Le lettere di S. Caterina da Siena e di alcuni suoi discepoli

Caterina da Siena

1922 Indice:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu Scritture di donne Le lettere di S. Caterina da Siena e di alcuni suoi discepoli Intestazione 1 giugno 2017 25% Da definire


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LE LETTERE
DI
S. CATERINA DA SIENA

RIDOTTE A MIGLIOR LEZIONE, E IN ORDINE NUOVO DISPOSTE

CON NOTE
DI

NICCOLÒ TOMMASEO
A CURA

DI

PIERO MISCIATTELLI




Volume II.




Terza Edizione










SIENA

LIBRERIA EDITRICE

GIUNTINI BENTIVOGLIO & C.°

1922

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LETTERE

DI

SANTA CATERINA DA SIENA

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LETTERE

DI

SANTA CATERINA DA SIENA



LXXII. — A Romano Linaiuolo alla Compagnia del Bigallo 1 in Firenze.

Segna il proposito fatto di darsi a Dio. Le ispirazioni sono mezzo che c’invitano a nozze d’amore, e ci porgono la veste nuziale: ma a prenderla richiedesi amore. Non ti volgere a guardare l’aratro. Obbedienza è vomere che rompe la durezza della volontà, ne sterpa le male erbe, e prepara il terreno.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo; con desiderio di [p. 15 modifica] vederti che tu non volla il capo addietro a mirare l’aratro, ma perseverante nella virtù; perocché tu sai che sola la perseveranzia è quella cosa che è coronata. Tu se’ chiamato e invitato2 da Cristo alle nozze di vita eterna: ma non vi dee andare chi non è vestito. Vuolsi adunque esser vestito del vestimento nuziale, acciò che non sia cacciato dalle nozze, come servo iniquo. Farmi che la prima dolce Verità t’abbia mandati i messi ad annunziare le nozze, e a recarti il vestimento: e questi messi sono le sante e buone spirazioni3 e dolci desiderii che ti sono dati dalla clemenzia dello Spirito Santo. Queste sono quelle sante cogitazioni che ti fanno fuggire il vizio e spregiare il mondo con tutte le delizie sue, e fannoti giungere alle nozze delle vere e reali4 virtù. Vestesi l’anima d’amore, col quale amore entra alla vita durabile. Sicché vedi che le spirazioni sante di Dio ti recano il vestimento della virtù, fannotelo amare (e però ti vesti);5 ed invitati alle nozze di vita eterna. Perocché dopo il vestimento della virtù e della ardentissima carità séguita la Grazia, e dopo la Grazia la visione di Dio, dove sta la nostra beatitudine.

E però io ti prego per l’amore di Cristo crocifisso che tu risponda virilmente senza negligenzia. Pensa che non è niente il cominciare e il metter [p. 16 modifica]mano all’aratro, come detto è. I santi pensieri sono quelli che cominciano ad arare, e la perseveranzia delle virtù finisce. Colui che ara, rivolta la terra: così lo Spirito Santo rivolta la terra della perversa volontà sensitiva. E spesse volte l’uomo innamorato di sì dolce invito e reale vestimento, per fender meglio la terra sua, cerca se trovasi un vomere bene tagliente per poterla meglio rivoltare: e vede e trova 6 che neuno ne trova sì perfetto a rompere e tagliare e divellere 7 la nostra volontà qui, 8 quanto il ferro e il giogo della santa obbedienzia. E poiché l’ha trovato, impara dall’obbediente Verbo Figliuolo di Dio; e per lo suo amore vuol essere obbediente infìno alla morte. E non ci fa punto resistenza. E egli fa come savio, che vuole navigare colle braccia d’altrui, cioè dell’Ordine, e non sopra le sue.

Ricordomi, che tu con santo desiderio e proponimento ti partisti da me, di voler rispondere a Dio che ti chiamava, e di volere essere alla santa obbedienzia. Non so come tu tel fai. Pregoti che quello che non è fatto, che tu 'l facci bene e diligentemente con buona sollecitudine; e sappiatene spacciare e tagliare dal mondo. E non aspettare tempo, che tu non sei sicuro d’averlo. Grande stoltizia e mattezza è dell’uomo che egli perda quello che ha per quello che non ha. Bagnati nel sangue di Cristo crocifisso, nasconditi nel costato suo, nel quale vederai il segreto del cuore. Mostra la prima [p. 17 modifica]dolce verità che l’operazione sua fatta in noi è fatta con amore di cuore; e tu con amore gli rispondi. Egli è il dolce Dio nostro che non vuole altro che amore. E colui che ama, non offenderà mai la cosa amata. Orsù, figliuolo mio, non dormire più nel sonno della negligenzia. Vattene tosto al tuo padre messer l’abbate con volontà morta e non viva: 9 che se tu andassi con volontà viva, direi che tu non vi mettessi piede; chè non si farebbe10 né per te né per lui. Spero per la bontà di Dio, che tu seguiterai le vestigio di Cristo crocifisso. E non ti porre a sciogliere e’ legami del mondo, ma tira fuori il coltello dell’odio e dell’amore, e taglia spacciatamente. Altro non dico. Permani nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.


LXXIII. — A Suora Costanza Monaca del Monasterio di San Abundio appresso Siena 11.

L’amore ci dia la speranza. L’umile conoscimento di se non sia diffidenza di Dio, della cui bontà la coscienza ci è documento. Allegorie nuove del bagno e del letto

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figliuola in Cristo dolce Gesù, lo Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a te, e confortoti nel prezioso sangue suo; [p. 18 modifica]con desiderio di vederti bagnata e annegata nel prezioso sangue del Figliuolo di Dio. Considerando me, che nella memoria del sangue si trova il fuoco dell’ardentissima carità, nella carità non cade tristizia nè confusione: e però io voglio che l’affetto tuo sia posto nel sangue. Ine t’inebria e ardi e consuma ogni amore proprio che fusse in te: sicché col fuoco d’esso amore spenga il fuoco del timore e amor proprio di te.

Perchè si trova il fuoco nel sangue? perchè il sangue fu sparto con ardentissimo fuoco d’amore. O glorioso e prezioso sangue, tu se’ fatto a noi bagno, e unguento posto sopra le ferite nostre. Veramente, figliuola mia, egli è bagno; che nel bagno tu trovi il caldo e l’acqua, e il luogo dove egli sta 12. Così ti dico che in questo glorioso bagno tu ci trovi il caldo della divina carità, che per amore l’ha dato; trovi il luogo, cioè Dio eterno, dove è il Verbo; ed era 13 nel principio; trovi l’acqua nel sangue, cioè che del sangue esce l’acqua della Grazia: ed evvi il muro che vela l’occhio14. O [p. 19 modifica] mabile dolcissima carità, che tu hai preso il muro della nostra umanità, la quale ha ricoperto la somma ed eterna ed alta Deità, Dio-e-uomo! Ed è tanto perfetta questa unione che né per morte né per veruna cosa si può separare. E però si trova tanto diletto e refrigerio e consolazione nel sangue. Che nel sangue si trova il fuoco della divina carità e la virtù della somma, alta ed eterna deità 15. Sai che per virtù della Divina Essenzia vale il sangue dell’Agnello. Sappi 16 che se fusse stato puro uomo senza Dio, non voleva il sangue; ma per l’unione che fece Dio nell’uomo, accettò il sacrifizio del sangue suo.

Bene è adunque glorioso questo sangue; è uno unguento odorifero che spegne la puzza della nostra iniquità. Egli é uno lume che tolle la tenebra, e non tanto la tenebra grossa, di fuora 17 del peccato mortale, ma la tenebra della disordinata confusione, che viene spesse volte nell’anima sotto colore e specie d’una stolta umilità. La confusione, intende 18, quando le cogitazioni vengono nel cuore, dicendo: «Cosa che tu facci, non è piacevole né accetta a Dio: tu se’ in stato di dannazione». A mano a mano, poiché egli ha data la confusione, l’infonde 19, e mostragli la via colorata col colore dell’umilità, dicendo: «Vedi che per li tuoi peccati non se’ degna di molte grazie e doni;» e così si ritrae spesse volte dalla comunione e dagli altri doni ed esercizi spirituali. Questo si é l’inganno e [p. 20 modifica]la tenebra che il dimonio fa. Dico che se tu, o a cui toccasse, sarai annegata nel sangue dello Agnello immacolato, che queste illusioni non albergheranno in te. Che, poniamochè elle, venissero, non vi permarranno dentro; anco, saranno cacciate dalla viva fede e speranza, la quale ha posta in questo sangue. Fassene beffe, e dice: «per Cristo crocifisso ogni cosa potrò, che è in me, che mi conforta. E se pure io dovessi aver l’inferno, io non voglio però perdere l’esercizio mio». Grande stoltizia sarebbe a farsi degno della confusione dello inferno, prima che venisse il tempo.

Or ti leva con un fuoco d’amore, carissima figliuola: e non ti confondere; ma rispondi a te medesima, e di’: «Or che comparazione è dalla mia iniquità alla abondanzia del sangue sparto con tanto fuoco d’amore?» Io voglio bene che tu vegga, te non essere, e la tua negligenzia e ignoranzia tua: ma non voglio che tu la vegga per tenebre di confusione, ma con lume dell’infinita bontà di Dio, la quale tu trovi in te. Sappi che il dimonio non vorrebbe altro, se non che tu ti recassi solo a cognoscimento delle miserie tue, senza altro condimento. Ma egli vuole essere condito col condimento della speranza nella misericordia di Dio.

Sai come ti conviene fare? come quando tu entri in cella la notte per andare a dormire: la prima andata sì 20 trovi la cella, e dentro vedi che v’è il letto: là prima, vedi che t’è necessaria; e questo non fai solo per la cella, ma volli l’occhio e l’affetto al letto, ove tu trovi il riposo. Così de’ tu fare: giugnere all’abitazione della cella del [p. 21 modifica]gnoscimento di te; nella quale io voglio che tu apra l'occhio del cognoscimento con affettuoso amore: trapassi nella cella, e vattene a letto, nel quale letto è la dolce bontà di Dio che trovi in te, cella.21 Bene vedi tu che l'essere tuo t'è dato per grazia, e non per debito. Vedi, figliuola, che questo letto è coperto d'uno copertoio vermiglio tutto nel sangue dello svenato e consumato Agnello. Or qui ti riposa, e non ti partire mai. Vedi che non hai cella senza letto, nè letto senza cella; ingrassi l'anima tua in questa bontà di Dio, perocchè ella può ingrassare. Che in questo letto sta il cibo, la mensa, il servitore. Il Padre t'è mensa, il Figliuolo t'è cibo, lo Spirito Santo ti serve, e esso Spirito Santo fa letto di sè. 22 Sappi che se tu volessi pure stare a vedere te medesima con grande confusione, perchè 23 tu vedessi la mensa, il letto apparecchiato, e in esso cognoscimento nol participeresti, nè riceveresti il frutto della pace e quiete sua; ma rimarresti senza, e sterile senza neuno frutto. Adunque io ti prego per l'amore di Cristo crocifisso, che tu permanga in questo dolce e glorioso letto di riposo. Son certa che se tu t'annegherai nel sangue, che tu il farai.

E però dissi ch'io desideravo di vederti [p. 22 modifica]gnata e annegata vel sangue del Figliuolo di Dio. Non dico più. Permane nella santa e dolce dilezione di Dio. Ponti in su la croce con Cristo crocifisso; nasconditi nelle piaghe di Cristo crocifisso. Seguitalo per la via della croce: conformati con Cristo crocifisso; dilettati degli obbrobrii, pene, strazii, tormenti, scherni e villanie per l’amore di Cristo crocifisso; sostenendo infino all’ultimo della vita tua, gustando sempre il sangue che versa giù per la croce. Gesù dolce. Gesù amore.


LXXIV. — A Frate Niccolò da Monte Alcino24 dell’Ordine de’ Frati Predicatori.

La croce è scala. Da’ piedi il primo affetto del bene, giacché l’affetto è i piedi dell’anima: nel costato il segreto dell’amore; alla bocca il bacio della pace. Ambasciate di sagrifizio.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

A voi, dilettissimo e carissimo figliuolo mio in Cristo Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi posto in su la mensa della santissima croce, dove si trova l’Agnello immacolato che s’è fatto a noi cibo, mensa e servitore. Considerando me che d’altro cibo non si può dilettare né saziare l’anima, dico che ci conviene andare per la 25 via: egli è essa via. Qual fu la via sua? fu quello che egli mangiò in essa via; pene, obbrobrii, e strazii, villanie, e infino 26 l’obbrobriosa morte [p. 23 modifica]della croce. Convienci salire, poiché siamo giunti all’obietto nostro. Veramente così fa l’anima, poiché ha veduta la via che ha fatta il Maestro suo. Oh che é a vedere tanto consumato amore, che di sé medesimo, cioè del corpo suo, ha fatto scala per levarci della via delle pene; e ponerci in riposo! O figliuolo carissimo, chi dubita che nel principio della via gli pare fadigoso;27 ma poich’eli è giunto a’ piei dell’ affetto, dell’odio e dell’amore,28 ogni cosa amara gli doventa dolce. Sicché il primo scalone 29 nel corpo di Cristo sono i piei. Questa fu la regola ch’egli insegnò una volta a una sua serva, dicendo: «Lèvati su, figliuola, lèvati sopra di te, e sali in me. E acciocché tu possa salire, io t’ho fatta la scala, essendo chiavellato in croce. Fa', che prima tu sagli a’ piei, cioè l’affetto e il desiderio tuo; perocché come i piei portano il corpo così l’affetto porta l'anima. A questo primo, cognoscerai te medesima. Poi giugnerai al lato del costato aperto, per la quale apritura ti mostro il segreto mio: che quello che io ho fatto, ho fatto per amore cordiale. Ine si inebria l’anima tua30». In tanta pace gusterete Dioe-uomo. Ine si troverà il caldo della divina carità: cognoscerete la infinita bontà di Dio. Poiché abbiamo cognosciuto noi e cognosciuto la bontà sua, e noi giugneremo alla pace31 della bocca. Ine gusta [p. 24 modifica]tanta pace e quiete, che, come cosa levata in alto, neuna amaritudine che vegna, gli può aggiugnere. Egli è quello letto pacifico dove si riposa l’anima. E però dissi ch’io desideravo di vedervi posto in su la mensa della santissima croce.

Orsù, figliuolo, non stiamo piìi in negligenzia; che il tempo de’ fiori 32 ne viene. Abbiate buona sollecitudine delle pecorelle vostre. Fate che, se l’obbedienzia non ve ne manda, che voi non vi partiate. Dite a coteste donne che si riposino in su la croce collo sposo loro Cristo crocifisso. Dite a Frate Giovanni che si sveni 33 e aprasi in su la croce per Cristo. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.


