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Molteplici infelicissime cause di lamentevole decadenza, alle quali è inutile or fermarsi pel nostro assunto, impedirono che le vie di comunicazione per lungo tempo tra noi s’aprissero e si moltiplicassero.

Le intestine discordie; la povertà dell’erario; le gare, non solo tra Stato e Stato, ma tra i municipi vicini istessi; le cautele di militare difesa; le tendenze d’un’avidità fiscale poco illuminata, richiedenti solo alcuni difficili passi, onde meglio assicurare la riscossione de’ dazi d’entrata e d’uscita: erano, conviene ammetterlo, tanti motivi per cui tralasciavasi dopo il risorgimento civile d’intraprendere opere consimili a quelle che la civiltà romana ci ha lasciate, sebbene in iscarso numero, qual perenne monumento tuttavia della sua grandezza e potenza, intelligenti del pari. Le quali opere di pubblica utilità la moderna età in sì gran copia or va dovunque moltiplicando con tanto profitto.

Nè si creda per avventura, che nel riconoscerci ora inferiori ad altri popoli, si ammetta ch’essi di molto ne abbiano preceduto nell’utile assunto; chè poco tempo prima soltanto, vuolsi notare, ciò loro succedeva, perchè atti pur da non molto essi fecersi all’uopo, dacchè a migliori condizioni di potenza, di traffici e d’interessi omogenei trovaronsi giunti.

Comunque, è cosa innegabile, che l’Italia, venuta per le vie di comunicazione a seguito d’alcune tra le principali nazioni d’Europa, dopo averle altre volte precedute, pe’ canali specialmente: or si mostra molto propensa ad utili imitazioni1.

Nè può dubitarsi che queste riusciranno assai proficue alla patria comune, se nell’ordinare i nuovi mezzi di reciproche relazioni, anzichè lasciarsi guidare dalle grette idee di rivalità tra Stato e Stato, e tra municipio e municipio, onde sempre nacque la nostra decadenza, l’autorità che governa saprà anzi combinare

    rere, giudicato col più sano criterio la vera civiltà antica e moderna, e ridotte alla intrinseca nullità loro molte esagerazioni o cose meno esatte scritte, anche da uomini chiarissimi, sulla civiltà medesima nelle due epoche. Vedasi il vol. 1, lib. IV, segnatamente al cap. IV.

  1. «Lo spirito italiano, posto una volta in moto, tosto rivolgesi verso il grande e l’utile». Mario Pagano, Saggi politici; Introduzione.