Ricerche sul progetto di una strada di ferro da Milano a Venezia

Carlo Cattaneo

1836 Indice:Ricerche sul progetto di una strada di ferro da Milano a Venezia.djvu ferrovie Ricerche sul progetto di una strada di ferro da Milano a Venezia Intestazione 2 maggio 2013 100% ferrovie

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RICERCHE SUL PROGETTO DI UNA STRADA DI FERRO
DA MILANO A VENEZIA.


1.


L’impresa di una strada ferrata vuolsi considerare sotto due aspetti distinti. L’uno riguarda l’utilità da conseguirsi; l’altro riguarda la material costruzione dei lavori.

Ma siccome tutta l’impresa mira unicamente a conseguire un lucro, e non a compiere un’opera di difesa o d’ornamento: così la costruzione divien pedissequa e subalterna alla utilità. Laonde il primo quesito da sciogliersi non deve esser questo: Qual è la linea che ammette la più breve, più facile, men dispendiosa e più durevole di tutte le costruzioni? Poichè la miglior costruzione potrebbe tuttavia riescire la meno adatta al guadagno. Ma il primo quesito dev’esser questo: Qual è la linea che promette maggiore ampiezza di privato lucro e publica utilità? Sciolto questo quesito, si vuol poi accomodarlo e contemperarlo coll’altro; ma l’uno è il padrone e l’altro è il servitore.

2.

Lo spazio da percorrersi è un vasto piano che insensibilmente [p. 284 modifica] insensibilmente si declina al mare. Da Milano a Venezia si discende braccia 215, ossia circa 70 metri. Da Milano a Verona il declivio generale è di poco più d’un mezzo metro o vogliam dire d’un braccio per miglio; e da Verona a Venezia è circa il doppio. Egli è adunque tra 1/3000 e 1/1500 all’incirca; mentre la strada ferrata da Parigi a S. Germano è inclinata da 1/1000 a 1/333 1/3; quella di Londra a Birmingham ha salite che misurano 1/330; e in quella da Manchester a Liverpool il pendìo generale è di 1/880, ma vi si trova qualche tratto che discende fino 1/96; e nondimeno non si potè conseguire senza grandissimo smovimento di terra.

Dalla parte destra ossia meridionale della strada attuale, la vastità del piano può dirsi illimitata; ma dalla parte sinistra, essa rade le falde degli ultimi colli segnati a un dipresso dalle città di Bergamo, Brescia e Verona, le quali hanno qualche clivo nel loro medesimo recinto. Anzi le colline fanno cerchio alla parte inferiore del lago di Garda; e quantunque sconnesse e interrotte, formano una delle più gravi difficoltà da superarsi coll’opere o da eludersi, sia con un lungo giro, sia colla sostenuta elevazione dei livelli o colla loro insensibile ondulazione.

Però il punto più difficile è al davanti di Vicenza e Padova, dove si parano attraverso alla linea prima i Colli Bèrici, poi i Colli Eugànei, formando un riparo trasversale di circa 30 miglia da Vicenza a Este. Per entro questo vallo sono tre Varchi naturali; cioè 1.° l’intervallo tra i Monti Vicentini e i Colli Berici ove siede Vicenza; 2.° l’intervallo tra i Berici e gli Euganei pel quale si dirama dal Bacchiglione il fiumicello Bisato; e finalmente 3.° il primo lembo della pianura o piuttosto l’intervallo tra i Colli Euganei e il solingo Monsèlice, dove scorre il naviglio d’Este e la strada da Mantova a Padova. Forse studiando bene quei monticelli, che sorgono per lo più in forma conica cosicchè ad alcuni parvero antichi vulcani, e ad altri isole derelitte del mare, si troverebbero facili gole entro cui con poca tratta d’incavo o di sotterraneo aprir [p. 285 modifica] facilmente il passo in qualche punto. La facilità del livello generale è indicata dall’ambigua diramazione delle acque che s’aggirano intorno ai colli e ne fanno un’isola; e si vuole che l’Adige che ora passa a Legnago scorresse prima per Este e Monselice. Ma di questo a suo tempo.

Per ora ci basti stabilire che tra Milano e Venezia l’area generale offre comodo campo a variar le direzioni della linea principale e che pertanto l’opera non deve sacrificarsi alla tirannia del terreno. Le strade che si stanno costruendo da un mare all’altro fra Londra e Bristol, e fra Bristol ed Exeter, e le immense linee che gli Americani costrussero nella montuosa Pensilvania, furono tracciate per ostacoli di lunga mano maggiori e dove la natura del suolo non lasciava adito a varietà di progetti.

Giacchè dunque non siamo angustiati a passare per varchi precisamente prestabiliti dalla forma del paese: diamo un’occhiata al primo quesito; cioè: Qual sia la linea che promette maggiore utilità, fatta astrazione dalle difficoltà dell’opera.

3.

In una operazione incamminata da privati vuolsi aver riguardo a due interessi che possono per avventura esser concordi senza cessar per questo d’esser distinti; l’interesse cioè dei proprietarj delle azioni e quello della massa degli utenti, o piuttosto di tutta la popolazione. Gli intraprenditori mirano ad ingrossare il dividendo dei loro caratti, cioè il ricavo netto dell’azienda; il che si risolve nell’ottenere il massimo trasporto di persone e di merci, ritraendone il massimo di mercede col minimo di spesa. L’utilità degli utenti si risolve nell’ottener pure il massimo trasporto di persone e di merci ma col minimo di mercede; il qual minimo detrae al maggior ricavo degli imprenditori. Ma siccome se questi esigessero eccessiva mercede, diminuirebbero la spinta e il concorso degli uomini e delle merci: così la massa, totale delle operazioni si scemerebbe; e sul totale svanirebbe il guadagno fatto sulle [p. 286 modifica] parti. V’è adunque un punto di transazione nel quale i due interessi debbono equilibrarsi a produrre il massimo trasporto d’uomini e di merci. È poi del buon senso degli imprenditori il tenersi sempre al di sotto di questo punto, massime dapprincipio; perchè si tratta di determinare la moltitudine degli uomini a rompere le consuetudini già prese, per confidarsi a un corso di cose inusitato e ignoto.

Posto che l’interesse sì degli imprenditori che degli utenti si unisca nel massimo trasporto di persone e di merci nasce un’altra dimanda cioè: in che modo questo massimo trasporto si possa ottenere. Prescindiamo per un istante da ogni altra considerazione.

Il massimo trasporto di persone e di merci si otterrà più sicuramente e prontamente passando nei luoghi ove le persone le merci si trovano già raccolte in maggior copia, o possono più facilmente raccogliersi.

4.

Ora io domando, troveremo noi maggiore affluenza d’uomini e di roba nei luoghi dove fanno capo le strade, oppure nelle solitudini? Troveremo maggior affluenza nelle fiorenti città o nei poveri casali ignoti al commercio e all’industria? Ne troveremo più a Brescia e Verona, o nelle risaie del Tàrtaro e del Tione?

È vero che qui si tratta d’una strada che conduca velocemente da Milano a Venezia e non d’una strada che vada a battere alle porte di tutte quante le città. Ma è vero altresì che a circostanze eguali, dobbiamo sempre preferire quella linea che produce maggior numero di faccende; perchè lo scopo non è tanto di passar velocemente quanto di rendere lucrosa codesta velocità.

Le nostre città non sono solamente la fortuita sede d’un maggior numero d’uomini, di negozi, d’officine e di un più grosso deposito di derrate. Tali sarebbero a cagion d’esempio Birmingham, Trieste, Malta, Gibilterra; le quali non hanno intimo vincolo morale colle circostanti popolazioni; e si [p. 287 modifica] potrebbero dire città cosmopolitiche che stanno in terra come le navi ancorate stanno nel mare.

Le nostre città sono il centro antico di tutte le comunicazioni di una larga e popolosa provincia; vi fanno capo tutte le strade, vi fanno capo tutti i mercati del contado, sono come il cuore nel sistema delle vene; sono termine a cui si dirigono i consumi, e da cui si diramano le industrie e i capitali; sono un punto d’intersezione o piuttosto un centro di gravità che non si può far cadere su di un altro punto preso ad arbitrio.

Gli uomini vi si congregano per diversi interessi, perchè vi trovano i tribunali, le intendenze, le commissioni di leva, gli archivj, i libri delle ipoteche, le amministrazioni militari e sacerdotali, le grosse guarnigioni, gli ospitali. Sono il soggiorno de’ facoltosi colle loro casse e le loro amministrazioni; il punto medio dei loro poderi, la sede dei loro palazzi, il luogo delle loro consuetudini e della loro influenza e considerazione, il convegno delle parentele, la situazione più opportuna al collocamento delle figlie, ed agli studj ed agli impieghi della gioventù. Insomma sono un centro d’azione di una intera popolazione di duecento o trecentomila abitanti. È più facile tirare a Parigi tutta la possidenza francese, che far desertare dal bottegone o dal roccolo una cinquantina di gentiluomini bresciani. Fondate una città nuova, recatevi ricchezze, manifatture, banchi e ciò che volete; e poi la vostra città nuova, sarà Pietroburgo, ma non sarà mai Mosca; sarà Costantinopoli ma non sarà mai Roma; non avrà radice nella terra e negli uomini. Staccatela e il corpo tutto non sembrerà mutilato; perchè sarà sempre una splendida appendice e non un prezioso viscere vitale. Questa condizione delle nostre città è l’opera di secoli e di remotissimi avvenimenti, e le sue cause sono più antiche d’ogni memoria. Il dialetto segna l’opera indelebile di quei primitivi consorzj e col dialetto varia di provincia in provincia non solo l’indole e l’umore, ma la coltura, la capacità, l’industria e l’ordine intero delle ricchezze. Questo fa [p. 288 modifica] che gli uomini non si possano facilmente disgregare da quei loro centri naturali. Quindi la massima corrente delle loro reciproche comunicazioni sarà sempre sulla linea che unisce un massimo numero di questi tenaci e antichissimi centri. E perciò farebbe grave errore chi regolasse in Italia la direzione delle strade ferrate nella direzione ch’esse presero in alcune parti degli Stati Uniti; nei quali paesi gli uomini non hanno affezioni municipali e sono pronti come l’acqua a scorrere dove vuole il pendio e cangiano domicilio come noi cangeremmo osteria. Gli Italiani hanno scoperto l’America; erano a quel tempo signori del mare; eppure sono l’unico popolo marittimo che non vi abbia stabilito il suo nome e la sua lingua. Chi in Italia prescinde da questo amore delle patrie singolari, seminerà sempre nell’arena.

5.

Negli Stati Uniti alcuni territorj percorsi da strade ferrate sono ancora quasi deserti e ingombri di primitive foreste. Quindi le strade talora, a cagion d’esempio da Cincinnati a Cumberlandgap, e di là a Columbia e Charleston, si progettarono affatto rettilinee; 1.° perchè non v’era causa di deviare non v’essendo città; e 2.° perchè gli enormi intervalli deserti che sono da città a città imponevano di studiar soprattutto la brevità del passaggio. Ma nelle parti interne degli Stati Uniti tutto è rettilineo; la frontiera del Nord-Ovest fu segnata nei trattati di pace non con fiumi o con monti che ancora non avevano nome e forse non erano scoperti ancora; ma fu indicata così all’ingrosso con un grado di latitudine. I limiti fra alcuni Stati, a cagion d’esempio il Kentucky e il Tennessee sono una astratta linea retta. Gli Stati interni sono quadrettati come una scacchiera. Ogni riquadro è destinato a divenire un distretto, ed è suddiviso in altri riquadri destinati a formare le comunità, le quali sono suddivise in altri quadretti che formeranno i poderi. È la prima terra del mondo che sia stata divisa colla squadra e col compasso; e dove ogni città ed ogni villa sorgerà al suo giusto e debito luogo, su crocicchj di [p. 289 modifica] strade rettilinee e con pianta affatto rettilinea. Lo stesso avverrà nell’Oceanica dove si vende la terra per tante ghinee al miglio quadro. Nondimeno nell’America stessa la maggioranza delle strade ferrate serpeggia da città a città e non è fatta per servire unicamente ai punti estremi.

6.

In Europa tutto ha già preso una forma fortuita e tortuosa. Le nostre città sono più antiche della geometria. In Inghilterra i tronchi delle strade ferrate sono pieni di curve e di articolazioni. La gran rotaja di Ponente (Great Western Railroad) partendo da Londra serpeggierà a Windsor e Reading, perchè vi sono ville e giardini e viste deliziose frequentate dalle famiglie per passatempo; poi anderà a Bath perchè vi sono bagni celebrati; poi a Bristol perchè si tragitta in Irlanda; poi ad Exeter perchè si toccano le miniere del Devonshire e si va presso a quelle di Cornovallia e si tragitta in Francia e in Portogallo. Guardate sulla carta e vedrete che la strada da Londra ad Exeter non è certo una linea cervellotica segnata da astrazioni geometriche, ma da buon senso mercantile, che sa valutare il proprio interesse negli interessi e nelle abitudini altrui e avendo bisogno delle persone sa andare a cercarle; e non le tira a forza pei gheroni dell’abito dove non abbiano voglia d’andare. Lo stesso dicasi della strada che diramandosi da questa, fuori di Londra cinque miglia, si volge verso settentrione e con molte piegature va per Birmingham a comunicare colla operosa contea di Lancastro.

