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sieri, le invidiose emulazioni, le gelose rivalità per mala ventura giungono a prevalere.

Di questa lamentevole conseguenza la storia del commercio de' popoli in ogni età ci offre ripetuti esempi; e se taluno di essi pur riusciva a vincere il proprio rivale ed a procurarsi un aumento anche notevole di profitti per qualche tempo, traendo quello ad una innegabile decadenza, la durata de’ mal compri vantaggi non tralasciava dall'esser fra non molto seguita dalla comparsa di nuovi rivali sul mercato della concorrenza. Costoro, seguendo lo stesso sistema, riuscivano essi del pari a lor torno a conseguire uguale scopo, finché da altri nuovi rivali ancora essi pure erano soppiantati.

Se invece le somme spese per rovinarsi a vicenda nell'emula gara si fossero consegrate a facilitare le reciproche speculazioni negli scambi rispettivamente più naturali ed appropriati, certamente il comune vantaggio ne sarebbe derivato, senz’alcun danno altrui.

Egli è perciò che, scendendo ad uno de' molti casi pratici attuali che abbiamo sottocchio nella nostra Penisola, noi non possiamo dividere la municipale premura del d’altronde stimabile signor ingegnere toscano Castinelli, il quale in una sua lettera all’ottimo signor Vieusseux, così benemerito però d’ogni ben inteso progresso, affaticasi ad intessere argomenti, onde impegnare i Toscani ad intraprendere la costruzione d’una strada ferrata da Livorno a Parma per Pisa, Lucca, Massa, Sarzana e Pontremoli, onde togliere a Genova (che chiama la superba, quasiché non avesse per le passate sue vicende e pei suoi monumenti diritto a quel titolo) a pro di Livorno qualche avventore1.

La pregiudicata opinione di lui non gli concede appunto d’avvertire ai gravi ostacoli di quell’impresa; al nessun adequato sperabile compenso di essa; allo spreco che perciò ne deriverebbe d’ingenti capitali cui altro impiego tornerebbe per certo ben più proficuo allo stesso scalo, che pur vorrebbe beneficare; le quali asserzioni pigliam fin d’ora l’assunto di giustificare nei vegnenti capitoli 4.° e 6.°

  1. Vedi il Giornale agrario toscano, tomo XVIII, pag. 220.