
Documento N.° IX
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REGIE LETTERE PATENTI
per le quali S. M. autorizza una società privata ad imprendere gli studi necessari per la costruzione di una strada ferrata da Genova al Piemonte e confine lombardo, e stabilisce le condizioni alle quali otterrà la medesima il privilegio dell’opera, dove, compiti gli studi suddetti, trattisi di quella eseguire.
in data 10 settembre 1840
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CARLO ALBERTO
PER LA GRAZIA DI DIO
RE DI SARDEGNA, DI CIPRO E DI GERUSALEMME,
DUCA DI SAVOIA, DI GENOVA, ec., ec.,
PRINCIPE DI PIEMONTE, ec., ec., ec.
I banchieri e negozianti Cesare Gavagnari, Raffaele Pratologo quondam Rocco, Morro Alberti e Compagnia, Antonio Quartara fu Gioanni, Francesco Rocca e figli, e Giuseppe Raineri, promotori e fondatori della società per la formazione della strada ferrata da Genova al Piemonte e confine lombardo, essendosi dichiarati disposti a prestare la cauzione loro richiesta in guarentigia della debita esecuzione di studi del terreno, e relativi disegni, abbiamo riconosciuto opportuno non solamente di dare alla società predetta l'autorizzazione di provvedere agli studi che ha in mira, co’ favori di cui a tal uopo può abbisognare, ma ancora di stabilire fin d’ora le condizioni con le quali, nel caso d’eseguimento dell’impresa, sarà da noi conceduto alla società medesima il privilegio di essa. Epperò per le presenti di nostra certa scienza, regia autorità, ed avuto il parere del nostro Consiglio, abbiamo preso le seguenti determinazioni: I. Concediamo ai supplicanti il permesso di costituirsi provvisoriamente in società, con autorizzazione di far levare piani e livelli ovunque bisognasse lungo la linea da trascorrersi dalla strada di cui si tratta, e nel modo istesso con cui si pratica secondo i regolamenti per le strade regie, con il carico, ben inteso, del risarcimento dei danni qualora ne cagionassero.
II. Accordiamo pure ad essa società l’autorizzazione di richiedere presso le varie autorità e dicasteri, in quanto sarà conciliabile coll’interesse del regio e pubblico servizio, i lumi, cognizioni e protezione che potessero ad essa giovare nel suo intento.
III. Concediamo parimenti ai soci suddetti il reale nostro affidamento, che qualora si compiano gli studi summenzionati entro diciotto mesi dalla data delle presenti, e la società, vedutone il risultamento, trovi la sua convenienza nell’impresa, e ricorra perciò ad ottenere la sovrana nostra autorizzazione, è loro accordato sin d’ora per allora il privilegio della sua esecuzione alle condizioni seguenti:
1.° Veduto il risultato del tracciamento della strada, e dei calcoli della spesa necessaria pella sua costruzione, calcoli che saranno da noi sottoposti alla conveniente verificazione dopo che i piani e progetti relativi all’opera avranno ottenuto la nostra sovrana approvazione, i fondatori e promotori suddetti potranno formare una compagnia anonima per azioni in numero corrispondente e proporzionato alla spesa presunta dei lavori, chiarita e verificata come sovra, con autorizzazione di costrurre e mettere in attività una strada di ferro a semplice o doppia via, che, partendo fuori delle mura della città di Genova, si porti per l’Appennino e la valle della Scrivia nella pianura al di là di Serravalle, ove, divisa in due rami, progredisca da una parte oltre il Po al confine di Pavia, piegando dall’altra verso Alessandria, con riserva di proseguire verso Torino, come sarà detto all’articolo 22.°
2.° La presente società provvisoria però non potrà mettere in corso azioni,o promesse di azioni per via di cartelle, non dovendo queste essere spedite che dopo quando sarà da noi approvata la società definitiva; essa non potrà neppure esigere od accettare somma veruna per antecipazione od a conto delle azioni da stabilirsi in altro tempo, salvo bensì ai fondatori l’arbitrio di ricercare fin d’ora, col mezzo del personale ed individuale loro credito, quella cooperazione di cui hanno bisogno nella futura impresa, anche con promettere verbalmente o per mezzo di semplice lettera non negoziabile, e così non per modo obbligatorio, ma semplicemente per anticipata trattativa, ed a suo tempo, le corrispondenti azioni, l’ammessione delle quali avrà luogo solamente dopo la nostra approvazione.
Potranno per altro i fondatori esigere tanto in cedole pubbliche, quanto in altra valuta dai compartecipi la necessaria guarentigia per la quote di concorso de’ medesimi nelle spese e malleverie richieste per l’impresa, da non eccedere essa guarentigia il quattro per cento della loro partecipazione, obbligandosi i fondatori di farne il deposito presso il marchese Deferrari di Galliera, e di effettuarne la restituzione, dedotte le spese, qnando non s’imprenda la costruzione della strada.
3.° La strada dovrà cominciare fuori le mora di Genova, e non potrà avere un ponte fisso sol Po inferiormente alla foce del torrente Currone nelle vicinanze del porto di Gerola; trattandosi di un ponte mobile, tale località non sarà di rigore, ma non dovrà scostarsene di molto.
In quanto riguarda le dimensioni della strada ed alle particolarità tecniche, la compagnia s’intenderà col nostro governo, conformandosi all’uso generale adottato per tali lavori nei paesi esteri, ma però nel modo più conciliabile colle particolari località che deve trascorrere la strada e così colla condizione che, se in qualche luogo non fosse praticabile la comunicazione colle altre comunicazioni laterali, salvo che attraversando la strada ferrata, la società sia tenuta all’eseguimento di tutte le opere di cautela che saranno stabilite dagl’ingegneri del nostro governo.
4.° Ci riserviamo di permettere, unicamente come contrasegno della speciale nostra protezione, e come titolo di onore, e non come affidamento di alcun concorso per parte del nostro governo, che tale strada, quando sarà cominciata, prenda il nome di via Albertina, e provvisoriamente che la società che deve costrurla, assuma quello di Società Reale della strada ferrata da Genova al Piemonte e confine lombardo, riservandoci però intorno alla stessa di approvare l’opportuno statuto.
5.° Allorché i piani e calcoli ed i progetti definitivi verranno a noi sottoposti, come è detto all’articolo 4.°, ci riserbiamo d’introdurre nei medesimi quei cangiamenti che crederemo necessari all’interesse generale e del nostro servizio, purché non siano contrari alla essenza delle disposizioni del presente provvedimento. Sarà facoltativo alla società di aderire a siffatti cangiamenti o di ritirarsi dall’impresa, ma in caso di rifiuto essa non avrà diritto ad alcuna indennizzazione.
6.° La strada dovrà essere aperta entro cinque anni dall’approvazione del tracciamento, salvo casi di guerra straordinari, ecc., ecc., nei quali il tempo sarà prolungato d’accordo col nostro governo.
7.° La proprietà della strada, salvo il diritto riservato al governo all’articolo 17.°, resterà per novantanove anni dall’apertura del transito nella compagnia, la quale potrà valersene come meglio le converrà, e mettervi in opera per la facilitazione dei trasporti d’ogni genere, cavalli, altri animali, macchine, ecc., ecc, con avervi per i cavalli gli oppportuni ricambi.
Dopo tale epoca rimarrà nel governo in quanto al suolo ed ai ponti, canali ed altre costruzioni facienti stabilmente parte della strada; ma resteranno alla compagnia le rotaie e gli attrezzi tutti.
8.° La strada non potrà essere posta in esercizio se prima non sarà stata coi voluti esperimenti riconosciuta suscettibile di essere aperta al pubblico senza veruna sorta di pericolo. 9.° Per trent’anni dopo l’apertura il governo non permetterà la costrnzione di verun’altra strada ferrata per tutta l’estensione della Riviera occidentale ed orientale di Genova, e nell’intorno per entro alla circonferenza di 20,000 metri da ciascuna parte della nuova strada.
Resta però sempre riservata al governo la piena facoltà di stabilire in qualunque sito creda più opportuno quella diramazione e protendimento, e quelle comunicazioni, canali, strade e passaggi che crederà convenienti, purchè non costrutte a ruotaie di ferro.
10.° Per l’occupazione dei terreni, materiali opportuni, ecc., la compagnia sarà trattata come il Regio Demanio per la costruzione delle strade regie, con che però essa si uniformi al disposto degli articoli 8.°, 9.° e 11.° delle regie patenti del 6 aprile 1839.
11.° Sono concedute all’impresa le seguenti esenzioni:
I. La franchigia per l’introduzione ne’ regii Stati delle rotaie in ferro e pelle macchine locomotive, e per gli altri oggetti riconosciuti dal governo come strettamente ed esclusivamente necessari al primo stabilimento della strada, come pure per la introdozione del carbone, il tutto mediante le debite cautele doganali, e quelle altre necessarie per accertare l’impiego effettivo degli oggetti suddetti, e quanto al carbone, salvo il diritto detto di bilancia.
II. L’esenzione da ogni diritto di transito e di trasporto, tanto a favore della strada, come di tutto ciò che transiterà sulla medesima, eccettuati i generi di regale privativa, e salvi i dazi generali di consumo, e ciò cominciando dal luogo del caricamento e dello scaricamento dei carri e vetture della compagnia.
III. L’immunità dei tributi pei terreni occupati dalla strada.
IV. L’esenzione dai diritti proporzionali d’insinuazione pei contratti occorrenti pella nuova strada, come acquisti di terreni, di fabbricati e simili.
V. La rimessione a prezzo di favore di quella quantità di polvere da mina che si riconoscerà necessaria alla costruzione della strada.
12.° L’esenzione accordata come sovra al N.° 1.° durerà per intiero sino al totale compimento della strada.
Verrà quindi modificata e ristretta a quella quantità di macchine e di ruotaie che saranno riconosciute indispensabili pel mantenimento della strada, avuto anche riguardo alla quantità, qualità e prezzo di quegli articoli che potranno essere provvisti dalle fabbriche nazionali. Quanto però alle macchine locomotive ed al combustibile necessario al loro servizio, resteranno esenti, come nello stesso N.° 1.° dell’articolo precedente, per li trent’anni della privativa, e dopo questo tempo una tale esenzione durerà pel combustibile fintantoché venissero a scoprirsi nd regii Stati delle cave le quali fossero in grado di somministrare il carbone fossile adattato al servizio delle macchine ad un prezzo di poco superiore à quello proveniente dall’estero. 13.° La compagnia potrà servirsi dovunque e per qualunque oggetto di facchini attaccati al suo servizio, o come meglio stimerà, purché si conformi ai regolamenti e disposizioni che la Polizia crederà di prescrivere pei mantenimento dell’ordine pubblico.
14. Il maximum de’ prezzi di trasporto da Genova a Torino e viceversa, è fissato, per le merci, a lire tre per ogni quintale metrico.
Per le persone, esso dovrà essere regolato in modo da non oltrepassare i due terzi della media de’ prezzi ordinari attuali, e non potrà in nessun caso venire stabilito senza essere stato previamente approvato dal governo.
È poi riservata al governo la facoltà di modificare la tariffa di questi prezzi dopo trent’anni, secondo le risultanze de’ conti che la compagnia dovrà presentare circa al prodotto de’ trasporti.
I prezzi summenzionati verranno proporzionatamente ridotti per le distanze intermedie tra Torino e Genova.
15.° Il governo in caso di bisogno tanto per i trasporti di truppa, quanto per ogni altro suo servizio, avrà diritto di servirsi prelativamente e ai prezzi di tariffa dei mezzi di trasporto stabiliti.
Per le truppe in corpo si combinerà un prezzo discreto.
Potrà anche servirsi della strada per la corrispondenza postale, contro il pagamento pure da concertarsi. Valendosi il governo dei carri suoi propri per i trasporti dell’artiglieria, godrà di una diminuzione proporzionata nelle tariffe: però non si potrà eccedere in questi trasporti il maximum del peso solito ad imporsi per i carri ordinari.
16.° Qualora per guerra nello Stato si dovessero rimuovere le ruotaie, ed ovunque fosse necessario, il governo farà tutte le spese occorrenti. Cessate le circostanze che avranno dato luogo all’intercettamento, concederà ma equitativa indennizzazione da calcolarsi unicamente sul valore degli oggetti e materiali demoliti o deteriorati in simile occorrenza.
I regii ingegneri potranno preparare in più luoghi nella costruzione della strada i mezzi di prontamente distruggerla.
17.° Il regio governo si riserva la facoltà di riscattare la strada, non però prima di trent’anni dal giorno in cui sarà aperta al transito, ed il prezzo ne verrà regolato alla quota media dd corso delle azioni nel quinquennio precedente, esclusi gli anni di guerra guerreggiata nello Stato, di blocco, epidemia ed altri evenimenti straordinari che abbiano apportato una considerevole perturbazione nelle transazioni commerciali.
La compagnia non sarà tenuta a cedere il possesso dela strada, se non dopo l’intiero suo pagamento, ed intanto il governo subentrerà al godimento delle azioni corrispondenti alle somme da lui pagate per ciascheduna rata.
18.° Nel corso dei lavori, ed anche dopo, potranno essere introdotte nel tracciamento stabilito quelle modificazioni che dalla compagnia fossero riconosciute opportune; però trattandosi di cose essenziali dovranno essere preventivamente autorizzate dal governo, il quale si riserva anche il diritto di sorvegliare la strada tanto nella sua costruzione, qnanto nel suo uso.
19.° La società si potrà valere delle carte e documenti esclunvamente relativi alla strada di ferro, esistenti nel regii uffizi, che le saranno comunicati, previe le debite richieste, e colle cautele prescritte dai regolamenti.
20.° La compagnia potrà per lo stabilimento della strada, valersi del letto dei fiumi e torrenti, ed il terreno a quest’uopo occupato esistente tra il lembo della nuova strada ed il confine delle possessioni confrontanti resterà di sua proprietà, in modo però che il medesimo rimanga inalienabile e faccia parte integrante della strada.
Questa proprietà ritornerà al governo quando sarà il caso di cadere nel regio demanio tutta la strada.
21.° Ad eccezione del ponte sul Po, nel resto la compagnia sarà in pieno arbitrio di far passare la strada ovunque crederà conveniente fra gli estremi espressi nell’articolo delle presenti, salvo sempre, ben inteso, la nostra approvazione a mente dell’articolo 5.°
22.° Entro un anno dall’approvazione degli studi di tracciamento dovranno essere presentati al nostro governo i progetti per la costruzione della strada a Torino ed al lago Maggiore, in difetto s’intenderà che la compagnia abbia rinunciato all’esecuzione del progetto o progetti non presentati; però dopo sei mesi dal presente affidamento il governo potrà sentire proposizioni d’altri concorrenti per l’esecuzione di detti tronchi, ma in questo caso dovrà comunicare i progetti alla compagnia, la quale avrà, a condizioni eguali, la preferenza, e tre mesi per rispondere in modo definitivo.
23.° Dopo che la compagnia, veduto il risultato degli studi, avrà dichiarato di assumere definitivamente l’impresa, ed avrà ottenuto la nostra approvazione, presterà una cauzione di lire cinquecentomila in fondi pubblici nazionali, nessuno eccettuato, da ritirarsi in cinque parti eguali; corrispondenti ad altretanti parti eguali dell’intiera opera a misura che verranno successivamente compite.
I fondatori, durante i lavori, dovranno tenere a loro mani ed inalienabili almeno per trentamila lire d’azioni per ciascuno, e qualora il numero di essi fosse minore di otto, dovranno altrimenti crescere proporzionatamente la quota loro in modo che la somma totale di queste azioni indianabili da tenersi a mani dei fondatori non sia mai minore di duecentoquarantamila lire.
Essi dovranno intanto prestare sopra fondi dello Stato una cauzione di lire cinquantamila, la quale rimarrà sciolta tosto che gli stadi e disegni accennati nell’articolo 1.° ci saranno presentati, abbiasi del resto ad eseguire, o no, la costruzione della strada.
24.° Il privilegio rimarrà estinto se entro un anno dalla definitiva approvazione del tracciamento non saranno stati incominciati i lavori di costruzione, a meno legittimo impedimento. 25.° Prima di mettere in esercizio la strada sarà concertato fra il governo e la società il minimmm della celerità dei trasporti.
26.° La compagnia si concerterà con l’autorità spirituale per l’istruzione morale e religiosa de’ suoi impiegati inferiori ne’ giorni festivi.
27.° Qpalora i suddetti fondatori della società, visto il risultato degli studi di tracciamento, e le modificazioni che vi fossero introdotte dal governo, abbandonassero l’impresa, gli studi istessi, cioè i piani, i profili ed i progetti diverranno proprietà del governo, e nessun’altra società od individuo ne potrà approfittare, senza aver prima concertata colla compagnia una conveniente indennizzazione.
28.° Ove si riconoscesse la possibilità di applicare alla formazione della strada un sistema per cui si ottenesse una notevole economia nelle spese, verrà concertata colla società una equitativa restrizione della durata della concessione, come pure qualche facilitazione al prezzo di tariffa.
29.° I fondatori dovranno, nel termine di un mese dalla data delle presenti, prestare, davanti l’azienda generale economica dell’interno, la cauzione menzionata nell’ultimo paragrafo dell’articolo 23.°, a passare nell’istesso tempo atto di sottomessione di eseguire tutte le condizioni loro imposte, in difetto del che si avranno le presenti come nulle e di niun effetto.
Mandiamo alla nostra Camera de’ Conti di registrare le presenti, ed a chiunque spetti di osservarle e farle osservare, ordinando che le medesime sieno inserite nella Raccolta degli Atti del nostro governo, e che alle copie stampate nella stamperia reale si presti la stessa fede che all’originale: chè tale è nostra mente.
Date a Torino addi 10 del mese di settembre, l’anno del Signore milleottocentoquaranta, e del regno nostro il decimo.
Carlo Alberto.
- V. Bastia pel guarda-sigilli.
- V. Gallina.
- V. Pensa.
Di Pralormo.
Documento N.° X.
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REGIE LETTERE PATENTI
In data 18 luglio 1844.
per la grazia di dio
re di sardegna, di cipro e di gerusalemme,
duca di savoia e di genova, ec., ec.,
principe di piemonte, ec., ec., ec.
Colle lettere patenti del 10 settembre 1840 già abbiamo autorizzata una società ad intraprendere studi per una parte delle strade ferrate da Genova al Piemonte, e confine lombardo, e questi studi essendoci stati presentati, li abbiamo fatti prima d’ogni cosa esaminare in linea d’arte da una Commissione composta d’ingegneri, e quindi sulla domanda di nuovi favori stataci rassegnata da detta società, abbiamo creduto opportuno di sentire sul merito di tali proposizioni e sulle essenziali questioni inerenti allo stabilimento di strade ferrate nei nostri Stati di terra-ferma sotto il rapporto politico, strategico, economico e commerciale il parere di una special Commissione che abbiamo a tal fine nominata con nostro brevetto del 26 marzo ultimo scorso. Prese ora in matura e nuova considerazione le discussioni ed i pareri emessi nella sfera delle rispettive incumbenze dalle dette due Commissioni, abbiamo giudicato util cosa di determinare intanto alcune basi, per le quali restino stabilite in massima, e sopra un più ampio sistema di comunicazioni e d’interessi le principali direzioni che le strade ferrate debbono percorrere nei nostri Stati, con dare nel tempo stesso alcune disposizioni per la celere formazione degli studi occorrenti per mandarle ad eseguimento, e per l’assegnamento dei fondi a tali studi necessari.
Epperò di nostra certa scienza e regia autorità, avuto il parere del nostro Consiglio, abbiamo determinato, come colle presenti determiniamo, quanto segue:
Art. 1° Il sistema delle strade ferrate nei nostri Stati di terra-ferma avrà luogo colla costruzione simultanea di una strada a ruotaie di ferro da Genova a Torino per Alessandria e la valle del Tanaro con diramazione verso la Lomellina, donde a Novara ed al Lago Maggiore.
2° Il punto da cui dovrà partire detta diramazione, sarà determinato in correlazione della località che in dipendenza di accurati studi sarà prescelta per varcare il fiume Po con maggiore utilità e sicurezza.
3° Compiuta od intrapresa la costruzione di detta strada bipartita nelle dette direzioni verso Torino ed alla Lomellina, verrà eseguita la diramazione di un altro tronco che, da quello verso la Lomellina, metta alla Lombardia nella direzione che le circostanze saranno per consigliare più opportuna.
4° Per l’effetto della costruzione delle strade ferrate nelle direzioni summenzionate saranno intrapresi gli occorrenti studi, che dovranno aver luogo nella conformità infra stabilita.
5° Il nostro primo segretario di Stato per gli affari dell’interno e delle finanze delegherà gl’ingegneri per la formazione di detti studi, e stabilirà le retribuzioni e le indennità da assegnarsi ai medesimi ed alle altre persone addette a tali lavori.
6° A questo fine è da noi autorizzata una spesa nuova di lire 100,000 da applicarsi ad una nuova categoria sotto la denominazione di strade ferrate, la quale verrà instituita sotto il n° 23 bis, in aggiunta a quelle della parte II Spese straordinarie del bilancio passivo pel corrente anno 1844 della nostra generale azienda economica dell’interno, riservandoci di provvedere in seguito, sulla proposta che ne verrà fatta, per lo stanziamento di quelle altre spese che per tale oggetto saranno necessarie.
7° Terminati che saranno i lavori e studi surriferiti, ci verrà dalla nostra segreteria di Stato rassegnata apposita relazione sul definitivo risultamento dei medesimi per gli ulteriori nostri provvedimenti.
Deroghiamo ad ogni disposizione o regolamento in quanto possa essere contrario alle presenti, che mandiamo alla Camera nostra de’ conti di registrare, volendo che siano inoltre stampate ed inserite nella Raccolta degli atti del nostro governo per essere da chiunque spetta osservate e fatte osservare; chè tale è nostra mente. Date in Racconigi addì 18 del mese di luglio, l’anno del Signore mille ottocentoquarantaquattro, e del regno nostro il decimoquarto.
Carlo Alberto
V. Avet.
V. Scati per il Pr. Segr. di Guerra.
V. Di Collegno.
Documento N.° IX
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REGIE LETTERE PATENTI
colle quali S. M. ordina l'esecuzione delle strade ferrate di cui approvò le linee con le regie patenti del 18 luglio 1844; e prescrive che vi sia provveduto per cura del governo a spese delle Regie Finanze, semplificando a tal fine le forme di amministrazione e di controllo.
In data 13 febbraio 1845.
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CARLO ALBERTO
PER LA GRAZIA DI DIO
RE DI SARDEGNA, DI CIPRO E DI GERUSALEMME,
DUCA DI SAVOIA, DI GENOVA, ec., ec.,
PRINCIPE DI PIEMONTE, ec., ec., ec.
Con nostre lettere patenti del 18 luglio 1844 avevamo determinata la direzione delle principali linee delle strade ferrate da costruirsi nei nostri Stati di terra-terra in modo che fosse consentaneo allo sviluppo della prosperità interna e delle relazioni commerciali coll’estero, ed avevamo ordinato l’eseguimento di appositi studi, riservandoci di avvisare, dopo il compimento di essi, alle ulteriori determinazioni che avessimo riconosciute più convenienti nell’interesse dello Stato in ordine a questo rilevantissimo argomento.
Venendo ora informati, che gli studi da noi prescritti già si trovano assai inoltrati, abbiamo voluto fin d’ora preparare ed assicurare la più facile e pronta esecuzione delle strade ferrate, mercè la soluzione delle questioni fondamentali che al riferiscono al modo di procedervi, acciò potessero essere predisposti per tempo i mezzi a tal uopo necessari.
Quindi, raccolti gli avvisi dei ministri e principali consiglieri della nostra corona, considerando sopra tutto quanto importi pel vantaggio generale dei nostri sudditi che quelle vie, così influenti sulle condizioni politiche e commerciali del paese, appartengano al governo, il quale possa dirigerne l’esercizio e regolare le tariffe dei pedaggi a seconda del vero interesse delle popolazioni, ci siamo determinati a statuire che un’opera di tanto momento sia eseguita per cura del governo stesso ed a spese dello Stato, persuasi quali siamo di non poter meglio utilizzare le sempre crescenti risorse ed il fiorente credito delle nostre finanze, che col procurare in tal modo ai popoli da Dio commessi al nostro affetto un nuovo e desiderato elemento di generale prosperità.
Abbiamo però preso a riflettere che la natura stessa della grandiosa opera da intraprendersi non consentirebbe l’adempimento delle ordinarie formalità, e il cumulo dei diversi controlli a cui va soggetto nelle altre cose il corso dell’amministrazione, ed affinchè questa possa procedere colla celerità richiesta dal vantaggio dell’impresa e dal pubblico voto, abbiamo pensato di prescrivere norme speciali e più semplici per tutto ciò che ha tratto alle strade ferrate, conferendo all’amministrazione istessa, assistita da un Consiglio appositamente creato, le facoltà necessarie per agevolare la sua azione.
Epperciò, dopo avere provvisto per assicurare alla società contemplata nelle nostre lettere patenti dd 10 settembre 1840 un equo compenso degli studi utili da essa fatti in virtù dell’autorizzazione concessa con quel sovrano provvedimento per un progetto di strada da Genova al confine lombardo, abbiamo colle presenti di nostra certa scienza e regia autorità, avuto il parere del nostro Consiglio, stabilito, siccome stabiliamo, quanto segue:
Art. 1. La costruzione delle strade ferrate di cui abbiamo adottato le linee con nostre lettere patenti del 18 luglio 1844 é definitivamente ordinata, e verrà intrapresa tostochè siano ultimati i progetti.
2.° Le dette strade verranno costrutte per conto e cura del nostro governo ed a spese delle nostre finanze.
3.° Tutti i provvedimenti relativi all’esecuzione ed all’esercizio delle strade ferrate saranno riservati alla nostra Segreteria di Stato per gli affari dell’interno, la quale prenderà in proposito gii ordini nostri nelle solite forme, alla riserva di quanto verrà infra stabilito.
4.° Un Consiglio speciale Instituito presso 11 nostro primo segretario di Stato dell’interno, e sotto la sua presidenza, e composto di membri da noi eletti avrà l’incarico di esaminare sull’invito dello stesso nostro priimo segretario di Stato i progetti ed i contratti relativi alla costruzione ed all’esercizio delle dette strade. Tali progetti e contratti verranno approvati da noi sulla proposta del primo segretario di Stato, preceduta dal parere del detto Consiglio.
Ciò mediante cesseranno di essere necessari per i suddetti progetti e contratti il voto del Congresso permanente d’acque e strade, e l’avviso del nostro Consiglio di Stato.
5.° Lo stesso Consiglio speciale emetterà anche il suo avviso sopra tutte quelle emergenze relative alle strade ferrate che dal primo segretario di Stato dell’interno gli verranno a tal fine comunicate.
6.° Il nostro primo segretario di Stato per l’interno potrà chiamare all’occorrenza in detto Consiglio, con voto però soltanto consultivo, quelle persone che credesse atte a somministrare utili notizie, schiarimenti ed osservazioni sulla materia.
7.°’ Avochiamo a noi tutte le contestazioni che potranno sorgere in dipendenza dell’esecuzione delle strade ferrate, e commettiamo la cognizione delle medesime, con tutti gli annessi, connessi e dipendenti ad una Delegazione pel contenzioso, composta di cinque membri, che verranno da noi eletti.
Si procederà avanti questa delegazione colle forme stabilite presso i Consigli d’intendenza.
Il procuratore nostro generale vi sosterrà le parti delle nostre finanze.
In ogni causa dovrà precedere l’esperimento della trattativa amichevole davanti al relatore.
I giudizi d’ordine sono eccettuati dalla disposizione del presente articolo.
8.° Con separati nostri provvedimenti saranno stabiliti i mezzi coi quali si farà fronte alla spesa delle strade ferrate.
Nel resto saranno da noi ulteriormente determinate le forme speciali e più semplici di amministrazione e di contabilità relative alle strade suddette.
Deroghiamo ad ogni legge e disposizione contraria alle presenti, e mandiamo ai nostri senati ed alla Camera nostra de’ conti di registrarle, volendo che siano inserite nella Raccolta degli Atti del nostro governo, e che alle copie stampate dalla tipografia Reale si presti la stessa fede che all’originale; cbè tale è nostra mente. Date in Torino, addi 15 del mese di febbraio, l’anno del Signore mille ottocentoquarantacinque e del regno nostro il decimoquinto.
Carlo Alberto
- V. Avet
- V. DiRevel.
- V. Di Collegno.
Des Ambrois.
Documento N.° XII.
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PROGETTO DEL S. MÉDAIL
D'UN TUNNEL ATTRAVERSO L'ALPI
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Projet de percement des Alpes, entre Bardonnèche et Modane.
Commissionnaire auprès des douanes des frontières, depuis 1814, à Suse, à Montmeillan et au Pont-Beauvoisin, et entrepreneur de travaux publics à Lyon, depuis 14 ans, j’ai pu suivre toutes les phases du commerce, ainsi que les efforts de nos voisins pour attirer chez eux le peu qui nous reste.
J’ai vu succéder des intermittences dans le transit des marchandises; mais aujourd'hui il se détourne avec une effrayante activité, et nous sommes à la veille de le perdre totalement si nous ne cherchons les moyens d’arrèter cet élan funeste.
Le gouvernement français accède à la majeure partie des demandes d’améliorations qui lui ont été faites par les conseils généraux des départements. De toutes parts on voit endiguer et canaliser les fleures, qui se couvrent de bateaux à vapeur, ouvrir de nouvelles routes et des canaux, construire des chemins de fer sur plusieurs points; on voit le gouvernement venir en aide aux compagnies par des avances de fonds à faibles intérèts et les garantir josqu’à produit égal; autoriser les départements à coatracter des emprunts afin d’arriver plus tòt à leur but; payer des primes d’exportation pour soutenir et encourager les fabriques; on le voit, enfin, seconder en tous points le commerce, qui fait le bonheur des peuples et la richesse des États.
Toutes les personnes éclairées savent que les faciles et proptes communications sont la base essentielle de la prospérìté des nations, et sont mềme utiles pour leur défense.
La route de Lyon au Mont-Genèvre, passant par Grenoble et le Bourgd’Oysans, est beaucoap plus courte que selle qui traverse la Savoie pour arriver en Piémont; aussi on la poursuit activement.
Un chemin de fer est aussi en construction de Paris à Strasbourg, et doit se prolonger jusqu’à Genève en profitant du lac de Neufchâtel, qu’un canal doit unir au lac Léman. La navigation du Rhin arriverà également à ce point important. De Genève, devenue ville d’entrepót, on se dispute l'issue de ce vaste commerce.
Les départements de l’Ain et du Jura font des efforts pour ouvrir des routes jusqu’à Seyssel, où ils trouvent le Rhône navigable, qui emportera à Lyon et à Marseille, marchandises et voyageurs, è de très-bas prix.
Un second point, plus dangereux encore, se présente:
La compagnie Ruitz, de Nevers, a fait les études d’un chemin de fer à partir de Lyon jusque près de Cordon. L’enquête de commodo et incommodo a été faite à Lyon, j’ai vu le projet et je le connais dans tous ses détails. Cette compagnie ne s’arrétera pas en si beau chemin; elle voudra bien arriver à Genève ou, tout ou moins, faire jonction avec la compagnie qui a un ingénieur francais à sa téte, et qui, dit-on, vient d’obtenir de notre goovernement la cencession d’établir un chemin de fer de Genève à Chanaz, longeant le territoire de la Savoie, parce que les difficultés pour passer sous le fort de l’Ecluse, sur France, sont trop grandes. Dans ce cas, c’en est fait du commerce de la Savoie et du Piémont; car, à Lyon, il y a trente bateaux à vapeur qui se disputent le transport à des prix si bas qu’aucune route ordinaire, par terre, ne peut soutenir la concurrenoe, puisque de Lyon à Avignon on transporte aujourd’hui les voyageurs pour cinq à six francs, et d’Avignon à Marseille, par voitures, pour six à sept francs; en sorte, que partant de Lyon à cinq heures da matin, on arrive le méme jour à Marseille, distant de 94 lieues, sur les neuf à dix heures du soir, pour la modique somme de douze à treize francs.
De Marseille on embarque pour Génes, le midi de l’Italie et tout le littoral de l’Adriatique; il ne manquerait plus à ce tableau qu’un chemin de fer qui allàt directement de Gènes à Milan, pour que la Savoie et le Piémont restassent entièrement en dehors du commerce.
Au nord de l’Italie, le Simplon et surtout le Saint-Gothard nous menacent et nous nuisent essentiellement. Les négociants milanais m’ont dit qu’aussitòt que le Saint-Gothard serait assez praticable l’hiver, ils abandonneraient entiièrement la route du Mont-Genis, qui est beaucoup plus longue et plus coûteuse. MM. les commissionnaires de Turin peuvent justifier mon assertion.
Si nous jetons nos regards au-delà de l’Atlantique, nous voyons l’Amérique sillonner son immense sol de chemins de fer: elle en possède aujourd’hui plus de douze cents lieues, qui réunissent Baltimore et Philadelphie, traversent la Pensylvanie, la Caroline du Sud, etc., etc. Elle couvre ses i lacs, ses fleuves, set canaux et ses mers, de nombreax bateaux à vapeur.
Anussi, cette facilité de oommuncation se fait sentir aujoard’Hui chez nous.
Les riz de la Caroline voyagent si promptement et à si bas prix, q’ils renplissent les greniers de la France et autres pays voisins, et nous en sentons déjà les tristes conséquences en Piémont.
Le riz, si abondant en Piémont, est une de ses plus riches productions, mais il faut lui donner un débouché prompt, facile et peu couteax, afin qu’il puisse sontenir la concorrence des riz étrangers. Les vins et autre denrées ont aussi besoin d’un semblable débouché. L’Amérique encore fait embarquer des millions de plantes de mûriers. Nous ne saurions donc trop nous hâter et nous mettre en mesnre si nous voulons conserver nos revenus.
Par ces faite, la Savoie et le centre du Piémont se trouvent dans un cas de vie on de mort pour leur commerce, si le gouvernement ne vient pas à leur secours par tous les moyens qui sont en son pouvoir, et jamais il n’aura fait une dépense plus utile. Il conviendrait:
1° D’obliger le concessionnaire du chemin de fer de Genève à Chanax, de le diriger uniquement sur Chambéry;
2° Celai de Génes, de le diriger sur la capitale, sauf à faire partir de ce point les embranchements convenables;
3° D’améliorer la route de Turin à Chambéry d’une manière qui ne laisse plus rien à désirer, et qui puisse, en toutes saisons, rivaliser avec celles de nos voisins. A cet effet, il est indispensable d’abandonner la route actuelle du Mont-Cenis, après avoir percé les Alpes dans le point le plus court, qui se trouve sous la montagne de Fréjus, située entru Bardonnèche et Modane, en suivant la Doire de Suse à Exilles, Oulx et Bardonnèche. Cette percée, gigantesqne en apparence, n’a cependant que cinq mille mètres environ de longueur.
Le changement de route que je propose raccourcit le trajet de Suse à Modane, de sept lieues de montagne; il évite tons les écueils du passage du Mont-Cenis, les grandes dépenses qui s’ensuivent. Il sera alors possible d’établir une communication de chemins de fer de Génes à Turìn, et de Turin à Chambéry. Je me chargerai mot-méme de ces travaux, si S. M. veut m’en accorder la concession ainsi que la priorité de la pércée comme auteur du projet, laquelle doit être faite aux frais de l’État.
Il peut arriver que quelques compagnies, étrangères à notre patrie et à notre intérêt commun, se présentent pour offrir de faire à leurs frais oette percée: il faut s’en méfier; car, pour atteindre le but qne j’ai l’honneur de proposer, je le répète, il est indispensable que les frais en soient faite par l’État afin d’éviter un trop fort péage, qui paralyserait les avantages que nous avons besoin d’obtenir, sous tous les rapports, pour pouvoir rivaliser avatageusement avec nos voisins. Il serait même à désirer qne le péage à établir ne s’élevait pas au dessus des besoins de l’entretien du passage, attendu que l’État rentrera dans ses déboursés, méme avec grand avantage: 1° Par une plus forte recette de douane;
2° Par la forte économie sur les frais d’entretien au prorata, de la route du Mont-Cenis;
3° Sur les transports des sels, des tabacs, plomb, poudre, transports militaires et autres, et il aura doté son pays d’un immense avantage.
Le 30 août 1839, je remis à ce sujet un mémoire à l’honorable général Rachia, ingénieur aussi philanthrope qu’éclairé; il eut la bonté de s’assurer de la vérité pour en faire un rapport au gouvernement de S. M., et c’est ce qu’il fit, et de plus au congrès scientifique.
En mai 1840, je me permis de présenter un mémoire à S. M., qui l’accueillit avec bonté.
Aujturd’hui, voyant les faits devancer mes prévisions et se succéder avec une effrayante rapidité, j’ai cru qu’il était de mon devoir devoir les signaler de nouveau à S. M. et à son gouvernement.
Comme les travaux de cette percée pourront durer cinq à six ans, il conviendrait de les commencer au plus tôt, afin de pouvoir profiter de la belle saison pour faire les études et pour se mettre à couvert avant l’hiver.
Pendant que de savans philanthropes, tels que M. le chevalier Bonafous et autres, s’occupent d’améliorer la culture et les prodaits agricoles, occupons nous aussi de leur donner un débouché; aidons de nos bras et de nos lumières un gouvernement paternel comme le nôtre; unissons-nous à ses bonnes intentions. L’union fait la force; certainement il nous seconderà, car il sait comme nous, qu’il faut semer pour recueillir.
La percée des Alpes rendra la vie et l’activité au Pièmont, elle fera du port de Génes le premier de ò’Europe méridionale.
La Suisse et la Savoie y feront débarquer les nombreuses denrées coloniales qu’elles retirent aujourd’hui de Marseille, ainsi que l’immense quantité, de fers que la Suisse retire de là Suède: elle en retirera même du sel.
Je ne doute pas que la Savoie ne soit prète à faire de grands sacrifices pour voir renaitre et améliorer son commerce, qui s’en va mourant, et pour avoir une communication facile avec la métropole et Gènes.
L’Europe entière viendra contempler les antres de ces gigantesques montagnes qui, depuis tant de siècles, ont été et sont encore la terreur des passagers; les routes aujourd’hui si désertes de voyageurs, en auront une affluence; la consommation sera enorme, les octrois en profiteront; les produits agricoles, et en général tout ce qui touche aux besoins de l’homme, reprendra un débouché interissable, et jamais n’aura doté son royaume d’un monument aussi grand et aussi utile.
Honneur aux ministres qui l’auront secondé! ils auront bien merité de la patrie et leurs noms passeront à la postérité.
Ce sont les vœux de leur trè-humble et très-obéissant serviteur,
Médail
SUPPLÉMENT.
L’Allemagne et la France ont parfaitement compris quels avantages résultent des communications promptes et faciles; aussi, pour ne pas se trouver arriérées dans le grand mouvement qui se prépare dans toute l’Europe et au delà, prennent-elles de grandes mesures pour améliorer la navigation et pour établir des chemins de fer sur tous les points qui leur paraissent indispensables, non seulement pour soutenir la concorrence, mais principalement pour assurer l’intérét de la nation et des populations industrielles dont le sort y est désormais attaché.
L’immense projet formé par l’Allemagne, conjointement avec la Prusse et la Saxe, contourne la France, le Piémont et la Savoie, dans le but de leur enlever tous les transports et transits de l’Italie et de la Suisse. C’est ce que les départements français ont parfaitement compris; ils sont bien résolus de ne pas rester stationnaires, ils font et feront des efforts et de grands sacrifices pour empêcher le désastre qni les menace.
Voici leur langage:
«Le conseil d’arrondissement de Nantua a appelé l’attention toute speciale du conseil-général du département de l’Ain, sur l’amélioration et le complément sans délai, en la conduisant jusqu’à Bellegarde, de la route de Valence à Genève, par Belley et Seyssel».
Et il a ajouté:
«La Savoie est prète à faire de grands sacrifices pour attirer sor son territoire les transports des marchandises du midi et de Lyon pour la Suisse par cette voie. C’est une question de vie ou de mort ponr les arrondissements de Nantua et de Gex».
Le conseil préfère la rectification de la route départementale num. 12, comme plus praticable.
Cette route s’exécute activement depuis un an.
Le conseil-général du Rhône, dans sa séance du 31 août 1841, demande qu’i] soit promptement poufvu par le gouvernement, soit à l’amélioration de la navigation du Rhône, soit à l’établissement d’un chemin de fer de Marseille à la rive gauche du même fleuve.
Le rapporteur signale toute l’importance de la navigation da Rhône.
Cette voie fluviale, la plus fréquentée de l’Europe, sert à approvisionner des provenances du midi, de celles du Levant, de l’Egypte et des Indes, tous les départements de l’Est et du Nord, la plus grande partie de la Suisse et du Rhin; puis elle facilite l’écoulemenL des objets d’exportation que nous donnons en échange à l’étranger. Malgré tous ces avantages, la route par terre de Marseille à Lyon n’en est pas moins encore une des routes de France les plus pratiquées. C’est que le Rhône, surtout vers son débouché dans la mer, n’est point encore placé dans la condition d’un service oommode et répondant à toutes les exigences de la célérité des communications; c’est qu’aux obstacles naturels qu’il présente sur plusieurs points, viennent se joindre les embarras et les retards que la douane fait éprouver au commerce, soit à la sortie du port de Marseille, soit à l’entrée dans le port d’Arles. Mais la plus grande difficulté est celle qui arrète les marins au cap du Rhône. Les vents impétueux du nord, si violents et si fréquents dans le Midi, retiennent souvent douze à quinze jours les bâtiments à leur entrée en rivière; on a vu souvent la marchandise retenue en mer manquer à Arles, et les bateaux de remonte attendre longtemps leurs chargements, ce qui produit des variations subites et excessives dans le prix de voiture. Cet état de choses est fàcheux pour notre commerce de l’intérieur, ruineux pour ceux qui exportent hors de France les marchandises que le transit amène à Marseille. Il en résulte que Gènes, avec son port-franc, le Piémont avec ses routes en construction, Trieste avec ses nolis à bas prix, favorisés par un roulage excessivement modéré, finiront par enlever à la France le commerce de transit dont nous avions le monopole il y a vingt ans.
Pour prévenir un tel malheur, qui serait irréparable, il suffirait de lier par un chemin de fer le port de Marseille à la rive gauche du Rhône, et d’améliorer la navigation depuis ce point de jonction jusqu’aux parties supérieures du fleuve; par ce moyen disparaîtraient tous les inconvénients signalés, et le commerce de transit ne tarderait pas à revenir et à rester dans la voie que la nature, notre position géographique et la direction de nos fleuves, semblent lui avoir assignée.
Le conseil-général, prenant en sérieuse considération les propositions qui lui sont présentées au nom de sa commission des finances, émet le vœu que le gouvernement veuille bien, dans la session prochaine, présenter aux chambres le projet d’un chemin de fer de Marseille à la rive gauche du Rhône, et s’occuper sérieusement de l’amélioration de la navigation du Rhône.
« Le chemin de fer destiné i lier Marseille au Rhône, et dont l’exécution trop retardée devient toiyours plus urgente, occupe en ce moment toute la presse et tous les corps électifs de nos départements.
« La ville d’Avignon ne pouvait restèr en arrière de ce mouvement; désignée par les projets ministériels de 1837 comme le point d’arrivée de la ligne, elle ne pouvait voir sans alarme les projets soumis actuellement à l’enquête, qui la laissent à l’écart. Aussi la chambre de commerce et le conseil municipal ont-ils cru devoir protester à ce sujet et appuyer leurs protestations d’offres trop brillantes pour être dédaignées.
» Par sa délibération du 11 octobre, la chambre de commerce a demandé que le gouvernement fasse disparaître au plus tôt toute incertitude, en indiquant Avignon corame un point d’arrivée, et qu’à cette seule condition une subvention soit accordée par le trésor. » Le conseil municipal a fait plus; il a déclaré que, cette condition remplie, il prenait entièrement à sa charge les frais de la construction d’un pont à élever sur la Durance pour le passage de ce chemin, et il s’est engagé, en outre, à fournir gratuitement les terrains nécessaires pour l’établissement du chemin depuis Avignon jusqu’à la limite du département. Ce n’est pas sans doute exagérer que d’évaluer à plus de deux millions cette part contributive.
» Communication a été donnée à toutes les communes intéressées, en les engageant à exprimer leur opinion et à s’imposer à leur tour quelques sacrifices. Enfin, sur la demande du conseil, M. le préfet a dû solliciter l’autorisation de convoquer extraordinairement le conseil-général de Vaucluse à l’effet de délibérer sur cette question si grave pour les intéréts du département, et il y a tout lieu de croire que cette assemblée ne refuserà pas une large allocation, et que les voeux d’Avignon se trouveront parfaitement réalisés, et que ses intérêts locaux seront mis d’accord avec l’intérêt national, qui veut la plus grande accélération possible du transit commerciai sur Lyon, la Suisse et l’Allemagne».
«Le conseil municipal de Haguenau vient de voter comme subvention pour le chemin de fer direct de Paris à Strasbourg, la somme de einq cent mille francs.
» Ce beau concours, joint à la somme d’un million votée par le conseil municipal de Strasbourg, est un nouvel et éclatant témoignage de l’intérêt que l’opinion publique, dans le département du Bas-Rhin, attaché à l’exécution du rail-way direct».
» Le gouvernement présentera aux chambres une loi d’ensemble qui décrétera le grand réseau des chemins de fer de toute la France.
» Cinq grandes voies de communication, dont Paris sera le point central, devront étre successivement ouvertes:
» La 1re, celle du nord, reliera Paris à la Belgique; » La 2re, celle de l’est, reliera Paris à Strasbourg; » La 3re, de Paris à Marseille; » La 4re, de Paris à Bordeaux; » La 5re, de Paris à Nantes;
» Le ministère demanderà des crédits spéciaux pour commencer immédiatement celui de la Belgique et celui de Marseille au Rhône.
» Le système d’exécution consistera à réunir les ressources des localités, des compagnies et de l’État.
» Les terrains qu’occupera le chemin seront fournis par les communes de qui ils dépendent».
Voici l’immense projet allemand, prussien et saxon, que toute la presse allemande et française signale comme un fait accompli et prêt à étre mis à exécution: Pendant que nous en sommes encore à savoir chez nous quand, comment, et par qui se feront les chemins de fer, l’Allemagne exécute on trace un réseau complet destiné à embrasser toutes les routes commerciales importantes, que le courant des marchandises s’est ouvertes à travers le grand corps Germanique, tant sur la Baltique et la mer du Nord, que dans la direction de l’Océan, de la Méditerranée et du Danube. Ce ne sont ici ni projets vagues, ni conjectures; ce sont des faits en partie accomplis et dont la presse allemande a déjà plusieurs fois annoncé la prochaine exécution.
Le réseau, conu sous l’inspiration de la Prusse et de la Saxe, a pour centre principal Leipsick et Halle, et se formerà de quatre lignes mères.
La première part de Stettin à l’embouchure de l’Oder, touche Berlin, remonte Leipsjck, et se prolonge, en travevsant la Bavière et la Lombardie jusqu’à Vérone, où elle rejoint la grande ligne de fer qui doit unir Milan à Venise;
La seconde part de Brême, à l’embouchure du Weser, joint Hanovre et Magdebourg, se lie sur la première tigne à Leipsick, s’étend à travers la Saxe et la Bohème, sur Dresde et Prague, et se prolonge enfin sur Brünn et Vienne;
La troisjème part de Hambourg, à l’embouchure de l’Elbe, pour gagner Berlin, Francfort sur l’Oder, et à travers la Silésie, Breslau, jusqu’aux confins de Gallicie à Cracovie;
La quatrième, enfin, part du Rhin central, c’est-à-dire du point où se combinent les chemins de fer bavarois et belges, et notre ligne de l’Alsace vers Manheim, gagne Francfort sur le Mein, Cassel, Gœtthingue, Halle, et vient se souder à Leipsick aux lignes précédentes.
Sans nous arréter aux nombreux embranchements qui doivent relier entre elles ces parties, voilà quel est l’ensemble de la conception: conception arrètée, résolue, répétons-le, entre la Prusse, l’Autriche et les autres états allemands, et à laquelle ne manqueront, dans ces États, où l’on discute peu, ni les capitaux, ni les bras. Déjà sur une foule de points la pioche a commencé les travaux.
Il suffit de jeter les yeux sur la carte pour juger au premier aperçu, combien est large et rationnel le pian de chemins de fer que l’on vient d’exposer.
Le nord allemand possède trois grandes bouches maritimes: le Wéser, l’Elbe et l’Oder. C’est par là que s’écoule ou s’opère presque tout le commerce de la Baltique.
Au sud de l’Allemagne, trois points correspondent à ces bouches; ce sont; le Rhin francate, l’Adriatique et le Danube, soit la Mer-Noire.
Ce système, on vient de le voir, relie toutes ces extrémités, et de plus il les fait correspondre à la grande route que la Hollande par le Rhip du nord, la Belgique par ses chemins de fer et les canaux, ont ouvert au transit entre l’Océan et l’Europe continentale. Au milieu de tout ce système, Leipsick, la capitale industrielle du nord, le centre de ces célèbres foires allemande, dont l’existence date des temps les plus reculés, et où se rencontrent l’Arménien, le Juif nomade, l’Anglais, l’Américain et le Russe; Leipsick, dont le mouvement commercial s’est décuplé depuis sept ans, depuis la fondation de l’association douanière, et autour de laquelle vont rayonner cinq immeuses lignes de chemins de fer qui, du Midi, lui apporteront les soies de la Lombardie comme les matières premières que le Danube va demander au Levant; du Nord et de l’Est, les laines, les chanvres, les pelleteries et les lins de Saxe, de Pologne et de Russie; de l’Ouest, enfin, les cotons et les denrées tropicales, du Nouveau Monde, pour de là réexpédier au retour, au moyen de ce quintuple courant, les produits par lesquels le nord et l’ouest de l’Allemagne rivalisent déjà avec Lyon et Mulhouse, avec Manchester et Birmingham.
Nous ne pousserons pas plus loin nos réflexions; les faits parlent d’eux-mêmes, et; sous le double rapport commercial et militaire, disent assex tout le dommage que peut, en fait de chemins de fer, nous valoir notre trop longue et regrettable inertie.
Yous le voyez, Messieurs, et ce serait inutile de vous le répéter ici, combien il est urgent, pour le Piémont et pour la Savoie, de se mettre en mesure, afin de ne pas se trouver en un complet isolement dans un avenir peu, éloigné.
Votre perspicacité vous dira assez que les événements commerciaux qui se préparent autour de nous, sont d’une si haute importance, qu’on ne peut les envisager sans frémir et sans songer à prendre des moyens prompts décisifs. S’il est du devoir de tout bon citoyen qui aime sa patrie de prèter ses efforts dans ces circonstances pénibles, c’est à vous, Messieurs, à en prendre l’initiative; c’est à vous à représenter à notre auguste souverain et à son gouvernement, quels dangers nous menacent, et à lui rappeler que le bonheur des peuples en général est lié à celui de l’État; que le commerce en est une des principales ressources; que c’est lui qui donne le mouvement général et fait circuler l’argent, moteur principal de toutes choses; lui encore qui procure au cultivateur l’écoulement de ses denrées, et par conséquent les moyens de satisfaire aux charges de l’État; que c’est lui, enfin, que le rend florissant et qui fait sa puissance; témoin l’Angleterre et la France.
Dans des circonstances si graves il ne faut pas user de demi mesures ni attendre les grands maux. D me paraît indispensable d’y apporter de grands et prompts remèdes; ces remèdes vous les avez, il ne s’agit que de les appliquer.
Hàtons-nous d’ouvrìr, à travers le massif des Alpes, un chemin de fer liant Chambéry, Gênes et Turin: autour de cette ligne mère viendront sans biedn des efforts rayonner plusieurs lignes secondaires; nous aurons abrégé et accéléré les communications entro l’un des bassins du Rhône, du Pò et du golfe de Gènes, contrées les plus riches et les plus industrielles de l’Europe; nous aurons ouvert à notre chère patrie une ère nouvelle de prospérité et de bonheur, en nons rattachant en même temps au système germanique ci dessus.
Mon projet est très-exécutable, et la dépense n’est rien, comparativement aux avantages qui en résulteront; je soutiens qu’il faudra moins de tempa à l’État pour se rembourser de ses frais, qu’il n’en aura fallu pour achever ces travaux.
Anx personnes qui n’ont pas été à portée de connaître quel mouvement progressif occaasionnent les chemins de fer, je citerai celui de Lyon à Saint Étienne, sur une distance de 56,000 mètres. Avant le chemin de fer, deux à trois voitures suffisaient pour le desservir; aujourd’hui le chemin de fer transporte journellement en moyenne 1,500 voyageurs; c’est dans la proportion de 1 à 30; il en est de méme pour les marchandises. Je croisa dire bien peu en soutenant qu’un chemin de fer de Gênes à Genève aurait un mouvement journalier de 3,500 à 4,000 voyageurs et un immense transport de marchandises et de denrées.
Un nouvel esemple est celui du chemin de fer de Colmar à Mulhouse, qui a été ouvert le 1er août dernier (distance de 9 lieues). Du 1er au 15, il a transporté 27,004 voyageurs; et du 15 au 31, sor la ligne entière de Colmar, Mulhouse et Strasbourg (14 lieues), il a été transporté 52,788 voyageurs; en moyenne par jour 3,519 voyageurs.
Ces faits, et je pourrais en citer de plus étonnants si je passais en revue les rails-ways d’Angleterre, d’Amérique, de Belgique, etc., ces faits, dis-je, parlent assez haut pour détruire toutes les hésitations et rassurer toutes les craintes.
Plein de confiance en la sagesse de Sa Majesté, de son Gouvernement et de tous les corps de l’État,
Je suis, avec le plus profond respect,
Votre très-humble serviteur.
Médail.
NB. Abbiamo creduto un atto di giustizia l’inserzione di questo Documento, acciò, nel caso del buon successo dell’ideata opera, rimanga memoria dell’autore della prima idea di essa, e crediamo ancora opportuno di aggiungere le seguenti avvertenze:
Dopo che al capitolo 5.° del discorso III abbiamo parlato del progetto del fu signor Médail, sebbene non ancora siasi acquistata la certezza assoluta della possibile sua esecuzione, tuttavia, malgrado le maggiori indicazioni raccolte sulla gravissima difficoltà dell’opera, si possono accennare per notorii alcuni fatti, i quali concedono ancora di sperare non impossibile di superare la difficoltà suddetta.
S.M. il re Carlo Alberto, cui tanto sta a petto ogni utile impresa che possa onorare il paterno di lui reggimento, per tanti rispetti chiamato ad avere distinta menzione nella storia avvenire, si è degnata ordinare che s’intraprendessero gli studi destinati a chiarire il fondamento dell’idea formolata dal signor Medail.
Cotesti studi vennero affidati al signor cavaliere Mauss, ingegnere-capo del governo belgio, passato temporaneamente, col gradimento del governo medesimo, agli stipendi del governo sardo, onde contribuire cogli altri distintissimi ingegneri di questo alla grande impresa decretata, colle regie petenti del 18 luglio 1844 e del 13 febbraio 1845 (Documenti X e XI).
Il cavaliere Mauss, appena giunto, non frappose indugio ad accingersi all'opera commessagli, onde approfittare della stagione in cui que’ monti, liberi dalle nevi, lascian campo alle operazioni geodetiche occorresti sul terreno.
Una squadra di geometri agrimensori lavora da oltre due mesi (ottobre) a levare i piani e profili occorrenti a chiarire la vera situazione de’ luoghi, specialmente le pendenze che aver dovrebbero la strada, i piani inclinati d’essa, e lo stesso interno del tunnel.
Quantunque non ancora compita l’operazione, qualche preliminare indicazione lascierebbe sperare le pendenze non insuperabili, nè eccessive, o superiori ad altre già note.
La lunghezza del tunnel però, che il Medail, incompetente a valutarla anche approssimativamente, calcolava, come vedesi nella sua, memoria, a soli metri 5,000, vuolsi presumere almeno doppia, se pur ancora non eccede, e questa sarà sicuramente una gravissima difficoltà; perocché coi mezzi ordinari della mina occorrerebbe un tempo tale da far dubitare del compimento dell’opera per difetto d’opportunità e di mezzi.
Ma se male non siamo informati da una pubblica voce, la quale sembra meritar credito, vi sarebbero mezzi meccanici con cui potrebbe seguire il traforo in molto minor tempo, e quando lo sperimento di tali mezzi meccanici, che vuolsi ordinato, avesse buon esito sur una breve tratta, si potrebbe presumere intero su tutta l’estensione d’essa, e prevedere con qualche certezza l’epoca precisa in cui s’arriverebbe a compir l’opera, mentre nel frattempo potrebbe compiersi dalle due parti la strada ferrata, ed i piani inclinati d’essa che dovrebbero portare al tunnel.
Quando i mezzi meccanici preallegati potessero applicarsi all’assunto, il motore che dovrebbe loro dare impulso si ha sul luogo, senza costo di spesa quasi, essendovi dalle due parti tant’acqua e tale caduta di questa da porgere una forza uguale a quella d’una macchina a vapore di 200 cavalli per parte, ond’è chiaro a comprendersi che una ruota idraulica stabilita ai due punti estremi darebbe tutto l’occorrente moto all’artificio meccanico. Attesa la grande altezza dell’ancor soprastante Alpe non si potranno praticar pozzi, sia per lavorare contemporaneamente coi mezzi ordinari in più luoghi, sia per dar aria al tunnel quandoché sia compito; però, dato per vero che riesca lo sperimento, finché sia compito il traforo converrà servirsi di ventilatori che si dicono d’effetto possibile, e quando sia terminato il traforo suddetto, la sua sebben leggera inclinazione, e la sua posizione dal meriggio a notte fan credere ad una corrente d’aria più che sufficiente per lo rinnovamento continuo di questa.
Premessi questi particolari, si scorge che tutta la principale difficoltà consiste nel buono o cattivo esito dello sperimento che dicesi ordinato.
E molto debbe il governo sardo lodarsi del voler tentare il sebben difficile assunto; perocché il beneficio dell’ideato traforo sarebbe cosi grande per lo Stato intero, che certo, anche con minore probabilità di buon successo, converrebbe cimentarsi al pericolo di una spesa fetta inutile nel caso di nessun esito, perchè, in quello opposto, immenso ne sarebbe il vantaggio.
Noi facciam voti pertanto acciò l’impresa ottenga un felice risultato; chè questo conseguito, senza timore di soverchio vanto o di troppa adulazione, potrà dirsi quell’assunto superiore ad ogni altro dell’età nostra, e tale a tramandare a quelle più tarde la venerata memoria del principe nel cui regno facevasi, e giustamente encomiar quella di tutti coloro che per autorevole di lui impulso contribuirono all’opera.Documento N.° XIII.
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LETTURE DI FAMIGLIA
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Lettera del conte Sauli, con nota relativa a diramazioni di strade ferrate nell’interno del Piemonte.
Amico carissimo,
Gli è già gran tempo che debbo e voglio scrivervi non già uno di quei vostri bellissimi letteroni (chè io non son da tanto), ma una semplice letteruccia di rendimento di grazie, un appicco a certe cose che avete detto voi. Né fu pigrizia s’io nol feci sinora; chè dall’accidia, come da qualsivoglia altro vizio capitale, mi vo schermendo il meglio che so e posso. Me ne fecero rimanere certi riguardini e certi rispetti che sono una vera calamità per noi animi ammaccati, intormentiti dalla memoria di fiere procelle e dalla lunga esperienza, avvezzi dai più verdi anni a sottoporre non solo le azioni, ma ben anche le parole, i sospiri e persino gli sguardi alla legge della più circospetta e della più meticulosa prudenza. Per amor della quale vi so dire che, se mi accade talvolta di aprir bocca, parlo a monosillabi o sole per non lasciare che infracidisca la lingua, ma col desiderio che nissuno dia retta a’ miei discorsi. Nè in ciò ho motivo di lamentarmi dei soliti miei circostanti, che per lo più interrompono il filo d’ogni mio ragionamento, anzi mi rendono il segnalato servizio di troncarlo sul bel principio, ogni volta che, per segreto istinto, credono d’indovinare ch’io stia per dire alcunché di sustanzievole; e così facendo, tornano a casa interi nelle loro opinioni, tali e quali, nè più nè meno, come erano al punto che in me s’incontrarono; ed anch’io da lor mi dilungo vuoto e leggiero dal peso d’ogni maniera di responsabilità. E me ne appago a maraviglia, chè non ambisco l’onore di essere aggregato al collegio dei Floridani, consiglieri gratuiti, che per qualsivoglia faccenda hanno una sentenza apparecchiata, la proferiscono e la sostengono imperterriti con quanto fiato hanno in corpo, guidati alla fiducia d’incerto lume, e mossi sempre da rette intenzioni. Ma a che cosa giovano la temperanza di chi parla, e la trascuratezza di coloro che ascoltano? A nulla giovano, o mio buon Baruffi; ed anche voi ne fate esperienza. Voi chiedeste ed ancor chiedete, se mal non m’appongo, che sieno riveduti i regolamenti sanitari osservati sinquì nei porti del Mediterraneo; ch’essi sieno modificati secondo che lo consigliano una più lunga pratica, e le osservazioni moltiplicatesi in proporzione che si moltiplicarono le relazioni dei commerci e degli studi tra l’Europa ed il Levante, e che si tenga conto dei minori pericoli che risultano dalle precauzioni adottale dai Musulmani, i quali, non già per essere anticontagionisti, ma per una falsa interpretazione del Corano, si lasciavano sinquì mietere a torme dalla peste, abbandonando all’arbitrio del caso la salute e la vita. Voi desiderate insomma che i varii reggimenti d’Europa convengano insieme alfine d’istituire, per questo rilevantissimo rispetto, norme costanti ed uniformi da cui sia tutelata la salute dei popoli, ma da cui non venga incagliata per troppo lunghi indugi, nè gravata di soverchi dispendii l’azione dei trafficanti. Il vostro desiderio non oltrepassa i confini dell’onesto, poiché lascia che la questiono sia definita da uomini per dottrina e per autorità competenti; seppure vi sono uomini competenti a sentenziare intorno a certi misteri della peste e della natura, e di sì saldo cuore per combattere i frutti di diuturna e salutare esperienza. Eppure, chi’l crederebbe? Mentr’erano ancor umide le pagine eloquenti dove avete deposto i vostri pensieri, voi venivate tacciato di volere che, senza far divario di provenienza, appena salita in porto ogni nave, venga ammessa a libera pratica; ogni merce, per quanto suscettibile ella sia, posta nel comune commercio, senza previo spurgo o sciorinamento di sorta; che sia mandata a monte e squarciata la tela delle regole sanitarie, pregevole monumento della sapienza e della civiltà de’ padri nostri, per cui le belle contrade d’Europa furono salve dal mortifero furor della peste, la quale non partorì mai altro bene, che una pagina di Tucidide e il Decameron del Boccaccio. Così si ragiona, così le vostre opinioni si travisano dai disattenti.