7.

La necessità di tener conto soprattutto dei centri abitati appare da un altro fatto. In Inghilterra, egualmente come da noi, si concepì il pensiero di una strada ferrata col proposito principalmente di trasportar le merci. Ebbene l’esperienza dimostrò al contrario che le sole merci non davano introito sufficiente a coprir l’interesse del capitale impiegato. La strada da Manchester a Liverpool dà un introito netto di due milioni di franchi. Ma il trasporto delle merci produce solo 625 mila [p. 290 modifica] franchi, il che è men del terzo; e il resto proviene interamente dal trasporto dei viaggiatori. Non saprei veramente perchè non dovremmo tener conto di un’esperienza così grandiosa e cospicua. Forse la perdita o il guadagno di tutta la operazione potrà appunto dipendere da una città di più o di meno che la strada tocchi nel suo passaggio.

8.

Difficilmente si può ritrar vantaggio da molte persone disgregate. In una vettura voi troverete un operaio, un sensale, un mercante, uno speditore; l’uno non curerà dell’altro; e ciascuno penserà a’ suoi bisogni ed a’ suoi fini. Ma una volta che siano avvicinati addivengono a contratti e combinazioni di mille maniere imprevedute, alle quali non avrebbero mai pensato nell’isolamento. Allora la facilità del trasporto, la certezza del pronto ritorno, la tenuità del prezzo, la vista allettevole del continuo passaggio d’uomini e di cose, trascina l’umana pigrizia fuori del primo proposito e dai confini dell’abitudine. Se non cogliete questi uomini al volo e là dove fortuitamente si trovano accozzati, se vi mettete dieci o dodici miglia lontano nel mezzo d’una vigna o d’un ginestraio a chiamarli a voi, non mi darete, a creder mai che tutti si accorgano di voi e dei fatti vostri sicchè non siate per perderne molti e molti.

Adunque chi vuol pigliar gli uomini, faccia come quelli che pigliano i pesci; abbia il senso comune di andarli a cercare dove si trovano.

Questo riguardo è tanto più necessario nelle provincie Venete, perchè scarsissime vi sono tuttora le strade comunali; e riescirà tanto più difficile di radunar passeggieri fuori del solito centro provinciale. La strada ferrata non è per sua natura capace di ricevere afflusso di viandanti ad ogni tratto ed alla spicciolata; ma bisogna che si radunino a certe stazioni. In quelle provincie gli abitanti di qualche borgo non lontano dalla strada ferrata saranno in necessità di recarsi prima a un capoluogo, affine di ritornar poi per opposta direzione e riescire per mezzo d’un braccio addizionale sulla linea maestra. Il che [p. 291 modifica] non è a trascurarsi, massime se l’impresa prosperando dovesse estendersi verso il Friuli. Altrimenti la strada animerà solamente i punti estremi.

9.

Qualcuno pensa che la strada ferrata passando nei luoghi privi di città recherebbe nuova vita a territorj obliati, e spargerebbe l’industria e l’abbondanza ove n’è appunto maggiore il bisogno. Il pensiero è grandioso e l’intenzione benefica.

Ma prima di tutto chi si pasce di questa idea non fa considerazione del tempo necessario a recarla ad effetto. Se voi siete contenti d’aspettare la riuscita della vostra impresa fino a che si fondi sulla vostra strada una nuova linea di opificj, di emporj mercantili, di centri stradali e di città: temo assai che avrete troppo ad aspettare.

In oltre non mi pare che si faccia considerazione del luogo. Questo è un pensiero egregio quando si applichi alla Russia, al Canadà, agli Stati Uniti. Ma il nostro regno è già forse in ragione di grandezza il più popolato del mondo. Esso ha già la congrua sua dote di città; voglio dire che ne ha una di venti, trenta, cinquanta mila abitanti ogni venti o trenta miglia. Queste città son già forse troppe e troppo grandi per l’area che le deve alimentare, non avendo esse più quella floridezza di manifatture e di commercio che nel Medio Evo le faceva sì ricche e intraprendenti. Noi non abbiamo territorj vacui; quindi mal s’adatterebbe a noi una massima che riesce provvida in regioni semiselvagge dove il viaggiatore attraversa fra città e città, le foreste di dieci, di venti, di cento miglia; mentre sulla strada fra Milano e Venezia non è facile misurare cento passi di bosco o di brughiera.

10.

Se voi supponete che tutti codesti nuovi stabilimenti debbano farsi senza levare i capitali, gli uomini e le industrie dai luoghi ove stanno, io, giacchè dal nulla nulla si fa, vorrei sapere da qual miniera terrestre od acquatica vi cavereste tante centinaia di milioni; giacchè i milioni non sono che il cumulo dei nostri guadagni o piuttosto dei nostri risparmj.

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Se poi il nuovo deve trarre a sè gli utili dell’antico: egli sarà come un nuovo alveo di fiume che per diffondere la fecondità in un deserto lasciasse altrove le nude sabbie. Se voi supponete che per fare un grande emporio commerciale a Orzinuovi o ad Albaredo si debba dissanguare l’industria e la possidenza di Brescia o di Verona: io vi domanderò che cosa avremo guadagnato con questo immenso traslocamento d’uomini e di capitali. Avremo reso inutili i capitali già investiti negli edificj, nelle strade, nei canali delle città presenti, per seppellire altra massa di capitali in nuovi edificj su un’altra linea di città future. Cosicchè infine avremo due spese, l’una antica e l’altra attuale, per avere il medesimo servigio di prima. Lasceremo un edificio vuoto e inutile in un’antica città per avere un emporio pieno di mercanzie o un nuovo albergo in un paesello senza nome. Così due edificj, ossia due capitali, ci renderanno il servigio e il frutto di un solo; il che è come dire che l’uno dei due sarà gettato via.

In Italia siamo già ricchi abbastanza di edificj vasti e vacui, di mercati senza mercanti e di vie senza viaggiatori. Nella più parte delle nostre bellissime ed ampie città siamo simili a quegli uomini che dimagrati da malattia vanno a volta cogli abiti larghi e flosci sulle coste, e coi calzoni che sventolano al luogo delle polpe perdute. In tanto cangiamento di cose quanto ne recarono gli ultimi quarant’anni, mentre Londra, Manchester, Liverpool, Birmingham, Parigi, Berlino, Vienna, Odessa, si dilatarono a comprendere nuovi borghi e sobborghi o piuttosto novelle città; due sole delle nostre città ebbero bisogno di ampliare il loro circuito; Torino e Trieste. Sicchè bisogna prima d’ogni altra cosa trar partito da ciò che abbiamo. Bisogna poi far passare la debil corrente del nostro commercio sotto il naso degli uomini, perchè si allettino a porvi mano e si disamorino di quella sterile e fredda vita del piccolo possidente, la quale in alcune provincie ha fatto succedere ai trafficanti e denarosi bisavoli una generazione di gentiluomini, che pongono lo studio della vita a dare ad una [p. 293 modifica] scarsa rendita le apparenze della prosperità. Io parlo per vero dire; e chi ha esperienza dei luoghi e delle famiglie mi darà ragione.

Adunque un’altra delle norme fondamentali da seguirsi sarebbe quella di preferire a circostanze eguali quelle situazioni che sono già proviste di edificj: 1.° per recare men danno a chicchessia; 2.° per crescer valore a ciò che già possediamo; 3.° per diminuire le spese accessorie, le quali se non cadono sugli imprenditori della strada, cadono pur sempre sulla nazione; e col rendere inutili altre opere, riescono esse medesime implicitamente inutili.

Dietro questo principio riescirà lodevolissimo il pensiero del sig. Adalulfo Falconetti che la strada debba a Venezia far capo al consueto emporio mercantile. Oltre alle accennate utilità, ed al più comodo accesso delle navi, vuolsi riflettere che il massimo introito dell’impresa consistendo nei viaggiatori, tuttociò che può accrescere amenità o diletto reca aumento di lucro.

11.

Alcuni vagheggiando idee più vaste e grandiose, mirano principalmente a ciò che questa linea potrà divenire quando in Europa siensi rese generali siffatte comunicazioni, e pensano soprattutto al modo di collegare questa linea colle grandi correnti del commercio universale. Trovano pertanto che siccome su questa linea Milano e Venezia sono i due punti d’applicazione del commercio estero; così il massimo interesse dell’opera sia nell’abbreviare al massimo la distanza fra Milano e Venezia.

Posto il principio della maggior importanza del trasporto delle persone a fronte di quello delle merci, vuolsi notare che l’andirivieni delle persone è sempre maggiore a piccole distanze; perchè sono più promiscui gli interessi, i traffichi, le possidenze e più frequenti le amicizie e le parentele; e l’andata e il ritorno già per sè brevi diventano colla strada ferrata quasi momentanei. Padovani e Veneziani a cagion d’esempio hanno [p. 294 modifica] mille volte più ragione d’andarsi a trovare che Istriani e Piemontesi. Perlocchè si troverà maggiore l’annua somma dei trasporti di persone fra i varj punti intermedj, o pure tra i punti intermedj ed uno degli estremi, che tra i due opposti estremi, o tra luoghi stranieri e ancor più lontani.

Lo stesso dicasi dei bestiami e di quelle merci che si potrebbero chiamar fresche, cioè i latticinj, le frutta, gli ortaggi, il pesce, i testacei, il pollame e altre simili cose alimentari di breve durata. Le quali avendo necessità di prontissimo viaggio e per veicolo che non le riscaldi collo scotimento, costituiscono una grandissima parte dei trasporti che si fanno sulle strade ferrate. Ora esse appartengono quasi interamente al commercio interno e di piccola distanza giacchè la spesa di una lunga corsa equilibrando i prezzi toglierebbe ogni convenienza al viaggio.

12.

È qui a rammentarsi una cosa non avvertita da molte persone che avendo nel resto lodevole cultura sono all’oscuro delle verità dell’economia politica. Nei paesi di qualche estensione la massa del commercio estero è immensamente minore di quella del commercio interno.

Gli Inglesi hanno colonie vastissime, fiorenti, diffuse fino agli antipodi, marina infinita, posizione ammirabile, capitali enormi; sono la nazione mercantile per eccellenza. Eppure Pitt ebbe a dire che il loro commercio estero era soltanto la 32 parte del loro traffico totale. È vero che Pitt era politico e non economista e voleva celare alla nazione i danni della guerra. Ma il fatto si è che tutto il valsente del gigantesco commercio di quel regno è appena il doppio delle annue contribuzioni ch’esso paga al solo governo. Nel quadriennio 1828 e 1831 il valor medio di tariffa di tutte le importazioni ed esportazioni nelle Isole britanniche fu di annui 2847 milioni di franchi. La qual somma divisa per la popolazione darebbe 114 franchi per testa all’anno. Si noti però che va crescendo con incredibile velocità; giacchè nell’ultima quadriennio 1832-1835, [p. 295 modifica] la libera importazione delle merci estere promossa dal ministerio presente ha accresciuto l’esporto dei prodotti nazionali nella misura del 25 per cento; cosicchè si esportò in quattro anni ciò che per l’addietro appena si esportava in cinque.

In Francia, giusta Bènoiston de Châteauneuf membro di quell’Instituto1, il termine medio di tutte le importazioni ed esportazioni nel quinquennio 1827-1832 fu di 1226 milioni di franchi. Divisa questa somma per la popolazione di quel tempo ch’era di milioni 32 ½ darebbe circa franchi 37 ½ per testa all’anno, cioè il terzo di ciò che abbiam detto per l’Inghilterra. Ora la massa dei prodotti agricoli e industriali della Francia sarebbe, secondo lo stesso autore, da otto mila a dieci mila milioni. Così il commercio estero della Francia sarebbe appena dal 12 al 15 per cento del suo commercio totale. Eppure la Francia ha porti su diversi mari, colonie, navi, consoli, ambasciatori, e ministri di commercio e di marina.

Come ciò avvenga fu già diffusamente spiegato in molti libri, e s’intenderà facilmente da chicchessia quando si pensi che di tuttociò che si mangia, si beve, si veste, si arde e si consuma in ogni modo, massime dalle classi più numerose, la minima parte è quella che non sia frutto della nostra terra e lavoro delle nostre arti. Questi prodotti entrano in commercio e s’aggirano da mano a mano e da luogo a luogo, innalzando a rapida e invidiata fortuna le umili famiglie che ne fanno traffico, benchè non figurino sui registri degli arrivi e delle dogane.