LXXV. — Al Monasterio di San Gaggio in Firenze, e alla Badessa e Monache del Monasterio, che è in Monte Sansovino.34

Non è povertà degna ne obbedienza senza umiltà e senza carità. Ascendesi all’umiltà per l’affetto. Quella sola è pena davvero che non è consolata d’affetto. Le ascensioni faticose conducono a pace. Morte di Monna Nera, da consolarsene perchè salita alla pace. Le idee in questa lettera, e anco le digressioni, sono congiunte insieme da un filo delicato, ma sodo.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima madre e figliuola in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con [p. 25 modifica]derio di vedervi nascose e serrate nel costato di Cristo crocifisso; perocché altrimenti non varrebbe l'essere serrato dentro delle mura, ma più tosto sarebbe a giudizio. 35 E però come il corpo è rinchiuso, così vuole essere chiuso e serrato l’affetto e il desiderio vostro, levato dallo stato e dalle delizie del mondo, e seguitare lo sposo Cristo dolce Gesù. Non dubito che se sarete amatrici dello sposo Eterno, voi seguiterete le vestigie d’esso sposo. E sapete quale fu la vita di questo sposo? Povertà volontaria, obedienzia. Per umilità la somma altezza discese alla bassezza della natura umana; e per umilità e amore ineffabile che Egli ebbe a noi, si diè l'umanità sua all’obbrobriosa morte della croce, eleggendo la via de’ tormenti, de’ flagelli, strazii e vituperii. Or questa umilità dovete seguitare: e sappiate che essa non si può avere se non con perfetto e vero cognoscimento di sé, ed in vedere la profonda umilità e mansuetudine dell’Agnello svenato con tanto fuoco d’amore. Dico che egli seguitò la via della vera povertà; onde Egli fu tanto povero che non ebbe dove riposare il capo suo; e nella sua natività. Maria dolce appena ebbe tanto pannicello che ella potesse invollere il Figliuolo suo. E però voi, spose, dovete seguitare la via di quella povertà. E così sapete che voi avete promesso 36 e io così vi prego per amor di Cristo crocifisso. [p. 26 modifica]che osserviate infino alla morte; perocché altrimenti non sareste spose, ma sareste come adultere, amando alcuna cosa fuora di Dio. Che in tanto è detta adultera la sposa, in quanto ella ama un altro più che lo sposo. E 37 quale è il segno dell’amore? che ella sia obediente a lui. E però dopo la povertà e umilità, seguita l’obedienzia. Che quanto la sposa è più povera per spirito 38 volontariamente, e più ha renunziata alla ricchezza e stati del mondo; tanto più è umile; e quanto più è umile, tanto più è obediente. Perocché 'l superbo non è mai obediente, però che la sua superbia non si vuole inchinare a essere suddito né soggetto 39 a neuna creatura. Voglio dunque che siate umili, e che voi spogliate 40 il cuore e l’affetto infine alla morte. Voi, abadessa, obediente all’Ordine; e voi suddite, obedientiall’Ordine, e alla abadessa vostra.

Imparate, imparate dallo Sposo Eterno, dolce e buono Gesù, che fu obediente infino 41 alla morte. Sapete che senza obedienzia voi non potreste participare il sangue dell’Agnello. Ora che é la Religiosa senza il giogo dell’obedienzia? È morta; e drittamente è uno dimonio incarnato. Non è osservatrice dell’Ordine, ma trapassatrice dell’Ordine. [p. 27 modifica]Ella è condotta nel bando 42 della morte, avendo trapassati i comandamenti santi di Dio: e oltre ai comandamenti, ha trapassata 43 la promissione e il voto 44 che ella fece nella Professione. O dilettissime suore e figliuole in Cristo dolce Gesù, io non voglio che caggiate in questo inconveniente: ma voglio che siate sollecite, e non trapassarla d’uno punto. Volete voi dilettarvi dello sposo vostro? Or uccidete la vostra perversa volontà, e non ribellate mai alla vera obedienzia. Sapete che il vero obediente non va mai investigando la volontà del prelato suo, ma subito china il capo, e mandala in 45 effetto. Innamoratevi dunque di questa vera, e reale virtù. Volete voi avere pace e quiete? tolletevi la volontà; perocché ogni pena procede dalla propria volontà. Vestitevi dunque della dolce ed eterna volontà di Dio; e a questo modo gusterete vita eterna, e sarete chiamati 46 angeli terrestri in questa vita.

Confortatevi con la prima dolce Verità. Ma a questo non potreste mai venire, se non aprite l’occhio del cognoscimento a riguardare il fuoco della divina carità, la quale Dio ha adoperata nella sua creatura razionale. Pensate, madre e figliuole, che voi sete obbligate più che molte altre creature, in quanto Dio oltre a quello amore ch’Egli ha donato alla creatura, Egli ha donato più a voi in particolare, traendovi dalla bruttura e dalla tenebrosa [p. 28 modifica]vita fetida, piena di puzza e di vituperio, e avvi collocate ed elette per sé. E però nou dovete mai essere negligenti; ma cercare tutte quelle cose, luoghi e modi, per li quali più potete piacere a lui. E se voi mi diceste: «quale è la via?» dicovelo: è quella che fece Egli, cioè la via degli obbrobrii, pene, tormenti e flagelli. E con che modo? col modo della vera umilità e dell’ ardentissima carità; amore ineffabile, col quale amore si renunzia alle ricchezze e stati del mondo. E dall’umilità viene all’obedienza, come detto è. Alla quale obedienzia seguita la pace: perocché la obedienzia tolle ogni pena, e dà ogni diletto; però che é tolta via la volontà che dà pena drittamente. 47

Acciocché ella possa salire a questa perfezione, il nostro Salvatore ha fatto del corpo suo scala, e su v’ha fatti gli scaloni. Se ragguardate i piei, essi sono confitti e chiavellati in croce, posti per lo primo scalone; perocché in prima dee essere l’affetto dell’anima spogliato d’ogni volontà propria. Perocché come i piei portano el corpo, così l’affetto porta l’anima. Sappiate che l’anima giammai non ha alcuna virtù se non sale questo primo scalone. Salito che tu l'hai, giugni alla vera e profonda umiltà. 48 Ma sagli poi all’alto, e non tardare 49 più: e ciò fatto, e tu giugni al costato aperto del Figliuolo di Dio; e ine troverete il fuoco l’abisso della divina carità. In questo scalone del costato aperto vi troverete una bottega 50 [p. 29 modifica]piena di specie odorifere. 51 Ine troverete Dio-ed-Uomo; ine si sazia ed inebria l’anima per sì fatto modo che non vede sé medesima. Siccome l’ebbro inebbriato di vino, così l’anima allora non può vedere altro che sangue sparto con tanto fuoco d’amore. Onde allora si leva con ardentissimo desiderio, e giugno all’altro scalone, cioè alla bocca, e ine si riposa in pace e in quiete, e gustavi la pace dell’obbedienzia. E fa come l’uomo che è bene inebbriato; che quando è bene pieno, si dà a dormire; e quando dorme, non sente prosperità nè avversità. Così la sposa di Cristo piena d’amore s’addormenta nella pace dello Sposo suo. Addormentati sono i sentimenti suoi; perocché, se tutte le tribolazioni venissero sopra di lei, punto non se ne cura; se ella è in prosperità del mondo, non la sente per diletto disordinato, perocché già se ne spogliò per lo primo 52 affetto. Or questo è il luogo dove ella si trova conformata con l’unione di Cristo crocifisso.

Correte adunque virilmente, poiché avete la via, il luogo, dove potete trovare il letto nel quale vi riposiate, e la mensa dove prendiate diletto, e il cibo del quale vi saziate; perocché egli è fatto a noi mensa, cibo e servitore. Assai sareste degne di reprensione, se per vostra negligenzia non cercaste il riposo, e, come stolte, vi dilungaste dal cibo. Voglio dunque, e così vi prego da parte di Cristo crocifisso, che voi vi riscaldiate e bagniate nel sangue [p. 30 modifica]di Cristo crocifisso. E acciocché siate fatte una cosa con lui, non schifate fadiga, ma dilettatevi in esse fadighe; perocché la fadiga è poca, e il frutto grande. Non dico più a questo.

Parmi che la vostra carissima madre e mia, monna Nera 53 sia posta alla mensa della vita durabile, dove si gusta il cibo della vita, e ha trovato l'Agnello immacolato per frutto. 54 Che, come di sopra dissi ch’egli era mensa e cibo e servitore, così dico che ella, come vera sposa di Cristo crocifìsso, ha trovato il Padre eterno, che gli é mensa e letto, perocché nel Padre Eterno trova a pieno tutta la sua necessità. In ciò, 55 carissime, che l’uomo s’affadiga, o partesi dall’uno luogo all’altro, si è per dare il cibo, e ’l vestimento alla creatura, e luogo di riposo. Dico dunque che ella ha trovata la somma ed eterna bontà di Dio eterno, d’onde non bisogna che l’anima si parta per verune di queste cose, 56 e andare in diversi luoghi; perocché quello è luogo fermo e stabile, dove "si trova il letto, per riposo, della somma ed eterna deità. Il Padre è mensa, il Figliuolo è cibo: che per mezzo del Verbo incarnato del Figliuolo di Dio giungiamo tutti, se vogliamo, a porto di salute. Lo Spirito Santo la serve. Perocché per amore il Padre ci donò questo cibo del suo Figliuolo, e per amore il Figliuolo ci donò la vita, e a sé die la morte; sicché con la [p. 31 modifica]morte sua partici paramo la vita durabile. Noi che siamo peregrini e viandanti in questa vita, riceviamo questo frutto imperfettamente; ma ella l’ha ricevuto perfettissimamente, e non è veruna cosa che il possa torre. Voi dunque, come vere figliuole, dovete esser contente del bene e dell’utilità della vostra madre; e però dovete stare in vera e santa pazienzia sì per rispetto di Colui che l’ha fatto, di tollero la presenzia sua d’inanzi a voi, che non dovete scordare dall’eterna volontà di Dio; e sì per la propria sua utilità, che è uscita di fadiga e di molta pena, nella quale è stata, già è molto tempo; e è ita a luogo di riposo. Ma voi, come vere figliuole, vi prego che seguitiate le vestigio e la dottrina sua, ed i santi costumi, nei quali ella vi ha notricate. E non temete perchè vi paia essere rimase orfane, come pecore senza pastore: perocché non sarete rimase orfane, perchè Dio vi provederà, e le sue sante e buone orazioni, le quali ella offera nel cospetto di Dio per voi. Evvi rimasa monna Ghita. Pregovi che voi gli siate obbedienti in tutte quelle cose che sono ordinate secondo Dio e la santa religione. E voi prego, monna Ghita, quanto io so e posso, che abbiate buona cura di cotesta famiglia, in conservarla, e accrescere 57 in buona operazione. E non ci commettete negligenzia; perocché vi sarebbe richiesto da Dio. Altro non dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.


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LXXVI. — A Frate Giovanni di Bindo di Doccio de’ Frati di Monte Oliveto.58

Perseveranza. Più fatica costa il male, di cui facciamo noi martiri. Non s’inganni la coscienza propria sotto colore di libertà o di pietà per fuggire l’obbedienza promessa o la solitudine.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi costante, perseverante 59 alla virtù; acciocché non volliate il capo in dietro a mirare l’arato; ma con perseveranzia seguitare la via della verità. Perocché la perseveranzia è quella cosa che è coronata; e senza la perseveranzia non potremo essere piacevoli né accetti a Dio. 60 Ella è quella virtù che porta, con l’abbondanzia della carità, il frutto d’ogni nostra fadiga dentro nell’anima nostra. Oh quanto é beata l’anima che corre e consuma la vita sua in vera e santa virtù! perocché in questa vita gusta l’arra di vita eterna. Ma non potremo giugnere a questa perfezione senza il molto sostenere; perocché questa vita non passa senza fadiga: e chi volesse fuggire la fadiga, fuggirebbe il frutto, e non avrebbe però fuggita la fadiga; perocché portare ce la conviene in qualunque stato noi siamo. È vero che elleno si portano con merito e senza merito, secondoché la volontà é ordinata secondo Dio. E gli uomini del mondo, perché il loro [p. 33 modifica]principio dell’affetto e dell’amore è corrotto, ogni loro operazione è guasta e corrotta: onde costoro portano le fadighe senza alcuno merito. Quante sono le fadighe e le pene che essi sostengono in servizio del dimonio! che spesse volte per commettere il peccato mortale sostengono molte pene, e mettonsene alla morte del corpo loro. Questi cotali sono i martiri del dimonio e figliuoli delle tenebre; e insegnano a’ figliuoli della luce, e dannoci grande materia di vergogna e di confusione dinanzi a Dio. O figliuolo carissimo, quanta ignoranzia e miseria è la nostra, a parerci tanto duro e incomportabile a sostenere per Cristo crocifisso, e per avere la vita della Grazia; e non pare malagevole agli uomini del mondo a sostenere pena in servizio del dimonio! Tutto questo procede, perchè noi non siamo fondati in verità, e con vero cognoscimento di noi, e non siamo posti sopra la viva pietra Cristo dolce Gesù. Perocché chi non cognosce sé, non può cognoscere Dio; e non cognoscendo Dio, non 61 può amare; non amandolo, non viene a perfetta carità, né ad odio di sé medesimo. Il quale odio fa portare con vera pazienzia ogni pena, fadiga e tribolazione dagli uomini e dal dimonio. Perocché alcuna volta siamo perseguitati dagli uomini con ingiurie, con parole e con fatti (e questo permette Dio, perchè sia provata in noi la virtù); e alcuna volta dalle dimonia con molte e diverse cogitazioni, per farci privare della Grazia, e per condurci nella morte. Le battaglie sono diverse: onde alcuna volta ci tenterà centra il prelato nostro, facendoci parere [p. 34 modifica]screte le obedieuzie imposte da lui: e così si concepe uno dispiacimento verso di loro e dell’ordine nostro. E questo 62 fa per privarci dell’obedienzia. E entrando il dimonio per questa porta della disobedienzia, non ce ne avvedremo, 63 che ci trarebbe fuore dell’ordine, dicendo il dimonio dentro nella mente: «poiché essi sono tanto indiscreti, e tu se’giovane; non poteresti sostenere tanta pena. Meglio t’è dunque che tu te ne parta. Qualche modo troverai, che tu resterai esente 64 con qualche licenzia». Con la quale fa vedere che si possa stare lecitamente. Queste sono battaglie che vengono; le quali non fanno però danno nell’anima; né queste né altre molte miserabili e dissolute 65 battaglie, se la propria volontà non consente. Perocché Dio non le dà per nostra morte, ma per vita; non perché noi siamo vinti, ma perché noi vinciamo, e perché sia provata in noi la virtìi. Ma noi, virili, con lume della santissima fede apriamo l’occhio dell’intelletto a ragguardare il sangue di Cristo crocifìsso, acciocché si fortifichi la nostra debilezza, e cognosciamo 66 la virtù e la perseveranzia in questo glorioso e prezioso sangue.

Nel sangue di Cristo si trova la gravezza 67 e il dispiacimento della colpa: ine si manifesta la [p. 35 modifica]stizia, e ine si manifesta la misericordia. Noi sappiamo bene che se a Dio non fusse molto dispiaciuta la colpa, e non fusse stata di grandissimo danno alla salute nostra; non ci averebbe dato il Verbo dell"unigenito suo Figliuolo, del quale volse fare una ancudine; puniendo 68 le colpe nostre sopra del corpo suo; e così volse che si facesse giustizia della colpa commessa. E 'l Figliuolo non ci averebbe data la vita, dandoci il prezzo del sangue con tanto fuoco d’amore, facendocene bagno, e 69 lavando la lebbra delle colpe nostre: e questo fece per grazia e per misericordia, e non per debito. Bene è dunque vero che nel sangue troviamo il dispiacimento e la gravezza della colpa, la giustizia e l’abbondanzia della misericordia, con obedieuzia pronta, correndo con vera umilità infino all’obbrobriosa morte della croce.

Dico dunque, che questo è il modo di venire a perseveranzia e resistere contra gli uomini e centra le battaglie del dimenio, cioè col lume della fede come 70 detto è, e con vero cognoscimento di noi, onde ci umilieremo. Dal quale cognoscimento verremo al perfettissimo odio della propria sensualità, e l’odio sarà quello che farà giustizia della colpa sua. E porterà con vera pazienzia ogni ingiuria, strazii, scherni e villanie, e l’obedieuzia indiscreta, e le fadighe dell’Ordine, e ogni altra battaglia, da qualunque altro lato elle vengono. E per questo modo gusterà il frutto della divina misericordia, il quale ha trovato per affetto d’amore, e veduto con l’occhio dell’intelletto.

