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bene avessero flotte immense, e si mostrassero periti e prodi navarchi, abborrirono tuttavia sempre il traffico.
Dediti alla guerra, poscia ad un ozio inerte, consumando senza produrre, e comprando senza vendere, non ebbero mai che un commercio passivo ed oneroso1.
Tuttavia il lusso di Roma era il principale e più facoltoso consumatore; quindi al suo emporio della foce del Tevere (Ostia) convenivano dall’Asia, dall’Africa, dalla Sicilia e dalla Sardegna quante merci e derrate occorrevano onde alimentare, vestire, divertire e dare stanza più confortevole ed agiata al popol re.
Se si eccettua l’annona, cui provvedevano Egitto, Sicilia e Sardegna, le altre importazioni necessarie all’intemperante consumo di Roma, provenienti dal più vicino, come dal più lontano Oriente, convenivano allo scalo d’Alessandria, d’ond’erano poi dirette ai porti della Magna Grecia ed a quello del Tevere.
Fattori di mezzo mondo per varii secoli, gli Alessandrini andavano ai più lontani scali cercando i prodotti, che rivendevano con larghi profitti. Questi arricchirono l’Egitto, mercè d’utili scambi; e quantunque Roma, non mai sazia, domati i Tolomei, facesse anche sua quella contrada: nondimeno continuarono i trafficanti egiziani, nel commercio dell’Indie specialmente, a conseguire notevoli guadagni, anche dopo la decadenza di Roma, finchè la via di quel commercio fu esclusivamente per l’Egitto2.
Come Alessandria lo fu del Macedone, Costantinopoli anch’essa, per felice posizione trascelta a capitale del romano impero, mutava le condizioni commerciali; perocchè altre vie fecersi note, che da Bisanzio portavano all’India. L’attività di quello scalo divenne quindi somma.
Alessandria fu dapprima emporio principale; poi, sebben continuasse ancora ad aver molto traffico, gran parte d’esso però vedeasi ritorre da Costantinopoli: dove, oltre all’aver per giunta