Se il nostro commercio fosse nelle medesime proporzioni di quello della Francia, avendo il nostro regno quasi quattro milioni e mezzo d’abitanti noi dovremmo avere presso a 170 milioni di commercio estero e da 1200 a 1300 milioni di commercio totale. Qualora la cosa fosse così, io domando se la [p. 296 modifica] nostra strada ferrata dovesse prender di mira i soli 170 o non piuttosto tutti i 1300 milioni? Ora le provincie occidentali del nostro regno sono molto più ricche d’interna produzione e d’interno traffico che veruna provincia francese. Cresce adunque l’argomento.

13.

Ma per veder le cose più intimamente, scomponiamo questo estero commercio nelle sue tre parti, le esportazioni, le importazioni e i transiti, per vedere qual conto vi possano fare gli imprenditori della linea ferrata.

In questo momento noi non possiamo attribuire un valor medio al nostro commercio d’esportazione. Il suo principal ramo consiste nella seta, la quale cresce di circa otto per cento all’anno in quantità e da qualche tempo è cresciuta più del cento per cento in valore; sicchè noi stessi ne siamo stupefatti e quasi atterriti. Ma essa crescerà molto maggiormente a misura che gli studj dei naturalisti sulle malattie del baco da seta illumineranno le famiglie e trionferanno delle abitudini. Intanto sette milioni di libbre tra roba fina e scadente se valevano un tempo cento milioni di franchi, adesso ne possono ben valere 200. Ma il cresciuto valore intrinseco non accresce i lucri di spedizione, se non in quanto si abbia un maggior volume di merce a traslocare.

Si osservi inoltre che le sete nel governo di Venezia sono in molto minor quantità e in qualità quasi sempre inferiore a quelle del governo di Milano. Chi volesse segnar sulla carta del nostro regno una riga che attraversasse l’area più favorevole alla produzione serica, dovrebbe a un dipresso tirar una riga da Brescia lungo Bergamo, la Brianza e Como verso il Lago Maggiore. E non solo la produzione ma anche la massima esportazione della seta succede da quella parte verso Zurigo, Elberfelda, Lione e Londra. Quindi riesce affatto fuori dell’asse della nostra strada ferrata. Si fa qualche esportazione anche verso l’Austria e la Russia, ma essa riesce naturalmente a maggior portata delle sete friulane, trevisane, bassanesi e [p. 297 modifica] trentine, le quali per recarsi a quella volta non hanno bisogno di viaggiare tra Milano e Venezia. Dunque da questi duecento milioni che possono figurare nella nostra esportazione, la minor parte potrebbe riguardarsi come stabilmente compresa nel commercio estero sulla strada ferrata.

Un altro ramo di esportazione che si fa ascendere da diciotto a venti milioni di franchi è il formaggio e per il suo maggior peso la massa di questa derrata interessa la spedizione tre volte più della seta. Ma questa produzione è quasi tutta al di qua di Lodi e dell’Adda, e i suoi esiti sono più considerevoli in tutte le altre direzioni che in quella di Venezia. La causa si è che il formaggio nostro al pari delle nostre sete è mercé assai costosa e ricercata solo da nazioni ricche, verso le quali deve adunque prendere la sua direzione.

Le altre nostre esportazioni, le seterie lisce e soprattutto nere, le armi bresciane, le lanerie venete e bergamasche, la carta, i libri, le carrozze, le mobiglie, il riso, ecc., ecc., si diffondono in varie direzioni e in gran parte si rivolgono ai vicini Stati italiani e alla Svizzera. Quelle poi che si rivolgono verso l’Adriatico discendono in gran parte per la via delle acque. Il qual genere di trasporto non solo regge a pesi che sulle strade rotabili darebbero incomodo e recherebbero guasto, ma è più favorevole alla merce che discende al mare che a quella che sale. Per discendere basta trovare un congruo corso d’acque, ma per risalire si richiede il continuato appoggio di una strada alzaia e uno sforzo d’uomini, di macchine o di animali con grave perdita di tempo.

Concludiamo adunque che le migliori nostre esportazioni sono delle provincie occidentali e che mentre la maggior parte di esse si rivolge in direzione diversa dalla strada di Venezia, quella parte che si rivolge appunto verso l’Adriatico si suddivide ancora fra la strada acquatica e la terrestre. Cosicché ne viene di conseguenza che il miglior sussidio alla strada ferrata non sarà nel commercio di esportazione. [p. 298 modifica]

14.

Veniamo alle importazioni. Queste sono naturalmente provocate dalle esportazioni alle quali servono di prezzo e di concambio. E certamente sarebbero quasi sempre in equilibrio, se venissero abbandonate al loro corso naturale. Giacchè nè noi mandiamo agli esteri la roba gratis, nè gli esteri ne mandano gratis a noi. Ma può benissimo avvenire che mentre noi dirigiamo le nostre esportazioni verso occidente, una parte del concambio ci arrivi dall’oriente; ciò dipende dalla qualità di merce che noi possiamo o vogliamo ricercare.

Dalla parte dell’Adriatico le nostre importazioni sono assai maggiori delle esportazioni. Da un sunto pubblicato in un Giornal di Trieste si scorge che le nostre esportazioni verso quel porto non fanno in termine medio che il 16 per 100 delle importazioni da quel porto al nostro regno; e in alcuni anni (1826 e 1828) non fecero che l’11 per 100. Infatti le nostre esportazioni al porto di Trieste non giungono in termine medio a 5 milioni di franchi (4.811,665) e nel 1826 appena superarono i 3 milioni (3,034,900); il che non giunge alla sessantesima parte del valor attuale delle nostre sole sete. Al contrario le importazioni sono in termine medio qualche cosa di più di milioni 28 1/2 (28,528,122); il che dovrebbe essere circa un ottavo della nostra esportazione totale.

Ma noi riceviamo qualche cosa da Livorno, moltissimo da Genova, coloniali, medicinali, tinture, olj, pesce secco, agrumi, ecc.; la Svizzera ci paga in bestiami, in formaggi, in legnami una parte del nostro grano e della nostra seta; ma un altra parte è forza che ce la paghi in qualche altro modo; altrimenti non potrebbe comperare. Parimenti gran parte del valor delle nostre sete inviate a Lione e a Londra si salda in numerario da mandarsi altrove. Ma molti milioni non si possono saldare, se non in merci le quali entrando variano molto di direzione, ma insomma difficilmente ci arrivano per la parte di Venezia. Cosicchè se le importazioni sulla linea ferrata fossero anche dieci volte maggiori delle esportazioni, com’è [p. 299 modifica] probabile, esse sarebbero ancora una scarsa parte del nostro commercio estero, il quale come abbiam detto è una scarsa parte del nostro commercio totale.

15.

Venendo ora al commercio di transito, dobbiamo primamente considerare che la direzione di questa strada è da levante a ponente. Quindi non è disposta a giovar molto se non alle persone che vengono per questa direzione, o per direzione molto affine a questa. Ora bisogna distinguere fra lo stato attuale dei transiti su questa linea e lo stato probabile o almeno possibile.

Per assestare un poco le idee, ed intercettare ogni mescolanza dell’immaginazione in un affare di conto preventivo, facciamo così: sulla carta geografica d’Europa si diramino da Milano tre linee, l’una verso Genova, l’altra verso Lione e la terza verso il Reno. Parimente tre linee simili si diramino da Venezia o da Trieste, l’una verso Vienna, l’altra verso Belgrado e Odessa, l’altra verso la bocca del Golfo Adriatico.

Una persona, a cagion d’esempio, che venisse dall’Austria o dalla Russia potrebbe percorrere la linea di Trieste, Venezia e Milano; e riprendendo quindi la primiera direzione trasversale, potrebbe giungere comodamente per Genova alle coste di Provenza, di Catalogna e a tutta quella parte del Mediterraneo, a Gibilterra, all’Atlantico, ecc. Parimenti chi venisse lungo l’Adriatico dalla Grecia o dall’Apulia a Venezia, giunto di là in poche ore a Milano potrebbe ripigliare la sua direzione trasversale verso Ginevra, la Francia, l’Olanda, l’Inghilterra.

Ognuno vede però che questa è strada più da passaggieri che da mercanzie.

16.

Ho nominato Belgrado e Odessa; e ciò sembrerà fuori di proposito. Mi si abbia la pazienza di osservare un istante, che continuando per mare da Venezia a Trieste, e superate quindi le Alpi Giulie che sono le più facili di tutte e sembrano già [p. 300 modifica] prese di mira dai progettatori di strade ferrate, si giunge per le valli quasi rettilinee della Culpa e della Sava appunto a Belgrado o Semlino, ciò che è tutt’uno. Quivi da poco tempo hanno cominciato a scorrere le navi a vapore che giù pel Basso Danubio, continuando quasi sempre la stessa direzione giungono al Mar Nero nel Golfo di Odessa. Se supponiamo fatta la strada ferrata da Milano a Venezia, siccome da Venezia si tragitta col vapore in poche ore a Trieste, e Belgrado comunica per vapore con Odessa: rimarrebbero a percorrersi o per canale, o per rotaja ferrata le dette 300 miglia lungo la Culpa e la Sava fra Trieste e Belgrado. Questa ultima città con Semlino e le altre sue vicinanze è il centro di tutte le acque dell’Ungheria, della Bosnia, della Servia e della Valacchia. È il punto predestinato dalla natura ad essere l’emporio di quelle ubertose e vastissime regioni quando vengano a progredire nella civiltà. Così alternando due corse di terra e due d’acqua si perverrebbe da Milano a Odessa in tre o quattro giorni.

Ora il commercio dei Genovesi con Odessa e tutte quelle marine è antichissimo e vivacissimo. Ma pel giro immenso che vuolsi fare dalle loro navi intorno alla Turchia, alla Grecia ed all’Italia, e per la tempestosa natura dei mari, è lungo, pericoloso e in molti mesi dell’anno affatto impossibile. I Genovesi potrebbero dunque trar partito a certi rami di traffico, massime in caso di perversa stagione o di guerra marittima che ostruisse gli accessi del Mar Nero; e principalmente se ne potrebbero giovare al passaggio delle persone. Pei Lionesi e Ginevrini sarebbe la più breve e sicura strada per avvicinarsi non solo a Odessa, ma ad Astracan, a Tiflis e a Trabizunda e connettere l’Oriente colle regioni dell’Atlantico. E questa linea retta non corrisponderebbe in lunghezza alla metà di quella tortuosa curva che si aggira fra le scogliere dell’Arcipelago. E sarebbe sempre preferibile a quella che da Belgrado rimontando penosamente fino a Vienna tutti i meandri del Danubio, deve lottare per 400 miglia coll’incertezza [p. 301 modifica] dell’alveo e la forza delle acque, senza avvicinarsi d’avvantaggio al mare e all’Europa occidentale. Quando la linea poi dovesse prolungarsi per la Francia meridionale da Lione a Bordò, sarebbe il varco rapidissimo per cui non solo l’Alta Italia, e l’Ungheria ma anche la Russia meridionale, la Georgia, la Persia comunicherebbero coll’Atlantico e coll’America.

Ma queste cose sono fondate bensì nelle future probabilità, ma lontane ad avverarsi. Per ora di tutte queste direzioni adattabili all’asse della linea ferrata, l’unica veramente capace di produrre un pronto concorso di transiti, se non per le merci almeno per i passaggieri sarà quella che dalle Isole Jonie per Venezia, Milano e la Svizzera si rivolgerà alla Francia, al Reno, e più ancora all’Inghilterra. Questa direzione è opportuna agli stabilimenti degli Inglesi in Grecia, e si collega alle loro speculazioni itinerarie che per l’Eufrate e il Golfo Arabico tendono ad aprire una via diretta all’India ed all’Australia.

Questo può dirsi frutto maturo e vi si può fare qualche assegnamento, ma le corse da Trabizunda, da Odessa o anche solo da Vienna, a Genova, a Lione, a Bordò o a Gibilterra saranno discorso di fiori finchè la costruzione di altre strade ferrate non congiunga per Genova i due mari d’Italia.

17.

E qui su questa oscura materia dei transiti, che è la base delle grandi speculazioni e l’incentivo delle grandi speranze, mi si permetta di aggiungere qualche cosa ancora, colla promessa d’esser breve.

Una volta la forza dirigeva i transiti piuttosto ad uno che ad altro porto. I soli Italiani avevano forze e riputazione nel Mediterraneo, e imponevano timore ai pirati d’oltremare. Vi era ignoto il nome d’Inglesi, di Russi e d’Olandesi; la Francia ancora cavalleresca, rozza e cenciosa non aveva nè canali nè strade. Marsiglia ed Acquemorte erano porti per tragittar frati e peregrini. Malta era parte inosservata del regno Siciliano; Odessa non v’era; Caffa e Pera erano città genovesi: [p. 302 modifica] e i marinai greci erano assoldati dalle nostre città. Essendo italiana tutta la marina era naturale che i porti d’Italia fossero gli emporj del Mediterraneo. Genova e Venezia erano i capistrada di tutta l’Europa. Il transito di quei porti comprendeva tutto il commercio dell’Europa interna coi nostri mari, e colle altre parti del mondo d’allora. I guadagni erano enormi, perchè non v’era concorrenza.