Adunque non voglio, figliuolo carissimo, che cadiate in negligenzia: né manchi in voi il santo [p. 36 modifica]cognoscimento, ne serrate l’occhio dell’intelletto a ragguardare questo glorioso e prezioso sangue. Perocché, se voi ne lo levaste, cadereste in molta ignoranzia; e non cognoscereste la verità; ma, con occhio pieno di nebbia, sarete abbagliato, cercando il diletto e il piacere colà dove egli non è, ponendosi 71 ad amare le cose create più che ’l Creatore, e pigliare diletto e piacere delle creature. E alcuna volta si comincia ad amare le creature sotto colore di spirituale amore. E se egli non s’ha cura, e non esercita le virtù; non cognosce la verità, e non tiene l’occhio nel sangue di Cristo crocifìsso: onde l’amore diventa tutto sensuale. E poiché il dimenio l' ha condotto colà dove egli voleva, cioè ’avergli fatta pigliare quella conversazione delle creature sotto colore di spirito, e lassare l’esercizio della santa orazione e il desiderio delle virtù e il cognoscimento della verità; subito gli mette uno tedio e una tristizia nella mente con una disperazione, in tanto che si vuole partire dal giogo dell’obedienzia, e abbandonare il giardino dell’ordine, dove ha gustato cotanti soavi e dolci 72 frutti prima che egli perdesse il gusto del santo desiderio, a quello tempo dolce che le fadighe e i pesi dell’ordine gli pareva 73 di grande suavità. Sicché vedete quanto male per questo ne potrebbe venire. [p. 37 modifica]E però voglio che voi vi studiate, giusta al vostro potere di portarvi sì e con sì vero desiderio, che questo non addivenga mai a voi per neuno caso che venisse. Non venga mai la mente vostra a neuna confusione; ma levate l’occhio nel sangue, e pigliate una larga 74 e dolce speranza; ponendo il rimedio di levarsi da tutte quelle cose che gli 75 impediscono la verità: e allora riceverà grandissima grazia da Dio, e comincerà a ricevere il frutto delle sue fadighe, ricevendo l’abbondanzia della carità nell’anima. Or fuggite, figliuolo carissimo, nella cella del cognoscimento di voi, abbracciando il legno della santissima croce; bagnandovi nel sangue dell’umile e immacolato Agnello; fuggendo ogni conversazione che vi fusse nociva alla salute vostra. E non mirate a dire: «che parrà, se io mi levo da queste creature? Io lor dispiacerò, e averannolo per male». Non lassate però: che noi siamo posti per piacere al Creatore, e non alle creature. Sapete che dinanzi al sommo Giudice neuno risponderà per voi nell’ultima estremità della morte; ma solo la virtù sarà quella, con la misericordia,76 che risponderà. Quanto c'è necessaria la virtù! senza la virtù non possiamo vivere di vita di grazia. E però vi dissi ch’io desideravo di vedervi costante e perseverante alla virtù infino alla morte. Sicché non vollete il capo indietro per alcuna cosa che sia. Spero nella bontà di Dio, che ’l farete; siccome debbe fare il vero figliuolo. E così farete [p. 38 modifica]quello che sete tenuto di fare, e adempirete il desiderio mio. Altro non dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

LXXVII. — Al venerabile Religioso Frate Guglielmo d’Inghilterra, il quale era Baccelliere dell’Ordine de’ Frati Eremitani di Santo Agostino, a Selva di Lago. 77

Dalla Croce, albero di Generoso dolore, frutti di carità. Di lì Gesù ci trae in alto per forza d’amore. Il frate non si pasca solo di meditazioni solitarie, ma ascolti le altrui necessità e compatisca.

A nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

A voi, reverendissimo e carissimo padre in Cristo Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi del Figliuolo di Dio, vi conforto e raccomando nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi uniti e trasformati nella sua inestimabile carità; sicchè noi che siamo arbori sterili e infruttuosi senza neuno frutto, 78 siamo innestati nell’arbore della vita. Così rapportiamo 79 uno saporoso e dolce frutto, non per noi, ma per lo maestro della grazia che è in noi. Siccome il corpo vive per l’anima, così l’anima vive per Dio. Questa Parola incarnata non ci poteva, in quanto Uomo, restituire la vita della [p. 39 modifica]zia; ma, in quanto Dio, per amare, la divina Essenzia volse, e puotelo 80 fare. Oh fuoco, abisso di carità, perchè non siamo separati da te, hai voluto fare un innesto di te in me. Questo fu quando seminasti la Parola tua nel campo di Maria. Adunque bene è vero che l’anima vive per te; e ’l prezzo dell’abbondantissimo sangue, sparto per me, valse per l'amore della divina Essenzia. Non mi maraviglio, carissimo padre, se la sapienzia di Dio, Parola incarnata, dice: «Se io sarò levato in alto, ogni cosa trarrò a me». Oh cuori indurati, e stolti figliuoli di Adam! Bene è misero miserabile cuore, se non si lassa trare a sì dolce padre. Dice: Se io sarò levato, egli: 81 perchè? solo perchè noi corriamo. Non ci veggo, carissimo padre, altro peso, se non l'amore e la ignoranza 82 che noi abbiamo a noi medesimi, e poco lume e cognoscimento di Dio. Chi non cognosce, non può amare; e chi cognosce, sì ama. Non voglio che stiamo più in questa ignoranzia; che non saremo innestati nella vita: ma voglio che l’occhio dell’intelletto sia levato sopra di noi a vedere e cognoscere quella somma e eterna vita. Non ne 83 può altro volere, che la nostra [p. 40 modifica]tificazione: ogni luogo e ogni tempo, o per morte o per vita, o per persecuzioni, o per gli uomini o per li dimonii, ci dà solo a questo fine, perchè abbiamo la nostra santificazione. Dicovi che subito che l’anima ha aperto 84 lo intendimento, diventa amatore 85 dell’onore di Dio e delle creature; diventa amatore di pene; e non si diletta altro che in croce con lui. Non è grande fatto: 86 che già ha veduto che la bontà di Dio non può voltare altro che bene, e ogni cosa viene da lui; già è privato dell’amore proprio(che gli dà tenebre, e però non vede lume). 87

O padre, non’stiamo più; ed innestiamoci nell'arbore fruttuoso, acciocché il maestro non si levi 88 senza noi. Tolliamo 89 il legame, il vincolo dell’ardentissima sua carità, la quale il tenne confitto e chiavellato in sul legno della santissima croce percotiamo, 90 percotiamo con affetto; perocché lo [p. 41 modifica]nito bene vuole infinito desiderio. Questa è la condizione dell’anima: perchè ella ha infinito 91 essere, e però ella infinitamente desidera, e non si sazia 92 mai, se non si congiugne con lo infinito. Levisi adunque il cuore con ogni suo movimento ad amare colui che ama senza essere amato. 93 Oh amore inestimabile! Per fabricare le nostre anime facesti ancudine del corpo tuo: sicché il corpo satisfa alla pena, e l’anima di Cristo ha dispiacimento del peccato: e la natura divina colla potenzia sua... 94 Guardate come fedelmente siamo ricomperati! E perchè? perchè fu levato in alto. Sottomettiamo adunque la nostra volontà perversa sotto il giogo della volontà di Dio, che non vuole altro che il nostro bene; ricevendo con riverenzia ogni fatiga: che noi non siamo degni di tanto bene.

Dicovi da parte di Cristo crocifisso, che non tanto che alcuna volta la settimana il priore volesse che voi diceste la Messa 95 in convento, ma voglio che se vedete la sua volontà, ogni dì voi la diciate. Perchè voi perdiate le consolazioni, non perdete [p. 42 modifica]però lo stato della Grazia; anco, l’acquistate, quando voi perdete la vostra volontà. Voglio che, acciocché noi mostriamo d’essere mangiatori dell’anime e gustatori de’ prossimi, noi non attendiamo pure alle nostre consolazioni; ma dobbiamo attendere e udire e aver compassione alle fadighe de’ prossimi, e specialmente a coloro che sono uniti a una medesima carità. E se non faceste così, sarebbe grandissimo difetto. E però voglio che alle fadighe e necessità di frate Antonio voi prestiate l’orecchie ad udirle: e frate Antonio voglio e prego che egli oda voi. E così vi prego da parte di Cristo, e mia, che facciate. A questo modo conserverete in voi la vera carità. E se non faceste così, dareste luogo al dimonio a seminare discordia. Altro non dico; se non che io vi prego e stringo che siate unito e trasformato in questo arbore di Cristo crocifisso. Gesù dolce, Gesù amore.


LXXVIII. — A Niccolò Povero, di Romagna, Romito a Firenze.

In sé l’anima conosce Dio. Umiliandosi, si esalta ad amore. Esercita l’amore di Dio verso i prossimi.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi tutto rimesso nella divina providenzia, spogliato d’ogni affetto terreno, e di voi medesimo, acciocché siate vestito di Cristo crocifisso; perocché in altro modo non giugnereste al termine vostro, se non seguitaste la vita e dottrina di [p. 43 modifica]sto amoroso Verbo. Così ci ammaestrò egli, quando disse: «neuno può venire al Padre, se non per me». Ma non veggo che in lui vi poteste bene rimettere, né in tutto spogliarvi di voi, se prima non cognosceste la somma ed eterna bontà sua, e la nostra miseria.

Dove cognosceremo lui e noi? dentro nell’anima nostra. Onde c’è bisogno d’intrare nella cella del cognoscimento di noi, e aprire l’occhio" 96 dell’intelletto, levandone ogni nuvila d’amore proprio. E cognosceremo, noi non esser niente, e specialmente nel tempo delle molte battaglie e tentazioni; perocché, se fussimo alcuna cosa, ci leveremmo quelle battaglie che noi non volessimo. Bene abbiamo adunque materia di umiliarci, e spogliarci di noi; perché non è da sperare in quella cosa che non è. La bontà di Dio cognosceremo in noi, vedendoci creati all’imagine e similitudine sua affine che participiamo il suo infinito ed eterno bene: e essendo privati della Grazia per lo peccato del primo uomo, ci ha creati a Grazia nel sangue dell’unigenito suo Figliuolo. Amore inestimabile! per ricomperare il servo hai dato il figliuolo proprio; per renderci la vita, désti a te la morte. Bene adunque vediamo che egli è somma ed eterna bontà, e che ineffabilmente ci ama: che se non ci amasse, non ci avrebbe dato sì fatto ricomperatore. Il sangue ci manifesta questo amore. Adunque in lui voglio che speriate e confidiatevi tutto; e in lui ponete ogni vostro affetto e desiderio.

Ma attendete che a lui non potiamo fare alcuna utilità, imperocché egli é lo Dio nostro che non [p. 44 modifica]ha bisogno di noi. In che adunque dimostreremo l’amore che averemo a lui? In quello mezzo che egli ci ha posto-per provare in noi la virtù, cioè il prossimo nostro, il quale dobbiamo amare come noi medesimi, sovvenendolo di ciò che vediamo che gii sia necessità, 97 secondo le grazie che Dio ci ha date, desse a ministrare; e offeriie lagrime umili, 98 e continue orazioni dinanzi a Dio per salute di tutto quanto il mondo, e specialmente per lo corpo mistico della santa Chiesa, la quale vediamo venuta in tanta ruina, se la divina bontà non provede. Allora seguiterete la dottrina di Cristo crocifisso, il quale per onore del Padre e salute nostra die la vita, correndo come innamorato all’obbrobriosa morte della croce, E siccome egli non si trasse ne per pena, ne per riraproverio, ne per ingratitudine

nostra, che non compisse la nostra salute; così dobbiamo fare noi, che per veruna cagione ci dobbiamo ritrare di sovvenire alla necessità del prossimo nostro, spirituale e temporale, senza rispetto d’aicuna utilità consolazione riceverne quaggiù; solo amarlo e sovvenirlo, perchè Dio l’ama. Così adempirete la dilezione del prossimo, secondo il comandamento di Dio e il mio desiderio. Altro non vi dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore. [p. 45 modifica]

LXXIX. — All' Abadessa e Monache di San Pietro, in Monticelli a Lignaia in Firenze.99

Imitazione di Cristo. La Dottrina sua è amore. Nelle promesse a Dio l’anima gli offre il suo libero arbitrio, ma per larsi più libera. Chi non osserva la povertà, più risica infrangere le altre promesse. Vita rilassata di certe monache. Il cuore è lampada; l’affetto è luce, nutrita d’umiltà. La tiene ferma la mano del timore santo, non della servile paura.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissime figliuole in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi vere serve e spose di Cristo crocifisso; e per siffatto modo seguitiate le vestigia sue, che innanzi eleggiate la morte, che trapassare i comandamenti dolci suoi ed i consigli, i quali voi avete promessi. Oh quanto è dolce e soave’ alla sposa consacrata a Cristo seguitare la via e la dottrina dello Spirito Santo! Quale è la vita e dottrina sua? non è altro che amore. Perocché tutte le altre virtù sono virtù per esso amore. La dottrina sua non è superbia ne disobedienzia né amore proprio né ricchezza né onore ne stato del mondo; non piacimento né diletto di corpo. Non ha 100 amore d’amare il prossimo per sé, (ma... per utilità nostra ci ha amati e data la vita per noi con tanto fuoco d’amore): anco, é profonda e vera umilità. 101 Or fu mai veduta tanta umilità, quanta è vedere Dio [p. 46 modifica]liato all’uomo? la somma altezza discesa a tanta bassezza, quanta è la nostra umanità? Egli è obbediente infino all’obbrobriosa morte della croce, 102 egli è paziente, in tanta mansuetudine che non è udito il grido suo per veruna mormorazione: egli elesse povertà volontaria, quello che era somma ed eterna ricchezza; intanto che Maria dolce non ebbe panno dove invollerlo; e nell’ultimo, morendo nudo in su la croce, non ebbe luogo dove appoggiare il capo suo. Questo dolce e innamorato Verbo fu saziato di pene e vestito d’obbrobrii, dilettandosi delle ingiurie, delli scherni e villanie; sostenendo fame e sete, colui che sazia ogni affamato con tanto fuoco e diletto d’amore. Egli è il dolce Dio nostro che non ha bisogno di noi. E non ha allentato d’adoperare la nostra salute; anco, ha perseverato non lassando par la nostra ignoranzia e ingratitudine, nè per lo grido de’ Giudei che gridano che egli discenda dalla croce; non lassù però, che non compisse la nostra salute.

Or questa è la dottrina e la via, la quale egli ha fatta: e noi miseri 103 miserabili, pieni di difetti, non spose vere, ma adultere, facciamo tutto il contrario; perocché noi cerchiamo diletto, delizie, piaceri, amore sensitivo; uno amore proprio; del quale amore nasce discordia, disobedieuzia. La cella si fa nemico: la conversazione de’ secolari e di coloro che vivono secolarescamente, si fa amico! Vuole abbondare e non mancare nella sustanzia [p. 47 modifica]porale, parendogli, se non abonda sempre, avere necessità. Egli si dilunga dall’amore del suo creatore; lassa la madre dell’orazione. Anco facendo l'orazione debita, alla quale voi sete obbligate, spesse volte viene a tedio; perocché colui che non ama, ogni piccola fadiga gli pare grande a sostenere; la cosa possibile gli pare impossibile a potere adoperare. E tutto questo procede dall’amore proprio, il quale nasce da superbia, e la superbia nasce da lui, fondata in molta ingratitudine e ignoranzia e negligenzia nelle sante e buone operazioni.

Non voglio dunque, dilettissime figliuole, che questo divenga 104 a voi: ma come spose vere, seguitate le vestigie dello sposo vostro; perocché, altrimenti, non potreste osservare quello che voi avete promesso e fatto voto, cioè, povertà, obedienzia e continenzia. Sapete bene che nella professione voi deste per dota il libero aibitrio 105 vostro allo sposo eterno; perocché con libertà di cuore faceste la detta professione. Ohe sono tre colonne che tengono la città dell’anima nostra, e non lassano cadere in ruina; e non avendone, 106 subito viene meno. Debbe dunque la sposa esser povera volontariamente per amore di Cristo crocifisso che gli ha insegnata la via.

La povertà é ricchezza e gloria delle religiose: e grande confusione é, ch’el si trova che elle abbiano che date. Sapete quanto male n’esce? Che se passa 107 questo, tutti gli altri passerà; perocché [p. 48 modifica]colei che pone l’affetto suo in possedere, e non s’unisce con le suore (come voi dovete vivere, che dovete vivere a comune e avere tanto la grande quanto la piccola, e la piccola quanto la grande); se noi fa, ne viene in questo difetto, che ella caderà nella incontinenzia o mentale o attuale. E cade nella disobedienzia, perocché è disobediente all’ordine suo e non vuole essere corretta dal prelato. 108 E trapassa quello che aveva promesso. Onde vengono le conversazioni di coloro che vivono disordinatamente; vuoli secolari, vuoli religiosi, vuoli uomo, vuoli donna. Che la conversazione non sia fondata in Dio, non procede da altro, se non per alcuno dono o diletto piacere che trovassero. E tanto basta quello amore e amistà, quanto basta il dono e il diletto. E però dico che colei che non possiede, e che non ha che donare, dico che, non avendo che donare, sarà tolto da lei ogni disordinata conversazione.

