Pagina:Delle strade ferrate italiane e del miglior ordinamento di esse.djvu/572


571


Ma a che cosa giovano la temperanza di chi parla, e la trascuratezza di coloro che ascoltano? A nulla giovano, o mio buon Baruffi; ed anche voi ne fate esperienza. Voi chiedeste ed ancor chiedete, se mal non m’appongo, che sieno riveduti i regolamenti sanitari osservati sinquì nei porti del Mediterraneo; ch’essi sieno modificati secondo che lo consigliano una più lunga pratica, e le osservazioni moltiplicatesi in proporzione che si moltiplicarono le relazioni dei commerci e degli studi tra l’Europa ed il Levante, e che si tenga conto dei minori pericoli che risultano dalle precauzioni adottale dai Musulmani, i quali, non già per essere anticontagionisti, ma per una falsa interpretazione del Corano, si lasciavano sinquì mietere a torme dalla peste, abbandonando all’arbitrio del caso la salute e la vita. Voi desiderate insomma che i varii reggimenti d’Europa convengano insieme alfine d’istituire, per questo rilevantissimo rispetto, norme costanti ed uniformi da cui sia tutelata la salute dei popoli, ma da cui non venga incagliata per troppo lunghi indugi, nè gravata di soverchi dispendii l’azione dei trafficanti. Il vostro desiderio non oltrepassa i confini dell’onesto, poiché lascia che la questiono sia definita da uomini per dottrina e per autorità competenti; seppure vi sono uomini competenti a sentenziare intorno a certi misteri della peste e della natura, e di sì saldo cuore per combattere i frutti di diuturna e salutare esperienza. Eppure, chi’l crederebbe? Mentr’erano ancor umide le pagine eloquenti dove avete deposto i vostri pensieri, voi venivate tacciato di volere che, senza far divario di provenienza, appena salita in porto ogni nave, venga ammessa a libera pratica; ogni merce, per quanto suscettibile ella sia, posta nel comune commercio, senza previo spurgo o sciorinamento di sorta; che sia mandata a monte e squarciata la tela delle regole sanitarie, pregevole monumento della sapienza e della civiltà de’ padri nostri, per cui le belle contrade d’Europa furono salve dal mortifero furor della peste, la quale non partorì mai altro bene, che una pagina di Tucidide e il Decameron del Boccaccio. Così si ragiona, così le vostre opinioni si travisano dai disattenti.

Ed a me venne pure dato taccia testé d’essere nemico del progresso anche il meglio inteso che imaginare si possa, di essere una lumaca, un gambero, uno spegnitoio, un paracarro. E perchè tanti titoli di biasimo o di lode? Perchè ancor io non mi posi a gridare a tutta gola insieme cogli altri tutti, che facea d’uopo cacciarsi innanzi a fare le strade ferrate; che a restarsi un solo istante sarebbe certa rovina, un basire nel cataletto. Era. un tale ronzìo di ululati e di voci proferite da mille bocche di giudici pratici e non pratici, che anche le più salde orecchie doveano rimanerne assordate. Il mio silenzio, in mezzo a quello strepito fu preso in segno di disapproviazione. Altre volte un bel tacere non si poteva scrivere; or si rinfaccia. Oh malinteso progresso! Non niego che dell’entusiasmo non mi so fidare, e che, per tutte quella cose dove mi sembra scorgere il caldo della passione, mi