Ora tutta questa ragione dei transiti ha cessato d’essere artificiale, ma obbedisce alle leggi della libertà marittima. Le merci più non passano dove la forza del monopolio le strascina; perchè non v’è più nazione che abbia la forza di desolare i mari. Se una nazione ha porti, riceve dal mare immediatatamente quasi tutte le sue importazioni, e per la stessa via manda i ricambj. Il commercio di transito si riduce al bisognevole dei popoli interni e remoti del mare. Ma questi in Europa son pochi, e soprattutto in caso di necessità avrebbero accesso al mare da più parti; il che fa concorrenza e limita i guadagni. A cagion d’esempio la Svizzera da un lato scende in Italia; dall’altra ha la navigazione del Reno, e s’accosta a quella del Rodano e dei canali di Borgogna. L’Ungheria da un lato ha Fiume; dall’altro può discendere in poche ore al Mar Nero, o avvicinarsi alle parti navigabili della Vistola. Quindi se alcuno s’immaginasse che il transito libero possa per alcuna umana industria divenire ciò ch’era in altre età il transito obbligato, si farebbe grave illusione.

18.

Una nuova specie di transito obbligato fu introdotto a memoria nostra dal sistema continentale. Si era rinunciato ai beneficj del mare per disperazione di poter dominarlo. Le dogane non sarebbero bastate a troncare ogni commercio marittimo; perchè l’indestruttibil forza del contrabbando segue le proibizioni come l’ombra segue i corpi. Ma un nemico più formidabile era nel gran numero degli armatori che le nazioni si avventavano contro a vicenda. Essi scorrevano i mari, e spaventavano i contrabbandieri, i quali potevano bensì far calcoli [p. 303 modifica] posati per corrompere od eludere le dogane, ma appena ardivano cimentarsi colla ferocia di marinai affamati. Quindi e non altronde venne la nuova fortuna della marina greca, che, sotto bandiera turca, era quasi sempre sicura degli armatori patentati e dall’infame legalità delle prede; e per questa via esercitava quasi sola il contrabbando marittimo. Così mentre i popoli culti traviati dalla falsa politica e dalla falsa economia sputavano in faccia al commercio e alla fortuna, un popolo decaduto restaurava i suoi destini, e poneva le fondamenta di una novella esistenza.

Durante il sistema continentale prevalsero adunque le vie terrestri. Il contrabbando terrestre assai maggiore del marittimo, si faceva attraverso al centro dell’Europa, e si depositava a Francoforte e nella Svizzera. La Francia poi riceveva da terra per Costainizza e Trieste i cotoni, le lane, le pelli, la vallonea e le altre merci levantine. Ma tra i porti dell’Adriatico e la Francia non v’era che la sola linea daziaria della Sesia, la quale per l’identità del regime sulle due opposte rive nulla aveva di protettivo e reprimente, e si riduceva a un mero pedaggio. Quello sarebbe stato il momento in cui il solo commercio di transito e di spedizione avrebbe potuto alimentare un costoso stabilimento itinerario. Se non che le cose appoggiate a sistemi politici e fattizj durano pochi giorni. Dal che deriva l’avversione degli uomini del continente a impegnare le loro fortune in grandi intraprese le quali ad ogni volgere di vento si trovano confitte sull’arena. Sembra inerzia ed è sperienza ed implicita memoria dei patiti disastri. Dopo lo scioglimento del sistema continentale la cosa, per quanto riguarda i transiti, sta precisamente a rovescio.

19.

Alcuni che guardano solo alla corteccia delle cose diranno che il sistema continentale demolito nel 1814 rivive nel sistema protettivo adottato poi da quasi tutti gli Stati Europei. La somiglianza non si può negare; ma gli effetti sul transito sono precisamente opposti. L’effetto del sistema continentale [p. 304 modifica] napoleonico era quello di far preferire le vie di terra; perchè si trattava di far senza il mare, e dalle rive del continente europeo si dovevano affamare tutte le isole e le altre quattro parti del mondo. Il che proveniva dall’ignorare il già mentovato principio di economia che il commercio estero per quanto gigantesco egli sia, non è tuttavia che una piccola parte dei commercio totale d’una regione alquanto estesa. E qui si vede quanto l’ignoranza dell’economia possa tornar funesta agli Stati. Al contrario l’effetto del sistema protettivo è quello di far preferire le vie di mare, rendendo intricate lente, e costose le vie di terra. Ogni nazione è ridotta a provedersi pe’ suoi porti, quantunque la natura in molti casi abbia predisposti aditi più facili e vantaggiosi. Io vi dimando se per regola generale conviene a cagion d’esempio condur per terra da Trieste a Marsiglia una balla di merci asiatiche? Bisognerebbe non solo far più di 500 miglia, e passar le Alpi, ma altresì pagare i carichi marittimi, il transito per la nostra linea, il transito pel Piemonte, un enorme dazio protettivo all’ingresso in Francia, e una sequela di provisioni ai corrispondenti incaricati di dirigere e sospingere la merce di passo in passo. Quindi è naturale che o quel commercio si abbandoni, o che le navi si dirigano dal Levante a Marsiglia direttamente. E perciò finchè prevale il sistema protettivo, nessuna opera stradale, nessuna industria locomotiva potrà fare che grandi linee terrestri ottengano preferenza sulle corse marittime rese brevi e certe dall’uso del vapore.

20.

Concludiamo coll’asserire in succinto che l’impresa d’una strada ferrata tra Venezia a Milano, qualora gli uomini consentissero veramente ad eseguirla:

1.° Dovrebbe contar più sul trasporto delle persone che delle merci;

2.° Riguardo alle persone, dovrebbe contar più sugli indigeni che sui forastieri; e sui passeggeri di breve distanza che sui viaggiatori di lunga corsa;

[p. 305 modifica]3.° Riguardo alle merci dovrebbe contar maggiormente su quelle d’interno giro che sul commercio estero.

4.° Riguardo al commercio estero dovrebbe contar molte volte più sulle importazioni che sulle esportazioni e ben poco per ora sui transiti;

5.° Che tutto il commercio estero e il transito principalmente, si vedrebbe crescere gradatamente a mano che gli Stati Europei ritornassero dietro l’esempio della Gran Brettagna a quei principj di libera concorrenza dai quali la Svizzera non si dilungò mai, dando così solida base alle sue manifatture ed alla sua prosperità.

6.° Che fino a quando la lotta fra i due principj della concorrenza e della protezione terrà nell’incertezza l’industria europea, sarà prudenza stabilire i conti preventivi di imprese itinerarie sulla base immancabile dei consumi interni e della popolazione locale.

7.° Che una bella parte dei destini di quest’impresa s’appoggia alla propagazione di simili opere verso i Golfi di Genova e di Guascogna.

8.° Che la riuscita generale dipende da un congruo concorso di tutti questi introiti parziali.

Dalle quali conclusioni viene per corollario la necessità di comprendere nella nostra linea quel maggior numero di città che compatibilmente si possa.

21.

Ma fra le tante città nostre a quali dovremo dare la preferenza? Sarebbe difficile anzi impossibile il decidere se la scelta toccasse al sentimento e alla genialità; ma qui deve decidere il calcolo dell’interesse.

Il progetto publicato a Venezia e ripublicato a Milano, sembra dettato soprattutto dallo studio astratto dei livelli. Ma per i meno esperti sembra dettato dal timor di mostrare parzialità. Egli con zelo eremitico fugge a dritta e sinistra l’ombra d’ogni civico recinto e appena scorre esitando presso il borgo non so se di Soncino o d’Orzinovi. Del resto, se le cose dette fin qui non [p. 306 modifica] sono tutte strane e perverse, egli è il men fruttuoso e opportuno di tutti i progetti immaginabili. E però eccellente come punto da cui prender le mosse; perchè così il peggior partito essendo già stato proposto, tutti quelli che si potranno proporre saranno migliori. Ed è meglio cominciar da un cattivo progetto per terminare con un buono, che viceversa cominciar dal buono per finire col tristo.

La nostra pianura è divisa in due zone, l’una rasente i colli, l’altra più prossima al Po. Sulla prima sorge Verona; su l’altra sta Mantova. Quale fra queste due zone guernite entrambe di città, promette alla strada maggiori vantaggi? Ecco un altro quesito a sciogliersi. Propongo le seguenti considerazioni.

1.° Il Po che scorre vicino alla zona inferiore forma già una strada naturale di trasporti, la cui prossimità, per certe merci e in certe stagioni e massime per l’uscita del regno, farebbe alla strada ferrata una concorrenza che limiterebbe i guadagni. Una regione che possiede già una comunicazione fluviale riceverebbe minori vantaggi dalla nuova strada, e perciò sarebbe men disposta a pagarne la mercede. Una tal concorrenza sulla zona superiore si risentirebbe meno.

2.° Il Po nel governo di Milano forma sistema coi laghi Verbano e Lario, coi tre navigli milanesi, e col corso inferiore del Ticino, dell’Adda e del Mincio; e quindi apre la navigazione con Pavia, Milano, Como, Lodi, Cremona e Mantova. Da questa comunicazione col mare è interdetta la città di Brescia.

3.° La zona più elevata è la parte del regno che conta maggior popolazione, maggior industria, e maggior giro di capitali. Più all’insù la terra montuosa diviene scarsa alla produzione agraria; più all’ingiù il paese è più scarso di manifatture e di commercio. Su questa linea sono gli sbocchi delle valli e dei laghi, e i depositi dei prodotti della pianura. È dunque la linea che fa sperare maggior numero di passaggieri e di mercanzie.

[p. 307 modifica]4.° Se si conduce sulla Mappa una linea retta da Milano a Venezia perchè serva come di modulo e di regolo, dal quale dilungarsi il meno possibile, e si prescinde per un istante da ogni considerazione di terreno e di livello: si troverà che la linea passa rasente Peschiera e Verona. Dunque la brevità astratta, concorre anch’essa a far preferire la zona superiore. Dunque Milano, Brescia, Verona, Venezia. Di Vicenza e Padova vedremo poi.

22.

Ritorniamo al progetto publicato il quale sembra raccomandarsi per un’apparente premura di brevità; giacchè chi tira dritto e non guarda in viso a nessuno, sembra sollecito unicamente di giungere alla meta. Scomponiamo diligentemente tutte le circostanze. Calcoleremo le distanze in miglia astratte ossia prese sulla scala col compasso. Non intendo per questo stabilire una misura a capriccio ma solo formare un sistema di cifre per i confronti; alle miglia astratte si può aggiungere quel tanto per cento che si trovi conveniente alla conformazione del suolo, per ridurre le miglia astratte in miglia reali. Non bisogna dimenticare di tener conto dell’area delle città che la strada attraversa o rade. Ma bisogna anche por mente che difficilmente si trovano due Carte sulle quali le città siano collocate a distanza precisamente eguale; nel totale però un errore fa compenso a un altro. Io mi son prevalso della Carta di G. Pezze.

Nel progetto publicato la linea ferrata passa sul meridiano di Brescia al disotto di Leno, poi passa il Mincio al disotto del colle della Volta, poi l’Adige di fronte ad Albaredo, poi oltrepassando Cotogna si volge a sinistra e studia di internarsi fra i Berici e gli Euganei, poi varca la Brenta circa tre miglia al disopra di Padova, tocca Mestre, e di là si torce alla parte meno abitata di Venezia.

Riducendo questi spazi in miglia astratte, abbiamo all’in circa questi dati:

[p. 308 modifica]

Da Milano a Leno..... miglia astr. 42

Da Leno al Mincio..............».......21

Dal Mincio all'Adige..............».......22

Dall’Adige al Bisato..............».......14

Dal Bisato alla Brenta..............».......15

Dalla Brenta a Mestre..............».......16

Da Mestre a Venezia..............»........ 4

Totale 134


Inoltre questa strada non toccando alcuna città nel suo passaggio dirama a ciascuna delle città vicine, a guisa di sterminato polipo, altrettante braccia addizionali. Queste sono da comprendersi nella somma dei lavori; perchè sono una necessaria membratura, senza la quale la strada non varrebbe all’intento.

Braccio di Brescia.. miglia astr. 11

Braccio di Mantova................ » » 8

Braccio di Verona............... » » 7

Braccio di Vicenza............. » » 11

Braccio di Padova.............. » » 3

Totale delle braccia addiz............... » 40

Linea maestra.............. » 134

Totale dell’opere necessarie.............. » 174


Abbandoniamo per un istante il progetto pubblicato, e supponiamo invece che in vista della maggiore utilità, si voglia comprendere nella linea maestra il maggiore compatibil numero delle suddette città. Si avrebbe:

Da Milano a Brescia... miglia astr. 42

A Peschiera.................. » 20

Per Verona a S. Bonifacio.................. » 25

A Vicenza.................. » 14

A Padova..................» 16

A Fusina.................. » 16

A Venezia.................... » 3

Totale. 136

[p. 309 modifica]Adunque il progetto polipiforme richiederebbe 174 miglia d’opere, e la linea delle sei città ne richiederebbe sole 136; permettendo così un risparmio di 38 miglia.