Levata la conversazione, non ha materia di svagolare la mente, nè di cadere nella immondizia corporalmente nè spiritualmente; ma trova, e vorrà, 109 la conversazione di Cristo crocifisso, e de’ servi dolcissimi suoi, i quali amano per Cristo e per amore della virtù, e non per propria utilità. Concepe uno desiderio e una fame della virtù, che non pare che se ne possa saziare. E perchè vede che della madre e della fontana dell’orazione trae la vita della grazia e il tesoro delle virtù, partesi dalla conversazione degli uomini, e fugge e ricovera in cella, [p. 49 modifica]cercando lo sposo suo, e abbracciandosi con esso in sul legno della santissima croce. Ine si bagna di lagrime e di sudori, ed inebriasi del sangue del consumato ed innamorato Agnello: pascesi de’ sospiri, i quali gitta per dolci e affocati desiderii. Or questa è vera e reale sposa e che realmente seguita lo sposo suo. E come Cristo benedetto (come detto è) non lassa per veruna pena d’adoperare la salute nostra; così la sposa non lassa né debbe lassare per veruna pena ne fadiga, né per fame né per sete, né per alcuna necessità, che non adoperi continuamente l'onore di Dio. Anco, risponda alla tenerezza propria del corpo suo, e dolcemente dica: «Confortati, anima mia, che ciò che ti manca quaggiù, t’avanza a vita eterna». E non lassi la buona operazione con santi desiderii, né per tentazione del dimonio, né per fragilità della carne, né per li perversi consiglieri del dimonio, 110 che sono peggio che Giudei, che dicono spesse volte «discendi dalla croce della penitenzia e della vita ordinata». E non debbe lassare il servire al prossimo suo, né di cercare la salute sua, per ingratitudine né per ignoranzia, che non cognoscesse il servizio. Non debbe lassare; perocché, se lassasse, parrebbe che cercasse d’essere retribuito da loro, e non da Dio: la quale cosa non si debbe fare, ma prima eleggere la morte. Con pazienzia portate, carissime figliuole, i difetti l'una dell’altra portando con pazienzia e sopportando con amore i difetti l’una dell’altra. 111 E così sarete legate ed unite nel legame della carità, [p. 50 modifica]il quale è di tanta fortezza, che ne dimonio né creatura vi potrà separare se voi non vorrete. Siate obedienti infine alla morte; acciocché siate spose vere; sicché, quando lo sposo vi richiederà nell’ultima stremità della morte, voi abbiate ia lampana piena e non vota, siccome vergini savie, e non matte. Drittamente il cuore vostro debbe essere una lampana, la quale debbe essere piena d’olio, e dentrovi il lume del cognoscimento di voi e della bontà di Dio in voi; che è lume e fuoco della carità, notricato e acceso 112 nell’olio della vera e profonda umilità. Perocché chi non ha lume di cognoscimento di sé, non si può umiliare; che con la superbia mai non si umilia. Poiché la lampana é fornita, debbesi tenere in mano con una santa e vera intenzione 113 in Dio; cioè la mano del santo timore, il quale ha a regolare l’affetto e il desiderio nostro. Non dico, timore servile, ma timore santo, 114 che per veruna cosa voglia offendere la somma ed eterna bontà di Dio. Ogni creatura che ha in sé ragione, ha questa lampana; perocché il cuore dell'uomo é una lampana: onde se la mano del timore santo la tiene dritta, e ella é fornita, sta bene; ma se ella è in mano di timore servile, egli la rivolta sottosopra, perocché serve e ama d’amore proprio per proprio diletto e non per amare di Dio. Costui affoga il 115 [p. 51 modifica]lume e versane l’olio; perocché non v’è lume di carità, e uon v’è olio di vera umilità. E queste sono quelle cotali di cui disse il nostro Salvatore: «lo non vi cognosco, e non so chi voi vi sete». Adunque io voglio che siate forti e prudenti 116. Tenete il cuore vostro, e fate che sia lampana dritta. E come la lampana è stretta da piedi e larga da capo, così il cuore e l’affetto si debbe restringere al mondo e 117 ogni diletto e vanità e delizie e piacere e contento 118 suo. E debbe essere larga da capo; cioè che il cuore, l’anima e l’affetto sia tutto riposato e posto in Cristo crocifisso. Vestitevi 119 di pene e d’obbrobri per lui: unitevi e amatevi insieme.

E voi, madonna l’abbadessa, siate madre e pastore, che poniate la vita per le vostre figliuole, s’el bisogna. Ritraetele dal vivere in particolare 120 e dalla conversazione; le quali cose sono la morte dell’anime loro e disfacimento di perfezione. Nella conversazione fate che voi gli siate uno specchio di virtù, acciocché la virtù ammonisca più che le parole. Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore. [p. 52 modifica]

LXXX. — A Maestro Giovanni terzo dell’Gradine de’ Fidati Fremitani di Santo Agostino.

121

Nel sangue della Redenzione è fuoco d’amore, che spegne l’amor proprio, e insegna come il dolore sia prova benefica e perfezionatrice, unico vero male la colpa. Parlando dell’amor proprio e dello scandalezzarsi, e del tentare che i buoni fanno altri buoni, accenna forse i difetti del frate con dolce materna severità.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi bagnato nel sangue dello svenato Agnello, il quale sangue lava e annega, cioè uccide, la propria perversa volontà. Dico che lava la faccia 122 della coscienzia, e uccide il vermine d’essa coscienzia; perocché ’l sangue e’ è fatto bagno. E perchè il sangue non è senza fuoco, anco è intriso col fuoco della divina carità (perocché fu sparto per amore); sicché 123il fuoco col sangue lava e consuma la ruggine nella colpa, che è nella coscienzia: la [p. 53 modifica]quale colpa è uno vermine che rode in 124 essa coscienzia. Onde, morto che è questo vermine, e lavata che è la faccia dell’anima, è 125 privata del proprio e disordinato amore. Perocchè, mentre che l'amor proprio è nell’anima, questo vermine non muore mai, ne si leva la lebbra della faccia dell’anima. Poniamochè ’l sangue e il fuoco del divino amore ci sia dato (e a tutti è dato questo sangue e fuoco per nostra redenzione); e nondimeno da tutti non è participato: e questo non è per difetto del sangue, né del fuoco, nè della prima dolce Verità che ce l’ha donato; ma è difetto di chi non vota il vasello per poterlo empire d’esso sangue. Onde il vasello del cuore, mentre che egli è pieno del proprio amore, o spiritualmente 126 o temporalmente non può empire 127 il divino amore, nè participare la virtù del sangue: e però’ non si lava la faccia, e non s’uccide il vermine. Dunque c'è bisogno di trovare modo di votarsi e d’iempirsi, acciocchè noi giugnamo a quella perfezione d’uccidere la propria volontà: perocchè, uccisa la volontà, è ucciso il vermine.

Che modo ci è dunque, carissimo figliuolo? dicovelo. Che noi ci apriamo l’occhio dell’intelletto a cognoscere uno sommo bene e uno miserabile male. Il sommo bene è Dio, il quale ci ama d’ineffabile amore: il quale amore ci è manifestato col [p. 54 modifica]mezzo del Verbo unigenito suo Figliolo, e il Figliuolo c'e l'ha manifestato col mezzo del sangue suo. Onde nel sangue cognosce l’uomo l’amore che Dio gli porta, e il suo proprio miserabile male. Perocché la colpa è quella che conduce l’anima alle miserabili pene eternali. E però è solo il peccato quello che è male, il quale procede dal proprio amore: perocché veruna altra cosa è che sia male, se non questa. E questo fu cagione della morte di Cristo. E però dico che nel sangue cognosciamo il sommo bene dell’amore che Dio ci ha, e il miserabile nostro male; perocché altre cose non sono male, se non solo la colpa, come detto é. Onde né tribolazioni né persecuzioni del mondo non sono male; né ingiurie, né strazii, né scherni, né villanie, né tentazioni del dimonio, né tentazioni degli uomini, le quali tentano i servi di Dio; né le 128 tentazioni, né le molestie che dà l'uno servo di Dio all’altro: le quali Dio tutte permette per tentare, e per cercare 129 se trova in noi fortezza e pazienzia e perseveranzia infino all’ultimo; anco, conducono l’anima a gustare il sommo ed eterno Bene. Questo vediamo noi manifestamente nel Figliuolo di Dio, il quale essendo Dio e uomo, e non potendo volere veruno male, non le averebbe elette per sé; che tutta la vita sua non fu altro che pene e tormenti e strazii e rimproveri!, 130 e nell’ultimo l’obbrobriosa morte della croce: [p. 55 modifica]e questo volse sostenere, perchè era bene, e per punire la colpa nostra, che è quella cosa ch’è male.

Poi, dunque, che l’occhio dell’intelletto ha così ben veduto e discernuto chi gli è cagione del bene, e chi gli è cagione del male, e quale è quello che è bene, e quello che è miserabile male; l’affetto, perchè va dietro all’intelletto, corre di subito e ama il suo Creatore, cognoscendo nel sangue l’amore suo ineffabile; e ama tutto quello che vede che ’l faccia più piacere 131 e unire con lui. Onde allora si diletta delle molte tribolazioni, e priva se medesimo delle consolazioni proprie per affetto e amore della virtù. E non elegge lo strumento 132 delle tribolazioni, che provano le virtù, a suo modo, ma a modo di colui che gli ’l dà, cioè Dio; il quale non vuole altro, se non che siamo santificati in lui; e però gli ’l concede. Così 133 egli ha tratto l’amore dell’amore. E perchè l’occhio dell'intelletto in esso amore ha veduto il suo male, cioè la sua colpa, odialo, in tanto che desidera vendetta di quella cosa che n’è stata cagione. La cagione del peccato è il proprio amore, il quale notrica la perversa volontà, che ribella alla ragione. 134 E mai non resta di [p. 56 modifica]scere e di multiplicare l’odio dell’amore sensitivo infìno che l’ha morto. E però diventa subito paziente; e non si scandalizza in Dio, ne in sé, né nel prossimo suo; ma ha presa 135 l’arme a uccidere questo perverso sentimento, il quale conduce l’anima a tanto miserabile male, che gli tolle l’essere della grazia, e dagli la morte, tornando a non cavelle, perchè è privata di Colui che é. Tolle dunque il coltello, che è l’arme con che si difende da’ nemici suoi; e con quello uccide la propria sensualità. Il quale coltello ha due tagli, 136 cioè odio e amore, E menalo con la mano del libero arbitrio, il quale, cognosce che Dio gli ha dato per grazia, e non per debito; e con esso coltello taglia e uccide.

Or a questo modo, figliuolo, partecipiamo la virtù del sangue e il calore del fuoco: il quale sangue lava, e il fuoco consuma la ruggine della colpa, e uccide il vermine della coscienzia: non uccide propriamente la coscienzia, la quale è guardia dell’anima, ma il vermine della colpa, che v’è dentro. In altro modo né per altra via non potremo giugnere a pace e a quiete, né gustare il sangue dell’immacolato Agnello. E però vi dissi ch’io desideravo di vedervi bagnato e annegato nel sangue di Cristo crocifisso.

Dunque levatevi su e destatevi dal sonno della negligenzia, e annegate la propria perversa volontà in questo glorioso prezzo. 137 E non vi ritragga [p. 57 modifica]re servile, né amore proprio, ne detto delle creature, né mormorazione, ne scandalo del mondo: 138 ma perseverate con virile cuore. E guardate che voi non facciate come i matti; e se voi l’avete fatto, sì ve ne dolete, di scandalizzarvi nei servi di Dio, o mormorare delle loro operazioni: perocché questo è uno de’ segni che la volontà non è morta: e se ella è morta nelle cose temporali, non è anco morta nelle spirituali. Vogliate dunque che in tutto muoia ad ogni suo parere, 139 e viva in voi, la dolce eterna volontà di Dio: e di questa siate giudice, 140 siccome dice la nostra lezione. Altro non dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Scrivestemi che il figliuolo non poteva stare senza il latte e il fuoco della mamma. 141 Onde se ne averete volontà, non tardate a venire per esso. Dite, che non vorreste offendere l’obedienzia. Venite per la 142 licenzia, e non l'offenderete. E eccidi bisogno; perché Nanni 143 s’è partito per buona necessità; sicché se potete venire, l'averò molto caro. Gesù dolce, Gesù amore.

Raccomandateci al baccelliere, 144 e a Frate [p. 58 modifica]tonio, e a misser Matteo, e all’Abbate, e a tutti gli altri.


LXXXI. — A Francesco, di Francesco di Tolomei 145 vestita dell’abito di San Domenico, inferma.

L’esorta a pazienza nelle sue infermità. Sa patire chi ama; chi pensa alla potenza e sapienza e amore di Dio; chi prega, chi attinge dalla purità la fortezza. L’anima che sta forte, e non consente in sé al male, per battaglie che di fuori sostenga, rimane pura. Rimedio agli scrupoli e alle fiacchezze di spirito.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figliuola in Cristo dolce Gesù, Io Catarina, serva e schiava di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo; con desiderio di vederti con vera e santa pazienzia, acciocché virilmente porti e la infermità e qualunque altra cosa Dio ti permettesse, siccome vera serva e sposa di Cristo crocifisso. E così debbi fare; perocché la sposa non si debbe mai scordare della volontà dello sposo suo.

Ma attendi, carissima figliuola, che a questa volontà, così accordata e sottoposta a quella di Dio non verresti mai se tu col lume della santissima fede non ragguardassi quanto tu se’ amata da lui: perocché, vedendoti amare, non potrai fare che tu non ami: amando, odierai la propria sensualità, 146 [p. 59 modifica]la quale fa impaziente l’anima che l’ama. Onde subito che tu odierai sarai fatta paziente. Sicché col lume ti vedrai. Ma dove troverai questo amore? Nel sangue dell’umile e immacolato Agnello, il quale per lavare la faccia della sposa sua, corse all’obbrobriosa morte della croce; onde col fuoco della sua carità la purificò della colpa, lavandola nell’acqua del santo battesimo, il quale battesimo vale a noi in virtù del sangue: e il sangue gli fu colore, che fece la faccia dell’anima vermiglia, la quale era tutta impallidita per la colpa di Adam. Tutto questo fu fatto per amore. Adunque vedi che ’l sangue ti manifesta l’amore che Dio t’ha. Egli è quello eterno sposo che non muore mai: egli è somma sapienzia, somma potenzia, somma clemenzia e somma bellezza,147 in tanto che ’l sole si maraviglia della bellezza sua. Egli è somma purità, in tanto che, quanto più l’anima che è sua sposa, s’accosta a lui, tanto più diventa pura e monda d’ogni peccato, e più sente l’odore della virginità.148 E però la sposa che vede che egli si diletta della purità, studia d’accostarsi a lui con quello mezzo che più perfettamente la possa unire. Quale è questo mezzo? è l’orazione umile, fedele e continua. Umile, dico; fatta nel cognoscimento di te: continua, per continuo santo desiderio; e fedele^ per lo cognoscimento che hai avuto di Dio, vedendo che [p. 60 modifica]egli è fedele e potente a darti quello che domandi; ed è somma sapienzia, che sa; ed è somma clemenzia, che ti vuole dare più. che non sai addimandare. Or con questo verrai a perfettissima pazienzia in ogni luogo, in ogni tempo e stato che tu se’ e sarai; e nella infermità e nella sanità, con battaglie e senza battaglie. La quali battaglie non vorrei, però, che tu credessi che faccino l’anima immonda, se non in quanto la volontà le ricevesse 149 per dilettazione, di qualunque battaglia si fusse. E però l’anima che sente la volontà averne dispiacimento, e non piacere, si debbe confortare, e non venire a veruna confusione o tedio di mente; ma debbe vedere che Dio gli ’l permette per farla venire ad umilità, e per conservarla e crescerla in essa. Così voglio che facci tu. Godi, figliuola, che Dio per sua misericordia, ti fa degna di portare 150 per lui; e reputatene indegna: e facendo così, ti conformerai in ogni cosa con la volontà del tuo dolce sposo. Compirassi a questo modo in te la volontà di Dio e il desiderio dell’anima mia, il quale dissi che era di vederti con vera e santa pazienzia. E così ti prego e voglio che sia, in ciò che piace al tuo dolcissimo sposo di concederti per lo poco tempo. 151 Non dico più. Permane nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



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LXXXII. — A tre Donne di Firenze.

