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quali però è vero che deriva la decadenza. L’operosità nazionale impiegata nel lavoro assiduo, e nelle speculazioni solide ed efficaci meglio anzi mantiene l’attività comune, che non l’operosità eccedente i mezzi degli speculatori, i quali mezzi consumansi in isterile fatica. No, non sono vani scrupoli morali, nè men fondati timori economici che conducano a proscriver l’aggiotaggio; egli è il rigore necessarip de’ buoni precetti, l’interesse ben inteso della produzione che consigliano i reggitori onesti, prudenti ed avveduti a condannare un giuoco in cui perdonsi la virtù e le sostanze!

10.° No, non è vero che l’aggiotaggio sia inseparabile dal progresso ben inteso, nel quale abbondano, lo dichiariamo, l’agio comune e le ricchezze equamente diffuse! Egli è compagno piuttosto del mal inteso progresso, dove pochi sono i ricchi epuloni, innumerevoli i miseri faticatori; i quali, bagnato di sudore e di lagrime lo scarso pane che guadagnano lavorando, vedonsi preclusa la via alle economie con cui solo potrebbero migliorare la condizione loro; o se riescono a forza di privazioni a farne alcuna, la vedono carpita da un giuntatore, d'essi più destro ed avveduto, il quale seppe illuderli al giuoco.

11.° No, non è vero che una nazione in cui non abbia ancora, la Dio mercè, penetrato l’aggiotaggio, perchè mancante d’operosità, sia esposta a divenir povera e decaduta a fronte degli operosi vicini presso i quali alligna quel giuoco! Essa potrà ugualmente progredir faticando, in ogni ramo d’industria vera, ritraendone guadagni reali, senza corrompersi colle male arti del giuoco. Posto ancora, che, più castigata, a minori cimenti si avventurasse, e più lentamente arricchisse, il frutto più puro del suo lavoro risulterebbe più solido, più durevole, più diffuso nell’universale; epperò meglio assicurerebbe la comune e generale prosperità, preferibile sempre, osiamo pur dirlo, alle immense ricchezze da pochi raccolte, mentre è desolante la miseria del maggior numero. Non può temersi adunque dell’assenza dell’aggiotaggio la generale povertà, debbesi in vece prevedere da esso la rovina dei più fra coloro che vi attendono.

12.° Quanto al dir poi impossibile d’impedire un tal giuoco,