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borse dei capitalisti torinesi? Una ciliegia tira l’altra, ed ai nostri capitali verrebbero tra non molto a congiungersi i capitali stranieri. Per ora basterebbe che il governo si mostrasse inclinato ad accoglier favorevolmfente le proposte che gli verrebbero inoltrate per un tale oggetto. Che se, dopo fatti gli studi ed i cómputi, pur si scorgesse necessario il compenso di qualche sacrificio; chi dubita non sia per farlo volontieri un paternale governo che, molto spendendo per una parte degli Stati suoi, non vuol patire certamente che l’altra languisca per difetto di lieve soccorso? Del resto rammento gli anni miei giovanili, allorché studiando in Vitruvio, ammirava la somma cura posta dagli antichi maestri nell’aprire i vomitorii negli edifizi de’ teatri, affine di agevolare senza pericolo lo scolo degli spettatori affollati, ogni volta che il fuoco appiccato nell’auleo o al velabro, o una dirotta pioggia fosse sopragiunta importuna ad affrettarne l’uscita. Ora é sereno il cielo; non una nube leggera offusca la bella faccia del sole. Ma quando giungono i tempi grossi, allora si scorge quanto rilevi che la casa non abbia una porta sola. Mi vien da ridere al vedere certi andazzi abbandonati, certe dottrine ieri derise tornar oggi in onore. I fisiologi non rinnegano più il fluido nerveo, ed io v’offro un saggio delle oscurità profetiche del Nostradamus. Povera umana razza, perpetuo trastullo di chi ti canzona, non insuperbirti almeno della tua sagacità nè della tua costanza! Basti questo lievissimo cenno; chè non veggo gl’improvidi tra la gente che mi circonda, e l’effettuazione delle strade ferrate ridesta le menti assopite. Di cosa nasce cosa, e il tempo la governa. Chi sa che il tempo non incarni il disegpo da me appena abbozzato fin qui? La è un’utopia, sento bisbigliarmi dintorno. Sarà. Ma e chi non fa le utopie all’età nostra, che tante ne vide mandarsi ad effetto? La schiatta di Tommaso Moro s’è moltiplicata come le arene del mare, e le utopie sono entrate nel luogo dei dilettevoli racconti di Falerina e di Armida. Se poi la voce mia andasse perduta nel deserto... tanto peggio; qualche danno di più, qualche vantaggio di meno, e direi con Orazio: «Lusimus, abbiamo scherzato»; niuno si adombri agl’innocentissimi scherzi!

Intendeva di scrivervi una semplice letteruccia, ed ecco ch’essa è cresciuta a forma di lungo dispaccio da disgradarne la più sbrodolata legazione dell’universo. Ma l’economia politica è in gran parte scienza di applicazione; in essa pochi sono i maestri, per lo più concisi, molti i ripetitori, sempre prolissi. Credo ch’essa debba mirar principalmente a secondare i voti della natura, a volgere a comune benefizio i comodi ch’essa ci porge. Di più, sapete che al congresso degli scienziati in Milano feci grandissimo plauso al pensiero che dettò il bellissimo libro delle notizie naturali e civili della Lombardia, nobile pensiero del dottore Carlo Cattaneo, il quale vorrebbe che libri di tal fatta si sostituissero alle semplici guide della città dove si celebreranno i futuri congressi. Se nel 1846 Genova adotta un cosiffatto pensiero, gli è una maniera di debito portare il nostro obolo a quel tesoro co-