Acciocchè l'anima sia tenace del buon proposito, conosca sè; cioè la dipendenza propria, la debolezza, i difetti, il prezzo del tempo, i benefizi di Dio in cui sperare. Orazione del cuore: vigilanza della mente. Coscienzia del bene, che si ha più o men piena. Pazienzia, midollo di carità. Tolleranza d’opinioni e pratiche diverse. Non andare a caccia di tanti consigli.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissime figliuole in Cristo dolce Gesù, perchè 152 la divina bontà v’ha tratto dal loto del mondo, non vogliate vollere il capo addietro e mirare l'arato: ma sempre mirate quello che vi bisogna di fare per conservare in voi il santo principio, e proponimento che avete fatto. Quale è quella cosa che ci conviene vedere e fare per conservare la buona volontà? dicovelo. Che sempre siate nella cella del cognoscimento di voi; e cognoscendo, voi non essere e l'essere vostro avere da Dio; e di cognoscere li difetti vostri, e la brevità del tempo, il quale è tanto caro 153 a noi. Però che nel tempo si può acquistare la vita durabile, e perderla, secondo che piace a noi: e, passato il tempo, neuno bene possiamo adoperare.

E dovete cognoscere in voi la grande bontà di Dio, e lo ineffabile amore che a voi porta; il quale amore v’ha manifestato col mezzo del Verbo dell’unigenito suo Figliuolo: e questo dolce e amoroso Verbo lo ha mostrato col mezzo del sangue suo. Onde noi siamo quello vassello che abbiamo ricevuto il sangue; e siamo quella pietra dove è fitto [p. 62 modifica]il gonfalone della santissima croce. Però che ne croce nè chiovi nè terra erano sufficenti a tenere questo umile e amoroso Verbo confitto e chiavellato, se lo amore non lo avesse tenuto; ma lo amore che ebbe a noi, il tenne, e fecelo stare in sull’arbolo della croce. E però conviene a noi che ’l cuore e l'affetto nostro sia meschiato 154 in lui per amore se vogliamo participare il frutto del sangue suo. Allora l'anima, che sì dolcemente cognosce Dio, ama quello che cognosce della sua bontà, e odia quello che cognosce di sé nella parte sensitiva. Onde trae la vera umiltà: la quale è balia e nutrice della carità.

E per questo va innanzi, e non torna indietro; crescendo di virtù in virtù; esercitandosi con la vigilia e con la umile e continua orazione, con lo continuo e santo desiderio, e con buone e sante operazioni: le quali sono quella orazione continua, che ogni persona che ha in sé ragione, 155 debbe avere, oltre all’orazione particolare, 156 che si fa alle ore debite e ordinate. Le quali 157 in neuno modo si debbono lassare, se non fusse già per caso di obedienzia per carità; ma per altro modo no, né per battaglia né per sonnolenzia di mente né di corpo. Ma debbesi destare il corpo con lo esercizio corporale, 158 [p. 63 modifica]in venie 159 o in altri esercizi che abbiano a stirpare 160 il sonno quaud’egli ha avuto il debito suo. La sonnolenzia della mente si vuole destare coll’odio e dispiacimento di se: e con una impugnazione santa salire la sedia della coscienzia vostra, riprendendo sé stessa, e dicendo: «che dormi tu, anima mia? dormi, e la divina bontà veglia sopra a te: e ’l tempo passa e non ti aspetta. Vuo’ tu esser trovata a dormire dal Giudice, quando ti richiederà che tu rendi ragione del tempo tuo, come tu l’hai speso, e come sei stata grata al benefizio del sangue suo?» Allora si desterà la mente: e poniamochè sopra di quello destare non sentisse, 161 ella s’è pure desta, e stirpa lo amore proprio dell’anima sua. E per questo modo va innanzi, e vassi 162 dalla imperfezione alla perfezione; alla quale pare che vogliate venire. Perocché l’amore non sta ozioso, ma sempre adopera grandi cose. [p. 64 modifica]Facendo così, vi vestirete del mirollo 163 della virtù della pazienzia, che è la rairoUa della carità; e goderete delle pene, purché voi vi possiate conformare con Cristo crocifisso; e a portare le pene e obbrobrii suoi, vi parrà godere. E fuggirete le conversazioni, e diletteretevi della solitudine; e non presumerete di voi; ma confiderete in Cristo crocifisso. E non s’empirà la mente vostra di fantasie, ma di vere e reali virtù: amando con il cuore schietto e non finto, 164 libero e non doppio; ma in verità amerete lui sopra ogni cosa, e il prossimo come voi medesime. Né per molestie del demonio, che vi desse laidi e malvagi pensieri, né per fragilità della carne, né per molestie delle creature, non verrete a tedio né a confusione di mente; ma con fede viva direte con Paolo Apostolo: «per Cristo crocifisso ogni cosa porterò, che é in me, che mi conforta». Riputatevi degne delle pene, e indegne del frutto, per umiltà. 165 Amatevi, amatevi insieme con una carità fraterna in Cristo dolce Gesù, tratta dall’abisso della sua carità. Altro non vi dico. Dio vi riempia della sua santissima grazia.

Di una cosa vi prego: che voi non andiate per molti consigli; ma pigliate uno consigliero il quale vi consigli schiettamente, e quello seguitate. Però che andare per molti è cosa pericolosa. Non che ogni consiglio, che é fondato in carità, non sia buono: ma come e’ servi di Dio sono differenti nei [p. 65 modifica]modi, poniamochè tutti siano nell’affetto della carità; così differente danno la dottrina. Onde se le genti assai cercano, 166 con tutti si vorriano confromare: e quando veniste a vedere, 167 trovereste vedova l'anima d’ognuno. E però è il meglio ed è di bisogno, che l’anima si feudi in uno, e in quello s’ingegni d’essere perfetta; e nondimeno gli piaccia la dottrina di ciascuno. Non, che li vada cercando per sé; ma debbegli piacere li differenti e diversi 168 modi che Dio tiene con le sue creature, ed averli in riverenzia, vedendo che nella casa del Padre nostro sono tante mansioni.

Or bagnatevi e annegatevi nel sangue di Cristo crocifisso dolce amore. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore. [p. 66 modifica]

LXXXIII. — A Conte di Conte da Firenze, 169 Spirituale.

Fede è amore, amore è Fede. La Fede s’illumina nel dolore, il qual prova l'anima, accresce, l’intendimento moltiplica i meriti. Legge consolante del progresso morale e sociale: clie dopo il fallo può crescere il merito, crescere coli’ umiltà l’amore verso Dio e verso gli uomini. Fiducia in sé speijne fede. Ogni colpa è infedeltà, e viene da presunzione. Lettera di conforto a chi era forse caduto.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedere in te il lume della santissima fede, il quale lume ci mostra la via della verità; e senz’esso neuno nostro esercizio, desiderio, operazione 170 verrebbe a frutto, né a perfezione, né a quel fine per lo quale avessimo cominciato; ma ogni cosa verrebbe imperfetta, e, lenti saremmo nella carità di Dio e del prossimo. La cagione è questa: che pare 171 che tanto sia la fede quanto l’amore, e tanto l'amore quanto la fede. Chi ama, sempre è fedele a colui cui egli ama, e fedelmente il serve infino alla morte. carissimo figliuolo, questo è quel lume che conduce l’anima a porto di salute, tràla dal [p. 67 modifica]loto 172 della miseria, e dissolve in lei ogni tenebra di proprio amore: perocché in esso cognosce quanto è spiacevole a Dio e nocivo alla sua salute; e però si leva con odio e caccialo fuore di se. Con fede viva cognobbe che ogni colpa è punita, e ogni bene è remunerato; e però abbraccia la virtù, e spregia il vizio. Con grande sollecitudine diventa costante e perseverante in fino alla morte; in tanto che nè dimenio nè creatura nè la fragile carne il fanno voliere il capo addietro, quando questo lume perfettamente è nell’anima. Alla quale perfezione si viene con molto esercizio, con ansietato desiderio, e con profonda umiltà. La quale umiltà l’anima acquista nella casa del cognoscimento di sè, col mezzo della continua, umile, e fedele orazione, con molte battaglie dal dimonio, e molestie dalle creature, e da se medesimo, cioè dalla perversa volontà, e dalla fragile carne che sempre impugna centra lo spirito. A tutte resiste col lume della santissima fede; col quale lume, nella dottrina del Verbo, s’innamorò del sostenere pene e fadighe per qualunque modo Dio gliele permettesse; non eleggendo tempo nè luogo nè fadighe a modo suo, ma secondo che vuole la Verità Eterna, che non cerca né vuole altro che la nostra santificazione.

Ma perchè ci permette queste fadighe e tante ribellioni? Perché si provi in noi la virtù; e acciò che col lume cognosciamo la nostra imperfezione, e l’adiutorio che l’anima riceve da Dio nella battaglia e fadighe; e acciò che cognosciamo il fuoco della sua carità nella buona volontà che egli ha riservata nell’anima nel tempo della tenebra e delle molestie e delle molte fadighe. [p. 68 modifica]Per questo cognoscimento che ha nel tempo delle fadighe, leva da se la imperfezioue della Fede, e viene a perfettissima Fede, per la molta esperienza che n’ha avuta e provata, 173 essendo ancora nel camino della imperfezione. Questo lume tolle via in tutto la confusione della mente; non tanto che 174 nel tempo delle battaglie, ma eziandio se l’uomo attualmente fosse caduto in colpa del peccato mortale, di qualunque peccato si sia, la fede il rileva. Perchè col lume ragguarda nella clemenzia, fuoco ed abisso della carità di Dio, distendendo le braccia della speranza, e con esse riceve e stringe il frutto del sangue, nel quale ha trovato questo dolce e amoroso fuoco; con una contrizione perfetta, umiliandosi a Dio, e al prossimo per lui, 175 e reputasi il minimo, il pili vile di tutti gli altri. E così spegne la colpa dentro nell’anima sua per contrizione e speranza del sangue; il qual sangue fa introdotto 176 dal lume della fede. Per questo modo viene a tanta perfezione e a tanto amore del divino e amoroso fuoco, che egli può dire insieme col dolce Gregorio: o felice e avventurata colpa, 177 che meritasti avere così fatto Redentore! Fu felice la colpa di Adam? No, ma il frutto che per essa ricevemmo, fu felice, [p. 69 modifica]vestendo 178 Dio il suo Figliuolo della nostra Umanità, e ponondogli la grande obbedienzia, che restituisce a grazia l’umana generazione; ed egli come innamorato, corse a pagare’ il prezzo del sangue suo. Così dico dell’anima. La colpa sua non è felice, ma il frutto che riceve nell’affetto della carità, per la grande e perfetta emendazione che ha fatta col lume della fede, come detto è, e perchè cresce in cognoscimento e umiltà. Ella se ne va tutta gioiosa all’obbedienzia de’ comandamenti di Dio ricevendo con odio e amore questo giogo sopra le spalle sue; e subito corre, come innamorata, a dare la vita, se bisogna, per salute dell’anime. Perchè col lume ha veduto che l’amore e le grazie, che ha trovato in Dio, a lui non può rendere. Puogli bene rendere amore, ma debito 179 di utilità, no, per grazia che egli riceva da Dio; però che egli non ha bisogno di noi: ma ben può rendere al prossimo, facendo utilità a lui, poiché a Dio non la può fare. E veramente egli è così; che servendo al prossimo caritativamente, noi dimostriamo in lui l’amore che abbiamo alla somma Eterna verità. In questa carità si pruova se le virtù in verità sono nell’anima, o no. Sicché l’anima corre, come obediente, e ha legata la sua volontà a compire la volontà di Dio nel prossimo suo; non lassando per pena né per veruna cosa, 180 in fino alla morte.

Con questo lume gusta l’arra di vita eterna, nutricandosi per affetto d’amore al petto di Cristo [p. 70 modifica]crocifisso, dilettandosi di furare 181 le virtù, e la vita e maturità, che ebbero i veri gustatori cittadini della vita beata, mentre che furono peregrini e viandanti in questa vita. Con questa fede si porta la chiave del sangue, con la quale si disserra vita eterna. La fede non presume di sé, ma del suo Creatore; perchè non v’è il vento della superbia con la propria reputazione; 182 la quale reputazione, e superbia, immondizia, e ogni altro difetto e miseria sono i frutti della infedelità che aviamo verso di Dio, e della presunzione di fidarci in noi medesimi. Il quale è uno vermine che sta nascosto sotto la radice dell’arbore dell’anima nostra; e se l’uomo noll’uccide col coltello dell’odio, rode tanto, che o egli fa torcere l’arbore, o egli il manda a terra, se con grande diligeuzia e umiltà l’anima non si procura. 183 Spesse volte sarà l’uomo sì ignorante per l’amore proprio di sé, che egli non s’avvedrà che questo vermine vi sia nascosto. E però Dio permette le molte battaglie e persecuzioni, e che l’arbore si torca, e alcuna volta che caggia. Non permette la mala volontà, ma permettegli il tempo, 184 e lassalo guidare al libero arbitrio suo, solo perchè egli ritorni a sé medesimo; e con questo lume, umiliato, cerchi [p. 71 modifica]questo vermine, e metta mano al coltello dell’odio, ed uccidalo. E non ha materia quell’anima di rallegrarsi, e ricognoscere la grazia che Dio gli ha fatta d’avere veduto e trovato in sé quello che non cognosceva? Sì bene. Sicché per ogni modo, carissimo figliuolo, in ogni stato che l’uomo è, o giusto o peccatore, o che sia caduto e poi si rilevi, gli é necessario questo lume.

Quanti sono gl’inconvenienti che ne vengono per non averlo! Non mi pongo a narrarlo, né a dirne più; che troppo sarebbe lungo. Basti per ora quello che ne ho detto. Quanto gli è utile e dilettevole a darvelo, 185 non tel so esprimere con lingua né con inchiostro; ma Dio tel faccia provare per sua infinita misericordia. Così voglio che sia. E però dissi che io desideravo di vedere in te il lume della santissima fede.

Sómmi molto meravigliata delle lettere che hai mandate a Barduccio 186 Per neuna cagione voglio che ti parti dalla Congregazione 187 de’ tuoi fratelli (guarda già, 188 che tu non andassi al luogo perfetto della religione); né che tu venga mai a confusione di mente; ma tutto umiliato ti facci suddito al più minimo che ve n’é. 189 Né, per questo, lassare che tu non porga a loro quella verità che Dio ti facesse cognoscere. 190 Or cominciamo testé di nuovo a pigliare i rimedi 191 sopradetti, acciò che il dimonio [p. 72 modifica]della tristizia e confusione non assalisca l’anima nostra: che peggio sarebbe l'ultima, che le prime; 192 e sarebbe grande offesa di Dio. Permani nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

LXXXIV. — A Frate Filippo di Vannuccio, e a Frate Niccolò di Pietro di Firenze, dell’ordine di Monte Oliveto.

(Fatta in astrazione).

Obbedienza è pazienza nel bene, consolata dalla carità, sostenuta dall’umiltà dignitosa. Ogni virtù è obbedienza a una legge. Esempio di Gesù Cristo. Obbedienza è giustizia che l’uomo rende, più che agli altri, a sé, conoscendo che poca cosa egli sia nell’ordine sociale. Insidie del tentatore grossolane per farci disobbedire, altre più fine, sotto specie di perfezione. Il senso umiliato delle proprie battaglie ci consiglia obbedienza; e così dai pericoli abbiamo salute. Obbedienza volontaria ben si concilia con povertà volontaria; e ambedue ci francano dalla servitù superba del mondo. Lodi eloquenti dell’obbedienza; dove ogni inciso è un argomento. Danni del contrario.