Ed a me venne pure dato taccia testé d’essere nemico del progresso anche il meglio inteso che imaginare si possa, di essere una lumaca, un gambero, uno spegnitoio, un paracarro. E perchè tanti titoli di biasimo o di lode? Perchè ancor io non mi posi a gridare a tutta gola insieme cogli altri tutti, che facea d’uopo cacciarsi innanzi a fare le strade ferrate; che a restarsi un solo istante sarebbe certa rovina, un basire nel cataletto. Era. un tale ronzìo di ululati e di voci proferite da mille bocche di giudici pratici e non pratici, che anche le più salde orecchie doveano rimanerne assordate. Il mio silenzio, in mezzo a quello strepito fu preso in segno di disapproviazione. Altre volte un bel tacere non si poteva scrivere; or si rinfaccia. Oh malinteso progresso! Non niego che dell’entusiasmo non mi so fidare, e che, per tutte quella cose dove mi sembra scorgere il caldo della passione, mi tengo in sulle guardie. Confesso che tutto questo correre ad affaccendarsi a diritto ed a traverso, che quell’essere balestrati gli uomini come saette a grandi distanze colpisce sommamente la mia immaginazione. Non fuvvi cosa mai che tanto confondesse i miei sensi qnanto il trovarmi dentro ai porti franchi od ai magazzini degli spedizionieri, in quei vortici e bollimenti di uomini, di donne e di valigie, Ma so pur anche che gli uomini rimasero barbari sinché furono condannati a stare immobili entro i confini d’anguste signorie; che cominciarono a dirozzarsi allorché poterono comunicare insieme; e che per legge di proporzione, crescendo le comunicazioni e la fratellanza degli uni cogli altri, crescerà eziandio la civiltà, il cui pregio principale consiste nel far si che le umane azioni sieno sempre uniformi ai precetti della vera sapienza. In faccia a cosiffatte benedizioni meriterei l’onta di essere, all’età nostra, tenuto per un ganascione del medio evo, se mi opponessi, anche con semplici voti è con detti inmportuni, alla confezione delle strade ferrate. Chi avrebbe ragionevolmente il diritto di lagnarsi di quelle? Nissuno, eccetto la terra istessa, la quale, per la diminuzione e pel quasi annientamento delle distanze, da quella superba palla lanciata nello spazio dalla mano dell’Eterno, da quel bel pianeta ch’ell’era, passa alle umili proporzioni d’un semplice granello omeopatico, quale apparve in sogno a Scipione. Del resto so benissimo che quando gli altri fanno, volere o non volere, è giocoforza che facciamo anche noi; so che in mezzo ad un cenacolo, dove tutti tengono una facella accesa in mano, uno non può procacciarsi le dolcezze delle tenebre spegnendo la sua. Queste cose me le insegnò la nutrice sin dalle fasce. E così avrei esclamato ancor io, se non avessi creduto che una voce di più o di meno a nulla montava. Per un altro verso non avrei voluto mancare al municipio mio nativo, giacché, dopo che le mie treccie se ne sono ite con quelle di Berenice, il santo amore di patria sbandeggiò gli altri teneri affetti dell’animo, e regna solo.
È la mia terra nativa collocata dalla natura in sito dove sarà pur necessario che facciano capo o canali o strade ferrate e da ferrare, ogni volta che non si voglia escludere l’alto Piemonte dai più vicini e dai più facili commerci del Mediterraneo. Chiamar l’attenzione a quella parte era lo stesso come svolgerla dalla linea che s’avea in mira, vale a dire quella di Genova; laonde, invece d’essermi apposto a vergogna, dovrebbe essere lodato il silenzio osservato da me a bello studio, per non frammettere un intoppo di più ai consigli concernenti a quest’importantissima risoluzione; e ciò sia detto con tutte quante le restrizioni richieste per salvar l’amor proprio e per fuggire il ridicolo della vanità. Ma ora che il difficile problema è sciolto, posso sfogarmi finalmente con voi, e dire aperto il parer mio; e poiché parlo dopo che la cosa è fatta, sarà ben maligno chi vorrà appormi la taccia, che voglio schivare, di gratuito consigliero.
Voi siete l’Ulisse, anzi il Marco Polo piemontese; se non che Ulisse lasciò scrivere i suoi viaggi ad Omero, e Marco Polo gli scrisse ai pari di voi o li dettò a Rostichello da Pisa, che vale lo stesso. Dopo aver discorso le terre che sono dalla occidentale Inghilterra sino all’orientale Costantinopoli, e dalla punta settentrionale di S. Pietroburgo e di Mosca sino alle antiche piramidi d’Egitto, voi vi siete nel passato autunno condotto a visitare la patria mia, e ne faceste un cenno nel Museo scientifico che si stampa dal Fontana. Della quale amorevolezza vi porgo le più distinte grazie in nome mio e in nome de’ miei compaesani. Il vostro articolo può servir di norma in parte e giovare ai compilatori della statìstica piemontese. In fatto di statistica mi piacque sempre molto quella che Torquato Tasso stese del regno di Francia quando si recò in Parigi in compagnia dell’invidioso cardinale Ippolito d’Este. Ora si è progredito d’assai. La statistica insegna a puntino quale sia la vera condizione di un dato paese nell’istante in cui si raccolgono le notizie che le servono di fondamento, per modo che non lascia cosa a desiderare. A voi non talentava cadere nell’inconveniente che tocca a coloro i quali intendono di dir tutto, e perciò con savio consiglio vi atteneste alla succinta maniera del Tasso. E se non fosse stato di quell’incredibile fretta che sempre vi punge e vi caccia innanzi con furia, se non fosse stato quel nero tempaccio che cominciò ad assalirci là sull’acropoli di Ceva e imperversò poi tutta quanta la settimana seguente, vi avrei portato senza fallo, sul colle di S. Bernardo, che sta a cavaliere di Garessio, e vi avrei fatto toccar con mano come quel colle sia proprio il filo per cui l’Appennino si appicca alla radice delle Alpi, e che la natura accenna per esso la più comoda via ohe dal mare Mediterraneo possa mettere nel cuore del Piemonte.
Sapete voi che cosa è il Mediterraneo? Lasciate che facciano le strade ferrate, lasciate che speculino sui futuri accidenti felici, lasciate che d’altronde traggan gli augurii. Ma voi ritenete per fermo e saldo giudicio che la migliore e la più sicura speranza di risorgimento non solo per l’Italia ma per tutte le intorpidite meridionali contrade d’Europa sta riposta nel Mediterraneo. Oh! se mi reggesse il cuore di ripigliare gli studi nei quali mi sono ingolfato altra volta; se potessi di bel nuovo recarmi a meditare sulle leggi statuite da Giustiniano pel governo dell’Egitto, rivedere la storia del commercio degli Antichi dell’Uezio e dell’Heeren, internarmi ancora nei Secreta fidelium crucis di Marin Sanuto, riveder ciò che scrissero il Robertson ed il Depping tra i forestieri, e tra i nostrani il Mengotti, il Formaleoni, il Filissi, il Fannucci ed il Baldelli-Boni, e portar con pace la più. dura di queste fatiche, quella cioè di rileggere ciò ch’io scrìssi della colonia dei Genovesi in Galata, vorrei, giusta il pensiero caduto in mente d’un amico, mio più ingegnoso e più fecondo per ogni verso di me, stendere una compendiosa istoria di quel magnifico braccio di mare, rivelare qual vita novella per esso si apparecchi, e consigliar le imprese che condur si deggiono con amore, affinchè qoesta novella vita non rimanga del tutto infruttifera per noi e pei figli nostri. Cosi si vorrebbero compilare le statistiche; dire ciò che fu, dire ciò che è, dire ciò che sarà ogni volta che gli uomini non si sgomentino dell’usare le virtù del pensiero e delle braccia.
« Cerca, misera, intorno dotte prode
» Le tue marine e poi ti guarda in seno».
E si che bisogna adoperarsi a serbar vivo l’amore della navigazione; e sì che fa d’uopo guardarsi in seno, cioè proporsi a tema principalissimo il moltiplicare e rendere agevoli, il più che far si possa, le comunicazioni dal mare all’interno delle terre italiche. E questo po’ di commento all’Alighieri val meglio che il Landino, il Blanci e il Velutello e tutta quanta la lunga fila dei pedanti.
Tornando ora sul colle di San Bernardo mirate come, con dolce pendio lungo alla valle della Neva, si discenda alla pianura dov’essa si congiunge coll’Arocia e forma il torrente del Centa per lo più feconda e talvolta minaccia le amenissime campagne in mezzo alle quali s’innalzano le torri di Albenga. La storia c’insegna quanto potentissima fosse la capitale degli Ingauni e qual durissima resistenza opponessero alle aquile romane i Liguri Alpini, di cui essa era capo, prima della fatal giornata combattuta nella valle di Taggia. E le splendide reliquie dei romani edifizi, onde tuttavia s’abbella quell’illustre città, appalesano agli occhi come le sia riuscito in appresso di restaurare i danni della sofferta sconfitta. Dell’importanza di lei e della vastità del suo dominio, delle sue antiche relazioni, coll’Africa da una parte e coll’Insubria dall’altra, della sua condizione a’ tempi di Cario Magno e della dipendenza ch’ell’ebbe dagli antichi marchesi di Susa, da cui pigliò radice e gran parte di signoria la Reale stirpe di Savoia, sufficientemente discorre l’avvocato Giuseppe Cottalasso, che con assai lume di critica e con lungo amore descrisse l’istoria della patria sua. Con più leggiadria e con troppo maggior parsimonia ne ragiona l’amico mio Davide Bertolotti nel suo viaggio nella Liguria marittima. Ad ugni modo egli è impossibile che da Albenga non si spiccasse una di quelle strade, che lo stesso Bertolotti chiama di fianco, e che gli abitatori della Liguria distrussero a furia di popolo, dopo che i tristi scempi di Federico II fatti gli avevano capaci della necessità di scansare i pericoli corsi e i danni patiti. Varcato il colle di San Bernardo siffatta strada di fianco dovea necessariamente discendere nella valle del Tanaro a Garessio e condursi, sempre lunghesso il fiume, sino al punto dove riceve in tributo le acque della Stura. Date un’occhiata alla carta dell’antico Piemonte pubblicata da Jacopo Durandi, e vedete se nel bel paese havvi parte alcuna in cui si trovi l’impronta di tre rilevanti città cosà vicine tra di loro che quasi si toccano, come sono l’Augusta dei Vagienni, Pollenza ed Alba Pompeia; considerate se, ad alimentare l’operosità delle numerose popolazioni, bastassero i soli commerci della via Aurelia, che, vegnendo, da Tortona e passando per Pollenza, ingolfavasi nelle Alpi marittime e metteva capo al mare; osservate che gli stessi nomi di casati, di borghi e di poderi, ch’erano frequenti in Albenga, si ripetevano eziandio nella città di Alba, e poi dubitate ancora, se il potete, che fra quelle due romane città vi fossero quotidiane corrispondenze di traffico. I Romani lo intendevano assai bene il sistema stradale; seguivano le vie additate dalla più facile natura dei siti; ma non avevano ancora la polvere piria, nè i metodi perfezionati, nè i savi regolamenti di che abbondiamo noi. Non erano ancora nè scritti nè stampati i maravigliosi concetti coi quali Leon Battista Alberti insegna il metodo cosi detto delle conche; il canale di Caledonia, che con benissimo traslato chiamano scala di Nettuno, non offeriva ancora lo spettacolo di navi volanti sul giogo di altissimi colli. E pure io reputo, anzi ritengo per fermo che le frequenti comunicazioni tra Pollenza, Alba ed Albenga si esercitassero per le valli del Tanaro e della Neva, le quali si aprono quasi spontanee ad un tal fine; che vi si esercitassero non solamente ne’ bei tempi dell’imperio di Roma, ma durante que’ secoli eziandio in cui le invasioni settentrionali e gli ordini o disordini feudali cominciavano a sottentrarvi, e a distruggere l’ombra persino del vivere agiato e civile. Che bel regalo avrebbe fatto alla cara figliuola l’imperatore Ottone assegnandole in dote e dando in governo al gran padre Aleramo, marito di lei, quelle province ricche di nient’altro che de’ propri prodotti, se contribuito non avesse a renderle popolose ed importanti la frequenza dei commerci? Ritengo di più che una segreta rimembranza dell’antica prosperità commerciale di quei siti e la speme di vederla rinascere sieno state come un fluido elettrico e voluttuoso che scorse tra le vene e le fibre di coloro che intervennero al primo congresso dell’associazione agraria colà celebrato: Non sine Deorum immortalium providentissimo consilio primus fratrum arvalium conventus Pollentiæ habitus est. Così avrebbe detto Tito Livio; ma noi scrittori moderni e meschinelli, per la paura d’essere beffati, noi difettiamo sempre di magniloquenza.
Ora in tanta dovizia d’ingegneri e di macchine le quali assoggettano alle voglie degli uomini la natura, anche dove è più aspra, ora, al dir di dotti idraulici, le acque del fiume Tanaro, costeggiando il monte Galero, menar si possono sulla cima del colle di San Bernardo già più d’una volta accennato. Colà con un sistema di larghissime conche alimentate dalla ricca vena delle medesime acque possono salire le navi onuste di merci provenienti da Albenga da una parte e da Garessio dall’altra; di là con maggiore facilità discendere dall’uno e dall’altro lato. Da Garessio, mercè di un tronco di strada ferrata, senza veruno ostacolo e con insensibilissimo pendìo, i vaggoni possono giungere a Ceva. Da Ceva poi nel punto dove il Tanaro s’impingua della Bovina e della Cevetta esso fiume si può rendere navigabile, sino a Pollenza o ad Alba. Ed eccovi nel cuor del Piemonte, da dove continuando a navigare per la diritta via giungerete in brev’ora ad Asti ed all’importante emporio di Alessandria, e prendendo a mano stanca per meno d’un po’ di strada ferrata, vi condurrete in un batter d’occhio a Torino. Lungo il Tanaro, ridotto a canal navigabile, s’istituirebbero di per sé comodi scali por lo smercio, da una parte, dei saporiti vini delle Langhe, inospitali tarre al giorno d’oggi, dove poco manca che gli abitatori non disperino, e dall’altra per ricevere i ricchi prodotti dell’industre ed ubertosa patria vostra.
Chè dal Mondovì fa d’uopo aprire una via ferrata, lungo l’Ellero, sino a Carrù, e da Cuneo, lungo la Stura, sino a Cherasco. Questa è l’arteria che sola può sciogliere il problema di moltiplicare le comunicazioni col Mediterraneo, di dare o per lo meno di conservare moto e vita ai paesi dell’alto Piemonte e di far sì che la capitale di questi Regi Stati, il cui nome fu sa qui poco meno che ignoto ai trafficanti, possa d’or innanzi aggiungere agli altri infiniti suoi pregi quello, che nel nostro secolo di moneta tutti li supera, dell’importanza commerciale. Se ci fosse riuscito d’andar di conserva al colle di S. Bernardo, voi vi sareste convinto della verità di quanto vi scrivo, e se vi foste poscia condotto all’antico convento dei cappuccini di Bra, non avreste mancato di convenir meco che, senza aver visitato quei due punti, senza aver gettato uno sguardo d’aquila sul magnifico aspetto che dall’uno e dall’altro agli occhi si svela, niuno può farsi giudice delle comodità e dei bisogni del commercio nelle nostre contrade. E la vostra intima persuasione voi l’avreste trafusa nell’animo dei vostri leggitori, laddove io temo che il languido impallidito mio stile non trovi lettori, o seppure ne trova, non li lasci in un’indifferenza supina.
Ma ad ogni modo prevedo che questa mia tiritera incontrerà alcune obbiezioni, e che queste, com’è facile il supporre, batteranno sopra tre punti principali. Dirassi cioè 1.° che non havvi in Albenga porto alcuno per dar ricovero alle navi; 2.° che le mercatanzie deggiono essere travasate tre volte prima di giungere a Torino; 3.° finalmente, che dovendosi già erogare ingente pecunia nella costruzione della strada ferrata di Genova, sarebbe prodigalità imprudente gettarsi nel tempo medesimo ad altra impresa da non condursi senza gravissimo costo. Lievi non sono queste difficoltà, ma facendosi ad esaminarle senza prevenzione, non mi paiono impossibili a superarsi.
Non havvi porto in Albenga, lo so; ed avvegnaché dalla storia e dagli antichi statuti apparisca che molti erano i navigli degli Albingauni, i quali si cimentavano a lunghi viaggi, e quantunque per conseguenza congetturare si debba che vi fosse qualche sito idoneo a dar loro ricetto, pure non voglio nemmeno soffermarmi un istante a discorrere della stazione che i natii chiamano il porto Vadino. O che quel porto sia stato realmente, ovvero ch’e’ sia una semplice falsa tradizione, il fatto sta che a’giorni nostri più non c’è. Ma c’è l’isola Gallinaria per breve spazio discosta dalla terra, alla quale, si può congiungere con un molo, che ivi costituisca sicuro asilo ai legni mercantili, senza che il vento da niuna parte vi possa. Già veggo inarcare le ciglia a cosiffatta proposta e gli animi sgomentarsi al calcolo della spesa. Dal nulla si fa nulla, ab nihlio nihil fit. Ma quando rammenterete non già i docks e i canali scavati in Inghilterra e nella Francia, chè questi son paesi di troppo pingue finanza, ma sibbene il dock di Carlscrona, i docks ed il canale di Gozia, scavati nel duro granito, e da chi? dagli Svedesi, i quali altra ricchezza non hanno che un po’ di ferro, stimerete ch’io non proponga cosa la quale ecceda le forze nostre; ed ove sia tuttor tenuta a troppo gigantesca l’impresa, piangerete che nella fusione delle italiche schiatte siensi del tutto smarriti i generosi effluvii del seme onde nacquero i maestri che nelle terre d’Italia edificarono i muri ciclopei. Questa difficoltà verrebbe da picciolezza di cuore; e se v’ha chi la muova, sia rimandato a leggere l’aureo volumetto stampato in Genova nel 1842 dal’marchese Camillo Pallavicini.
Più grave agli occhi di taluni parrà la difficoltà dei triplici travasamenti. Morsicati dalla tarantola molti, dopo aver caricato la derrata e la persona, non vedono l’ora di giungere. Dàgli, dàgli, galoppa, galoppa; più frettoloso cammini, più presto giungi alla meta. Ma bada bene che la meta di tutte le umane cose (triste sentenza!) è la morte. Queste ultime parole, affinchè non falliscano l’effetto a cui mirano, vogliono essere pronunziate con tuono cupo e sepolcrale e con cipiglio molto severo; e poi si dee soggiungere con voce rimessa: «alla morte è meglio andare il più adagio e il più tardi che si può». Ma lasciamo andare queste sceniche farse. I travasamenti delle mercanzie, giusta il mio sistema, dovranno dunque, lungo la linea di cui si ragiona, essere tre; vi vorranno ampii magazzini ed una schiera di facchini in Garessio, In Ceva, in Pollenza od in Alba. Non è poca cosa davvero! Ma e perchè mai i travasamenti danno tanto fastidio e tanta tremarella ai trasportatori ed agli spedizionieri? Perchè cagionano perdita di tempo ed aumento di spesa. Ma la perdita del tempo non mi sembra doversi calcolar molto nel nostro caso. Isocrate ha cantato le lodi di Atene, ed io quelle di Albenga. Con tutto ciò non le ho assegnato il vanto Siesssere arbitra della moda. Perdona, amata figlia d’Ingauno, ricca dei doni della natura, troppo tu trascuri i fregi dell’arte per diventare il figurino del giornalin delle dame. E voi ben sapete, o Baruffi, che niun’altra derrata ha bisogno di correre frettolosa come le nuove fogge create e prescritte dalla volubile dea. Ogni mercante vuol essere il primo a smerciarne, ogni bella essere la prima a fregiarsene. Gli oggetti che passeranno per la strada proposta non saranno già i cappellini del signor d’Herbelot, non le vesti, i camagli, o le berte di madama Palmira; saranno i cotoni greggi, i pesci salati, le corna, le pelli, lo zucchero, il caffè e le altre spezierie che manda il gran padre Oceano; saranno i prodotti del suolo, vale a dire gli olii di Oneglia e di Nizza, la lignite d’ottima qualità e di facile scavazione, di cui son pregni i nostri monti: i marmi, le legna, il carbon vegetale, i cereali, i vini, i tartufi dei paesi adiacenti, e per ultimo i pistolografi: chè se in mole v’assomigliaste a me, basteremmo in noi due a caricare una barca. Qual havvi premura che tali merci giungano un giorno prima o un giorno dopo? I consumatori sono sempre apparecchiati. Resta a1 discorrere della spesa. Mi sono provato a fare le mie ragioni per questo rispetto, ma non essendo profondamente versato nelle dottrine del carrettiere e del barcaiuolo, confesso che non me ne fido abbastanza per pubblicarle. Onesto ben vi so dire che il trasporto per acqua è molto men costoso che non per virtù del vapore, massimamente in un paese dove il carbon fossile è tuttavia un problema nascosto nelle viscere delle montagne. E così, la via di cui si tratta, essendo parte per acqua e parte per istrada ferrata, stimo non debba essere priva di fondamento la speranza che una tonnellata di mercatanzia caricata ad Albenga possa giungere a Torino con una spesa uguale a quella a un dipresso che costerà un’equipesante quantità di merci che giunga alla capitale per la strada ferrata di Genova. A siffatti cómputi si dovrà poi aggiungere l’economia e il maggior comodo dei produttori e dei consumatori locali per quei prodotti ch’essi hanno a smerciare, i quali, senza di ciò, resterebbero fondi di niun valore, e per quelli che denno ricevere. Di più i travasamenti considerar si vogliono come un gran benefizio alle popolazioni intermedie. I piccoli guadagni sono una rugiada d’amore, una manna per la gente minuta. Son troppo tenui per riporne parte nel salva-danaio; si raggirano tre o quattro volte al giorno, quindi procacciano occasione di lavoro ed alimento di vita a più persone. Essi giovano mirabilmente a liberarvi dai mendici, i quali crescono a dismisura dove alla mercede si sostituiste l’elemosina, quantunque scarsa ella sia; chè non ebbe torto il gran Bellingeri allorché v’insegnava essere il digiuno potentissimo aiuto alla procreazione. Le città capitali s’accrescono anche più dd dovere, e se queste Babilonie centralizzanti s’impinguano oon pregiudizio e discapito delle province, tale accrescimento è una vera cefalalgia, è segno di morbo e non già di salute. Trovate una persona di membra estenuate e sottili, avente il capo grosso come una botte; poi dite a Fidia che la pigli a modello per far la statua di Giove Olimpio o dell’Apollo di Belvedere.
E s’egli è vero, come si va dictitando, che il trasporto delle mercatanzie per la strada ferrata da Genova a Torino costerà un terzo di meno di ciò che costa oggidì, se questa non è vana speranza; oh poveri paesi dell’alto Piemonte! oh misera patria mia, che fosti ricco emporio altre volte di ragguardevoli commerci, capitale di provincia e di circondario, tu che coll’ardimento de’ tuoi figli snidasti dalla tua cittadella un forte presidio nemico, ridotta ora, in premio di tanta fede e di tanta virtù, alla meschina condizione di semplice capo-luogo d’un mandamento di quarta classe! Più non fia che ti consoli il cigolìo delle ruote di un carrettone, ìe tue arenarie non echeggeranno più alla canzone, al fischio del carrettiere, nè allo schioppettio del suo flagello; tu siederai addolorata e sola, patria dell’idillio e della fame!
Veniamo ora alla terza ed alla più grave di tutte le difficoltà, a quella cioè che nasce dal dire che sarebbe spensieratezza mettersi a novella impresa, mentre già la maggior parte dei mezzi vuoi essere assorbita dalla costruzione dei varii rami di strada ferrata che mettono capo a Genova. Ahi quante belle e grandi e piccole imprese vanno a monte per la mancanza dei nummi! all’ignavia di quanti serve di pretesto e di scusa il difettar del danaro! Pei prodigi dell’antica sua istoria, di cui la parte più splendida sta nel commercio, per causa del suo avviatissimo porto, pel numero dei doviziosi mercatanti che v’hanno stanza, Genova meritava senza fallo la preferenza; e non peno a comprendere, e debbo pur confessare che dovendola fare coi fondi del governo, la prudenza vuole che questo non si accinga per ora a fatiche novelle, atte a far credere che trascurar si voglia ogn’altro ramo di pubblico servizio e di pubblica prosperità, da quello in fuori delle strade ferrate. Ma fondi del Governo non sono i soli mezzi coi quali si conducano si vaste e così illustri imprese. Veggo che negli altri Stati, dove un maggior bisogno d’operosità si appalesa, il metodo il quale con savio consiglio venne da noi adottato, s’avvicenda e s’alterna con quello delle compagnie, posti gli opportuni confini e le provvide cautele idonee, a salvar le sostanze dei privati dalle insidie degli speculatori sottili. Non coi soli danari degl’ingegnosi, ma non troppo ricchi Toscani s’aprono e stan per aprirsi le innumerevoli vie che solcheranno tra breve la superficie del gran ducato. Ad una colà si accenna che da Livorno dovrà per Pontremoli condursi a Modena. Affine di controbilanciarne gli effetti è conveniente che questa via d’Albenga pel Tanaro si faccia. E tal convenienza meglio che non altrove vuol essere sentita in Torino, dove non mancano gii uomini che sanno profondarsi nell’esame delle più ardue questioni, e comprendere che, per salire all’utile grado di emporio operoso, non basta che una città abbondi di consumatori, ma fa di mestieri che sia luogo opportuno al transito e comodo agli scambi. Le provenienze di Genova le vengono di traverso, e, per cercar loro una continuazione di via, v’ha chi con nobile ardimento pensava doversi aprire lunga spelonca nel fianco delle Alpi, per giungere senza troppo rapide salite dalla valle della Dora sino a quella dell’Arc. Ma le Alpi son esse di si severo contegno, che sembra più facile vezzeggiarle al di fuori che non piantarvisi dentro, fintanto che meglio conosciuto dagli uomini il modo di usar la forza elettro-magnetica, non ci suppediti la virtù di perforarle da banda a banda. Laddove le provenienze di Albenga giungerebbero a Torino per la diritta via; e per diritta via trasmettere si potrebbero al lago Maggiore dal Ticino, o mercè di una strada ferrata o per via di quel canale che venne, non son molti anni, ideato e proposto dal valente ingegnere milanese il signor Carlo Parea. In vista di così sterminato vantaggio come mai si chiuderebbero le borse dei capitalisti torinesi? Una ciliegia tira l’altra, ed ai nostri capitali verrebbero tra non molto a congiungersi i capitali stranieri. Per ora basterebbe che il governo si mostrasse inclinato ad accoglier favorevolmfente le proposte che gli verrebbero inoltrate per un tale oggetto. Che se, dopo fatti gli studi ed i cómputi, pur si scorgesse necessario il compenso di qualche sacrificio; chi dubita non sia per farlo volontieri un paternale governo che, molto spendendo per una parte degli Stati suoi, non vuol patire certamente che l’altra languisca per difetto di lieve soccorso? Del resto rammento gli anni miei giovanili, allorché studiando in Vitruvio, ammirava la somma cura posta dagli antichi maestri nell’aprire i vomitorii negli edifizi de’ teatri, affine di agevolare senza pericolo lo scolo degli spettatori affollati, ogni volta che il fuoco appiccato nell’auleo o al velabro, o una dirotta pioggia fosse sopragiunta importuna ad affrettarne l’uscita. Ora é sereno il cielo; non una nube leggera offusca la bella faccia del sole. Ma quando giungono i tempi grossi, allora si scorge quanto rilevi che la casa non abbia una porta sola. Mi vien da ridere al vedere certi andazzi abbandonati, certe dottrine ieri derise tornar oggi in onore. I fisiologi non rinnegano più il fluido nerveo, ed io v’offro un saggio delle oscurità profetiche del Nostradamus. Povera umana razza, perpetuo trastullo di chi ti canzona, non insuperbirti almeno della tua sagacità nè della tua costanza! Basti questo lievissimo cenno; chè non veggo gl’improvidi tra la gente che mi circonda, e l’effettuazione delle strade ferrate ridesta le menti assopite. Di cosa nasce cosa, e il tempo la governa. Chi sa che il tempo non incarni il disegpo da me appena abbozzato fin qui? La è un’utopia, sento bisbigliarmi dintorno. Sarà. Ma e chi non fa le utopie all’età nostra, che tante ne vide mandarsi ad effetto? La schiatta di Tommaso Moro s’è moltiplicata come le arene del mare, e le utopie sono entrate nel luogo dei dilettevoli racconti di Falerina e di Armida. Se poi la voce mia andasse perduta nel deserto... tanto peggio; qualche danno di più, qualche vantaggio di meno, e direi con Orazio: «Lusimus, abbiamo scherzato»; niuno si adombri agl’innocentissimi scherzi!
Intendeva di scrivervi una semplice letteruccia, ed ecco ch’essa è cresciuta a forma di lungo dispaccio da disgradarne la più sbrodolata legazione dell’universo. Ma l’economia politica è in gran parte scienza di applicazione; in essa pochi sono i maestri, per lo più concisi, molti i ripetitori, sempre prolissi. Credo ch’essa debba mirar principalmente a secondare i voti della natura, a volgere a comune benefizio i comodi ch’essa ci porge. Di più, sapete che al congresso degli scienziati in Milano feci grandissimo plauso al pensiero che dettò il bellissimo libro delle notizie naturali e civili della Lombardia, nobile pensiero del dottore Carlo Cattaneo, il quale vorrebbe che libri di tal fatta si sostituissero alle semplici guide della città dove si celebreranno i futuri congressi. Se nel 1846 Genova adotta un cosiffatto pensiero, gli è una maniera di debito portare il nostro obolo a quel tesoro comune. Le cose già falle, i comodi già aperti sono il patrimonio, lo strumento di vita per quelli che sono; i comodi da aprirsi e le cose da farsi costituiscono il penso, il patrimonio e gli stromenti di vita per quelli che denno venire. Ed oltre a ciò, proponendo che invece di una sola vi sieno per noi due agevoli vie al mare Mediterraneo, mi premeva di far ricredere gli amici e dimostrar loro ch’io non sono avverso a quel ben inteso progresso di cui voi siete apostolo candidissimo.
Con tutta l’effusione del cuore sono il vostro affezionatissimo
- Torino, 11 marzo 1845.
Sauli.
Nota. — Abbiamo creduto conveniente inserire la lettera del nostro amico, quantunque non ci persuada quella sua idea di fare un porto ad Albenga, poiché si hanno su quelle spiaggie nello Stato sardo altri porti già avviati e sicuri; e quantunque neppur si approvino da noi quelli che vorrebbero sostenere convenienti i replicati travasi, e dimostrare chimerico il divisato traforo dell’Alpi.
Sebbene coteste idee siano enunciate forse per celia soltanto, ed al fine di meglio far gradire l’idea più seria d’un avviamento de’ traffici per la diletta sua patria, ora, invero, a men felice condizione ridotta; — e sebbene cotesto spiritosissimo modo di trattare cose gravi, malgrado l’oraziano detto invocato, da tutti non sia approvato; quand’anche suppongasi usato ad arte, come già fu dal Galiani per far penetrare pensieri che altrimenti non potrebbero forse aver adito; sta in fatto che l’opinione del Sauli, posto specialmente a parte il porto d’Albenga coi suoi docks, che il Pallavicini propose a Genova, e non altrove; — e tralasciato anche il canale a conche, sforzo lodevole de’ tempi antichi, oggi men utile e di soverchio dispendio; sta in fatto, ripetesi, che l’opinione del Sauli non è poi nè strana, nè difficile , o di poco pregevole applicazione, come vollero taluni.
Quando dal Varo oltre Nizza al mare, là dove ha confine lo Stato sardo suddetto, una linea ferrata corrispondente con altra, la quale tosto verrebbe di Francia a collegarsi con essa, si continuasse in riva al mare; e superando i varii capi o promontorii, i quali sembrano ostacolo, con non lunghi trafori, venisse fino al piano su cui giace Albenga; — quando da quel punto per la valle che conduce al colle detto di San Bernardo, questo si superasse, come è facile, con non lungo traforo, onde giugnere nella valle del Tanaro, scendendo la quale per Ceva ed Alba s’arriverebbe in Asti alla linea condotta da Torino in Alessandria ed oltre; — quando nella detta valle del Tanaro, là dove in esso entra la Stura, a Pollenzo, superata la conca di questa, salito il vallo, onde vassi alta popolata e trafficante città di Bra, pel pianoro ove questa giace, s’arrivasse a Savigliapo, centro delle relazioni del Piemonte, per andar quindi a Racconigi e Carmagnola, da dove a punto più opportuno si potrebbe entrare nella detta via che da Torino a Genova sarà rivolta: non è a dubitare, che siffatta linea dall’estero in riva al mare all’interno dello Stato condotta, potrebbe singolarmente avvivante le relazioni commerciali. — Sarebbe essa linea inoltre un sicuro succedaneo per corrispondere dalla Francia all’Italia con una via ferrata, nel caso che le altre divisate vie incontrassero ostacoli insuperabili, — porgerebbe dal Piemonte alla Provenza mezzo di versarvi i tanti nostri prodotti, or già colà difficilmente per aspri monti avviati. — Darebbe alla valle del Tanaro ed alle circostanti province, taluna delle quali (le Langhe) per difetto di traffico è ora in poco felice condizione economica, un impulso di attiva operosità, onde ne avverrebbe per esse una felicissima mutazione di cose. — E se, come vuolsi proposto, si stabilisse nella detta valle del Tanaro, a Garessio, dove ferro, legname e lignite diconsi abbondare, un opificio meccanico, il quale fabbricasse il materiale occorrente alle vie ferrate dello Stato sardo; il quale opificio potrebbe col tempo anche provvedere il resto della Penisola; un’altra fortunatissima mutazione di cose si procurerebbe a quelle contrade, onde nascerebbe larga sorgente di vita e di profitti allo Stato intero.
Arroge a questi vantaggi innegabili quello di collegare con un non luogo tunnel sotto Montalbano il vasto e securo porto di Villaficanca a Nizza per modo, che questa città, il cui porto di Limpia, sì angusto ed insufficiente, non concede di’estendere il suo traffico marittimo, ben tosto diventerebbe un altro emporio, che lo Stato sardo avrebbe molto profittevole ed in certe date emergenze anche più opportuno lll’esportazione de’ suoi prodotti per quella parte, tra i quali gli olii, le canape, il riso.
Queste vantaggiose possibili condizioni, nelle presenti circostanze d’ardite imprese chiarite non tanto difficili, solo potrebbero trovare nell’ordinamento loro un ostacolo, quello del forse fondato timore di non ritrarre dall’intera linea dal Varo in Asti ed a Torino prodotto adequato alla spesa di essa; posciachè codesta linea sarebbe tra quelle secondarie, che nel sistema misto cui incliniamo, è conveniente, a parer nostro, lasciare all’industria privata con una concessione temporanea.
Quando quella però volesse assumere l’impresa, noi la riputiamo cosi profittevole al commercio interno, ed anche in parte a quello estero degli Stati sardi, che avvisiamo degno dell’illuminato e solerte governo che li regge, di accogliere favorevolmente le domande che per avventura fossero al proposito insinuate; con che, ben inteso, siffatte domande avessero tutti i caratteri di realtà che potrebbero renderle caute e positive; nè fossero a solo fine di giuoco formolate.
Dopo aver toccato cotesto tasto, ricordiamo ancora le cose dette al capitolo 5.° del Discorso III intorno alle altre linee interne che si potrebbero aprire negli Stati preallegat. A quella accennata da Savigliano a Torino procederebbe, come fu detto prima, la proposta via, che arriverebbe dalla valle del Tanaro diramata sul pianoro che separa Bra da Savigliano.
Quand’anche non potesse quella diramazione attuarsi, sempre utile sarebbe una linea che dal solo punto di Savigliano partisse, a Racconigi ed a Carmagnola rivolta, per raggiugnere la linea governativa da Genova a Torino prima ch’essa passasse il Po a quel punto che sarà determinato.
Savigliano è, come già si è detto, centro delle relazioni dell’intero Piemonte. Le provenienze di Saluzzo e della valle del Po, come quelle delle valli di Vraita, della Maera, della Stura e della Vermenagna; e quelle del Mondovì e della valle superiore del Tanaro, ed anche della Riviera di Ponente nella sua parte estrema, verso la Provenza, tutte sarebbero condotte, come or già sono in gran parte, a quel punto centrale ed in maggior copia per arrivare più sollecitamente a Torino.
Questa naturale condizione di cose promette ad una siffatta linea un avviamento tale, che può presumersi atto a compensarne la d’altronde non grave spesa, attese le poche difficoltà che incontrerebbe l’opera.
Questa pur converrebbe lasciare all’industria privata, senza necessità di speciale sussidio però, e con sola concessione temporanea. — E, se male non siamo informati, già una società sta ordinandosi col lodevole scopo di rassegnarne al governo la domanda, la quale domanda giova sperare che sia accolta con quelle cautele atte a premunire dai pericoli del giuoco, di cui abbiamo tante volte parlato, e che perciò è qui inutile ripetere.
Abbiamo pure toccato all’indicato capitolo d’una linea da Pinenolo a Torino, dichiarandola facilissima, molto produttiva per gran concorso, epperciò di somma convenienza.
Confermando queste asserzioni, aggiungiamo che due partiti si presentano, i quali converrebbe accuratamente studiare prima di risolversi. Primo, quello della linea retta da Pinerolo a Torino più breve, men costosa per le occupazioni di proprietà di minor prezzo e meno estese,e di nessuna difficoltà quanto ai ponti ed altre opere d’arte, in numero minimo occorrenti. L’altro, quello di adottare una linea più lunga Che per Buriasco, Vigone e Carignano venisse incontrare la linea da Genova a Torino al punto che sarebbe giudicato più opportuno.
Questa linea sarebbe assai più costosa per la sua maggiore lunghezza; per il più caro prezzo degli ubertosi terreni che converrebbe occupare; pei ponti in ben maggior numero e più ragguardevoli, che sarebbe necessario di costruire lungo di essa. In compenso avrebbe forse il vantaggio di raccogliere molte popolazioni agglomerate, già di presente solite a venire a Torino per ogni occorrenza loro.
Un calcolo comparativo, istituito sulle probabili risultanze delle due speculazioni, potrà servire di norma alla società, il cui ordinamento dicesi combinato per attendere a siffatto assunto. Noi, sprovvisti degli occorrenti riscontri, ri asterremo da un giudicio, il quale sarebbe per ora prematuro; ristringendoci ad affermare, che nell’una o nell’altra direzione la speculazione non può fallire, scelta che sia la linea più conveniente; laonde confortiamo i fondatori a proseguire nel concepito divisamento, convinti come siamo dell’utilità d’esso, e della sollecitudine del governo nel favorirlo, accordando una concessione temporanea, osservate pure le sopraindicate cautele.
Dopo aver parlato di queste due linee interne rivolte alla capitale da quella parte dello Stato sardo, bastevoli, a nostro parere, ad accrescerne singolarmente le relazioni personali e di traffico: di due altre, da un’altra parte provenienti, ci resta soltanto a parlare, come possibili all’eventualità d’un già preveduto caso.
Al citato capitolo 5.° del Discorso III preallegato vedemmo col tempo probabile, perchè possibile, e da sufficienti prodotti compensata, una lined diretta tra Torino e Milano, la quale per Chivasso, Vercelli e Novara condoducesse al confine sul Ticino, dove abbiamo presunto non difficile tanto come altrove il congiungimento d’una linea lombarda, che, in fin di conto, ivi arriverebbe pure.
In questo caso sarebbe conveniente una linea minore, la quale da Ivrea per la valle della Dora Baltea venisse a congiungersi alla linea da Torino a Milano verso Cigliano.
Questa linea, che raccoglierebbe molte provenienze della popolatissima provincia del Canavese, e tutte quelle dell’industriosa valle d’Aosta, potrebbe essere d’un prodotto sufficiente forse a compensarne la spesa. Una società si troverebbe probabilmente pertanto, che assumerebbe l’impresa, e sarebbe convenientissimo all’universale interesse di accoglierne la domanda con favore, senza sussidio alcuno però, ed in via temporanea sempre, coll’osservanza, ripetesi, delle suggerite cautele.
La provincia di Biella, dove tanti sono gli opifici, avrebbe pure in quel caso somma convenienza di collegarsi con una linea particolare, alla detta linea prindpale da Torino a Milano, all’incirca verso lo stesso punto, o non molto da esso lontano; ovvero ancora di venire per quella d’Ivrea raggiunta al punto cereduto più conveniente.
Il partito da prendersi in tal caso dovrebb’essere preceduto da accurati studi, i quali chiarissero i punti e le direzioni meno costose e più atte a chiamare un grande concorso alle divisate vie.
Mercè di queste linee interne minori, lasciate, ripetesi, colle volute cautele all’industria privata, gli aviti domìni della real casa di Savoia avrebbero una compiutissima rete di vie ferrate, la quale grandemente ne accrescerebbe l’attività commerciale, e cogli utili d’essa la ricchezza e la prosperità.
Allora può presumersi che l’agricoltura degli ubertosi terreni del Piemonte non tarderebbe a perfezionarsi ancora, incitata come sarebbe dalla prontezza, somma facilità ed economia delle comunicazioni.
Allora l’industria manifatturiera potrebbe avere un ben più esteso sviluppo, perchè il più facile e men costoso arrivo delle materie prime, il pur facile ed economico trasporto de’ manofatti, sarebbero un immenso incitamento ad un sempre crescente lavoro più sicuro di spaccio.
Allora pertanto la somma degli utili maggiori ricavati, successivamente cumulata, accrescerebbe i capitali privati, e viepiù aumentandosi la produzione loro, ne deriverebbe quella generale ricchezza, che è la meta cui tende l’onesto lavoro, quando, tenuto conto delle imperfezioni che sono inseparabili dall’umana natura, si cerca però di mitigarle colla migliore educazione, e con appropriata istruzione.
Allora un governo, sempre notato per paternale saviezza, mutando nel presente progresso le sue tendenze, indirizzate non più allo stato agricola soltanto, come altre volte, ma anche a quello industriale, come il richiedono l’aggregazione delle nuove province, e la pure variata condizione de’tempi, proverà con sì accorto procedimento, che, professando i veri princìpi d’un savio pubblico reggimento, sa far servire l’autorità direttiva e tutoria onde fu dalla divina Provvidenza investito, al maggior bene de’ popoli ch’essa gli ha confidati.
Allora, finalmente, le benedizioni di questi, che gli ottimi prìncipi della real casa di Savoia sempre seppero procacciarsi, aumenteranno ancora e tramanderanno alle più tarde età la fama d’un governo forte, illuminato, paterno. Pagina:Delle strade ferrate italiane e del miglior ordinamento di esse.djvu/587 Pagina:Delle strade ferrate italiane e del miglior ordinamento di esse.djvu/588Documento N.° XVI
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QUADRI SINOTTICI
DELLE PRINCIPALI STRADE FERRATE D'AMERICA E D'EUROPA
con alcune indicazioni
RELATIVE ALLE LORO LUNGHEZZA, SPESA, RENDITA ED ALTRE DEGNE D'ESSERE NOTATE
__________
Avvertenza generale
Nella compilazione de' quadri sinottici che seguono, si sono consultati, oltre ai varii autori fin qui citati nel corso dell’opera nostra, principalmente i due libri tedesco ed inglese de’ quali segue il titolo, perchè son quelli più recentemente pubblicati:
Stand und Ergebnisse der deutschen, amerikanischen, englischen, französichen, belgischen, holländischen, italienischen und russischen Eisenbahnen am Schlusse des Jahres 1843, mit einem Anhang enthaltend Beschreibung und detaillirte Uebersichten aller ausgeführten und im Ban begriffnen englischen und amerikänischen Eisenbahnen. Nach autentischen. Quellen bearbeitet von I. A. Beil, herzoglisch Nassauischen Hofrath, Ritter mechrerer hohen orden, etc., etc., director der Taunus Eisenbahn. Der Erlös dieser Druckschrift gehört der Pension-und-Wittwen-Kasse der augesttllten der Tarunus-Eisenbahn-Gesellschaft. Frankfurt a. M., Juli 1844.
Stato ed avvenimenti delle strade ferrate tedesche, americane, inglesi francesi, belgiche, olandesi, italiane e russe, con un’appendice contenente: La descrizione e dettagliato prospetto di tutte le strade ferrate inglesi ed americane eseguite ed in corso di costruzione fino al 1843, compilato su autentiche fonti da I. A. Beil, Consigliere Aulico del duca di Nassau, cavaliere di parecchi altri ordini, ec., ec., direttore della strada ferrata del Taunus. La riscossione di quest’opera stampata appartiene alla cassa delle pensioni e delle vedove della società stabilita per le strade ferrate del Taunus. Francoforte sul Meno, luglio 1844.
The Railway shareholder’s Manual; or pratical Guide to all the Railways in the World compteted in progress, and projected forming an entire Railway-Synopsis indispensable to all interested in railway locomotion. Fifth edition. — By Henry Tuck.— London published by Efingham Wilson, II, royal Exchange, and at the Railwail Time Office, 122, Fleet-Street. — Sold by all Booksellers.— 1845.
Manuale degli azionisti delle strade ferrale, o Guida pratica a tutte le strade del mondo compiute, in costruzione o progettate, formanti un’intiera sinopsi delle strade ferrate, indispensabile a tutti gl’interessati nella locomozione delle strade ferrate. Quinta edizione. Per Enrico Tuck. Londra, 1845, ecc.
Quantunque siasi posto ogni studio per accennare alla maggiore esattezza, ricorrendo anche a memorie manoscritte procurateci dalla cortesia de’ molti corrispondenti in ogni parte d’Europa consultati, non possiamo tacere averci que’ varii riscontri fatte palesi molte disparità e contradizioni, le quali più volte quasi d mossero ad abbandonare l’assunto per tema di fare un lavoro imperfetto.
Ma il desiderio di presentare ai nostri concittadini della Penisola un’opera dalla quale essi potessero ricavare tutte le indicazioni degne d’essere notate, ci ha sonetti nell’impresa, che ora si crede, mercè dell’altrui valido aiuto, condotta a termine con ogni possibile esattezza.
Onde spiegare cotali disparità e contradizioni, giova accennare che più probabilmente esse derivano dalla diversa maniera usata nel denominare e considerare le varie strade ferrate. In fatti alcuni autori, per esempio, calcolarono due dati punti di confine qual linea principale, mentre altri, invece, hanno esclusa parte di quella linea, considerandola soltanto qual diramazione della medesima, attribuendo alla linea principale suddetta un’altra città. Onde, è derivato, che varie denominazioni, lunghezze, spese e rendite trovansi diversamente inscritte ne’ quadri consultati, epperò gll elementi cercati in essi potevansi imputare del pericolo di confusione e d’inesattezza.
Per scansare pertanto nel miglior modo possibile il detto pericolo, ci siamo imposto dovere di non adottare cifre le quali non avessero probabilità d’esattezza, preferendo all’inscrizione di quelle dubbie, le lacune che il lettore troverà in alcuni de’ quadri nostri.
Cotesto scopo, cui accennammo, della maggiore possibile esattezza, ci ha pure costretti di compilare i quadri sinottici che seguono con diverso modulo, in ragione soltanto delle maggiori o minori indicazioni raccolte nei materiali consultati, e seguiti perchè riputati più esatti.
In ognuno de’ sei quadri che presentiamo, distinti colle lettere A, B, C, D, E, F, abbiamo riferito il ragguaglio delle misure e monete locali colle misure e monete metriche decimali e centesimali usate nel Piemonte, le quali pareggiano le misure e monete di Francia.
Questa indicazione abiliterà il lettore a farvi tutti que’ ragguagli speciali che potrà desiderare.
Nel terminare questa generale avvertenza, la lealtà di cui ci onoriamo richiede che si dichiari dover noi questo lavoro statistico, che riputiamo degno di qualche pregio, convinti come siamo della sua più probabile esattezza, al validissimo aiuto del chiarissimo signor conte Piola, la coscienziosa operosità del quale volle assumere il carico d’infinite pazienti ricerche e confronti, da cui n’è risultata la definitiva compilazione de’quadri sinottici.
Il lavoro del signor conte Piola può dirsi un’utile giunta fatta al nostro; perocché senza il suo intelligente ed accurato concorso noi non avremo certamente potuto offerire al pubblico un’opera così compiuta, specialmente in un momento in cui la mal ferma salute e la stanchezza derivante da un già lungo lavoro, ci rendea meno atti ad assumere ancora quello favoritoti dall’esimio suddetto nostro collaboratore per questa parte del libro.
Abbia esso adunque, coll’attestato della nostra gratitudine, questa dichiarazione, comprovante la verità più sicura de’ quadri compilatici!SEGUONO:
A) Quadro di tutte le strade ferrate già eseguite od in corso di costruzione nell’America a tutto il 1843.
B) Strade ferrate del Regno Unito della Gran Brettagna.
C) Quadro delle strade ferrate del Belgio.
D) Quadro delle principali strade ferrate della Germania nel 1845.
E) Quadro delle principali strade ferrate della Francia nel 1845.
F) Strade ferrate d’Europa non comprese ne’ precedenti quadri.
NOME DEGLI STATI | numero | NOME DELLE STRADE FERRATE |
New-York.. | 1 | Mohawk-Hudson |
2 | Saratoga-Schenectady | |
3 | Troy-Ballston | |
4 | Saratoga-Washington | |
5 | Utica-Schenectady | |
6 | Syracuse-Utica | |
7 | Auburn-Syracuse | |
8 | Shancateles | |
9 | Syracuse-Onondaga | |
10 | Auburn-Rochester | |
11 | Tonawanda | |
12 | Rochester | |
13 | Scottsville-Caledonia | |
14 | Medina-Darien | |
15 | Buffalo-Niagara-Falls | |
16 | Buffalo-Blackrock | |
17 | Lockport-Niagara-Falls | |
18 | Sweigbahn nach Lewiston (ramo di strada verso Lewiston) | |
19 | Itaca-Owego | |
20 | New-Yorck-Harlem | |
21 | New-Yorck-Albany | |
22 | New-Yorck-Eric | |
23 | Brooklin-Jamaica | |
24 | Long-Island | |
25 | Sweigbahn nach Hempstead (ramo di strada verso Hempstead) | |
26 | Hudson-Berkshire | |
27 | Catshill-Canajoarie | |
Massachussetts | 28 | Quincy |
29 | Boston-Lowell | |
30 | Sweigbahn nach Charlestown (ramo di strada verso Charlestown) | |
31 | Nashna-Lowell | |
32 | Boston-Portland | |
33 | Boston-Maine | |
34 | Boston-Providence | |
35 | Sweigbahn nach Dedham (ramo di strada verso Dedham) | |
36 | Sweigbahn nach Tannton (ramo di strada verso Tannton) | |
37 | New-Bedford-Tannton | |
38 | Boston-Worcester | |
39 | Sweigbahn nach Millbury (ramo di strada verso Millbury) | |
40 | Wastliche-Eisenbahn (strada occidentale) | |
41 | Oestliche (in Massach)(strada orientale) | |
42 | Sweigbahn nach Marblehead (ramo di strada verso Marblehead) |
N.° d’ordine
|
nome delle linee | Lunghezza
in kilometri |
Costo per ogni
kilometro |
osservazioni |
27 | Da Bexbach a Mannheim e a Saarbruck | 84 | » | 4 per % d’interesse e garanzia del governo bavarese. |
28 | Da Augsburgo a Lindau | 140 | » | |
29 | Da Augsburgo a Munich | 60 | 130,982 | |
30 | Da Augsburgo a Hof | 354 | 130,515 | |
31 | Da Nuremberg a Furth | 8 | 60,736 | Aperta nel 1835. |
32 | Da Bamberga a Francfort sul Meno | » | » | |
33 | Da Vienna a Gloggnitz | 85 | 288,284 | In attività dopo il 1842. |
34 | Da Gloggnitz a Trieste | 563 | » | Si vedano i riscontri per essa dati al N.° XVIII, § 3. |
35 | Strada del N. da Vienna a Praga | 800 | 110,161 | |
36 | Da Praga a Dresda | 185 | » | In Sassonia circa 57. In Austria circa 128. |
37 | Da Dresda a Görlitz | » | » | |
38 | Da Francfort sull’Oder a Breslau | 320 | » | In piena attività. |
39 | Da Breslau a Friburg in Brisgau | 66 | » | In corso di costruzione. |
40 | Da Breslau a Oppelana | » | » | idem idem |
41 | Da Oppelana a Cracovia | 144 | » | idem idem |
42 | Da Oppelana ad Oldembourgo | » | » | idem idem |
43 | Da Budice a Gemunden | 193 | 28,744 |
Il presente quadro è stato desunto dall’opera pubblicatasi in Lipsia dai frateili Dufour, principali agenti di tutto ciò che ha riguardo a quelle strade. Ebbimo anche sottocchio il conto reso del signor Beil, direttore della via ferrata del Taunus, prima citato nell’avvertenza generale: ma non dobbiamo tacere che le notizie esposte in questi libri non hanno pienamente appagato il nostro desiderio, sia perchè non le trovammo complete, sia perchè, particolarmente quelle che riguardano il costo delle strade, non ci parvero esatte quanto la natura di questo lavoro lo richiede. — Abbiamo tralasciato di inscrivere le rendite per difetto di sicure notizie. — L’opera che abbiamo anche citata del sig. conte Bourgoing, perchè di men recente pubblicazione, non ci è parsa poter dare sicuri riscontri sullo stato attuale, ed è a lamentare, ripetesi, che quella del signor Beil, sulla quale facevamo maggior conto, perchè essendo sui luoghi, e avendo ufficio amministrativo in quelle strade, ei più d’ognuno dovea conoscerne i particolari, che però non abbiamo trovati, non contenga almeno quelli che più erano a desiderare, mentre moltissimi altri ve ne sono, i quali, benchè interessanti, pur non facevano al caso nostro.
N° d'ordine | DIREZIONI | Lunghezza in kilometri | Spesa di costruzione e di primo stabilimento | Rendita brutta in lire di Piemonte ossia franchi | Spese annuali | |
1 | Parigi a Orleans e Corbeil | 133 | 50,000,000 | 6,901,786 | 3,286,020 | |
2 | » a Rouen | 128 | 50,000,000 | 4,718,386 | 3,752,466 | |
3 | » a Saint Germain | 20 | 16,600,000 | 1,561,380 | 601,584 | 1 |
4 | » a Versailles (riva destra) | 19 | 18,000,000 | 1,158,217 | 721,216 | |
5 | Strasbourg a Bâle | 140 | 45,000,000 | 2,486,868 | 1,578,118 | |
6 | Parigi a Versailles (riva sinistra) | 16 8 | 15,000,000 | 800,714 | 607,467 | 2 |
7 | Saint Etienne a Andrezieux | 18 | 2,150,000 | » | » | |
8 | » a Lyon | 58 | 15,000,000 | 3,090,192 | » | |
9 | Andrezieux a Roanne | 67 | 25,000,000 | » | » | |
10 | Épinac al Canale di Borgogna | 28 | 1,450,000 | » | » | |
11 | Montbrison a Montrond | 15 5 | 250,000 | » | » | |
12 | Alais a Beaucaire | 69 9 | 12,000,000 | » | » | |
13 | » alla Grand Combe | 16 7 | 5,845,000 | » | » | |
14 | Montpeiller a Cette | 27 5 | 3,000,000 | » | » | |
15 | Molhouse a Thanne | 19 | 1,400,000 | » | » | |
16 | Bordeaux a Teste | 51 | 4,600,000 | » | » | |
17 | Creusot al Canale del Centro | 10 | 3,500,000 | » | » | 3 |
18 | Bert e Montcombry alla Loira | 25 | 8,750,000 | » | » | |
19 | Villers-Cotterets a Port-aux-Perches | 8 1 | 2,835,000 | » | » | |
20 | Saint Waast a Anzin | 0 8 | 280,000 | » | » | |
21 | Abson a Denain | 5 9 | 2,065,000 | » | » | |
22 | Denain a Saint Waast | 8 9 | 3,145,000 | » | » | |
23 | Lille alla frontiera belgica | 14 1 | 4,935,000 | » | » | |
24 | Valenciennes » | 13 1 | 4,585,000 | » | » | |
25 | Nimes a Montpellier | 54 | 18,900,000 | » | » | |
1 Tutte le cifre degl’introiti sono ricavate da’ rendiconti delle rispettive amministrazioni del 1.° ottobre 1844 e 30 giugno 1845, non compresi gl’interessi sugl’imprestiti.
Le spese, a fronte degl’introiti, erano nel 1843 per Orleans e Rouen in ragione di 42 ½ e 40 per %.
2 Prodotto e spesa del 1.° ottobre 1842 al l.° settembre 1843. Notizia estratta dall’opera del signor Beil.
3 Le seguenti notizie sono state tolte dal libro intitolato: Examen comparatif de la question des chemins de fer par Poussin, e dall’Encyclopédie des chemins de fer.
* Oltre a queste strade è noto come molte altre ne siano in corso di costruzione, o prossime ad esserlo per concessione del governo; così, per esempio, quella da Parigi al Nord colle sue diramazioni. Da Parigi a Lione, e da Lione ad Avignone con diramazione su Grenoble. Da Avignone a Marsiglia. Da Parigi a Strasburgo con diramazione su Metz. Da Parigi a Bordeaux ed al centro della Francia, in continuazione ambedue della strada d’Orleans. Da Bordeaux a Marsiglia per il Mezzodì fino a Mompellieri, ed altre ideate.
Questo quadro è, come vedesi, adunque, imperfetto, e non si aveano ancora i riscontri raccolti, come nelle opere del Beil e del Tulk citate, per trascriverli. Compita, o quasi, la rete stradale francese, si pubblicheran certamente lavori consimili a quelli tedesco ed inglese preallegati.
Nazioni | lunghezza della linea in kilometri | Spesa di costruzione in lire di Piemonte | Rendita | |
Russia 1 Da Pietroburgo a Tsarkoé | 1843 | 27 |
5,862,650.37 | 251,521 |
Olanda 2 Da Amsterdam ad Arnhem | 1844 | 96 |
28,000,000. | » |
Polonia 3 | 1844 | 60 |
» |
» |
1 Le notizie relative alla lunghezza ed al costo di questa strada furono desunte dall’opera del signor Teisserend. Ricaviamo poi dall’opera del sig. Beil il seguente rendiconto.
Rendiconto della strada di Ttarkoé del 1843.
Esercizio
Numero
delle persone
concorse
Entrata
4
Uscita
Sopravanzo
Dividendo
Fondo i riserva
1841
1842
1843
399,161
602,191
651,619
Halli arg.
235,970
238,138
251,521
lUMIaif»
121,871
106,669
117,777
Rubli arg.
114,079
131,483
133,744
4°/.
- •/.
1 ì/S % Rubli afg. 26,439 33,352 122,569 a Notizie desunte dal Bollettino della Commissione centrale di Statistica dd Belgio. Dall*opera del signor Beil si ha quanto segue: La strada di Rotberdam, la cui spesa era stata bilanciata in fiorini 2,500,000, costava già nel 1843 «orini 6,221,007. La fmrte di essa in attività produceva 1 3fl, per °f0. 9tProbabilmente tuttora in costruzione. NB. Non si sono comprese in questo quadro le strade ferrate già costrutte ed in esercizio, come neppur quelle in costruzione o decretate soltanto per l’Italia, atteso che il libro intero nà contiene al.proposito i necessari riscontri. D’altronde alcune linee e direzioni esaenoo ancora in discussione, ed anche in solo progetto, i-dati die si sarebbero inscritti nel quadro non sarebbero forse poi qudli’ definitivamente adottati. — Questo ultimo motivo è pur causa che non abbiamo registrato le strade che diconsi decretate o progettate soltanto, in Ispagna, nel Portogallo, e nella Svesia e Danimarca; quanto pure quelle dell’ìndia e d’alcqoe colonie inglesi e spagnuole dell*America. ■ - L’asaunto nostro era quello di presentare in questi specchi dati-sicuri, nè arremmo potuto somministrarli per le strade che non abbiamo perciò creduto dover comprendere
nei detti specchi.Documento N.° XVII
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NOTIZIA
ricavata dai varii fogli periodici svizzeri ed altri, come dalle assunte informazioni, concernente ai divisamenti ivi fatti di strade ferrate corrispondenti col Piemonte e col regno Lombardo-Veneto; con alcuni riflessi relativi.
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Nel presente rivolgimento delle relazioni commerciali fra i varii popoli, mercè delle strade ferrate aperte ne' diversi Stati, era naturale che la pubblica opinione seriamente avvertisse in Isvizzera alla condizione speciale in cui era per trovarsi quella contrada rispetto al gran traffico europeo.
Posta al centro della gran catena dell’Alpi, alcune delle quali, come lo Spluga, il San Bernardino, il San Gottardo ed il Sempione servon di passo dall’Italia alle contrade oltremontane: se quegli erti gioghi furono grave ostacolo per le vie ordinarie, tanto più dovrebbero esserlo per le vie ferrate.
Ciò non di meno gli ottimi cittadini di que’ Cantoni non si nascosero che ommessa l’occasione di partecipare al generale impulso coll’aprire alcune delle nuove vie anche alla Svizzera, ed in ispecie ne’ Cantoni più poveri, i quali più abbisognano del guadagno di facili e pronti trasporti, essa correrebbe il rischio di vedersi segregata da molte parti per difetto d’accessi consimili a quelli altrove praticati.