E vero che non si tien conto di Mantova; ma questa città non avrebbe che ad allungare di poche miglia il suo braccio addizionale per trovarsi nella medesima condizione che nel progetto pubblicato. Il che vuoi dire che sarebbero da aggiungersi alle 8 miglia del braccio di Mantova le 7 miglia guadagnate sul braccio di Verona. Aggiunte perciò 15 miglia e recata così la somma dei lavori da 136 a 151, rimarrebbe tuttavia un risparmio generale di miglia 23 astratte che faranno quasi 30 effettive. Si supponga qualunque sbaglio di misure; non si giungerà mai a dissipare una così palmar differenza.

23.

E difficile valutare in denaro la diminuzione di spesa che ne verrebbe. Non abbiamo un dato da cui argomentare la media spesa di un miglio di lavori. Da Londra a Birmingham si valuta a 800 mila franchi al miglio inglese, e da Manchester a Liverpool si valuta a un milione; da Londra a Greenwich si valuta a tre milioni, ma la strada è tutta sorretta da un ordine di sontuose arcate, come un acquedutto romano. Al contrario in America la rotaja semplice costò 100 mila franchi al miglio italico; gli Americani non hanno a comprar fondi e demolir case; e fanno letto alle strade degli immensi tronchi delle loro selve. Però anche in America la rotaja duplice con sostegni di pietra ne costò più di 300 mila. Alcuni hanno già detto che nel nostro paese la spesa media dei lavori si potrebbe valutare a 400 mila franchi al miglio. Ciò posto, 30 miglia risparmiate risparmierebbero 12 milioni. Fosse anche la metà; fosse il terzo; sarebbe sempre una somma ingente. Sopprimendo poi per ora anche il braccio addizionale di Mantova, si risparmierebbero altri 8 milioni.

24.

Vediamo le conseguenze che questo risparmio recherebbe all’uso giornaliero della strada.

[p. 310 modifica]I viaggiatori di lungo corso i quali formano il minor numero dei passaggieri, avrebbero a percorrere da Venezia a Milano due miglia di più e perderebbero forse otto o dieci minuti in tutto il viaggio. Ma voglio supporre che perdessero anche una mezz’ora. Però potranno giovarsi per le faccende che avessero in qualunque delle città intermedie, o almeno sostarsi a vederle. Un viaggiatore potrebbe toccar Brescia senza percorrere il braccio da Leno a Brescia; il che porterebbe 22 miglia tra la gita e il ritorno. I passaggieri che da Milano si recassero a Brescia o viceversa risparmierebbero 11 miglia, quelli tra Brescia e Verona ne risparmierebbero 18; tra Brescia e Vicenza 22; tra Brescia e Venezia 9; tra Vicenza e Verona 18; tra Mantova stessa e Vicenza 4; tra Mantova e Brescia 6; e così in proporzione.

25.

Inoltre si noti bene che tutte codeste braccia addizionali, in fatto riescirebbero quasi inservibili. Sulle rotaje ferrate si ponno trascinare carichi enormi ripartiti in più dozzine di carri e rimorchiati da una sola macchina locomovente; la cui forza può equivalere a quella di cento o duecento e più cavalli. Ora un sol cavallo sulla strada ferrata tra Edinburgo e Dalkeith basta a condurre 48 viaggiatori, ma naturalmente non può far più di 10 di quelle miglia all’ora. Una sola macchina può condurre con estrema velocità molte centinaja di passaggeri. Alcune macchine sono capaci di trascinare da mille a duemila centinaja di kilogrammi. Se la linea, per esempio, tocca Brescia o Verona, nulla più facile che preparare uno, due o tre carri o calessi, secondo accade, e attaccarli dietro la sequela degli altri all’istante del loro quotidiano passaggio. Anche un viaggiatore solo soletto può farsi prendere all’atto che la macchina s’arresta per deporre gli arrivanti.

Che se da Brescia alcuno debba recarsi per un braccio di 10 miglia con apposito veicolo a incontrar la linea maestra: ne vien di conseguenza che non converrà far questo tragitto se non quando si trovi un numero di passaggieri che franchi la spesa della corsa. Sarà mestieri pertanto che tutti questi passaggieri [p. 311 modifica] sieno pronti lo stesso giorno alla stess’ora e per la stessa direzione. Una sola città non può dar tanti passaggieri da assicurarsi corse frequenti. Quindi verrebbe la necessità o di correr molte volte con un numero insufficiente di passaggieri a detrimento dell’impresa; o di dover pubblicare una tariffa di giorni e di ore che la popolazione non sarebbe certo disposta a studiare a memoria, e quindi tutto cadrebbe nell’incertezza e nel languore. Molti massime se giunti dalle vicinanze, invece di rispettar oziosamente sull’osteria l’istante sospirato, si appiglierebbero ai soliti mezzi di trasporto. Il poco numero dei passaggieri quotidiani farebbe sostituire sui bracci addizionali i cavalli alle macchine. Quindi da Verona alla linea maestra coi cavalli; sulla linea maestra fino a Leno colla macchina poi trovati di nuovo i cavalli, andar con essi da Leno a Brescia. Certamente chi ha qualche riguardo ai proprj comodi, preferirà di andar direttamente da Verona a Brescia, giacchè il miglior vantaggio è quello che risparmia il tempo, la spesa, la molestia e l’incertezza.

26.

Ben falsa idea si forma delle strade di ferro e dell’ordine rigido che solo può prevenire lo scontro e lo sterminio dei formidabili rotanti, chi s’imagina che ad ogni istante possano confluir sulla linea veicoli mossi con differenti gradi di velocità. Macchine che trascinano con corso moderato il carico di intere navi in una volta; macchine che volano coi calessini dei passaggieri a 20 e forse a 30 miglia all’ora; cavalli che a stento raggiungono la metà o il terzo o il quarto di siffatta velocità. Questo avverrebbe sulla rotaja che guida in un senso; sull’altra attigua carriera, medesima confusione in senso opposto. Sarebbe mestieri deputar cervelli sovrumani a metter sesto in siffatto caos. La quantità poi delle macchine qua e là disperse sui varj punti di partenza, sarebbe enorme. Ogni macchina credo costi in Inghilterra 25 mila franchi e l’annua manutenzione val forse più del prezzo d’acquisto.

Bisogna imaginarsi un corso unico e armonico di macchine che quando non si dia segnale oltrepassino tranquillamente le [p. 312 modifica] città, e quando il segnale si dia s’arrestino alle porte quel solo istante che è necessario a ricevere il tributo o a dimetterlo, o a cangiarlo. Nei tempi di fiera non solo ogni macchina potrebbe condur centinaja di passeggieri, o una comitiva di più macchine condurne migliaja; ma questo passaggio ripetersi più d’una volta al giorno, e inoltre alternarsi colle corse più lente delle macchine da grave carico, senza che si dessero il minimo impaccio. Supponiamo che i passaggieri dovessero passar da Milano a Venezia in 8 ore, e le merci in doppio tempo. Si potrebbe in uno stesso giorno compiere a diverse ore tre corse di passaggieri e tre di merci. E ogni corsa potrebbe consistere tanto in una macchina sola col suo corteggio di veicoli; quando in una comitiva di più macchine. Sull’altra rotaja avrebbe luogo l’andamento inverso da Venezia a Milano. Tutte le corse intermedie verrebbero comprese in queste. Di una mezza dozzina di viaggiatori partiti insieme da Venezia ne potrebbe smontar uno per ogni città senza alcuno impaccio alla condotta.

Partenza Viaggio Arrivo
1.ª Squadra
di passaggieri.
Ore 6 ant. (in ore 8) Ore 2 pom.
1.ª Squadra
di merci.
Ore 6 ant. (in ore 16) Ore 10 pom.
2.ª Squadra
di passaggieri.
Ore 2 pom. (in ore 8) Ore 10 pom.
2.ª Squadra
di merci.
Ore 2 pom. (in ore 16) Ore 6 ant.
3.ª Squadra
di passaggieri.
Ore 10 pom. (in ore 8) Ore 6 ant.
3.ª Squadra
di merci.
Ore 10 pom. (in ore 16) Ore 2 pom.

[p. 313 modifica]Supponendo invece che la corsa dei passaggieri fosse di 10 ore; e quelle delle merci di 20: si potrebbero ordinare ogni giorno tre corse di passaggieri e due di merci. Queste combinazioni sono facili sopra tessersi e possono variarsi secondo il bisogno. Qui si recano solo per mostrare il vantaggio di una linea unica e armonica su una linea polipiforme e sconnessa. Qualora in una città di passaggio si dovesse smovere fuor di tempo uno straordinario cumulo di merci: dandone l’avviso per l’una rotaja, si vedrebbe, poche ore dopo, giungere per l’altra rotaja una macchina o una comitiva di macchine di tal potenza e in tal numero da portarsi via, l’intera città.

27.

Ma per ritornare alla considerazione delle utilità, sulla linea ferrata invece di pochi villaggi si avrebbero sei città con circa quattrocento cinquanta mila abitanti, le quali nell’industria e nel commercio formerebbero come una sola continuata metropoli, senza lasciar per questo d’essere equabilmente ripartite sui territorj che le alimentano e senza perdere in un informe concentramento la originale e svariata loro vitalità. L’esperienza poi dimostra che il numero annuale delle corse fatte dagli abitanti delle città poste su una strada ferrata eguaglia la cifra della loro popolazione. Si avrebbero dunque a sperare dalle sole sei città, 450 mila corse d’andata e ritorno, che a 10 lire ciascuna darebbero milioni 4 ½.

Inoltre si avrebbero nei punti intermedj larghe sorgenti di faccende e di lucro. Presso l’Adda la linea passerebbe circa tre miglia al disotto di Cassano. Colà si potrebbe dal gomito che fa il Naviglio della Martesana prolungare un ramo fino al labbro della rotaja ferrata. A tal fine si potrebbe avviare entro il Naviglio un maggiore onciato d’acque dell’Adda: giunte alla rotaja si lascerebbero ricadere alla Muzza, la quale riceverebbe così il tanto meno che l’Adda le potrebbe dare per la solita bocca d’estrazione. Con ciò le granaglie, i lini e le altre derrate dalla Gera d’Adda, dal Cremasco e da tutta la linea ferrata potrebbero recarsi prontamente pel Lario alla Valtellina ed ai Grigioni. Discesa [p. 314 modifica] sull’altra riva dell’Adda la strada passerebbe tra il popoloso Treviglio, e il frequentatissimo Santuario di Caravaggio, raderebbe Romano e Calcio capiluoghi di territorio, e presso la fiorente e industriosa Chiari potrebbe facilmente connettersi colla Fusa, la quale per la Francia Corta apre il varco alle navi del Lago d’Iseo, ai lanificj di quella Riviera, alle cave di Sàrnico, al mercato di Lòvere, alle fornaci di Pisogne e alle miniere ed alle fabbriche di Val Camonica e Val di Scalve.

Tutte quelle valli tra i laghi di Como e di Garda sono piene di opificj e di scavi; Val Sasina, Val Torta, Val Brembana, Val Seriana, Val Camonica, Val Trompia, Vial Sabbia, Val Vestina. Il panno, la carta, il filo, le ferramenta, le legna, la lignite, le pietre, i prodotti della pastorizia e della caccia potrebbero discenderne in grandissima copia. A dare a questo traffico una spinta prodigiosa non sarebbe necessario il dispendio di una rotaia simile a quella del piano; nè la ripidità delle discese lo comporterebbe. Ma quella regione è copiosissima di ferro; anzi si può ben dire una massa di materie ferruginee sparse qua e là in forma di alte montagne su uno spazio di mille e più miglia quadre. Vi si potrebbe dunque imitare ciò che si fece in Inghilterra sulla strada che dalle carboniere di Darlington conduce al porto di Stockton. Quivi la distanza è di 25 di quelle miglia, e il declivio è grande; cosicchè i carri discendono in gran parte per proprio peso. I cavalli che servono a ricondurre i carri, o a vincere alcune salite intermedie, si trasportano a basso sui carri stessi; e ciò per far presto e non affaticarli. Nel caso nostro basterebbe stendere una rotaja semplice; stabilire a cagion d’esempio il giorno per far discendere i carri, e la notte per rimorchiarli o scarichi o quasi scarichi all’insù. Le rotaje dovrebbero cominciarsi in riva al lago, o vogliam dire nella parte più bassa delle valli, e le comuni stesse o le società degli industriosi le farebbero salire d’anno in anno nelle parti più interne. La maggior parte dei minerali e dei combustibili raddoppierebbero col risparmio della condotta il primitivo valor locale.