Al nome di Gesù Cristo crocifìsso e di Maria dolce.

Carissimi figliuoli in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi fondati in vera e perfetta pazienzia; perocché senza la pazienzia non sareste piacevoli a Dio, e non portereste il giogo della santa obedienzia, ma con impazienzia ricalcitrereste 193 al prelato e all’ordine vostro. E pazienzia non è mai se non in colui che sta in perfetta carità: onde colui che ama, [p. 73 modifica]de la malagevolezza che pare che sia in portare i costumi dell’ordine, e le gravi obedienzie, e alcuna volta indiscrete. Ma poiché per l’amore la malagevolezza si parte, e con pazienzia porta; è fatto subitamente suddito e vero obediente. Ed è umile; che per superbia non leva mai il capo contra ’l prelato suo. E tanto sarà umile quanto obediente; e tanto obediente quanto umile. Oh quanto è dolce, figliuoli carissimi, questa dolce virtù della propria obedienzia! La quale obedienzia tolle ogni fadiga, perocché è fondata in carità; e carità non è senza pazienzia né senza umilità. Perocché l’umilità è baglia e nutrice della carità. Ma vediamo un poco il frutto di questa virtù dell’obedienzia, e se elli é frutto di vita no; e quello che esce del disobediente.

Ogni creatura, figliuoli carissimi, che ha in sé ragione, debbe essere obediente a’ comandamenti di Dio. La quale obedieuzia leva via la colpa del peccato mortale, e riceve la vita della Grazia. Perocché con altro strumento non si leva la colpa, e non si fa la colpa. Nella obedienzia si leva la colpa, perocché osserva i comandamenti della legge; e nella disobedienzia offende, perché trapassa quello che gli fu comandato, e fa quello che gli é vietato; onde ne gli nasce la morte e elegge subito quello che Cristo fuggì, e fugge quello che egli elesse. Cristo fuggì le delizie e li stati del mondo; egli lo cerca, mettendo l’anima sua nelle mani delle dimonia per potere avere e compire i suoi disordinati desiderii; fuggendo quello che ’l Figliuolo di Dio abbracciò, cioè scherni, strazii, vituperi, i quali con pazienzia portò infino all’obbrobriosa morte della croce, e umilmente, e tanto che non è udito [p. 74 modifica]Chiesa di San Domenico - Sodoma                      Fot. Lombardi
Svenimento di Santa Caterina
[p. 75 modifica] [p. 76 modifica]il suo grido per veruna mormorazione; ma sostenne infino alla morte per compire l’obedienzia del Padre e la salute nostra. Ma colui che è obediente, seguita le vestigie di questo dolce e amoroso Verbo, e cerca l’onore di Dio e la salute dell’anime. Sicché vedete che ogni creatura che ha in se ragione, se vuole la vita della Grazia, si conviene che passi col giogo dell’obedienzia. Ma attendete, che questa è una obedienzia generale, alla quale generalmente ciascuno è tenuto e obbligato. Ed è un’altra obedienzia, che è particolare, la quale hanno coloro che, osservati i comandamenti, seguitano i consigli, volendo andare attualmente e mentalmente per la via della perfezione. Questi sono coloro che entrano nel giardino della santa religione. Ma agevole cosa gli sarà ad obedire all’ordine e al prelato suo, a colui che ha osservata l'obedienzia generale, e dalla generale è ito alla particolare. Onde se elli è ito con la volontà morta, come debbe, egli gode, e stando nell’amaritudine sente 194 la dolcezza, e nel tempo della guerra gusta la pace, e nel mare tempestoso fortemente naviga; perocché il vento dell’obedienzia tanto forte195 mena l’anima nella navicella dell’ordine, che neuno altro vento contrario che venisse, la può impedire. Non il vento della superbia; perocché egli è umile, che altrimenti non sarebbe obediente; non la impazienzia, perocché egli ama, e per amore s’è sottoposto all’Ordine e al prelato, e non tanto al prelato, ma a ogni creatura per Dio: e la pazienzia è il midollo della carità. Onde noi paò percuotere il vento della infedelità, né [p. 77 modifica]il vento della ingiustizia; peroechè giustamente rende il debito, suo: onde a sè rende odio e dispiacimeuto della propria sensualità, la quale, se la ragione non tenesse il freno in mano, ricalcitrerebbe all’obedienzia; e a Dio rende gloria, e loda al nome suo, e al prossimo la benevolenzia, portando e sopportando i difetti suoi. Allora con fede viva (perchè alla Fede sono seguitate le opere) aspetta, nell’ultimo della vita sua, di tornare al fine suo nella vita durabile, siccome il prelato gli promise nella sua professione. Perchè gli promette di dargli vita eterna, se in verità osserva i tre voti principali, cioè obedienzia, continenzia e povertà volontaria; le quali cose tutte il vero obediente osserva. Questa navicella va sì diritta verso il porto di vita eterna col vento dell’obedienzia, che in veruno scnglio si percuote mai.

Molti scogli si trovano nel mare di questa tempestosa vita, ne’ quali ci peruoteremmo, se il vento prospero dell’obedienzia non ci fusse. Or che duro scoglio è quello delle impugnazioni delle dimonia, le quali non dormono mai, volendo assediare l’anima di molte varie, diverse e laide cogitazioni; e più nel tempo che l’anima si vuole stringere e serrare, con questo vento dell’obedienzia, con umile orazione (la quale orazione è uno petto dove si notricano i figliuoli delle virtù), solo per impedirla! 196 Perocché la malizia del dimonio il fa solamente per farci venire a tedio l’orazione e la santa obedienzia, quasi volendo metterci ne’ cuori una [p. 78 modifica]bilità di non potere perseverare in quello che è cominciati», nè portare le fadighe dell’ordine; e la paglia gli fa parere una trave; e una parola che gli sia detta nel tempo delle battaglie, gli farà parere uno coltello, dicendogli: «che fai tu in tante pene? meglio t’è di tenere altra via». Ma questa è una battaglila grossa 197 a chi ha punto d’intelletto; perocché l’uomo vede bene che meglio è per l’anima sua che sia perseverante e costante nella virtù cominciata. Ma un’altra ne pone, colorata col colore dell’odio e del cognoscimento del difetto suo, e dello schietto e puro servire che gli pare che debba fare al suo Creatore, dicendo nella mente sua: «misero, tu debbi fare le tue operazioni e orazioni schiette con purità di mente e semplicità di cuore, senz’altri pensieri; e tu fai tutto il contrario: onde, perchè tu non le 198 fai come tu debbi, elle non sono piacevoli a Dio. Meglio t’è dunque di lassare stare». Questa, figliuoli carissimi, è una battaglia occulta, mostrandoci prima la verità di quello che è, e facendocela cognoscere; ma poi di dietro v’attacca la bugia, la quale germina il veleno della confusione. Onde, giunta la confusione, perde l’esercizio; e perduto l’esercizio, è atto a cadere in ogni miseria, e nell’ultimo nella disperazione. E però si fa tanto dinanzi, 199 e tanto da lunga con sottili arti, cioè per giungerlo 200 qui, non perchè egli 201 creda che di primo colpo egli cadesse [p. 79 modifica]in quelle cogitazioni, cioè che vi consentisse. Chi è colui che campa e non percuote in questo scoglio? Solo l’obediente, perocché egli è umile; e l’umile passa e rompe tutti i laccioli del dimonio. Sicché vedete che all’obediente non bisogna di temere di timore servile per alcuna cogitazione o molestia del dimonio. Tenga pur ferma la volontà, che non consenta, annegandola nel sangue di Cristo crocifisso, e legandola, col lume della vera obedienzia, per amore e reverenzia del Verbo Unigenito Figliuolo di Dio.

E trovasi ancora lo scoglio della fragile e miserabile carne che vuole impugnare contra allo Spirito; la quale è vestita d’amore sensitivo, il quale amore sarebbe offendere, perocché la carne ha sempre in sé ribellione, e alcuna volta si corrompe. Ma non sarebbe offesa, se non inquanto la volontà legata 202 col proprio amore sensitivo, consentisse alla fragile carne, e dilettasi 203 nel suo corrompere. Ma se la volontà è morta nell’amore sensitivo e nel proprio diletto, e legata nella obedienzia, come detto è; con tutte le sue ribellioni non gli può nuocere, né impedire la navicella; anco, è uno agumentare e dare vigore al vento, che più velocemente corra verso il termine suo. Perocché l’anima che si sente impugnare, si leva talora dal sonno della negligenzia con odio e cognoscimento di sé e con vera umilità. Che se così non fusse, dormirebbe nella negligenzia con molta ignoranzia e presunzione; la quale presunzione notricherebbe la suberbia: e presumendo di sé medesimo alcuna cosa. 204 Onde per le [p. 80 modifica]pugne 205 diventa più umile. E perciò dissemo, che tanto è obediente quanto umile. Se dunque cresce la virtù dell’umilità, cresce, anco la virtù dell’obedienzia. Sicché vedete che corre più velocemente.

Ecci anco lo scoglio del mondo; il quale, come ingannattore, si mostra con molte delizie, stati e grandezze, tutto fiorito; e nondimeno egli ha in sé continua amaritudine, ed é senza alcuna fermezza o stabilità. Ma ogni suo diletto e piacere viene tosto meno: siccome la bellezza del fiore, il quale, quando é tolto dal campo, pare, a vederlo, bello e odorifero; e, colto, subito è passata la bellezza e l'odore suo, ed è tornato a non cavelle. 206 Così la bellezza e gli stati del mondo paiono uno fiore; ma subitochè l’affetto dell’anima gli piglia con disordinato amore, si trova voto e senza bellezza alcuna, perduto quell’odore che avevano in loro. Odore hanno in quanto sono escite dalla santa mente di Dio; ma subito l’odore é partito in colui 207 che l’ha colte e possiede con disordinato amore; né per difetto loro né del Creatore che le ha date, ma per difetto di colui che le ha tolte, il quale non le ha lassate nel luogo dove elle [p. 81 modifica]debbono stare, cioè amarle per la gloria e loda del nome di Dio. Chi ’l passa questo scoglio? l’obediente, osservando il voto della povertà volontaria.

Sicché dunque vedete che non bisogna di temere di veruno scoglio che sia, avendo voi il vento 208 della vera obedienzia. L’obediente gode, perocché non naviga sopra le braccia sue, ma sopra le braccia dell’Ordine. Egli è privato della pena affliggitiva, perocché ha morta la propria volontà che gli dava pena; perocché tanto e’ è fadiga ogni fadiga, quanto la volontà 209 gli pare fadiga. Ma all’obediente, che non ha volontà, la fadiga gli è diletto, e i sospiri gli sono uno cibo, e le lagrime beveraggio. E ponendosi alle mammelle della divina Carità, trae a sé il latte della divina dolcezza per lo mezzo di Cristo crocifisso, seguitando in verità le vestigie e la dottrina sua. O obedienzia, che sempre stai unita nella pace e nella obedienzia del Verbo, tu se’ una reina coronata di fortezza; tu porti la verga della lunga perseveranzia; tu tieni nel grembo tuo i fiori delle vere e reali virtù; ed essendo l’uomo mortale, tu gli fai gustare il bene immortale; ed essendo umano, il fai diventare angelico, e d’uomo, angelo terrestre. 210 Tu pacifichi e unisci i disordinati; e chi t’ha, 211 sempre è suddito alli più minimi; e quanto più si fa suddito, più è signore; perocché signoreggia la propria sensualità, e ha spento il fuoco con la divina carità, [p. 82 modifica]rocche per amore è obediente. E della cella s’è fatto uno cielo; perocché nou esce della cella del cognoscimento di sé, ma in su la mensa della croce con l’obediente Agnello mangia l’onore di Dio e la salute dell’anime. In te, obedienzia, non cade giudicio verso alcuna creatura, e singolarmente nel prelato tuo; perocché tu se’ fatta giudice della dolce volontà di Dio, giudicando che Dio non vuole altro che la tua santificazione; e ciò che dà e permette, dà per questo fine. Pigli 212 la compassione del prossimo, ma non giudicio né mormorazione. Tu non vuoli investigare la volontà di chi ti comanda; ma semplicemente, con semplicità di cuore, condita con prudenzia, obedisci in quelle cose dove non è colpa di peccato; e di neuna cosa ristolli mai. 213 Bene è dunque, che nell’amaritudine gusti la dolcezza, e nel tempo della morte la vita della Grazia. O carissimi figliuoli, chi sarà colui che non s’innamori di così dolci e soavi frutti, quanti riceve l’anima nella virtù dell’obedienzia? Sapete chi li riceverà? Quegli che coll’ occhio dell’intelletto, e con la pupilla della santissima Fede si specola 214 nella Verità; cognoscendo in essa Verità se è la bontà di Dio in sé, nella quale bontà truova l’eccellenzia di questa dolce e reale Virtù.

Chi è colui che non la vede? Chi non ha il lume, e però non la cognosce; e non cognoscendola, non l’ama; e non amandola, non è vestito, ma é spogliato dell’obedienzia, e vestito della [p. 83 modifica]dienzia. La quale disobedienzia dà frutto di morte, ed è uno vento traverso, che fende la navicella, percuotendola nelli scogli detti: onde l’anima affoga nel mare con molta amaritudine, per la privazione della Grazia, trovandosi nella colpa del peccato mortale. Egli è fatto incomportabile a sè medesimo; privato della carità fraterna: egli trapassa il voto promesso, e non l’osserva. 215 Non osserva l’obedienzia, e non osserva 216 la continenzia: perocché impossibile gli sarebbe al disobediente essere continente; e se fusse attualmente, non sarebbe mentalmente. E non osserva il voto della povertà volontaria; perocché quegli che é nel proprio amore, appetisce i diletti del mondo, e viengli a tedio l’orazione e la cella, dilettandosi della conversazione. Oh quanta miseria n’esce! 217 Egli è fatto perditore del tempo; egli volle il capo indietro a mirare l’aratro, e non persevera: egli è fatto debile, perocché ogni piccola cosa il dà a terra: egli si priva d’ogni virtù: e sempre, come superbo; vuole investigare la volontà d’altrui, e massimamente quella del suo prelato. La lingua, figliuoli carissimi, non sarebbe sufficiente a narrare il male che esce della disobedienzia. Egli è impaziente, che non può sostenere una parola. Ed è attorniato da molti laccioli, e neuno ne passa: 218 ma gusta in questa vita l’arra [p. 84 modifica]dell’inferno. Che dunque diremo? Diremo che ogni male esce dalla disubedienzia; perocché è privata della carità e della virtù dell’umilità, le quali sono due ale che ci fanno volare a vita eterna: ed è privata della pazienzia, che è il midollo della carità, per la quale carità l’anima viene ad obedienzia.

Onde, considerando me, che per altra via non potiamo fuggire tanti mali e venire a tanto bene quanto 219 ci dà la virtù dell’obedienzia; dissi ch’io desideravo di vedervi fondati in vera e santa pazienzia: perocché obedienzia non si può avere senza pazienzia, e la pazienzia procede dalla carità; perocché per amore è fatto paziente e obediente, unto 220 di vera e perfetta umilità. Orsù, figliuoli miei, poiché sete intrati nella navicella della santa Religione, correte col vento prospero della vera obedienzia infino alla morte, acciocché senza pericolo giungiate al termine vostro di vita eterna. Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso. Altro non vi dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce. Gesù amore.

Raccomandateci strettamente al priore, e a tutti cotesti fitgliuoli. E voi siate specchio dell’obedienzia. Gesù dolce, Gesù amore. [p. 85 modifica]



LXXXV. — A Pietro di Tommaso de’ Bardi da. Firenze. 221

Fede senz'opere non è lume pieno; né vale l’opera senza amore. Chi è in colpa, non smetta il bene operare; il quale sarà rimunerato dal tempo datoci farsi migliore, dall’affetto de’ buoni che interceteranno per esso, dalle prosperità temperali. Fede vera è sorella a speranza. Si eri in Dio, non prenda sollecitudini troppo terrene. Accenna alla famiglia e a’ figliuoli; della cui grandezza i gentiluomini sono ignobilmente tenaci.