Già nel capitolo 5.° del discorso III abbiamo parlato dei mezzi che sarebbero impiegati per stabilire dalla parte di Ginevra una più facile e pronta comunicazione con Basilea, collegando insieme i laghi del Lemano e di Neufchatel con una strada ferrata da Morges o da Ouchy a Yverduno, usando poi la navigazione de’ fiumi Thieele ed Aar, il quale va quindi al Reno poco prima di Basilea, sita su quest’ultimo fiume.
Aggiungeremo che, informati delle disposizioni date dalla Francia ond’arrivare da Lione al confine ginevrino per il dipartimento dell'Ain, o da una diramazione detta, strada decretata da Grenoble a Lione pei dipartimenti dell’Isera, del Rodano e dell’Ain suddetto: il governo ginevrino si è tosto occupato di far studiare i punti più convenienti per continuare la breve tratta di strada che mancherebbe da quel confine alla città di Ginevra, ed il luogo più opportuno per la cala di sbarco verso il suo lago.
Aggiungeremo ancora, che, fatte note a Ginevra le disposinoni date dal governo sardo per tentare il gran traforo dell’Alpi dalla Savoia al Piemonte, onde scansare il Moncenisio, i reggitori di quel Cantone ed i suoi abitanti ne sentirono immensa soddisfazione, poichè tosto capirono come fosse loro più conveniente una diretta e pronta comunicazione tra Genova e Ginevra, che tra Ginevra e Marsiglia; e meglio ancora con ambedue quegli emporii del Mediterraneo.
Diremo, finalmente, che, quelle imprese incitando colà la comune simpatia, mentre il governo eleggeva nel Consiglio e nel municipio commissioni per discutere ogni questione relativa, i molti capitalisti di quella città si associavano tra essi, e colle compagnie francesi, per meglio combinare i mezzi d’esecuzione.220 Ma queste vedute, che possono ancora venir migliorate, con sostituire, nella direzione da Ginevra a Basilea, alle accennate navigazioni vie ferrate, per cui varie idee già vennero formolate, difficili però ad attuarsi, attesa l’infelicissima crisi politica ond’è travagliata la Svizzera; queste vedute erano ancora ben lontane dall’accennare al vero scopo di avere colà un punto d’unione diretta centrale tra lo scalo di Genova e la Germania.
Cotesto punto gli uomini meglio informati della materia sentivano essere il lago di Costanza, d’onde in varie direzioni all’est detta Francia, alle Province Renane, alla valle del Danubio ed alla Baviera superiore si giunge, mentre, risalendo la valle del Reno e transitato il men erto giogo Alpino, per arrivare in quella del Ticino, si scende al lago Maggiore, d’onde pella decretata via sarda a Genova.
Questa direzione, sì nell’interesse svizzero, che in quello italiano, era troppo evidentemente utile, perchè non sorgessero uomini devoti a quegli interessi onde tentare l’assunto.
I tre governi cantonali del Ticino, de1 Grigiori e di San Gallo secondarono il divisamento. Nel primo ed ultimo si concedette al signor Rota-Vezzoli ed ai signori La Nicca e Killias la facoltà di far compilare i relativi studi; nel secondo, oltre a questa facoltà, si concedeva l’esecuzione del progetto che sarebbe di poi a suo tempo approvato, ai detti signori La Nicca e Killias.
Tutto questo eri utilissimo, ma ognuno sentiva l’inconveniente di tre imprese separate, di tre progetti, di tre società per compire un assunto richiedente in vece unità di pensieri, unità di mezzi, unità d’azione e d’impulso.
A questo concepimento ottimi cittadini di Svizzera e d’Italia tosto studiarono di dar vita e corpo.
Epperò tenutesi prima a Lugano conferenze preliminari, poi a Torino, dove convennero i concessionari svizzeri, varii capitalisti genovesi e del Piemonte, con qualche rappresentante di capitalisti inglesi, dopo molte discussioni si è convenuto: di riunire le tre imprese in una sola; — di attendere alla formazione d’un solo progetto; — di curare la concessione definitiva d’esso, promessa del resto là dove ancora non fa accordata; — di raccogliere il capitale occorrente all’assunto, valutata dover ascendere alla spesa di lire 72,000,000; — e, per non frapporre indugio alcuno, di sollecitare la compilazione degli studi, già incominciati dai 15 luglio nel Cantone Ticino, per opera e sotto la direzione del chiarissimo ingegnere maggiore, cavaliere Carbonazzi, ispettore nel genio civile sardo; nel Cantone de’ Grigioni dal signor ingegnere maggiore La Nicca, ed in quello di San Gallo dal suddetto signor La Nicca, con facoltà però alla società, quando sarà costituita, di centralizzare le operazioni, onde procedere nell’assunto anzidetto con unità intera.
Mediante siffatte combinazioni, nelle quali Svizzeri, Torinesi e Genovesi, penetrati tutti dell’interesse comune che aveano di assicurare al porto di Genova, emporio principale, come già l’abbiamo chiamato, dell’alta Italia, una diretta e più breve comunicazione per la Svizzera colle contrade già citate; che metton pur capo al preallegato lago di Costanza, l’impresa in discorso sembra ormai assicurata, fatti per ora i fondi necessari al relativi studi sopraccennati, cui con ogni diligenza attendesi di presente sul terreno per opera di molti ingegneri italiani e svizzeri, dal cavaliere Carbonazzi spediti nelle due valli superiori del Breno e del Reno, onde esaminare il miglior modo di varcare i gioghi che le separano.
Quantunque non sia ancora fissata alcuna determinazione degli ingegneri medesimi, tanto meno della società, appena ordinatasi al proposito, ecco quale sarebbe il primo concepimento di direzione; e questo, attesa la condizione de’ luoghi, potrà bensì modificarsi, non già essenzialmente variarsi, almeno quanto ai suoi punti principali.
Partendo da Locarno sul lago Maggiore, la divisata via ferrata (impossibile, ripetesi, a tentarsi pel San Gottardo, e d’altronde ivi meno conveniente pel proposto scopo) andrebbe scevra di gravi difficoltà nella direzione d’un confluente, del Ticino in val di Blenio, per passare la giogaia Alpina al Lukmanier, conosciuto anche sotto il nome di Colle di Santa Maria.
La linea toccherebbe Locarno, Bellinzona, Biasca, Acqua Rossa, Olivone, Casaccia, Santa Maria (al di là dei monti), Pletts, Dissentis fino a Coira ed oltre, seguendo sempre la valle del Reno.
L’intera linea principale si valuta della totale lunghezza di kilometri 230.
L’altezza del punto culminante, che si oltrepasserebbe con un traforo o tunnel di circa due o tre kilometri soltanto, sarebbe circa metri 1,700 al di sopra del livello del mare.
Quando si volessero ridurre ancora i piani inclinati, per arrivare ad una minore altezza, occorrerebbe un tunnel di 7 in 8 kilometri per passare a 300 metri di meno d’altezza.
Mentre quelle intelligenze si combinavano felicemente in Torino, dove si rogava per pubblico atto il reciproco impegno dei contraenti pel divisato assunto, poco tempo prima nella Dieta elvetica si trattava delle strade ferrate svizzere. Ecco come il n. 197 (29 agosto 1845) della Gazzetta piemontese narra l’occorso.
« Nella penultima tornata della Dieta elvetica, testé disciolta, si riferì sopra una petizione di un privato, di Friburgo, riguardante alla necessità di formare nella Svizzera una rete di strade di ferro, rete che, secondo lui, è quistione vitale per la Confederazione, e che non potrebbesi ottenere dal consenso isolato e sempre precario dei singoli Cantoni. La Giunta sopra questa quistione entrò in molti particolari, per mettere in evidenza la necessità di tali strade, non meno che l’importanza dello studiare a fondo il sistema da seguitarsi. La giunta dissente dal ricorrente quanto al sistema, ma è con esso d’accordo sulla necessità di metter mano all’opera. Essa discute punto per punto le proposte della petizione. Il punto di vista militare domina quasi dappertutto quando si tratta di risoluzioni da prendersi per una linea di strada ferrata. La Giunta crede che la Dieta non può rimanerti indifferente quanto alla linea da stabilirsi; ella crede adunque che sarebbe bene che il Direttorio facesse esaminare tale quistione dalla podestà militare. Da un altro lato la Giunta trova che non può essere indifferente per la Svizzera il vedere Ginevra e Basilea più ravvicinate a Parigi che alle città direttoriali di Berna e di Lucerna. Essa è d’accordo col supplicante in questo, che la Dieta non può lasciare la costruzione di queste strade nè ai Cantoni, nè a’ privati, senza cadere nella spiacevole condizione in cui si trova la Prussia, nella quale, dopo che l’industria privata si è impadronita delle linee produttrici, allo Stato altro non è rimasto per l’intrapresa nazionale, che le linee meno produttrici. Quanto all’opinione del ricorrente di far eseguire la costruzione o dalla Dieta o per mezzo di concordati, la Giunta non può prestarvi mano.
» Dopo di avere ancora discusso alcuni punti della petizione, la Giunta conchiude col raccomandare quest’oggetto al profondo esame del Direttorio. Tutte le deputazioni sono in generale d’accordo sovra l’importanza della quistione in discorso, e ringraziano la Giunta pei preziosi particolari in cui ella è entrata; differiscono però su ciò che vi è da fare pel momento, ed allegano la mancanza di istruzioni.
» Friburgo vorrebbe che le proposte della Giunta fossero stampate e distribuite agli Stati, affinchè questi potessero farne obbietto di serio esame.— San Gallo e Neuchâtel credono che l’attenzione del Direttorio non può altramente rivolgersi a quest’obbietto, che nel senso delle risoluzioni del 1829 e del 1830, e propongono l’ordine del giorno. — Vallese si lagna di che la Giunta non abbia parlato del suo Cantone, come se non fosse al mondo. — Zurigo crede che la quistione è importante, ma che le condusioni della Giunta sono troppo vaghe.
» Venutosi al partito, sette Stati (Sciaffusa, San Gallo, Argovia, Neuchâtel, Appenzello, Zurigo, Vallese) non vogliono entrare in materia: — Friburgo, Grigioni, Ginevra e Ticino si riservano aperto il protocollo: — quattro Stati (Zugo, Zurigo, Ticino, Grigioni) pensano doversi ringraziare la Giunta, e far menzione del suo parere in protocollo: sette Stati (Berna, Uri, Unterwalden, Zugo, Soletta, Friburgo e Lucerna) votano che si stampi e comunichi ai Cantoni il parere: — Gìarona, protocollo aperto: — dodici Stati, vale a dire la maggioranza federale, composta di Berna, Uri, Unterwalden, Zogo, Soletta, Ticino, Valese, Turgovia, Grigioni, Giarona, Svitto, Lucerna decretano che il parere sia litografizzato e comunicato alle Deputazioni».
Prima di siffatta deliberazione i fogli svizzeri aveano narrato che la strada ferrata da Zurigo a Basilea era stata deliberata, e poteva, quando che siasi, incominciare la sua costruzione.
Da Zurigo la strada può congiungersi con quella diretta per la valle del Reno, di cui si è parlato prima, al punto detto di Wallenstadt tra Coira ed il lago di Costanza.
Da Zurigo» inoltre, dissero que’ fogli, il railway si dirigerà pella riva sinistra della Lammat sulla città di Baden (Argovia). Ivi traverserà il fiume, e girando al nord per passare il Reno a Coblentz (stesso Cantone) sino a Basilea, toccando per qualche tempo lo stato di Bade. Da Baden una diramazione potrà dirigersi col tempo sopra Aran, indi su Berna per la valle dell’Aar.
Allora i Cantoni di Friburgo e di Vaud potranno vedere se loro convenga decidersi di prolungare su’ loro Stati quella via per giugnere sino a Ginevra, dove arrivevebbero le altre linee di Lione e di Torino. I capitali in Isvizzera sarebbero facilmente raccolti.
Il Cantone del Ticino, raccoltosi più volte in comitato segreto del suo Gran Consiglio, lungamente discusse nel giugno passato la quistione delle strade ferrate da intraprendersi in quello Stato. Due, per quanto vuolsi furono le domande destinate a congiungere i paesi d’oltremonte col sistema delle strade ferrate del regno Lombardo-Veneto, e con quello sardo.
Inoltre nella conferenza tenutasi a Lucerna dagli esperti pel transito del Gottardo (intervegnente pel Ticino il Consigliere, di Stato Pioda) si trattò particolarmente de’ progetti di strada ferrata da Basilea ad Olten, forando l’Hauenstein, e da Olten a Lucerna.
Nel tratto da Basilea ad Olten gli studi sono già molto avanzati, e si assicura che in breve una società si farà avanti a chiedere il privilegio per l’effettuazione dell’impresa a suo rischio e pericolo.
Il governo di Lucerna fa invitato a far studiare la tratta da Olten a Lucerna.
Più recenti riscontri contenuti nella gazzetta di Torino del 1.° ottobre 1845, numero 224, affermano arrivati a Berna i deputati di Basilea per intendersi con quel governo in ordine alle vie ferrate, e che doveano il 26 settembre incominciare le conferenze relative coi deputati pure eletti dal Cantone di Berna.
Lo stesso foglio periodico aggiunge ancora che il Consiglio provvisorio della strada ferrata centrale elvetica, dopo aver interessato a proprio favore i governi di Berna, Lacerna e Soletta, ha nominato una deputazione onde conferire coi deputati dei singoli governi e far procedere alle misure su tutta la linea progettata. L’operazione è incominciata, e sperasi protratta con efficacia per giugnere alla disiata realtà.
La Gazzetta Ticinese in data del 30 giugno riferì che con risoluzione governativa del 27 erasi conceduto al signor. Rota-Vezzoli di Milano (rappresentante, dicesi, d’una sodetà ragguardevole) privilegio d’eseguire nel Cantone Ticino gli studi tecnici preparatorii per istrade ferrate. Cotali studi doveano estendersi da Chiasso al e compreso il San Gottardo, pel Monteceneri, e dal San Gottardo al lago Maggiore; il termine in cui doveansi eseguire era di tre mesi a partire dal 15 luglio, con promessa di proroga, ove fosse necessaria, per attuare un diviso di comunicazione compita coi due stati Lombardo-Veneto e Sardo.
Per la parte seconda, con altra direzione però, soddisfa quanto allo scopo, il concordato fatto in Torino, di cui è sopra parlato. Per la prima, ove la società combinata in Torino, per la detta parte seconda, non volesse assumere tutta l’impresa, come però sembra ad essa conveniente, il Gran Consiglio potrebbe supplirvi con una concessione a parte, almeno da Lugano a Bellinzona per ora.
Un altro progetto si disse pur fatto di congiungere attraverso le alpi Retiche con una strada ferrata Basilea colla Lombardia Como. Cotesto progetto da Basilea verrebbe per Baden (Svizzera) a Zurigo; attraverserebbe il lago di quel nome con battelli a vapore; entrerebbe nel canale della Linth e lago di Walden, pure coi detti battelli, poi dal punto di Sargans verrebbe a Coira, passerebbe il colle dello Splughen, e scenderebbe a Chiavenna e lago di Como, da dove coi battelli verrebbe a Como.
Tra Zurigo e Como vi sarebbero approssimativamente 195 miglia, geografiche, di cui 96 per acqua, il resto colle vie ferrate da farsi (Vedi gazzetta di Torino 19 settembre 1845, N.° 314).
Queste sono le notizie che siamo riusciti a raccogliere intorno ai divisamenti fatti di strade ferrate svizzere. Noi credemmo doverle registrare nell’opera nostra, poiché tutte quasi in grado eminente interessano l’assunto deile strade ferrate italiane, e sono argomento ai seguenti riflessi:
1.° Tenuto conto delle cose già dette al capitolo 5.° del discorso III sui progetti fatti di congiungere Ginevra a Basilea, onde avere, facendosi le strade ferrate che dalla Francia e da Torino andranno alla prima d’esse città, una non interrotta comunicazione tra il Mediterraneo, la Svizzera la meridionale Germania, nulla ne resta ad aggiungere intorno all’evidentissima utilità di tale congiungimento. Se non che, i mezzi con cui si sarebbe a Ginevra divisato soltanto di conseguire l’assunto, quanto alle merci (chè rispetto alle persone a poco monterebbe) ci sembrano al momento insufficienti, dopoché altri divisamenti d’attraversare la Svizzera son fatti noti e probabili, perchè possibili.
2.° In fatto vuolsi avvertire che, mentre da Genova a Basilea si avrebbero nel progetto ginevrino più travasi, dovendosi lasciare la strada ferrata per condursi da Ginevra a Morges o ad Onchy sul Lemano; donde con altra strada ferrata a Yverdun; poi da questo punto, passato il lago coi battelli a vapore pei fiumi Thieele, Aar e Reno con navi necessariamente minori.
Se questi varii modi di trasporto sarebbero certamente meno costosi che coi carri lungo le attuali vie ordinarie, la spesa di tutti que’ travasi renderebbe assai tenue l’economia. — Interamente quasi l’annullerebbe poi se si paragonasse alla spesa occorrente per l’altra linea, più breve d’altronde, la quale da Genova andrebbe ad Arona; poi varcato il lago Maggiore andrebbe a Locamo, per proseguir da quel luogo senz’altra interruzione deila via ferrata al lago di Costanza, da cui per altra linea o prima d’esso, per la diramazione di Wallenstadt fino a Basilea.
Ancora; essendo probabilissimo, perchè troppo conveniente e non difficile, il congiungimento d’Arona con Locarno, mercè d’una linea ferrata non impossibile lungo il lago, si comprende che da Genova le merci non avrebbero altro travaso fino a Costanza, e che questa circostanza giunta al detto ben più breve cammino, grandemente nuocerebbe al transito da Genova alla Svizzera per Ginevra, la quale in difetto potrebbe in vece dividerne gran parte, adottando spedienti che riducessero i frequenti travasi, col servirsi meno della navigazione, sostituendovi linee ferrate nell’interno della Svizzera.
Coteste linee; delle quali già abbiamo parlato aversi l’idea, colla diramazione, divisata da Baden (Argovia sopra Arau), pella valle dell’Aar a Berna, quindi a Friburgo, e pel Cantone di Vaud a Losanna ed a Ginevra, sarebbero forse un mezzo di bilanciare il denunciato inconveniente; se non che sarebbe da calcolare bene in prima se il presunto prodotto porgerebbe adequato compenso all’ingentissima spesa di linee ferrate in quelle montuose contrade.
3.° Quanto all’anzidetta linea da Locamo al lago di Costanza di 250 kolometri non interrotti di via ferrata, specialmente quando venissero congiunte lungo il Verbano le linee sarda e svizzera, niuno è che non comprenda come in punto a merci sarebbe quella ina delle vie di più grande importanza; perocché il sicuro passo, nessun travaso, nessuna linea di dogana dai confini dello Zollverein a Genova, farebbero sicuramente preferir quella linea da quante merci di Germania e Svizzera verranno a Genova, e da quest’emporio ne andranno a quella volta. V’ha di più ancora quanto alle merci; niuno è che non sappia l’industria manifatturiera della unione germanica aver grandemente bisogno, come già notammo al capitolo 5.° preallegato del discorso III, d’uno sfogo all’esuberanza de’ suoi prodotti; questo sfogo aver già essa cercato, sprovvista com’è, di scali marittimi convenienti, mercè degli scali del Belgio (Ostenda e Anversa) ed a quello d’Olanda (Rotterdam); aver perciò consentito ai due Stati, olandese e belgico, vantaggi notevoli; più a quello che a questo. Ora è facile comprendere come, pella divisata via da Genova a Costanza ed oltre, avrebbe lo Zollverein occasione di versar nell’Oriente buona copia de’ suoi prodotti, i quali facilmente permuterebbe con tante materie prime, onde i suoi opifici abbisognano. Dalle quali considerazioni deriva che il trasporto delle merci da Genova alla Svizzera ed alla Germania si può presumere grandemente cresciuto con notevolissimo vantaggio delle strade sarda e svizzera, cui succederà senza fallo come a quelle del Belgio, che, compite le linee, la rendita d’esse largamente non solo ne compensa la spesa, ma lascia ancora presumere un notevole lucro.
Quanto alle persone; se a primo aspetto lo scarso transito d’esse, or fatto per le vie ordinarie, che sono in tale direzione, potrebbe, come si è detto, far temere che non si avesse un numero d’avventori sufficiente a porgere un adequato compenso per cotesta parte; avuto riguardo però alle tante direzioni che metteran capo alla linea in discorso (ben quattro principali essendosene noverate, che arrivano al lago di Costanza, e varie altre dovendosene aver presenti che da Locarno alle varie strade italiane mettono) non può cader dubbio sul grandissimo accrescimento di passaggeri che avrebbe la nuova strada.
4.° Quanto alle quistioni discusse alla Dieta, esse debbono avvertire la società di non commettersi ad una impresa, la quale poi potesse per avventura trovare per parte del Direttorio Federale ostacolo od impedimento. Le tendenze di governo centrale ond’è sgraziatamente travagliata la Svizzera, potendo per avventura prevalere, quando prevalesser pure alcune delle massime proclamate dalla Giunta e da noi già riferite, certamente l’impresa della società assunta da Locarno a Costanza potrebbe soffrire qualche difficoltà.
Se non che, finchè dura, come speriamo, l’ordinamento costitutivo attuale della Confederazione Elvetica, non pare a noi che, accordate dai tre 221 Cantoni, sovrani a casa loro, le concessioni in virtù delle quali la società assumerebbe l’impresa, non possano il Direttorio (Vororth)00, come nemmanco la Dieta apporvi ostacolo alcuno di veto.
Un solo caso forse potrebbe esservi per cui un tal veto sarebbe legale; quando le opere da farsi potessero compromettere la neutralità consentita alla Confederazione, e la difesa occorrendo di quella neutralità.
Tranne questo caso, nel presente ordinamento della Svizzera, non sapremmo a modo alcuno ideare altro che imprese cantonali concordanti tra loro per la corrispondenza dell’una coll’altra via, onde avere esercizio e direzione conforme ed unica, non già una sola impresa dal governo centrale data per conto di singoli Stati.
La difficoltà ogni giorno più evidente, d’una maggiorità concorde, e le continue remore che legalmente debbon provare gli affari anche più gravi che non riuniscono la maggiorità, bastano a porgere un’idea del tempo che si consumerebbe in replicate discussioni senza accordarsi tra tutti.
Tra pochi invece, non fosse che per concorrenza ed emulazione, sarà più facile un qualche accordo, che intanto faccia proceder taluna delle ideatet imprese.
Nè pare, infatti, che i Cantoni propendano alle opinioni della Giunta, poiché intanto ordinansi studi, si tentano accordi e si fan concessioni; le quali cose tutte nel sistema della Giunta sarebbero intempestive.
Nè la strada proposta da Locarno al lago di Costanza, nè quella detta centrale che, da Basilea e da Zurigo partendo, attraverserebbe varii Cantoni, tra i quali quelli di Lucerna e Soletta, sembrano avere alcuna qualiotà pericolosa per la Svizzera, chè anzi paiono unicamente dirette ad avvivare le relazioni di buon vicinato tra i varii Cantoni, ad attrarre un aumento di transito mercantile attraverso la Svizzera; a crescerne in sostanza la ricchezza e la prosperità. Non sappiamo quindi vedere alcuna opposizione fondata contro esse.
Premesse queste considerazioni, noi non sappiamo neppure vedere alcun ostacolo possibile alla prosecuzione delle società formatesi nella Svizzera per le nuove strade ferrate, tanto meno per quella che più interessa l’Italia; poiché da essa e dalla parte della Confederazione Elvetica che come italiana si considera, muove attraverso la Svizzera intera sino ai confini di questa colla Germiania. Epperò confortiamo, i governi de’ tre Cantoni a continuare il loro patrocinio all’ideata impresa, come raccomandiamo alla società formatasi per quella a proceder in essa col massimo impegno ed alacrità, se vuole, quando sia compita l’opera, avere un transito abbondante e produttivo. Perocché s’essa opera solo si terminasse dopo le strade che dalla Germania condurranno a Trieste, e dopo quelle che da Marsiglia a Lione poi per l’est della Francia condurranno al Reno ed al Danubio, con esso ormai congiunto, potrebbero stabilirsi altre abitudini commerciali, difficilmente abbandonata poi, anche malgrado qualche maggiore convenienza sorta dopo, perciò troppo tardi venuta per poter contrastare con efficacia a relazioni già radicate stabilmente.
Noi scongiuriamo adunque gli ottimi cittadini svizzeri, piemontesi e liguri, i quali, mossi dal comune interesse della prosperità delle relazioni commerciali dei tre paesi, si associarono per procurare ad essi una nuova arteria di vita, a procedere animosi nel proprio assunto, accìngendosi, appena compiti gli studi, che speriamo non molto protratti, a disporre diffinitivamente frattanto l’ordinamento loro, per modo che tosto possano dar moto all’opera su varii punti, e proseguendola con tutta alacrità, a cercare di vederla terminata quanto prima è possibile.
Nè dicasi, di grazia, della società elvetica-pedemontana-ligure ciò che d’altre pur troppo fu detto, come abbiam veduto nell’opera nostra, che, riunita con un tema di belle apparenze, lentamente curandosi di attuarne il concepimento, più al traffico delle azioni i fondatori d’essa, che ad altro, il proprio ingegno andarono arrovellando; chè siffatto assunto non sarebbe degno nè di coloro che concepirono la prima idea dell’impresa, nè di quegli altri che la secondarono, tutti inspirati, come crediamo che furono, da un lodevolissimo patriotismo!
Che se così non fosse per mala ventura, la patria comune avrebbe onde piangere d’aver aperto il pensiero a cosi belle speranze, che poi non dovessero avere effetto, e se qualche lucro particolare potrebbe tuttavia verificarsi ancora col giuoco delle dette azioni, un immenso danno materiale ne succederebbe, per cui sarebbero grandemente rovinate le relazioni commerciali degli Stati interessati.
Ma queste sono eventualità, alle quali non vogliamo fermare il nostro pensiero; perocché, oltre all’esser men probabili sono anche troppo tristi' per chiunque ama svisceratamente il proprio paese, e sentesi ben affetto ad ottimi vicini.
Epperò, chiudendo questi riflessi col ricordare le concepite lusinghe, noi terminiamo questa notizia col giusto tributo di laudi dovuto alle società che porranno veramente opera a così belle ed utill imprese, ed ai governi che le promuovono e le favoriscono di loro protezione; come ne tributiamo eziandio specialmente a quegli altri reggimenti che vi si accingono essi medesimi, per viemeglio compiere l’ordinata rete delie novelle comunicazioni.Documento N.° XVIII
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POSCRITTA
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NOTIZIE DI FATTO ULTERIORI.
Onde, informare pienamente i nostri lettori della condizione in cui trovasi l’assunto da noi preso a trattare, all'ultimo momento in cui vede la luce il libro che pubblichiamo, abbiamo continuato a raccogliere d’ogni parte della Penisola, nel frattempo della stampa d’esso libro, tutte le notizie che potevamo procurarci al proposito.
Terminandosi ora la stampa suddetta, consegniamo quelle notizie in questa poscritta, per meglio rendere compiuto il nostro lavoro all'atto della sua pubblicazione, osservando in questa ultima nostra sposizione lo stesso ordine tenuto nel discorso III.
§ 1.° — Strade napoletane.
Le relazioni col Regno delle Due Sicilie sono cosi lente e difficili a pervenire, che si direbbe inesistente il però velocissimo mezzo dei battelli a vapore, che colà portano in trent'ore.
Da quali cause provenga quella specie di separazione, per non dire di segregazione assoluta, tra quella bellissima parte d’Italia ed il resto della Penisola, i di cui varii Stati hanno tra loro frequentissime relazioni, noi non diremo; e perché non sapremmo indicare qual sia la giusta, e perchè estranea forse d’altronde al nostro argomento, nel quale non intendiamo trattare quistioni oziose, o che possano nel menomo modo allontanarci dal precipuo nostro obbietto.
Per noi basta accertare un fatto notorio, e lamentevole; il quale serve a scusare le scarse notizie, forse imperfette ancora, che esporremo.
Dopo quanto abbiamo accennato al capitolo I° del discorso III preallgato, nessun altro provvedimento fu promulgato intorno alle strade ferrate del Regno. Nessuna relazione venne ancor fatta dagli ingegneri mandati a studiare i luoghi pe’ quali il governo desidererebbe condurre nuove strade ferrate.
Se non che un provvedimento recentissimo però, del 15 settembre scorso, vuolsi accennare.
Con regio decreto S. M. il Re ha accordata alla stessa società costruttrice della strada ferrata da Napoli a Nocera e Castellamare la concessione di proseguire la strada medesima per altre otto miglia geografiche da Nocera per Cava a Salerno, città marittima importante, e capo-luogo di provincia, attraversando l’Appennino in luogo assai alto, per modo, che o sarà necessario perforare il monte, o stabilire soltanto un piano inclinato con macchine fisse.
Le condizioni della concessione sono state le medesime di quelle fatte per la già costruita strada. Se non che la durata della concessione per lo prolungamento da costruirsi, terminerà dopo anni 80, contando dal 4 ottobre 1839, affinchè il governo entri contemporaneamente in possesso di tutta la strada da Nocera a Castellamare, e per Cava sino a Salerno.
Inoltre la compagnia permetterà al governo il passaggio gratuito de’ corpi del regio esercito e loro bagagli su tutta la strada, facendosi bensì i trasporti medesimi con macchine e carri appartenenti al governo.
Cotesto provvedimento merita gran lode, perchè procura ad una parte cosi interessante del Regno il beneficio che si spera successivamente anche ad altre esteso.
Queste sono le notizie più recenti a noi pervenute da persone informatissime le quali, ove fossero state accordate altre concessioni, dovrebbero necessariamente esserne informate, e ce le avrebbero in tal caso senza fallo partecipate.
Ciò però non toglie che i fogli francesi si affrettino di promulgare manifesti di società ordinatesi per ottenere altre concessioni, o per far credere almeno che ne otterranno, senza lasciarsi arrestare dalla taccia di probabile scarso successo che potrebbe imputarsi loro.
Ecco quella che leggiamo in uno di essi:
«Chemins de fer du royaume des Deux-Siciles». Sous la présidence de M. de la Rochefoucauld, due d’Estissac, aide-de-camp du roi, une société s’est formée pour l’exécution et l’exploitation par concession directe des lignes de chemins de fer dans le royaume des Deux-Siciles. Le capital de la 1ere série, d’émission est de 25 millions, divisé en 50,000 actions, de 500 francs chacune; le premier versement est de 25 francs par action. Les numéros de la 1ere série seront privilégiés pour les séries subséquentes. — La souscription sera ouverte le samedi 11 octobre courant, au siége de la société, rue Caumartin, 35. Les souscripteurs seront dès le lendemain de leur sonscription avisés de l’accueil fait à leu domande, et ils auront dans les trois jours, sous peine de déchéance à verser le premier vingtième chez MM A. Gouin et C.e, banquiers de la société. (Journal des Débats, 11 octobre 1845)».
E perché probabilmente fosse men dubbio l’avviso, ecco che un altro giornale, più grave ancora, e men solito a bandire notizie insussitenti, pochi giorni dopo afferma tosto francamente il buon esito del divisamento in questi termini:
«Une compagnie vient d’obtenir du roi de Naples la concession de tous les chemins à établir dans l’Italie meridionale.
»Le réseau concédé se partage en six lignes, avec deux embarcadères à Naples, dont l’un, dejà construit, appartient au gouvernement et sert à l’exploitation du petit chemin de Capone. Le second servirà aux lignes du Midi, ayant un seul tronc commun à partir de Naples josqu’à Nola.
»Les lignes concedées sont designées sous les noms suivants:
»1.e Ligne de l’Est, ou des Pouiiles, de Naples à Otrante: | kilomètres | 618 |
»2.e Ligne de l’Ouest, de Capone aux États Napolitains | " |
130 |
NB. Forse vuol dire al confine di quegli Stati, poiché Capua | ||
ancora ad essi appartiene, e da colà si viene al limite verso | ||
lo Stato pontificio. | ||
»3.e Ligne du Nord-Ouest ou des Abruzzes | " |
277 |
»4.e Ligne Méditerranéenne de Nola à Tarente | " |
307 |
»5.e Ligne du Sud, ou des Calabres, de Nola à" Reggio | " |
568 |
»6.e Ligne de la Sicile de Palerme à Messine | " |
342 |
Ensemble |
kilomètres | 2,243 |
«Tel est le réseau concédé à la compagnie, dont la maison Gouin et C.e est le banquier, et qui compte dans son conseil d’administration les plus grands noms. (Moniteur Universel, 14 octobre 1845)».
Nel Monitore del 19 ottobre un nuovo articolo relativo a quest’impresa ne ripete all’incirca con qualche variante le indicazioni, se non che sono kilometri 2,302 invece di 2,242, ripetendo nuovamente molti errori. Arroge che ne’ due articoli neppur si fa motto della strada da Napoli a Castellamare ed a Nocera, indi a Salerno, conceduta alla società Bayard. — Arroge altresì che il duca di Cossé Brissac è presidente, il duca di Estissac vice-presidente, i Laferronaye, i Montesquieu ed altri gran nomi di Francia amministratori. L’ingegnere è il signor Survilie; si annunzia con una spesa minima una rendita massima; in somma tutto é combinato pel pronto profittevole spaccio delle azioni:
Dopo così positive affermazioni di concessioni ottenute, sembrava difficile dubitarne, specialmente avuto riguardo alle persone che proferivansi d’averle ottenute dal governo napoletano. Però, chieste Napoli nuove informazioni a persone che per ragione dell’officio loro possono darle esattissime, da riscontro scritto il 1.° corrente ne consta: — Che in data soltanto del 19 ottobre è emanato per l’organo del ministero dell’interno un reale rescritto, col quale si promette e non si accorda ancora la concessione per la costruzione d’una strada ferrata da Capua al confine del regno collo Stato pontificio, in continuazione di quella da Napoli a Capua, sotto la condizione che il real decreto di concessione sarà dato quando i chiedenti abbiano depositato 300,000 ducati per guarentigia de’ loro obblighi. — Che se tal deposito non sarà stato fatto pel 20 novembre, la promessa di concessione resterà nulla. — Che siffatta promessa è stata data ai signori avvocato Gabriele Sabbatini e Giulio Martinet (quest’ultimo siccome rappresentante d’una compagnia francese, presieduta dal duca della Rochefoucauld d’Estissac). — Che le basi della concessione sono enunciate nel detto reale rescritto; e sono precipuamente quelle stesse della concessione fatta al signor Bayard de la Vingtrie per la strada da Napoli a Castellamare e Nocera. — Più ancora, che saranno imposti ai concessionari i seguenti altri obblighi. La tariffa de’ prezzi di trasporto de’ viaggiatori e delle merci sarà ribassata del 20 per % su quella che trovasi stabilita pel Bayard. Non saranno permessi passaggi ad uno stesso livello nelle intersecazioni della strada ferrata colle altre strade. I posti di terza classe potranno esser privi di banchi da sedere, ma dovranno essere coperti da ogni lato in tutte le stagioni, eccetto che nella state.- La durata della concessione è per anni settanta: dopo i quali la strada diviene proprietà del governo. Non saranno permessi ponti giranti; e i ponti sui fiumi dovranno permettere la navigazione attuale o possibile al futuro su quelle acque. — Che indi fra due mesi, seguito il detto primo deposito, i concessionari depositeranno altri ducati 700,000: e tutto questo milione di ducati sarà speso coll’annuenza del governo nei lavori, i quali resteranno sino al valore della detta somma siccome cauzione. — Che nel primo anno i concessionari dovranno spendere il quarto del capitale; e tutta l’opera sarà compita in anni quattro. — Che se durante un anno si sospendessero i lavori, incorrerassi nella pena della confiscazione di quelli già fatti, e della perdita della concessione. — Che non si è ancora fissato l’andamento della strada, la quale potrà essere per Fondi, ossia per la marina; ovvero per Ceprano; cioè verso l’interno della provincia di Terra di Lavoro. — Che quella concessione venne accordata alle accennate persone perché mostrarono d’avere i capitali probabilmente pronti, ed acconsentirono a condizioni più favorevoli allo Stato.— Che quattro erano le compagnie concorrenti all’impresa.— Che ora si discuton pure presso la maestà del re le domande presentate da altre compagnie estere di Francesi e d’Inglesi (chè di Napoletani, assolutamente alieni da quelle speculazioni industriali, nessuna volle formarsene). Le quali compagnie estere aspirano alla concessione della strada che da Napoli tenderebbe ai porti della Puglia sulla costa di Manfredonia e di Gallipoli; laonde si può con fondamento presumere che il governo napoletano nella sua giustizia preferirà i migliori offerenti.
Quest’esatta e fedele notizia de’ più recenti fatti succeduti a Napoli, somministrata da sicure informazioni, basta a mostrare come siano meno esatte ed ingrandite contro verità, quelle de’ fogli parigini anzidetti. Poiché nè v’ha alcuna concessione definitiva, nè essa concerne che una sola linea e ancora per non lungo corso; molto meno abbraccia poi tutte le linee d’una intera rete eccedente i duemila kilometri; nè v’ha, un solo privilegio dato ad una sola compagnia, come venne in quegli articoli asserito.
Ora, se sia alla morale conforme spacciar azioni, vantando ottenuto un’impresa massima, quando d’una tenuissima solo v’ha promessa; se sia degno d’uomini serii e costituiti in dignità, il permettere che il nome loro aggiunga autorità alle illusioni che i creduli possono concepire d’un assunto, riputato così molto più ragguardevole, si lascia giudicare a chiunque sappia apprezzare cotali atti.
Noi, malgrado la facile tendenza notata in molti per siffatte imprese, cui s’associano i potenti del giorno, non cesseremo di chiamarle immorali, di protestare contro esse, e di scongiurare i governi italiani a non permettere che prevalgano negli Stati loro.
Intanto a compimento dei precedenti riscontri debbesi ancora aggiungere che nello scorso anno 1844 il concessionario Bayard, costruttore della strada suddetta da Napoli a Nocera e Castellamare avea chiesto pure la facoltà di condurla sino ad Avellino.
Ma perchè il paese montuoso presenta maggiori difficoltà e dispendio più ragguardevole, chiedeva esso una garanzia d’interesse mimmo (5 per %) d’incoraggiamento.
S. M. il re accolse con ottime disposizioni la domanda, prescrivendo, un rapporto in cui si proponesse l’affare e si disse conto degli incoraggiamenti dati da altri governi per somiglianti opere.
Ma per quanto assicurasi, malgrado il favorevol voto dei ministro dell’interno, che tosto rassegnava quel lavoro, gli altri segretari di Stato essendosi proferiti contrari per non gravare l’erario di quella spesa, quantunque eventuale, il re decise che la domanda non venisse accolta.
#2.° — Strade nel regno Lombardo-Veneto.
Le notizie ulteriori raccolte concernenti alle strade del regno Lombardo-Veneto sono le seguenti:
Il congresso generale degli azionisti della strada Ferdinandea, convocato a Venezia, il 24 luglio radunatosi, prima di udire la solita relazione del conto annuale 1843-44, sentì quella del Commissario governativo intorno alla domanda degli azionati esteri, di cui al N.°3 del programma (nota 1, pag. 162) Uno de’ revisori leggeva una memoria sui motivi che aveano spinta a fare tal domanda, ed era vivamente applaudito dai molti azionisti e rappresentanti loro intervenuti. Il presidente, avendo aperta sur essa la discussione, un solo oratore sorgeva a combatter la proposta (il veneto signor Manin), opponendo specialmente l’inopportunità della medesima. Ma l’adunanza l’interrompeva aspramente, ed il commissario governativo doveva richiedere che si lasciasse proseguire, avvertendolo però di tenersi ben lontano dal porre il menomo dubbio sulle ottime intenzioni del governo, la quale esortazione era applauditissima. L’oratore proseguiva dicendo che la strada si compirebbe presto, aumentando con nuove azioni il capitale sociale, senza che fosse di mestieri ricorrere ad un suicidio. Ma era evidente che l’impaziente adunanza non era persuasa. Dopo aver discusso se il voto relativo sarebbe palese, come voleano alcuni, o segreto, il presidente, cui compete decidere la quistione, essendo del secondo parere, ordinò il voto segreto, e si procedette alla votazione, il resultato della quale fu di 883 voti favorevoli, e soli 34 contrari alla proposta.
Passata quindi l’adunanza ad eleggere la commissione incaricata di trattare col governo intorno alla proposta medesima, erano eletti i signori Escheles e Pereira, banchieri di corte residenti a Vienna, cavaliere De Bruch, direttore del Lloyd austriaco di Trieste, Reali ed Avesani. — Sopra 337 azioni nuovamente perente perchè non aveano soddisfatti i pagamenti dovuti al 31 luglio 1844 ed al 31 gennaio 1845, 336 chiesero d’essere riabilitate, e lo furono, purché pagassero entro settembre 1845 quelle due rate, e la terza, dovuta il 31 luglio, allora in corso. — I revisori furono abilitati a dare l’assolutoria, del conto riferito 1844-45, senza nuovamente riferirne al futuro congresso. Vennero eletti i direttori destinati a succedere a quelli uscenti per estrazione a sorte. — Tutti i direttori veneti rinunciarono all’ufficio. — Rimasero in carica quelli lombardi, se ne elessero altri veneti. E compito l’assunto, venne sciolto il congresso.
Dopo che il congresso generale degli azionisti deliberò di supplicare il governo, com’era stato proposto, di dar termine egli stesso all’opera della strada Ferdinandea, per conto della società, non consta che siasi provveduto officialmente relativamente a siffatta richiesta, se non che riscontri particolari affermano ch’essa è accettata salve le condizioni della cessione da concertarsi.
La commissione nominata con pieni poteri per concertare le forme della cessione, finora non venne chiamata presso il presidente della Camera Aulica pei detti concerti.
Intanto alcuni lavori proseguirono, non però coll’alacrità che sarebbe necessaria.
Lo stesso presidente, altamente disapprovando, per quanto affermasi, la tendenza all’aggiotaggio, anche in Germania notata, provocò un provvedimento collo scopo, credesi, di temperarla, Mercè di esso provvedimento tutte le domande di strade ferrate sinora non concedute non potranno avere altro corso fino al 1850, sempre che non interessino lo Stato, desiderandosi da quell’insigne uomo di Stato, e con ragione a parer nostro, che siano prima compite le grandi linee stabilite col decreto imperiale del 19 dicembre 1844.
Contemporaneamente i sovrani direttivi provvedimenti relativi all’ordinamento di società anonime, rendono queste men facili senza replicate cautele, onde meno grande riesca la sottrazione de’ capitali dal giro commerciale; e meno arrischiato e conseguente sia il giuoco di borsa.
Queste disposizioni debbonsi lodare.
Il primo tronco della strada Ferdinandea da Milano a Treviglio è terminato e provveduto del materiale occorrente, ma per difetto de’ casamenti non si può attuare, nè anche in via provvisoria.
Il governo di Milano avea richiesto l’ingegnere in capo Milani di collaudare quella tratta; ma questi vi si è ricusato perchè gli ingegneri direttori dei lavori non hanno ancora voluto collaudarli dal canto loro, attese le liti che per essi pendono tra la direzione lombarda e gli appaltatori dei detti lavori.
Da Chiari a Brescia i rilievi e progetti particolareggiati sono molto avanzati.
Fra Brescia e Verona non si è che esplorato in via di massima il terreno.
Pende tuttora la questione se, come sarebbe molto più ragionevole, per le già esposte cause, sia più conveniente toccare il lago di Garda od abbandonarlo del tutto, come vuole il signor Milani, le di cui opinioni, spinte forse con troppa tenacità, sembrano essere ora men prevalenti nell’universale, come nelle stesse persone chiamate a consultare il governo ne’ provvedimenti da emanare.
I dubbi e la quistione per il passaggio di Verona sono risolti, e la commissione mista ha deliberato la linea da seguirsi; essa passerà a Verona.
Da Verona a San Bonifacio il progetto particolareggiato non è ancora interamente compito; ma lo sarà in breve.
Quello da San Bonifacio a Vicenza trovasi da qualche tempo sottoposto all’approvazione superiore; ma il ministro non ne ha ancora ordinata l’esecuzione.
Fra Vicenza e Padova i lavori sono presso che compiti, e la strada entro un mese, al più, potrebb’essere aperta, se non mancassero, anche in via provvisoria, i locali indispensabili per l’esercizio, la direzione sociale ha da qualche tempo chiesto al ministro il permesso di costruirli: essa venne recentemente conceduta. Non così tra Milano e Treviglio.
Da Padova a San Giuliano, ove principia il ponte sulla Laguna, la strada è da due anni circa, come già si è detto, in piena attività; ma vengono universalmente notate: la meno esatta esecuzione de’ lavori; il frequente scomodo de’ risalti, derivante, come sulla strada di Monza, dall’imperfetto collocamento delle traverse, cuscinetti e ruotaie; le incomode vetture. Si fa in ispecie confronto tra le due tratte di Padova e Monza, costrutte da ingegneri italiani (confessiamolo pure nostro malgrado), con quella da Livorno a Pisa, costrutta da ingegneri inglesi, che non ha risalti, presenta lavoro esattissimo, e vettore comodissime; e anche da questo fatto deducesi la scarsa attenzione, o la poca perizia mostrata dai nostri ingegneri.
Questo abbiamo voluto notare come un utilissimo avviso agli altri ingegneri italiani, i quali sono chiamati a dirigere la costruzione delie nuove vie decretate, tanto soli, che in concorso d’ingegneri esteri, acciò usino la massima attenzione ed il maggiore impegno, onde non meritare siffatta imputazione, sia per proprio onore, che per quello del paese.
Il ponte sulla Laguna potrebbe essere compiuto entro il 1845, com’erasi annunciato; ma mancando anche in via provvisoria la stazione di Venezia, diviene impossibile d’attuarne l’esercizio. La direzione sociale ha chiesto il permesso di supplirvi con provvisori lavori, ed ottenne recentemente risposta favorevole del ministero.
Finalmente, quasi tutte le azioni lombardo-venete diconsi sempre più uscite d’Italia, cioè passate a Vienna, Augusta, Francoforte, Amburgo e Berlino, nelle quali piazze commerciali dopo esser salite fino al prezzo del 135 per %, nuovamente decaddero assai. Pretendesi che neppure più n’esisteano in Italia 500. Quindi manca pur troppo, confessiamolo ancora nostro malgrado, alcun vero interesse sociale degli Italiani per l’impresa.
Sono da lamentare in sommo grado tutte le circostanze che ritardarono fin qui il compimento dell’opera, non potendosi contendere esserne derivato:
1.° Quasi due anni della durata del privilegio infruttuosamente perduti.
2.° Di quasi due anni ritardata l’ultimazione della strada da Milano a Venezia.
3.° Due anni di meno d’esercizio; nel quale intervallo si potevano costruire 40 kilometri almeno di strada per anno, la rendita netta dei quali, valutata a lire austriache 2,200 il kilometro, importa pel primo anno
una perdita di | … | austriache lire | 480,000 |
e nel secondo | … | » |
900,000 |
Insieme | austriache lire | 1,440,000 |
4.° Il capitale sociale scemato inoltre degli interessi pagati agli
azionisti per i due anni infruttiferi estimandosi a circa | » | 1,500,000 |
Ne segue alla società un danno estimato in totale austriache lire | 2,940,000 |
Questa, di fatto, vuolsi riconoscerlo, dopo l’impegno assunto di cantelare all’evenienza agli azionisti il 4 per % del danaro da essi speso, ha verso l’universale de’ contribuenti, a di cui carico, in fin di conto, ricade tale favore, un maggior dovere d’invigilare alla vera utilità e perfezione d’ogni lavoro, sì progettato, che eseguito, e può quindi essere condotto a più lunghi sindacati per accertarsene.
Se pertanto è vero, come supponesi, che l’ingegnere capo della sezione che vuolsi eretta delle strade ferrate dell’Impero per le province italiane fu gravemente scontento dello stato de’ lavori progettati, la qual cosa certamente a lui, che dicesi Italiano pure, sarà costata assai per onore patrio di dover denunciare, è ragionevole un ritardo nell’approvazione delle proposte, meritevoli di maggior sindacato.
A noi duole assai, teneri come siamo quant’altri dell’onore dalla patria comune, dovere fare queste admessioni. Ma oltreché ci crediamo in debito d’essere interamente imparziali, riputiam pessimo partito quello di mostrare anzi impegno od a velare o scusare qualsiasi nostra imperfezione. Perocchè ascriviamo molte parti della presente nostra condizione men progressiva anzi decaduta, alle adulazioni di certi scrittori della Penisola, i quali unicamente intenti a celebrare le passate nostre glorie (cui primi noi facciamo pur plauso, riconoscendole), credono che possiamo dormir neghittosi e trascurati all’ombra di esse; e quasi deridendo coloro che van predicando necessità d’una bene ordinata ed onesta operosità, la quale sola conduce al ben inteso progresso, questo van negando o chiaman falsato anche là dove pure esiste.
Il piacere di scrivere cotesti pungenti frizzi, anche in benissimo stile, e la melanconica idea di lodare soltanto il passato in eloquentissime pagine cui spesso son mossi taluni di quegli scrittori, non ci pare grandemente proficuo al bene della patria comune. Quindi a noi parve, anche a corto di doverne ritrarre qualche severa censura, ch’abbiamo, però il convincimento, di non meritare, doversi dir chiaramente il vero, onde i nostri concittadini, traggano argomento a correggere le notate mende.
La strada di Como non offre nuovi particolari. Le trattative intavolate tra il barone Escheles ed il nobile Volta andarono a monte, e quantunque sia emanata recentemente sentenza favorevole al Volta, temesi non voglia essa ancora esser l’ultima in quella lite.
Terminando le notizie ulteriori, sulle strade del regno Lombardo-Veneto diremo ancora: 1.° Che, quanto a quella ideata direttamente da Bergamo a Monza, si vuole che S. M. I e R. abbia fatto sperare alla città di Bergamo che il privilegio di quella strada sarebbe fra non molto conceduto. Recentemente una deputazione bergamasca essendosi recata dal ministro delle finanze per sollecitare tal concessione, S. E. rassicurò che appena sistemati gli affari della strada Ferdinandea, si sarebbe occupato di tale pratica.
2.° Trovasii compiti gli studi da Treviso a Mestre,, per cui esiste una concessione preliminare, ed era anzi già corsa la voce d’un privilegio definitivo già emanato, che alcuni annunciano del resto poco dover tardare; sicchè ne deducono la prossima effettuazioni della cosa.
A noi pare invece, 1.° che quella strada, destinata a congiungere Trieste a Venezia sarà fra le ultime intrapresa. 2.° Che l’emanazione d’una concessione privilegiata debbe dipendere dal partito che sarà preso dal governo intorno alla strada Ferdinandea; e se, come persistiamo a creder probabile, il governo medesimo, riconoscendo in fin di conto la società meno atta a compierla, ne assume il carico, accordando per le somme fin qui spese dagli azionisti il promesso compenso in obbligazioni dello Stato fruttanti il 4 per %, non crediamo alla concessione di privilegi definitivi tra Venezia e Trieste, essendo naturale che il governo regoli quella linea colle stesse norme che adotterà per la Ferdinandea, ed ha già adottate per la triestina, a meno che credasi impegnato dalla concessione preliminare.
3.° Una concessione collo stesso scopo era stata chiesta da Trieste a Treviso e Mestre dal prelodato cavaliere Bruck, direttore generale del Lloyd austriaco nel 1839. Codesta strada, secondo la prima sua idea, dovea passare per Monfalcone, villa Vicentina, Palmanuova, Latisana» Porto Gruero, Motta, Oderzo e Treviso. Ma in sèguito agli studi praticati, si sarebbe modificata secondo l’andamento esposto dal conte M. A. San Fermo nella memoria già citata, da questo pubblicata nel Lloyd austriaco, per le ragioni, che si trovano in quel suo articolo del detto giornale accennate.
La domanda non ebbe altro séguito probabilmente perchè il governo austriaco è nella già avvertita intenzione di collegare egli stesso la linea dello Stato da Vienna a Trieste con quella Ferdinandea Lombardo-Veneta.
4.° Una domanda era pur stata fatta dal conte Alvise Mocenigo per una linea da Padova per le Terme, Battaglia, Monselice, Rovigo a Santa Maria Maddalena sul Po, rimpetto al ponte Lagoscuro. — Tutte le informazioni delle varie autorità I. e R. e politiche, militari e camerali erano riuscite favorevolissime. Si è creduto poi di comprenderla nelle disposizioni dell’ultima sovrana risoluzione protraendola al 1850.
5.° Un’altra domanda ancora era stata presentata dal ridetto conte M. A. San Fermo, fino dal 1841, per una linea da Castiglione delle Stiviere per Esenta a Desenzano, nel caso però soltanto, si noti ad onore di lui, che la strada Ferdinandea non avesse toccare le rive del lago di Garda. Avendo egli però dimostrata la convenienza di questo partito, pende ora, a quanto dicesi, l’esame della sua proposta, coll’andamento suggerito nelle sue memorie inserite nei due giornali il Lloyd austriaco e l’Euganeo, delle quali già parlammo. Che se si mantenesse in vece la direzione in cui, con scarso fondamento a nostro parere, ha persistito l’ingegnere Giovanni Milani per Tolfa e Castiglione delle Stiviere, allora avrebbe corso la domanda di SanFermo e sarebbe desiderabile di vederla accolta, onde le ridenti vive del lago di Garda non fossero separate dalla via Ferdinandea.
6.° Finalmente un’altra domanda ancora venne fatta dai predetti conti M. A. San Fermo ed Alvise Mocenigo per la strada di cui già parlammo, dal porto di Chioggia al fiume Po rimpetto ad Adria. Questa strada servir dovrebbe ai cavalli egualmente che alle locomotive. Gioverebbe assai al commercio, specialmente dei territori che attraverserebbe. Sperasi esente dall’andar compresa nelle disposizioni dell’ultimo preallegato provvedimento, che rimanda il maggior numero delle concessioni private ad essere esaminate, discusse, occorrendo secondate, al 1850; perchè vuolsi interessare il traffico generale dello Stato, e per viste eziandio politiche e militari non ne sono ancora compiti gli studi; ma lo saranno in breve, ed allora si ha lusinga che l’impresa, bene intesa e protetta, a quanto dicesi, da S. A. I. e R. il serenissimo arciduca vice-re, e da S. A. I e R. l’arciduca Giovanni possa ottenere il sovrano privilegio.
Onde mostrare i singolari pregi e vantaggi di questa strada il detto conte M. A. San Ferno pubblicava il seguente articolo nel giornale Padovano l’Euganeo, che stimiamo riportare onde compiere le nostre informazioni intorno al regno Lombardo-Veneto.
Sulla utilità di una strada ferrata fra la città di Chioggia
ed il fiume Po, vicino ad Adria.
Nel fascicolo di marzo abbiamo resi pubblici alcuni Cenni sulle linee private più convenienti all’alta Italia ed all’Italia centrale, fra cui la strada che dalle Saline abbandonate di Chioggia rimpetto al porto portar dovrebbe alla sponda sinistra del Po, passando per Cavarzere ed Adria. Oggetto primario di quest’importante comunicazione sarebbe di collegare nella maniera più semplice; più facile ed economica la navigazione marittima così a vapore, come a vela, con quella del Po, facilitata dai rimorchiatori a vapore, che può considerarsi come il veicolo principale del commercio di tutta la bassa Lombardia, la Transpadana e gli Stati della Chiesa, evitandosi gl’inceppamenti dei canali e dei tronchi inferiori dei fiumi che s’oppongono al libero suo moto.
Il modo però con cui la strada stessa può effettuarsi, l’andamento che avrà a seguire, e le circostanze medesime del luoghi che si attraversano, permettono di conciliare molti altri vantaggi senza alterarne la struttura, minorarne la convenienza, o pregiudicarne la solidità.
Trattandosi quindi di un’operazione che combina tanti interessi diversi, non crediamo inutile di accennare alcune fra le considerazioni d’ordine sociale che condussero i promotori a chiederne la concessione.
Utilità territoriale. — 1.° Si riuniscono le popolazioni di Chioggia e del littorale alla terraferma, sommanti circa 40,000 individui, popolazioni troppo accalcate in un circolo ristretto, mancanti di sussistenza come che prive di territorio, bisognose di movimento, eminentemente adattate ai lavori agricoli, tendenti in sé stesse all’industria, vivacissime, e che non richiedono se non un campo opportuno per ispiegare la loro non comune attività.
2.° Si somministra a queste popolazioni un’acqua potabile e perenne, ampiamente bastevole non solo ai bisogni della vita, ma sufficiente all’attivazione di quelle fabbriche, direm quasi, di prima necessità, di cui Chioggia manca del tutto. Uno sguardo a quella città popolatissima ed interessante basta a persuadere come la mancanza d’acqua, ed il grave costo che richiede contribuiscano a mantenere quella sucidezza che tanto si oppone alla sua prosperità, e per sopprimere la quale tutti i paesi civilizzati dispendiarono immense somme ed affrontarono lavori giganteschi.
3.° Si mettono tutti questi abitanti in grado, con breve, e rapidissimo cammino, e con dispendio affatto insensibile, di occuparsi con sommo loro profitto nella coltivazione di quei terreni che in forza delle operazioni stesse di cui si chiese il privilegio offriranno un vasto campo alla loro industria agricola, veramente esemplare.
4.° Si toglie quell’isolamento fatale che pesò per tanto tempo sopra una popolazione, meritevole, sotto d’ogni aspetto, della sovrana protezione, offrendo in sè riunite, con unico esempio, l’attitudine la più desiderabile alla coltivazione, alla pescagione, al commercio ed all’industria, accoppiata poi ad una indole pacifica e ad una rispettosa subordinatone, alle leggi.
5.° Si apre una comunicazione sicura, pronta, agevole, fra paesi che ne mancano pressoché del tutto, si dà vita a Comuni ragguardevoli, quali sono Cavarzere ed Adria, che diverranno senza dubbio centri importanti di azione sociale; si pone tutto il territorio esistente fra il Po di Maestra e quello di Goro in grado di comunicare con i centri governativi e di civilizzazione, da cui fu fino ad ora dannosamente disgiunto.
6.° Si attiva per tutti i proprietari ed i lavoratori di estensioni vastissime una via economica ed utilissima onde far valere le produzioni loro, giovandosi di quei momenti in cui può riuscir maggiormente vantaggioso il loro smercio.
7.° Si minorano invece i prezzi dell’importazione, assicurandosi a tutti quegli abitanti il mezzo di estendere le loro relazioni, e di approfittare di tutti i benefizi derivanti da quelle istituzioni sociali che furono così generosamente promosse dal governo, e delle quali fu loro quasi imponibile giovarsi.
Vantaggi agricoli. — 8.° Si racchiude e difende dal sopracarico superiore e dalle rotte medesime la maggior parte del consorzio Foresto per una estensione almeno di campi 14,000, oggidì in balia delle acque superiori che vi piombano rapidamente, atteso il predominio dei terreni da cui queste derivano, e che sono esposti eziandio a qualunque tracimazione e straripamento dei fiumi Gorzon ed Adige.
9.° Si attiva a lor vantaggio un alveo di ampie dimensioni, che ne assicura lo scolo pronto e completo, benefizio di cui mancano al giorno d’oggi, essendo insufficiente il canale dei Cuori a scolare tutto quell’ampio consorzio, ed inutili conseguentemente i mal calcolati tentativi che si erano fatti per asciugarlo. Si migliora sensibilmente la condizione dell’altra parte del consorzio, a di cui solo servigio rimane il detto canale dei Cuori, accrescendosene lo scarico con raggiunta di un secondo canale sulla sinistra della strada.
10.° Si migliora eziandio la condizione agricola degli altri due consorzi Dossi Vallieri e Valli d’Adria, attraverso dei quali passerebbe la strada ferrata, anche per il vantaggio di valersi della medesima per il più opportuno smercio dei loro prodotti, e ciò tanto più in quanto che si agita oggidì di perennemente asciugarli.
11.° Si conquista all’agricoltura una rilevante estensione di terreno, se ne apparecchia lo sviluppo con la facilità e l’economia del movimento dei lavoratori, vantaggio eminentissimo, veduta la mancanza di abitanti in quelle estensioni medesime, e vi si rende sicura la costruzione dei caseggiati, e l’aumento della popolazione dal momento in cui viene ad esserne assicurata a sussistenza, e facilitate cotanto le comunicazioni e le corrispondenze.
Vantaggi commerciali. — 12.° Nè meno rilevanti saranno le utilità commerciali, e per l’accorciato cammino e per la maggior agevolezza ed economia dei movimenti. Oggidì le merci destinate od esportate dalla Lombardia, Transpadana e Stati della Chiesa e tradotte per il Po, soggette sono a tutti gl’inceppamenti dipendenti dai canali Lombardo, di Brondolo, di Valle, di Loreo, dd Po di Levanta, della Cavanella, imbrigliati da sostegni, soggetti ad interrimenti, agghiacciati non di rado e vincolati poi alle piene dei fiumi Adige e Po. La navigazione quindi essendo stentatissima, intermittente, costosa, azzardata, non possono i negozianti contare con sicurezza nè sul viaggio, nè sulle partenze, nè sugli arrivi, disappunti incalcolabili in via commerciale.
13.° Quando sarà eseguita la strada, tutte le merci discendenti o riascendenti liberamente per il Po fino alle Bottrighe, rimpetto ad Adria, troverannopoi da quel punto un cammino sicuro, economico e rapidissimo che le tradurrà fino alle antiche Saline di Chioggia, le quali, rialzate e ridotte a piazzale di approdo, carico e scarico, serviranno mirabilmente di centro vastissimo ed adattato alle operazioni commerciali. E questi vantaggi saranno comuni egualmente alle merci che transitano per l’Adige e che faranno ricapito in Cavarzere.
14.° Nè il commercio attuale soltanto ed il trasporto pure dei sali avrà a giovarsi di questo nuovo speditissimo cammino; tutte le numerose provenienze dalla Germania e destinate oltre Po valendosi della ferrata fra Vienna e Trieste, verranno liberamente tradotte da colà alle Saline di Chioggia. Il porto di questa città è sempre di un facile accesso, la stazione sicura ed al coperto da qualunque burrasca, l’approdo al nuovo piazzale agevole sempre, per cui da bastimenti potranno caricarsi direttamente le merci e derrate nei waggons, o viceversa, e scaricarsi eziandio direttamente da questi nelle rascone o grandi barche piatte del Po, od in quelle dell’Adige. Quindi risparmi di tempo, di mano d’opera, di magazzinaggio, più facile conservazione degli oggetti, meno dissesti nel maneggio loro, rapidità di carico e scarico, minorazioni di stalie dei navigli sia fluviali, come di mare, certezza nelle spedizioni ed arrivi, minor aggravio nell’assicurazione, sensibilissimo questo attesi gl’imbarazzi degli inferiori canali che si evitano; benefizi tutti del più alto rimarco tanto sotto il rapporto economico, quanto relativamente allo scopo del commercio ed ai moventi che lo determinano: benefizi insomma valevoli da sé soli ad imprimervi un altro andamento, e ad estenderne grandemente la sfera di attività.