Raccolti in Brescia i prodotti della industria sì della città [p. 315 modifica] che della Val Trompia, la linea toccando il lago di Garda e Verona si troverebbe a portata di tutto il traffico acquatico tra la pianura Mantovana e Bresciana e le valli del Tirolo, che hanno un continuo andirivieni di grani, legnami e bestiami. E per quella parte verrebbe a congiungersi all’immensa area mercantile della lega Germanica, come per la parte opposta alle pingui regioni che costeggiano la riva destra del Po; ed è per questo che il braccio addizionale di Mantova sarebbe commendevole, cioè come capo saldo di una linea ferrata verticale alla prima. Inoltre pel Basso Adige raccoglierebbe le derrate delle valli Veronesi, del Polesine, del Ferrarese; per Vicenza si farebbe più vicina agli industriosi contorni di Bassano e di Schio, e alle selvose montagne dei Sette Comuni; nel Veronese e nel Vicentino i marmi, le terre, i combustibili fossili, i vini, le frutta, gli ortaggi che giacciono scarsi di valore si cangerebbero colle derrate d’altre provincie. La Marca Trevisana e il Friuli hanno facili varchi nelle lagune venete: e i principali centri di produzione e di consumo in tutta l’ampiezza del regno trovandosi posti a facile contatto, tutti i valori campestri e urbani ne avrebbero considerevole aumento.

28.

Abbiam veduto che colla sostituzione della linea unica al sistema dei bracci addizionali, tutte le distanze intermedie si diminuiscono senza che si aumenti gran fatto la distanza fra i due punti estremi. Ma quand’anche questa distanza si accrescesse notabilmente ciò ricadrebbe sempre sul minor numero dei passaggieri. Che se si parla dei viaggiatori esteri che venissero dalla Grecia, dall’India o dagli Antipodi, io dimando se la differenza di trenta minuti di tempo o di pochi centesimi di spesa potrà mai esser posta in conto in modo di far preferire un altro modo di viaggio. Si ponga poi mente ad una special condizione delle nostre città italiane le quali per la bellezza loro, e l’attrattiva delle memorie istoriche e delle meraviglie dell’arte sono visitate piuttosto dagli ammiratori del bello che dai settatori del lucro. I passeggieri innumerevoli che vengono a peregrinare la terra [p. 316 modifica] d’Italia saranno lietissimi di volar quasi per incanto da Milano a Venezia. Ma siccome il loro intento è di vedere, e mirare e ammirare, e non già di correre in fretta e sparagnare uno scudo, così non possono esser contenti d’oltrepassar Brescia o Sirmione, o l’Arena di Verona, o gli edifizj di Palladio. Chi viaggia per diletto, o per amor degli studj preferirà questa linea, senza che ciò possa sviare chi per guadagno o per necessità galoppa dall’India all’Inghilterra, o dalla Grecia in Baviera.

29.

Per accorciare la strada e diminuire le spese e le difficoltà delle innumerevoli compere di terreni e locali, gioverà spingere la corsa rasente le città e le ville, ma se si può senza attraversarle. Altrimenti o sarebbe mestieri camminar tortuosamente allungando i tronchi e sperdendo le forze motrici contro le curve; o veramente fare ampio sperpero di edificj e giardini e altri fondi preziosi per affezione: e inoltre costrurre ponti e volte innumerevoli per lasciar gli aditi usati all’abitante, e allontanare ogni pericolo di vecchi o di fanciulli o di bestie vaganti lungo il veloce passaggio dei veicoli. Fuori delle città si avrà solo l’incontro di poche strade e delle rare case dei sobborghi che le fiancheggiano. Si eviterà anche il ritardo dei dazj comunali per le merci che debbono passar oltre.

30.

A Milano vorrebbesi porre in conto anche la differenza considerevole di livello fra la parte settentrionale e meridionale della città la quale è di parecchie braccia; e senza misurazioni chiunque lo può riconoscere dal deflusso delle acque e massime dalle cascate che fa il naviglio interno per giungere da Porta Nuova alla Darsena Ticinese. Dovendosi già ascendere dal mare a più di 200 braccia di altezza, pare opportuno risparmiare quanto si può di salita; il che involge forza, combustibile e prezzo. Infatti nel progetto di legge per la strada ferrata da Parigi a Versailles si stabilì un aumento nella tariffa delle corse in confronto di quella da Parigi a San Germano, appunto perché il massimo declivio della linea di Versailles giunge a cinque [p. 317 modifica] millimetri per metro ossia 1/200; mentre il massimo declivio sulla strada di San Germano è solo di tre millimetri ossia 1/333 1/3. Il ministro di commercio nel proporre la legge disse: “che la tariffa doveva proporzionarsi alle spese di trattura e che queste spese variano in ragione dei declivj”. Anzi la rotaja da Versailles a Parigi ch’era giudicata pericolosa e quasi impossibile per la ripidezza del pendìo, divenne possibile cangiandosi direzione e recandosi a confluire con quella di S. Germano ad Asnières.

Questa cura dei livelli deve esser maggiore in quantochè il più delle merci, e tra queste le più gregge e pesanti si dirigeranno verso Milano e nel senso della salita. Infatti 1.° le importazioni del commercio estero saranno da quel lato maggiori delle esportazioni. 2.° Nelle importazioni si preferirà la strada ferrata alla faticosa ascesa del Po; mentre nelle esportazioni la via fluviale potrà trovarsi convenevole. 3.° Il commercio interno massime di commestibili, combustibili, e materie murali tenderà piuttosto dalle altre provincie verso Milano che viceversa.

Posto che convenga prender di mira la parte più bassa del nostro recinto, e che da quella parte si uniscono i tre Naviglj, e possono farsi agevolmente convergere le strade di Roma, di Genova e di Torino, massime poi se venissero ad assumer la forma di strade ferrate: ne consegue che quello sia il luogo più opportuno alla costruzione dell’emporio mercantile. Si formerebbe così per noi quasi un porto marittimo. Ciò preserverebbe il costoso lastrico interno da un ruinoso attrito, e la cittadinanza da un pericoloso affollamento di trasporti nelle tortuosa interne vie. Si scanserebbe anche il carico e scarico dei carri destinati a recare alla rotaja le merci giunte per acqua e viceversa. Non si devierebbe il traffico interno degli usati suoi depositi con disordine di aziende, scialacquo di valori, e costruzione di edificj inutili. Nella strada di ferro che dal Porto di Cette deve condurre a Mompellieri si ebbe questo riguardo di far capo nella parte più bassa e mercantile di quell’amena e studiosa città. Mi vergognerei però che queste parole potessero sembrar rivolte a promovere il barbaro desiderio che molti spiegano di [p. 318 modifica] demolire le venerande colonne di San Lorenzo e il più venerando arcone istorico del Ponte ticinese. Al concorso delle persone basta allargare il ponte stesso praticandovi altre arcate laterali, giacchè quell’altissima vôlta non impedisce il passo a qualunque merce che non sia il Colosso di Rodi ritto in sulle gambe. Tutti sanno che l’Arco di Azzone che ci sembrava una deformità al Terraggio di S. Pietro in Campo Lodigiano, è divenuto un interessante ornamento d’un parco delizioso. Chi sprezza le memorie dei morti, rispetti almeno le opinioni dei vivi.

31.

Il pensiero di penetrar nel cuore della città per l’ampio e spopolato Corso di Porta Tosa, è commendevole pel trasporto dei passaggieri, i quali non amano di essere scarrozzati in un remoto sobborgo. Quel Corso è intersecato da pochissime vie transverse; un arco di ponte basterebbe a varcare il Naviglio e la strada che lo costeggia, un altro arco allo sbocco del Durino basterebbe a tutto quel crocicchio di anguste vie. Forse in processo di tempo e a cose prospere si potrebbe dar vita ad entrambo i progetti, biforcando la linea ferrata in vicinanza della città, lasciando continuare i grossi carichi pel tronco più basso verso la Porta Romana e Lodovica all’Emporio; e dirizzando invece le condotte dei passaggieri per la Porta Tosa fin presso alla Piazza Fontana.

Se cominceremo ad accorgerci della sublime bellezza del Duomo visto da quella parte, è facile che cresca la voglia di dilatar tanto quelle demolizioni che la Piazza Fontana riesca attigua a Campo Santo. Un generoso allargamento della Stretta delle Tanaglie sino al Largo di Porta Tosa dando un senso e un pensiero a quei disgiunti e ineleganti spazj, ne farebbe una maestosa curva, opportunissima ad arrestar gradatamente la foga della corsa. E nel medesimo tempo a mezzo il giro si presenterebbe all’occhio attonito dello straniero la più magnifica marmorea mole del Medio Evo. Così non agli occhi nostri ma a quello dei nostri nepoti (perchè queste son cose forse remote), la strada ferrata da Milano a Venezia farebbe capo dal Duomo di Milano [p. 319 modifica] all’incomparabile palazzo di S. Marco, offrendo nel punto più bello e fantastico queste due belle e famose città; quella che trionfò di Barbarossa per terra e quella che ne trionfò per mare; concordi allora nella lagrimosa gloria dell’armi, come ora nel trionfo della pace, dell’industria e dell’intelligenza sullo spazio, sul tempo, sullo spirito di discordia e distruzione e sulla nativa inerzia degli uomini e delle cose. E dimandando perdono di questo capitombolo poetico, ho a soggiungere qualche altra considerazione in una materia sulla, quale v’è di che non finir mai.

32.

Concesso che la linea delle sei città sia preferibile a quella che costeggia la zona inferiore, sarebbe a vedersi quale delle due promette maggior facilità di lavori. Questo è quesito da riservarsi agli uomini dell’arte. Fo solo osservare che le alture da superarsi sulla linea delle città sarebbero quelle di Lonato, tra l’immenso campo di Montechiaro e il piano della Logana presso il lago di Garda; poi il piccolo clivo di Castelnuovo al di là di Peschiera; e quello di Caldiero al di là di Verona.

Ma si noti che tutte le strade ferrate hanno incavi e sotterranei, e che codeste collinette riescono inezie quando si raffrontino alle ripetute catene di monti attraverso a cui furono progettate altre strade; quelle a cagion d’esempio da Vienna in Galizia e da Vienna a Trieste. Si noti che chi eleggesse la zona più bassa avrebbe a percorrere un terreno men fermo, e sotto alla Gera d’Adda e alla Calciana avrebbe a costeggiare i Mosi del Cremasco, e attraversare le risaje della Bassa Bresciana e Veronese, e molte terre paludose intorno al Mincio e all’Adige. Gli ingegneri calcoleranno se sia da preferirsi una linea che corre per cento e più miglia su un fondo eccellente lungo le cave di egregj materiali colla interruzione di qualche breve rialto; oppure sia da preferirsi una linea su un fondo men fermo, acquoso e povero di materiali opportuni. Le spese nel primo caso sono facili a determinarsi: ma nel secondo soggiacciono a maggiore incertezza. I nostri vecchj ragionano ancora delle impreviste difficoltà che s’incontrarono nel fondare la strada di Mantova. Si [p. 320 modifica] dirà che gli uomini allora erano nuovi a far le strade. E noi siamo nuovi a far le rotaje di ferro.

33.

A chi veda tracciata sulla carta la linea delle città forse riuscirà un po’ forte l’angolo di Vicenza. Ma si consideri bene che quell’angolo mentre conduce a Vicenza, ciò che non è cosa necessaria, serve a scansare i Colli Berici, ciò che non si può non fare. La questione adunque si è se l’angolo debba farsi a mezzodì di quei colli o a settentrione dacchè deve pur farsi. L’angolo verso Vicenza è in miglior terreno, e richiede minore sforzo di opere. Quello verso mezzodì si caccia in una valle paludosa e scarsa d’abitatori e priva di strade comunali, e dopo aver eluso i Colli Berici deve pigliar briga anche coi Colli Euganei. Sembra adunque a preferirsi anche per ragioni meccaniche l’angolo sotto Vicenza.

Che se col tempo questa linea ferrata dovesse connettersi a quella del Friuli, allora questo tronco di Vicenza servirebbe due strade; di cui l’una da Vicenza verso Padova e Venezia; l’altra da Vicenza per le belle borgate di Cittadella e Castelfranco a Treviso. In questo caso si avrebbe anche il risparmio d’un intero tronco di strada. Infatti allora le due linee formerebbero un trapezio i cui quattro lati sarebbero:

Da Vicenza a Treviso...... miglia astr. 29

Da Treviso per Mestre a Fusina ...............».......15

Da Fusina a Padova ...............».......16

Da Padova a Vicenza ...............».......16

Totale 76


Se invece partendo da S. Bonifacio si andasse a Padova passando a mezzodì dei Colli Berici; e venuto il tempo di costruir la strada di Treviso si costruisse un’altra linea da S. Bonifacio a Vicenza, si avrebbe:

Da S. Bonifacio a Vicenza ... miglia astr. 14

Da S. Bonifacio per Zimella e Lovola a Padova ............».......28

che sommano 44


[p. 321 modifica] E si risparmierebbe il solo tronco da Vicenza e Padova che è di 16 miglia. Cosicchè si avrebbero sempre 18 miglia di più; non vi sarebbe passaggio tra Padova e Vicenza; e i Vicentini per andare a Venezia dovrebbero recarsi prima a Treviso facendo 12 miglia di più. Questo risparmio sarebbe cosa sulla quale le due imprese (essendovene due) dovrebbero patteggiare.