(In astrazione fatta).


Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce. Carissimo fratello e figliuolo in Cristo dolce Gesù, lo Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi illuminato del lume della santissima fede, e vestito di perfettissima speranza. Perocché in altro modo non potreste esser piacevole al nostro Creatore, nè partecipare la vita della Grazia; perocché fede viva non è mai senza opera. Che se fede fusse senz’opera, sarebbe morta, e partorirebbe e’ figliuoli suoi delle virtù morti, e non vivi. Però che colui che è senza il lume della fede, è privato della virtù della carità; e senza la carità nenuo bene che 222 faccia, o atto di virtù, 223 gli vale e vita eterna; benché neuno bene si debba lassare, che non si faccia, però che ogni bene é remunerato, e ogni colpa è punita. Poniamochè quello bene che è fatto in colpa di peccato mortale (che è privato allora del lume della santissima fede), non gli vale quanto a vita eterna: ma valgli 224 a molte altre cose, [p. 86 modifica]ricevendo grazia da Dio. Cioè, che non volendo la divina bontà che quel bene che adopeia l’uomo, passi inemunerato, egli il remunera, alcuna volta prestandoci ’l tempo, nel qual tempo abbiamo spazio di poterci correggere; o egli ci mette 225 nei cuori de’ servi suoi, costringendoli a desiderio della salute nostra; onde per quel desiderio e orazioni che fanno per noi, esclamo dalla tenebra del peccatomortale, e ridurrenci allo stato dilla grazia. O egli il remunera in cose temporali, se egli non si dispone per suo difetto a ricevere le spirituali. Sicché dunque vedete che ogni bene è remunerato. E però non si debbe lassare il bene; ma bene doviamo ingegnarci di farlo in Grazia, acciò che sia fatto col lume della fede, 226 nel qual lume della fede si partoriscono i figlinoli delle virtù vivi, cioè che danno nell’anima vita di Grazia.

O glorioso lume, che privi l’anima delle tenebre, e spoglila della speranza di sé e del mondo e de’ figliuoli e d’ogni creatura, e vestila della vera speranza la quale ha posto in Cristo crocifisso! E però non teme mai che gli manchi alcuna cosa, però che col lume della fede ha cognosciuta la divina bontà in sé; onde cognosce che Dio è potente a poterlo sovvenire: e è sapientissimo, che sa sovvenire; e è clementissimo, che vuole sovvenire la sua creatura che ha in sé ragione. Chi spera l lui, non gli manca 227 mai; ma a misura tanto ci provede, [p. 87 modifica]quanto noi speriamo nella sua larghezza. Onde tanto saremo proveduti, quanto noi spereremo. E però, se l'uomo cognosce sè con lume della fede, egli non si confida in sè, nè in suo sperare. 228 Però che cognosce, sè per sè non essere manifestamente: che se alcuna cosa fusse da sè, egli potrebbe possedere di quelle cose ch’egli ama, a suo modo. La qual cosa non é. Anco, quando vuole essere ricco, spesse volte gli conviene essere povero; vorrebbe la sanità e la lunga vita, ed egli 229 conviene essere infermo, e viengli meno ’l tempo. E però è stolto e maladetto colui che si confida nell’uomo; vedendo egli, che alcuna cosa non è da sè, vedendo che il mondo e l’uomo noi serve se non per propria utilità. Chi dunque si vorrà confidare in loro, sempre ne rimarrà ingannato; però che a 230 neuna cosa gli tiene fede. Che, volendo arricchire, egli impoverisce l’anima sua e sè, e’ figliuoli, della sustanzia temporale. Egli diventa disordinato e incomportabile a sè medesimo; desiderando quello che non debbe desiderare. E l’animo che é disordinato a volere quello che non ha, sempre pena; però che è privato del sommo Bene, ’l quale pacifica, quieta e sazia l’anima.

O fratello e figliuolo carissimo, aprite l’occhio dell’intelletto col lume della santissima fede, acciocchè cognosciate la poca fermezza e stabilità del mondo, e la grande bontà di Dio, fermo e stabile, che non si muove mai, 231 ’l quale sazia e nutrica [p. 88 modifica]l’anima nell’affettuosa carità, e vestela di speranza; sperando nel suo dolce Creatore. E sa bene che la divina Bontà vede di quello, che ha bisogno; e però offera il desiderio e ’l bisogno 232 a lui, servendolo con tutto il cuore e con tutto l’affetto suo. E la fadiga del corpo dà alla famiglia, sovvenendogli e aiutandogli 233 di quello che può. Con buona e santa coscienzia fa quello che può; e l’avanzo 234 lassa fare alla divina Bontà, in cui egli ha posto la speranza sua, perchè cognobbe col lume della fede la sua bontà e providenzia. In altro modo non veggo che potreste campare dal loto del mondo senza il lume della fede, onde trasse la speranza e l’affettuosa carità, gustando in questa vita l’arra di vita eterna, perchè la volontà sua è vestita della dolce volontà di Dio.

E però io vi dissi che desideravo di vedervi alluminato del lume della santissima fede, e vestito di perfettissima speranza. Così vi prego per l'amore di Cristo crocifìsso, che facciate voi e la donna vostra, acciò che non stiate in stato di dannazione. E quello che non fusse stato fatto per lo tempo passato, io voglio che si faccia per lo presente. E non aspettate il tempo a cercare la salute vostra, però che il tempo non aspetta voi; e però non dovete aspettar lui, facendo come ’l corvo, che dice cra cra. 235 Così e’ perditori del tempo sempre dicono: domane farò. E così si trovano giunti alla morte, [p. 89 modifica]e non se n’avveggono. E allora vuole 236 il tempo, e non lo può avere, quando ha speso il tempo suo miserabimente, con avarizia 237 e cupidità e guadagni illeciti e con molta immondizia della mente e del corpo suo, contaminando il sacramento del Matrimonio; fassi Dio de’ figliuoli suoi; e, come cieco, pone la speranza dove non la dee ponere. E così va di cecità in cecità; in tanto che, se non si corregge e non punisce la colpa con la contrizione del cuore, e con la confessione e satisfazione, giusta al suo potere e la sua possibilità, 238 dico (e non la impossibilità, che non la richiede Dio), giunge all’eterna dannazione. Voglio dunque, che vi destiate del sonno prima che venga la morte; e quello desiderio 239 e lume che Dio v’ha dato, non sia tolto da voi, ma con perseveranzia lo esercitiate col tesoro delle virtù, e col lume della fede, e colla perfettissima speranza. E non pensate che la divina Providenzia vi venga meno: ma sempre vi sovverrà, sperando voi in lui in ogni vostro bisogno. Altro non vi dico.

Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore. [p. 90 modifica]

LXXXVI. - All’abbadessa del monastero di Santa Maria delti Scalzi in Firenze. 240

La carità è latte d’ogni virtù. Non si guasta la dolcezza, di lei senza pena. Da compiacersi nel iene snpre ne viene il dispiaocimento salutare de’ mali nostri. Il dolore necessario all’amore è desiderabile. Amore vuole raccoglimento. Bandire da sè i profani e i devoti. La cella, patria e sposa. Vigiliare con la mente sopra di se; pregare con l’opera. Norme dell’obbedienza. Il superiore sia giusto con carità. La pena sia commisurata al merito ed alle forze.

Al Dome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima madre in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi fondata in vera carità, acciocché siate vera nutrice e governatrice delle vostre pecorelle. Bene è vero, che non potremmo nutricare altrui se prima non nutricassimo l’anima nostra di vere e reali virtù: e di virtù non si può notricare se non s’attacca al petto della divina carità, dal qual petto si trae il latte della divina dolcezza. A noi, carissima madre, conviene fare come fa il fanciullo, il quale volendo prendere il latte, prende la mammella della madre, e mettesela in bocca; onde col mezzo della carne trae a sè il latte: e così dobbiamo fare noi, se vogliamo notricare l’anima nostra. Perocchè ci dobbiamo attaccate al petto di Cristo crocifisso, in cui è la madre della carità; e col mezzo della carne sua trarremo il latte che notrica l’anima nostra, e’ figliuoli delle virtù: cioè, per mezzo dell’umanità di Cristo; perocché nell’umanità cadde, 241 e sostenne, la pena, ma non nella deità. [p. 91 modifica]E noi non potiamo notricarci di questo latte che traiamo dalla madre della carità, senza pena. E differenti sono le pene. Onde spesse volte sono pene di grandi battaglie o dal dimonio, o dalle creature, con molte persecuzioni, infamie, strazi e rimproverii. Queste sono pene in loro, ma non sono pene all’anima che s’è posta a notricare a questo dolce e glorioso petto, onde ha tratto 242 l’amore, vedendo in Cristo crocifisso l’amore ineffabile che ci ha mostrato col mezzo di questo dolce e amoroso Verbo. E uell’amore ha trovato l’odio della propria colpa, e della legge perversa sua, che sempre impugna contra allo spirito. Ma sopra l’altre pene che porta l’anima, che è venuta a fame e desiderio di Dio, sì sono i crociati e amorosi desiderii che ha per la salute di tutto quanto il mondo. Perocchè la carità fa questo, che ella s’inferma con quelli che sono infermi, e è sana con quelli che sono sani; ella piagne con coloro che piangono, e gode con coloro che godono; cioè, che piagne con coloro che sono nel tempo del pianto nel peccato mortale, e gode con quelli che godono che sono nello stato della Grazia. Allora ha presa la carne di Cristo crocifisso, portando con pene la croce con lui; non pena affliggitiva che disecchi l’anima, ma pena che la ingrassa, dilettandosi di seguitare le vestigio di Cristo crocifisso, E allora gusta il latte della divina dolcezza. E con che l’ha preso? con la bocca del santo desiderio; in tanto che, se possibile gli fusse [p. 92 modifica]d’avere questo latte senza pena, e con esso dare vita alle virtù (perocché le virtù hanno vita dal latte dell’affocata carità), nol vorrebbe. Ma piuttosto elegge di volerlo con pena per l’amore di Cristo crocifisso; perocchè non gli pare che sotto il capo spinato debbano stare i membri delicati, ma piuttosto portare la spina insieme con lui; non eleggendo portare a suo modo, ma a modo del capo suo. E facendo così, non porta, 243 ma il capo suo Cristo crocifisso n’è fatto portatore.

Oh quanto è dolce questa dolce madre della Carità! la quale non cerca le cose sue, cioè che non cerca se per sé, ma sé per Dio; e ciò che ella ama e desidera ama e desidera in lui; e fore di lui nulla vuole possedere; e in ogni stato ch’ella è, spende il tempo suo secondo la volontà di Dio. Onde s’ella è secolare, ella vuole essere perfetta nello stato suo; se ella è religiosa suddita, ella è perfetta angela terrestre in questa vita; e non appetisce nè pone l’amore 244 suo nel secolo, nè nella ricchezza, volendo possedere in particolare, perocchè ella vede che ella farebbe centra il voto della povertà volontaria, la quale promesse d’osservare nella sua professione. E non si diletta nè vuole la conversazione di coloro [p. 93 modifica]che gli volessero impedire il voto della castità: anco, li fugge come serpenti velenosi; e mettesi in bando delie grate e del parlatorio; e sbandisce la dimestichezza de’ devoti, e ribandiscesi 245 alla patria della cella, siccome vera e legittima sposa. E ine acquista al petto di Cristo crocifisso la vigilia, e l’umile e continua orazione; e non solamente l’occhio del corpo, ma l’occhio dell’anima veglia in cognoscere sè medesima, la fragilità, e la miseria sua passata, e la dolce bontà di Dio in sè, vedendosi essere amata ineffabilmente dal suo Creatore.

Onde allora gli seguita a mano a mano la virtù dell’umilità, e il santo e affocato desiderio, il quale è quella continua orazione della 246 quale Paolo ci manifesta, dicendo, che sempre dobbiamo orare senza intermissione. E al desiderio santo seguitano le sante e buone operazioni. E quella non cessa d’orare, che non cessa di bene adoperare. In cella fa mansione con lo sposo eterno, abbracciando le vergogne e le pene per qualunque modo gli concede; spregiando le delizie, lo stato e l’onore del mondo; annegando la propria e miserabile volontà; ponendosi dinanzi l’obedienzia di Cristo crocifisso, il quale per l’obedienzia del Padre e per la salute nostra corse all’obbrobriosa morte della croce. Sicchè, con l'obedienzia sua 247 è fatta obediente; e [p. 94 modifica]così osserva il terzo voto dell’obedienzia, e mai non recalcitra all’obedienzia sua; ne vuole investigare la volontà di colui che comanda, ma specialmente 248 osserva l'obedienzia. Or così fa il vero obediente; ma il disobediente sempre vuole sapere la cagione e il perchè 249 gli è comandato. Onde questa cotale non è mai osservatrice dell’ordine, ma trapassatrice. Ma quella che è obediente, sel pone dinanzi come specchio; e innanzi elegge la morte, che volerlo trapassare; sicché questa cotale è perfetta suddita.

E se ella ha a governare, ella è perfetta nello stato del reggimento, se ella ha notricata prima l’anima sua in virtù al petto di Cristo crocifisso. Allora, se ella è stata buona suddita, essendo poi posta a reggere, è buona nutrice delle sue figliuole; e riluce in lei la margarita della giustizia; e gitta odore d’onestà, dando esempio a loro di santa e buona vita. E perchè carità non è senza giustizia (anco, è giusta l’anima che la possiede [p. 95 modifica]te); 250 rende a ciascuno il debito suo. Onde rende a sé odio e dispiacimento di sé; a Dio rende per affetto d’amore gloria e loda al nome suo; e al prossimo rende la benivolenzia, amandolo e servendolo in ciò che può. A’ sudditi suoi rende a ciascuno secondo il suo stato: onde al perfetto, gli aita 251 ad aumentare la virtù; allo imperfetto e a quelli 252 che commette difetto, la correzione e punizione, poco e assai secondo la gravezza della colpa, e secondo che il vede atto a portare. 253 Ma non lassa mai passare il difetto impunito: e con carità, e non con animo, 254 il vuole punire piuttosto in questa vita che poi lo’ 255 sia punita nell’altra. Ma pensate, che se ella non avesse notricata l’anima sua, come detto è, e 256 non porterebbe la margarita della Giustizia, ma con molta ingiustizia menerebbe la vita sua; [p. 96 modifica]e, come ladra, 257 furerebbe quello che è di Dio, e darebbelo a sé. E così quello del prossimo; e non l'amerebbe se non per propria utilità. E le figliuole sue non governerebbe se noti a piacimento di se o delle creature; e per non dispiacer loro, farebbe vista di non vedere i difetti loro. O se correggesse con la parola, piglierebbe poco luogo, 258 perchè nol farebbe con ardire e sicurtà di cuore: però che, perchè la vita sua non è ordinata, germina paura e timore servile: e però non ha luogo il suo correggere. Non ci veggo dunque altro modo, se non di ponerci al petto di Cristo crocifisso; se per questo mezzo 259 (per lo modo detto, che gustiamo il latte della divina carità), e qui fare il fondamento.

Onde considerando me, che neuno altro rimedio né via c’è, dissi che io desideravo di vedervi fondata in vera e perfetta carità; e così vi prego per l’amor di Cristo crocifisso, che v’ingegniate d’essere, acciocché le pecorelle vostre sieno governate da voi con esempio di buona e santa vita; e acciocché le pecorelle che sono fuore dell’ovile della virtù, ritornino all’ovile loro. Ritraetele dalle conversazioni, e animatele 260 alla cella, e fatele sollecite al coro, e al refettorio in comune, e non in parti[p. 97 modifica]colare. 261 E se voi noi farete giusta il vostro potere, vi saranno rischieste da Dio; e sopra alla ragione de’ pesi 262 vostri, averete a rendere la loro. Adunque, carissima madre, non dormite più, ma destatevi dal sonno della niegligenzia. Altro non vi dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.