15.° E questi saranno tanto maggiori ora che l’istituzione dei remurchiatori a vapore faciliterà la navigazione del Po riascendente, e metterà le piazze di Venezia e di Trieste, valendosi del punto importantissimo di Chioggia così ravvivato, in grado da spingere il loro commercio nella Lombardia e nella Transpadana, ben oltre quel limite cui possono al giorno d’oggi utilmente giungere, bilanciandosi in qualche modo in codesta parte l’azione inevitabilmente invasiva del porto di Genova.
Vantaggi politici e finanziarii. — 16.° Basterebbe il conseguimento di quelli che abbiamo accennati in via territoriale egualmente che nell’agricola e commerciale, perchè avesse a derivarne un’utilità non dubbia anche per l’amministrazione pubblica e camerale. Con le operazioni di cui si chiese il privilegio vengono però a crearsi anche per esse dei vantaggi non contrastabili, nè di lieve importanza.
17.° Trovandosi infatti le piazze di Chioggia fuori delle franchigie dei porti austriaci, e potendovi direttamente approdare i bastimenti, cessano tutti quegli imbarazzi dispendiosi e quelle controllerie che gravitano colà sulla finanza per tutti i passaggi e transiti delle merci, e specialmente per quelli d’importazione attraverso di essi. I movimenti commerciali vi divengono molto più liberi con grande utilità non solo dei negozianti, ma della finanza stessa.
18.° Minorandosi il bisogno dei canali inferiori e dei relativi sostegni, si minora pure quello della loro manutenzione.
19.° I maggiori movimenti di persone e di cose, l’aumento inevitabile della popolazione che si opera con la maggior estensione delle terre utilizzate, con quella del commercio, con lo sviluppo conseguente di un qualche ramo d’industria, concorreranno ad accrescere l’introito camerale, e specialmente delle imposte indirette.
90.° L’azione governativa e la politica potranno esercitarsi con maggior prontezza, e con risultanze giovevoli al buon ordine territoriale.
21.° Nè di piccolo vantaggio eziandio sotto l’aspetto politico potrà forse riuscire un giorno la facilità di estendere oltre Po quest’importante comunicazione. Da Corbola per Ariano, indi per mezzo Goro e Codigoro, o per Messansatica, Pomposa, Bacolino, Torre di Magnavacca, Primaro e Passo di Cortelazzo si può rapidamente portarsi a Ravenna con una linea di poco più di cinquanta miglia, evitandosi il lungo giro di Rovigo, Ferrara, Bologna, Imola, Faenza.
Noi ci siamo limitati a questi pochi cenni come quelli che bastar possono a comprovare la grande utilità di questa strada nei più importanti rapporti d’ordine sociale, sembrandoci inutile parlare del suo costo e del suo bilancio economico, che vennero però assoggettati alla suprema autorità, come prescrivono le sovrane direttive, essendochè riflettono piuttosto il tornaconto dell’impresa, di quello sia l’interesse delle popolazioni che avranno a giovarsene.
M. A. S.
Quando le varie imprese fin qui discorse, sì nel capitolo 2.° del discorso III, che in questo paragrafo, siano davvero mandate a compimento, il regno Lombardo-Veneto potrà dirsi parte principalissima della rete delle strade italiane, e non è a dubitare ch’esso ritrarrà dalle medesime un notevole aumento di prosperità.
# 3.° - Strada Triestina.
Questa strada non è italiana, che verso il suo termine, per la direzione datale dalla capitale austriaca al porto di Trieste.
Essa interessa però in sommo grado la Penisola, perchè debbe, come già si è detto, grandemente giovare all’aumento della prosperità di quel principale emporio della Penisola, il quale lo è ad un tempo dell’Impero austriaco.
Ecco le poche notize di fatto ulteriori, che riuscimmo a raccogliere su di essa; e che bastano, oltre al già detto, a chiarire come sia colossale ed onorevole pel governo austriaco l’impresa assunta.
La strada à divisa in sei tronchi.
1.° Il primo da Vienna a Gloggnitz, lungo metri 75,000, è stato costrutto dalla società anonima detta della Roaberbahn, e trovasi esercitato compiutamente, perciò aperto al pubblico per conto di quella società fino dal 1.° maggio 1842.
2.° Da Gloggnitz fino a Murzzuschlag, o passaggio del Sommeering, tratto lungo metri 15,250, pendono ancora alcuni studi relativi. Intanto la via ordinaria in quella direzione è servita da cavalli. Vuolsi che si aspetti di conoscere i risultati degli sperimenti che si fanno in più luoghi sul sistema atmosferico per risolversi o no ad adottarlo nell’andamento definitivo che sarà stabilito.
3.° Da Murzzuschlag fino a Gratz, capitale della Stiria, lungo metri 95,600.
Questo tronco trovasi aperto da più di un anno al pubblico. Se ne è pubblicato un rendiconto a stampa dall’ingegnere architetto Demarteau, con autorizzazione e speciale vigilanza dell’I. R. Direzione delle strade ferrate dell’Impero.
4.° Il quarto tronco corre da Gratz a Cylli, trovasi in corso di costruzione, e vuolsi tra non molto compito, e vicino ad esserne attuato l’esercizio.
5.° Il quinto tronco corre da Cylli a Layback. I lavori vennero fino dall’anno scorso appaltati, e vi si procede con grandissima attività.
6.° Il sesto ed ultimo tronco correrà da Laybach (Lubiana), capitale della Carniola a Trieste, che lo è dell’Istria, prima provincia italiana dell’austriaco Impero.
Non è finora determinato l’andamento che seguirà questa linea.
Alcuni vogliono che debba terminare a Basovitza, mille piedi circa sopra Trieste.
Altri che scenda fino al porto, costeggiando le chine del Corso che ad esso conduce.
V’ha chi propose di risalire da Laybach sino alla valle dell’Idria, penetrandovi mercè d’un tunnel, e discendendo poi mediante essa valle in quella dell’Isonzo.
Molti ancora preferirebbero di attraversare la Carniola, senza farsi carico delle frequenti contropendenze che sarebbero inevitabili. Molti, in vece, vorrebbero con maggior ragione, a parere di persone bene informate e che conoscono i luoghi, che si seguisse il corso del Wippach, entrando poi nella valle dell’Isonzo rimpetto a Gradisca.
Il governo non ha ancora prescelta quella direzione che risulterà più vantaggiosa a séguito de’ tanti studi che già vennero fatti, ed ancora stanno facendosi.
Codeste indicazioni non lasciano ancora prevedere a quale precisa epoca l’intera linea da Vienna a Trieste sarà compiuta ed attuata. Però, attesa la molto fondata premura che il governo austriaco dimostra d’attuare quanto prima cotesta interessantissima direzione, siffatta epoca non debb’essere molto protratta ancora, ed i giusti voti degli abitanti e speculatori triestini l’affrettano con ogni maniera d’istanze.
La tratta da Trieste a Treviso e Mestre, destinata a congiungere la via triestina con quella Ferdinandea Lombardo-Veneta, venne proposta dal signor cavaliere G. L. de Bruch, direttore generale del Lloyd austriaco dal 1839, chiedendone la concessione. Secondo la prima idea doveva passare per Monfalcone, Villa Vicentina, Palmanova, Latiscana, Portogruero, Motta, Oderzo e Treviso. Ma nel séguito agli studi praticati dall’ingegnere conte M. A. San Fermo un tale andamento si modificava con altre idee, le quali trovansi in un pregevole scritto di questo, che venne inserito nel giornale il Lloyd austriaco del 1842, con questo titolo: Cenni sulle strade ferrate in Austria, e principalmente nel regno Lombardo-Veneto.
Noi dividiamo molte fra le idee del chiarissimo autore, prima d’ora adottate nel corso di questa scrittura, dopo che avevamo letto il solo suo articolo inserito nell’Euganeo, già citato alla nota 1 della pag. 182. Se non che, non possiamo approvar quella ripetutamente esposta intorno alla rivalità che suppone esistere tra Trieste e Genova; perocché, lo ripetiamo ancora, nessuna reale rivalità esiste tra i varii scali italiani, cui natura ha spartite rispettive sufficienti relazioni di traffico, atte a farli tutti fiorire a ragione della posizione loro.
# 4.- Strade toscane.
I riscontri dati sulla Toscana già furono così abbondanti, che pochi ne restano ad aggiungere.
Dopo la concessione definitiva accordata alla società inglese della strada da Firenze a Pistoia per Prato, non ne vennero accordate altre; se con che si è parlato ancora d’un’altra dalle cave carbonifere di monte Bamboli al mare; e quanto a quella della strada da Firenze a Forlì per Dicomano, ecc. della quale già abbiamo fatto cenno, vuolsi che sia subordinata al voto dell'ingegnere inglese Stephenson, il qual voto non è ancor giunto, a quanto si crede.
Per quanto si tenga sommamente in pregio la grande perizia di quel valent’uomo, attese le ragioni dette alla nota 1 della pag. 244, non crediamo che di lontano egli possa con piena conoscenza di causa, anche avendo sottocchio piani e profili esatti e particolareggiati, opinare sopra siffatta quistione.
Del resto, prestando maggior fiducia a coloro che conoscono i luoghi, e dichiarano difficile e costosissimo, quanto in sè poco utile l’assunto, auguriamo ai concessionari, come agli azionisti, ch’essi troverebbero sicuramente ciò malgrado nel presente inconsiderato fervore, che il voto dello Stephenson sia conforme a quello de’ pratici da noi invocato.
I varii studi conceduti procedono come venne già indicato. Vuolsi che il Brunel, stato recentemente in Piemonte, sia al suo ritorno passato in Toscana per vedere i luoghi che debbe percorrere la linea da Firenze a Pistoia, conceduta ai suoi compatrioti.
I lavori procedono sulla Leopolda e sulla sanese nel modo accennato.
Non si promulgò altro provvedimento governativo dopo quelli riferiti, se non che una nuova concessione venne accordata d’una linea dalle cave marmoree di Serravezza al mare ad una società formatasi all’uopo, la quale va spacciandone le azioni.
Moltissime però sono tuttora altre istanze per nuove concessioni, non essendosi, a quanto pare, temperata ancora la febbre speculatrice che si è in Toscana propagata.
Tra queste domande di concessioni, oltre a quella più fondata, come già notammo, della linea da Firenze a Perugia per Arezzo, parlasi ancora d’un’altra linea che direttamente da Empoli vada a Pistoia schivando Firenze. — E di un’altra strada eziandio, che da Firenze vada alla strada romana per Firenzuola, passando l’Appennino in certo punto in cui presenta una più facile uscita, il qual punto però non ci venne indicato.
Finalmente venne pubblicato il manifesto di cui segue il tenore, proponente una società destinata ad essere come a centro di tutte le altre, non solo della Toscana, dell’intera Penisola.
Manifesto.
La instituzione di una società la quale con vasti mezzi tanto materiali, quanto morali, miri
a promuovere, senza tutte abbracciarle, ogni impresa industriale reputata utile, e ciò a condizioni molto più vantaggiose di quelle che offrire si possano da qualsivoglia privato;
a notabilmente diminuire le spese di studi e di amministrazione, mediante la introduzione di un sistema uniforme e facile, non che rigorosamente sindacato;
a formare uomini atti alle imprese industriali, onde non vengano queste a mancare, o ad illanguidirsi per la incapacità, o per la non probità di chi fosse a quelle preposto;
ad impedire la rovina di coloro che incautamente si trovassero impegnati con soverchio numero di azioni, porgendo ad essi soccorso ad eque condizioni;
a frenare l’aggotaggio;
a far cessare le gare di municipio per le quali bene spesso vanno a svanire le imprese le meglio concepite nel generale interesse; a facilitare ie trattative di concessioni con i governi;
a stare, finalmente, in giorno di tutte le nuove scoperte,
sarebbe certamente un segnalato benefizio per la Italia tutta, in un tempo, come l’attuale, in cui si vede sorgere per tutte le parti della Penisola lo spirito di speculazione, e sempre più farsi crescente: poichè per il suo maggiore sviluppo non occorrerebbe allora di rendersi tributari degli stranieri.
Questo concetto, non originale, ma divenuto nostro per imitazione, ha dato vita al progetto di una società di cui seguono le basi.
Forma. — La impresa riceverebbe il carattere di società anonima.
Titolo. — S’intitolerebbe: Società generale d’imprese industriali italiane.
Scopo. — La società
1.° Promuove e progetta imprese industriali di ogni genere, solo che sieno reputate utili.
2.° Inizia le trattative di concessioni con i rispettivi governi, e le conduce al loro termine.
3.° Interviene con i propri capitali nei depositi di garanzia.
4.° Rimane interessata per una quarta parte almeno in tutte le imprese da lei progettate, ed in queste persevera fino ad esecuzione completa.
5.° Impresta i tre quarti delle somme sborsate dagli azionisti su le azioni d’imprese o promosse o progettate dalla società, sul semplice deposito delle azioni o promesse di azioni, e prende l’abbuono del solo interesse annuo del 5 per %.
Risorse. — Consisterebbero le risorse economiche della società
Nella provvisione dell’1 per % che essa preleverà sul capitale di fondazione nelle imprese da lei progettate in luogo e vece della creazione di azioni industriali;
Nel rimborso delle spese effettive che saranno state fatte per i rispettivi progetti, studi, ec.;
Nel frutto annuo del 5 per % sopra tutte le somme che verranno da essa anticipate;
Nell’utile proporzionale che ricaverà delle imprese nelle quali troverà interesse.
È stabilito inoltre a favore degli azionisti della società generale un diritto di preferenza nell’acquisto alla pari delle azioni che verranno emesse per le imprese mosse o progettate dalla società. Questo diritto, se costituisce un vantaggio diretto per gli azionisti, viene anche a costruirne uno indiretto per la società della quale essi sono membri.
Capitale. — Il capitale di fondazione sarebbe determinato in 100,000,000 di lire toscane..
Questo capitale sarebbe rappresentato da un milione di azioni di lire cento per ciascheduna, da emettersi in dieci serie successive di centomila azioni per ciascheduna. Al compimento delle soscrizioni della prima serie la società si considera costituita.
L’importare delle azioni si pagherebbe per ventesimi, ed i possessori delle azioni costituenti la prima serie avrebbero diritto di preferenza sopra ogni altro nell’acquisto alla pari delle successive serie allorché saranno emesse.
Sede. — Firenze sarebbe la sede principale della società.
Ogni città d’Italia in cui si raccogliessero soscrizioni per diecimila azioni almeno avrebbe un comitato figliale di sorveglianza.
Amministrazione e direzione. — L’amministrazione e la direzione della società risiederebbero in Firenze, e consisterebbero in un comitato, principale di sorveglianza,
una direzione superiore avente la rappresentanza della società a tutti gli effetti, e composta di
una sezione scientifica, una sezione amministrativa, dirette da un presidente comune.
I comitati figliali corrisponderanno col comitato principale, senza però dipenderne assolutamente.
Ogni comitato figliale avrà un ispettore relatore, i di cui progetti, prima di essere definitivamente accolti dal rispettivo comitato, dovranno sottoporsi all’approvazione della direzione superiore di Firenze.
Lo statuto sociale determinerà le rispettive competenze dei comitati e della direzione superiore; regolamenti di interna amministrazione saranno compilati per stabilire gli stipendi, le attribuzioni ed i doveri degli impiegati, e quant’altro interessa il buon andamento degli affari.
Frattanto si determina che il comitato principale di Firenze sarà composto di quindici titolari e di cinque supplenti, e ciascuno dei comitati figliali sarà composto di sette titolari e di tre supplenti.
Per la prima volta titolari e supplenti saranno di diritto coloro che avranno i primi sottoscritto.
Lo statuto fisserà il modo e le condizioni delle successive elezioni.
Soscrizioni. — Sarebbero le soscrizioni delle azioni della società aperte in Firenze, e nelle altre principali città d’Italia.
I circondari dei respettivi comitati figliati saranno determinati appena chiuse le soscrizioni.
Riunione dei comitati ed emolumenti personali. — Ogni comitato si aduna una volta il mese nella propria residenza per il disbrigo degli affari in corso.
Due volte l’anno tutti i comitati si riuniranno in adunanza generale, una volta in Firenze, e l’altra volta nel luogo di residenza di uno di quei comitati figliali nel di cui circondario esista in progetto o in esecuzione una impresa d’importanza.
Le funzioni dei membri dei comitati sono gratuite. La società rimborsa ad essi le spese di viaggio; e ciascuno dei membri presente all’adunanza, riceve per ogni riunione una medaglia d’oro, da coniarsi espressamente, del valore intrinseco di un ruspone.
La prima riunione generale dei comitati avrà luogo in Firenze.
In questa sarà fatto il rapporto sotto statuto e sulla prima organizzazione della società, di cui è specialmente incaricato il comitato principale di Firenze.
Imprese speciali. — La società generale s’incarica anche delle imprese che altri abbiano progettate o che ad altri siano state dai governi concesse.
L’ispettore tratta le condizioni della cessione compatibilmente con le massime generali della società, e riferisce in iscritto al proprio comitato, che, sentito il voto della direzione superiore di Firenze, delibera.
L’imprese speciali sono amministrate separatamente, e non sono soggette che alla sorveglianza del respettivo comitato.
Questa amministrazione separata è affidata ad una direzione corrispondente alla entità della impresa; la direzione rende conto al comitato del suo circondario, e questo ai complesso de’ suoi azionisti, fra i quali il comitato rappresenta l’interesse della società generale.
Tutte le imprese speciali saranno organizzate con emissione di azioni.
La società generale acquisterà per proprio conto non più della metà, nè meno del quarto di queste azioni.
Ogni di più delle azioni medesime verrà diviso tra i comitati figliali proporzionatamente all’interesse che avranno nella società generale, e questi comitati, salvo il diritto di preferenza competente agli azionisti, ne procureranno l’esito, osservate le massime normali che verranno stabilite in proposito.
Qualora i respettivi comitati non riuscissero entro tre mesi ad esitare l’assegnatogli numero di azioni, ne daranno avviso alla direzione superiore di Firenze, la quale, non potendole smerciare per mezzo degli altri comitati, ne darà conto al comitato superiore di Firenze, a cui spetterà il deliberare se le azioni invendute debbano acquistarsi dalla società generale, oppure se debba temporariamente soprasedersi alla esecuzione detta relativa impresa speciale.
La suddetta regola generale viene però limitata quando si tratti di imprese per le quali occorrono somme inferiori a lire centomila per ciascheduna.
Per queste potrà la società generale assumerle senza emissione di azioni, col voto però dell’adunanza generale dei comitati riuniti.
Regole generali. — Tutte le persone, case di commercio o corporazioni qualunque domiciliate e stabilite in Italia potranno farsi azionisti della società generale d’imprese industriali italiane.
In tutte le imprese sarà destinato ad instituti di pubblica beneficenza il 10 per % di tutta quella parte di utile netto che ecceda l’interesse del 6 per % sul respettivo capitale di ciascuna impresa. Su queste basi potendosi fondatamente concepire la speranza di vedere le imprese industriali nei diversi Stati d’Italia sottratte a quelle dannose influenze che le hanno fin qui torturate, e che non infrequentemente nel primo loro nascere le hanno fatte abortire, si augurano i promotori di questa società che i loro cittadini faranno a gara per concorrere alla istituzione di una sì bella impresa, ed hanno voluto che, mentre si raccolgono le sottoscrizioni al presente progetto, egli ricevesse intanto la massima notorietà.
- Firenze, il 25 settembre 1845.
Nessuna sottoscrizione è apposta a questo documento, che ci resulta però dettato da rette e generose intenzioni.
Ma queste non bastano sempre a far riuscire un assunto; e noi, che prima ed avanti ogni cosa pregiamo la libertà delle oneste opinioni, ci crediam lecito fere sulla proposta alcuni riflessi.
L’idea d’un’associazione generale dell’industria italiana certo è bella, generosa, lusinghiera per più d’un verso in coloro che desiderano il vero ben inteso suo progresso tra noi. Ma crederla praticabile nelle presenti condizioni d’Italia ci pare, più che altro, un’utopia nel rispetto in cui fu inspirata a coloro che la formolarono.
I termini poi ne’ quali venne proferita ci paiono aggiungere a questa improbabilità e contenere qualche pericolo.
Noi crediamo men probabile che i capitali italiani ora posti in traffico si spostino da dove sono, e vadano nella contrada che vorrebbe farsi centro alla proposta speculazione; nè che i possessori d’essi, i quali debbono, com’è naturale, preferire di trafficarli essi medesimi, acconsentano ad affidarli altrui collo stesso fine, ed a pagare perciò una provvisione che possono risparmiare.
D’altronde, se la Toscana rifulge per civiltà diffusa, pur troppo più non è, come altre volte, ricca di capitali; anzi è una delle parti della Penisola dove meno abbondano; e la cosa è tanto vera, che nelle moltissime speculazioni ora colà intraprese gli azionisti indigeni sono in numero minimo a confronto di quelli esteri. Ora, credere che buona copia de’ capitali or trafficati ne’ varii empori della Penisola con qualche frutto, se ne dipartissero per collocarsi nella proposta società ci pare men probabile.
Quali sarebbero adunque i suoi azionisti?
Qui sla, a senso nostro, il pericolo.
Un sentimento generoso ed onesto, cui facciamo plauso, quanto all’intenzione, si propone di far sì che la divisata società riesca a frenar l’aggiotaggio.
Noi temiamo anzi, ch’essa per mala ventura vi presti sì fattamente occasione da farlo anzi crescere.
Le azioni fissate per prima quota a sole lire 100, pagabili ancora per ventesimi, cioè a lire 5 per volta, darebbero adito a chiunque abbia uno scudo a far parte della società, ed a proporsi di giuocare con quelle azioni che diventerebbe così un secondo lotto.
Invano le rettissime intenzioni che supponiamo ne’ reggitori dell’azienda sociale, cercherebbero d’impedirlo; esso seguirebbe senza fallo, e sarebbe una giunta al male gravissimo, che temiamo derivante da altre poco avvedute speculazioni.
Per questi essenziali motivi, i quali d risolvono a prescindere da un ulteriore esame, che ci condurrebbe forse ad accennarne altri ancora, noi crediamo dover consigliare ai d’altronde ottimi autori del progetto a receder da esso, tanto più che, ripetesi, non ne crediamo probabile il buon esito.
# 5.° - Stati sardi.
Dopo quanto abbiamo detto ai NN. 19,13 e 17 pochi particolari restano ad aggiungere al capitolo 5.° del discorso III in questa poscritta.
Solo noterem di volo
1.° Che la compilazione de’ progetti sì di massima che paricolareggiati delle linee decretate colle regie patenti 18 luglio 1844 ha proceduto con una attività ed una perizia veramente commendevoli per parte degli ingegneri civili governativi; i quali si provarono in quest’occorrenza, come sempre furono, zelantissimi, accuratissimi, peritissimi e veramente idonei all’avuta incumbenza; attalchè può aversi intera fiducia sulla lodevole e perfetta esecuzione de’ lavori.
2.° Che la maggior parte di codesti progetti, in men d'un anno mandati a termine, trovandosi in istato di venir sottoposta al superiore esame, viene successivamente approvata, sicché su varii punti delle diverse tratte in cui fu spartito l’assunto, i lavori vanno ad intraprendersi ed avran così più celere compimento.
3.° Che avvisando saviamente il governo sardo a non escludere per le linee minori o secondarie l’industria privata, accogliendone le proposte che sarebbero, previo accurato esame, riputate convenienti, ha eletto per l'esame suddetto una commissione d’uomini di Stato, e di ingegneri, acciò da essa accuratamente studiata ogni domanda, su quella esponga al mmistero il proprio parere, onde si possano proporre al re quelle determinazioni che saran del caso.
4. Che in fatti alcune domande vennero presentate per ottenere concessioni delle linee minori prima accennate, ed altre se ne presenteranno forse ancora, sulle quali tutta la commissione preallegata opinerà con maturità; ondechè il governo, mantenendosi nel savio sistema sin qui tenuto di preservare lo Stato suo dalla tabe dell’aggiotaggio, potrà così, reiette le domande che vorrebbero introdurlo, accogliere soltanto colle cautele sin qui praticate, istanze reali, giuste, fondate. Queste considerazioni e quelle prima d’ora notate, ci muovono a non credere che meriti gran credito il seguente manifesto pubblicato dai fogli francesi.
«Chemin de fer dit Grande Jonction, allant de Grenôble à Genève, passant par Chambéry, avec embranchement possible sur Turin, Gènes et toute l’Italie.— Capital social 87,000,000. Actions de 500 fr. de France.— On souscrit à Paris par lettres affranchies à MM. Pajol et Comp., boulevard Poisonnière, n.° 14. Ultérieurement on indiquera les maisons de Turin, Paris et Londres qui doivent encaisser le premier versement. Ingénieur en chef monsieur Villeroi.
»Nota, Au bas de la lettre de souscription écrire visiblement les noms, prénoms, qualités, domicile et la référence (N.° 3257)».
(Journal des Débats, 7 ottobre 1845).
NB. Come scorgesi in questo e nel 1.° paragrafo, anche a Parigi si propaga l’uso di Londra di proporre società meno probabili per speculare sulle strade ferrate estere.
5.° Che, in conformità del disposto dell’art 4.° delle regie patenti del 13 febbraio 1845, prima inserite al N.° XI di quest’appendice, il consiglio speciale di cui in esso articolo, incaricato d’esaminare, sull’invito del primo segretario di Stato per gii affari dell’interno, i progetti ed i contratti relativi alla costruzione ed all’esercizio delle vie ferrate, venne recentemente ordinato, e già si è radunato per attendere sollecito all’incumbenza sua.
6.° Che, affidata all’ingegnere Brunel la direzione dell’esecuzione del progetto di lui da Genova in Alessandria, già sono incominciate le esplorazioni occorrenti per lo scavo dei pozzi al colle dei Giovi, là dove debbe esser fatto il gran tunnel che dalla valle di Scrivia debbe condurre ai versanti dell’Appennino dalla parte del mare.
7.° Che in conseguenza l’amministrazione superiore negli Stati sardi, se lungamente studiò la grave e difficil quistione delle vie ferrate, risolta di poi la medesima nell’accennato modo, si è con singolare alacrità celeremente accinta all’assunto divisato; perocché dal luglio 1844, in cui decretavansi le linee, all’ottobre 1845, in cui terminiamo di scrivere, essa avea quasi compiuti ed allestiti tutti i progetti, e date tutte le disposizioni preliminari occorrenti per la esecuzione loro.
8.° Finalmente, che si è mandato al supremo magistrato della camera di giudicare, coll’imparzialità ben nota con cui quello si onora, dell’indennità dovuta qual equo compenso alla compagnia genovese autorizzata colle regie patenti 10 settembre 1840, per la spesa degli studi utili da essa fotti in virtù di quella legge, quando gli sperimenti d’amichevole accordo, che forse sarebbero tentati, non potrebbero essere coronati di buon successo.
Con siffatti provvedimenti il governo sardo ha provato con quanta maturità di consiglio, con quanta prudenza, con quanta accurata ed intelligente premura pel maggior bene de’ propri sudditi sappia adoperarsi quando è tenuto a risolvere quistini gravi e difficili d’alta politica e di pubblica economia; e come giustamente perciò meriti quella fama di vera ed illuminata paternità, che in ogni tempo seppe procacciarsi, e segnatamente durante l’attuale regno benefico di S. M. il re Carlo Alberto, ogni atto del quale è sorgente d’utili resultati, arra preziosa di compiuta maggiore prosperità.
# 6.° — Stati parmensi.
Dopo quanto ci è occorso dire al capitolo 6.° del discorso III, nulla ci resta ad aggiungere per gli Stati parmensi, ne’ quali tuttora si aspetta l’invocata sovrana definitiva concessione degli studi permessi per la linea da Piacenza al confine verso Modena.
Giova sperare che, superati una volta gli ostacoli che si suppongono insorti per una mal intesa tema di rivalità fra quella linea e la Ferdinandea, una politica liberale lascerà che le due imprese abbiano egualmente effetto e sieno lasciate alle naturali tendenze loro, le quali tendenze promettono ad ambedue ottimi risultati.
D’ altronde accordata che sia, come abbiamo detto probabile al precedente § 5.° l’invocata concessione d’una linea da Alessandria al Cardazzo, confine sardo verso Piacenza, non pare da supporre che l’illuminato governo parmense voglia ulteriormente denegare ai propri sudditi un beneficio che non riesce d’alcun aggravio all’erario, anzi gli promette vantaggi per l’aumento che sempre deriva ne’ prodotti de’ dazi indiretti, dal maggior movimento di persone e di merci che nasce dalle vie ferrate.
Quanto alla strada da Parma a Lucca per Pontremoli, ignoriamo se siano state fatte altre parti per ottenere la concessione; come ignoriamo pure se siansene fatte per ottenere la concessione di altre linee dirette su Genova per val di Taro o per val di Trebbia, che diconsi invocate da speculatori italiani, e finalmente d’altra ancora che vuolsi chiamata nello stesso tempo ai governi toscano, lucchese, modenese, parmigiano e sardo, da una società inglese per corrispondere in più luoghi dal mare attraverso l’Appennino nel piano lombardo. Comunque sia, noi confortiamo il governo parmense a non accogliere siffatte domande, come quelle che, in sostanza, ad altro fine non tendono che all’avere con esse mezzo di spacciare azioni, giuocar con quelle, ritraendone illeciti profitti di aggiotaggio, per poi lasciare agli azionisti definitivi, titoli screditati, ed al paese imprese imperfette, che non si compiono, e si risolvono in fallimento.
Le osservazioni prima fatte sull’enormità della spesa di dette strade; sul nessun adequato compenso da esse sperabile; sul notevole perditempo cui il frequente passo dall’uno all’altro confine sarebbe per taluna d’esse causa e finalmente sulla nessuna necessità loro assoluta, poiché meglio da altre strade possono venir supplite; cotali osservazioni ci dispensano da altri riflessi al proposito.
Terminando dunque, diremo augurare alio Stato parmense che, distolta la sua attenzione da cotesti progetti chimerici, se non sono pericolosi, tutta rivolgasi all’unica impresa che gli convenga d’una linea sola, che l’attraversi e lo metta in relazione col confine modenese; e con quelli sardo e lombardo negli accennati proposti modi.
# 7.° — Stato estense.
Neppure per lo Stato estense ci occorre aggiungere cosa alcuna al giàddetto. Perocché, siccome le determinazioni di quel governo non possono ch’essere una conseguenza di quelle che sarebbero prese da quelli di Parma e pontificio, cotesti governi nulla avendo ancora deciso al proposto, non è neppure a Modena il caso di provvedimento all’uopo.
Noi ripetiamo qui però la espressione della nostra fiducia nell’accorgimento del governo estense a secondare, quando ne sia il caso, l’assunto, lusingandoci d’averne al capo 7.° del discorso III dimostrata la convenienza.
Pel resto, quanto alla strada da Lucca a Parma per Pontremoli, stante il già dato primo rifiuto, non sarebbe il caso di farne altro discorso.
Se non che recentemente essendo stata presentata a S. A. I. e R. un’altra nuova domanda di concessione da un cavaliere Burlamachi di Lucca, il quale chiedeva di continuare la strada ferrata che da Livorno viene a Lucca per la via montuosa di que’ bagni, e di passar poi per la Garfagnana e Lunigiana, onde arrivare pure a Pontremoli, cotesta domanda ebbe un eguale esito d’assoluta ripulsa.
E rispetto alla domanda della società inglese, che supponesi sottoposta cumulativamente ai governi estense, parmense, sardo, lucchese e toscano, per le già addotte cause inammessibile, non è a dubitare che l’avveduta prudenza del primo d’essi saprà discernere i pericoli e le insidie di tali domande, e rigettarle come non invocate dall’interesse del paese.
# 8.° — Stati pontifici.
Noi vorremmo poter qui annunciare ai nostri lettori accolte finalmente dal governo pontificio le istanze della società bolognese; e secondate le domande che certo si faranno, se non sono ancora state fatte, pel protendimento da Ancona a Roma, e per quello delle linee toscane e napolitane, quando arriveranno al confine pontificio.
Ma non possiamo, nostro malgrado, ancora porgere siffatta lieta notizia, finora non pervenutaci: se non che ci si afferma di recente insinuate due fra esse domande; quella da Ancona a Roma, e l’altra da Roma a Civitavecchia, sulle quali niuna determinazione è pure emanata.
Vero è però resultarci da Roma stessa, essersi dall’autorità cui conpete risposte alle istante bolognesi, «che l’autorità medesima era sommamente compresa dell’importanza dell’argomento, per cui assicurava di portarvi sopra le più mature considerazioni; aggiugnendo eziandio, che il governo Pontificio non trascura nè le opportune meditazioni sul rilevante affare di cui si tratta, nè la vigilanza sulle favorevoli drcostanze che potrebbero presentarsi».
E siccome erasi fatto sentire all’autorità preallegata la molta probabilità che il governo toscano fosse in disposizione di aprir strade di ferro sino ai confine pontificio, rispondessi, come ci si afferma pure da Roma a questo argomento, osservando «esservi soltanto delle disposizioni preliminari, le quali non danno per anco alcuna certezza, almeno di prossima esecuzione, essendoti dal toscano governo (all’epoca del riscontro), meno per la strada da Livorno a Pisa, già costrutta, accordati soli permessi di fare gli studi, i quali debbon poi essere seguiti da regolari piani da approvarsi, ed occorrere poi di comporre le società intraprendenti, e formare i regolamenti, cose tutte cui deve pure intervenire la governativa sanzione prima di dar mano all’opera».
Abbiamo voluto accennare il sopra tenorizzato senso delle risposte che abbiamo saputo da Roma istessa, ripetesi, date alle domande, perchè in sostanza esse fan fede che i ministri di quel governo non ricusano al divisato assunto quel favore che per ogni titolo esso merita da governanti che siano avveduti sui veri interessi dello Stato.
Questi, di fatti, non solo consigliano l’assunto colà nel rispetto economico ma sembrano consigliarlo altresì in quello politico. Imperocché il notevole dispendio che offre di fare la società bolognese, porgendo straordinario lavoro, per ciò salario, ad una gran quantità di persone che sono misere ed oziose, toglie ai susurroni l’occasione di aggirarle ed implicarle ne’ maneggi loro.
Gioverà poi anche l’impetrata approvazione, qual diversivo a sinistri umori ed opinioni, col rivolger le menti più agli interessi materiali, che ad altre idee sovente nocive e pericolose.
Queste considerazioni, le quali siccome sorgono al nostro pensiero, sorgeranno egualmente a quello degli uomini illuminati che debbono provvedere, ci confermano nella lusinga che abbia finalmente ad emanare l’impetrata annuenza, la quale niun carico trae seco, ricordiamolo ancora, pel pubblico erario, cui anzi, come si è più volte detto, non può che giovare, atteso l’aumento de’ dazi indiretti che deriva dall’aumento delle relazioni personali e commerciali.
Del resto merita lode il governo pontificio per la maturità can cui volle studiare la pratica, la quale a quest’ora certo avrà in ogni suo aspetto considerata.
E ben più ancora la merita per aver saputo resistere alle istanze d’esteri speculatori, i quali, come abbiamo veduto alla pag. 417, eransi recati a Roma onde impetrar concessioni a nessun altro fine, fuori quello di speculare sulle azioni e dedicarsi con quel tema ad illecite speculazioni d’aggiotaggio.
La risposta che abbiamo veduto data, dimostra il prudente accorgimento di quel governo, ed i termini istessi ne’ quali essa venne formolata sono un novello argomento per sperare finalmente accolta la domanda de’ sudditi, a favore de’ quali il governo suddetto dichiarò voler lasciare il beneficio dell’impresa, salvo ad essi il valersi dei capitali, esteri di cui potessero abbisognare, accettando le proposte che verrebbero a tal’uopo ad essi fatte.
Finalmente merita encomio la mentita fatta dare a quegli speculatori i quali, nonostante l’avuta ripulsa, aveano osato vantare accordi non esistenti acciò, con questo nobil procedere anche i non sudditi, che potessero da quegli accordi tentarsi a comprare azioni, fossero a tempo avvertiti.
- 20 novembre 1845
FINE
ERRATA-CORRIGE
Pag. |
14 |
lin. |
4 |
codeste mare può drs | codesto mare può dirsi |
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16 |
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28 |
De Thamat | De Themat |
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18 |
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33 |
Nel secolo diciassettesimo | Nel secolo decimottavo |
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31 |
" |
2 |
una stabile via di comunicazione | una stabile e men costosa via di comunicazione |
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81 |
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34 |
del Discorso II | del Discorso III |
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87 |
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26 |
più evidente dall' | più evidente dell' |
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127 |
" |
33 |
è del 5 per ½ | è del 5 per % |
" |
ivi |
" |
34 |
dal 100 al 105 per ½ | dal 100 al 105 per % |
" |
141 |
" |
18 |
od idaete soltanto | od ideate soltanto |
" |
150 |
" |
10 |
i pseudonimo | il pseudonimo |
" |
193 |
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11 |
la detta linea via Ferdinandea | la detta via Ferdinandea |
" |
271 |
" |
11 |
senza necessità di piani inclinati | senza necessità forse di lunghi piani inclinati |
" |
286 |
" |
2 |
meritevoli di | meritevole di |
" |
292 |
" |
12 |
a Brà ed a Pollengo | a Brà ed a Pollenzo |
" |
294 |
" |
34 |
da questo aversi a diramare | da questa strada aversi a diramare |
" |
303 |
" |
6 |
gli Stati parmensi vogliano davvero | gli Stati parmensi vogliono davvero |
" |
323 |
" |
33 |
nel proposito sistema | nel proposto sistema |
" |
324 |
" |
26 |
sostengaasi ad | sostengonsi ad |
" |
328 |
" |
5 |
Quantunque i presenti futuri | Quantunque i presunti futuri |
" |
379 |
" |
14 |
gli assuntori | gli avventori |
" |
468 |
" |
12 |
prezzi occorrenti | prezzi correnti |
" |
477 |
" |
29 |
vietandone di tutti | vietando di tutti |
" |
484 |
" |
35 |
far capo dell'industria | far capo dall'industria |
" |
485 |
" |
8 |
le spese di costruzione dell'esercizio | le spese di costruzione e dell'esercizio |
" |
494 |
" |
28 |
contr'essi | contr'esse |
" |
495 |
" |
7 |
i lucri, che ne risulta | i lucri, si che ne risulta |
" |
ivi |
" |
26 |
già descritto al capo primo | già descritto ai Discorsi II e III ed al capo I.° |
" |
496 |
" |
13 |
la strada in discorso | le strade in discorso |
" |
497 |
" |
22 |
Questi sarebbero i quattro punti | Questi sarebbero, oltre a quello di Trieste, i quattro punti |
" |
520 |
" |
34 |
curiosi a notarsi | curiose a notarsi |
" |
524 |
" |
6 |
volume de | volume del |
" |
532 |
" |
28 |
, che è centralissimo | ; che è centralissima |
" |
538 |
" |
28 |
chiunque ne fa le sue funzioni | chiunque ne fa le funzioni |
" |
539 |
" |
26 |
il progetto detto statuto | il progetto dello statuto |
" |
551 |
" |
17 |
a passare | e passare |
" |
569 |
" |
18-19 |
tale a tramandare | tale da tramandare |
" |
573 |
" |
38-39 |
amico, mio più ingegnoso | amico mio, più ingegnoso |
" |
630 |
" |
40-41 |
essa venne recentemente conceduta | esso venne recentemente conceduto |
DELLE
STRADE FERRATE ITALIANE
E
DEL MIGLIORE ORDINAMENTO DI ESSE
Cinque Discorsi
DI
CARLO ILARIONE PETITTI
---
CAPOLAGO, 1845
-
IN CAPOLAGO |
IN TORINO | |
PRESSO LA |
PRESSO | |
TIPOGRAF. ELEVETICA |
GIUSEPPE POMBA e C. | |
COEDITORI |
- ↑ In un recentissimo libro: De la liberté du travail, ou simple exposé des conditions dans lesquelles les forces humaines s’exercent avec la plus de puissance: (3 vol. in-8. Paris, 1845), il signor Carlo Dunoyer ha, a nostro parere, giudicato col più sano criterio la vera civiltà antica e moderna, e ridotte alla intrinseca nullità loro molte esagerazioni o cose meno esatte scritte, anche da uomini chiarissimi, sulla civiltà medesima nelle due epoche. Vedasi il vol. 1, lib. IV, segnatamente al cap. IV.
- ↑ «Lo spirito italiano, posto una volta in moto, tosto rivolgesi verso il grande e l’utile». Mario Pagano, Saggi politici; Introduzione.
- ↑ L’«Italia», dice un moderno scrittore, «entra ora in una nuova età commerciale; ricondotto il commercio Orientale nel Mediterraneo, ella può e deve riprendere gran parte a quel commercio» ...
«Tutti han progredito o minacciano progredire; se non progrediamo noi pure, ci avverrà una seconda volta di peggiorare nelle nostre condizioni relative; e quindi secondo ogni probabilità anche nelle positive; qual che sia la nostra operosità presente noi perderemo anche questa, tutta, o in gran parte. — E come poi possiam noi progredire? Certo, non conquistando anche noi grandi colonie, chè non n’abbiam forza; non aprendoci nuovi mercati orientali, dove saremmo non solo ultimi ma sconosciutissimi; non isperando competere co’ nostri prodotti industriali, troppo rimasti indietro; nè co’ nostri agricoli, troppo scarsi e cari al paragone. Noi non abbiamo speranza buona di progressi commerciali, se non dalla nostra mirabile situazione in mezzo a quel Mediterraneo attraverso a cui s’è ricondotta, senza fatica nè merito nostro, la via del commercio universale. Per noi han lavorato, e lavorano tutti questi che riconducono il commercio Europeo-Asiatico (il massimo de’ commerci del mondo), nel nostro mare. Chi va e chi viene ci passa in vista, solca le nostre acque, tocca o vede i nostri porti. — Ma non c’inganniamo; veggiamo i vantaggi di questa nostra situazione quali sono, nè più nè meno. Essi non ci possono venire se non dalla vicinanza, che può fare i nostri prodotti più facili a spacciare in Oriente, i prodotti orientali più facili a spacciar da noi, e i porti nostri scali o depositi a chi va e viene; vantaggi dunque di esportazioni, di importazioni, di scali. Ma fra questi tre, il vantaggio solo dell’esportazioni si potrebbe forse serbare da’ paesi piccoli e disgiunti della nostra Italia; i due altri dell’importazioni e degli scali non si possono nè serbare nè accrescere se non invitando co’ mercati grossi e con gli approdi facili; i quali poi nè gli uni nè gli altri non possono essere se non in paesi grandi, ovvero in piccoli congiunti da una lega. Agli stranieri niun porto nostro non è mercato nè scalo necessario, non è se non facoltativo, e non sarà adoprato se non sarà mercato grosso e approdo facile; ed ai nazionali stessi, cui i porti nostri son mercati e approdi necessari, essi non saran buoni se non colle medesime condizioni. Finchè Otranto o Napoli non saranno se non mercati del Regno, finchè Ancona o Civitavecchia non saranno se non degli Stati del papa, Livorno di Toscana, Genova del Piemonte, niuna spedizione grossa si farà mai da o per Otranto, Napoli, Ancona, Civitavecchia, Livorno o Genova. Ma se ognuna di queste potesse essere mercato, deposito, transito, di tutta o molta Italia, certo vi moltiplicherebbe l’invito, l’approdo e per le navi straniere e per le nazionali; e moltiplicherebbero quindi, non solo le industrie, i commerci propri de’ luoghi di scalo o di transito, ma per effetto immanchevole, tutte le produzioni dell’industria e dell’agricoltura nazionale». - ↑ Vedi Mengotti. Commercio dei Romani, cap. 9, e tutta l’opera.
- ↑ Vedi Robertson, Recherches sur les connaissances des anciens sur l’Inde; sect. 3.
- ↑ Vedi Constant. Porphyrogenet. De Thamat., pag. 1458-83. — Procop., Historiæ.
- ↑ Vedi Tanucci, Storia dei tre popoli marittimi d’Italia. Vol. 1.°
- ↑ Possono vedersi, in prova di questa nostra asserzione, la Storia delle crociate del Michaud, e l’opera Sul commercio degli antichi del sig. Heéren.
- ↑ Vedansi Sarpi, Del dominio del mare Adriatico. Venezia, 1686. — Burgi, De dom. Reipubl. Januens. in mare ligustic. Rom., 1641.
- ↑ Sauli, Della colonia dei Genovesi in Galata. — Vincens, Histoire de la République de Gènes. — Serra. Storia di Genova.
- ↑ Vedasi Pardessus, Tableau du commerce, tom. 3. — Tanucci. Storia dei tre popoli marittimi.
- ↑ Vedi Robertson, Histoire de l’Amérique.
- ↑ Tanto più fondata la è questa lusinga, in quanto l’industria della navigazione, per la singolare, speciale idoneità di tutta la popolazione italiana, abitante le rive del Mediterraneo e dell’Adriatico, è, fra le varie industrie della penisola, quella che trovasi in men cattiva condizione. Anzi, dopo il 1814, in cui era ad ogni estremo di penuria ridotta, quell’industria, protetta dai rispettivi sovrani italiani, impiegata, di preferenza ad ogni altra, negli Stati esteri, risorse grandemente, ed ora presenta un numeroso navilio, con un personale numeroso del pari, come scorgesi al Documento N.°1, Quadro sinottico della marineria italiana.
- ↑ Vedi Del commercio dell’Italia colle Indie; Cenni storici e statistici ora per la prima volta pubblicati. Opuscolo in 8.° ― Livorno 1843, presso la libreria Niccolai-Gamba, stampato a Pisa da Raineri-Prosperi, tipografia dell’I.R. Università.
Codesto libro segna un quadro assai veridico ed esatto dell’argomento preso a trattare, e noi dobbiamo dichiarare d’essercene giovati assai in questa parte del nostro discorso. - ↑ Vedi il Morning Herald del 15 marzo 1841.
- ↑ Vedi il libro citato, pag. 60 a 63.
- ↑ Ecco l’itinerario che troviamo registrato negli Annali di Statistica di Milano riguardo al viaggio da Londra all’India.
Da Londra a Parigi Giorni N.° 1 Da Parigi a Marsiglia “ 3 Da Marsiglia a Malta “ 4 Da Malta ad Alessandria “ 4 Da Alessandria a Suez “ 3 Da Suez a Bombay “ 15 Totale giorni N.° 30 Per arrivare quindi a Calcutta vi vogliono altri giorni 13 Totale giorni N.° 43 Che sono appunto sei settimane Per arrivare però a Madras occorrono soltanto da Bombay altri Giorni N.° 7 Laonde da Londra a Bombay Giorni 30 Da Londra a Madras “ 37 Da Londra a Calcutta “ 43
Durate queste di tempo, le quali, confrontate ai sei o sette mesi di navigazione cui prima erano astrette le lettere ed i viaggiatori, come lo sono ancora le merci, presentano un’economia di tempo e di spesa dei 4/5, che si debbe presumere d’un immenso vantaggio pel traffico europeo coll’India. - ↑ Libro citato, pag. 70 a 77.
- ↑ Posteriormente la gazzetta di Torino, N.° 166 del 10 luglio 1845, ha annunciato, ignorasi con qual fondamento, essersi dal signor Waghorn inteso un definitivo trattato per condurre la valigia dell’india su battelli inglesi a vapore da Alessandria a Trieste, dove un apposito corriere, prontamente partendo, attraverso l’Alemagna e lungo il Reno, dovrebbe portarla ad uno dei porti del Belgio. Da Trieste a Londra la valigia dovrebbe mettere sole cento ore, poco più di quattro giorni. Così sarebbe dalla posta inglese abbandonata la via da Marsiglia ad uno dei porti della Manica, e per abbreviar certo il tempo, e forse anche per aver meno dipendenza dalla Francia, malgrado il cordiale intendimento che passa tra i due governi.
- ↑ Vedasi quella relazione e l’unita citata ordinanza al Monitore universale di Francia.
- ↑ Possono vedersi su questa vertenza alcune lettere del nostro amico il chiarissimo abate Baruffi, caldissimo promotore della restrizione delle quarantene, inserite nel giornale il Messaggiere Torinese.
- ↑ È noto che durante l’occupazione francese l’ingegnere LePère, guidato dalle indicazioni lasciateci da Erodoto, da Strabone, da Diodoro Siculo, da Plinio, da Ptolomeo, come da Quinto Curzio, e dallo storico arabo Elmacin, accertò l’esistenza d’un antico canale che univa il mar Rosso al Nilo, dapprima da Menfi fino a Climas, cominciato dal gran Sesostri; e nel seguito per opera e cura di Dario, figlio d’Istaspe, e di Ptolomeo Filadelfo, che lo fece compiere, dal ramo Pelusiano del Nilo sotto a Bubaste, non lungi dal Delta, fino ad Assinia, città situata sul punto più settentrionale del Golfo Arabico, attraversando il lago Amaro.
La grand’opera della spedizione d’Egitto, fatta pubblicare dal governo francese, contiene la relazione del Le Pére, ed i suoi progetti di ripristinamento dell’antico canale, per cui a suo credere avrebbe bastato la somma di diciasette milioni di franchi. Della quale valutazione è lecito dubitar grandemente, quando si facesse un canale come l’antico, così largo e profondo da porgere non solo l’accesso alle navi di maggiore portata, ma anche da permettere il cambio di esse nell’andare e venire da Suez a Pelusium.
L’apertura d’un vasto canale è più desiderata non solo dai naviganti, ma anche dai molti governi nel rispetto politico, perchè si reputa quello più comune all’universale, e meno soggetto alle influenze d’una politica preponderanza, la quale venisse a rendersi padrona della strada ferrata.
Egli è a questo fine che voglionsi appiccate pratiche col bassà d’Egitto per l’apertura in discorso. Ma oltre all’immensa spesa che certo sarebbe per derivarne, ripetesi che la difficile conservazione, della quale l’antico canale, dalle sabbie invaso, ci porge esempio, è in un’epoca, come la nostra, positiva, un ostacolo insuperabile; ondechè prevarrà certamente, a nostro credere, la via ferrata. — Oltre all’opera predetta Expédition en Égypte, ed agli storici antichi preallegati, ove si voglia più a lungo studiar l’argomento vedasi la memoria del dottore Labat, Route de l’inde par l’Égypte et la mer Rouge, e l'Essai sur le commerce des anciens dans l'Inde del medesimo; e vedasi ancora Voyages du maréchal duc de Raguse. Da ultimo Apercu général sur l'Égypte par A. Clot-Bey, vol. 2, pag. 491 a 499. Opera questa, la quale, se ingannò molti per certi rispetti, in quello da noi trattato resulta esatta quanto alle indicazioni. - ↑ Scialoja: Les principes de l’économie sociale exposé selon l’ordre logique des idées. Un vol. in-8°, Paris 1844. Un altro Italiano, A. Blanqui, sebbene or fatto francese, avea scritto prima: «Le caractère distinctif de l’école économique des Italiens consiste principalement dans leur manière large et complexe d’envisager les questions. Ils ne s’occupent pas de la richesse sous le point de vue abstrait et absolu, mais sous le rapport du bien être général. Ils considèrent l’homme comme l’objet perpétuel de leur sollicitude et de leur étude. Ils sont publicistes autant qu’économistes». (Histoire de l’économie politique, chap. 44)
- ↑ «Le strade ferrate ingenerano una felice rivoluzione nelle industrie,ne’ commerci, nelle arti, ed agevolano in modo portentoso la feconda corrente del ben essere universale ....Se l’impresa d’una strada ferrata manca o si dilaziona, ecco una somma d’interessi o tradita o compromessa». (Opuscolo di Jacopo Pezzato, 1841).
«Ce que la guerre a fait à une autre époque, les voies de communication, et surtout les chemins de far aident à le faire de nos jours, aree cette différence qu’après avoir mis les peuples en contact, ils les laissent unis.
» Il n’est pas en effet d’étément civilisateur qui l’emporte en influence sur les chemins de fer. Par eux des rapports intimes, quotidieus, sont établis entre les populations rurales et urbaines; les premières participent davantage et de plus près au mouvement intellectuel des villes.
» Par les chemins de fer l’alliance des peuples devient presque indissoluble. La paix permet de construire ces voies nouvelles; elles consolident la paix, et si jamais le rève du bon abbé de Saint-Pierre vient à se réaliser, c’est principalement aux chemins de fer que l’Europe le devra»
» Le temps des guerres d’opinion est passé; bientót les guerres d’intérét ne seront pluspossibles par suite de la fusion de ces mêmes intérèts; comment ne pas se laisser dominer par cette idée, lorsqu’on voit quel changement s’est opéré dans les dispositions réciproques des peuples. Au lieu des rivalités nationales, qui ont fait couler des torrents de sang et arrété si souvent dans tous les pays l'essor de la prospérité publique, on voit les peuples se prêter mutuellement secours.
» Il y a moins d'un siècle, l'Angleterre s’unissait aux Provinces Unies pour faire fermer l’Escaut; en 1831, et en 1839, la Belgique a trouvé à Londres de chaleurenx défenseurs de la liberté pleine et entière de ce fleuve.
» Il n'a pas dépendu de la marine anglaise que dans les guerres de l’Empire, le Havre et Marseille ne fussent détruits; maintenant les capitalistes de Londres et de Liverpool concourent puissamment à la construction des chemins de fer de Paris à Rouen et au Havre, et de Paris à Lyon et è Marseille..*.. Immenses resultats du triomphe de l’intelligence sur la force; de la raison sur les passions; des intéréts des peuples sur l’amour propre des gouvernements». (Des chemins de fer belges, mémoire par M. E. Perrot, membre de la Commission centrale de statistique belge. — Bulletin N.°11, 1844.) - ↑
Chi volesse maggiori particolari su questo argomento può consultare l’articolo tratto pel chiarissimo signor Bardet, dal volume 49 della Penny Ciclopaedia of the Society for the diffusion of Useful knowledge, ed inserito nel volume 46 dell’Antologia militare di Napoli.
La velocità media delle strade ferrate, non comprese le fermate, può ritenersi di 48 kilometri all’ora, pari a circa 26 miglia italiane di 60 al grado. Ecco quella d’alcune strade inglesi registrata:Northom and Eastern migl.ingl. 36
met. 57.771 migl.g.e 31.2 circa
Great - Western "
33
"
52,957 "
29.1 Newcastle-and-North-Sields "
30 "
49,142 "
28.6 North-Midland "
29 "
46,538 "
25.1 Birmingham-and-Derby "
29 "
46,538 "
25.1 Midland Counties "
28 "
44,931 "
24.3 Chester-and-Birkenhead "
28 "
44,931 "
24.3 London-and-Birmingham "
27 "
43,328 "
23.4
E quanto al buon mercato del trasporto nel Belgio, dove sono le men care tariffe, un viaggiatore percorre 20 kilometri di strade ferrate (circa 14 miglia italiane) con un franco e 76 centesimi ne' posti di prima classe, con un franco in quelli di seconda, e con soli 76 cent in quelli di terza classe.
(Da un prospetto generale dette strade ferrate in Europa annesso al Compendio di geografia di Adriano Balbi, IV.4 edizione italiana, 1842; Napoli, pag. 1221, vol 1,°).
Ecco come il signor Cordier, persona autorevole nella materia, lodando nella Camera dei deputati di Francia le vie ferrale in un discorso detto il 5 giugno 1846, parla della velocità dei convogli e dei pericoli cui sono esposti.
«La vitesse des convois spéciaux et journalier sur les principales lignes de l'Angleterre est déjà de 60 milles à l’heure, les temps d’arréts déduits, ou de 40 milles sans cette réduction, ce qui donne par heure 20 lieues ou 16 lieues dans l’un et l’autre cas»......
Les accidents de voyage sont moins nombreux sur les chemins de fer qne par les dlligences sur les grandes routes: en Àngleterre on a constaté que sur 538 personnes mortes ou blessées en voyage en diligence, à cheval, ou par Rail-Wayl dans une année, le nombre des accidens sur les Rail- Wayls, n’a pas dépassé 109 ou le cinquième. Mais le nombre des voyageurs étant trois fois plus nombreux qne par les antres modes de transport, il en résulte que les chances d’accident sont quinze fois moindres sur les chemins de fer qu’en diligence, en chaise de poste, ou à cheval sur les grandes, routes». (Vedi Moniteur Universel, 6 giugno 1845, N.° 157).
Intorno alla parte tecnica delle vie ferrate, ad istruzione anche de' non periti, vedi Memorie sulla costruzione delle strade ferrate dell'ingegnere S. Realis. (Un vol. in-8.°, Torino,1844, Stamperia Reale);— Encyclopédie des chemins de fer et des machines à vapeurs, à l'usage des praticiens et des gens du monde, par Félix Tourneux, ingénieur, ancien élève de l'école polytechnique. (Paris, un vol. in 12; Joles Renouard et comp., rue de Tournon, N.° 6, 1844); — Manuel des chemins de fer (Collectton des Manuels de Roret).
Abbiamo creduto dover far cenno soltanto di questa scoperta, da molti però combattuta, e sostenuta più dispendiosa invece; poiché documenti officiali le attribuiscono qualche probabilità d’esito. — Molte altre tuttavia se ne son fatte ancora, o si van facendo, le quali forse muteranno ancora la presente già così progressiva condizione di cose. — Ma la più portentosa fra le moderne scoperte, non relativa invero alla locomozione, ma di cui le strade ferrate furono occasione, la è quella de’ telegrafi elettro-magnetici, ora in più luoghi già attuata. I telegrafi del Chappe ed altri già si reputavano un grande mezzo di governo per la pronta trasmessione delle notizie ed ordini, che in pochi minuti percorrono immense distanze, e giungono così più efficaci ed opportune. Ma restava sempre l’ostacolo dell’impedimento della notte, e de’ tempi nebbiosi o burrascosi, ne' quali non è dato dall'una all'altra stazione di vedere i fatti segnali.
I nuovi telegrafi elettro-magnetici sembrano non essere da tali ostacoli arrestati.
È noto che gli sperimenti fatti al proposito nella Gran Brettagna ed in Francia sortirono l’esito più favorevole, al seguito del quale il governo francese già ha dato l’ordine di stabilire in tal modo taluna delle sue linee telegrafiche.
È noto del pari che in Inghilterra l’industria privata si è pure accinta a speculare al proposito, coll’ordinare a pubblico servizio, mediante un dritto da corrispondersi da coloro che vogliono usarne, cotesto istantaneo modo di comunicazione.
Così Londra, Liverpool e Manchester, in breve posti tra loro a corrispondenza, non solo con vie ferrate, ma con telegrafi elettro-magnetici, potranno colla immensa velocità delle relazioni grandemente accrescere e bonificare i propri già immensi traffici. - ↑
Vedansi i recenti riscontri pubblicati dalla Giunta incaricata d’investigare i meriti del sistema atmosferico (25 di aprile, 1845). Le conclusioni di quella Giunta, sebbene non ancora definitive, perchè meglio vuolsi ancora chiarire la cosa, sono tuttavìa assai favorevoli al detto sistema. Vedi il rapporto d’essa giunta, pubblicato in Torino dalla Stamperia degli Artisti, nelle lingue inglese ed italiana» - ↑ Noi chiameremo in questo nostro discorso costruzione la compita esecuzione delle opere e provviste, consistenti: quelle, nell’occupazione e pagamento dei terreni; — nel tracciamento, spianamento ed apertura della linea stradale; — nel collocamento delle armature in legno ed in-pietra che debbono sostenere i cuscinetti e le ruotaje in ferro; — nella costruzione de’ ponti, viedotti, acquedotti, gallerie o tunnel, ecc., che sono occorrenti, onde la strada proceda quanto più è possibile piana e retta, con pendenze minime e con tenui risvolti; — finalmente nella costruzione d’ogni casamento necessario ad un bene ordinato servizio: — queste poi, le provvista cioè, nella compra del materiale necessario ai Trasporti lungo la strada; cioè locomotive, tenders, carrozze, carri, waggons, ecc. — Chiamiamo poi esercizio della Strada (in Francese exploitation) l’ordinamento sur essa del detti trasporti, e l’esecuzione di questi. Quindi comprendiamo negli atti dell’esercizio i ristauri d’ogni specie alla strada ed ai suoi edifizi; le riparazioni al materiale che serve ai traporti; il pagamento e la direzione degli agenti che ne sono incaricati; la compra del carbon fossile ed altre occorrenze necessarie alla locomozione, come qualunque cautela di sicurezza.
Noi preghiamo poi il benigno lettore d'avvertire, che se ci serviremo di alcuna denominazione meno italiana forse, vi fummo risolti dal pensiero di adottare i termini d’uso più comune nella soggetta materia.
Ancora; noi non pretendiamo d’intraprendere alcuna discussione tecnica; l’opera nostra è scritta nel solo rispetto economico ed amministrativo. — In questo solo abbiamo studiato l’argomento preso a trattare. Quanto alle quistioni tecniche, noi dichiariamo lasciarle intere ai periti; ben inteso che crediamo appartenere all’economista, allo speculatore ed all’uomo di Stato di valutare l’intrinseco delle decisioni loro colle regole del ben inteso sì attuale che futuro presunto tornaconto, non ommesse altresì per ultimo le politiche considerazioni, le quali dovendo, massime se si tratta di nazionale indipendenza, talvolta ad ogni altra prevalere, possono per avventura consigliare l’abbandono di qualche vantaggio, anche essenziale, pel maggior numero.
Cotesto però, notiamo, sarà ognora un caso rarissimo, perchè la sana e ben intesa polìtica sempre conciliasi coi ben intesi interessi attuali o futuri dei sudditi. - ↑ L’intervento del concorso governativo nell’Inghilterra, ed ancora per poche strade soltanto e meno importanti, si è ristretto ad alcuni prestiti fatti alle società che le intrapresero.
- ↑ Può vedersi nella classica opera del Chevalier, Sui lavori pubblici dell’America del Nord, con quali immense proporzioni siano ordinate le strade ferrate negli Stati-Uniti.