34.

Riguardo poi al primo e rozzo calcolo delle opere è a notarsi eziandio che noi abbiamo il vantaggio dell’abbondanza e durezza delle pietre per la costruzione dei sostegni e dei letti delle rotaje. In Inghilterra, e massime nelle parti più interne, pel caro prezzo dei buoni materiali, i dadi di sostegno si tengono a tali distanze che è forza poi dare alle spranghe della rotaja una grossezza enorme. Dapprima si facevano pesanti da 15 a 20 libbre per iarda; in seguito si trovò meglio di farle pesanti quattro o cinque volte tanto. Sembra adunque che colà si prodighi il ferro per risparmiare la pietra.

A imitare il loro buon senso, forse noi dovremo fare il contrario e prodigar la pietra per risparmiare il ferro. E a questo intento converrebbe instituire esperienze per veder se sia necessario stendere spranghe capaci di reggere a ogni enormità di peso, o non piuttosto rivestire di mediocri lastre una rotaja di granito, o di marmo.

Le prime strade fatte dagli Americani avevano sostegni di pietra, ma quelle che si stanno costruendo son tutte di travi ferrate e alcune anche a semplice carriera costano quanto le prime che si facevano di pietra a carriera raddoppiata.

Nella strada da Cette a Monpellier si ebbe la più che francese prudenza di comperare il terreno sufficente per costrurre le due carriere; ma frattanto se ne costruisce una sola; quando il concorso dei passeggieri lo richiederà si farà l’altra.

Questo e un esempio al quale si dovrebbe far molta riflessione dai nostri imprenditori. Gli Stati Uniti hanno qualche centinajo di miglia di strade ferrate d’una sola carriera. Certamente ci servirà più una carriera semplice che giunga da [p. 322 modifica] Milano a Venezia che una carriera doppia che ci pianti a mezza strada. Così forse si potrebbe differire un buon terzo della spesa da farsi poscia a buon tempo e colpo sicuro.

35.

Noi siamo ben doviziosi di miniere; ma il minerale non divien ferro senza il fuoco; perciò la questione del ferro divien questione di combustibile; e guardandola sotto questo lume molti cangeranno sentenza. I combustibili fossili fino ad ora non ci prestano plausibile sussidio; epperò tutto lo sforzo di questa impresa eseguita dai fonditori nostri ricadrebbe sui nostri boschi; o vogliam dire sui comodi o piuttosto sulle necessità della vita; e turberebbe il solito corso di quelle arti che si fondano sull’uso del fuoco come le filande, le raffinerie, le fabbriche di ferramenta, bronzi, vetri, terraglie, porcellane, calce e mattoni. Qui si tratta d’una dimanda straordinaria di molti milioni di ferro.

Partiamo da un limite di fatto; trovo in un giornale che le spranghe in Inghilterra sieno persino di 75 libbre per iarda. Quella libbra è eguale a kilogrammi 0,453. L’iarda corrisponde a metri 0,915; perlocchè ogni metro di spranghe peserà kilogrammi 37,131. In America, perchè si tratta soltanto di rivestirne le travi, di rado le spranghe oltrepassano 20 kilogrammi per metro e talora sono soltanto lastre da 10, da 6 e persino da 4 kilogrammi al metro. Partiamo col calcolo dal limite massimo di kilogrammi 37,131, e vediamo quanti metri sarebbe la nostra linea.

Supponiamo che il suo decorso ridotto a miglia reali sia di 150 miglia italiche, che corrispondono a miglia metriche 277 3/4 incirca; ossia metri 277,777. Questi metri di spranghe pesando kilogrammi 37,13 ciascuno, peseranno in totale kilogrammi 10,513,860.01 ossia più di 10 milioni di kilogrammi. Ora la linea delle spranghe essendo quadruplice per essere la strada a duplice carriera d’andata e ritorno, il peso totale delle rotaje sarà 41,255,440.04, ossia in numeri tondi 41 milioni.

Veniamo al prezzo. La costruzione delle strade ferrate è divenuta oggetto di moda, e vien promossa senza discernimento anche in quei paesi che dovrebbero pensar prima a molte altre [p. 323 modifica] cose meno splendide, cioè a cagion d’esempio alle strade comunali senza cui le strade di ferro fanno poco frutto; intanto il prezzo del ferro aumenta enormemente. Solamente nella scorsa estate una botte, ossia tonnellata di spranghe di ferro si dice costasse in Inghilterra 150 franchi; ora ne costa 300. In Francia per i vantaggi del sistema protettivo costa 20 per cento di più. Supponiamo che all’epoca debita abbia a valere da noi ciò che vale altrove; a franchi 36 al centinajo metrico ossia 36 centesimi al kilogrammo, tutta questa massa di spranghe per la nostra impresa costerebbe quasi quindici milioni di franchi (14,851,958.41).

Forse per la facilità di sottoporre alle rotaie letti di solido materiale, nel nostro paese le spranghe, come già si disse, non si dovranno far così forti, cosicché invece di 15 milioni in ragione di 37 kilogrammi al metro basteranno forse 10 milioni o anche meno. Noto però che in una cosa soggetta ed attrito sia meglio largheggiare per ottener maggior durata e fermezza. Inoltre resta pur sempre a farsi conto del ferro necessario ai ponti, ai parapetti, alle chiavi, alle macchine, agli strumenti. Ebbene la maggior parte dei milioni che ne costituiscono il prezzo, rappresenta l’enorme consumo di legname necessario alla confezione di queste ferramenta.

36.

Ora, se per fare d’una faccenda d’interesse un fioretto sentimentale, voleste provvedervi piuttosto da un fonditore che da un altro, e doveste spendere solamente qualche centesimo di più al kilogrammo, verreste per ogni centesimo a sacrificar sulla massa 412,143 franchi; cioè a prodigare inutilmente una corrispondente massa di legname, con pubblico e privato danno. Non già che si debba accarezzare il vulgar pregiudizio che la ricerca delle legna sia per cagionare la distruzione dei boschi; ché anzi l’incarimento progressivo del combustibile accresce la spinta a far piantagioni e la cura a conservarle; ma bensì la ricerca delle legna aggravando i prezzi, reca disagio alla vita e impedimento a molte arti. [p. 324 modifica]Supponendo il ferro estero e il ferro nostrale a egual prezzo, il doverne fornir tanta copia straordinariamente e in breve tempo, potrebbe già recar disordine all’andamento generale dei nostri consumi e delle nostre arti. Che se poi il ferro nostrale dovesse costare il doppio del ferro estero, come è assai probabile: sarebbe una vera follia prodigare i milioni per sacrificare a una meschina e falsa idea i nostri comodi, la salute e gli avviamenti della industria generale. Se vogliamo dar valore alla nostra produzione, bisogna facilitare i cambj. Posto che noi consumiamo i nostri legnami a far bollire la seta da ornarne tutta l’Europa: è un compenso naturale che l’Europa consumi del suo carbone a cuocere il ferro per i nostri straordinarj bisogni. Certamente l’uso che facciamo noi del combustibile come sussidio alla produzione serica è molte volte più proficuo di quello ch’essa fu del suo; e noi dobbiam pensare a far della roba nostra quell’uso che si possa migliore. Nel caso poi che dovesse fra noi surgere qualche altra simile impresa prima che questa fosse compiuta, nascerebbe anche l’incalcolabile incarimento di una concorrenza pressante. Comprate adunque il ferro di Carintia, d’Ungheria, di Svezia, di quel paese qualunque da cui potete averlo a un millesimo di meno: pensate a far la vostra strada, e non ad essere i mecenati dei fornaciaj. Age quod agis.

37.

Con ciò non si arreca pregiudizio ai fonditori nostrali. Essi non hanno fatto preparativi; non hanno preso impegni; non perdono alcun avviamento o alcuna fondata aspettativa. Noi abbiam dovere di far risparmio del nostro combustibile e aver riguardo ai nostri bisogni e alle necessità del povero e dell’artigiano. L’impresa è gia benefica per loro più che per gli altri; perché le loro manifatture come più pesanti di tutte in proporzion di lavoro, guadagnano più di tutte sull’agevolato trasporto. Del resto i soli accessorj delle opere darebbero loro occupazione vivissima; le rotaje declivi nell’interno delle valli potrebbero divenire loro privata impresa, e la riparazione della strada, delle macchine e dei rotanti aprirebbe una nuova e perpetua fonte di lavori. [p. 325 modifica]Vi sarebbe fra noi un fonditore capace di eseguire in men di quattro mesi (dal 6 di maggio 1835 alla fine di settembre) la improvvisa commissione di quasi due milioni di kilogrammi (1,828,800), e ciò senza interrompere il corso della solita fabbricazione e senza cercare ajuto ad alcun’altra officina? Il Cancelliere delle finanze britanniche nel suo ragguaglio annuale (6 maggio prossimo passato) giustamente si vanta di questo fatto che rende mirabile al mondo la potenza di quei fabbricatori.

38.

Qui sarebbe il luogo di dir qualche cosa dell’altra linea di rotaie che dovrebbe condur da Venezia a Trieste. Pel momento le due imprese si farebbero certo danno disputandosi a vicenda i lavoratori, le materie e quel che è peggio gli azionisti. È incredibile la velocità con cui gli uomini, docili all’immaginazione più che al raziocinio, passano dall’indolenza all’eccesso dell’attività per poi ripiombare nella inerzia. Inesperti di queste operazioni, scevri di credito e di mezzi, incertissimi dell’esito, nondimeno intraprendiamo la più gigantesca linea che siasi tentata in Europa, giacché riesce mezza volta di più che quella tra Birmingham e Londra. Eppure non ci basta, bisogna nello stesso fiato intraprenderne un’altra che passi attraverso ai più sfrenati torrenti d’Italia, un solo dei quali vuole un ponte più lungo di due mila passi, se pure sarà contento di sopportarlo. Se ci cale di tentar cose eseguibili, poniamo per principio di far le cose ad una ad una.

39.

Ora in caso di alternativa qual delle due linee converrebbe a farsi per la prima?

Nell’interesse municipale dei Triestini e Veneziani giova che il tragitto marittimo da Trieste a Venezia divenga parte necessaria della strada mercantile che dall’Italia va all’Austria, all’Ungheria ed alla Russia. Aperta una rapida linea terrestre esse rimarrebbero bensì vicine al passaggio, ma non vi sarebbero mai comprese. In ciò gli interessi di Trieste e di Venezia son concordi, e i mercanti devono badare all’interesse e non alle gelosie ed emulazioni ed agli altri pensieri da dilettante. [p. 326 modifica]Nell’interesse degli imprenditori per ciò che riguarda il commercio estero, la strada da Trieste a Venezia se passasse per Udine, o anche solo per Palma, formerebbe una costosissima curva, e precisamente un arco semicircolare a cui la linea del tragitto marittimo servirebbe di corda. Pel trasporto dei viaggiatori ella avrebbe a lottar col vapore; pel trasporto delle grosse merci ella avrebbe a lottare col cabottaggio, al quale non avrebbe ad opporre che la spesa di scarico e ricarico dai carri alle navi. Quindi sarebbe un mero supplemento alla navigazione e un rimedio per i casi urgenti e i giorni burascosi.

Per ciò che riguarda la circolazione interna chi non sa che quella è la parte del regno meno copiosa di prodotti agrarj, di manifatture e di case mercantili? La popolazione poi quantunque del doppio più scarsa che in altre nostre provincie, è pur costretta a recarsi in cerca di lavoro nelle regioni vicine, cosicché le braccia già poche al bisogno divengono più poche ancora. Quel paese sembra dover raccogliere assai maggior beneficio dalla moltiplicazione delle strade comunali, le quali prepareranno i ruscelli che devono confluire a suo tempo nel commercio centrale di una strada di ferro.

Se poi la strada per amor di brevità dovesse lasciar a parte la presente linea stradale, lasciar in secco Udine e dirigersi verso Aquileia e Concordia, non solo perderebbe tutte le communicazioni fra i luoghi più popolati della Trevisana e del Friuli, ma si andrebbe a conficcare in un labirinto d’acque e di pantani, in mezzo a lagune senza popolo e non so qual tesoro basterebbe a spingerla a salvamento. Questo progetto di strada ferrata non è adunque così promettente che convenga a trasceglierlo per una prima prova.

40.

Quanto alla linea da Vienna a Trieste ella è inviluppata in tante diramazioni di monti che forse nessuna regione d’Europa presenta un’area più ribelle a questo genere di lavori. Sarà maggior lode giungerne a compimento. Ma certo un paese che voglia sostenere la sua potenza industriale e pecuniaria a fronte [p. 327 modifica] delle nazioni vicine, non può per alcuna difficoltà di lavoro lasciarsi atterrire da simili imprese, perchè fra pochi anni saranno opere di prima e suprema necessità.

