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Tortona e passando per Pollenza, ingolfavasi nelle Alpi marittime e metteva capo al mare; osservate che gli stessi nomi di casati, di borghi e di poderi, ch’erano frequenti in Albenga, si ripetevano eziandio nella città di Alba, e poi dubitate ancora, se il potete, che fra quelle due romane città vi fossero quotidiane corrispondenze di traffico. I Romani lo intendevano assai bene il sistema stradale; seguivano le vie additate dalla più facile natura dei siti; ma non avevano ancora la polvere piria, nè i metodi perfezionati, nè i savi regolamenti di che abbondiamo noi. Non erano ancora nè scritti nè stampati i maravigliosi concetti coi quali Leon Battista Alberti insegna il metodo cosi detto delle conche; il canale di Caledonia, che con benissimo traslato chiamano scala di Nettuno, non offeriva ancora lo spettacolo di navi volanti sul giogo di altissimi colli. E pure io reputo, anzi ritengo per fermo che le frequenti comunicazioni tra Pollenza, Alba ed Albenga si esercitassero per le valli del Tanaro e della Neva, le quali si aprono quasi spontanee ad un tal fine; che vi si esercitassero non solamente ne’ bei tempi dell’imperio di Roma, ma durante que’ secoli eziandio in cui le invasioni settentrionali e gli ordini o disordini feudali cominciavano a sottentrarvi, e a distruggere l’ombra persino del vivere agiato e civile. Che bel regalo avrebbe fatto alla cara figliuola l’imperatore Ottone assegnandole in dote e dando in governo al gran padre Aleramo, marito di lei, quelle province ricche di nient’altro che de’ propri prodotti, se contribuito non avesse a renderle popolose ed importanti la frequenza dei commerci? Ritengo di più che una segreta rimembranza dell’antica prosperità commerciale di quei siti e la speme di vederla rinascere sieno state come un fluido elettrico e voluttuoso che scorse tra le vene e le fibre di coloro che intervennero al primo congresso dell’associazione agraria colà celebrato: Non sine Deorum immortalium providentissimo consilio primus fratrum arvalium conventus Pollentiæ habitus est. Così avrebbe detto Tito Livio; ma noi scrittori moderni e meschinelli, per la paura d’essere beffati, noi difettiamo sempre di magniloquenza.

Ora in tanta dovizia d’ingegneri e di macchine le quali assoggettano alle voglie degli uomini la natura, anche dove è più aspra, ora, al dir di dotti idraulici, le acque del fiume Tanaro, costeggiando il monte Galero, menar si possono sulla cima del colle di San Bernardo già più d’una volta accennato. Colà con un sistema di larghissime conche alimentate dalla ricca vena delle medesime acque possono salire le navi onuste di merci provenienti da Albenga da una parte e da Garessio dall’altra; di là con maggiore facilità discendere dall’uno e dall’altro lato. Da Garessio, mercè di un tronco di strada ferrata, senza veruno ostacolo e con insensibilissimo pendìo, i vaggoni possono giungere a Ceva. Da Ceva poi nel punto dove il Tanaro s’impingua della Bovina e della Cevetta esso fiume si può rendere navigabile, sino a Pollenza o ad Alba. Ed eccovi nel cuor del Piemonte, da dove continuando a navigare per la diritta via giungerete in brev’ora ad Asti ed all’impor-