Parlando solo delle strade inglesi, raccogliesi dai dati statistici riuniti,che le linee d’esse nel 1842 erano in numero di 40
percorrenti la lunghezza totale di miglia inglesi 1400
che costarono tra tutte l’ingente somma di lire italiane 1,456,268,739.-
al costo medio per kilometro di .... » 400,000.-
che rendono di lordo ....» 100,000,000.-
di netto.... » 50,000,000.-
che la rendita media tra tutte è del 3 per % ma che alcune rendono fino al 10 per %,mentre poche altre appena rendono l’1 per %.
Che nel 1842 sette erano interamente terminate; — quindici resultavano perdenti; — dodici erano al pari: — sei conseguivano largo premio nel valore al corso delle azioni loro.
(Vedi Daru, Des chemin de fer, et de l’application de la loi du 14 juin 1842, 1 vol. in-8.° Paris, 1843, pag. 360 — Rail-Way Time, 26 luglio 1842).
Porgiamo quest’indicazione, appena approssimativa, per dare un’idea dell'immensa impresa cui l’industria privata si è colà accinta, e provare cosi, ch'essa non può servire di punto di paragone o d'esempio ad altri luoghi.
Alcuni autori differiscono in meno da cotali dati Statistici, forse perchè le opere loro sono di più antica data.
(Vedi Bineau, Les chemins de fer anglais, 1839. Paris, 4 vol. in-8.°).
Altri riscontri invece più recenti (Journal des économistes. mai 1844, n.° 3, pag. 153), offrono indicazioni diverse ben maggiori; certamente superate ancora mentre scriviamo (maggio 1846), perocché ogni anno nuove concessioni creano, altre linee.Allora (1844) le dette linee inglesi erano in numero di 55
percorrevano l'estensione di kilometri 2786
aveano costato lire italiane 1,447,875,000,-
Il Cordier, nel già citato discorso riferito dal Monitore Francese 6 giugno 1845, dice a questo proposito: «En Angleterre cent lignes de chemins de fer sont achevées, et quatre-vingt-quinze demandes de nouveau chemin sont soumises au Parlement; bientôt l'Angleterre possédera un reseau de chemins de fer plus complet que les grandes routes ordinaires dans la plupart des autres empires. Il n’est pas un port, pas une ville de fabrique qui ne possède son embranchement; et on doit attribuer à ces entreprises le développement extraordinaire des prospérités de la grande Bretagne»
Tutte quelle strade furono intraprese e sono esercitate ad intera cura, spesa e profitto dell'industria privata.
Le ottime speculazioni di molte società concitarono per tal modo la pubblica opinione in fatto di strade ferrate, che ad ogni sessione del Parlamento si presentano nuove domande di concessioni, nell’accordare le quali il governo accorda men larghi patti, onde impedire i soprusi.
L’entusiasmo per le vie ferrate non si esercita e spiega soltanto nella Gran Brettagna. Le sue colonie delle Indie orientali ed occidentali vanno esse pure ad esserne dotate. — Una relazione del S. M. R. Macdonald-Stephenson fatta alla compagnia delle Indie suddette presenta un progetto di strade da Bombay a Calcutta. — Un altro ingegnere, S. Vignoles, fece anche altri progetti, che sono ora in discussione. — Al Canadà ed in altre colonie inglesi dell’America si pensa a costrur strade ferrate, attalchè può’ dirsi che il nuovo trovato, penetrando dovunque sono uomini inciviliti, promette d'estendersi per modo, che poche saranno le contrade cui sia, entro qualche tempo, ignoto il medesimo.
Secondo il suddetto signor Cordier già deputato, or Pari di Francia, distinto ingegnere, il quale pubblicò anche un libro assai pregevole sulla materia (Considérations sur les chemins de fer), nel già citato suo discorso alla Camera dei Deputati, sono al momento intraprese ed in massima parte finite le seguenti tratte di via ferrata:Inghilterra Leghe 1300 Stati Uniti d'America » 2200 Germania » 820 Belgio » 240 Lo stesso oratore, celebrando l’utilità delle vie ferrate, aggiugne: « Un bon chemin de fer procure en 18 ans aux ville qu’il unit et au pays qu’il traverse un bénéfice résultant de l'économie de transport, doublé du capital dépensé peur son exécution. Par exemple le chemin de fer de Manchester à Liverpool de 48 kilomètres de longueur donne un économie annuelle
de frais de transport sur les marchandises de 1,500,000 et pour les personnes 2,500,000
Total par an 4,000,000
Et pour les 18 ans depuis l'ouverture 72,000,000 Il a couté 37,000,000 Le bénéfice obtenu par le public est donc déjà double de la dépense totale de sa construction, et sans tenir compte des intéréts du 12 p. °/o par an que les actionnaires retirent de leurs actions, ou avances. » Les divers chemins de fer de l’Angleterre ayant
déjà couté » 1,200,000,000 Et étant d'une valeur actuelle de » 1,800,000,000 d’après le prix courant des acttions, on peut évaluer à » 2,000,000,000 les profits que le pays aura réalisés en 20 ou 3O ans par l'influence de ces voies nouvelles. » L’économie de temps est bien plus précieuse encore que celle d’argent Elle a même de la valeur quant au transport des marchandises sur le chemin de fer de Manchester à Liverpool. Le temps épargné par tous les voyageurs en raison de la plus grande vitesse
est par an » 400 ans et pour 18 ans de » 7200 ans (Vedi Moniteur Universel, 6 giugno 1845, N.° 157).
- ↑ Si è creduto inutilmente di porre un freno al monopolio de' trasporti, col dichiarare in alcune concessioni lecito ad altri anche di percorrere le strade con un materiale proprio, e solo doversi in tal caso pagare un pedaggio per raccordato passo.
Cotesto temperamento, riuscito per alcune vie, le quali erano costrutte in continuazione delle altre, perchè allora era reciproca la convenienza di scorrerle ad ognuna delle società concessionarie, non potea a modo alcuno attuarsi da società che non avessero concessioni, e solo pretendessero servirsi d’un materiale proprio, usato mediante il pagamento del pedaggio preallegato. Imperocché è chiaro che l’aggravio di questo, la mancanza di edifici onde assicurare il servizio, le difficoltà che la società concessionaria può frapporre al corso regolare de’ convogli altrui, pretendendo che prevalgano i propri, sono tanti ostacoli che rendono del tutto illusoria la detta facoltà riservata pe’ Bill inglesi. — Nell’America però, d’onde prendevasi tal idea, vuolsi che sianvi esempi della pratica d’essa. - ↑ Egli è forse il timore di veder prevalere quest'idea, che recentemente mosse alcune di quelle società a ridurre le proprie tariffe.
- ↑ Nella terza lezione del suo Corso d'economia politica (1842-43, secondo volume) il Chevalier lungamente tratta della concessione intera de’ pubblici lavori all'industria privata libera. Ivi egli dimostra come l’esempio dell'Inghilterra invocato da coloro che più sono favorevoli a quel sistema, sia più effetto dell’ordinamento politico della società civile in quell’isola, dove un'aristocrazia potente, sospettosa dell’influenza maggiore che potrebbe acquistare il governo, se ritenesse a mani proprie la direzione di que’ lavori, ebbe l’arte d’impadronirsene, e di fondare la teorica della poca attitudine de' governi a regolarli con buon successo.
Cotesta teorica il Chevalier dimostra erronea per la Prancia ed altri Stati, in cui l’amministrazione pubblica attiva è all’incirca somigliante a quella francese.
Nelle successive lezioni 4.a, 5.a, 6.a e 7.a il Chevalier, dopo avere vittoriosamente confutati gli argomenti addotti contro il detto intervento governativo ne' pubblici lavori, collo spirito eclettico, che in molte parti delle opere sue rifulge, dimostra come cotesto intervento, per azione diretta e propria, e col meno indiretto de’ sussidi da lui, come da noi classificati e giudicati, siasi utilmente praticato in molte parti dell’Europa, nonché dell’America Settentrionale.
Sono degni di serio esame gli argomenti dal Chevalier addotti in questa parte, e noi li raccomandiamo agli uomini di governo come agli speculatori, poiché provano che la savia combinazione de’ varii modi di praticare cotesto intervento, occorrendone talvolta il caso, coll’esercizio libero dell'industria privata, fa conseguire felici resultamenti. - ↑ V'ha chi oppone ala richiesta di codeste cautele, ch’esse possono allontanare la concorrenza d’arditi speculatori ed ingegneri celeberrimi, cui per avventura potrebbero pesare così minuti rendiconti, la compilatione de’ quali per lo meno porterebbe seco una più tarda spedizione della pratica.
Allegasi in prova, che nelle strade ferrate inglesi, belgiche e francesi costrutte non si procedeva con tante cautele, ed adottalo un progetto in massima, con calcoli approssimativi, nel corso de’ lavori era fatta facoltà agli ingegneri di fare le modificazioni credute convenienti, onde ne avvenivano varianti molte, ed aumenti notevoli di spese. — Quanto alle strade fatte per conto di società perpetue, senza alcun sussidio governativo, rispondiamo: che quando queste pongano illimitata confidenza nel proprio ingegnere, non è a ridir cosa alcuna; perocché questo è dal suo mandato autorizzato alle variazioni che stima convenienti. — Quanto alle strade fatte per conto de' governi, il rendiconto coi ogni ordine gerarchico d’amministratori e di periti è tenuto, può bensì essere reso più semplice, ma non si può prescindere dai voluti controlli.
D’altronde, terminando, diremo: nei paesi di pubblicità intera possono concedersi arbìtri, che non sarebbe prudente accordare là dove quella pubblicità non esiste, e perciò, mancando il controllo di questa, richiedonsi quelli governativi. - ↑ Vedi il documento N.° 2. — Riscontri successivi, che vedonsi ne’ pubblici fogli, dimostrano fondato il vaticinio nel primo semestre del 1845, i prodotti essendo ancora notevolmente cresciuti.
- ↑ Alcuni esempi di domande di concessioni ad intero rischio e pericolo de’ proponenti, che notansi fatte nella Penisola, non ci rimuovono dalla nostra opinione: ossia che quelle domande derivino da ottimi cittadini, mossi soltanto dal lodevole desiderio di procurare alla patria loro taluna di quelle strade; ossia che derivino da speculatori del paese, i quali colgano l’occasione dell’ardentissimo pubblico vota di tosto avere le strade anzidette per crear società, nelle quali non dimenticano il solito prelevamento delle azioni beneficiarie, che possono chiamarsi l' antipasto dell'aggiotaggio, quando non sono ristrette alla somma meramente necessaria alle prime spese di perizia e di ordinamento della società.
Quando poi cotali proposte, fatte senza alcuna condizione di sussidio, provengono da lontani speculatori esteri, i quali proferiscono larghissime offerte di capitali, come se ne ha l’esempio, e senza nè manco conoscere le condizioni di tempo, di luogo, di cose e di persone che sono dove occorre operare: noi crediamo che la speculazione volge con molta probabilità alla sola mira d’aggiotaggio da praticarsi bensì alle borse estere piucchè alle nostre, ma col pericolo eziandio d'introdurlo nello Stato medesimo, finora serbatosi illeso da quella piaga morale ed anche economica delle odierne società.
Vi sono, è verissimo, eccezioni di casi speciali, ed una principalmente se ne presenta negli Stati Sardi, della quale parleremo a suo luogo, in cui la speculazione ha molta probabilità di riuscire così vantaggiosa da escludere in parte il detto pericolo. — Ma in generale può dirsi che il maggior numero di quelle domande per speculazione tutta fatta alla ventura, nasconde anzidetto pericolo. Laonde crediamo essere preciso dovere de’ governanti d’accogliere con molta riserva cotali domande; — di verificare accuratamente le condizioni in esse proposte; — d’accertare colla maggior possibile esattezza se i mezzi di cui s’afferma poter disporre esistano in realtà; — di richiedere severamente le più sicure cautele, e di non lasciarsi sedurre dalle replicate sollecitazioni, nè illudere da giganteschi progetti, nè spaventare dalla pubblica impazienza; ma giudicare ogni proposta con freddo, sano ed illuminato criterio. - ↑ Oltre a tal modi di concorso à sussidio di tali imprese, i governi le secondano ancora con favori daziari od altri; — per esempio di gratuita introduzione del materiale necessario alla strada, senza pagamento di dritti doganali; — di trasporti privilegiati di lettere, derrate regali o di truppe ad un minor prezzo favore però; — d’esenzione de’ dritti di mutazione di proprietà per l’acquisto de’ terreni; — di concessione gratuita d’essi, talvolta accordata dal Demanio, se propri; o per concorso suo, o delle province, o de’ Comuni, se de’ privati; od anche de’ privati medesimi, onde facilitare l’impresa; — coll’abbandono a favore d’essa di pedaggi e gabelle vigenti, o che si sopprimono; — Finalmente col privilegio dell’espropriazione per causa di pubblica utilità de’ terreni da occupare. Questi favori concedonsi anche senza gli altri concorsi de’ quali si va far parola.
- ↑ Nell'esame che facciamo crediamo inutile entrare in maggiori particolari intorno ai luoghi dove più singolarmente ognuno di que’ modi o praticato poiché tropp’oltre si prolungherebbe perciò il nostro discorso. Solo occorre notare che questi quattro modi di concorso tutti vennero in Europa usati. — Le sovvenzioni più in Germania ed in Francia. Il prestito solo in Inghilterra, e cogli altri modi anche in Francia e Germania. L’acquisto di azioni nelle due contrade pure, ma più nell'ultima. L’assicurazione invece di preferenza nella prima. In Italia ninuo finora di tal concorsi vennne adottato, e solo furono conceduti alcuni favori dziari, i quali lavori noteremo incidentemente, sono in sostanza un sussidio, il quale riesce ben poco gravoso a que' governi che lo concedono; perocchè è facile comprendere che l'esenzione de’ dazi conceduta consiste nell'abbandono d’un prodotto fiscale, il quale non sarebbe altrimenti riscosso se non si mandasse ad effetto l’impresa; ond’é che ci pare doversi ridurre alla vera consistenza loro tali concessioni, in certi luoghi fatte suonare troppo alto, come una grande liberalità
- ↑ Così, per esempio, è succeduto alla strada da Parigi ad Orleans, il cui prodotto netto dì oltre l'8 per %, è più che doppio del frutto minimo; che il governo avea assicurato.
- ↑ Daru, pag. 211 e seguenti.
- ↑ Cours d’économie politique au Collège de France; 2 vol., Paris, 1842-43, huitième et neuvième lecons.
- ↑ Vedasi al capitolo VI il calcolo relativo fatto dal sig. M. Chevalier, parlando dei vantaggi delle vie ferrate del Belgio, relativamente all'economia che ne deriva ai privati.
- ↑ "On s’est beaucoup occupé d’agiotage dans ces dernières années. — L’agiotage est voisin de la spéculation, mais il ne doit pas étre confondu avec elle; il n’en est que l’abus. "La spéculation proprement dite est légitime, c’est le jeu qui ne l'est pas. Celui-là n’est pas un agioteur qui prendra un intérét dans une entreprise, sous forme d’action, même avec la pensée avouée de s’en défaire au bout de plusieurs années, lorsque, par l’effet du développement régulier des affaires, ces actions auront éprouvé une hausse. Il est un spéculateur habile ou maladroit, heureux ou malheureux, mais il reste irréprochable devant la loi et devant la morale publique". L’agioteur est celai qui place ses capitaux sur les flote mobiles de la bourse, décidé à vendre ses titres d’actions ou de rentes dans le plus bref délai, lorsque par effet de quelque machination, dont il est le complice ou le fauteur, ces titres auront éprouvé une hausse factice. Il donne ainsi à ses opérations à peu près la durée d’une partie à la roulette. A peine les a-t-il entre les mains qu’il s’efforce de s’en dessaisir comme si cela brulait. Celui-là seul mérite le nom de loup cervier, prononcé, il ya quelques années, du haut de la tribune; car il vit au dépens des dupes, il se nourrit de la crédulité publique. Cela posé il est facile de se convaincre que le système de la garantie d’un minimum d’intérét favoriserait la spéculation honnête, tandis que celui de la subvention serait plutôt favorable à l’agiotage». ( M. Chevalier, Cours d’économie politique, 1842-43, leçon huitième, pag. 164). Il giornale francese dei Débats del 22 marzo 1845, ed in alcuni dei successivi numeri, si fece in sostanza pur troppo il difensore dell’aggiotaggio, trattando della questione proposta alla Camera dei Pari dal signor conte Daru, di frenarlo con una legge. Sostenendo impossibile d’impedire il giuoco di borsa, nell’evidente flagrante inosservanza delle leggi attuali; che tendono a prevenire l’abuso delle speculazioni illecite il giornalista ha confessato un’impotenza governativa, molto immorale e dannosa.
- ↑ Cotesti controlli, infatti, vedonsi stabiliti là dove quel modo di concorso è usato; e, per tacere di molti, possono indicarsi quelli fissati da due ordinanze del re de’ Francesi del 20 dell'ottobre del 1843, per controllare l’esercizio delle due strade dì Orleans e di Strasburgo, sussidiate, la prima, con una garanzia dell’interesse minimo del 4 per %, la seconda, con un prestito di 12 milioni di franchi al 4 per %. (Vedi Moniteur universel del 21 novembre 1843.)
- ↑ A chi volesse meglio studiare ancora la materia nel rispetto della garanzia dell’interesse minimo, si consiglia inoltre la lettnra dei seguedti opuscoli francesi: Vues politiques et pratiques sur les travaux pubilics de France, par MM. Larné, Clapeyron, Stéphane et Eugène Flachat (1832). — Du meilleur système à suivre pour l’exécution des travaux; publics; et Appendice au meilleur système à suivre, etc., par M. Bartoloni; 1838.
- ↑ Vedi Daru, pag. 13, 40 e 17 ed altrove nel corso dell’opera intera, essenzialmente diretta a dimostrare gl’inconvenienti di quella legge organica
- ↑ Recentemente questa disposizione della legge del 184® venne derogata.
- ↑ Fra cotesti abusi, é specialmente da notar quello del furente aggiotaggio, ch’essa legge ha svegliato nuovamente alla borsa.
Prima del 1838 avevasi una crisi funesta pelle molto società in accomandita formatesi per azioni al proposito di progetti di strade ferrate, e la rovina del maggior numero d’esse società sembrava aver fatti cauti gli avventori all'acquisto delle azioni, le quali erano diventate per lo più di nessun valore.
Ma promulgata la legge del 1842, l'azione ch’essa favorisce delle compagnie, collo stabilire concedersi ad esse l’impresa di terminar le strade preparate pe’ 3/5 a spese del governo, e di esercitarle, fu una sì propizia occasione di speculare sull’aggiotaggio per le speranze apparenti di lucro che porgeva, che i giuocatori della borsa non mancarono di abbandonarvisi col più gran calore. Progetti innumerevoli quindi tosto emanarono, e più d’uno pella stessa strada. Veduti raccolti alcuni nomi onorevoli, sedotti dal desiderio di procurare al paese le nuove vie, il pubblico francese, dimenticate tosto le passate rovine, si abbandonò con furore all’acquisto delle azioni delle nuove società, molte delle quali neppure sognano la reale esecuzione detta proposta via che serve loro di tema o di pretesto soltanto per giuocare alla borsa, speculando sull’alto e basso prezzo delle azioni, il di cui acquisto è facilissimo perocchè le prime poste sono appena di poche lire per centinaio. Il conte Daru, già citato, giustamente indegnato di sì scandalosa immoralità, proponeva, come già si è detto, alla Camera dei Pari, della quale è membro, una legge tendente a troncare il male dalla radice, vietando sotto gravi pene la formazione di società anonime prima che emani la legge di concessione della strada. Bisogna leggere la sposizione de’ suoi motivi per vedere a qual punto d’impudenza, e d’immoralità sia colà giunto l’aggiotaggio.
Il signor Teste, relatore della commissione incaricata di esaminar la proposta, dopo avere, con parole ancora più eloquenti, descritto il giuoco sfrenato ed impudente che ha luogo alla borsa di Parigi, malgrado i divieti già vigenti, facilmente delusi, non convenne però col proponente nell’accogliere il da esso divisato divieto d’emettere azioni prima che si promulghi la legge di concessione, riconoscendolo bensì più efficace di qualunque altra disciplina, ma temendo che troppo ei potesse nuocere allo spirito d’associazione. Laonde altre cautele propose, colla fiducia di poter frenare l’abuso senza l’accennato pericolo. — Noi non possiamo dividere il parere del signor Teste; e crediamo che le ragioni date dal signor conte Daru e le proposte di lui fossero le sole da aversi per buone su tale argomento. Gl’ingegnosi ragionamenti della relazione del signor Teste (vedi Moniteur 21 marzo 1845) possono benissimo avere peso, giudicati coi soli canoni dell’economìa politica professata dalla scuola oltramontana, la quale più pensa alla produzione, che alla moralità di essa. Ma secondo le dottrine della scuola italiana, la quale più pensa ancora alla moralità delle speculazioni, d’altronde neppure utili in buona economia allo spirito d’associazione, se debbono poi partorire rovine e nulla più, noi non crediamo possa farsi una buona, legge veramente efficace, se non contiene la disciplina preventiva proposta dal conte Daru. D’altronde crediamo difficile che si riesca in Francia a temperare l’abuso di quello e d’altri aggiotaggi. Posciachè, se vediamo alcuni uomini generosi insorgere per frenarli, d’altra parte osserviamo che moltissime sommità delle Camere e del potere, figurano tra i primi attori di que’ giuochi, i quali sono oggimai pelle classi civili sostituiti a quello del lotto. È noto, del resto, che le proposte dei signori Daru e Teste vennero dalla Camera dei Pari francese ugualmente reiette. - ↑ Cotesta ultima vertenza, come vedremo al discorso III, capitolo 5.°, solo venne praticata finora nella Penisola dal governo sardo.
- ↑ Eran già scritte queste parole quando nuove peripezie vennero nuovamente a turbare la società, come vedremo al capitolo 2.° del discorso II.°; qualunque ne possa esser l’esito, esse però non impediranno il prossimo compimento della strada, i cui lavori non son perciò ritardati.
- ↑ Vedi Tableau de l’état actuel et des progrès probables des chemins de fer de l’Allemagne et du Continent européen. Un vol. in-8.°, Paris, 1842, del Pari di Francia, signor Bourgoing.
- ↑ Vuolsi attribuire gran parte del merito di siffatti illuminati provvedimenti all’attuale egregio e chiarissimo ministro delle finanze dell’impero, S.E. il conte di Kubek, presidente dell’imperiale real Camera aulica, uomo di Stato d’esimia abilità, il quale, dacchè presiede al governo economico della monarchia, vi ha fatto prova d’un ingegno e d’una previdenza non sempre notate prima in quello Stato, come si scorge da un libro assai interessante, pubblicato sulle finanze austriache. — Des finances et du crédit public de l'Autriche, de sa dette, de ses ressources et de son système d’impositions, avec quelques rapprochements entre ce pays, la Prusse et la France; par M. de Tegoborski, conseiller privé au service de S.M. l’empereur de Russie, auteur de l'ouvrage sur l'instruction publique en Autriche, par un diplomate étranger; 2 vol. in-8°, Paris, 1843; Jules Renouard et C., libraires, rue de Tournon, N.°8.
- ↑ «Nous avons publié dernièrement un tableau, qui portait à 422 kilomètres la longueur des chemins de fer, dont la concession était proposée aux Chambres, et à 100 millions environ la dépense probable à faire pour leur exécution. A présent il faut y ajouter plus de 130 kilomètres pour les lignes de Marchienne et de Mange à Arquelines, pour celle de Liège à Maestricht, et pour les modifications qu’ont subies les traces des lignes d’Ath vers Termonde, et de la Flandre occidentale. »Les lignes autorisées ont donc une longueur de 530 à 560 kilomètres, égale à celle de chemin de fer de l'État.
»La dépense s’élevera de 140 & 150 millions de francs, et en y comprenant le coût présumé du canal latéral à la Meuse, dé ceux de Jemappes à Alost, et de Mons à la Sambre on arrive à une chiffre de 180,000,000 francs!». L’Indépendant Belge, NN. 131 e 132, dell’ll e 12 maggio 1845.
Sommando cotesti 180 milioni coi 150 circa spesi per le linee governative, si arriva ad un totale di 330 milioni di lire spesi in un solo decennio nelle vie di comunicazione d’uno Stato di quattro milioni d’abitanti circa, e se ne comprende la potente produzione! - ↑ Il signor Carlo Rogier era prima della rivoluzione belgica del 1830 maestro privato di lettere e giornalista. Stato due volte ministro in epoche in cui i pubblici lavori di quel regno assorbiron centinaia di milioni, e si fecero alla Borsa operazioni di credito pubblico per altretanta somma, esso abbandonò il potere, povero come vi era entrato. Cotesto esempio, non sì frequente, debbesi pare ricordar con lode ad onore di lui.
- ↑ Molti altri furono i ministri dei pubblici lavori che proseguirono nell’assunto dal signor Rogier incominciato, e tra essi vogliono essere accennati i signori Nothomb, Demaizieres et Deschamps. Il primo di questi specialmente viene reputato a ragione l’uomo di Stato più distinto del Belgio, anch’esso sollevatosi col solo proprio merito da umile condizione a quella di reggitore di quello Stato.
- ↑ Vedi Cours d’économie politique de 1842-43, cinquième leçon, voi. 2, pag. 119, 121.
- ↑ Vedi De la liberté du travail, lib. IV, cap. VII, pag. 311; e vedasi il documento N.° 2. Ristretto del rendiconto della rendita e della spesa delle vie fante belgiche a tutto & 1844, pubblicato da quel governo.
- ↑ Dicesi pella via di terra, perchè i trasporti pei canali sono sempre di minor costo, sebben di poco assai, specialmente dopo le ultime riduzioni, di quelli sulle vie ferrate; ed un fatto curioso a notare gli è quello di non averli veduti scemare. Un altro fatto ancora degno d’attenzione gli è quello che ci renne narrato per bocca degli stessi signori Rogier e Nothonb quando nel 1840 visitammo molto attentamente tutte le strade ferrate belgiche, e fummo da essi accolti con somma cortesia. All’apertura delle prime tratte, temendosi che pel mancante lavoro la numerosa classe dei vetturali che v’ha nelle principali città del Belgio, tumultuasse, il governo erasi provveduto per contenerli, occorrendo. Ma in breve il buon temo popolare fece ad essi comprendere come anzi crescerebbe per loro l'occupazione ed il guadagno, con minor fatica ancora, come infatti è seguito, vedendosi cresciuti i veicoli occupati a condurre dalle stazioni all'interno delle città gli arrivanti, e viceversa coloro che ne partono.
- ↑ Chi volesse aver notizia di più estesi particolari sulle strade ferrate belgiche, oltre ai già citati Rendiconto del 1844 (tra tutti quelli pubblicati da quel ministero ogni anno, il più compito) e Memoriale del signor Perrot, inserito nel Bollettino della commissione centrale di statistica, può ricorrere alle seguenti altre opere:
Northomb, Travaux publics en Belgique, 1830-1839. Rapports, ec. Un vol. in-8.°, Bruxelles, 1840. — Teisserenc, Les travaux publics en Belgique; un vol. in-8.°, Paris, 1840. — Mémoire à l’appui du projet d’un chemin de fer, ecc., par Simons et de Ridder; 1833, un vol. in-8.°, Bruxelles. — Bourgoing, già citato, Tableau de l'état actuel et des progrès probables des chemins de fer, ecc. Un vol. in-8.°, Paris, 1943. — Teisserenc suddetto, Politique des chemins de fer, ecc. — Ad. Blaise, Journal des économistes, N.° 30, mai 1842, pag. 153, ecc.
E vedansi ancora le discussioni del bilancio dei latori pubblici del Belgio pell'esercizio 1844, nel Moniteur Belge, dal 25 febbraio al 1.° marzo del detto anno, con un quadro pubblicato dal ministero belgico delle partenze de' convogli a cominciare dal 1.° di maggio 1844, corrispondenti con quelle delle confrontanti linee francesi e prussiana.
Da codesto quadro scorgesi che un viaggiatore partendo da Lilla (Francia) col convoglio che parte alle 5 e 1/2 del mattino, arriva lo stesso giorno verso notte a Colonia (Prussia) attraversando tutta la linea belgica, e facendo così 108 leghe di Francia, ossia 400 kilometri; rapidità questa finora creduta inconcepibile.
E quando le linee da da Colonia debbon portare a Basilea, e quindi per la Svizzera all'Italia; — da Colonia pure a Monaco di Baviera, ed a Berlino, come a Vienna, saranno terminate, si comprende l’ immenso transito che dovrà passare per le vie belgiche, chiamate a maggiori prodotti ancora, e ad essere lo scalo de' trasporti più affollato del mondo intero! - ↑ A coloro che ci osservassero men necessario questo ed altri riepiloghi, che seguono, in varie parti dell’opera nostra, rispondiamo: esserci noi decisi a farli, perchè, essendo la nostra scrittura destinata a persuadere uomini d’affare coi spesso non è conceduto tempo sufficiente a leggere libri non brevi, com’è il presente; coll’offerirne ad essi un sunto in poco tempo letto, del quale possono poi trovare l’illustrazione nel corso dell’opera medesima: abbiamo creduto meglio raggiungere nel caso nostro il fine che si aveva di mira. Noi speriamo quindi, che si vorrà perdonare alla maggior mole avvenuta perciò del libro, in vista del motivo sopraindicato.
- ↑ Vedi il Giornale agrario toscano, tomo XVIII, pag. 220.
- ↑ Queste strade, benché appartenenti a due Stati italiani indipendenti, ora uno dall’altro distinti, pongonsi insieme, perchè, oltre al far parte può dirsi d’un sistema che fondasi sulle stesse basi, i due paesi sono col tempo chiamati a formare uoo Stato solo soggetto allo stesso principe.
- ↑ Nell’ordine che abbiamo scelto, non tanto si è avvertito alla relativa importanza che gli Stati italiani hanno, quanto alla precedenza, che ognuno d’essi ebbe nel far uso del nuovo trovato, o nell’ideare d’accingersi a tale uso. Questa, e nessun’altra precedenza d’ogni specie, abbiam voluto notare.
- ↑ Il commercio antico nel regno di Napoli dovette essere molto fiorente allorquando alcuni scali marittimi d’esso, come Brindisi e Taranto specialmente, erano emporii delle merci provenienti dall’Oriente a Roma; e quando l’Annona provvedevali nella Sicilia e nell’Egitto. — Nel medio evo Amalfi fu pe’ traffici fiorentissima; ma la prima tra le italiane repubbliche soggiacque alle tempestose vicende onde fu il regno travagliato. — Durante le successive conquiste de’ Normanni e degli Aragonesi i traffici non poteano prosperare, per le incessanti guerre tra i baroni ed il principe. — Nello spagnuolo dominio il Regno era in preda al più deciso mal governo, onde non derivò mai alcuna operosità commerciale. — Assunto dai Borboni il pubblico reggimento, alcuni loro ministri tentarono di far risorgere i traffici, ma con iscarso successo. — Nell’occupazione francese, lo stato di continua guerra era ostacolo permanente al bene del commercio. — Ristaurato il governo borbonico si cercò nuovamente di farlo prosperare, e le cose paiono a buon fine avviate. Vedi Giannone, Storia Civile, ecc. - Colletta, Storia del reame di Napoli.
- ↑ Vedasi in fine, per questo, come pei successivi capitoli, la carta corografica (Documento N.° 19), nella quale sono con segni convenzionali tracciate le linee di strade ferrate:
1.° Già costrutte ed in esercizio;
2.° In corso di costruzione;
3.° Decretate od approvate dai governi pei relativi, studi;
4.° Ideate o proposte soltanto;
5.° Colla rete intera dall’autore adottata. - ↑ Così almeno ci viene da Napoli affermato da persona che debb’essere informata con esattezza di quanto a detta strada concerne. Però non dobbiamo tacere che nel fascicolo del gennaio 1846, pag. 89, degli Annali universali di statistica di Milano, il novero de’ viandanti condotti su quella strada è come segue registrato pei tre mesi di settembre, ottobre e novembre 1844.
Settembre ... N.° 76,216 Ottobre ... » 77,807 Novembre ... » 71,685 Ignoriamo da quale più o meno sicuro fonte derivi cotesta indicazione.
- ↑ «Nella concessione fatta pel real decreto de’ 19 giugno dell’anno 1836, coll’articolo 13 è stabilita la seguente tariffa pe’ trasporti sulla strada di ferro, la quale non può mai accrescersi, diminuirsi bensì.
» L’esazione avrà luogo a ragione di ogni miglio, senza tenersi conto delle frazioni di distanza: per un miglio incominciato si pagherà come se fosse stato percorso tutto intero. Di più, per ogni distanza percorsa minore di tre miglia il dritto sarà pagato per tre miglia intere.
» Le frazioni di peso inferiore a due cantaia e mezzo pagheranno come se giungessero al peso di due cantaia e mezzo. Così ogni peso fra due cantaia e mezzo e cinque, pagherà per cinque; ogni peso fra cinque e sette e mezzo, pagherà per sette e mezzo, ecc., ecc.
TARIFFA.
Dritto pel corso di un miglio.Viaggiatore pe’ primi posti grani 5 idem pe’ terzi posti, non più di » 3 Bue, vacca, toro » 5 Cavallo, mulo od altro animale da tiro » 3 ½ Vitello, porco, montone, pecora, capra » 1 ½ Per ogni dieci cantaia di mercanzie, derate e materie » 12 Vettura sopra piatte-forme » 12 ½ » Per ogni pacchetto o collo, che pesi isolatamente meno di 2 cantaia ½, cioè 222 ½ kilogrammi, si pagherà a seconda del prezzo fissato nella tariffa generale. Tali pacchetti o colli saranno giudicati isolati quando essi non facciano parte di una spedizione che, riunita, pesi 2 cantaia e ½, o più, da o ad una medesima persona.
- ↑ «In seguito dei due reali decreti, uno del 19 giugno 1836, contenente la concessione in favore del Bayard, l’altro del 3 febbraio 1838, riguardante le modificazioni ai patti della primitiva concessione, furono stipulati gli atti pubblici tra il governo reale di Napoli ed il Bayard, il primo ai 18 ottobre 1836, pel pubblico e regio notaro Carmine Galgano di Napoli, nel suo studio, strada Costantinopoli, N.° 77; l’altro a 19 aprile 1838 pel pubblico notaio Giuseppe M. Pacifico, nel suo studio, strada Querica, N.° 40. »Vedi l’atto di società della strada di ferro da Napoli a Nocera e Castellamare, stipulato in Parigi pel pubblico notaio M. Hailig, nel suo studio, strada di Autin, N.° 9, agli 8 ed ai 24 febbraio 1837; il volgarizzamento italiano autentico del quale atto poi pubblicato in Napoli, venne depositato presso lo stesso notaio in Parigi».
- ↑ Vedi il fascicolo XLI degli Annali civili del regno delle due Sicilie del febbraio 1840. Un articolo intitolato: Della strada ferrata da Napoli a Nocera, con un ramo per a Castellamare, scritto nel 1839 da Achille Antonio Rossi.
- ↑ Vuolsi che il costo reale sia minore d’assai, e massimo il lucro ricavatone dal Bayard.
- ↑ Vedi: Chemin de fer de Naples à Nocera et à Castellamare. Procès verbal de l’assemblée générale du 15 novembre 1844, et rapports: 1.° de MM les commissaires de la commandite, l’un sur les mouvements des actions et les comptes de gestion, l’autre sur la reception du chemin, de ses batiments, du matèriel, etce; 2.° De MM. les concessionaires gérants. Paris, Imprimerie de Leantey, rue Saint-Gulllaume, 21.
- ↑ Il frutto dei danaro a Napoli, per le rendite inscritte al gran libro del debito pubblico redimibile dello Stato, è del 5 per %, ed il valore al corso di esse essendo dal 100 al 105 per ½, come vedesi, di poco è inferiore al frutto legale. — L’impiego di capitali in istabili è vario assai in ragione de’ luoghi, e può dirsi che sta tra il 2 ½ e il 6 od il 7; ed anche più talvolta secondo la natura delle proprietà.
- I mutui sono molto difficili, e però se ne domanda il maggior interesse possibile, attese le difficoltà che presenta la legge di spropriazione forzata, imitata dalla francese, e com’essa difettosa; ond’è che, mancando mezzi pronti e facili onde riscuotere per autorità de’ tribunali i capitali dati a mutuo, quando il mutuatario non li renda: accade che i mutuanti pretendono grossi interessi in qualunque contratto di mutuo. L’inopportunità della legge sulla spropriazione forzata va unita al vizioso sistema di pubblicità delle ipoteche generali e legali di privilegio, pure imitato dalla legislazione francese, sol finora in Italia in gran parte corretto negli Stati Sardi. Queste circostanze, allontanando gl’impieghi di capitali in terre, avrebbero dovuto favorir invece quelli nelle società commerciali, se non fosse del cattivo esito toccato alle molte società anonime attuatesi in Napoli dal 1830 al 1835, le quali fecero di molti affari in mutui, sconti ed assicurazioni sulla vita. Ma una legge promulgata allora, tassando come usurarie queste, senza tener conto della natura aleatoria d’esse, e riducendole a mutui semplici, con interessi, per i quali ad ogni mutuo fatto con buona ipoteca, e non già con assicurazione di vita, erano assimilate: ne derivò esser quello un atto esiziale, che fece fallire quasi tutte quelle società dov’erano collocati molti piccoli capitali accumulati. Allora seguirono brutte speculazioni d’aggiotaggio, nelle quali lordaronsi le mani anche parecchi amministratori di quelle società, e, sparita la pubblica fiducia, non si trovarono più avventori ad altre speculazioni sociali, quantunque buone ed oneste. Onde ne derivò al paese gran danno per lo scemato cumulo della ricchezza, da cui nasce la creazione dei capitali produttivi. - ↑ Le vicende seguite per le società anonime fallite, di cui nella nota che precede, furon causa che il Bayard non trovò a Napoli il mezzo di formare la società da esso creata in Parigi; perchè allora nessun Napoletano, coll’esempio poco prima avuto, e specialmente trattandosi di cosa affatto nuova, avrebbe voluto comprar quelle azioni. Però, ora che il buon successo dell’impresa la dimostrò utile e conveniente, molte azioni sonosi cominciate a vendere a Napoli anche col premio del 10 per %, come si è detto prima; e gradatamente perduta la memoria de’ passati disastri, è a sperare che lo spirito di associazione, così utile quando non è invaso dall’abuso dell’aggiotaggio, fatto profitto dell’avuta lezione, risorgerà prudente e prospero con vantaggio della produzione generale: alla qual cosa contribuiranno certamente le buone leggi sulle società commerciali, e specialmente il rispetto de’ dritti acquistati all’ombra e sotto la tutela delle leggi precedenti.
- ↑ Forse Brindisi sarebbe da preferire agli altri scali. Sappiamo che quel porto era l’antico emporio del traffico orientale con Roma, per cui quel municipio saliva a grande ricchezza, e poteva dirsi il convegno di tutti coloro che dalla Grecia, dall’Asia Minore o dall’Egitto andavano a Roma, o ne venivano per colà tornare. — Noi non insisteremo più per Taranto, Otranto, Brindisi od altro porto, perchè lo scegliere più l’uno che l’altro di que’ luoghi, ne pare principalmente subordinato alla maggior facilità ed economia del farvi pervenire una via ferrata, non essendo dubbio che qualche miglio di navigazione prolungato è nulla a confronto d’una strada ferrata, men lunga, men difficile, men costosa. — È noto che recentemente il governo napoletano accordò privilegi e franchigie al porto di Brindisi. Quest’atto porgerebbe forse argomento a creder ciò fatto col pensiero di restituire quello scalo all’antica destinazione, e certo allora una strada ferrata che vi conducesse compirebbe l’opera ed il beneficio derivante da essa.
- ↑ Se si riflette pure alle passate vicende dell’industria lombarda, vuolsi rammentare com’essa pur fosse importante nel medio evo, ed al rinascimento della civiltà, malgrado le continue guerre, sì civili che altre, onde fu travagliata.
La storia dell’Insubria infatti ne racconta come, oltre all’industria agricola per tempo vantaggiata colla sapienza delle irrigazioni, in cui i Lom- bardi possono chiamarsi maestri, Milano, Como ed altre città lombarde aveano opifici d’ogni maniera, i quali provavano salita a grado esimio di perfezione l’industria fabbrile. Ma cessato un principe proprio, e sopragiunto il fatale dominio di Spagna, la terra lombarda essa pur decadeva, smunta com’era da quell’avaro reggimento, intento soltanto ad aggravare colà come altrove i sudditi, ad onorare l’ozio e l’infingardaggine, anziché l’operosità faticatrice, considerando meno onorate le speculazioni del traffico, solo pregevole l’esercizio della milizia. Al cessare di quel dominio somma era la pubblica e privata penuria; e la feracità del suolo, la natura svegliata de’ suoi abitatori, aveano inutilmente cercato di resistere contro tante cause di decadenza. Venuto un altro reggimento, estero pure, ma più castigato e prudente, nello scorso secolo cominciavan le province lombarde a risorgere per opera delle savie e rette cure d’un esimio governatore, il conte di Firmian, inspirato da uomini sommi, com’eran Carli e Neri, Beccaria, Verri ed altri: e trovati in Maria Teresa, in Giuseppe II cd in Pietro Leopoldo prìncipi illuminati, da retti fini animati, in breve cresceva il progresso lombardo. Era quello stazionario, se non retrogrado un’altra volta per le guerre dei decennio corso dal 1796. Ma ordinatovisi durante esso un governo proprio, quantunque pur soggetto ad estera direzione, tuttavia, quando la guerra non era più sui luoghi, ricominciava il progresso. Alle mutazioni del 1814, tornato l’austriaco reggimento, questo mostravasi sollecito di curare la prosperità delle recuperate province; quindi l’accresciuta industria, sì agricola che commerciale, da molti favori promossa; quindi le arti belle e fabbrili salite a maggior perfezione; quindi specialmente migliorate le vie di comunicazione ordinarie, le quali possono meritamente servire altrui d’esempio. - ↑ È noto che Venezia avea cinque porti, ed erano Sant’Andrea, Del lido, Sant’Erasmo (ora ostrutti dalle sabbie), Chioggia, il più vasto e di facile accesso dal mare ma troppo lontano dalla città, cui da quella parte inoltre è più difficile l’arrivo pei tortuosi canali della laguna. Restava l’ultimo di Malamocso, esso pure in pericolo d’essere invaso dalle sabbie de’ fiumi, specialmente della Piave. — L’ingegnere Salvini, morto son molti anni, ideò una diga marmorea, la quale procede a Levante del porto suddetto, e serve di sosta al corso delle sabbie portate in quella direzione dai venti e dal moto radente che osservasi in quelle acque, oltre al flusso e riflusso delle maree. Napoleone decretò quell’opera, per consiglio del celebre ingegnere Prony; ma non ebbe tempo di farla eseguire. L’imperatore Ferdinando, appena salito al trono, ne ordinò la costruzione. La diga marmorea lunga 2,000 metri costerà al governo 1,500,000 fiorini austriaci. Si estende dalla Tuosa (canale che conduce l’acqua del mare nella laguna), ed attraversa lo scanno di sabbia che rende tortuoso e pericoloso quel canale. Arresta il corso delle sabbie, e stringendo nello stesso tempo il canale, accresce la forza della marea, la quale, liberata dalla massa arenosa sopravegnente, scava il detto canale e ne toglie le tortuosità. Codest’opera, per comune consenso de’ pratici, assicura a Venezia un quoto aumento di traffico marittimo, il quale può restituire a quell’emporio, se non tutta l’antica sua prospera condizione, gran parte almeno d’essa, atteso specialmente il congiungimento di Venezia alla terra-ferma, mercé del gran ponte o via ferrata che vi conduce. Difatti Venezia, la quale prima di essere congiunta alla terraferma, poteasi, nelle presenti pratiche navali, considerare come uno scalo poco atto a travasi pronti ed economici, di più facile arrivo ai luoghi di destinazione, assicurata una volta d’un ottimo porto, coi comodi che presenta di magazzini liberi pella franchigia di cui gode, la quale franchigia si renderebbe così meglio ad essa utile, può offrire al traffico generale un mercato grosso, un deposito, che poche altre città avrebbero, ed uno spaccio e trasporto facilissimo e sicuro, mercè della via ferrata.
- ↑ La lira austriaca vale 0,8% del franco, o lira italiana o di Piemonte. Il fiorino vale tre lire austriache, o lire 2,64 italiane o di Piemonte.
- ↑ Ecco alcuni particolari, che stimiamo aggiungere su quella mal augurata vertenza.
Nei primi mesi del 1840 le azioni della strada ferrata Lombardo-Veneta correvano ad altissimi prezzi: delle 50,000 se ne dicevano a Vienna 36,000. In quel tempo istesso si costruiva la strada da Milano a Monza, e ne avea fatto l’acquisto la ditta Arnstein-Esckeles di Vienna, la quale avea spacciato, senza esservi autorizzata, azioni per lire 3,600,000, che vendette sino al 240 per %, e che fu poi costretta di ritirare.
All’epoca medesima si stava formando una società per la strada da Monza a Bergamo, di cui si negoziarono le promesse d’azioni sino al 140 per %: e di altra società pure parlavasi per una strada tra Bergamo e Brescia, le cui promesse d’azioni toccarono il 109 per %, senza che neppure si avesse un primo progetto.
Il 30 luglio 1840, come si è detto, era convocato in Venezia il primo congresso degli azionisti, della strada ferrata Lombardo-Veneta. Sapevasi aversi l’intenzione di proporre l’incominciamento dei lavori tanto da Milano verso Treviglio, che da Venezia verso Padova lungo la linea approvata dal governo. I proprietari della strada di Monza, ed i negoziatori delle azioni delle ideate vie di Bergamo e Brescia fecero il broglio, e convennero di far discutere una variazione alla linea approvata nella tratta tra Brescia e Milano, collo scopo di attrarre cori tutto il transito lombardo-veneto sulle loro linee speciali; o più propriamente di accrescere il lucro de’ loro aggiotaggi. Divise le azioni della strada Lombardo-Veneta che aveano acquistate a diecine, le investirono a persone da essi incaricate di rappresentarli, onde avere così una maggioranza nel congresso, e trovati per tal guisa agenti da essi diretti, ebbero eziandio nell’avvocato Castelli di Venezia, giureconsulto accreditato ed influente, l’uomo che s’incaricò di fare la proposta preallegata.
Ma il partito della linea più breve, che volea il contemporaneo incominciamento de’ lavori dalle due parti, onde più presto fosse la strada completata, resisteva alla detta proposta, osservando non potere la quistione esser discussa, perchè non compresa nel programma di convocazione. I dissidenti ricorsero al governo di Venezia perchè dichiarasse lecita quella discussione, ma la domanda fu rejetta. Appellatisi della contraria decisione a S.A.I. l’arciduca viceré, questo, riformato il decreto governativo, permetteva la discussione.
Venuto il dì del congresso, l’avvocato Castelli sorse a proporre: «Che si incominciassero subito i lavori del ponte sulla laguna e sul tronco dalla laguna a Padova, e pel lato lombardo fosse nominata una commissione, col mandato di giudicare, se fosse preferibile di congiungere Brescia a Milano per la via di Bergamo e Monza, anziché per Chiari e Treviglio, come nel progetto approvato». La proposta Castelli ottenne la maggioranza, ed essendo perciò stata accolta, nacque una divisione, la quale fu occasione d’animatissima polemica, lasciata dal governo ai contendenti piena libertà di discutere per mezzo della stampa le rispettive ragioni.
La commissione eletta proferì un voto favorevole alla proposta nel termine fissato.
Gli opuscoli sulla quistione e sul giudicio di essa furono in gran numero, e sarebbe opera lunga e malagevole, d’altronde di nessuna utilità allo stato attuale di cose, il darne un sunto. — Sono raccolti in un grosso volume, che si può, volendolo, consultare come storica curiosità. — Un altro volume pure si è fatto degli articoli pubblicati nell’appendice della gazzetta priviligiata di Venezia dall’aprile all’agosto 1841. — Sono principalmente degni di menzione gli opuscoli del chiarissimo ingegnere, cavaliere Paleocapa, direttore delle pubbliche costruzioni nelle province venete, e del dottissimi avvocati Manin, Castelli, Pasini ed Anselmi (allora consigliere d’Appello, or presidente del Tribunale di Como, che scrisse sotto i pseudonimo di Demetrio Lazzari). — Voglionsi pure notare quelli degli ingegneri Possenti e Rossetti, dei chiar. dottor Carlo Cattaneo, dell’ingegnere Milani, ec., ec.
Il giorno 12 agosto 1841 si radunava in Milano il secondo congresso; ma le circostanze mercantili aveano mutate le volontà. Le azioni eran cadute a prezzi vili, senza più aver credito e spaccio, e stagnavano in grosse partite a mano di pochi. Il municipalismo bergamasco era stato grandemente concitato con ogni mezzo; ma esso; era impotente a sostenere l’assunto. — In quel congresso non si volea più parlare della linea, e solo divisavasi di eleggere una commissione, la quale si recasse in Vienna onde intercedere un soccorso governativo atto a dar nuovamente prezzo maggiore alle azioni. Il partito contrario alla linea per Bergamo, ed avverso all’aggiotaggio avendo interesse acciò l’altro non riuscisse nel proprio intento, prese il pretesto della verificazione dei poteri, perchè ogni deliberazione fosse in quella tornata impossibile, e riuscì; perocché, non avendo potuto componi la dissidenza delle opinioni, il commissario governativo dichiarò sciolto il congresso.
Dopo quel giorno Milanesi e Veneziani (non mercanti) acquistarono azioni, e rappresentarono a S. M. I. e R. le cause che turbarono l’ordine della società, e la necessità di cominciare i lavori anche dal lato di Milano, lungo la linea del privilegio. — Emanarono in seguito le risoluzioni sovrane che si conoscono, le quali confermano la detta linea. — La strada Lombardo-Veneta fu dichiarata strada dello Stato lungo essa linea privilegiata, cioè da Venezia, Padova, Vicenza, Verona, Brescia, Treviglio a Milano, e la questione di Bergamo fu sepolta per sempre.
Nel volume degli opuscoli può leggersi quello intitolato: Cenni sulla questione, ec., di I. P. (Iacopo Pezzato), nel quale accertasi esposta la storia più esatta della vertenza, e narrato l’esito delle imaginate strade da Monza a Bergamo, e da Bergamo a Brescia.
Volendosi ora proferire su quella vertenza un’opinione in genere, sebbene di poca importanza, dacché trovasi la quistione decisa: diremo, che, se non si può a meno di condannare altamente il fine dell’aggiotaggio che suscitò la quistione: attentamente studiato il voto emesso dai chiarissimi membri della commissione eletta per giudicarne, i signori Carlini, Bazzini, Borgnis, Cattaneo e Zuradelli; il qual voto troviamo nella gazzetta di Milano del 14 marzo 1841; poste per vere le circostanze di fatto in detto voto allegate, esse ci sembrano meritevoli di seria considerazione; e che quindi, se per Treviglio era ed è il pregio della maggior brevità e delle minori pendenze, quindi fors’anche della minore prima spesa, dall’altra parte speravasi, forse con fondamento, una minore spesa di manutenzione proporzionatamente, ed una maggior copia d’avventori per la più grande quantità di popolazione agglomerata; ond’era ragionevolmente presunta una maggior rendita.
Del resto, come vedremo noi seguito, le modificazioni che reputiamo ancora utili alla linea intera, quando venissero adottate, potrebbero forse accennare in gran parte ad esaudire il voto dei Bergamaschi, ed a rendere più proficua la strada di Monza, ch’or dicesi perdente, se si considera però, non il primo suo costo, ma l’attuale.
Avevamo dimenticato di notare un’idea di conciliazione ch’erasi esposta dal signor de Kramer, di lasciare alle due società formatesi per la strada da Milano a Brescia per Bergamo il pensiero di coltivar quell’impresa, ed in vece di eseguire la linea Milani da Milano a Brescia per Treviglio, andare piuttosto da Milano a Lodi, Cremona e Mantova, indi a Verona, congiungendo con una linea trasversale Brescia a Mantova, risparmiando così le due linee pur proposte; l’una da Cremona a Treviglio per Soresina, e da Treviglio a Bergamo; e l’altra da Lodi a Crema ed oltre, sino alla detta linea da Cremona a Treviglio, risparmiando ancora la linea da Verona a Brescia per la Volta, che fu poi quella adottata. Di questa affatto diversa doppia, direzione, cessata la lite bergamasca, più non parlavasi. Vedremo altrove quali modificazioni, a nostro parere, sarebbero da preferire alla linea Milani (Vedasi l’opuscolo del signor Kramer, descritto all’elenco delle pubblicazioni seguite sulla vertenza bergamasca, documento N.° 3).
Abbiamo cercato d’esporre ne’ più brevi termini possibili la vertenza gamasca, onde vennero tante contradicenti pubblicazioni, e sebbene ci siamo fatto carico di procurarci la collezione compita d’esse, di cui riportiamo in fine l’elenco suddetto, non esitiamo a dire che, dopo averle attentamente lette e studiate, varii sentimenti sonosi in noi destati al pari tristissimi. 1.° Il dolore di vedere uomini di chiaro ingegno, aventi patria comune, entrati in un’impresa, da essi tutti proclamata utilissima, abbandonarsi ad una polemica acerbissima, nella quale prevalsero le più dure e spiacevoli personalità; 2.° L’altro dolore di vederli più badare a quistioni di puntiglio, che non al vero utile obbietto cui avrebbero dovuto tendere, anche a costo di reciproci sagrifici d’amor proprio leso, e veder dato così agli estranei il mal esempio della poca nostra concordia, cedendo fors’anche alcuni, senz’avvedersene, a quel gretto municipalismo che sempre fu nostra rovina. 3.° Ancora; il rammarico di scorgere come quello stesso personale puntiglio muovesse a mutare opinioni, prima sostenute con gran calore e pari ingegno; e 4.°, finalmente, il giusto ribrezzo che desta una discordia sorta tra concittadini e fratelli, nata dall’incitamento d’esteri speculatori; ai quali molti piegavano il proprio voto, certo non per causa meno onorevole, che non vogliamo supporre ma pur sempre men cauta; posciachè ne doveva derivare, come nel fatto n’è derivato, gran danno all’assunto.
Noi non vorremmo porgere argomento a nuove polemiche, delle quali ci preservi sempre Iddio; perchè niuno più di noi desidera concordi gli uomini che onorano la nostra Penisola per sentimenti onesti e per molto ingegno. Ma non potevamo tuttavia tacere l’impressione che produsse in noi l’esarne di quella polemica. Sia essa pertanto sepolta in sempiterno obblio; e coloro che vi presero parte, dimentichi del passato, cerchino, se ancora se ne presenta loro l’occasione nell’avvenire, di giovare coi molti studi da alcuni tra essi fatti sulla materia a rendersi utili alla patria comune!
Così, rimediato in parte all’occorso, da quegli ottimi cittadini che pur li stimiamo, quanto alle intenzioni, essi avranno almeno la consolazione d’aver meglio queste secondate, e di aver contribuito al progresso ben inteso del vero spirito d’associazione, al difetto o debolezza del quale debbesi principalmente attribuire la seguita peripezia! - ↑ Queste indicazioni, e quelle che seguono sono desunte dagli Annali universali di statistica di Milano, ne’ quali ogni mese contengonsi tutte le più importanti notizie concernenti alle strade ferrate, A italiane che estere, coll’indicazione specialmente dei perfezionamenti tecnici che l’umano ingegno va ogni giorno introducendo nell’ordinamento delle dette strade.
Vedansi, al nostro proposito, segnatamente le dispense uscite dopo che cominciò l’impresa della strada in discorso; e più particolarmente quelle di giugno 1844, pag. 329; di dicembre detto anno, pag. 313; del gennaio 1845, pag. 89.
Molti di quegli articoli sono estesi dall’avvocato Pasini di Vicenza, e dal signor Jacopo Pezzato di Venezia, i quali provarono amendue molta intelligenza della materia, e viste assai elevate e perspicaci intorno all’avvenire del commercio italiano, mercè delle nuove vie, se l’ordinamento di esse viene regolato con illuminata prudenza. (Vedasi in ispecie l’articolo del signor Pezzato, dispensa di marzo 1845, pag. 296). - ↑ Posteriori notizie informano che al 15 di giugno 1845 lo stato dei lavori sulla strada ferrata Lombardo-Veneta era il seguente:
La sezione da Milano a Treviglio può dirsi compiuta, compresi i ponti sulla Muzza e sull’Adda; tranne alcuni movimenti di terra presso quest’ultimo fiume. Da Milano all’Adda anche l’armamento è compito. Ma non si ottenne ancora l’approvazione al progetto della gran stazione di Milano, nè di quello della stazione di Treviglio, ambo spediti da otto mesi a Vienna.
Il progetto particolareggiato da Treviglio a Chiari è pure compito, ed è prossimo ad esserlo quello da Chiari a Brescia.
Giunsero dalla Francia dieci locomotive colà acquistate, con tutti gli attrezzi, meccanismi ed utensili per l’officina di Milano, come pure le sale e le ruote per le vetture, gli affusti o letti delle quali furono costrutti nell’officina della società a Mestre, e le casse fabbricate a Milano sono apparecchiate.
La direzione lombarda protestò al fornitore le piatte-forme girevoli ed alcune locomotive, perchè non conformi al contratto pattuito.
Nel territorio veneto è prossimo al termine il gran ponte sulla laguna; in parte già inghiaiata la via sur esso. Fu approvato il piano generale della stazione di Venezia, ma pende ancora l’approvazione dei varii edifizi. Quella stazione costerà, dicono, circa due milioni di lire austriache.
Nella stazione di Padova è prossima l’ultimazione della nuova casa pei viaggiatori.
La strada da Padova a Vicenza è pure vicina al suo termine, e dal lato di Padova se ne è già cominciato l’armamento; i materiali d’esso sono pronti pel resto.
Il progetto esecutivo della sezione da Vicenza a San Bonifacio è già rassegnato per l’approvazióne; e, sciolta la quistione della linea sotto Verona dalla commissione militare per il passaggio dell’Adige nel raggio di quella fortezza, sarà sollecitamente compito anche l’altro progetto lareggiato da San Bonifacio a Verona; sicché sarà compiuto il diviso dell’intera linea veneta.
Per l’attivazione della strada da Padova a Vicenza è pure già provvisto il materiale d’esercizio, aspettandosi di giorno in giorno dall’Inghilterra altre quattro locomotive in aggiunta alle nove già possedute dalla società su quel punto.
L’officina di Mestre è provveduta in modo da bastare forse a tutta la strada da Venezia a Verona.
Non vi è stato sospensione di lavori dalle due parti; ma vuolsi lamentare la molto lentezza di quelli della parte lombarda a confronto dei Veneti, più attivi, come vedesi dal resultato.
È da notare però, che i lavori da Milano a Treviglio sol poterono incominciarsi all’agosto 1843, e che soltanto nell’aprile 1844 s’ottenne 0 permesso di lavorare da Padova a Vicenza. - ↑ Vuolsi notare però, che se la tratta tra Padova e Venezia già rende un prodotto equivalente all’interesse adequato della spesa di essa, questa spesa non è compiuta ancora. Perocché manca il doppio binario di ruotaie. Arroge, che l’imperfetto collocamento di queste e dell’armatura loro sembrano doverne richiedere il rinnovamento; manca il compimento delle stazioni, e quando la spesa intera di queste, aggiunta a quella del gran ponte sulla laguna, sarà unita a quella già seguita della strada ora in esercizio; aggiunta ancora la rendita della tratta tra Mestre e Venezia, e fatta anche ragione dell’aumento successivo d’avventori, sarà ancora a vedere se il frutto intero sarà adequato compenso alla detta spesa totale.
Noi lo speriamo, quando l’intera rete delle strade italiane avrà corrispondenza intera tra di esse, e con quelle oltremontane -che verranno ad incontrarle: ma finché sia questo resultato conseguito, noi confessiamo dubitarne assai. - ↑ Programma della direzione della strada ferrata Lombardo-Veneta per la riunione degli azionisti della medesima da tenersi a Venezia il giorno 30 giugno 1845.
"La direzione della strada ferrata Lombardo-Veneta ha pubblicato il giorno 10 corrente maggio nella Gazzetta Privilegiata di Milano e di Venezia il programma seguente:
"La direzione della società dell’I.R. privilegiata strada Ferdinandea Lombardo-Veneta, agendo in conformità al § 25 degli statuti, convoca ii congresso generale degli azionisti che dovrà riunirsi in Venezia nel giorno 30 giugno 1845, nella sala che verrà indicata a tempo opportuno, ed avrà principio alle ore 9 antimeridiane, avvertendo che l’ingresso, aperto alle ore 7, verrà chiuso alle ore 9, e che il congresso sarà, ove occorra, continuato nei giorni successivi.
Gli oggetti da trattarsi, oltre quelli di consueta deliberazione, giusta il § 26 degli Statuti, sono i seguenti:
1.° Nomina della commissione voluta dal § 36 degli statuti.
2.° Rapporto e proposizioni della commissione nominata nel congresso 10 giugno 1844 per l’esame dei conti.
3.° Proposta dì varii azionisti nei termini seguenti:
» a) La costruzione ed il compimento della strada ferrata Lombardo-Veneta, non meno che le cure di sua gestione, fino al compimento, vengano assunte dall’amministrazione dello Stato, ferma stante la sussistenza della società;
» b) Verrà nominata una commissione di cinque azionisti, la quale immediatamente, e senza bisogno di ulteriore determinazione per parte della società, e in nome e per conto della medesima,
» I. Verifichi la consegna della strada, suoi accessorii, dipendenze, materiali ed altri oggetti di sua proprietà, all’amministrazione dello Stato, e
» II. Tratti e stabilisca coll’ammmistrazione dello Stato tutte le variazioni e modificazioni che si rende indispensabile di praticare allo statuto sociale in forza del cambiamento che occasiona all’attuale condizione dell’amministrazione sociale la proposta a);
» III. Tratti e stabilisca coll’amministrazione dello Stato, ed effettui col consenso della medesima, tutte le altre misure che fossero stimate necessarie od utili per dare esatto compimento alta determinazione più sopra citata sub a);
» 4.° Proposta intorno ad alcune perenzioni di certificati occorse dall’ultimo congessso generale in poi;
» 5.° Sostituzione dei direttori cessanti per estrazione a sorte o per altra causa».