A Genova visti i progetti di strade di ferro andarsi propagando intorno a Marsiglia, nasce già un giusto timore che la corrente commerciale tra il Mediterraneo e l’Europa interiore e settentrionale non abbia a deviarsi da quella retta linea che da Genova per l’Appenino e le Alpi guida al Reno. Quindi è ben naturale che un popolo vigilante e denaroso pensi ad agevolare il varco da Genova al lago Maggiore con una linea ferrata e già se ne ragiona da molti. Se fossero certi di trovare a Milano un’altra strada ferrata che li conducesse per Venezia verso Trieste e Odessa, essi preferirebbero sicuramente di congiungere le due linee passando per Milano; poichè farebbero un’opera sola e due servigi. Allora Milano diverrebbe il punto d’intersezione tra la linea di Levante e quella di Mezzodì; e sarebbe il primo mercato dell’Europa meridionale; e allora la materia dei transiti potrebbe divenire una larga fonte di lucro. Ma se la linea di Milano a Venezia s’avesse a differire, egli è certo che la linea genovese dovrebbe studiarsi brevissima e diretta dagli Appenini al Verbano, evitando l’inutile perditempo di un transito per la nostra frontiera. Perlocchè la nostra esitanza potrebbe divenir doppiamente dannosa. E la valle del Rodano raccoglierebbe i frutti stoltamente da noi rifiutati. E si noti che la corrente mercantile è sempre maggiore da mezzodì a settentrione che da levante a ponente; perchè a diverse latitudini e diversi climi le produzioni essendo più varie che in una medesima tratta di mondo sottoposta a una medesima latitudine: gli oggetti di cambio e quindi le materie di trasporto sono in copia immensamente maggiore.

41.

Alcuni vorrebbero sentirsi a sminuzzare tutti i vantaggi che la strada ferrata può recare al nostro paese. Ci vorrebbe molta pazienza a darla ad intendere a chi ha potuto durare fino a questo presente giorno senza capirne niente. Ma a compiere [p. 328 modifica] un lavoro statistico di siffatta natura si vorrebbero lunghe fatiche quante bastassero a raccogliere molta copia di fatti recenti e accertati. E qui manca omai lo spazio; e l’aggiunger fatti parrebbe forse verbosità. Frattanto basti il dire che una strada ferrata in fin del conto è una strada. Se nessuno ardirebbe negare che le altre strade rendano servigio, non so perchè dubiterebbe che questa ne possa rendere, secondo la sua attitudine a prestar l’officio di strada. Che se si volesse dire che non è come un’altra strada, si potrebbe rispondere che è appunto più strada di qualunque altra, perchè trasporta roba e gente con più rapidità, più certezza, più puntualità, più frequenza e con meno prezzo, meno molestia, meno lungaggini, meno guasto e meno pericolo di rapine, di scambj, di travasi e d’altre infedeltà d’ogni genere; cosicchè si mettono in movimento molte persone e innumerevoli cose che non si sarebbero mosse mai e che sarebbero rimaste senza attività e senza valore sepolte in un remoto angolo del paese. Essa promove tutta l’azienda commerciale attenuando le due voragini dell’umana forza, lo spazio e il tempo; cosicchè l’attività d’un uomo e de’ suoi capitali può spandersi a incredibili distanze, e provocar la produzione da terre e braccia infruttuose e assistere in disparati luoghi moltiplici interessi; mentre il povero non è più legato per la gola a un solo mercato, a un solo sovventore, a un solo venditore, a un solo compratore; e le derrate più spregevoli possono recarsi in tempo utile in quel luogo dove possono prestare miglior servigio e quindi acquistare maggior pregio. Dalle quali cose tutte si accresce quel dividendo della ricchezza nazionale cui ciascuno partecipa, e quindi s’accresce la quota di ciascuno.

Quanto all’utile che può recare specialmente a tale o tal altra città, a tale o tal altro porto, bisogna ricordare il detto di Bentham: che il commercio e l’industria si stendono quanto il capitale. Il capitale domina il commercio. Il commercio può crear le strade; ma le strade non bastano a creare il commercio.

42.

Gli imprenditori si ricordino che un buon consiglio il quale [p. 329 modifica] costerà loro sicuramente poco, e probabilmente nulla, può salvare ingenti somme o renderle meglio fruttifere. Quindi facciano ricerca di tutti quegli uomini che in paese si conoscono depositarj di studj o d’esperienze; non aprano concorsi all’ambizione, ma facciano private istanze; perchè vi sono molti originali che non è facile trar dal silenzio e dalla solitudine, ma che quelli del mestiere sanno benissimo trovare, consultare, volgere a profitto, e poi rimeritarli denunziandoli alla moltitudine come uomini da tavolino, uomini da gabinetto, teste calde, pieni di teorica e vuoti di pratica, e altri simili arzigogoli di una naturale invidia e gelosia.

Per volgere le ricerche a buon fine giovandosi ad un tempo dell’esperienza degli esteri e delle nostre conoscenze locali, sarebbe utile raccogliere in succinto i primarj fatti relativi a tutte le imprese di questo genere o già compiute, o almeno preparate, in Inghilterra, in America, in Francia, in Germania. Se ne trova una incredibil copia disseminata in trattati, repertorj, giornali, opuscoli e discussioni parlamentarie di varj paesi. Nessuna mente può scorrere con sicurezza su tanti dati, tante cifre e tante difformi misure, se non le vede schierate in buon ordine, breve spazio e forma evidente.

Quanto poi alle conoscenze locali che dai nostri studiosi sono tanto indegnamente neglette, un altr’ordine di ricerche sarebbe a instituirsi; i centri di produzione, di consumo, le esportazioni, le importazioni; le spese e le maniere di trasporto di distretto in distretto, e soprattutto il prezzo medio delle principali derrate locali. Disposti in tabella i singoli prezzi locali ridotti a misure uniformi, apparirebbe quali prodotti potranno acquistar valore cangiando di luogo, e qual margine di lucro vi sia; e se ne potrebbe anche valutar la massa. Poi calcolate le spese di trasporto fino alla strada ferrata, se rimanesse ancora un margine si potrebbe dividerlo per la tassa di trasporto su un miglio di strada ferrata. Il quoziente indicherebbe il numero delle miglia che quella merce potrebbe percorrere sulla strada; finchè non fosse esaurito il margine e ristabilito [p. 330 modifica] l’equilibrio. Questo servirebbe a congetturare su quali derrate vi potrà essere crescente movimento. E sarà ad aggiugnersi al Prospetto del movimento medio attuale di merci e persone sulla direzione della linea ferrata.

43.

Quanto al tempo necessario a compiere sì vasta impresa, si pensi all’interesse perduto dei capitali impiegati nelle prime annate, i quali non possono dar pieno frutto che ad opera compiuta. E qui appare il maggior vantaggio della linea della città: 1.° perchè anche un breve tronco potrà servire se non altro fra due città e produr qualche frutto; 2.° perchè in caso d’impresa interrotta e manca, le città attigue avrebbero una spinta a rianimare il progetto colle forze proprie, mentre una strada su una linea campestre abbandonata una volta, non troverebbe più misericordia, 3.° perchè le città o per interesse, o per imitazione prenderebbero fervore all’impresa, e concorrerebbero alla compera delle azioni, la quale non è la parte più facile dell’impresa in un paese come il nostro avvezzo a speculazioni minute, gelose, solitarie e sospettoso d’ogni impiego che non porti seco cadastrino, attestato d’ipoteche, ampio margine e cognizione perfetta delle persone.

44.

L’espropriazione dei possessori dei fondi necessarj alla linea è questione di gran conseguenza in Inghilterra per lo stato antiquato di quella legislazione civile che ha preferito l’arbitrio selvatico del possidente alle esigenze sociali. Ma da noi ove da tempo immemorabile vige il diritto di passar con un canale attraverso i fondi di chicchessia purchè si presti al proprietario il previo legale compenso, il passaggio coattivo di una strada diventa una mera applicazione di un principio eminente, consacrato dal senno dei nostri avi e dal precetto delle più recenti legislazioni. È a questo fecondissimo principio che noi dobbiamo quell’ammirabile sistema d’irrigazione che rende la nostra terra la più ubertosa del mondo. E questo principio maturamente e saggiamente assecondato ci può guidar oltre a un più eccelso grado di comune prosperità.

[p. 331 modifica]Intanto può fermarci esperienza la legge speciale d’espropriazione promulgata dal R. Governo Sassone il 3 luglio 1835, e la legge generale emanata dal G. D. Governo Badese il 18 agosto dello stesso anno.

45.

L’esempio delle nazioni più culte, e perciò più denarose, e perciò più potenti e formidabili, vuol essere considerato con giudizio e docilità. Nella sola Inghilterra si stanno costruendo 323 miglia di strade ferrate e si sta disponendo la costruzione di altre 630 miglia. Fra le imprese già avviate e quelle che si van preparando si parla nientemeno che della spesa di 440 milioni di franchi, a non parlare d’innumerevoli altri progetti che la pubblica approvazione non ha per anco accreditati. Sir Robert Peel, uomo non troppo vago di novità, disse agli elettori di Tamworth: riguardar egli le strade ferrate come un poderoso strumento per conservare l’alta preponderanza della sua nazione. Negli Stati Uniti si sta lavorando a 500 miglia di travi rivestite di ferro, che richiedono la somma di 176 milioni. La Francia si va ingolfando sempre più in questo genere d’imprese; dopo essersi provata nelle strade di breve corso intorno a S. Etienne, S. Germano, Versailles, Mompellieri ecc. va ora progettando immense linee da Lione alla Loira, e da Parigi a Brusselles, all’Havre, a Bordò, a Marsiglia. La Fiandra cerca di acquistar il transito dalla Prussia all’Inghilterra. In Germania fervono progetti di strade da città a città: Elberfelda e Colonia; Basilea e Francoforte; Augusta e Monaco; Dresda e Lipsia; Breslavia, Berlino, Stettino, Annover, Amburgo e Lubecca, e altre ancora. Che avverrà degli indugiatori, voglio dire di quelli che con dicerie cercano disanimare gli uomini intraprendenti e quelli che li assecondano? O riesciranno a mettere il loro paese fuori del commercio e sotto una specie d’interdizione mercantile, esponendo a gravi ed imminenti angustie la produzione nazionale che non potrà redimersi dalle eccedenti spese di trasporto; o dovranno volendo e non volendo obedir più tardi alla forza del tempo che ci sta sopra inesorabile e cedere all’esempio altrui. Ma l’aver tardato costerà caro sì per l’incarita materia, sì pei preoccupati capitali; e pertanto si espierà in molti milioni di lucro cessante e di maggior dispendio emergente. Questo è il bene che i retrogradi possono aspirare a rendere alle famiglie ed allo Stato.

[p. 332 modifica]Dunque la strada si farà o non si farà? Rispondo che se non si vorrà farla tosto, si dovrà farla poi; ella è nel corso naturale degli avvenimenti. Le difficoltà non sono nè geografiche nè architettoniche, nè economiche, ma sono di quella natura che sempre si oppone a tutte le utili e luminose innovazioni. Quindi s’è impossibile che queste difficoltà non cedano alla costanza degli uomini buoni e industriosi: sarebbe però caso unico e mirabile ch’elle cedessero al primo tentativo.

46.

Qualche parola infine anche per me. Ho steso con fretta forse eccessiva, e quindi con qualche disordine di materie e incuria di modi, ciò che mi si offerse primamente al pensiero su questo argomento. Prego quelli che hanno qualche cosa a dire a non aspettare che il tempo passi per riassumere poi in forma oracolare le cose già peste e crivellate dall’industria altrui, e venderci non utili consigli ma tarde sentenze da barbassoro. I giornali stanno aperti a tutti, e i loro redattori sono pronti a insaccare ogni scritto che tocchi un argomento in voga. Ognuno che lo può dica la sua quota di propositi e spropositi come ho fatt’io; a forza di cercar la verità forse avverrà ch’ella ci capiti alle mani. In quanto a me ho detto ciò che mi pareva vero e soltanto perchè mi pareva vero, epperò mi protesto alieno dall’ostinarmi in qualunque mia congettura che sotto l’esame altrui risultasse non vera.

L’aver avuto la buona ventura negli scorsi anni di congetturare qualche parte di vero su altre questioni economiche, come la tariffa daziaria americana, la lega daziaria germanica, e il crescente consumo delle sete, mi fece animo a produr questi pensieri che quando anche riuscissero infruttuosi all’opera, gioveranno a stabilir le questioni o almeno a provocarle; e ad ogni modo saranno sempre un omaggio alla causa del ben comune; l’amor del quale sarebbe sempre la mia guida e il mio conforto anche quando dovessi raccoglierne la più spiacevole retribuzione2.

Dott. Carlo Cattaneo.


Note

  1. Notes statistiques sur la France, 1834.
  2. Chi aveste fatto nota di qualche pensiero su questo importante argomento farà cosa molto grata se ne darà comunicazione, nel modo che crederà il più opportuno.

    Al Compilatore
    degli Annali Univ. di Statistica

    FRANCESCO LAMPATO.