La Direzione, ricordato che le determinazioni del congresso diventano efficaci per la società intera quando son prese a’ termini dei §§ 31, 32 e 33 degli statuti, e ricordato competere il diritto di intervenirvi a que’ soli proprietari di certificati interinali che un mese prima dell’adunanza, e quindi a tutto il giorno 31 maggio corrente, appariranno intestati nei libri della società almeno per. 40 certificati interinali d’azione.
Vengono dappoi le discipline per le notificazioni dei certificati da prodursi alle sezioni direttorie in Venezia ed in Milano.
Come si vede la direzione ricorda nel programma, che le determinazioni del congresso diventano efficaci per la società intera quando sono prese a termini dei §§ 31, 32 e 33 degli statuti. Su questo ricordo crediamo bene di avvertire per norma dei lettori, che, a senso del § 32 degli statuti, la proposta di varii azionisti indicata all’articolo 3.° del programma perchè il compimento e la gestione della strada ferrata Lombardo-Veneta vengano assunte dall’amministrazione dello Stato, si riterrà accettata dalla società quando l’accettazione sia decisa a pluralità assoluta di voti degli intervenuti.
Crediamo bene di aggiungere altra notizia sulle somme che restano da pagarsi agli azionisti sui 50 milioni del capitale sociale. Nel fascicolo di aprile 1843, pag. 112, abbiamo riferito quanto segue:
"Col versamento del 10 per % chiamato pel 10 aprile, e prorogato al 10 maggio 1843 cogli avvisi della direzione sociale in data 4-7 aprile 1843, si compie il versamento di 36 per % sull’ammontare nominale delle azioni.
» Il residuo 64 per % sarà dai possessori dei certificati interinali pagato in dieci rate semestrali di 6 per % l’una, che scaderanno nei giorni 31 gennaio e 31 luglio degli anni 1844, 1845, 1846, 1847, 1848, ed in un’ultima rata del residuo 4 per % che scaderà il 31 gennaio 1849».
Attenendosi a tale disposizione, i versamenti a tutto gennaio prossimo passato risultano al 54 per %, per cui resterebbe a versare il 46 colle rate semestrali del 6 per % dal 31 luglio prossimo avvenire al 31 loglio 1848, e l’ultima del 4 per % al 31 gennaio 1849.
A tempo debito faremo conoscere le decisioni prese dal congresso degli azionisti il giorno 30 prossimo venturo giugno.
(Annali universali di Statistica, maggio 1845. — NB. La sessione del Congresso fu posteriormente prorogata al 24 di luglio). - ↑ Persona informatissima del collocamento delle azioni, delle quali possiede anzi un grandissimo numero, capitata in Torino tempo fa, ci afferma- va: appena enervi in Italia 3,000 azioni; le altre 47,000 essere a Vienna!
- E ancora delle 3,000, la metà circa essere posseduta da due soli azionisti, i quali mai non vollero spacciarle, sempre lusingandosi di tenere la speculazione in Italia. — Ma l’opera loro, come scorgesi, non riusciva; e, malgrado la grande ricchezza che notasi nel regno Lombardo-Veneto, appena ivi sono distribuite nel maggior numero 1,500 azioni, la più grande quantità del numero totale (50,000) essendo stata acquistata, nelle operazioni d’aggiotaggio seguite, dai banchieri viennesi. — Ciò premesso, è chiaro che la pubblica opinione, malgrado gli sforzi generosi d’alcuni scrittori (i quali solitamente sono i men facoltosi) non si è mostrata gran fatto propensa all’assunto. Laonde questo più non può essere una speculazione italiana, ma dei forestieri in Italia, di cui però si debbe desiderare il buon successo anche pel bene dell’Italia medesima, della quale attiverà il traffico. - ↑ .Essendosi formata a Londra, come si dirà ancora nel seguito, una società per l’intrapresa delle strade ferrate in Italia e nell’Austria, i mandatari d’essa tosto si recarono ne’ varii Stati della Penisola per attendere all’assunto loro, alla qual cosa cercarono di riuscire con larghe proposte d’ogni maniera. Non riuscirono a Torino ed a Bologna; riuscirono in vece in parte nella Toscana, come vedremo al capitolo 4.°, ed a Milano fecero la proposta di cui segue il tenore.
«Proposizione di una compagnia inglese per compiere la strada ferrata Ferdinandea Lombardo- Veneta.
» Una compagnia inglese, formatasi a Londra sotto la presidenza del signor William Jackson, con un capitate di tre milioni di lire sterline per la intrapresa di strade ferrate in Italia ed in Austria, avrebbe fatta alla società della strada ferrata Ferdinandea Lombardo-Veneta la seguente offerta:
»1.° L’ingegnere J. R. Brunel erigerà i progetti esecutivi della strada ferrata, non per anco intrapresa, secondo le norme generali delle strade ferrate dello Stato, quei progetti, cioè, che non fossero per anco stati redatti ed approvati. I progetti esecutivi dell’ingegnere Brunel saranno sottoposti per l’approvazione alla direzione suprema delle strade ferrate dello Stato.
» 2.° Approvati i progetti, si procederà immediatamente agli appalti delle opere col mezzo di asta pubblica, alla quale saranno anche invitati i principali costruttori di strade ferrate inglesi.
» 3.° Deliberato l’appalto, la compagnia verserà in alcune rate la somma di 25 milioni di lire austriache per fare i fondi occorrenti alle costruzioni e all’acquisto del materiale di esercizio.
» 4.° Di mano in mano che si effettueranno dalla compagnia i versamenti, la società della strada ferrata Lombardo-Veneta emetterà a favore della compagnia inglese tante nuove azioni da esserle cedute al pari fino al numero di 95,000, ossia fino a concorrenza dei 25 milioni versati.
» 5.° Queste nuove azioni non verranno però consegnate alla compagnia, ma saranno passate in deposito fino al momento cui l’intera strada da Milano a Venezia sia compita ed aperta ad uso del pubblico: allora soltanto potranno esser messe in circolazione.
»6.° Sulle somme versate dalla compagnia decorrerà l’interesse annuo alla ragione di 4 per %, e le nuove azioni saranno parificate alle 50,000 di cui è attualmente composto il fondo sociale. » 7.° Accettata l’offerta della-compagnia, questa darà subito dopo una cauzione di 5 milioni di lire in danaro effettivo».
Che questa proposta, rassegnata alla superiore autorità, possa venir posta in deliberazione dalla società al prossimo suo convocato, e venir quindi da essa accolta e dal governo imperiale, noi dubitiamo assai. I provvedimenti precedenti di questo sembran provare che l’impresa delle strade ferrate voglia considerarsi come affare di governo, e non come speculazione industriale estera; quindi non pare probabile che vi si voglia ammettere l’intervento d’una compagnia straniera, le cui viste ad altro non tendono che ad un deciso aggiotaggio; imperocché i proponenti, i quali appena giunti, senza assumere la menoma informazione sulle condizioni di luogo, fanno cotali proposte, dimostrano voler giuocare alla borsa di Londra ed altre col tema delle strade ideate.
Quantunque il giornale francese Des Debats abbia, gli 8 luglio 1845, affermato che le due direzioni lombarda e veneta, riunite a Verona il 22 giugno, aveano accettata la proposta, salva, ben inteso, la superiore approvazione, sappiamo da persone che si credono bene informate, che S. E. il presidente della Camera Aulica debbe aver reietta la proposta, dichiarando che se, come si era preveduto, la società lombardo-veneta non avea mezzo di compiere l’opera assunta, subentrerebbe a terminarla il governo, come le avea promesso, rimborsando nell’accennato modo l’esposto: senza che occorresse alcun straniero intervento, considerato allo stato della pratica meno dicevole. Codesta determinazione, ove sia vera, noi crediam degna di somma lode. Perocché ripetiamo essere bensì conveniente accogliere capitali stranieri per concorrere alla speculazione, assicurando loro un frutto adequato, ma quanto al regolar l’impresa, importare che lo sia o dal governo medesimo, o, se non lo può, da speculatori indigeni, non da quelli esteri. Abbiamo in Italia esempi che dimostrano men conveniente l’intervento di cotestoro. - ↑ Vedi il Moniteur Universel del 24 gennaio 1845, supplimento N°.2, pag. 460, dove leggesi il detto articolo del signor Adriano Balbi, riguardo al quale articolo è a notare, per maggiore esattezza d’indicazione, che la risoluzione sovrana del 19 dicembre 1844, nel determinare le strade dello Stato, che intende far costruire il governo austriaco, non ha già detto, come accenna il Balbi: una strada attraversante il regno Lombardo-Veneto ma bensì: una strada da Venezia al lago di Como, passando per Milano; ora questa strada è compresa in due concessioni: quella da Venezia a Milano, alla società della quale finora abbiamo parlato; e quella da Milano a Como, accordata al nobile signor Zanino Volta, finora ineseguita, della quale parleremo nel seguito.
- ↑ È noto che la popolazione condotta su quella linea oltrepassa annualmente il numero della popolazione cumulata delle due città di Venezia e dì Padova.
- ↑ La prima idea di questa bella ed utile impresa fu nel 1836 pubblicata dall’ingegnere Tommaso Meduna, il quale in un suo opuscolo: Primi studi intorno ad un progetto di ponte sullla laguna di Venezia (Vedi Annali di Statistica di Milano, dicembre 1836), esponeva al proposito i suoi pensieri, e all’incirca nella direzione di quello dal signor Milani progettato con maggior estensione e con aggiunte tutte sue, come l’acquedotto, il condotto del gas, il tunnel sotto il ponte girevole e simili. — Prima ancora del progetto Meduna, e che si parlasse di vie ferrate, cioè nel 1830, l'ingegnere Pietro Baccanello di Venezia, avea progettato il congiungimento di quella città alla terra-ferma, mercé d’un ponte con pile in muratura ed archi in legno. Ma l'I. R. Consiglio aulico di guerra, nè quello, nè il posteriore del signor Meduna approvava, volendo, al caso, un ponte tutto in legno, senza selciato in pietra, facile ad essere prontamente intercetto, e dominato inoltre dal forte di Malghera, onde prevenir le sorprese della città dalla terra-ferma. Quello solo ideato dal Milani, tutto in muratura, fu approvato, forse per la cautela del ponte girevole, e per mutate idee sulla difesa di Venezia.
- ↑ Tra i varii progetti di condurre acqua potabile a Venezia merita singolare menzione quello pubblicato da un nostro concittadino col titolo: Memoria sull’origine e sullo sviluppo del progetto di condurre acqua potabile dal Continente a Venezia dell architetto idraulico e civile Ignazio Michela, presentata coi relativi disegni, e letta un compendio alla sezione di fisica e matematica del terzo congresso degli scienziati italiani a Firenze, lì 23 settembre 1841. — Torino, dalla tipografia Zecchi e Bona, 1842, un vol. in-4.° Noi ignoriamo qual caso abbia fatto il municipio di Venezia del progetto del Michela. Quello che sappiamo è, ch’esso ci par degno di molta fiducia, nota essendo la molta perizia del chiarissimo autore, che il celeberrimo idraulico italiano, il fu nostro cavaliere Bidone, indicava come il più distinto tra i suoi allievi. Facciamo voti pertanto acciò l’antica e bella Venezia aggiunga agli altri suoi portentosi monumenti, quello 'utile e bello del pari dell’acquedotto e gran fontana propostole dal Michela.
- ↑ Ecco come il Balbi giudica i vantaggi dell’impresa:
«Il beneficio della strada in discorso è indubitato. Essa riunisce una città grande, ricca, industriosa e commerciale qual’è Milano ad una grande città marittima, Venezia, già così decaduta, e che ora risorge per cura del suo governo e del patriotistno illuminato d’alcuni suoi concittadini.
»Le più frequenti comunicazioni assicurate dalla novella strada compiranno questo risorgimento.
»La strada medesima attraverserà sei grandi città, le quali hanno ciascuna una popolazione dai 30,000 ai 200,000 (?) abitanti (la popolazione di Milano non arriva a tal numero).
»Laonde valutasi un trasporto rapido ed economico procurato colla nuova via ad una popolazione di 3,000,000 d’abitanti circa, ed ai bisogni d’un commendo attivo d’industrie svariatissime.
»Ancora; la novella strada, nella lunga sua estensione, tocca i punti principali delie grandi linee navigabili, sia artefatte che fluviali, del regno Lombardo-Veneto.
»Quand’anche si ristringa l’esercizio di questa strada ad una zona di sei miglia geografiche, essa servirebbe ad una popolazione di 814,000 abitanti, distribuiti sur una superficie di 864 miglia quadrate; e così per una popolazione relativa di 942 abitanti per ogni miglio quadrato, che uguaglia, se non oltrepassa, quella delle contrade più popolate e più fiorenti.
»Ma le sue più belle speranze non si arrestano ancora a questo punto; chè, allora quando la strada Ferdinandea sarà congiunta a quella da Genova a Torino e al lago Maggiore, da una parte, e dall’altra alla strada che da Vienna fra non molto arriverà a Trieste, ed alle linee convergenti sulla capitale dell’Impero, collegate colla vasta rete delle strade germaniche e della Polonia occidentale, le quali debbono toccare direttamente pel Danubio al mare del Nord, al Baltico ed al mar Nero, allora codesti paesi si troveran posti sur una delle quattro grandi linee che debbono congiungere l’Europa all’Oriente. — L’importanza delle quali grandi comunicazioni aumenta ogni giorno. Perocchè quelle belle regioni, onde ci vennero religioni, culti ed antica civiltà non possono ulteriormente sottrarsi al benefico conquisto di quella presente. Già le contrade comprese tra l’Ellesponto, il Nilo ed i confini della Cina sono più o meno animate da un progresso che tende ad avvicinarle all’Europa; già una grande rivoluzione si prepara nella via de’ traffici, e tende a ricondurne il centro in quel Mediterraneo, d’ond’erasi dipartita dopo la scoperta del Capo di Buona Speranza e del Nuovo Mondo, con tanto danno di Venezia e di Genova, le quali avevano d’allora in poi perduto lo scettro de’ mari ed il primato dell’incivilimento. - ↑ Anche questo calcolo preventivo a noi pare inferiore al vero; perocchè una linea di kilometri N.° 39, valutata coll’estimo medio di
Francia di lire 300,000 dovrebbe costare franchi o lire italiane 11,700,000 che sono lire austriache 43,448,275 La spesa presunta dall’ingegnere essendo di 8,526,000
vi sarebbe una differenza di austriache lire 4,922,275 La quale a noi pare troppo ragguardevole, perchè non sia lecito credere che la spesa effettiva debba poi riuscire, facendosi la strada, assai maggiore.
- ↑ Abbiamo trascritta la decisione tal quale ci venne da Milano favorita.
- ↑ Il motivo principale per cui l’egregio e chiarissimo ingegnere Milani opinò per scostarsi dal lago, fu, come scorgevi dalle difese pubblicate del suo progetto, di evitare le difficoltà e le maggiori spese che prevedeva doversi incontrare in quella non piana regione; epperò preferito il giro scelto della Volta, divisava di assicurare ugualmente le relazioni tra il lago e la via Ferdinandea mediante un tronco diretto diramato da questa e portato a Desenzano. — Noi non pretendiamo giudicare tra questa sua opinione e quella del suo primario opponente dottore C. Cattaneo, nel rispetto tecnico, perocché il signor Milani ha una competenza che non abbiamo. Tuttavia essendovi pure altri ingegneri che affermano possibile di non abbandonare il lago, avendosi con tal partito un risparmio di 15 kilometri di strada, ed essendo certissimo il ben maggiore concorso che ne avverrebbe alla via Ferdinandea, ci pare che sarebbe anzi degno del chiarissimo autore del progetto di meglio studiare questo punto e cercare di superare le temute difficoltà, potendosi credere sicuramente compensata la spesa maggiore, e dal più grande concorso, e dall'economia predetta di 15 kilometri di strada.
- ↑ Prendendo per punto di confronto Riva di Chiavenna, all’estremità del lago di Mezzola, al termine di quello di Como, ove si uniscono le due vie di acqua e di terra; e calcolando la sua distanza dalla piazza di Venezia, secondo i diversi andamenti, si ottengono i resultati che seguono:
1.° Da Venezia a Milano, secondo il progetto Milani, indi per Milano, Monza, Como e lago, si hanno metri 385,003» 2.° Da Venezia a Milano, come sopra; indi direttamente a Como (progetto Volta), poi lungo il lago 376,824» 3.° Da Venezia a Riva di Chiavenna per Peschiera, Desenzano, Bergamo, Monza, Como e lago 360,960» 4.° Da Venezia a Riva, per Desenzano, Brescia, rettifilo di Trezzo e Monza, Como e lago. 366,000 5.° Da Venezia a Riva, Desenzano, Brescia, Trezzo e Brivio in via d’acqua fino a Lecco e lago. 330,000» 6.° Da Venezia a Riva per Desenzano, Brescia, Trezzo e con istrada pur ferrata fino a Lecco, indi per acqua. 328,400» 7.° Da Venezia a Riva, mediante la strada ferrata fino a Lecco, indi per la superba strada militare costeggiante il lago. 324,585» Dal che resulta il grande vantaggio che presenterebbe la linea che abbiamo indicata preferibile, la qual linea favorirebbe pure il commercio ter- ritoriale, senza ledere menomamente i riguardi cui può aver giusto titolo Milano. (Veggasi, al proposito, la memoria inserita nel Llyod austriaco, 1842)».
(Dall’opuscolo del cavaliere M. A. San Fermo, intitolato: Cenni sulle strade ferrate più convenienti all’alta Italia, ed all’Italia centrale. — Padova, tipografia Crescini, 1845. — Inserito anche nel giornale l' Euganeo del marzo 1845).
Noi dichiariamo avere da cotesto opuscolo ricavate molte fra le idee qui esposte; quindi, se per avventura esse persuadessero governo e privati, non pretendiamo ad averne merito alcuno, chè tutto attribuiamo al detto chiarissimo autore."
- ↑ >A coloro che muovessero l'eccezione strategica, altre volte posta in campo da qualche ingegnere militare, del supposto pericolo d'una strada ferrata troppo vicina alla fortezza, che potesse così per essa più facilmente sorprendersi, risponderemo: oltre l’Alpi essersi pure quell’ostacolo incontrato, e le piazze d’Anversa, di Strasburgo, di Lilla, di Mons e di Valenziana, essersi credute dapprima pregiudicate se una via ferrata vi penetrasse, o solo di troppo le avvicinasse. Anzi alle due prime non essersi permesso che la stazione arrivasse che in luogo posto fuori della portata del tiro delle piazze medesime. — Ma di poi, considerata la facilità che v'ha di rendere in tempo brevissimo impraticabili quelle vie smuovendone le ruotaie; — la convenienza d’averle anzi sotto il tiro della piazza per poterle all’uopo difendere, e portarsi da esse più facilmente ai punti estremi della sua difesa; — il vantaggio di far giugnere alla fortezza soccorsi d’ogni maniera, cose o persone che vi si volessero condurre a salvamento, furono ragioni troppo evidenti perchè non si conservasse quel mal fondato timore; quindi quelle strade e le altre fatte di poi si lasciarono entrare od anche solo avvicinare senza timore alcuno.
- ↑ A coloro che, da grette idee soltanto guidati nel proprio criterio, opponessero a questa seconda linea, da Milano diretta per gli accennati tre Stati ad Ancona, il timore del danno ch’essa potesse per avventura recare alla strada Ferdinandea, scemandone gli avventori ed il trasporto delle merci provenienti o dirette allo scalo anconitano, è facile ed ovvio rispondere. — La linea per l’Italia centrale è troppo utile, perchè, a lungo andare, qualunque sia la somma degli ostacoli d’ogni maniera che incontra, essa non facciasi sino a Piacenza, ed ancora pegli Stati sardi non si protenda verso Genova e Torino; fors’anche oltre l’Alpi, come vedremo ai cap. 5.6.7. e8. Ora non è egli più conveniente a Milano, che di presente già ha tante relazioni personali e di traffico con que’ tre Stati parmense, estense e pontificio, di conservarle non solo, ma accrescerle offerendo loro un più pronto, più facile e men costoso accesso, che non segregandosene in certo modo, per tema di portare alla linea d’esse qualche lucro?... La risposta pegli uomini che vedono rettamente nel futuro, sembra men dubbia.
- ↑ Qualche giornale però allegò, non ha molto, che il governo austriaco non volle accogliere alcuna proposta tendente ad unire Venezia a Trieste con una strada ferrata. Noi non sappiamo fino a qual punto, sia una tale allagazione fondata. Pensando però alla convenienza non dubbia d’una linea non interrotta da Milano a Vienna, ci par lecito dubitato dell’asserzione del giornali; i quali forse tolsero una negativa fatta a società private, percbè il governo intende, di conservare in propria mano le strade di Stato, per un rifiuto di permettere che una via ferrata avesse cosiffatta direzione.
- ↑ Queste regole sole bastano a provare anco ai meno veggenti come la speculazione avesse per mira principale il giuoco di borsa. Per cautela contro di esso altri governi non concedono il traffico che delle azioni definitive. In Toscana si permette non solo quello delle promesse delle medesime, ma si porge ancora occasione a quello delle ricevute provvisionali delle suddette future promesse!
- ↑ Cotesto manifesto, che può vedersi al Manuale dell'azionista pubblicato dai fondatori, pag. 4, dopo aver accennate le condizioni della proposta società dimostrandole favorevoli e comode, così conchiude: «Questa impresa presenta i più grandi vantaggi, e, secondo tutti i calcoli che sono stati fatti, poche linee in Europa possono presentare maggior» convenienza di questa» (Solito vanto proposto dai fondatori di società anonime speculanti per istrade consimili). «La nuova strada che la sovrana munificenza ha già portato al suo termine, e che da Firenze in breve tempo conduce al'Adriatico, venendo connessa con un servizio di battelli a vapore da Trieste al porto più vicino al suo sbocco, potranno merci e passaggeri in 48 ore (?) «andarne da Livorno a Trieste, e viceversa, e la sua centrai posizione ne assicura anche per molti altri lati la prosperità». Codesto manifesto, tradotto in più lingue, mandato con circolari incalzanti, predicato certissimo da fidi corrispondenti, dovea necessariamente procurare avventori all'impresa.
- ↑ Vedi Manuale dell’azionista della strada ferrata Leopolda da Firenze a Livorno, ossia Collezione de' Documenti riguardanti questa intrapresa fino al 14 giugno 1841 (Pubblicato, per quanto ci venne affermato, nelle quattro lingue italiana, francese, inglese e tedesca ).
- ↑ La lira toscana vale 0,84 di franco, o lira italiana o di Piemonte. La relazione del signor Stephenson, lavoro pregevole sì nel rispetto tecnico, che per le considerazioni cui s'è l’autore sollevato, era inoltre accom- pagnata dai calcoli preventivi fatti per giudicare del presunto prodotto dell’ideata via, dietro gli elementi avuti dai fondatori. Cotesti calcoli resultano dai seguenti documenti: 1.° Dimostrazione della dogana di Livorno delle merci d’importazione dall’interno di Livorno nell’anno 1838 (Vedi Marnale suddetto, pag. 34). 2.° Detta delle merci esportate per l’interno, coll'annotazione che tutte le merci, le quali partono da Livorno per l’interno, o che dall’interno vanno a Livorno, toccano lo stradale da Livorno a Firenze, eccettuata una porzione minimissima, che tiene lo stradale di Volterra (?) (Manuale, pag. 40). 3.° Diverse dimostrazioni del movimento delle persone fra Pisa e Livorno (Manuale, da pag. 43 a pag. 48). 4.° Elenco delle popolazioni delle diverse comunità tra Firenze e Livorno (Manuale, pag. 49). Vedansi, inoltre, al detto Manuale dell’azionista: 1.° Le disposizioni del sovrano rescritto del 25 febbraio 1840 concernenti alle principali condizioni della concessione promessa (pag. 50). 2.° Un prospetto dei passeggieri giunti nei porti di Livorno con battelli a vapore dal 1.° maggio 1840 al 30 aprile 1841 (pag. 52). 3.° Motu proprio della concessione definitiva del 5 aprile 1841 (pag. 55). 4.° Capitoli delle condizioni a detta concessione alligate (pag. 62). 5.° Tariffa dei prezzi di trasporto dei viaggiatori, bestiame, mercanzie, ecc. (pag. 71). 6.° Statuti della società anonima dai fondatori creata (pag. 81). 7.° Convocazione degli azionisti per la prima adunanza de’ 7 giugno 1841 (pag. 102). 8.° Avviso per la prima adunanza generale della società, da aver luogo al detto giorno de' 7 giugno 1841 (pag. 105). 9.° Prospetto di organizzazione della società dietro le elezioni che ebbero luogo nell’adunanza del 7 giugno 1841 (pag. 108). 10.° Carta topografica della strada ferrata da Firenze a Livorno. Ed inoltre pubblicati a parie. 11.° Processo verbale della seconda adunanza generale della strada ferrata Leopolda, tenuta in Firenze il d' 11 luglio 1842, e discorso letto in queste occasione dal presidente del Consiglio d’Amministrazione (Firenze, 1842, Stamperia Gran Ducale). 12.° Processo verbale e discorso del presidente della terza adunanza generale della società della strada ferrata Leopolda, tenuta il 23 ottobre 1843, ed estratto dal rapporto dell’ingegnere delegato a sopraintendere ai lavori. (Firenze 1843, Tipografia di Felice Le Monnier) 13.° Rapporto dei sindaci nominati nell’adunanza generale dell'11 luglio 1842, coll’incarico di rivedere il bilanciò dell’amministrazione della società anonima della strada ferrata Leopolda per il tronco già attuato da Livorno a Pisa. 14.° Quarta adunanza generale della Società anonima della strada ferrata Leopolda tenuta in Firenze il 17 giugno 1844. Processo verbale e discorso del presidente. (Firenze, nella Stamperia Gran Ducale, 1844). La quinta adunanza tenne la sua seduta in Firenze il 2 luglio 1845. In essa fu dato ragguaglio dello stato de’ lavori proseguiti da un anno da Pisa a Pontedera, dichiarando che nell’ottobre prossimo sperasi venga quella tratta aperta al pubblico, e si deliberò di costrurre l’ultima stazione entro a Firenze. S’annunciò doversi terminare la sezione da Pontedera ad Empoli nel 1846, e quella da Empoli a Firenze nel 1847. Sindacati il conto 1844 e bilancio 1845, vennero approvati con lode per miglior amministrazione.
- ↑ Vedasi il prospetto dei proventi nella gazzetta di Firenze, N.° 126, del 19 ottobre 1844, del 1.° semestre corso dal 14 marzo al 30 settembre detto anno, come segue indicato
Persone N.° 361,337 lire 293,576 13 4 Bagagli e mercanzie » 2,072 0 0 Gruppi e lettere » 624 6 8 Carrozze e bestiame » 2,786 3 4 Totale introito lire 299,059 3 4 Dedotte le spese in » 140,659 9 6 Provento netto al 30 settembre 1844 lire 158,399 13 10 Dividendo per 30,000 azioni a lire 5, da pagarsi al 1.° novembre 1844 » 150,000 0 0 Rimangono in riserva lire 8,399 13 40 - ↑ Vedasi la notificazione del 6 di marzo 1844, con cui il presidente del Buon Governo, inerendo ai superiori ordini comunicatigli, rende pubblicamente noto il Regolamento di polizia pella strada ferrata Leopolda.
E vedasi ancora la tariffa dei prezzi di trasporto, fatta nota al pubblico coll'altra notificazione del presidente suddetto dello stesso giorno, la quale tariffa è la seguente;
Nelle carrozze chiuse di 1.a classe: paoli 3 Carrozze scoperte di 2.a classe » 2 Carrozze scoperte di 3.a classe » 1 per persona e per la corsa da Pisa a Livorno e viceversa.
Per il trasporto da Pisa a Livorno delle merci, bagagli ed altri oggetti, paoli 5 per il trasporto propriamente detto, e più paoli 5 pelle spese accessorie per ogni peso di libbre 2,000, per modo che ogni peso minore di libbre 200 pagherà a ragione di 200 libbre, ogni peso compreso fra le libbre 200 e le 400, pagherà a ragione di libbre 400; e così di seguito.
Ogni viaggiatore potrà avere un bagaglio di libbre 30 senza andar soggetto ad altra, spesa.
Le vetture private pagheranno paoli 5 per trasporto, carico e discarico, se di peso minore di libbre 2,000. Per ogni aumento da libbre 40 a 200 sarà aggiunto un paolo..
Per ogni cavallo, mulo, bestia da tiro, vacche, tori e vitelli paoli 5 — Per vitelli da latte, e porci » 1 — Pei montoni, pecore e capre » — 3/4 Per gli agnellini da latte » — 1/2 Per ogni cane consegnato » — 1/2 Per pacchi da once 2, a libbre 10 » 1 — Per lettere » — 1/2 Per gruppi sino a lire 1,000 » 1 — Dalle lire 1,000 alle lire 1,500 » 1 1/2 Dalle 1,500 alle 2,000 » 2 —
e così di seguito, ogni cosa compresa, porto, cioè, e consegna a domicilio.
La tariffa suddetta contiene pure le discipline da osservarsi quando occorra di rifiutare per soverchio volume o peso qualche collo. Ancora dispone, occorrendo, pel trasporto delle lettere affidate al corriere delle poste, e per quello delle truppe.
Finalmente prevede i casi d’aumento regolato coi limiti fissati dall’articolo 28.° dei capitoli approvati, dov’è stabilita la tassa d’un tanto per persona, bestiame, o collo, e per miglio.
Se i prezzi per le persone e merci sono moderati, non è così quanto a quelli del bestiame; laonde non è a credere che saran molte le riscossioni di tal natura.
- ↑ Dalla Gazzetta di Firenze, N.° 120, del 19 ottobre 1842, scorgesi come in ogni piazza commerciale d’Europa sianvi case bancarie aventi l’incarico di ricevere e di pagare per la Società Leopolda, Queste case erano a quell’epoca in
Livorno Signori Pietro Senn e Compagni Milano Warchex, Noseda e Compagni Venezia Abramo di Mand.° Levi Trieste Filippo Cohen Vienna Carlo De Barcgher Dresda Stefanp G. Bassenge e Compagni Lipsia Dufour Frères e Compagni. Berlino Menderssohn e Compagni Franfort sul Meno De Neufville, Martens e Compagni Augusta Giorgio Miltemberg Ginevra Lombard, Odier e Compagni. Parigi Augusto Dassier Londra Federico Jolj. - ↑ Anche la società lucchese, imitando quella toscana della via Leopolda, pubblicò un Manuale dell’azionista della strada ferrata da Lucca a Pisa, o Raccolta dei principali documenti risguardanti quest'impresa. (Un volume in 8.° Lucca, dalla tipografia Giusti, 1844).
Nel proemio, come nei Documenti, di cui segue l’indice, i fondatori han fatto prova d’aver posto ogni cura pel buon esito della speculazione loro, e basterà al lettore di consultar quell’opuscolo per convincersene, essendo difficile d’esporre al pubblico, in senso più favorevole di quello fatto, una speculazione industriale ideata.
Noi crediamo dover riportare fra i nostri Documenti N.° 4 il quadro presuntivo del prodotto lordo di quella strada perchè può dirsi un vero modellò di siffatte pubblicazioni.
Ora ecco l’indice preallegato.
«Proemio pag. III Sovrane concessioni di S. A. R. il S. duca di Lucca » 1 Statuti della società » 13 Annunzio delle concessioni preliminari di S. A. I. e R. il gran duca di Toscana » 33 Manifesto de’ fondatori del 28 febbraio 1842 » 42 Avviso portante sospensione del pagamento del secondo decimo d’azione » 47 Capitoli intorno alla costruzione del tronco lucchese, approvati da S. A. R. il duca di Lucca » 51 Nomina sovrana del commissario regio pel tronco lucchese » 61 Avviso intorno alla ristampa delle cartelle del primo decimo d’azione » ivi Manifesto che annuncia costituita la società anonima » 69 Intimazione della prima adunanza generale » 73 Avviso del compiuto collocamento delle azioni » 77 Nomina d’un secondo vice-presidente del Consiglio dirigente ed amministrativo » 81 Sovrane concessioni di S. A. I. e R. il gran duca di Toscana » 85 Capitoli intorno alla costruzione del tronco toscano, approvati da S.A. I. e R. il gran duca di Toscana » 93 Annunzio della nomina sovrana del commissario regio pel tronco toscano » 111 Prospetto generale della spesa presuntiva occorrente a costruire la strada ferrata » 115 Prodotto presuntivo lordo della strada ferrata » 117 Carta topografica. - ↑ Ecco la nota apposta al proposito nel proemio: tNella strada ferrata da Strasburgo a Basilea il movimento dei punti intermedii sta al movimento generale, come ... 87 a 100 Nelle strade belgie ... 67 » Nella strada da Londra a Birmingham ... 70 » Da Londra a Blackwall ... 68 » Di North-Midland ... 84 » Da Lipsia a Dresda ... 67 » Da Vienna a Brünn ... 86 » Da New-York a Filadelfia ... 80 » Da Gand a Liegi 407 viaggiatori percorrono la linea intera, mentre 87,252 si fermano nei punti intermedii.
- ↑ Ecco un brano del proemio, che basta a chiarire quali speranze la società lucchese intendesse infondere a! suoi azionisti. «Però confidiamo che quelle linee da noi fatte tracciare sulla nostra carta topografica debbano fra non molto vedersi sul terreno effettivamente condotte. Ed allora solamente avranno questi Stati un ordine così compiuto di strade ferrate, dal quale tali e sì mirabili verranno gli effetti da superare di gran lunga ogni umana previdenza; perocché a niuno crediamo possa esser dato discernere fin dove debbano salire la civiltà, la bellezza, la prosperità di questa divina Toscana, quando la maggiore e più cara parte di essa sarà convertita quasi in una sola città, avente un milione di abitanti, e per reggia Firenze, e per lido Livorno». Sarebbe difficile trovar parole più incitanti ad aver fiducia nel proposto assunto, specialmente quando sono corroborate da un prospetto di spesa, che sostiene necessarie pella costruzione sole lire 2,200,000, e por ora, avendosi una sola via di ruotaie, e non due, appena due milioni, anche meno; ed altro prospetto della presunta rendita, che affermano dover ascendere oltre al 15 ½ per %, cioè ad un prodotto cui finora nessuna strada, anche più affollata, giunse mai! Resta a notare, che la concessione preliminare toscana del 4 aprile 1845 è fatta ai signori Pasquale Borghini — Carlo Minutoli-Tegrini — Tommaso Giannini — Alessandro Carina — Felice Francesconi — Giuseppe Vitali — Lorenzo Magnani — e Niccolò Puccini, cittadini de’ due Stati, riunitisi concordi per impetrare quel favore, com’era spediente. Perocché i Lucchesi avendo la concessione nello Stato loro, e desiderando poter continuar l’impresa sino a Pistoia, era ovvio si associassero ai Toscani, meritevoli di preferenza nell’ottenere dal proprio principe la concessione sullo Stato loro del pari, ed offerendosi uguale associazione per reciprocità a vicenda le due parti, era cauto il rispettivo interesse e meglio assicurato il rispettivo servizio ne’ due paesi. {Vedi Gazzetta di Torino, 25 aprile 1845, N.° 94).
- ↑ Vedasi quel manifesto stampato e pubblicato il detto giorno in Siena e suo compartimento.
- ↑ Vedi il manifesto suddetto firmato dal comitato de' promotori, composto del signori conte Giovanni Pieri, presidente, marchese Alessandro Bichi, cavaliere Emilio Clementini Piccolomini, Giovanni Montorselli, Luigi Nencini, cassiere, Abramo Servadio, Antonio Tamanti, di Montalcino, Policarpo Bandini, segretario.
- ↑ Vedasi quel manifesto pubblicato colle stampe d’Onorato Porri, tipografo sanese.
- ↑ Vedasi fra i documenti al N.° 5, il prospetto preallegato.
- ↑ Vedasi Supplemento alla Gazzetta di Firenze, N.° 76, del giovedì 26 giugno 1845, dove sono tenorizzati, il motuproprio, i capitoli e gli statuti anzidetti.
- ↑ Vedi Gazzetta di Torino 25 aprile 1845, N.° 94.
- ↑ Vedi Annali di Statistica di Milano, dispensa dell’aprile 184, p. 117
- ↑ I fratelli Cini di San Marcello, nel Pistoiese, i quali appartengono ad una famiglia ben reputata nell’industria toscana, per le belle ed antiche loro fabbriche di carta che hanno a San Marcello, già furono promotori di due altre società anonime industriali; l’una per la fabbricazione di carta alla macchina, detta senza fine o continua, avendo per essa i genitori e zio loro cedute le antiche fabbriche della casa poste a San Marcello, cogli artifici mossi dal torrente Lima. — L’altra per la fabbricazione dei panni feltrati. — La prima società procede prosperamente da un quinquennio, come si dimostra dai rendiconti d’essa, ed i fratelli Cini, come il lor padre e zio, rimasti alla direzione dell’impresa, posta in pratica l’antica sperienza loro in siffatta industria, molto giovarono alla società ed anche agli artefici, ordinando quella fabbricazione in modo affatto esente dai pericoli e danni che sogliono succedere nelle manifatture dove trovasi raccolto un numero ragguardevole di operai, sì nel rispetto morale, che in quello economico e sanitario. Noi, che visitammo nell’ottobre del 1843 quelle fabbriche, oltremodo soddisfatti del governo d’esse, le abbiamo celebrate con lode in una nostra relazione inserita negli Annali universali di statistica di Milano, dispensa del febbraio 1844, cui perciò rimandiamo il lettore. Quanto alla fabbrica dei panni feltrati, della quale nell’anzidetta rela zione lodammo pure l'ordinamento e l’ingegnoso processo meccanico, ci siamo allora astenuti dal giudicare quella speculazione, per difetto di notizie officiali, mostrando tuttavia qualche timore sul suo buon successo, per difetto di sufficiente fondo sociale. Ora sentiamo con rammarico avverato il nostro pronostico, ed ingannati i signori Cini e loro soci dallo speculatore estero, che li avea avviati in quella speculazione, appunto nel tacere loro quell'insufficienza, essere a men prospera condizione ridotta quell’impresa.
- ↑ Vedasi quel manifesto tra i documenti ai N.° 6.
- ↑ Vedasi la notificazione 25 giugno 1846 suddetta, inserita nell’Appendice, documento N.° 7
- ↑ Posteriori notizie sembrano provare che la società inglese ha commesso quegli studi all’ingegnere Brunel. — Vuolsi però, che con precedente sovrano permesso una società, presieduta dal marchese Ridolfi, avesse, quattro anni or sono, delegato quegli studi al capitano-ingegnere G. A. Ganzoni, il quale li compiva e rassegnava all’ufficio competente, sì pel progetto di massima, che per quello particolareggiato.
- ↑ Voglionsi sottoposti, dopo quello della via Leopolda, più di venti progetti diversi di compagnie al governo toscano, per strade ferrate ideate in quello Stato; ondèchè, avuto riguardo ai ristretti suoi confini e popolazione, è lecito dire nessuna contrada europea aver fin qui una più decisa tendenza a formar progetti delle nuove comunicazioni.
- ↑ Ecco il calcolo datone dagli Annali di Statistica, del Luglio 1845, p. 181.
l.° Strada Leopolda in costruzione... Lire Toscane 30,000,000 2.° Da Lucca a Pisa, idem »
2,500,000. 3.° Da Siena ad Empoli concesse definitiva »
10,000,000 4.° Da Lucca a Pistoja concesse di studi »
8,000,000 5.° Appennina, idem »
12,360,000 6.° Maremmana, idem »
32,000,000 Totale
lire toscane 94,860,000 Divise in 94,860 azioni di lire 1000 ciascuna
- ↑ Vedasi la detta notificazione nell’Appendice, documento N.° 8.
- ↑ Cotesto fatto resulta in modo non dubbio dagli studi cui attendiamo scrivendo la Storia del giuoco del lotto, considerato ne’ suoi effetti morali, politici ed economici, che speriamo di pubblicare quanto prima, se Dio ne concederà vita e salute. — In quel nostro lavoro proveremo, che la Toscana, è la contrada dove la passione del giuoco piu travaglia la popolazione, quantunque questa sia così colta, civile e d’ottima indole, che nulla più; e dimostreremo con una serie di lamentevoli fatti accertati, del resto già narrati dall’ottimo Enrico Mayer, come siano colà fatali e funeste le conseguenze di tale balzello, la Dio mercè molto ridotto, e prossimo a togliersi affatto negli Stati Sardi.
- ↑ Abbiamo sott’occhio i tre verbali delle adunanze generali tenute dalla società Leopolda negli anni 1842,1843 e 1844; e mentre nei due primi vediamo fatta parola delle peripezie corse da essa pel noto discapito delle azioni, nell’ultimo soltanto, dopo ché già conoscevansi i buoni resultati conseguiti dall’esercizio della linea da Livorno a Pisa, si tocca di quelle peripezie, dicendo; le azioni pochi mesi prima cadute in bassa fortuna, poi risorte ed accolte con favore nelle più celebri piazze d’Europa, cioè, come intendiamo noi, là dove giuocasi all’alto e basso prezzo di quei valori.
- ↑ «L’agiolage qui se fait à la bourse est funeste et immoral; puisque il ruine les sots au profìt des fourbes. (Extrait raisonné des principes d’économie sociale, etc., par Scialoja, già citato, pag. 413 )
- ↑ Vedasi come documento più recente il discorso del signor conte Daru alla Camera dei Pari di Francia, proponente un freno agli scandali ed alle rovine dell’aggiotaggio in fatto di strade ferrate. La proposta del conte Daru venne, dopo una luminosa discussione, rigettata, è vero, perché la maggiorità, parte per timore di nuocere, ammettendola anche modificata, allo spirito d’associazione, e parte perchè interessata alle speculazioni in cui si esercita l’aggiotaggio, dovea ricusare un freno atto a contenerlo entro più giusti confini. Ma ne sarà sempre, tuttavia nato un utile insegnamento pe’ governi, non ancora travagliati da quel malanno, a non lasciarsene invadere. Profitterà poi l’insegnamento medesimo anche agii Stati che ne sono afflitti, persuadendo ai privati i quali hanno ancora tanto criterio che basti per tenerli lontani dal giuoco, a non affidare al medesimo le proprie sostanze.
- ↑ A coloro che in Toscana od altrove rispondono ai nostri avvertimenti col dire: «I capitali delle divisate imprese non sono del paese. Che cosa importa a noi che lo speculatore tedesco, inglese, francese vengano in Toscana ed a Lucca a rovinarsi?... Intanto il popol nostro ha lavoro; le strade anche perdenti resteranno, daran vita maggiore alle nostre contrade, aumenteranno i guadagni individuali, e permetteranno al povero, ora disoccupato, di cumular col lavoro nuove sostanze, le quali non faranno cosi, che mutar di mano»; rispondiamo noi pure colle seguenti autorevoli parole del signor Dunoyer (De la liberté du travail, liv. vi, tom. 2, pag. 54). «Et il ne faut pas dire, comme on le dit communément, que toute entreprise, quel qu’en soit l’objet et quel qu’en puisse étre le résultat, est utile au moins en ce sens, qu’elle a le bon effet de procurer du travail au classes ouvrìères; car les classes ouvrières sont précisément celles qui souffrent le plus des entreprisés légèrement formées. Si la solidité ou la durèe d’un établissement quelconque importent à toutes les classes, qui y sont attachées, elles importent sur tout à celles qui ont le moins d’avance et qui vivent au jour la journée. Le plus grand tort qu’on puisse faire de pauvres ouvriers, c’est de les attirer dans des entreprises destinées à périr. Mieux vaudrait en quelque sorte pour eux absence de secours que des secours précaires soujets à leur manquer; sur la foi des moyens d’existence que leur présentent les entreprises dans lesquelles on les a témérairement engagés, ils contractent des mariages, ils élevent des troupes d'enfants, et puis quand les catastrophes arrivent, ils se trouvent avec des familles nombreuses, en présence d’établissements dont on a fermé les poórtes, qui n’ont plus ni ouvrage à leur offrir, ni secours à leur donner. — Aussi quoique la déconfìture du maître né leur fasse perdre ordinairement aucune avance, et qu’il n’en résulte pour eux qu’une cessatìon de travail, sont-ils, je le répète, la classe qui souffre le plus de cette sorte de désastre. — Extrémement funeste à son entrepreneur et au capitaliste, une entreprise qui tombe est meurtrière pour les ouvriers. 1 1
Ecco dunque le dottrine della scuola inglese, praticate in Toscana ed a Lucca, mentre in Francia esse vengono utilmente confutate cogli argomenti della vera scienza, ai quali noi crediamo dover piuttosto consentire, perchè sono conformi alle antiche massime della nostra scuola italiana, cui ora viepiù s’accosta quella francese.
- ↑ «Qu’on juge par là de ce qu’il y a de sagesse et de bon sens dans des phrases comme celles-ci, que j’emprunte a une Revue anglaise: ’Tout ce qu’on peut demander aux spéculateurs, c'est que leur passion soit dirigée de manière à ce que les classes laborieuses aieut du travail, car alors, quels que sofent les résultats des spéculations, elles ont toujours contribué au bien public». (Article du Quarterly Review, trad. par la Revue Britannique, tom. I, pag. 12 et 13, première série.
- ↑ Niuna, in fatti, di quelle imprese ha mai fruttato oltre il 15 per %, come, con una ben evidente esclamazione ammiratrice, promettono agli azionisti loro i promotori della strada da Pisa a Lucca.
- ↑ I nostri argomenti contro le speculazioni men che fondate proposte in Toscana si trovano giustificati da ciò che scrive negli Annalii universali di statistica di Milano un anonimo Toscano segnato X. X. (Dispensa del marzo 1845, pag. 312 a 315), in cui, denunciando le immorali operazioni di giuoco di borsa già seguite ed altre ancora prevedendone, raccomandasi ai Toscani di non lasciarsi accalappiare dai manifesti dei progettisti. Ivi pure scorgesi come i prodotti della linea da Livorno a Pisa abbiano servito di pretesto per far risalire le azioni della strada Leopolda, i cui lavori per molto tempo languirono; e solo altrimenti sappiamo che, ripresi con qualche impegno, sperasi la linea da Pisa a Pontadera compita nel prossimo ottóbre.
- ↑ Alcune di quelle scritture sentono sempre l'antico municipalismo italiano. Si tratta d’impedire a Genova la superba, ch’essa prevalga ne'traffichi su Livorno, o non possa nuocere a quelli di Trieste. Si tratta di contrastare a Milano un primato che turba i sonni a chi lo vorrebbe men prospero e facoltoso. Si tratta d’impedire che Venezia risorga, pregiudicando Trieste, o rivaleggiando Milano. Miserabili disputazioni, degne del medio evo appena, non del presente intivilimento!
- ↑ È noto che la Maremma toscana da un secolo quasi è oggetto delle cure più assidue di quel governo, onde conseguire, collo scolo delle acque ivi stagnanti, il suo risanamento; e si sa pure che, per quanto siano onorevolissimi gli sforzi fatti al proposito, finora essi furono ben lontani dal conseguire il desiderato buon successo, come si fa palese a chiunque, percorrendo quella contrada, ne osservi la malsana e snervata scarsa popolazione.
- ↑ Da Livorno a Grosseto..... miglia 79 — da Grosseto al confine. ....» 36 1/3 Totale miglia ......115 1/3 Kilometri..........N.° 190,761. I quali a lire 300,000 il kilometro, importerebbero la spesa di lire italiane 57,228,300, e non solo lire toscane 32,000,000, come si è calcolato.
- ↑ Ecco alcune notizie tecniche stateci favorite su questo passo dell’Appennino da persona perita, che possono interessare H lettore. La distanza tra le due città di Pistoia e Bologna per le valli dell'Ombrone e del Reno è di 83 in 85 kilometri. La via corre quasi piana da Pistoia per quattro o cinque kilometri, con un pendio dell’l per % circa; per altri 10kilometri, cioè fino alla vetta dell’Appennino, sale gradatamente con pendenze variate dal 3 al 6 per %. e forse qualche piccolo tratto fino al 7 per % ondechè saran necessari piani inclinati. Dalla vetta dell’Appennino sino alla Porretta, confine toscano con gli Stati pontifici, per una lunghezza di circa 18 o 20 kilometri si scende per declivii variati, non maggiori del 3 per %; forse qualche piccolo tratto verso la vetta al 4 per %, e verso il confine di Stato prossimo all'1 per %. Dalla Porretta fino alla città di Bologna per una distanza di circa 50 kilometri negli Stati pontifici scendesi con una pendenza non maggiore dell’1 per %, seguendo il corso del Reno. La vetta dell’Appennino dovrebb’essere superata con un tunnel di lunghezza non minore di due kilometri, e non maggiore di tre, con altro piccolo tunnel di breve tratta dalla parte di Pistoia. Del resto le valli dell’Ombrone e del Reno, anche in prossimità dell'Appennino, sono assai larghe, e possono permettere con qualche artifizio certe svolte o curve atte a scemarne i declivii, con raggi comportabili dalle vie ferrate. Cotesta uscita dalia Toscana è, senza dubbio, la più breve e meno scoscesa per dirigersi nella gran valle del Po, e particolarmente sull’Adriatico dalla parte di Venezia e Trieste. Quella proposta da Firenze pel val d’Arno fino a Pontassieve per Dicomano, San Godenzo, Osteria, San Benedetto, ecc., diretta a Forlì, è forse la più scoscesa di tutte le altre direzioni; richiederebbe diversi tunnels, o gallerie molto più lunghe, con piani inclinati assai più elevati, principiando da Dicomano fino quasi a Rocca San Casciano. Un'altra linea per uscire dalla Toscana superando l’Appennino, assai più comoda onde riunire i due mari, sarebbe piuttosto quella che da Firenze pel val d’Arno superiore continua sino ad Arezzo, d’onde per due vie potrebbe essere continuata sino ad Ancona; o per Città di Castello, Fratta e Fano; o per le Chiane passando d’accosto al Jago Trasimeno e Perugia. — Secondo la prima diramazione un tunnel non lungo dovrebbe farsi in Toscana per valicare i monti che stanno fra il val di Tevere ed il val d’Arno; ed un altro ne occorrerebbe negli Stati pontifici tra Citta di Castello e Cagli, donde si scenderebbe a Fano per raggiungere Ancona. Nella seconda diramazione per le Chiane non si avrebbe un tunnel, che dopo Perugia, negli Stati pontifici. Codesta linea, oltre ad avere il vantaggio di unire quasi direttamente i due mari da Livorno ad Ancona passando per Firenze, Arezzo, Città di Castello e Perugia, con declivii assai dolci, non maggiori dell’1 per %, almeno per la parte toscana, e con tunnels poco lunghi, offre ancora l’altro vantaggio di poter essere facilmente continuata insino a Roma, da Perugia o da Città di Castello, per la valle del Tevere. Nè questa linea (conchiude l’estensore della nota, che trascriviamo tal quale ci fu favorita) distrugge il buon effetto dell’altra da Pistoia a Bologna, la quale linea andrebbe all’Adriatico verso Venezia, mentre quella di mezzo (prima combattuta) per Dicomano e oltre, attesi gli ostacoli locali sopra indicati, non s’accosta nè a Venezia, nè ad Ancona, e molto meno può essere continuata fino a Roma, quando invece quella per Arezzo e Perugia vi arriva senz'alcuna galleria. D’altronde codesta linea di mezzo verso Forlì non avrebbe, scopo alcuno, perchè non servirebbe ad alcun paese d’importanza, bastando la gran linea progettata tra Bologna ed Ancona per collegare in quella direzione Pistoia e Bologna, e nell’altra, per Arezzo, Firenze ad Ancona. Abbiamo creduto spediente d’inserire questa nota, scritta da persona dell’arte, pratica de’ luoghi, perchè, oltre allo spandere molto lume sulle più convenienti direzioni da scegliersi per superare l’Appennino, volendo uscir di Toscana, serve a far conoscere qual sia l’importanza dei dispendii che perciò occorrerebbero, specialmente, pei tunnel, e pei piani inclinati.— E parlando della direzione da Pistoia a Bologna per la via della Porretta, è spediente notare come possa presumersi insufficiente la somma calcolata dai signori fratelli Cini di sole lire toscane 12,360,000 per costrurre 35 kilometri di strada in una valle dove occorreranno muri di sostegno, piani inclinati e due tunnels, di cui uno della lunghezza di 2 a 3 kilometri. Ora dalla perizia che abbiamo veduto del signor Brunel figlio, d’un tunnel da esso proposto, al colle de’ Giòvi da Genova in Alessandria, in luoghi di condizione geologica all’incirca uguale, colla sola lunghezza di metri 1,800, sappiamo che la spesa poco mancherebbe di ascendere ai 2 milioni circa di lire piemontesi, onde è lecito dedurne che le opere d’arte, pel solo passo dell’Appennino, assorbirebbero buona parte della somma presunta necessaria, forse 1/3 d’essa. Se poi, calcolando la distanza intera di 85 kilometri da Pistoia a Bologna, se gli applicasse il prezzo medio calcolato altrove di 300,000 lire italiane o franchi per kilometro, il qual prezzo, massime là doverono muri di sostegno, piani inclinati e tunnels, più è da credersi insufficiente che eccedente scorgesi che si avrebbe una spesa di lire 25,500,000, la quale dubitiamo assai che si possa collocare a frutto adequato, poiché, anche supposto molto cresciuto il transito in quella direzione, non sembra probabile che possa porgere una rendita spiccia, bastevole a dare un pro conveniente dell’indicato capitale. Coteste considerazioni vengono in appoggio del divisamente ideato a Bologna, del quale, abbiamo sopra toccato, e di cui meglio ancora parleremo al capitolo 8.°; di cercare di ridur la spesa di questa strada, con omettere i tunnels e piani inclinati, ristringendosi a passare il monte là dove le locomotive non potrebbero giugnere, con cavalli attaccati agli stessi treni, staccati dalle locomotive suddette. Mediante cotesto spediente, e con che si tenesse la via ad un solo binario di ruotaie, si potrebbe sperare di tener la spesa dell’intera linea entro limiti assai minori, e con ciò di compensarla colla presunta rendita. Noi crediamo necessario d'insistere su questo punto; perocché se la direzione proposta da Pistoia a Bologna è di molta importanza, perché utilissima al traffico dell’Italia’ centrale, molto interessa di non esporre la speculazione che procurerebbe tale comunicazione, al pericolo o di non potersi compiere o di non potersi mantenere in esercizio, per insufficiente rendita. Noi confortiamo pertanto gli uomini chiarissimi che compongono il Consiglio d’Amministrazione della concessione Cini, e gli stessi promotori della medesima, in ispecie l’ingegnere Tommaso Cini, a voler seriamente meditare su codesi riflessi, che ci paiono toccare all'intero buono o cattivo successo dell’interessantissima impresa da essi assunta.
- ↑ Si ricorda che il francescone o scudo toscano di 10 paoli vale lire 5.60 italiane o di piemonte, pari al franco di Francia.
- ↑ Vedansi, del resto, i particolari di cui alla nota che è alla pag, 241 e seguenti.
- ↑ Si è detto da alcuni: «Certo, il giuoco di borsa e l’aggiotaggio son cose riprovevoli, perchè immorali; ma son per la Toscana un male inevitabile, attesa la necessità d’aver strade ferrate e il difetto di capitali per sopperire alla relativa spesa, i quali non si possono altrimenti cercare all’estero». — A questo argomento rispondiamo che, anche fatta astrazione dà’ princìpi, i quali non consentono di fare o lasciar fare cosa men retta, quand’anche possa derivarne un bene, non è vero che tutte le concessioni chieste ed ottenute siano poi alla Toscana prosperità indispensabili. Nè sussiste che non si possa altrimenti fare incetta di capitali all’estero. Abbiamo già notato esservi in Germania Stati, i quali non hanno mezzi e credito superiori alla Toscana, e che tuttavia seppero procurarsi le vie ferrate, contraendo bensì coi banchieri prestiti, ma senza abbandonar loro l'impresa, e porgere ad essi, coll’occasione di celebrarla in modo soverchio, il mezzo di fare speculazioni d’aggiotaggio. Codesto riflesso ci muove a condannar del pari certa proposta che vuolsi fatta e che noi indichiamo però come cosa assai dubbia: di compensare un’altra concessione impetrata coll'assumer l'obbligo di pagare lire 2,000,000 per fare la mancante facciata del duomo di Firenze, ed inoltre di rifare la via che da Mercato Nuovo conduce al Ponte Santa Trinità, od altre simili grandiose opere d’abbellimento della città. Sicuramente, se queste potessero mandarsi ad effetto col pubblico concorso, sarebbe cosa degna di plauso; perocché renderebbero la già così bella ed ospitale Firenze, bellissima, e viepiù degna del gran concorso de' forestieri che vanno a godervi del suo bel clima, delle bellezze dell’arte, e della molta sua civiltà. Ma comprare opere sì fatte col viepiù favorire le speculazioni dell’aggiottaggio, non pare a noi nè dicevole, nè utile pellà Toscana. Torni essa ricca come fu altre volte coll'economia e col lavoro, ma non serva di tema alle speculazioni dell’aggiotaggio; chè, nè i reali suoi vantaggi economici, nè il suo miglioramento morale potran mai derivare da siffatta condizione di cose.
- ↑ Questa vuolsi recentissimamente conceduta con sovrano motu proprio a ricco signore estero, il quale avrebbe in tal caso assunto un impegno gravissimo; perocché quella strada vuolsi esser quella che presenta in linea di arte più serie difficoltà e quindi richiedere spesa maggiore, come si è detto sopra.
- ↑ Un’altra domanda debb’esser pure presentata da una società inglese, la quale ebbe contemporaneamente ricorso ai governi sardo, parmense, estense, lucchese e toscano per una linea attraversante quegli Stati entrando nell’Appennino ed usandone più volte in modo che non pare bene inteso, il quale inoltre sarebbe certo non economico.
- ↑ Dovendosi parlare delle antiche vicende del gran traffico nelle contrade ch'or sono aggregate alla monarchia di Savoia, debbesi necessariamente esordire per quello di Genova, quantunque questa colle province che ne dipendono, sia il più recente acquisto di quello Stato.
Ivi difatti soltanto, fino da’ tempi antichi, il commercio facevasi sa vasta scala, ed era principale occupazione d’ogni classe della Società. — Asti e Chieri avevano bensì nelle province d’avito dominio, prima però ch’esse vi fossero unite, un più attivo traffico, e specialmente all’estero, di capitali dati a prestito, mercè d’operazioni bancarie, ma non poteansi tuttavia que' negozi paragonare a quelli liguri. — I popoli subalpini, del resto, dati all'agricoltura di preferenza, e singolarmente applicati a militare frequentemente sotto prìncipi, i quali successivamente crebbero il proprio dominio più colle arti della guerra, che della pace, non poteano attendere a speculazioni inercantili. Due passi principali avea il gran traffico dall’Italia oltre l’Alpi per gli Stati della casa di Savoia; quello di Susa, d’onde per la Savoia andavano le merci alla gran dogana francese di Lione; quello superiore a Cuneo per Entraque e San Martino Lantosca (il colle di Tenda essendosi più tardi aperto), per cui andavasi alla Provenza ed al grande emporio di Marsiglia. I trasporti seguivano a basti con muli, per sentieri anziché per istrade, nessuna carreggiabile avendosene attraverso l’Alpi, ond’è che l’industria del mulattiere addetto a quei trasporti era l’occupazione principale delle popolazioni di quelle province. Queste sono brevemente le cause per cui abbiamo, cominciando, creduto dover parlare principalrtiente di Genova. - ↑ Cotesti particolari della storia del commercio ligure, accennati di volo, si possono vedere ampiamente svolti ne’ seguenti libri, specialmente: Sauli, Della colonia de' Genovesi in Galata. — Serra, Storia della Repubblica di Genova. — Varese, idem. — Vincens, Histoire de la République de Génes, ec,
- ↑ È noto che, mercè delle ottime relazioni esistenti col gabinetto inglese, singolarmente curate da un savio ed esperto ministro sardo avuto nel tempo a Londra, quel governo, quando per opera di lord Exmouth puniva i corsari algerini, pattuiva anche favorevoli esenzioni per la sarda bandiera; che quando a Tripoli questa veniva meno rispettata, un atto ardito ed energico della nostra marineria militare frenava e puniva da sé l’insulto, ottenendo favorevoli ed onorevoli patti; che gli stessi patti, per abili negoziati, come per forti dimostrazioni, ottenevansi da Marocco e da Tunisi; che altri abili negoziati, coadiuvati dall’influenza inglese, conseguivano, vantaggiose condizioni dalla sublime Porta; che,la bandiera di Savoia considerata e rispettata nell’Egitto e nelle due Americhe, singolarmente si vantaggiavano le speculazioni fatte all'ombra del suo patrocinio.
- ↑ Anche per l’interno della città, prima nella maggior parte costrutta con strette e tortuose vie, rendessi più facile l’accesso al porto franco, emporio massimo del traffico ligure. La strada Carlo Alberto; magnifica od ampia via carrettiera or prossima a terminarsi, dalle porte di §an Tomaso al porto; e quindi da esso al palazzo ducale; porge ora facile accesso ai carri anche più grossi, che doveano prima caricarsi e scaricarsi alla dogana di San Lazzaro fuori delle porte suddette. Onde ne avveniva aumento grave di spese di condotta e di camalaggio; incaglio incomodo alle operazioni commerciali per le cautele doganali, da cui sono ora in parte fatte libere. Anche, al porto_franco, appena assunto al trono il re Cario Alberto, concedea franchigie maggiori, delle quali il commercio attestò la sua gratitudine con apposito monumento.
- ↑ Le piazze commerciali di Londra, Parigi e Vienna, mentre s’abbandonarono con indicibile alacrità alle speculazioni di vie ferrate da aprirsi nella Gran Brettagna, in Francia ed in Germania, non trascurarono di occuparsi di quelle che potrebbero aprirsi od idearsi soltanto nella nostra Penisola. Quindi, mentre a Parigi speculavasi sulla via ferrata da Napoli a Castellamare ed a Nocera, a Vienna su quelle del regno Lombardo-Veneto e della Toscana, vediamo che a Londra recentemente ancora si è pensato di speculare sopra una ideata strada austro-sarda da Genova a Milano, leggendosi nel Moniteur univrsel del 12 aprile 1845, n. 102, pag. 940, quanto segue: «Un meeting spécial pour la construction du chemin de fer austro-sarde de Génes à Milan a eu lieu à Londres dans Corn-Hill L’alderman Wickers présidait l’assemblée. Le comité, à été autorisé à prendre des mesures pour faire avancer ce projet. On a résolu de former une nouvelle compagnie; 6,200 actions ont été immédiatement souscrites. (Standard)». Covien dire che gli autori dei progetto specularono sur una idea senza la menoma preventiva informazione, poiché se ne avessero, assunte avrebbero saputo per ora almeno, non potersi dare una linea tra Genova e Milano; ancora, avrebbe saputo, che ambo i governi avendo dichiarato voler far essi medesimi le strade loro, e ciò con leggi promulgate, non era probabile che quelle strade venissero concedute all’industria privata. Ma gli speculatori di borsa non badano a tai cose; ad essi basta spacciare azioni, e, come vedesi in questo caso, non mancarono gli avventori!
- ↑ Si può vedere nella bella statistica del dipartimento di Montenotte (2 vol. in 4.°, Parigi, 1827) pubblicata dal fu conte di Chabrol-Volvic, già prefetto d'esso dipartimento, quai lavori preparatorii di perizia ordinasse in proposito ai celebre ingegnere Prony l'imperatore francese Bonaparte, il cui genio ordinatore in quell’epoca, nella quale erano ignote le Vie ferrate, e solo conoscevasi per facilitare le Comunicazioni il mezzo dell’apertura dei canali a conche, tosto, vedea come importasse alla prosperità dell’italiana penisola di stabilire una comunicazione diretta a traverso della medesima tra il Mediterraneo e l’Adriatico.
- ↑ >Difatti, mentre con una via ferrata potrà farsi il viaggio da Genova in Alessandria in tre ore, al più in quattro; con un canale che da Genova sboccasse nel Tanaro, pure in Alessandria, ci vorrebbero forse due giorni e più pel passò delle varie conche, mercè delle quali sarebbe valicato l’Appennino. Ond’è che se il canale potrebbe facilitare il più economico ma tardo trasporto delle merci, non così lo faciliterebbe pel tempo, come neppure servirebbe alle persone, le quali in poche ore fanno attualmente quel viaggio coi veieoli ordinari.
- ↑ Vedi la relazione suddetta pubblicata nel 1839 colle stampe del Fodratti in Torino, un opuscolo in 4.°.
- ↑ Vedi in fine le dette RR. PP., Documento 9.
- ↑ Una domanda era stata presentata al governo austriaco dal conte Visconti d’Aragona, patrìzio milanese, onde ottenere la concessione privilegiata d’una linea che da Milano, ove si congiungerebbe alla strada Ferdinandea, venisse per Binasco e Pavia, passando il Ticino, quindi al nostro confine, ivi segnato dal Gravellone; altra domanda erasi pur fatta d’una linea che da Milano andasse a Sesto Calende sul lago Maggiore. — Nè l’una nè l’altra di quelle domande vennero accolte, e nel decreto del governo imperiale austriaco, che stabilisce le linee delle vie ferrate adottate in massima, vedasi una sola diramazione dalla strada Ferdinandea prevista, quella da Milano a Como. — Ciò premesso, nell'incertezza d’unà linea di comunicazione al punto di San Martino Siccomario sul Gravellone, indipendentemente da altre considerazioni strategiche, è chiaro che cessa, almeno per ora la convenienza di arrivare con una linea da Genova a quel punto,
- ↑ Il passo del Po, per le considerazioni strategiche esposte nella già citata relazione della commissione eletta nel 1837, giusta il prescritto dalle R. patenti del 10 settembre 1840, non potea fissarsi ad un punto inferiore a quello detto di giarola, presso a Sale, provincia di Tortona. — Quattro sono i punti ne’ quali venne proposto di passare il gran fiume: 1.° quello suddetto di Giarola; 2.° quello di Bassignana, dove il Tanaro entra nel Po; 3.° quello di Valenza; 4. quello di Casate. — La maggiore ampiezza del letto del fiume, accresciuto dalle acque del Tanaro, e le sommergibili sue rive in occasione di piene, giunta qualche considerazione strategica relativi all’interesse della difesa militare, faceano propendere di tralasciare il passo di Giarola, massime atteso il dubbio fondato d’incontrare al Gravellone una linea lombarda. — Il pericolo di passare due fiumi al confluente loro, ed ancora qualche dubbio sulle cautele strategiche debbono a nostro parere far abbandonare l'idea del passo di Bassignana. — Quello di Casale per la linea da Alessandria ad Arona; troppo deviando dal confine verso il regno Lombardo-Veneto,cui conviene anzi tenersi il più vicino che è possibile, onde facilitare l'apertura della terza linea preveduta dalle RR. PP. 18 luglio 1844, d’una comunioazione diretta colle province del detto regno, troppo allungherebbe inoltre la via da Genova a Milano. — D’altronde, come vedremo fra non molto, il detto passo a Casale non gioverebbe alla direzione verso Torino, per altra parte fissata. — Resta dunque il passo di Valenza, giudicato più conveniente, e perchè meglio coperto nel rispetto strategico dalla fortezza d’Alessandria di quelli di Giarola e di Bassignana; e perchè offre minori ostacoli dei colli da superare, con un breve tunnel potendosi attraversare il più essenziale dei detti colli, e perchè le due sponde del fiume a Valenza, incassato in istretto sufficente letto, presentano tutta la certezza d’una solida fondazione, senza il menomo pericolo di sommersione delle strade d’accesso. — Egli è adunque a sperate ed a credere, che quel passo di Valenza ottenga la preferenza, come infatti sembra meritarla per ogni verso.
- ↑ Se la linea, del Po, a qualunque punto passato, diretta ad Arona sul lago Maggiore era per comune consenso opinata dover passare per la Lomellina fino a Novara, molto divise dapprima erano le opinioni per la linea da Alessandria a Torino; la quale linea s’ideava nelle prime domande col passo del Po a Casale, senza lasciarsi arrestare dall’ostacolo de’ colli di San Salvadore ed Occimiano, i quali separano la valle del Po da quella del Tanaro sino al confluente di questo nel gran fiume a Bassignana. Da Casale poi la detta linea dovea passare pel pianoro, che è sulla sponda sinistra del Po, onde venire a Torino, senza considerare neppure l’ostacolo delle molte acque che, dalle Alpi affluiscono al Po in quella direzione. Siffatto progetto della direzione di detta linea da Alessandria a Torino, avuto riguardo agli ostacoli che presenta, ed alla condizione sfavorevole di passar per luoghi dove scarsa è la popolazione, posto a confronto di quello poi adottato della Direzione per le valli del Tanaro, del Borbore e della Triversa sino al pianoro di Dusino nell'Astigiana, attraverso a luoghi popolatissimi, con nessun passo di fiumi, e senza la necessità d’alcun tunnel, o piano inclinato, non potea lasciare esitante nella scelta. — Nel determinare una linea di via ferrata, il più breve cammino, la maggiore popolazione, il minor varco de’ fiumi o torrenti, e la risparmiata ascesa e discesa d’erti gioghi, sono condizioni essenziali da ricercarsi sempre e da preferirsi a quelle opposte di più lunga tratta, di scarsa popolazione, d’un maggior numero di fiumi a torrenti da passare, e di erti gioghi da superare, i quali rendano necessari i tunnels ed i piani inclinati. — Al più qualche prolungamento di estensione può ammettersi, o per raccorre una maggiore popolazione, o per iscansare il difficil passo di fiumi o di monti. Nel caso attuale scorgesi esservi anzi nella direzione per Casale la giunta di tutti questi inconvenienti, ond’era provata migliore quella scelta per Asti.
- ↑ Facendosi la strada da una Società Anonima, la quale avrebbe dovuto procacciarsi i fondi con azioni spacciate nelle piazze estere, la commissione d’arte calcolava che l’interesse delle somme successivamente pagate a conto dagli azionisti, ragguagliato al 5 per % per anni 2, mesi 6, nei cinque anni assegnati a termine dell’impresa, avrebbe importato la somma di 5 milioni di lire. — Supponendo, invece, versato dagli azionisti il decimo del capitale de’ 45 milioni ogni sei mesi durante la prosecuzione dei lavori, l’interesse scalare sarebbe di lire 4,950,000, cioè:
1.a rata per anni 5 — lire 900,000
2.a »
4 ½ »
810,000
3.a »
4 - »
730,000
4.a »
3 ½ »
630,000
5.a »
3 - »
540,000
6.a »
2 ½ »
450,000
7.a »
2 - »
360,000
8.a »
1 ½ »
270,000
9.a »
1 - »
180,000
10.a »
½ »
90,000
Totale eguale
lire 4,950,000
L’estinzione delle azioni non decorrendo che dall’epoca della definitiva costituzione in esercizio della società, che assumerebbe l’impresa.
Il capitale di 45 milioni, coll’annuo assegnamento di lire 2,025,000 a conto d’interessi e di capitale, calcolando l’interesse in ragione del 4 per %, e l’estinzione all’l per %, si estingue in anni 56 e giorni 7. — Si estingue poi in anni 43, mesi 8, giorni 49 se si calcola l’interesse al 3 1/2 per %, e l’estinzione all’1 per %. Ond’è che se si calcolasse per esempio ad anni 99 la concessione della strada, com’è succeduto in molti di questi contratti, e come prevedevano, inteso all'evenienza del caso; le R. patenti 10 settembre 1840, la società concessionaria avrebbe ancora avuto l’esercizio della strada, dopo il rimborso del suo capitale:
nel 1.° caso anni 42, mesi 11, giorni 23
nel 2.° » 55, » 3, » 11 Condizione questa molto da valutare nel caso specialmente della garanzia di un interesse minimo, la quale rendea perciò necessaria la restrizione di tal lasso di tempo, e quella del temine assegnato pel riscatto facoltativo al governo della strada ad valorem; il qual termine era dalle R. patenti preallegate preveduto d’anni 30; il tutto al fine di rendere meno oneroso al governo il patto.Preghiamo il lettore di fermarsi su codesti particolari qui espressamente notati: 1.° Perchè meglio comprenda l’importanza d’una concessione di strade ferrate colla garanzia dell’interesse minimo; metodo da noi preferito ad ogni altro, quando vogliansi affidare tali imprese all’industria privata, e sia necessario l’intervento del sussidio governativo, per non essere il caso dell’eccezione di cui abbiamo parlato al capitolo 4.°, trattando della strada napoletana che va a Nocera ed a Castellamare.
2.° Perchè da questi particolari di perizia, officialmente accertati, ed ascendenti alla somma sopraindicata, per non lungar tratta, posta in terreni di varia giacitura, con monti, piani e fiumi da attraversare, ognuno si convinca, con una regola di proporzione facile a sorgere al pensiero, come siano improbabili certi progetti di valicar l’Appennino in altri punti, dov’è ben più profondo ed alto, che non verso Genova; de’ quali progetti abbiamo trattato ne’precedenti capitoli, e tratteremo ancora in quelli che seguono. E’ diciamo improbabili non già nel rispetto dell’arte, poiché le difficoltà maggiori al proposito sono in quello ligure, le quali sono, come vedesi, superabili per giudizio d’uomini competenti, ma nel rispetto della spesa. Perocchè, se si eseguissero daddovero i progetti verso Bologna, per la via della Porretta, e verso Panna per quella di Pontremoli, dagli speculatori toscani e lucchesi ideati, si comprende che si richiederebbero somme tali da compensarsi difficilmente con adequato profitto.
Quindi è che non cesseremo dal chiamare meno prudenti cotesti progetti, l’uno de’ quali duolci veder approvato dall’autorità superiore, come quello della maremma toscana; del quale progetto la Gazzetta di Torino, del 20 aprile, ci annuncia già trafficarsi le promesse d’azioni col premio del 3 ½ per %, perchè prevediamo che quelle strade non si faranno; che le promesse d’azioni, dopo un giuoco fugace, scapiteranno; che gli azionisti, vedendo ineseguiti i lavori, ricuseranno il pagamento delle rate d’acconto, e le società falliranno, restando il solo guadagno di qualche premio lucrato dai fondatori sulle azioni beneficiarie, sempre prelevate, e la molta perdita di coloro che presteranno credito ad essi, senza che l’universale n’abbia il menomo profitto.
Gli speculatori di borsa, e coloro che sono troppo facili a prestar credito alle asserzioni loro, contenute negli spacciati programmi, chiameranno troppo timidi i nostri pensieri; fors’anche li diranno retrogradi, contrari al geperale progresso. Noi consentiam per ora a subire questa taccia; ma ne appelliamo al tempo, il quale non dubitiamo proverà fondati, pur troppo, i nostri vaticini; perché, sebben divoti alla causa del beninteso progresso sappiamo discernerlo da ciò che invece è giuoco imprudente e danno gravissimo sì morale, che economico.
- ↑ Vedansi le dette RR. PP. 18 luglio 1844, e 13 febbraio 1845. Documenti N. 10 e 11.
- ↑ Posteriormente alcuni giornali francesi però aveano affermato, che per considerazioni strategiche fosse insorta qulche opposizione alla compilazione di questo progetto. Sembra tuttavia, dalle ultime notizie che si hanno erronea quella voce. Perocché, anzi il governo francese ha recentemente provveduto pel più accurato studio di quella direzione, mandandovi un apposito commissario.
- ↑ Cotesto progetto di tunnel da informazioni più recenti, sembra ogni giorno meno improbabile. Dapprima erasi detto che alcuni geologi lo credessero impossibile, ma più esatte indagini muovono anzi ad affermare che non ebba presentare ostacoli insuperabili. La presunta lunghezza di esso, misurata sulle carte più esatte e già in parte sui luoghi, non si crede gran fatto superiore agli 8,000 metri, e vuolsi che la spesa di molto non possa oltrepassare gli otto milioni di lire. Cotesta idea ia breve ha fatto gran passi nell’opinione dell'universale, il cui caldissimo voto ne accèlererà, speriamolo, l’effettuazione. Del resto vedasi ai documenti N.12 l'estratto della memoria presentata dal signor Medail per formolare la sua idea, e la nota che to segue.
- ↑ Questo era già scritto quando si è propagata la notizia, che anche per quella parte è possibile andare oltre l’Alpi nella Svizzera con una via ferrata, come si vedrà spiegato a’Appendice, documento N.° 47.
- ↑ Vedi quella ai documenti N.° 13, colla nota che la segue.
- ↑ Erano già scritte le considerazioni che seguono, quando ci capitò sottocchio un opuscolo pubblicato a Lione coi tipi di Marie ainé, rue Saint Dominique, N.° 15, intitolato: Utilité et tracé d’un chemin de fer de Lyon à Genève, Grenoble et Chambery. — Rapport présenté au consell municipal de la ville de Lyon par monsieur Barillon au nom d’une commission spéciale, etc., précédé d’un rapport présenté par monsieur le Maire au consell municipal dans la séanee du 20 février 1845, sur un projet de chemin de fer de Lyon à Genève par la vallèe du Rhône avec embranchement sur Grenoble et Chambery. In quelle due relazioni del sig. Maire di Lione e del sig. Bariìlon, valutate le varie direzioni da darsi a più linee di vie ferrate ne’ dipartimenti del Rodano, dell’Isera e dell’Ain, onde assicurare l’emporio lionese da qualunque perdita potrebbe incontrare per altre direzioni che da Grenoble e da Ginevra scansassero Temporio preallegato, scorgesi che il punto più essenziale per cui s’insiste è quello di conservare non solo, ma di accrescere eziandio il transito da Marsiglia alla Svizzera, e dirigere le relazioni cogli Stati sardi in quel senso che continuino ad avere Lione per principale mercato loro.— Meritano specialmente d’essere considerate le deliberazioni dal Consiglio municipale prese in seduta del 6 marzo 1843, pel motivo in esse denunciato. «Considérant que le chemin de fer de Lyon à Genève et Chambery constitue le complément nécessaire de la grande voie de fer de Marseille à la Suisse et ause États sardes, etc.» È il governo richiesto di far istudiare dai suoi ingegneri i varii progetti che meglio potrebbero conseguire l’intento. Laonde scorgesi come in Francia si avverta principalmente a valersi della Savoia per favorire il transito per essa da Marsiglia alla Svizzera, e conservare il primato di Lione sul traffico della Francia cogli Stati sardi.
- ↑ Posteriormente una compagnia ed un privato; ambo francesi, ottennero, dicesi, dal governo sardo facoltà di far istudiare alcune direzioni nell'interno della Savoia, le quali congiungere possano Grenoble e Lione a Chambery ed a Ginevra. Nell'accordare però siffatta concessione, al tempo stesso cui ordinavasi lo studio del proposto tunnel perforante l'Alpe, il governo sardo aggiungeva l’espresso diffidamento per quanto affermasi, di non assumer con ciò il menomo impegno d’altra futura definitiva concessione. Molto prudentemente in ciò operava il governo suddetto, e nel senso appunto dei riflessi che facciamo; perocché una concessione definitiva non potrebbe emanare senza pericolo pel porto di Genova, che nel caso in cui il passo dell’Alpi venga dimostrato possibile nell’ideato modo.
- ↑ Il giornale Courrier des Alpes, N.°57, del 1845, contiene il seguente articolo, il quale prova come il governo sardo seriamente pensi a questo assunto. — Intérieur; — Chambéry, 15 mai 1845. «On nous écrit de Turin: Nous tenons de bonne source que le gouvernement a determiné de faire etudier à ses fraix, dès que la saison le permettra, la possibilité d’un chemin de fer de Turin en Savoie, ainsi que le système et le tracé à adopter dans le cas ou le passage des Alpes serait reconnu possible. - Les bruits qui avaient circulé sur les offres qui auraienit été faites au gouvernement par des spéculateurs anglais, qu’on disait offrir un projet praticable et un cautionnement énorme, étaient fort inéxacts. Les ingénieurs du gouvernement continuent avec activìté les études deflnitives, et en détail, des routes déjà décrétées». Posteriorinente si, è saputo che per meglio e più provatamente accennare al divisato scopo si è chiamato dai Belgio il signor ingegnere in capo Mans, riputatissimo per le belle opere colà eseguite. D’altra parte anche l’ingegnere Brunel era aspettato, poi giunse da Londra pello stesso fine.
- ↑ Non abbiamo parlato in questo capitolo dell’isola di Sardegna, dove però il governo della R. Casa di Savoia, specialmente nell’attuale regno di S. M. Carlo Alberto, tanti utili miglioramenti va introdacendo. Questi daranno certamente a quell’isola la prosperità onde tanto avea difetto, ma prima ch’essì sieno conseguiti debbe decorrere gran tempo, e non è lecito pensare alle imprese di strade ferrate là dove mancano ancora sui principali ponti le vie ordinarie. Neppure fra le direzioni fin qui accennate per decretate od ideate, soltanto abbiamo parlato di quella diversa affatto, ancora proposta dal signor ingegnere Gonella in una sua memoria; la quale, quantunque pubblicata nel 1842, solo ci venne è poco tempo sott’occhio, e quando già era mancata a termine questa nostra scrittura. Vorrebbe il chiarissimo autore una linea, la quale, partendo da Genova, invece di rivolgersi nella direzione della strada attuale verso Alessandria, andasse a Savona. Da Torino per Moncalieri, Carmagnola, e Racconigi arriverebbe a Savigliano; poi, scendendo a mezzodì-levante, vorrebbe che andasse la strada nella conca della Stura, per attraversarla in luogo propizio; risalendo quindi sulla lingua di terra compresa tra la Stura e il Tanaro, passerebbe cotesto fiume a Novello, per portarsi a Dogliani sulla sponda sinistra del torrente Rea. Accennando ancora possibile un’altra direzione modificata, da Racconigi la prenderebbe per andare a Brà ed a Pollengo, d’onde per la Valle del Tanaro andrebbe pure, come prima si è detto, a Dogliani. Poi sotto a Murazzano passando In mezzo alle due Valli del Belbo e del Tanaro, sulle creste de’ displuvii che le separano, arriverebbe al giogo di Montezemolo, senza necessità, pretendesi, di piani inclinati. Da quel luogo andrebbe verso le due Bormide ed alla sorgente di esse, passate la quali arriverebbe all’Altare, dove occorrerebbe fare una galleria già proposta dal conte Chabrol, essendo prefètto di Montenotte. Valicati così gli Appennini scenderebbe a levante, volgendosi verso Ellera, talché un tronco secondario scenda a Savona, e quello primario giunga per Varazze a Genova sino a San Pier d’Arèna. Da Torino al lago Maggiore, partendo dal Cavo Miohelotti al Borgo di Po, anderebbe sotto Castagnetto a passare il fiume in faccia Chivasso; volgerebbe poi verso Ivrea, toccando il lago di Candia, e quindi alla sponda destra della Dora Baltea, traversata la quale andrebbe a Mongrando, poi a Biella, Masserano, Romagnano, Borgo Manero ed Arona. Descritte le principali opere d'arte da farsi, e spiegate molte diversioni col pensiero di scansarne alcune altre, l'autore pretende con molti quadri sinottici di provare la sua direzione preferibile, perché la sua linea sarebbe certa di condurre un molto maggior numero di persone ed una ben più copiosa quantità di merci, di ciò che potrebbe lusingarsene il progetto di massima allora pubblicato dal signor Porro (lo stesso all’incirca del signor Brunel), cui contrapone quello proprio. Noi non discuteremo questo progetto del signor Gonella, il quale ci pare inspirato da sole vedute piemontesi, ed occupato soltanto del commercio interno, senza badare più che tanto al però sommo interesse massimo del porto di Genova, cui preme di conservare qualche transito alla Lombardia ed alla Svizzera; il quale transito certo sarebbe perduto affatto col lungo rigiro disato. Ecco i suoi calcoli: Da Torino a Genova per Alessandria..... kilometri 480 Per Savona....... » 484 Da Genova al confine lombardo. » 145 Da Torino al lago Maggiore. » 437 Da Genova al lago Maggiore per Alessandria e Novara.» 290 Per Torino, Ivrea e Biella. » 321 Cotesti numeri bastano a provare che nessun transito più avrebbe il porto di Genova, e, ciò premesso, non si vede perchè si farebbe una spesa così considerevole di 321 kilometri di strada, la quale costerebbe circa 96,300,000 lire, per non giovare menomamente at commercio estero, e solo facilitare lo scarso commercio delle province interne, perdendo frattanto tutto il transito lombardo e svizzero, che la strada Ferdinandea non tarderebbe ad assorbire. La strada divisata dll’ingenere Gonella certo piacerebbe per tutti i suoi risvolti, a molti fra coloro che in certo modo va a cercare; ma malgrado i molti suoi cómputi; escluso dal porto di Genova il gran movimento dette merci che vanno in Lombardia, in Isvizzera, ed in Germania mancandogli il gran numero di persone, che vanno a Genova dalle province lombarde, non offrirebbe sicuramente nella direzione proposta gli utili ch’ora possono presumersi dalla direzione adottata. Lo diciamo con rammarico; alcune delle linee del signor Gonella potrebbero esser, col tempo, linie secondarie interne utili; ma applicate allo scopo indicato come linee primarie, peccano per idee di parzialità locali, e non sono fondate sui princìpi, come quelle dal governo adottate. Ecco forse perchè quelle idee non prevalsero.
- ↑ Le comunicazioni per le vie dell'Appennino, dette di Pontremoli e della Porretta, conducenti a Parma ed a Bologna, sono celebrate dagli speculatori toscani e lucchesi come singolarmente atte a dare straordinario aumento al porto di Livorno.
Noi non crediamo che una tale fiducia sia interamente fondata. Le contrade che sarebbero con dette vie provvedute da Livorno, possono in primo luogo molto più facilmente essere provvedute da Genova e da Venezia; i quali scali saranno sempre due mercati assai più grossi di Livorno, checché si faccia. Arroge che le difficoltà notate per superare a que’ punti i gioghi dell'Appennino saranno sempre causa di tale spesa, chè questa non si potrà mai sperare compensata dal prodotto del prezzo de’ trasporti. Ed arroge ancora, che, siccome i capitali molto più abbondano a Genova ed a Venezia che nell’emporio toscano, affatto secondario per tale rispetto, non è a credere che dai detti due scali, dove troveran sempre utili speculazioni, que’ capitali vogliano trasferirsi a Livorno per specularvi, attese le accennate difficoltà. Anche Ancona per le Legazioni farà poi sempre a Livorno una molto proficua concorrenza. - ↑ S. E. il cardinale Legato, sebbene da non molto incaricato del governo di Bologna, per la premura che mostra al bene dei suoi amministrati, vi si è procacciato l’affetto e divozione dell’universale, ed in questa bisogna ha mostrato il massimo interessamento, ed una somma cura di farla riuscire, come spera, a compiuto buon esito. I fondatori poi, ciascuno nella sfera d’azione assegnatagli, gareggiano di zelo per contribuire all’assunto, ed in ispecie il degnissimo presidente insigne commendatore Pizzardi mostra il più grand’impegno, ed usa di tutta la ben meritata influenza di che gode per giugnere ai consoci unito, al proposto lodevole scopo. Persone venute di Bologna, dove furono testimoni del patrio zelo di quegli ottimi cittadini, lo han recato a nostra notizia, sapendo come nel farlo ci erano utilissimi. Essi non ci lasciarono adunque ignorare le molte cure prestate dalla commissione fondatrice a pro dell’assunto; e ci parteciparono come il paese essendo ad essi gratissimo, ognuno spera che il governo, religioso com’è, non ascolterà altri progetti esteri, e preferirà i propri sudditi, i quali nel ricorso presentato, che abbiamo sott’occhio, nulla chiedono che la facoltà di far costrurre la strada; e tanto più sembra fondata la lusinga che hanno d’ottenere la detta facoltà' in quanta un tale ricorso è posto sotto l’autorevole e benefico patrocinio dell’eminentissimo cardinale Legato suddetto.
- ↑ Vedasi all’Appendice lo specchio particolareggiato delle due distanze, spesa e durata del viaggio. Documento N.° 14.
- ↑ Ricordasi che lo scudo romano vale lire italiane, o di piemonte, 5.30.
- ↑ Vedi prospetto o tavola della superficie, popolazione e produzione delle province attraversate dalla proposta strada, documento N.° 15. Aggiungonsi col documento N.° 16, come degni d’attenzione, alcuni quadri sinottici delle varie strade ferrate europee note, con alcune più essenziali indicazioni che le ragguardano.
- ↑ In generale i calcoli preventivi di opere pubbliohe, e di strade ferrate specialmente risultan minori di quelli del costo effettivo. Quelli fatti in Italia ci sembrano imputabili quasi tutti di questo difetto, che può condurre a conseguenze gravi.
- ↑ Vedasi all’Appendice il già citato documento N.° 15, relatito al cómputo della popolazione delle dette province.
- ↑ Vedi il ristretto del conto reso, Documento N.°2.
- ↑ Dal giornale Des Débats del 14 luglio 1845, scorgesi che, mentre in molti progetti di strade ferrate cercasi d’attenuare i calcoli preventivi, onde poi nascono le fallite speculazioni, un abilissimo ingegnere francese, il signor Jullien, autore della strada ferrata da Parigi ad Orleans ed ora incaricato di quella da Parigi a Lione, in una dotta ed interessante memoria recentemente pubblicata, ha preso l’assunto di dimostrare quali siano le regole da osservare per aver esatti calcoli preventivi sì della spesa, che della rendita d’una via ferrata. Siccome i dati non mancavano al signor Jullien, così coll’ingegno che lo distingue ei seppe farne buon uso. In quello scritto un primo riflesso colpisce, ed è: che la spesa media di un kilometro di via ferrata, calcolato in Francia franchi 300,000, è certamente troppo tenue. E questo vuol esser detto altamente dovunque, in questo momento in cui periti e speculatori van pubblicando calcoli di spesa minore ancora. Il signor Jullien prova che, ad opera finita, la spesa delle strade inglesi è resultata dai 700,000 agli 800,000 franchi per un adequato, e prova ancora essere gravissimo errore credere in Francia d’aver a spendere meno di 360,000 a 400,000 franchi per adequato pure. Con altri calcoli, parimenti ingegnosi, il signor. Jullien dimostra pure inferiori al vero le presunzioni calcolate per le spese d’esercizio; le quali, fatta una media possono valutarsi alla metà del prodotto frutto; non compreso l’interesse del capitale impiegato; il quale interesse, nel più dei casi, aggiunto alle dette spese d’esercizio, debbe assorbire l’intera rendita brutta preallegata; eccettuate alcune linee privilegiate, in cui, oltre ad un frutto, adequato del capitale in discorso, ottiensi un premio più o meno ragguardevole, che è quello appunto per cui più o meno cresce il valore al corso delleazioni. Per ultimo riflesso nota il Memoriale, che ne’ calcoli preventivi della manutenzione delle vie ferrate, perché tutte nuove, si è ommessa una partita ragguardevole, ed è quella d’una riserva annua da stanziarsi onde ricostituire il capitale che sarà necessario pel rinnovamento delle ruotaie e delle traverse in legno che le sostengono. Quanto dureranno le ruotaie? vent’anni forse. E le traverse? appena dieci o dodici. La doppia via costando circa 80,060 per kilometro, quest’è il capitale di riserva da formarsi, ed il signor Jullien pensa per ciò necessario in una via ferrata ben governata di stanziare per tal fine l’annua somma di franchi 4,000 per kilometro. I capitalisti savii, che non vogliono esporsi ad imprese arrischiate, ma assumerle soltanto in modo serio e durevole, baderanno adunque agli avvertimenti contenuti nel Memoriale del signor Jullien; il quale è, dice il giornalista francese, atto a condurre a resipiscenza tutti coloro la di cui immaginazione si è esaltata in queste speculazioni; ed a buon diritto crede il foglio periodico di porgere un avviso opportuno nel raccomandare la lettura del Memoriale in discorso a tutti coloro che si propongono d’impegnare le proprie sostanze in siffatte speculazioni. Cotesti avvisi a noi sembrano molto applicabili all’Italia, dove i calcoli preventivi si persistono a tenere molto inferiori ancora a quelli di Francia; sebbene, per adequato, ci sembri, come già si è notato, non doversi ciò fare. Perocché, ripetesi, se qualche occupazione di terreno e qualche mano d’opera degli operai ordinari può essere tra noi d’un dispendio men ragguardevole, la spesa delle molte altre partite debb’essere forse maggiore, dovendosi far venire dall’estero quasi tutto il materiale occorrente; ricorrere per maggior cautela a periti pratici esteri: chiamare meccanici ed operai pur forestieri, i quali naturalmente richiedono maggior soldo di quello riscosso nella patria loro. Non cesseremo adunque dal raccomandare maggior previdenza ne’ calcoli -presuntivi che si faranno nella Penisola, Perocché, continuandosi nell’attual sistema di tenerli inferiori alla realtà, si può bensì presentar pel momento Programmi seducenti, i quali favoriscano il giuoco delle azioni, impinguando gli utili dei fondatori; ma non si riesce ad assicurare il buon esito delle imprese, ed a procurare in modo sicuro al paese il beneficio promessogli.
- ↑ Notasi qui una differenza nelle misure, che non abbiamo potuto accertare; ma che non può gran fatto influire sui nostri ragionamenti. Al 4.° abbiamo calcolato la strada intera tra Pistoia e Bologna a kilometri 85, cioè 35 da Pistoia al confine, 50 da questo a Bologna. Misura questa a noi indicata dai periti toscani. Quelli bolognesi, invece, c’indicarono quella distanza totale in kilometri 100 circa. Da Pistoia al confine 35, come gli altri; da questo a Bologna 65. Differenza 15, forse dai Toscani meno pratici omessa.
- ↑ A maggiore chiarimento osserviamo, che la distanza dall’Ospedaletto a Pistoia essendo di miglia 11 e non di sole 5 ½, si è calcolata la sola metà, perchè nel versante discendente si potrà dare al treno celerità tale da uguagliare anche quella delle locomotive.
- ↑ Vedi Studio topografico intorno alla più breve congiunzione stradale fra i due mari nell’altà Italia, mercè un varco esistente nel tronco settentrionale dell’Appennino. Memoria dell’avvocato Carlo Monti, in 8.° di pag. 48. — Bologna, Tipi governativi e alla Volpe, 1845, con una carta topografica.
- ↑ La linea retta da Venezia a Livorno quasi spezza Ferrara, Bologna, Porretta, San MarceHo, Lucca e Pisa, correndo entro il miglio a Ponente da tutti questi punti; i paesi che più se ne scostano, ma che stanno entro le cinque miglia dalla linea, sono Monselice, Rovigo e le terme di Lucca. Padova è la sola città alquanto eccentrica, ma giova legarla attesa l’importanza sua e la strada ferrata che la unisce a Venezia». Questi dati di confronto sonosi desunti dalla gran carta d’Italia del signor Zuccagni-Orlaudini.
- ↑ L’andamento degli accennati tre fiumi o torrenti, che cade quasi sotto la linea retta tra i due emporii marittimi, è un indizio che di per sé addita la possibilità di tracciare una strada di congiunzione tra loro, salendo per Val di Reno, e trovato un vicino varco dell’Appennino, per quello passare, raggiungere Val di Lima e scendere per essa al Serchio e con questo al Mediterraneo.
- ↑ Opuscolo citato, pag. 5-8.
- ↑ Anche qui occorre qualche differenza nelle distanze tra i calcoli toscani e bolognesi, che non abbiamo potuto verificare.
- ↑ Cenni sulle linee ferrate più convenienti allCanni svile linee ferrate più convenienti all’alta Italia ed all’Italia centrale.
- ↑ Taluni pretesero che una ricca casa bancaria romana, la quale ha presso il governo pontificio molta ingerenza, per aver l’affitto di parte delle suoe imposte, ed averlo più volte sovvenuto d’ingenti capitali datigli a prestanza, avesse proposta la costruzione d’una via ferrata fra Civitavecchia ed Ancona, passando per Roma. Le indagini da noi fatte però, onde verificare l’esistenza di siffatto progetto, e la probabilità del suo buon esito riuscirono vane; sicché noi non possiamo affermare cosa alcuna al proposito, se non che lo crediamo poco probabile, attesa la notoria sfavorevole tendenza pel nuovo trovato prima notata.
- ↑ Assai bene pingeva l’aggiotaggio l’egregio nostro amico il Venerando abbate Raffaello Lambruschini, quando nell’elogio di quell’ottimo Italiano che fu Lapo de’ Ricci (Giornale agrario toscano, vol. XVIII, pag. 262), parlandò de’ mutati usi commerciali, diceva: «Io intendo dire i capitali posseduti da chi non partecipa e non vede il lavoro; i capitali condotti al grado d’essere rappresentati da simboli, di divenire perciò mobilissimi, e viaggiando pellegrini, promuovere ingannevoli commerci, e destar male arti. e gettar fortune e sciagure con la fallacia e la crudele cecità dei giuochi di sorte; — quindi le torme di faccendoni e di trappolieri che scendono come avvoltoi affamati nelle logge de’ mercanti, ribattezzate, con barbarismo espressivo del nome di borse, e là s’avventano sugli schietti e fiduciati negoziatori, come su preparata preda, e gli spogliano prima del danaro, poi di quello che del danaro è assai più prezioso, della fede negli uomini». «Aiutiamo quindi i benemeriti promotori di queste grandiose opere (le strade ferrate), dice opportunamente in un giudizioso articolo degli Annali di Statistica del marzo 1845 Jacopo Pezzato, acciò abbia luogo ai più presto il comune accordo degli Stati italiani, ed intanto teniamoci oculati e guardinghi, onde non iscambiare la creazione delle strade ferrate, colla creazione di quegli istromenti che, sotto il nome di esse, servono unicamente ad impegnare un traffico pericoloso».
- ↑ Vedi Studio topografico intorno alla più breve congiunzione stradaie fra i due mari nell’alta Italia, mercè un varco esistente nel tronco settentrionale dell’Appennino. — Memoria dell’avvocato Carlo Monti. — Un opuscolo in 8.°, Bologna, tipi governativi. — Alla Volpe, 1845.
- ↑ «Vero è che lungo le due riviere liguri corre una strade postale e commerciale, con immenso dispendio tagliata nei fianchi del marittimo Appennino, Ma il disagio delle sue continue salite e discese, e delle sue frequenti risvolte, mostra di per sè la difficoltà di ridurla a traccia piana ed a curve largamente spiegate».
- ↑ Io reputo un sogno i mezzi meccanici o le locomotive costruite a modo da salire i gioghi e scendere i precipizi. Gli esempi di strade a rotaie praticate dagli Americani a traverso degli Allegani: gli stadi che diconsi fatti a traversare le Ande o Cordigliere sono cose più facili a dire che a praticare tra noi. Le macchine ferme al suolo, trascinanti o rattenenti: il sistema d’ingranaggio nelle ruote e nelle rotaie, forse potranno riuscire opportunamente a traverso di queHe solitudini ove mancano cavalli, bovi o altri mezzi di trasporto. La lentezza di quegli americani sistemi, e quindi l’enorme consumo del combustibile (in regioni però che ne abbondano), sono dure necéssità dei luoghi, a fronte delle quali, potrà anche riuscire colà profittevole l’intrapresa; ma presso di noi, se l’economia del tempo, del consumo, della spesa, non avvantaggia sugli ordinari mezzi di trasporto che attualmente abbiamo, questi stessi mezzi riuscirebbero sempre preferibili a novità più costose. — L’Austria, che certamente non è prima a tentare le esperienze, ma che è più riflessiva d’ogni altra nazione nello adottare le migliorie in ogni maniera di progressi; lungi dal giovarsi della decantata e non più recente scoperta americana, fa invece tagli d’immenso dispendio belle Alpi Noriche a spianare la linea che unirà Trieste a Vienna.
- ↑ Trovo accennato in alcuni giornali un progetto di congiunzione della capitale dei regno delle Due Sicilie colle province Adriatiche, mercè un tronco che si staccherebbe da Caserta per arrivare a Termoli sul golfo di Venezia, d’onde altri due tronchi ne percorrerebbero in senso opposto le sponde, uno per la Puglia, e l’altro per gli Abruzzi, sino a Cbieti. — Io non oserò indagare quali riguardi possano aver determinato l’abbandono della traccia per me additata come preferibile tra Benevento e Foggia; nè mi terrei al caso di esaminare le condizioni del varco dai suddetti giornali accennato. Mi contenterò quindi di avverare come la nuova comunicazione tra i due mari italici si avrebbe, partendo da Caserta, per Caiasso, Telese e Cerreto, e, girando attorno al Maltese, alto nodo dell’Appennino, sboccherebbe, a traverso di questo, nella valle del Tiferno, seguendo il quale appiè di Boiano, di Castropignano, e dei Musani, raggiungerebbe Guardia-Alfìera e Termoli. » Queste mie idee intorno al sistema generale di rete italica, erano di già date alle stampe, quando, con vero sentimento di ammirazione, lessi la bella memoria del Signor Marcantonio Sanfermo intitolata: Sulle linee ferrate più convenienti all’alta Italia ed all’Italia centrale, pubblicata il 5 aprile 1845 in Padova (Giornale Euganeo, anno II, quaderno III). — Molte idee di questo dottissimo scrittore combinano con quelle del presente mio scritto. Io non mi sono piegato a correggere qualche disacordo, poiché parmi che non corra a me l’obbligo delle correzioni».
- ↑ Cotesto fatto, che gli Annali di Statistica di Milano proclamano, a nostro parere con ben poca ragione d’applauso, è, lo ripetiamo, la miglior prova che aver si possa della speculazione tutta aleatoria; perocché nessuno certo vorrà sostenere che in pochissimi giorni, ne’ quali mancò persino il tempo d’avere le commissioni estere per compra d’azioni, abbian potuto sorgere domande di Toscani facoltosi dirette al serio acquisto d’azioni per siffatta ingente somma.
- ↑ Vedansi al Documento N.° 16 li quadri delle principali strade ferrate d’America e d’Europa, con alcune indicazioni relative alla loro lunghezza, spesa, rendita, ed altre degne di essere notate.
- ↑ Le imprese di strade ferrate vennero successivamente estese dall'America e dall’Inghilterra alla Francia, alla Germania, alla Russia ed anche a quelle parti d’Europa dove si poteano presumere più tardi introdotte.
Un deputato francese pratichissimo nella materia (il signor Cordier) recentemente
narrava, encomiando i pregi di quelle vie, calcolarsi atualmente finite e già in corso strade ferrate delle seguenti lunghezze: Negli Stati-Uniti d’America... leghe 2200
Nella Gran Brettagna... » 1300
In Germania ...» 820.
Nel Belgio. ...» 240 ’
(Vedi Moniteur, 6 giugno 1845, N.° 157 ) alle quali aggiunte le linee francesi ed altre già terminate, e più ancora quelle in corso d’esecuzione, si viene ad avere un’idea dell’estensione presa dal nuovo trovato, ed a comprendere com’esso siasi così radicato nell’opinione dell’universale, che sarebbe follia pretendere di tenervi estraneo al moto dentatosi per tale rispetto in ogni parte del mondo incivilito. Infatti alla Giammaica, al Canadà si fanno vie ferrate; all’isola di Cuba già nè sono avviate; nelle Spagne e nel Portogallo si sta per intraprenderne, malgrado i mal fermi ordini civili, e fra 10 anni la penisola iberica ne sarà forse solcata, attese le larghe poste di capitali inglesi che si sono a quell’impresa dedicati. Nella Russia e nella Polonia e perfino nella Svezia le immense distanze; la scarsa popolazione, tanto disseminata, ed i lunghi inverni non sono d’ostacolo all’assunto or pure colà intraprese. Nella Svizzera vediamo dalle notizie che si riportano al Documento N.° 17, come si pensi ugualmente a dotare quella contrada di vie ferrate, malgrado le gravissime difficoltà ch’esse pure vi dovranno incontrare in quelle scoscese Alpi, dove altre volle appena si osavan tentare le vie ordinarie. L’Egitto avrà forse fra non molto una via ferrata, che varcherà l’istmo di Suez, quando calcoli accertati la dimostrino, come la crediamo, più vantaggiosa deila riapertura pur divisata delle vie navigabili. Che più? L’India Inglese avrà essa pure quanto prima strade ferrate, per cui nella Gran Brettagna da quegli arditi speculatori già vennero ordinate società. Una relazione dell’ingegnere Macdonald Stephenson propose alla compagnia dell’Indie una strada da Calcutta a Bombay su tre direzioni diverse, esponendo gl’inconvenienti ed i vantaggi d’ognupa di esse. - ↑ Chiamiamo convoglio il seguito o fila di vetture e carri, tirati o spinti dalla macchina locomotiva, o da varie di esse: in altri termini un dato numero, di veicoli, uniti insieme con catene ed altri legami, e mossi dalla stessa impulsione. (Vedi Encyclopédie des chemins de fer, p. 185, verb. Convoi.)
- ↑ Dichiarasi che molte fra le indicazioni precettive che seguono sono tratte, oltre ai libri fin qui citati, da quelli di cui segue il titolo: Railway-Times (opera periodica pubblicata in Londra, la quale tratta profondamente e per minuti particolari tutti gli obietti d’arte, d’economia, di commercio, e sopratutto di legislazione e di foro, riguardanti le strade-ferrate); Minutes of evidence taken before the committee on the London and Brighton railway bills; — Rapport du comité spécial du parlement sur l’état des voies de communications par chemin de fer; — Notice sur les chemins de fer anglais, ou résumé analytique des principaux renseignements contenus dans les publications officielles du parlement, et traitant de l’organisation financière des compagnies, de la construction des Railways, de leur prix d’établissement, de leur administration, des moyens, et des dépenses d’exploitation, du mouvement et des revenus, des voyageurs et du montant de la taxe prélevée par l’État, par le major Poussin; — De l’influence des chemms de fer et de l’art de les tracer et de les construire par Séguin ainé. — Chemins de fer americains; historique de, leur construction; prix de revient; produit; mode d’administration adopté; résumé de la législation qui les régit, par Guillaume Tell Poussin: — Journal des chemins de fer {foglio settimanale pubblicato a Parigi ad imitazione del Railway-Times, sebbene minore in mole, in ricchezza di notizie ed in istudi di fatti, ecc., ecc., cui gli amministratori, ignari delle lingue inglese e tedesca, dovranno sempre tuttavia ricorrere, onde conoscere le principali notizie concernenti alle vie ferrate, postochè non possono conoscere i particolari di cui nel già citato Railway-Times. — Nella nostra penisola la speculazione essendo appena esordiente, non possono citarsi ancora libri scritti al fine d’insegnare le regole d’un ordinamento di strade ferrate fra noi. Quello del conte Piola, Delle strade ferrate e della loro influenza in Europa; Pensieri ecc., contiene sotto quel modesto titolo ottimi riflessi, atti a svegliare la pubblica attenzione sopra l’importante argomento; ma non provvede ad alcun insegnamento che giovi al proposito dell’assumere le imprese più profittevoli. D’altronde quella non era la vista del chiarissimo autore, il di cui scopo era unicamente quello di avvertire il pubblico intorno alla necessità delle vie ferrate ed alle più probabili conseguenze delle medesime. Nel regno Lombardo-Veneto infinite furono, è vero, le pubblicazioni sulle direzioni da darsi alle vie decretate; ma, come già notammo, gli autori di quegli innumerevoli opuscoli, da viste municipali più che da altro diretti, spaziarono nel più esteso campo della polemica, e pur troppo soventi trascorsero alle personali acerbità, onde ne avvenne il gran male di veder abbandonato l’assunto dalle persone di maggior credito; di sentire cadute le azioni in mani estranee all’Italia, frattanto che l’impresa è così periclitante da rendere quasi inevitabile l’ultimo partito preso per essa al fine di vedere una volta compiuta l’opera.
- ↑ Vedi: 1.° Rapport du directeur de l’administration des chemins de fer en exploitation (Bruxelles, 20 septembre 1843), con cui quell’officiàle informa delle determinazioni concertate tra i varii governi interessati per regolare i servìzi internazionali. — 2.° Convention provisoire pour les transports en général entre la Belgique et le Rhin (24 agosto 1843 ). — 3.° Tableau annexé à la convention provisoire du 21 août 1843, réglant le tarif intemational belge-rhénan. — 4.° Arrètè ministeriel approuvant la convention provisoire, etc. — 5.° Convention conclue entre l’administration des chemins de fer belges et la direction du chemin de fer rhénan pour l’établissement du service intemational (6 marzo 1843). — 6.° Documents rélatifs à l’établissement d’un service provisoire de bateaux à vapeur entre Ostende et Douvres pour le transport des dépèches et des voyageurs. — 7.° Dispositions rélatives à l’exécution des conventions avec la compagnie du chemin de fer de Londres à Douvres; tarif rélatif. — 8.° Rapport du directeur de l’administration des chemins de fer en exploitàtion pur le mouvement des voyageurs à Ostende pendant l’annee 1844; états annexés rélatifs. Documenti questi, i quali tutti si trovano al citato rendiconto dell e operazioni dell’esercizio 1844 delle strade ferrate belgiche, pubblicato dal ministero de’ pubblici lavori di quel regno; vol. 1 in 4.°, 1845, dalla pag. 96 alla 126. Altri consimili documenti si potrebbero citare concernenti alle stesso oggetto e ad altri paesi. Ma si cadrebbe, da una parte, in ripetizioni inutili; dall’altra si ricorrerebbe forse ad esempi meno compiuti di quelli sopra citati. Del resto, nel libro recentissimo di cui segue il titolo possono anche trovarsi, volendolo, utili indicazioni. «Législation des chemins de fer en Allemagne. — Traduit de l’allemand avec une introduction et des notes, par Prosper Toubneux, chez Mathias. Paris, 1845, quai Malaquais, 15».
- ↑ Non abbiamo credulo dover parlare delle regole postali sulle vie ferrate in un modo speciale ed apposito.
Diremo qui― soltanto di volo:
1.° Che le dette vie giovano in sommo grado alla facilità e prontezza delle corrispondenze, viepiù crescenti pei frequenti e celeri trasporti d’esse eseguiti dagli incessanti convogli:
2.° Che cotali trasporti riescono quasi di nessun costo, dacché appena aumentano la spesa dell’esercizio della strada; onde deriva potersi notevolmente ridurre le tariffe postali, e tolto così gni incentivo alla frode, s’accresce la rendita di esse all’atto medesimo della riduzione loro:
3.° Che le vie ferrate, oltre all’accrescer le relazioni personali, aumentano altresì quelle scritte con immenso vantaggio delle affezioni famigliari, delle transazioni commerciali, e della civiltà in somma:
4.° Che quando trattasi d’una lunga linea, la quale percorra luoghi assai popolati, aventi attive corrispondenze tra loro, si può, come si pratica appunto nella Gran Brettagna, destinare un’apposita ampia vettura pell’ufficiale delle poste incaricato di seguire il convoglio; questo, ricevendo e rimettendo ad ogni stazione le lettere che ne partono o vi son dirette, può, durante il corso del viaggio, farne la minuta separazione, collocandole nel rispettivo casellario, sicché le lettere medesime arrivano in istato di distribuzione, con gran risparmio di tempo, e con gran comodo del pubblico, che ha così maggior campo a rispondere. - ↑ Codeste spese, lo ripetiamo ancora, dcbbon essere maggiori in Italia che altrove, per doversi incettare all’estero le principali provviste. — Gli esempi di strade, le quali in tratte brevi costarono meno delle estere, non distruggono il nostro argomento; perchè quelle tratte sono ancora imperfettissime, nè provvedute di tutto l’occorrente materiale. D’altronde il modo in cui alcune furono eseguite richiedendo prossimo rinnovamento (tanto è meno esatto e solido); è da sperare che in un serio ordinamento di vie ferrate fra noi, dato il bando ai periti inetti, si vorran lavori degni de paese, simili agli esteri. Un solo mezzo d’economia abbiamo, e di quello raccomandiamo l’usa dovunque è possibile; vogliam dire il motore idraulico in tutti que’ luoghi in cui può essere impiegato, come ne’ piani inclinati dove occorrono macchine fisse, atteso il risparmio che ne avverrà del combustibile, del quale abbiamo difetto, ed anche pei minori pericoli che presenta del vapore.
- ↑ «Agli sguardi dell’egoista» dice un elegante e moderno scrittore » (e quando io dico egoista io dico pensator corto), sembra con apparenza di vero, che nelle relazioni sociali non sia profitto per alcuno, che non sia danno per alcun altro. Della società fondamento la proprietà; effetto primo di questa comprare e vendere; dunque divisi gli uomini in compratori e venditori, è necessario che questi scapitino allorché quelli guadagnano. — Vergogna grandissima degli umani ingegni! idee così corte e miserabili ebbero onore di scienza e potenza di legge, finchè la scienza vera dell’umanità fu in fasce, o piuttosto in ceppi e in catene. — Alla economia politica è dato il condannar questi errori, e mostrar con opposta sentenza come nella mescolanza degli interessi non sia per alcun individuo guadagno vero, che non sia guadagno al tempo stesso del corpo intiero sociale. — Fondata su fatti semplici, essa ha men da creare, che da distruggere; ed è ufficio di essa abbattere gl’idoli della nostra mente, idoli dell’ignoranza e dell’interesse, ma di quello stolto interesse privato che si separa dal pubblico; ed a cui non sembra ricchezza quella che si divide coi nostri simili, e che proviene dai loro acquisti. — O mi deludono quei sogni pei quali l’idea del futuro riesce talvolta a consolare del presente, o verrà un tempo, e non è lungi, in cui la politica economia, passando dalle ricerche dei dotti nella persuasione di tutti, non sarà più una scienza, ma un fatto, un gran fatto universale; e spenti gli errori con le generazioni, potranno i nostri nipoti intendere il vero per abitudine, e si maraviglieranno di noi, che lo abbiamo studiato e disputato». (Da una Memoria del signor Gino Capponi, Intorno alcune particolarità della presente economia toscana, letta nell’adunanza del 4 aprile 1824 dell’accademia de’ Georgofili, pubblicata nell’Antologia di Firenze, vol. XIV, e nuovamente con altre dello stesso autore in un opuscolo intitolato: Cinque letture di economia toscana lette nell’Accademia dei dal socio ordinario Gino Capponi. Firenze, presso G. P. Vieusseux, 1845). In quella bella pagina, come in molte altre di quell’opuscolo, l’autore di esso, già così noto pella somma di lui storica dottrina, s’è provato sapiente statista ed economista distinto, ed ha con molta, chiarezza e verità esposti al lettore i princìpi economici più fondati, che molto importa propagare, se vuolsi una volta creata la vera scienza ed applicata agli affari del civile consorzio, per conseguirne gii effetti cui tende la natura progressiva del secol nostro. (Noi credemmo che fosse consentaneo al nostro assunto citare le belle ed autorevoli parole dell’uomo insigne di cui tanto onorasi la Toscana).
- ↑ Nel tornar più volte ad esprimere cotesta idea, crediamo inutile purgarci dalla taccia che ci si volesse per avventura imputare da coloro che non ci conoscono, di dividere certi sogni di menti esaltate per altra unità politica italiana Estranei a discussioni politiche e di spirito di parte; occupati soltanto di quelle economiche; e d’altronde con mente troppo positiva per lasciarci guidare da astrazioni d’impossibile pratica applicazione noi ragioniamo, prendendo per base la’attuale Stato d’Italia, e ricusiamo qualunque altra interpretazione sotto intesa. Nel fare questa dichiarazione, noi intendiamo di provare le nostre opinioni conservatrici, le quali possono benissimo conciliarsi con quella onesta liberalità che ci vantiamo di professare. Quella e questa sempre concedono di far voti per que’ miglioramenti legali e legittimi che la condizione de’ tempi può richiedere, e che le ottime intenzioni di prìncipi illuminati porgono argomento a sperare. Noi intendiamo perciò di non dare motivo ad alcuno che sia seguace di opinioni estreme in qualsiasi contrario senso, ad averci per ligio alle medesime. Chè anzi pretendiamo di mantenerci in quella indipendenza che è lecita, salvo sempre il dovere, all’uomoo che sopra ogni altra cosa al mondo pregia il giusto e l’onesto, rispettando sempre ogni dritto fondato.
- ↑ Possono per la compilazione dei capitolati d’appalto consultarsi quelli pattuiti nel regno del Belgio ed in Francia, che si trovano in moltissimi numeri dei due giornali officiali di quegli Stati (Moniteur Belge e Moniteur Universel); come si trovano pure nel giornale francese delle strade ferrate, già citato, e sono da preferire quelli pattuiti più recentemente nel corrente anno 1845 per le ultime concessioni accordate dai due governi.
- ↑ La provvista del materiale è il punto più arduo dell’impresa. S’essa è dal governo direttamente, assunta, questo non debbe pattuire la provvista medesima, che previo consulto de’ migliori periti sulle forme e qualità più convenienti d’ogni parte del materiale suddetto, ordinando tutte le indagini e gli sperimenti che possono assicurare contro le frodi ed i soprusi cui debbe aspettarsi chiunque sia novizio in qualunque impresa. Se poi questa è conceduta all’industria privata, la società intraprenditrice debbe nel proprio ben inteso interesse usare le stesse avvertenze; ed il governo, per causa specialmente di sicurezza, debbe invigilare acciò le usi, nè per gretto risparmio attuale espongasi a sinistri ed a spese, future anco maggiori. Perocché questa è sempre la conseguenza certissima delle malintese economie d’un primo ordinamento. Contro ad una frode specialmedte si avverta di premunirsi; ed é quella di ricevere materiale usato posto a nuovo, ma già per altre strade impiegato, dove fu poi riformato per introdotti miglioramenti o per altra causa. Cotesta frode in ispecie può tentarsi dagli appaltatori di quelle strade che venissero direttamente od indirettamente a far concorrenza alle nostre, ed approfittassero di periti già da essi impiegati, ed ora da noi consultati sul punto del materiale da acquistare. Il trattare direttamente colle fabbriche più accreditate, dopo aver deciso con piena conoscenza di causa sulle qualità e forme più convenienti, pare lo spediente più cauto. Tra le dette fabbriche, quella di Seraing presso a Liegi, nel Belgio, si raccomanda a noi per convenienze maggiori, sì di qualità egualmente buone, che di prezzi migliori. Dove poi fosse possibile, per la più grande estensione data all’impresa, e per la circostanza d’aver sul luogo ferro e combustibile sufficiente, d’istituire una manifattura d’oggetti di materiale; se il costo può sperarsi non grave, e la qualità presumersi ottima, sarà molto opportunto di farlo, procurando che qualche industriale estero, da alcun speciale favore allettato, venga a creare un tale opificio. Ad ogni modo, non fosse che pei soli ristauri e ricambi, converrà che le imprese sì del governo, che delle società abbiano sul punto della linea, ravvisato più comodo, uno o più di tali opifici, e procurino di farvi educare operai indigeni, collocandovi come apprendisti giovani tolti dai conservatorii od orfanotrofii, o ricevendo quelli che volontari cercassero entrarvi; e ciò, al fine d’aver, col tempo, abili artefici del paese, senza dover, come di presente, far capo dagli stranieri. Un’altra avvertenza ancora raccomandiamo pel materiale, ed è quella di averlo, per quanto occorre, di forma eguale a quella delle strade corrispondenti. Suppongasi, per esempio, la carreggiata o larghezza della strada, colla quale s’avrà corrispondenza, d’una data misura, le sue ruotaie e veicoli d’una data forma; converrà avere ogni cosa uguale nella nuova strada da farsi; eccetto il caso di qualche difetto, che potesse per avventura compromettere la sicurezza. In questo caso, meglio è correre il danno dei necessari travasi delle merci e traslocazione delle persone dall’una all’altra strada, anziché esporsi a’ sinistri. Sul punto della più larga via specialmente ora si va discutendo, come più sicura indubitatamente; epperò in qualche nuova strada della Gran Brettagna venne tal sistema adottato. Quando si tratta di strada che non abbia corrispondenti, lo spediente può essere, quantunque più costoso, adottato; ma se si hanno altre strade corrispondenti, purchè la larghezza della via di queste non offra pericoli, non si debbe esitare ad attenervisi, perchè in difetto si rinuncierebbe al vantaggio grandissimo delle reciproche corrispondenze de' convogli, spiegate possibili al precedente capitolo 1.° Lo stesso dicasi per la forma delle ruotaie e delle locomotive, in certi luoghi mutate, ben inteso che il principio d’imitazione da noi consigliato è ristretto alla necessità di mantenere le corrispondenze possibili, e non esclude però l’adozione di tutti que’ perfezionamenti particolari che si vanno successivamente adottando nelle varie parti del materiale preallegato, ogni qualvolta risultino avverati ottimi. Nel fare questa ed altre digressioni, le quali sembrano più tecniche, che amministrative, noi non abbiamo inteso entrare nell’altrui campo, assumendo le parti di perito. Solo abbiamo riputato opportuno segnare qualche regola e cautela, che l’amministratore e lo speculatore industriale non debbono ignorare per propria norma, lasciata sempre ai periti la piena facoltà di giudizio sulle qualità, sulle forme e sui modi più convenienti dell’ordinamento de’ lavori e delle provviste di materiale.
- ↑ Dovendosi venire a patti con società industriali, si fa quistìone se convenga di aver per massima di pretenderle composte soltanto di speculatori sudditi, liberi di procurarsi all’estero i capitali che potranno occorrer loro, ma di non ammettere come intervenienti al contratto gli esteri speculatori insieme a quelli indigeni, molto meno d’averli soli a patteggiare. I capitali essendo cosmopoliti, certo è che non debbesi precludere la via a quelli esteri di concorrere nelle divisate imprese, molto meno poi tra noi, dove per la scarsa abbondanza dei capitali medesimi le imprese in discorso sarebbero sempre imperfette. Però non può tacersi un pericolo cui espone talvolta l’intervento degli speculatori esteri. Vogliamo parlare delle complicationi diplomatiche cui possono per avventura esser causa nel caso di sinistri succedenti all’impresa, che cerchi indennità. Se il governo contraente è quello di una grande potenza, la quale possa sempre mantenersi affatto indipendente, il pericolo prealegato non merita alcun riguardo; perocché alle altrui rappresentanze diplomatiche derà liberamente senza essere tenuto a cedere che in quanto può giustizia richiedere. Ma se si tratta d’uno Stato minore, che per altre gravi politiche considerazioni debba usare riguardi, onde mantenersi in ottima relazione con altro Sitato maggiore; allora sicuramente le complicazioni diplomatiche con esso per simil causa potrebbero condurre a sagrifici e ad oneri non sempre dovuti anche in via d’equità. Per dimostrare fondato questo nostro riflesso, non mancherebbero nella Penisola anche recenti esempi. Questi ci conducono a credere preferibile fra noi di patteggiare coi sudditi, salva a questi la facoltà d’aver soci esteri speculatori, con che la società, sempre sia rappresentata dagli indigeni. E quando per ottime condizioni convenisse tuttavia far patti con società interamente composte di forestieri, sarebbe sempre a prudenza conforme di stipulare la rinuncia di esse a qualunque diplomatico intervento, e la ricognizione apposita della competenza de’ tribunali dello Stato, col quale contrattano nel caso di contestazione, onde occorrendo, ciò malgrado, richiami in via diplomatica, sempre sia almeno in dritto lecito di opporre la seguita rinuncia e la riconosciuta giurisdizione; perchè allora men difficile riesce ad uno Stato, anche di minore importanza, difendere le proprie ragioni verso di uno Staio potente ohe volesse soverchiarlo, difendendo i suoi speculatori.
- ↑ Le restrizioni suggerite al traffico delle azioni sono una necessità non solo morale ed economica, ma di sicurezza della proprietà pubblica e privataa, esposta invece a giunterie. — La gazzetta di Torino, per esempio, dell’8 agosto 1845 contiene alla data di Torino un art.° che smentisce le asserzioni d’una società istituitasi in Londra, col proposto fondo di 75,000,000 di franchi, per far strade ferrate nell’isola di Sardegna. I particolari narrati in quell’articolo mostrano che, proponendo la società e chiamando un acconto agli azionisti, quelli si assicuravano di un buon successo e di protezioni, non mai sognate neppure. Spiegasi nel detto articolo, come abbiamo già detto al capitolo 5.° del discorso precedente, che nell’isola di Sardegna, dove ora si van continuando le strade ordinarie da alcuni anni intraprese, nè il governo ha mai pensato a strade ferrate nè gli è mai pervenuta domanda alcuna di concessione. Ora chiameremo se l’asserzione de’ proponenti la società inglese, su così aperte menzogne fondata, chiedendo a’ creduli azionisti un pagamento a conto, altrimenti possa qualificarsi che come una vera giunteria; poiché si chiede all’altrui fiducia ingannata un danaro, premettendone un impiego assolutamente imponibile. Ancora è noto vendersi a Londra azioni per una pretesa via ferrata tra Verona ed Ancona, della quale non s’ha in Italia il menomo indicio finora, nè si crede che il governo, cui spetta concederla, vi abbia pensato mai. Il Lloyd Austriaco di Trieste del 5 luglio conteneva pure altro esempio di coteste giunterie, derivato forse dalla stessa sorgente, narrandovisi che una compagnia erasi formata a Londra per la costruzione d’una strada ferrata da Trieste a Venezia. Codesto giornale dichiara, nello smentir tale annuncio de’ fogli inglesi, che quella compagnia non ha mai fatto alcuna domanda al governo per ottenere la concessione per ciò necessaria. Il gabinetto di Vienna, d’altronde, non ha l’intenzione, si aggiunge, d’aprir per ora una strada ferrata tra Venezia e Trieste, alcune domande fatte al proposito essendo state depellite. (Gazzetta d’Augusta e Monitore Universale di Francia del 16 luglio 1845 N.° 197). Ancora; nella Gazzetta di Torino del 1° agosto 1845, n.°174, havvi un articolo, estratto pure dalla detta Gazzetta d’Augusta, in cui, sotto la data di Roma del 19 luglio, narrasi che un inglese speculatore (lo stesso che fece proposte reiette a Torino, a Milano ed a Bologna, accolte a Firenze), essendo andato a Roma, onde proporre di far strade ferrate negli Stati pontifici, abbenchè ivi pure ripulso, essendosegli risposto: non pensarsi per ora da quel governo a concessioni, ma quando se ne facessero, volersi a favore de’ sudditi, non di esteri fare, lasciando tuttavia che i sudditi istessi si procurassero poi, se lo voleano, dagli esteri gli occorrenti fondi; non esitò, ciò malgrado, a far pubblicare a Londra dal Times un articolo, che annuncia fermato a Roma con un banchiere e col banco romano un convegno per la società austro-itala-inglese, e chiamarsi, in conseguenza di esso convegno, agli azionisti 2 ghinee cadauno, le quali, ove fossero vendute le 20,000 azioni proposte, dovrebbero comporre le 40.000 ghinee, che s’allegavano doversi sborsar di cauzione; allegazione quella affatto insussistente, nessun convegno essendovi. Arroge che, onde rispondere poi a certo articolo inserito, con sorpresa de’ buoni, nella Gazzetta di Firenze del 9 luglio 1845, N.° 28, a nome di quella società, in cui insinuavansi concerti presi colla società bolognese, l’eminentissimo cardinale Legato permise nella Gazzetta Privilegiata di Bologna l’inserzione d’un articolo di protesta e di dichiarazione; col quale articolo il pubblico è disingannato, che nè con essa società inglese, nè con nessun’altra la società progettata in Bologna mai ebbe alcun patto d’operare d’accordo; che anzi fra le condizioni intese del progetto sociale evvi quella di riservare ai sudditi il concorso alla divisata impresa. Molti altri esempi potrebbero aneora citarsi. Ma i precedenti sembrano dispensare da ulteriori riflessi sulla moralità di tali atti, e provare come i governi prudenti, i quali non vogliono lasciar libero il campo alle speculazioni dell’aggiotaggio, debbono ordinare appunto le suggerite discipline, e ricusare di trattare con sì fatti speculatori, immeritevoli di fiducia.
- ↑ È noto che su quella linea si è ordinato in vasta scala il contrabando eseguito col mezzo di cani a tal fine addestrati; i quali, condotti di Francia nel Belgio da un casamento dove sono ben trattati e pasciuti, arrivano in altro dove son condannati al digiuno e battuti da uomini vestiti colle divise de’ preposti francesi. Intanto a notte chiusa vestonsi d’una seconda pelle il corpo, e tra essa nascondonsi in apposite tasche le merci preziose che voglionsi frodare, come pizzi, scialli di gran valore e simili. Poi si dà libero passo a que’ cani, i quali fuggono attraverso i campi per deserte vie, onde il giugnere al casamento francese, da cui partirono; e cansando preposti ed uffici di dogana, arrivano là dove li aspetta un ottimo pasto. — Invano il governo francese ha imposto un dazio di 5 franchi per cane uscente dal confine. Invano i preposti ne ammazzano una gran quantità veduti fuggenti la notte. Ogni giorno n’escono mandre intere di Francia, pagano il fissato dazio, e rientrano la notte nell’anzidetto modo, riuscendo il maggior numero nell’ideata frode.
- ↑ Vedansi i seguenti decreti (Arrétés) del re dei Belgi, concernenti alle
formalità di dogana applicabili ai trasporti sulle strade ferrate.
- (Arrété) Decreto 90 agosto 1842
- » 29 ottobre 1842
- » 11 novembre 1842
- (Arrété) Decreto 90 agosto 1842
- ↑ Vedasi, riguardo al sistema doganale austriaco, un interessantissimo articolo recentemente pubblicato nel Journal des économistes, N.° 44, del luglio 1845, col titolo: Tendances industrielles et commerciales de quelques États de l’Europe del signor Teodoro Fix, valentissimo economista francese. — E vedansi le opere dalle quali esso ba dedotto i dati statistici accennati nel suo lavoro, che sono: l’opera del signor Tegoborski, Des finances de l’Autriche, ecc. I lavori del signor Czernig sulla statistica dell’Impero austriaco; quelli del signor Becher sul commercio dell’Austria; quelli del signor Springer, Statistica degli Stati austriaci; il giornale del Lloyd austriaco di Trieste. Aggiungeremo ancora aversi certi quadri statistici officiali, i quali, sebbene non fatti di pubblica ragione, sono però talvolta comunicati a coloro cui occorre consultarli.
- ↑ Erano già scritte queste pagine, quando l’ottimo ed onorevole nostro amico, il generale conte Serristori, pubblicò negli Annali universali di statistica di Milano (dispensa del luglio 1845, pag. 9) un suo pregevole articolo, intitolato Dell’attuale condizione delle industrie in Italia, coll’epigrafe molto opportuna: Amicus Plato, sed magis amica veritas; nel quale articolo, ascrivendo con ragione, come il chiarissimo professore Giulio (altro nostro degnissimo amico e collega), nel lodatissimo suo libro: Notizie sull’industria patria, ec. Torino, ec., la presente poco prospera
condizione dell’industria italiana alla mancanza d’istruzione popolare, di
libertà commerciale e di associazione di capitali, fra gli altri spedienti geriti per vincere l’inconveniente, come già altre volte, propone ancora l'unione doganale italiana, escluso il regno Lombardo-Veneto, perchè aggregato all’Impero austriaco. Egli nota com’essa sia tanto più indispensabile in quanto che senza della medesima le strade ferrate vedrebbero i beneficio loro de’ veloci trasporti ridotto al nulla, per le occorrenti fermate alle linee doganali; le quali fermate, a cagion d’esempio, esso calcola importare un perditempo d’ore 12 per la linea da Milano a Bologna.
Le nostre dottrine economiche in fatto di libertà commerciale, tante volte solennemente proclamate, sono troppo conformi a quelle dell’egregio statista toscano, perchè menomamente s’intenda di combatterle.
Solo non si può ammettere intera la conclusione, a parer nostro troppo assoluta, che il chiarissimo autore trae nel caso in cui non riesca la da lai, come da altri, vagheggiata unione doganale, affermando che, conservate le lince di dogana, è interamente o quasi distrutto il beneficio dell’economia di tempo che ottiensi col nuovo mezzo di locomozione, attese le fermate cui sarebbe ogni convoglio astretto al passo d’ogni linea.
Sicuramente, il poter fare interamente a meno di tali fermate, sarebbe grandissimo beneficio, non meno desiderato da noi, che dal degnissimo nostro amico e da altri.
Ma siccome, per le già accennate ragioni, è assai difficile di sperare, per ora almeno, risolti gli ostacoli che si opporrebbero alla soppressione totale delle linee doganali, mercè dell’ideata unione, pare a noi che, per istar nel possibile e nel probabile, meglio convenga studiare con quali modi si possa ridurre al minimo il perditempo delle fermate.
Questo spediente noi crediamo aver consigliato nel modo più acconcio e provato possibile, poiché si trova in pienissima pratica nell’accennata direzione da Lilla a Colonia, dove si fanno in 12 ore 400 kilometri di strada passando quattro linee di dogana, senza difficoltà alcuna e senza pericolo di frode.
Codesto esempio noi proponiamo ai governi italiani, e crediamo ciò sia più opportuno, che non dichiarar loro perduto ogni beneficio delle divisate vie, se non si risolvono a porsi d’accordo, sopprimendo le linee loro, alla qual cosa, ripetesi, certo non si piegheranno, almeno per ora.
Troppi altri ostacoli reali pur troppo incontrerà la corrispondenza delle varie linee di vie ferrate, specialmente negli Stati minori della Penisola; e segnatamente quelli sorgeranno sulla linea dal Serristori accennata da Milano a Bologna; perchè ancor faccia mestieri ingrandirli, e chiamare quasi insuperabile quello delle linee doganali. Se il chiarissimo nostro amico riflette annesta considerazione, egli converrà certo con noi nel persuadere invece superabile l’accennato ostacolo colle regole e cautele da noi suggerite, come lo è ugualmente quello delle indagini di polizia occorrenti al passare dall’uno all’altro Stato. Gli avversari delle strade ferrate troppo già vanno, sebbene senza ombra di ragione, predicando con esse più non potersi governare; doversi ad ogni cautela politica rinunciare, aversi a farne altretanto di quelle daziarie, con immenso pregiudicio della sicurezza dello Stato, de’ privati e dell’erario, a meno che si voglia dall’uno all’altro Stato richieder pe’ convogli tali fermate che annullino ogni vantaggio dell’economia di tempo, e rendano cosi inutile l’ingente spesa di quelle vie cui perciò ostano. A codesto specioso ragionamento, che il nostro discorso ha, crediamo, compiutamente confutato, non desideriamo il sussidio d’uomo come il Serristori, certo men che inclinato a darlo. Ma potendosi nel fatto da alcuni governanti non favorevoli alle nuove vie, accoglier nel senso loro il riflesso del nostro amico, era dover nostro di opporvi le considerazioni sopraccennate, ponendo per tale rispetto anche noi ad atto pratico la ricordata epigrafe: — Amicus Plato, sed magis amica veritas. Desideriamo e speriamo veder persuaso chi abbiamo combattuto. - ↑ I giornali inglesi narrano frequentissimi i sinistri seguiti lungo le vie ferrate dove lo scoppio di caldaie, la rottura di ruote, sale o ruotaie, o la
- ↑ Siccome una sola visita, compiti i lavori, e fatto anche qualche sperimento, sarebbe forse meno sicura per quanto ragguarda alla solidità delle opere ed all’ottima qualità delle provviste; quando la strada è conceduta all’industria privata, durante i lavori medesimi, e prima che le provviste siano dalla società accolte, sembra che la prudenza consigli al governo di fare soprantendere dai suoi ingegneri le opere e la natura delle provviste, onde accertarsi nel modo più compiuto ed esatto della osservanza del capitolato d’appalto. In tal guisa più facile e sicura poi riuscirà la collaudazione definitiva, di cui si è fatto sopra cenno. A questo riguardo non mai soverchie saranno le cautele per uon esporre a pericoli i viandanti; epperò anche tra’ periti sarà utile d’ordinare un qualche controllo, il quale assicuri l’esattezza e la fedeltà delle relazioni loro, a scanso di qualunque parzialità verso gli appaltatori.
- ↑ Vedasi quella legge promulgata nel Monitore Universale del 21 luglio 1845, N.° 202, sotto la data del 15 detto mese ed anno. Da essa scorgesi che, oltre al dichiarare applicabili alle vie ferrate tutte le leggi di polizia stradale (grande voirie) che tendono ad assicurare la conservazione del suolo, de’ fossi, delle banchine e delle opere d’arte d’ogni specie e piantagioni sulle strade ordinarie; prevedonsi quelle contravenzioni ed attentati particolari, che per mala ventura possono causar sinistri lungo le dette vie ferrate. E notasi pure che assai severe sono le sanzioni penali, spinte anche sino ai lavori forzati a vita, ed alla morte, quando per quegli attentati derivaron sinistri i quali causarono altrui la morte o gravi ferite. Codesta legge francese ci pare molto equa e ben intesa, e noi crediamo possa torsi ad esempio, salve le varie esigenze di luogo, da chiunque debba promulgarne una con siffatto scopo. Si può anche consultare al proposito delle leggi penali relative, il già citato libro «Législation des chemms de fer en Allemagne. Traduit de l’allemand, avec une introduction et des notes par Prosper Tourneux, chez Mathias,N.° 15, quai Malaquais».
- ↑ Nel parlare delle cautele di sicurezza noi abbiamo specialmente avuto in mira i sinistri che possono nascere dal men cauto uso della forza del vapore; nè siamo entrati a discuter quelle che potrebbero occorrere ove altri mezzi di locomozione fossero usati lungo le vie ferrate, come sarebbero quello elettro-magnetico del tedesco Wagner, del quale ora più non si parla dopo l’infelice suo esito; quello atmosferico degl’inglesi Clegg e Samuda, di cui molto si parla, in varia sentenza, al momento in cui scriviamo, come di alcune altre sue modificazioni; quelli, identici pure, coll’aria compressa, ec. Conciossiachè le sperienze fatte ed ancora in corso d’esecuzione (per quanto ci appartiene il parlare di queste materie, incompetenti, come siamo, in ogni rispetto tecnico) ci paiono ancora così poco concludenti, che nulla più, ondechè pare più prudente per ora tacerne.
Del resto chi volesse fare studio di nuovi metodi di locomozione può anche consultare l'articolo interessantissimo recentemente pubblicato negli Annali di Statistica di Milano, del luglio 1845, dal dottor Sala, col titolo: Riflessi critici sull'opera di monsieur Andraud sull’aria compressa adoperata come forza motrice, ed aggiunta di alcune considerazioni sul partito che potrebbe trarsi dall’aria sia compressa, che rarefatta, come mezzo meccanico di estendere la sfera d’azione dei motori fissi, e specialmente degli idraulici. - ↑ Nel corso dell’opera nostra poco abbiamo parlato de’ periti, perchè volevamo tenerci estranei dapprima ad ogni rispetto tecnico. Però nel seguito abbiamo avvertito ad alcune circostanze succedute in più Stati, le quali ci hanno convinto che l’elezione o la scelta del perito progettista e direttore dei lavori è affare di gravissimo momento, cui l’uomo di Stato, l’amministratore e lo speculatore non debbono risolversi, che previe le più mature riflessioni, a pena di commetter errori gravissimi, i quali possono influire a segno sull’assunto da farlo tornare per mala ventura interamente fallito. Noi crediamo quindi sia pregio dell’opera toccare anche brevemente questo tasto. Oltre ad una provata capacità e ad una specchiata moralità, importa che il perito già abbia acquistata una compiuta pratica, speciale ne’ lavori di tale natura, ed abbia attentamente visitati quelli più noti per ottima esecuzione. La molta scienza acquistata sui libri soltanto, anche, congiunta ad ingegno chiarissimo, non preserverebbe dal commettere errori gravissimi, come infatti è succeduto per imperizia pratica. Il perito d’una società può essere senza inconveniente alcuno speculatore per conto proprio, e perciò socio nell’impresa, perchè anzi più interessato a farla procederò a dovere. Il perito, in vece, di un governo non potrebbe esserlo senza mancare, come ben si comprende, ad ogni principio di delicatezza e di onore. Se si può avere un perito dotto, pratico ed onesto, che sia del luogo, vuolsi ad ogni altro preferire; perchè l’esatta cognizione delle località dove si debbe operare è una condizione di successo indispensabile; mentre la poca pratica d’esse espone gli uomini d’ingegno, anche chiarissimo, à commettere errori gravissimi; e noi potremmo citare alcuni di questi errori sfuggiti a periti celeberrimi, appunto per difetto di pratica conoscenza de’ luoghi; i quali errori non avrebbero certamente commesso altri periti della più limitata capacità, ma pratici, poiché riescono evidenti anche pei non periti. Quando governi e speculatori privati, per difetto di perito locale abile e pratico, debbon ricorrere ad un perito estero, pel progetto in ispecie, avvertano di cansare un pericolo più d’una volta incontrato. Il ricorrere alle maggiori celebrità può certamente essere utile ed opportuno quando esse consentono, se non ad una stabile residenza, la quale conceda uno studio pratico accurato de’ luoghi, almeno ad una fermata sufficiente all’uopo, che glieli faccia conoscere appieno. Se la sola ispezione studiata de’ luoghi, senza piani e profili di questi, può esporre ad errori gravissimi nello studio così importante delle pendenze; la sola ispezione de, piani e profili suddetti fatti levar sul luogo da periti pratici, e mandati al perito progettista, espone questo egualmente ad errori del pari gravissimi; nè mancherebbero all’uopo esempi, i quali dimostrano: la sola scienza anche più celebrata essere stata insufficiente a prevedere ostacoli che la conoscenza studiata dei luoghi avrebbe fatto vincere ad altro perito di gran lunga meno dotto e capace. Nè credasi che codesti periti celeberrimi possano supplire al difetto di notizie locali col mandar essi stessi altri periti loro confidenti ed aiutanti, ai quali danno incombenza di raccogliere quelle notizie ed informarli, coll’incaricarli poi della direzione de’ progettati lavori. Perocché questi periti secondari non possono del pari supporsi avere gran notizia de’ luoghi, molto meno la scienza e l’ingegno de’ capi loro. Quindi, da qualche pratica di lavoro materiale in fuori, possono considerarsi inferiori agli stessi periti digeni. Come scorgesi, adunque, lo spediente talvolta usato è in certo modo peggiore del male cui vuolsi rimediare. Noi non possiamo lodare adunque il partito preso da alcune società nella Penisola, le quali colla scelta di periti celeberrimi venuti di volo a veder parte de’ luoghi, ed in pochissimi giorni da essi dipartitisi, con una insufficientissima conoscenza de’ medesimi, credettero aver progetti compiti ed ottimamente studiati; i quali progetti eran poi ben lontani dall’esserlo; e noi potremmo citarne taluno, che se fosse stato eseguito tal quale era rimesso, avrebbe esposta a gravi sbagli pericolosi e costosi; e fors’anche ad opere impossibili o da rifare. Noi riveriamo grandemente l’ingegno là dove trovasi; ma non inclinati ad adorare senza previo esame le cose di quaggiù, reputiamo che l’utile applicazione delle speculazioni le più dotte ed ingegnose, richiede una conoscenza de’ luoghi, la quale non si acquista per intuizione, ma vuolsi ottenere col più accurato studio de’ luoghi medesimi. In difetto di studio siffatto, che le molte occupazioni ad uomini celeberrimi non permettono d’andar fare lungi dall’ordinaria "residenza loro, noi crediamo preferibile il partito di scegliere periti meno celebri, ma capacissimi e pratici, i quali consentano a risieder sui luoghi dove si debbe operare, ad attentamente studiarli prima, a dirigere essi medesimi le operazioni geodetiche preliminari del progetto, ed a far eseguire questo quando sia compito ed approvato, niuno essendo più d’essi interessato a farlo procedere bene. Se le società possono senza inconveniente impiegare periti speculatori, associandoli all’impresa, i governi debbono prudentemente astenersene, e preferire lo spechente di ricorrere ad un governo il quale abbia periti consumati disponibili, prendendoli per a tempo o definitivamente al soldo loro. Nè i periti di que’ governi non ancora pratici de’ nuovi lavori debbono adontarsi di siffatta scelta, la quale non offende a modo alcuno l’onoratezza loro, e quella giusta fama d’abilità che sicuramente hanno; perocché trattasi unicamente di dar loro uno o più collaboratori pratici, i quali ben più presto li abiliteranno ad esserlo essi pure ugualmente, senza dover ricorrere ad esperimenti costosi, per cui richiedono poi rinnovati lavori, epperciò talvolta doppia spesa. Ancora; i governi che vogliono far eseguire direttamente i lavori, se han tempo libero frammezzo, opereranno molto saviamente quando mandino giovani ingegneri ad impratichirsi là dove sono in corso lavori difficili ed importanti, eseguiti sotto la direzione d’ingegneri celebrati per esimia capacità. Perocché così si procurano col tempo periti capacissimi; ed ove non avessero modo di tosto impiegarli quando fossero reduci, se vi sono società che abbiano imprese in corso, faran bene di convenir con esse perchè vengano occupati dalle medesime a fine di tenerli in esercizio. Ci resta su questo argomento a dire dell’intervento de’ periti nel buon governo de’ lavori. In massima l’amministrazione vuol esser accuratamente sempre distinta dalle incumbenze di perito, cui solo spetta tener conto dei lavori, liquidarne l’importo, certificare i risultati della liquidazione, lasciando all’amministrazione di stabilire i patti preventivi, concedere le imprese con concorrenza e con pubblicità, esaminare le liquidazioni, provvedere ai pagamenti, con sottostare altresì essa stessa ai voluti controlli. -In fatto di strade ferrate però, la natura speciale di certi lavori, l’urgenza dei medesimi, il numero più ristretto di operai idonei, soventi volte possono richiedere di declinare dalla massima dell’appalto, da quella della concorrenza e della pubblicità, come dall’esclusione del perito nelle ingerenze dell’amministrazione. — Allora, previa legale deliberazione della potestà cui compete la superiore soprantendenza dell’assunto, si potranno ordinare lavori a misura e non a cottimo, ad economia e non ad impresa, sotto la direzione non solo, ma coll’amministrazione degli ingegneri, ommessi alcuni de’ soliti controlli legali. — Questi casi d’eccezione si possono tuttavia ordinare con forme tali di rendiconti, i quali conservino qualche cautela di retta e sicura gestione. E questi rendiconti ne’ paesi di nessuna pubblicità governativa debbon esser più particolareggiati e più severi, che non in quelli dove una tale pubblicità già è, come fu detto, sufficiente contegno a qualunque sopruso o malversazione. — Stimiamo inutile avvertire, che questi precetti sul buon governo deil’esecuzion de’ lavori non ragguardano a quelli eseguiti dalle società; perocché queste hanno altri mezzi ed occasioni d’amministrazione e di vigilanza, che i governi non hanno, e coll’interessare gli agenti impiegati nell’impresa possono prevenire qualsiasi malversazione in essa. Noi speriamo che queste avvertenze sulle perizie e sulla esecuzione loro riusciranno utili a più d’una impresa, sì de’ governi, che dell’industria privata.
- ↑ ,Quando trattasi di concessioni da farsi di strade ferrate a società private, possono, fatta ragione delle varie circostanze di luogo, consultarsi le leggi recentemente promulgate in Francia del 15 luglio 1815 per la concessione delle strade da Parigi al confine belgico, con diramazioni da Lilla su Calais e Dunkerque, e per quella della strada ferrata da Creil a San Quintino, e di quella di Fampoux a Hazebrouck. — Altra legge del 19 di luglio 1845, pure di concessione delle strade ferrate da Tours a Nantes, e da Parigi a Strasburgo: — ed altra ancora del 16 luglio di concessione da Parigi a Lione, e da Lione ad Avignone, che trovansi rispettivamente nei Moniteurs Unversels dei 21,28 e 24 luglio pure: cotali leggi, le quali mandano deliberarsi la concessione, mediante concorrenza e pubblicità, fissano il massimo della durata che aver debbe la concessione; e nel resto per le condizioni più speciali si riferiscono ai capitoli d’oneri annessi a quella legge, e contraddistinti. Abbiamo veduto altrove, che se si fosse a quelle strade applicata la legge del 1842, non si sarebbe fatta certamente l’ingentissima economia che pur s’è fatta di più centinaia di milioni
- ↑ Possono vedersi, al più volte citato rendiconto belgico del 1844, le regole del trasporto e rimessione a domicilio delle merci arrivate colla via ferrata (Camionage et factage des marchandises), alla pag. 63, N.° XX Service du Camionage et du factage des marchandises transportées par le chemin de fer). Chiamasi camionage il trasporto di quelle merci per mezzo d’apposito carroccio detto camion; e dicesi factage l’atto del commesso o ministro, il quale, oltre al conducente del camion, accompagna i colli presso coloro cui sono indirizzati, li consegna e ne ritira lo scarico sulla lettera di vettura, e suo apposito registro.
- ↑ L’uso delle mancie e dei beveraggi vuol essere, più che altrove, in Italia proscritto, perchè fra noi pur troppo se ne fa un attuale riprovevole e sconveniente abuso a danno dei forestieri, ch’or sono indegnamente taglieggiati, confessiamolo pure, dai postiglioni, vetturini, conduttori, facchini,
servitori d’albergo e di piazza, come dai servi delle stesse famiglie che li ospitano o trattano.
Queste, ci duole il dirlo, sono vere estorsioni, delle quali giustamente si lagnano i forestieri fra noi. Vero è ch’esse, la Dio mercè, si cominciarono a togliere a Torino del tutto, a Milano ed a Firenze in parte; ma continuano
in sommo grado, confessiamolo ancora, a Venezia, a Livorno, a Genova, a Napoli ed a Roma specialmente, tranne nelle case de’ ministri esteri; e se gl’Inglesi, i quali, quanto ai luoghi pubblici, le permetton pure a casa loro, non han diritto di lagnarsene; è vero che lo hanno gli altri oltramontani, in ispecie i Francesi, presso cui nulla riscuotesi nel visitare qualsiasi istituto, museo o galleria, come nulla permettesi di chiamare ai servi delle case private,
Noi, che non sappiamo adular chicchesia, nemmanco i nostri concittadini, nè occultare il vero potendolo dire, non credemmo dover qui tacere questo sconvenevole abuso italiano, che abbiamo perciò altamente condannato, poiché esso fa passare presso i forestieri la nostra classe minuta come un popolo di mendicanti; ed a taluni fa creder persino che i padroni non paghino i servi loro, e li facciano così ricompensare dai forestieri che accolgono; la qual cosa, pel maggior numero almeno, non è vera.
Fatta questa censura, pur troppo meritata, crediamo tuttavia dover aggiungere che, oltre al salario da attribuirsi ai ministri ed agenti delle vie ferrate, sarebbe però, qui come altrove, più utile conceder loro straordinarie gratificazioni, regolate in ragione del migliore servizio fatto da codesti agenti, specialmente per l’economia conseguita da essi sul combustibile usato per le locomotive.
E siccome è nella natura dell’Italiano non colto l'esser talvolta trascurato e disattento, onde stimolarne lo zelo, vorremmo che, comminata ai detti agenti e ministri una multa prelevata sul salario loro ogni qual volta succedon nel materiale guasti che potevansi avvertir prima, ed essere a tempo riparati, sia all’incontro conceduto ad essi un premio in compenso dell’avviso dato della necessità di qualunque ristauro al detto materiale.
Questa disciplina, che non sappiamo ancora altrove introdotta, e dieci sorge al pensiero di proporre alle amministrazioni di vie ferrate aperte o da aprirsi fra noi, gioverebbe alla maggior sicurezza, ed impedirebbe più d'un sinistro, educando all’attenzione ed all’attività i nostri agenti preallegati.
Noi speriamo pertanto, che nell'interesse comune del maggior concorso possibile di forestieri fra noi, tutti porranno opera a correggere l'antico abuso. apertamente, come si conveniva, sopra condannato, e che nelle nostre strade ferrate verrà introdotta la novità da noi proposta. - ↑ Vedasi il cenno fattone dal chiarissimo cavaliere Cibrario nella sua Economia politica del medio evo, e più particolarmente nella Storia della legislazione del pure chiarissimo signor conte Sclopis, tomo I, pag. 182 e seguenti.
- ↑ Esempio. Una società anonima è creata col fondo sociale di 32 milioni di lire toscane per la strada della Maremma. Si vendono le promesse d’azioni di lire 4,000, richiedendo soltanto il primo pagamento dei 5 per % = lire 50. Si giuocano alla borsa, e salgono, supponiamo, al 10 per % di premio (si spacciò, non sappiamo con qual fondamento, che ne lucravano uno del 30 per %). Anche col premio del solo 10, ecco lucrate per ogni azione venduta lire 400, colla sola anticipazione d’un capitale di lire 50. Ora chi è che non farà ogni sforzo per raggranellare lire 50, e investirle nella detta posta di giuoco? Se poi la strada si faccia o no, se anche fatta, darà frutto adequato, son queste induzioni cui non si ferma il giuocatore, preoccupato di vincere il premio, e tosto.
- ↑ Si è detto che, anche ammesso per vero il novero sopra indicato delle azioni, quanto alle 9,100,000 delle vecchie compagnie, le quali hanno già terminato l’opera loro, essendo esercitate le strade fatte da quelle società, il capitale sociale non può dirsi tutto posto in giuoco, ma collocato in solidi investimenti, come di un podere rurale, per esempio; sicché non occorre che i giuocatori acquirenti abbiano il capitale equivalente per tutte acquistar quelle azioni. Restano solo le altre azioni delle nuove società, valutate al numero di 2,499,650, estimate del valore di franchi 2,210,000,000; per giuocar sulle quali non manca certo il danaro occorrente nella Gran Brettagna, anche giunto il giuoco sulle azioni estere, valutato a 250,000,000; non aversi a temere perciò una crisi per difetto di capitali, onde far fronte alla scadenza degli impegni assunti dai soscrittori; perché la detta scadenza non essendo a un giorno solo, ma successiva or per l’una ed or per l’altra società, ii giro e rigiro de’ capitali, in quel ricco paese cosi abbondanti, basta a far fronte all’uopo. Se ne è conchiuso adunque, che un tal giuoco può benissimo farsi senza pericolo, purché le imprese cui viene applicato sian fondate su probabile buon esito, perciò produttive. Da cotesta condizione pertanto di buono o di cattivo esito, dipende o no il pericolo di crisi, non dal giuoco per sè stesso. Noi non neghiamo che tutte le azioni delle vecchie compagnie non sono poste in giuoco, e che molte fra esse sono conservate dai possessori come un capitale immobile. Ma, ciò malgrado, crediamo fondati i riflessi del giornalista, quando anche si voglia ammettere, che l’abbondanza de’ capitali inglesi ed il giro e rigiro di questi, il quale permette allo stesso capitale di fare successivamente più operazioni, abbiano per effetto di non veder nascere l’insufficienza loro. Ma queste, d’altronde, sottili distinzioni, perchè possano ammettersi, debbono sapporre un fatto, che risulta appunto insussistente. Se le speculazioni d’aggiotaggio fossero attuate soltanto dai possessori di que’capitali, concorrenti al traffico delle azioni con mezzi sufficienti, certo che basterebbero all’assunto. Ma invece le informazioni che si hanno dimostrano che i concorrenti all’aggiotaggio, de’quali pubblicavasi un elenco, son persone ben lontane dal reputarsi atte a soddisfare all’assunto impegno. Ancora; risulta che molti facoltosi capitalisti specularono per somme così eccedenti le facoltà loro, che furon condotti a fallire. La speculazione tutta aleatoria adunque è colà, come altrove, assunta da persone meno idonee a tentarla; epperò, supposta ancora qualsivoglia più ingente massa di capitali nella Gran Brettagna, dove d’altronde a tante altre speculazioni più sicure attendono i capitalisti più oculati: sarà sempre probabile la temuta insufficienza di mezzi, quindi il pericolo di crisi denunciato. Nè ci si venga dire eh, la fama di arditi si, ma previdenti speculatori, di cui meritamente godono i trafficanti inglesi, è garante ch’essi non s’avvieranno a speculazioni arrischiate ed infelici; chè piuttosto debbonsi supporre prudenti abbastanza per non cimentarvisi; laonde il più probabile buon successo è un anticipato rimedio al pericolo di crisi. Per quanto si vogliano ammirare tutte le doti della nazione inglese, se si riconoscerà in essa abbondantissimo il numero degli speculatori accorti e prudenti, non si vorrà negare, speriamo, essere colà, come altrove, anche uomini arrischiati e temerari, i quali, mossi dall’avidità di guadagno, illusi dalla passione del giuoco, imprevidenti sulle fatali conseguenze di questo, si cimentano ad esso perdutamente. A coloro che, illusi pure sulla perfezione inglese, volessero negar tal cosa, risponderemo coll’elenco pubblicato a Londra dei soscrittori delle azioni, coi listini del valore al corso, di quelle di molte società che risultano perdenti nella speculazione loro; e risponderemo ancora colla nota annualmente pubblicata dei fallimenti, nella quale, d’altronde, son ben lontani dal figurare tutti que’ privati che si rovinano nelle speculazioni dell’aggiotaggio. Da questi riflessi par lecito conchiudere, che la somma dell’aggiotaggio è colà giunta a segno tale, che reale e non supposto, come vorrebber taluni, è il pericolo di crisi; e che al presunto succeder di questa, attesa la grande sua importanza, essa debbe per riverbero influire sui principali mercati del mondo. Le più recenti notizie de’ fogli inglesi e francesi, del resto, già indicano come questa crisi si tema imminente, ed anticipatamente sembrano così giustificare i nostri riflessi.
- ↑ Il vantaggio speciale di cotali speculazioni, perciò, così vagheggiate dai banchieri, gli è quello che neppure occorrono anticipazioni di fondi, e quindi nessunissimo pericolo della propria sostanza essi incontrano. Un fabbricante debbe avere unp fondo ingente investito nel casamento, nelle macchine, nella materia prima, nel salario dato agli operai. Prima che lo ricuperi con discreto lucro, vendendo la merce fabbricata, corre mille pericoli, e talvolta stimasi ancor fortunato d’aver conseguito il capitale primo, e solo perduto ogni guadagno. Un banchiere, invece, di colossale riputazione altro non ha a portare nella speculazione, che il proprio nome e la sua firma. Con tal atto egli persuade al pubblico conveniente l’impresa, e trova nell’universale il numero d’azionisti che cerca; costoro, col primo versamento che fanno, porgono il mezzo di fai fronte a qualsiasi anticipazione richiesta di cauzione od altra. Come scorgesi adunque, niuna fatica, niuna anticipazione, niun pericolo incontra il fondatore, il quale solo ha un lucro certo, mentre ogni eventualità dannosa è degli azionisti.
- ↑ Ricordiamo al proposito l’opinione esposta del Dunoyer alla nota 1 della pag. 236 sul danno di coteste imprese fallite.
- ↑ Mentre, guidati dal solo nostro intimo convincimento, scrivevamo queste parole, ecco come un foglio francese, non addetto, come molti altri, ai moderatori detta Borsa, informava i suoi lettori della situazione delle cose: Gazzetta Piemontese, giovedì 25 settembre 1845, N.° 19. Leggesi nella France: «Da qualche tempo Parigi presenta l’aspetto d’una vera biscazza; il più sfrenato aggiotaggio vi domina. Dall’alto al basso della scala della società tutti sono in preda alle frenesie della speculazione e del giuoco. È un delirio veramente senza esempio, dopo l’epoca funesta del banco di Law. La Borsa e i suoi dintorni tengono ora il luogo della troppo celebre bisca della via Quincampoix. »Ben difficile sarebbe il porgere un’esatta idea della sregolatezza inaudita che si manifesta nell’aggiotaggio sulle strade ferrate. Non sono più le faccie conosciute sotto i pilastri delle scene, o al passaggio dei teatro dell’Opera, che in pieno giorno operano sulle azioni o promesse di azioni: grandi e piccoli, agiati cittadini e gente bisognosa, si scontrano e si urtano sulle scalinate della Borsa, alla porta degli uffizi di compagnie, o degli agenti di cambio, e dentro e fuori, a tutte le ore, e in ogni luogo, risicando, all’alzarsi o abbassarsi dei fondi, questi ogni loro sostanza, queglino i loro risparmi, il pane dei loro figliuoli; ed alcuni perfino un capitale che non hanno, ma che sanno trovare all’improvviso col favore di un credito fattizio. »Quel che havvi di più deplorabile in quelle sregolatezze di genere nuovo, in quei veri baccanali della speculazione, si è che avranno per risultato un traslocamento funesto delle piccole sostanze. Può farsene giudizio dal numero sempre crescente delie somme ritirate in ogni settimana dalle casse di riparmio. L’artière economo, laborioso e ben regolato, per l’allettamento dei guadagni a lui offerti dal giuoco della borsa, gitta a poco alla volta i suoi modesti risparmi in quel profondo abisso. »Niuno vi è, si dica a vergogna del tempo nostro, fino al vostro portinaio,che non venga a chiedervi, colla scopa alla mano> il mezzo di procurarsi un certo numero di azioni su questa o quella linea di strade ferrate. «Eccoci dunque, dopo tre anni di applicazione, eccoci giunti ai risultamenti morali della famosa legge del 1842; risultamenti infelici, che diverranno, secondo tutte le apparenze, ancora più funesti dai lato degli interessi materiali. »Quando le Camere si attennero al sistema di esecuzione applicato oggi in materia di strade ferrate, noi fummo dei primi ad accennare i disastri che ne sarebbero conseguiti. Le nostre predizioni pur troppo si adempiono. Ma ciò che allora non dicevamo, e che non ostante si avvera col sopragiungere dell’esperienza, si è che il governo della rivoluzione entrò con questo in una via disastrosa per gl’interessi propri. Il sistema del 1842 aprendo, per così dire, l’industria delle strade ferrate ai furori dell’aggiotaggio, preparò anticipatamente uno scadere dei prezzi,un abbassarsi di fondi inevitabile a un dato momento. »Ora, in ultima analisi, £a chi saranno sopportati questi scadimenti e questi abbassamenti? Forse dal piccolo capitale? Non già; il piccolo capitale è; per sua natura, capriccioso e mobile, va e viene, si trasmuta da un luogo all’altro con una maravigliosa rapidità, fino al momento in cut il capitale del ceto medio, il solo che sia davvero importante, si impadronisce del posto, e diventa in ultima mano il solo possessore delle azioni industriali. Ma allora solamente la febbre delle speculazioni si accheta, e fa luogo alla realtà. Che mai resta all'ultimo compratore? L’esperienza vel dica; non gli resta che il conoscere troppo tardi le infallibili perdite, e spesso una totale rovina. »Adunque il capitale del ceto medio sarà quello che pagherà le spese della partita; andrà soggetto agli sconvolgimenti più o men lontani, ma in ogni caso infallibili, che si preparano ormai nel giuoco delle strade ferrate. Orbene, il governo, dopo un tale sconquasso, venga a negoziare un prestito, e si rivolga al ceto medio, il solo che possa dare i propri capitali in simile congiuntura; egli è certo che difficoltà grandissime, per non dire impossibilità, tosto si presenteranno; e se a ciò si aggiunga un caso di forza maggiore, come sarebbe una guerra imminente, in quali perplessità orribili non troverassi il paese? »Guardando le cose da questo lato, che senza dubbio è il più importante, il più grave ed il più spaventevole, è da dirsi che l’imprevidenza del gabinetto si manifestò nel voto malaugurato della legge del 1842. Noi bramiamo ardentemente che il caso del quale parliamo di sopra, non avvenga; ma è già un immenso torto ed irreparabile l’aver macchiata un’epoca e svilita una società con quanto il giuoco, l’usura e la speculazione, hanno di più orribile e di più scandaloso». Facciasi ancora la parte di un foglio opponente, ed ammettasi pure qualche esagerata declamazione: la sostanza de’ fatti però non è men vera, poichè tutte le corrispondenze dichiarano la denunciata condizione di cose.
- ↑ Noi preghiamo tanto più caldamente di avvertire a questa essenzialissima distinzione, che, mentre cerchiamo con ogni più efficace argomento di combattere l’aggiotaggio e coloro che vi attendono, onoriamo singolarmente il trafficante che investe i suoi’ capitali in speculazioni serie e reali, tanto lontane dall’avere le conseguenze del giuoco. Agli speculatori adunque, che assumono le imprese di vie ferrate per mandarle realmente ad effetto, non per giuocare soltanto sur esse, non sono indirizzate le nostre censure; ai soli avventurieri che cercano di speculare sul giuoco, e nulla più sono rivolte, siano essi pure facoltosi o no. Ai primi anzi desideriamo buon successo nell’imprese loro, ed è appunto perciò, che abbiamo, suggeritogli assisterle dovunque non fossero sicure, di un anche largo utile, col proporre ai governi la garanzia di un interesse minimo, onde assicurarli da ogni danno. Questo abbiamo voluto notare, onde escludere ogni taccia d’essere avverso agli industriali facoltosi e prudenti, i quali anzi abbiamo in gran pregio, da che li reputiamo parte essenzialissima del civile consorzio.
- ↑ Senza parlare di molti scritti, cadati, appena nati, nella meritata dimenticanza, basti citare: La magia del eredito, opera voluminosa d’un defunto, signor De Weltz, di Como, trapiantato a Napoli, ed una grande quantità di opuscoli del barone Corvaia, siciliano, con cui questi, sempre lamentando le proprie peripezie fino al ponto di divenir molesto, pretendeva dimostrare i miracolosi effetti della sua Bancocrazia. -Noi, porgendo questo br»vissimo cenno di quelle due pubblicazioni, ci guarderemo dal sottrarle all’obblivione in cui caddero; chè sarebbe in vero sperdere il tempo nostro e de’ lettori senza la menoma utilità. — Solo nel far parola della prima, ricordiamo un aneddoto il quale molto bene pinge che cosa sia un giocatore di borsa. — Il signor De Weltz, venuto a Torino anni sono, ci era indirizzato nell’epoca in cui cominciavasi a pariare della strada ferrata di Genova, ma dubitavasi tuttavia se l’arte avrebbe riuscito a superare il passo dei Giovi. Egli a noi rivolgevasi onde sapere qome avrebbe potuto riuscire ad ottenere la concessione di quell’impresa. Prima di rispondergli al proposito, noi credemmo dovergli chiedere, se avesse anzi tutto verificato possibile in linea d’arte l’assunto. — Ma egli, con una burbera ingenuità, che pareva in lui naturale, fissandoci, stupito quasi della nostra semplicità, ci replicava bruscamente: «Cosa importa a me se la strada si potrà fare o no; credete voi ch’io sia per ciò qui venuto? Arrivo di Francia, ove ho guadagnato de’ bei quattrini sopra il co d'azioni di vie ferrate. Se trovassi qui a fare una speculazione consimile mi vi accingerei, convinto che col mio vantaggio combinerei nelle mie operazioni di credito anche quello del vostro paese.». — A tale dichiarazione noi credemmo dover rispondere al signor De Weltz, non esser questo paese fatto per lui, perché non ancora atto a comprendere gli arcani delle sue miracolose dottrine. — Lo speculatore ci guardava con occhio compassionevole, dicendo: vedo bene che, se voi non mi capite, questo non è luogo ove sianvi affari a trattare. Vi credea più informato delle nostre dottrine. Dette queste brevi parole, ambo ci accommiatammo, il signor De Wells persuaso della nostra ignoranza, e noi contenti, lo confessiamo, di terminare una conferenza che troppo ripugnava a’ nostri princìpi, men progressivi, forse, nel senso dello speculatore, ma a parer nostro più sicuri, e, quel che più monta, più tranquillanti per la nostra coscienza. Abbiamo creduto fosse pregio dell’opera registrare questo fatto.
- ↑ Noi non cesseremo dal predicare più in Italia che altrove necessario di prevenire e reprimere le giunterie dell’aggiotaggio, quand’anche questo non dovesse praticarsi fra noi, e solo la nostra Penisola avesse a servirgli di tema, come abbiamo già detto, per far cotali baratterie cosa invero poco onorevole. — Recentissimi esempi già citati, occorsi appunto per opera d’esteri speculatori, inglesi specialmente, venuti a chiedere concessioni, le quali, benché reiette là dove si ebbe maggior prudenza, non li trattennero però dal vantarsi con vera impudenza d’averle ottenute od almeno intese, onde carpire ai creduli azionisti, loro connazionali, pagamenti a conto; cotali esempi, dicesi, dimostrano codesta necessità. Perocché, malgrado le solenni mentite fatte dare alle asserzioni loro, essi non cessano di praticare le più attive insinuazioni onde accalappiare nuove vittime delle loro giunterie, le quali dall’estero, poi anche tra noi in fin di conto cotestoro verrebbero ad esercitare. Nè venga dirsi, lo ripetiamo, come fu detto in Francia, che il perseguitar l’aggiotaggio equivale a porre ostacoli alla propagazione del così utile spirito d’associasione; perché anzi le società ordinate con sì immorali raggiri, terminando in rovina, sono il più grande ostacolo ch’esser vi possa contro il progesso delle associazioni suddette. E molto a ragione scrivea tempo fa, là dove sgraziatamente si lasciò più libero il campo a codeste male arti, un uomo egregio di cui trascuraronsi i prudenti avvisi, che, sebben dati in altra occorrenza, pur erano al caso nostro applicabili. — «Guai se ai molti imparaticci del genio industriale che ieri nacque tra noi si aggiungesse a dispersione del povero capitale nostro, anche la mania d’un giuoco senza regole, senza ritegno, senza moralità, senza frutto: giuoco pestifero anche più del giuoco del lotto; perché al libro dei sogni non credono altri che i balordi; ma nei sogni delle argomentazionl proprie, si confidano i sapienti, e sulla presciènza dei fatti politici guadagna un sapiente dì per dì quei centesimi che un altro sapiente perde». — (Gino Capponi, Cinque lettere di economia toscana, pag.1O3).
- ↑ Si dirà da alcuni, che siffatti rendiconti possono benissimo prescriversi con pubblicità, quando si tratta d’imprese delle società private; non così quando si tratti di strade ridotte a regia azienda, là dove gli ordini politici dello Stato non prescrivono la pubblicità de’ conti dell’erario. Noi, lasciata in disparte qqalsiasi discussione sulla pubblicità suddetta de’ conti generali dello Stato, siamo tuttavia di parere, che quanto ai conti della gestione dell’azienda medesima, ne sia convenientissima la pubblicazione; — 1.° perchè, siccome per far le strade ferrate governative conviene ricorrere alle operazioni di credito contraendo debiti ingenti, il pubblicare i soliti ottimi resultati dell’operazione grandemente giova al buon credito de’ governi, fa crescere il valore al corso delle cedole di debito pubblico perciò emesse, e dovondosi per la continuazione dell’opera contrar nuovi debiti, questi trovansi a fare a condizioni mollo più vantaggiose. — La verità di questo argomento si prova col fatto del vedere molti governi per niente inclinati a pubblicità, tuttavia usarne pe’ rendiconti della gestione de’ debiti loro, onde il credito d’essi è cosi solido, che può uguagliare quello de’ governi dov’è pubblicità intera quand’anche non li supera. — 2.° Perchè, siccome per la più grande attività ed energia de’ provvedimenti nell’esercizio delle vie ferrate, debbesi dai soliti controlli amministrativi prescindere; mancando in que’ governi quello delle querele pubbliche, il quale è in altri un gran contegno ai soprusi, ed anche però vuolsi riconoscere un grave incaglio alla libera azione dell’amministrazione, quando manchi ogni freno in proposito: sembra utile anzi che no la pubblicazione di tali rendiconti dell’azienda, gli agenti della quale, dovendo consegnare risultati officiali e veridici, ne deriva per essi un singolare incitamento a procurare con isfrzi d’ogni maniera, che que’ risultati si possano accennare soddisfacenti per ogni rispetto. — Cosi in que’ governi col pubblicare i rendiconti dell’amministrazione della giustizia, oltre agli altri vantaggi derivanti da essi, tutti sono concordi nel riconoscere che tale pubblicazione giova come possente incitamento alla più pronta e più regolare spedizione de’ processi, primà in vece molta più protratta. — Conchiudiamo pertanto: la pubblicazione de’ rendiconti della gestione delle vie ferrate, in qualsiasi modo governate, è per ogni verso utilissima.
- ↑ Innumerevoli pur sono le autorità degne di massima venerazione che si potrebbero invocare, onde mostrar veramente consono ai princìpi religiosi e morali un ben inteso progresso civile. Ma per amore di brevità, tacendo quelle più antiche, ne piace singolarmente accennare ad una recente fatta di pubblica ragione, che troviamo in un discono veramente utile, detto dal reverendissimo monsignor Losana, vescovo di Biella, zelantissmo promotore appunto di ogni ben inteso progresso civile, sapiente ed illuminato nel procurarlo, predicandolo coll’esempio al proprio gregge ed ai ministri dell’altare suoi dipendenti, cui fa preciso dovere d’associarsi ad ogni miglioramento. Cotesto discorso- fa detto il 31 marzo 1845 in occasione della settima riunione annuale della Società promotrice dell’avazamento delle arti, dei mestieri e dell’agricoltura, ordinatasi in quell’industriosissima provincia, e dall’illuminato e pio, quanto avveduto pastore singolarmente con ogni maniera di aiuti e di consigli favorita e protetta. Reputiamo esser pregio dell’opera nostra, e specialmente opportuno, porgerne un brevissimo sunto. Col coraggio della virtù e di un intimo convincimento, il savio pastore, ricordando nell’esordire i detti di Galileo e di Colombo, persistenti nel voler progredire, malgrado gli ostacoli che suscitarono ad essi l’ignoranza ed il fanatismo, fissa l’oratore la propria attenzione e del colto uditorio sul presente innegabile generale progresso, e lodandolo con parole appropriate, perché conforme al codice del cristianesimo ed alle cattoliche dottrine, saviamente nota come sia debito d’ogni nomo religioso e civile di promuovere il detto progresso; specialmente con ogni maniera d’aiuti, nel popolo Cotesti aiuti molto opportunamente vede l’egregio prelato nell’educazione e nell’istruzione, alla quale singolarmente attende con ogni cura, dacché assunse il governo di quella diocesi, Celebrata con eloquenti parole e con persuasivi argomenti l’utilità dell’istruzione in ogni ramo d’industria, e dimostrato il buon effetto che da essa e dall’educazione deriva sulla moralità delle popolazioni, monsignor Losana conforta i membri della società a progrrdire nel lodevole assunto intrapreso e d’istruire colle ivi aperte scuole, onde propagare i migliori insegnamenti fra gli agricoltori e gli artefici. E siccome l’esempio del clero è possente mezzo d’educazione e d’istruzione popolare, cosà il degnissimo vescovo nuovamente ricorda a quello di cui è sì buon capo, il debito che ha di mostrarsi illuminato, operoso, zelante nell’educare e nell’istruire. Nè si nasconde il valoroso oratore, come non manchino fautori d’un opposto sistema, i quali vorrebbero il popolo ignorante, rozzo, da sole idee pregiudicate governato. Le conseguenze di questa opinione, che altamente condanna con santa indegnazione, perchè contraria alle massime più conte deila nostra religione, vengono confutate in modo non dubbio colle più calde e convincenti parole. Laonde l’egregio oratore, come già altre volte, conchiude: Solo potersi sperare ben inteso progresso, virtù vera, incivilimento profittevole a tutti, là dov’è educazione ed istruzione religiosa, morale ed industriale; — Doversi all’opposto temere l’invasione d’ogni vizio, e la più assoluita decadenza là dove seguonsi le massime dei promotori dell’ignoranza popolare. Codeste A nobili parole, dette da un illuminato pastore, il quale vede i veri interessi della Chiesa e della civile società, e non esita a predicarti con un coraggio degno d’ammirazione, son fatte per consolare delle contrarie sentenze di certi scrittori di libelli, i quali, osando assumere titoli venerandi, cui disonorano, accusano calunniandolo il moderno progresso. E ben a ragione monsignor Losana paragona costoro ai monatti, dal Manzoni descritti così dolenti del cessar della peste; perocché della peste morale dell’ignoranza son quelli i vituperevoli fautori. Sia lode pertanto al virtuoso prelato, la cui voce autorevole, fittasi interprete delle buone dottrine, seppe così ben confutare quelle pessime, che un incorreggibl partito non cessa di predicare tuttavia, per ricondurre, se lo potesse, il mondo all’antica barbarie; la qual cosa speriamo nel cielo però, più non sia per riuscire mai.
- ↑ Cotesto rifinto, notiamo ancora, si dovrebbe pur dare per altre strade proposte da Parma su Genova, le quali, potessero per avventura nel rispetto strategico nuocere alla difesa di quell’essenzialissimo antemurale della monarchia di Savoia.
- ↑ Questi dati sono ritratti dalle note doganali della Statistica del Serristori, e dal Dizionario geografico del Repetti.
- ↑ Ecco come il Fédéral del 2 settembre 1845, giornale reputatissimo di Ginevra, espone la cosa ne’ singoli suoi particolari. «On ne souvient qu’il j a quelques mois le Conseil d’État nomina une Commission pour examiner la question de convenance, envisagée à un point de vue général de l’établissement des chemins-de-fer dans notre Canton. Depuis lors, ce qui n’était qu’one éventualité est devenu un projet sérieusement étudié, dont la prochaine réalisation ne parait plus douteuse. »Deux compagnies genévoises-lyonnaises se sont formées pour la oonstruction de chemins-de-fer entre Genève et Lyon; chacune a son tracé: l’une par Bourgoin, l’Isére, etc., l’autre par Nantua, avec embranchement par Bourg et Mâcon sur la direction de Paris. Un moment on a eu lieu de croire que le projet de loi sur le cbemin-de-fer de Paris à Lyon, soumis à la législature française, comprendrait la ligne sur Genève; mais les études de cette ligne n’étaint pas alors suffisamment avancées, et il a fallu ajourner sa presentation; aujourd’hui les études sont, sinon finies, du moins bien près de l’ètre. » D’an autre côté, nous apprenons de Turin que le gouvernement sarde, après des hésitations bien naturelles dans de si vastes entreprises, met actuellement beauooup d’activité à la construction du réseau de chemins-de-fer qu’il a décrété. Les travaux de la ligne de Gènes à Turin viennent d’étre commencés; il aura un embranchement d’Alexandrie au bord du lac Majeur, en touchant la frontière du royaume lombardo-venitien à Vigevano; du lac Majeur les communications avec la Suisse peuvent-être directement établies. L’étude de ce chemin est achevée, et dans ce moment un ingénieur belge, appelé à Turin par le gouvernement pour diriger les chemins-de-fer, est occupé des étndes du percement des Alpes par la vallée d’Oulx et Bardonèche, qui tourne le Mont-Cenis à l’ouest, et rejoindrait probablement la route de la Maurienne aux environs de Modane. Nous tenons de bonne source que cet ingénieur, dejà avancé dans son travail, est convaincu de réussir. » Ainsi, Genève se trouvera en communication directe per chemin-de-fer avec Chambéry, Tourin et Gènes, c’est-à-dire avec le port de mer qui, ces nouvelles voies étant établies, offrirà le plus d’avantage au commence de notre ville, servant d’intermédiaire entre la Méditerranée et l’Allemagne méridionale. Gènes par sa proximité, le Piemont par ses produits agricoles, ont pour notre ville une importance que Marseille ne peut avoir; et si, comme cela parait probable, le chemin d’Alexandrie est poussé jusqu’à Ancône par Plaisance, Parme, Modène et Bologne, les rapports avec le Levant s’établiront par cette route, de beaocup la plus courte pour le centre de l’Europe; or, à l’heure qu’il est, des societés sont déjà partout établies, et les études achevées pour la construction de ce chemin. » La Commissiom nommée par le Conseil d’État, ayant rèsolu affirmativement la question de la convenance pour Genève de ne rester pas étranger à ces nouvelles voies, il importait de se mettre en mesure de décider, au point de vue pratique, les questions d’intérêts spéciaux que doit soulever l’établiassement de ces chemins, ainsi, il faut, par exemple, étudier à l’avance la question de l’emplacement d’un débarcadère, non pas uniquement au point de vue de la convenance des entrepreneurs, c’est leur affaire, mais surtout au point da vue de l’intérêt général» » A cet effet, le Conseil d’État vient de nommer une nouvelle Commission, et en même temps a engagé le Conseil Administratif de la ville de Genève à se mettre en rapport avec cette Commission de le manière qu’il jugerait la plus convenable pour que les intérêts de la ville fusseut représentés dans cette enquête. » Le Conseil Administratif avait aussi nommé dans le temps une Commission pour examiner, au point de vue municipal, la question des chemins-de-fer; mais ce mandat était trop général, trop vague peut-étre, pour que la Commission pût mettre à ses travaux beaucoup d’activité, et en obtenir un resultat pratique. Mais la demande que le Conseil d’État vieni d’adresser au Conseil Administratif ayant nettement établi l’objet de l’enquète, celui-ci a compris la nécessité d’y répondre par un travail immédiat, une étude approfondie et spéciale, et en conséquence il a de son còté nommé une Commission d’enquéte. » Ainsi, par un esprit de prévoyance qui témoigne de la sollicitude du Gouvernement et de l’Administration municipale pour les intérèts qui leur sont confiés, une double enquéte se fera simultanément, mais distinctement, l’une au point de vue cantonal, l’autre au point de vue municipal; tous les intérêèts seront donc également représentés. » Mai», il ne suffit pas que l’autorité fasse ces enquêtes; il faut que tous les citoyens qui sont en position de l’éclairer par leurs renseignements ou leurs avis, s’empressent de le faire. Nous sommes certains que les deux Commissions recevront avec empressement les communications qui leur seront faites. » En résumé; nous voyons maintenant par les travaux du Gouvernement sarde, la formation de sociétés qui offrent toutes les garanties désirables, les études qui sont achevées où pès de l’être, le concours des intérêts de tous genres que ces entreprises font naître ou développent, qu’à une époque très-rapprochée Genève aura le choix d’établir ses Communications avec Gènes et Marseille par des chemins-de-fer, et Genève, gràce à ses magistrats, sera en état de se décider avec pleine connaissance de cause, sans mettre un jour de retard à l’exécution des travaux».
- ↑ La Strada da Locarno al lago di Costanza e Basilea avrebbe inoltre la maggiore probabilità di prevalere sur ogni altra pel trasporto delle valigie inglesi dell’India. Recentemente i pubblici fogli informarono del risultato del viaggio fatto dal signor Waghorn con esse per Trieste e parte della Germania, avendo esso anticipato d’ore 12 sulla linea francese, quantunque ne avesse perdute 30 per una burrasca patita nell’Adriatico (caso frequente assai). — Alcuni periodici tuttavia notarono come, aperta la via ferrata tra Marsiglia e Boulogne, e sollecitato il viaggio de’ piroscafi da Alessandria a Marsiglia, que1 vantaggi, ora ottenuti sulla linea per Trieste, deban ridursi al nulla. — Noi, esaminata la carta, crediamo che, fatta una via ferrata senza interruzione tra Genova e Ostenda, la via dell’India sia più breve e più sicura per la valigie inglesi servendosi della nostra strada per Genova, anzichè d’ogni altra.
sconnessione di qualche parte delle locomotive o de’ carri che le seguono o precedono, sono causa dell’uscita del convoglio dalle ruotate, del precipitarsi delle vetture dalle sponde della strada, ed altre maniere di ribaltare, per cui succedon morti frequenti, e ferite e rotture gravissime degli agenti dell’impresa e de’ passeggeri da essa condotti. — Casi consimili seguirono in Francia, e quello è memorabile, intervenuto anni sono sulla via di Versaglia, per cui, incendiatosi parte del convoglio, perirono miseramente arsi e fracassati un centinaio di persone. — Se talvolta cotesti sinistri sono affatto eventuali, ed a nessuna trascuranza od abuso imputabili, molte volte però, specialmente nella Gran Brettagna, sono attribuiti, oltre alle dette cause, all’avidità di guadagno, che muove a risparmiare nelle spese d’esercizio, sia con un minor numero d’agenti, sia col non fare a tempo alla strada ed ai materiale d’essa i necessari ristauri. — La difficoltà di provare tali mancanze, e la grave spesa de’ processi colà rendono impossibile quasi il conseguimento delle indennità cui i lesi o gii eredi loro pur avrebbero dritto; sicché le compagnie van sempre impunite del fallo proprio. Laonde infiniti sono i richiami di provvedimenti autorevoli, i quali facciano cessare siffatti abusi. — Così non succede nel Belgio, dove le strade del governo, regolate con prudenza e con larghezza pegli occorrenti, ristauri, coi rarissimi sinistri che succedono, sono un nuovo argomento a favore di quel sistema.
Dalla relazione di lui risulta che le vie ferrate debbon colà costare una spesa molto minore che in Europa, e che anche adottate le tariffe inglesi più care, l’economia sulle spese attuali di viaggio, enormi colà sì per le merci, che per le persone, sarebbe ancora assai ragguardevole. Un’altra relazione dell’ingegnere Vignoles tratta dei mezzi di superare gli ostacoli che incontrerebbe tuttavia l’assunto. Siffatti ostacoli sono:1.° Le pioggie e inondazioni. 2.° L’azione continua dei venti violenti, e d’un sole verticale. 3.° I disastri prodotti dagli insetti e dai vermi sui legnami e terrapieni. 4.° Gli effetti della vegetazione spontanea de’ cespugli sul terreno, e sui detti terrapieni. 5.° Le parti del paese aperte, e non protette per cui debbe passare la strada. L’ingegnere Vignoles suddetto in quella sua relazione sembra non disperare di vincere tali difficoltà, e lusingarsi di poter anzi riuscire nell’intento colle sue proposte. La sua linea andrebbe da Bombay a Madras, con molte diramazioni. — Avrebbe 2,090 kilometri. Dovrebbe costare solo 150 milioni di franchi. Si presume che renderebbe l’8 ½ per %, contando il solo porto delle merci. Un’altra compagnia si è anche formata col capitale di 100 milioni per altre strade. Essa ha per ingegnere il suddetto signor Macdonald Stephenson (Vedi Moniteur Universel; 26 maggio 1845, N.° 146, che ha ricavate tali notizie dal giornale delle vie ferrate pubblicato a Parigi). L’Italia sola, ripetiamolo ancora, sarà essa l’ultima nella gara dovunque sorta d’aprire quelle nuove vie? Sebben posta nella migliore condizione, per trascuranza, per difetto d’avvedimento, di concordia e di mezzi, si lascierà essa oltrepassare da popoli che sono ben lontani dall’avere uguali condizioni di luogo, di civiltà, di istruzione ed anche di ricchezza? E coloro che possono volgerla allo scopo comune, e farglielo conseguire, vorranno essi assumere un carico di coscienza sì grave, che alle più tarde età non passerebbe inosservato? No, noi non possiamo crederlo? perchè sarebbe anche il dubbio un’ingiuria troppo grave, certo non meritata!