LXXXVII. - A Monna Giovanna Pazza.263

Segno di carità la pazienza, virtù regina. S’attinge dal sangue liberatore. Inno al sangue. Nobili imagini della sua ebrezza, tra mezzo traslati meno gentili del solito, ma non ricercati, e sgorgano da soprabboudanza d’ingegno e d’affetto.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figliuola in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi portare lealmente ciò che il nostro dolce Salvatore vi permette. E a questo cognoscerà la Vita eterna, che tu l’ami; però che altro segno non gli possiamo dare del nostro amore, se non di amare caritativamente ogni creatura che ha in sé ragione, [p. 98 modifica]e di portare con vera e reale pazienzia infino alla morte; non eleggendo luogo né tempo a modo nostro, ma a modo di Dio, che non cerca né vuole altro che la nostra santificazione. Troppo sarebbe grande ignoranzia, che noi infermi addimandassimo la medicina al nostro medico Cristo, ce la desse secondo el nostro piacere, e non secondo la sua volontà; che vede e cognosce quello che ci bisogna. Onde io voglio che tu sappi, figli unla mia, che ciò che Dio ci dà e permette in questa vita, il fa o per necessità della salute nostra, o per accrescimento di perfezione: e però d’obbiamo umilmente e con pazienzia portare, e con riverenzia ricevere aprendo l’occhio dell’intelletto a ragguardare con quanta carità e fuoco d’amore egli cel dà. E vedendo ch’egli dà per amore, e non per odio; per amore le riceveremo. E tanto c'è di necessità questa virtù della pazienzia, che ce la conviene procacciare acciò che non perdiamo il frutto delle nostre fadighe. E dovianci levare dalla negligenzia, e con sollecitudine andare colà dove ella si trova.

E dove si trova? In Cristo crocifisso. Perocché tanta fu la pazienzia sua, che il grido suo non fu udito per alcuna mormorazione. E’ Giudei gridavano: Crucifige; ed egli gridava: «Padre, perdona a costoro che mi crocifiggono, perchè non sanno che si fanno». Oh pazienzia 264 che ci desti vita, cioè, che portando le nostre iniqnitadi con pazienzia, le ponesti in sul legno della croce sopra el corpo tuo! Col sangue suo lavò la faccia dell’anima nostra; nel sangue sparto con tanto fuoco d’amore, [p. 99 modifica]e con vera pazienzia, ci creò a Grazia; il sangue ricoperse la nostra nudità, perocché ci rivestì di Grazia; nel caldo del sangue distrusse il ghiaccio, e riscaldò la tepidiezza 265 dell’uomo; nel sangue cadde la tenebra, e donocci la luce, nel sangue si consumò l'amore proprio, cioè, che l'anima che ragguarda sé essere amata nel sangue, ha materia di levarsi dal miserabile amore proprio di sé, e amare il suo Redentore che con tanto fuoco d’amore ha data la vita, e corso, 266 come innamorato, alla obbrobriosa morte della croce. Il sangue c’è fatto beveraggio a chi ’l vuole, e la carne cibo: però che in neuno modo si può saziare l’appetito dell’uomo, né tollersi la fame e la sete se non nel sangue. Che, perchè l'uomo possedesse tutto quanto il mondo, non si può saziare: però che le cose del mondo sono meno di lui: onde di cosa meno di sé saziare non si potrebbe. Ma solo nel sangue si può saziare, però che ’l sangue è intriso e impastato con la Deità 267 eterna, Natura infinita, maggiore che l’uomo. E però l'uomo ne sazia il desiderio suo, e 268 col fuoco della divina Carità: però che per amore fu sparto. Questo sangue fu dato a noi abbondevolmente: onde l'ottavo dì dopo la sua natività fu spillata la botticella 269 del corpo suo, quando fu circonciso; ma era [p. 100 modifica]si poco, che anco non saziava la creatura: ma al tempo della croce si mise la canna nel costato suo, e Longino 270 ne fu strumento, quando gli aperse il cuore. Votata questa botte della vita del corpo suo, separandosi l’anima da esso corpo; il sangue fu messo a mano, 271 e bandito con la tromba della misericordia e col trombatore del fuoco 272 dello Spirito Santo; che chiunque vuole di questo sangue, vada per esso. Dove? A questa botte medesima. Cristo, crocifisso; seguitando la dottrina e la via sua. Quale è la sua dottrina? Amare l’onore di Dio e la salute dell’anime; e con pene, forza, e violenzia della propria sensualità acquistare la virtù.

Che via ha a tenere chi vuole giugnere al luogo e alla dottrina per avere il sangue? E che vasello 273 e lume li conviene avere? Dico il lume della santissima fede, la quale fede è la pupilla che sta nell’occhio dell’intelletto. Però che se l’anima non avesse questo glorioso lume, smarrirebbe la via, siccome fanno gli uomini del mondo, che hanno accecato l'occhio dell’intelletto dalla nuvola del proprio amore e tenerezza di sé, e però vanno per la tenebra come abacinati. Costoro spregiano e schifano il sangue, non tanto che vadano per esso. Convienci dunque avere el lume, come diftto è, e tenere per la via del vero cognosci mento di noi me [p. 101 modifica]desimi, e del cognoscimento della bontà di Dio in noi, con olio del vizio e amore della virtù. Questa è una via, ed è una casa, dove l’anima cognosce ed impara la dottrina di Cristo crocifisso, in questa casa del cognoscimento di noi e di Dio, troviamo il sangue, dove noi troviamo 274 lavata la faccia dell’anima nostra.

Che vasello ci conviene portare? Dico che ’l 275 vasello del cuore: acciocché, come spugna, mettendo l'affetto del cuore nel sangue, tragga 276 a sé il sangue, e l’ardore della carità con che fu sparto. E allora l’anima s’inebria. 277 Poi che ha avuto il lume, ed è andata per la via, seguitando la dottrina di Cristo crocifisso; è giunta al luogo, ed empito el vasello, gusta uno cibo di pazienzia, uno odore di virtù, uno desiderio di sostenere, che non pare che si possa saziare di portare croce per Cristo crocifisso. E fa come l’ebrio, che quanto più beve, più vorrebbe bere; e così quest’ anima quanto più porta, più vorrebbe portare. E il suo refrigerio le sono le pene; e le lacrime che ha tratte per la memoria del sangue, le sono beveraggio; ed e’ sospiri le sono cibo. 278

Questa è dunque la via e ’l modo di potere giugnere alla Grazia, e acquistare questa reina [p. 102 modifica]della pazienzia. Della quale io ti dissi, che io ho desiderato di vederti portare’ realmente ciò che la divina Bontà ti permette, con vera e santa pazienzia. Or su, carissime figliuole, 279 non stiamo più a dormire nel sonno della negligenzia, ma entriamo nella bottiga aperta del costato di Cristo crocifisso (dove noi troviamo 280 el sangue) con ansietato dolore e pianto dell’offesa di Dio. Non ci ha veramente luogo dove riposare il capo, se non nel sangue e capo spinato di Cristo crocifisso. Ine dunque gittate saette 281 d’affocato desiderio, e di umili e continue orazioni per onore di Dio e salute dell’anime. Altro non dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.



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LXXXVIII. — Ad Angelo da Ricasoli Vescovo di Fiorenza. 282

Si desti dal sonno: sia pastore vero, con larghezza e libertà di cuore, senza fredezza e timore servile. Carità nutrita da umiltà, discaccia il timore il cui fornite è l’amore proprio. Imiti gli esempi de’ pastori santi. Deplora i venali, boriosi, viziati. Chiede un’elemosina per un monastero.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

A voi reverendissimo e carissimo padre in Cristo Gesù. Io Catarina serva e schiava di Dio e vostra, e di tutti li servi di Dio, scrivo, e confortuvi nel prezioso sangue sparto con tanto ardentissimo amore per noi. E benchè presunzione sia, voi mi perdonerete, e porretelo all’amore e al desiderio che io misera miserabile ho della salute vostra e [p. 104 modifica]d’ogni creatura; ma singolarmente di voi che sete padre di molte pecorelle. E però vi prego dolcissimamente che vi destiate, e leviate dal sonno della negligenzia, imparando dal dolce Maestro della carità, che ha posto la vita come pastore per le pecorelle, che volontariamente 283 udiranno la voce sua, cioè coloro che saranno osservatori de’ comandamenti suoi. E se ci 284 cadesse cogitazione nel cuore: «Io non posso seguitare questa perfezione, perocché mi sento debole e fragile ed imperfetto; 285 e per la illusione del dimonio, e per la fragilità della carne, e per le lusinghe e inganni del mondo sono indebolito;» e veramente, reverendo padre, è così, perocché colui che seguita questo, diventa debole, e sì pauroso e timoroso di timore servile, 286 che, come fanciullo, teme dell’ombra sua, e più l’ombra della creatura, che l’ombra sua: ed intanto abonda in lui questo timore, che non si cura, per non dispiacere alle creature, e per non perdere lo stato suo, che il suo Creatore sia offeso, e d’offenderlo. 287 Ma [p. 105 modifica]se egli è prudente 288 e savio fugge alla madre, e nel suo grembo diventa sicuro e perde ogni timore. Onde la inestimabile Bontà ha posto rimedio contra ogni nostra debolezza con la sua ineffabile carità. Perocché ella è quella dolcissima madre, che ha per nutrice la profonda umiltà, e nutrica tutti i figliuoli delle 289 virtù; e neuna virtù può avere vita se non è conceputa e parturita da questa mndre della carità. Così dice quello innamorato di Paolo, raccontando 290 molte virtù: che nulla gli vale senza la carità. Adunque seguitate quelli veri pastori che seguitare Cristo Crocifisso: perocché furono uomini come voi; e potente é Dio, come allora, perocché egli è incommutabile. Ma se essi tenevano le vestigie sue; e cognoscendo la debilezza loro, fuggivano umili, abbattuta la superbia dell’onore e amore proprio di sé; e fuggivavo alla madre della vera carità, e ivi perdevano ogni timore servile. E non temevano di correggere li sudditi loro, perchè tenevano a mente la parola di Cristo; cioè: «Non temete colui che può uccidere il corpo, ma me». E non me ne meraviglio: perocché l’occhio loro e [p. 106 modifica]il gusto non si pasceva 291 di terra, ma dell’onore di Dio e della salute delle creature: volendo servire, e ministrare le grazie spirituali e temporali. E come di grazia avevano ricevuto, di grazia davano; non vendendo per pecunia ne per simonia. Ma facevano come buoni ortolani e lavoratori posti nel giardino della santa Chiesa. E non attendevano ne a giuochi ne a grossi cavalli nè alla molta ricchezza, né a spender quello della Chiesa nel disordinato vivere, né quello che dee essere de’ poveri. 292 Ma stavano come fortificati da questa madre, al vento e all’acque delle molte battaglie; a divellere li vizii, e piantare le virtù: perdevano sé, e ragguardavano il frutto che portavano a Dio. Ed erano privati dell’amore proprio: onde amavano Dio per Dio, e perché è somma bontà e degno d’amore; e sé amavano per Dio, donando l’onore a Dio e la fadiga al prossimo; e il prossimo per Dio, non ragguardando ad utilità che da lui potessero ricevere, ma solo che egli possa avere e gustare 293 Dio.

Oimè, oimè, oimé, disavventurata l’anima mia! Non fanno oggi così. Ma perchè amano d’amore mercennaio, amano loro per loro, e Dio per loro, e il prossimo per loro. E tanto abonda questo perverso amore, il quale più tosto si debbo chiamare odio mortale, perchè ne nasce la morte! Oimè, piangendo il dico, che non si curano delle immondizie, né di mercantare 294 e vendere la grazia dello [p. 107 modifica]rito Santo. Vengono li ladri, che furano l’onore di Dio, e dannolo a loro. 295 Oimè, e non lo 296 impiccano per correggimento. Vede il lupo infernale portarne la pecora, e chiude gli occhi per non vederla. E questa è la cagione perchè non vede e non corregge; cioè per amore proprio di sé; onde nasce il disordinato timore: perchè egli si sente in quelli medesimi vizi, li quali gli legano la lingua e le mani; e noi lassa correggere né castigare il vizio. Non vorrei dunque, carissimo e reverendissimo e dolcissimo padre in Cristo Gesù, che questo addivenisse a voi ma prego vi che siate pastore vero, a ponere la vita per loro. E però dissi, che io pregavo e desideravo con grande desiderio che vi levaste dal sonno della negligenzia: perocché chi dorme, non vede e non sente. E egli è bisogno di molto vedere, molto sentire; perocché avete a rendere ragione di loro, e sete in mezzo de’ nemici, cioè del corpo, del dimonio, e delle delizie del mondo. La necessità della vostra salute m’297 invita a destarvi, e con lume seguitare la vita e li santi modi de’ veri pastori. Accostatevi adunque a questa dolce madre della carità, la quale vi torrà ogni timore servile e ogni freddezza di cuore, e daravvi fortezza e larghezza e libertà di cuore. Perocché Dio è carità: e chi sta in carità, sta in Dio e Dio in lui. Adunque, padre, poiché abbiamo veduto che la carità fortifica e tolleci la [p. 108 modifica]debilezza, e li nemici sono molti e ci assediano; non è da indugiarsi a intrare in questa fortezza, seguitando la via della verità, e degli altri pastori. Non aspettate il dì di domane; ma pregovi per l’amore di Cristo crocifisso, che vi rechiate innanzi la brevità del tempo, perocché non sapete se averete il dì di domane. Ricurdovi, che voi dovete morire, e non sapete quando. Non dico più, padre, se non che perdoniate a me misera miserabile.

E poiché sete padre de’ 298poveri, e perchè mi pregaste e facestemi promettere che la prima limosina che fosse da fare, che mi venisse alle mani, io vi richiedessi; e però ardisco e richieggo voi, come padre de’ poveri, e per adempire la promessa che io vi feci. Onde sappiate che io ho per le mani da fare una grandissima limosina, cioè al monastero di santa Agnesa,299 del quale altra volta vi scrissi; e sono buone donne, e santissima familia; ed è in grande bisogno. Ma tra gli altri 300 è questo, che essendo il monastero di fuore, si è ordinato che torni dentro per cagione delle brighe 301 e delle guerre: ma volsi per loro comincio cinquanta fiorini d’oro, per la parte del monastero; e li altri mette il Comune. E però io vi scrivo la necessità loro. Prego vi ed istringovi, che isforziate 302 il potere. Dio sia nell’anima vostra. Permanete nella santa carità di Dio. Gesù dolce, Gesù amore. [p. 109 modifica]

LXXXIX. — A Bartolo Usimbardi, e Francesco di Pipino da Firenze.

Gratitudine fonte della pietà, madre delle virtù. Fame del tempo.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figliuoli in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi grati e cognoscenti de’ beneficii ricevuti dal nostro Creatore; acciò che in voi si nutrichi la fonte della pietà. 303 Questa gratitudine vi farà solleciti ad esercitarvi alla virtù; perocché come la ingratitudine fa l’anima pigra e negligente, così questa dolce gratitudine le dà fame del tempo, 304 in tanto che non passa né ora né punto, che ella non lavori. Da questa gratitudine procede ogni vera virtù. Chi ci dà carità? Chi ci fa umili e pazienti? Solo la gratitudine. E perché vede il gran debitoche ha con Dio, s’ingegna di vivere virtuosamente; però che cognosce che Dio non ci richiede altro. E però, figliuoli miei dolci, recatevi con grande sollecitudine a memoria li molti beneficii ricevuti da lui, acciocché perfettamente acquistiate questa madre delle virtù. Altro non dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore. [p. 110 modifica]

XC. — A Madonna Laudomia, Donna di Carlo delli Strozzi 305 da Firenze.

Servire a Dio è libertà dignitosa dal male. Alla ricca signora raccomanda non amare soverchio la grandezza degli averi né de’ figliuoli, beni prestati. Solo la Grazia, appropriata a noi dal libero arbitrio, è cosa nostra.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima suoro in Cristo dolce Gesìi. Io Catarina, serva e schiava di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi vera serva di Cristo crocifisso. Il quale servire non è servire, ma è regnare, e fa l’anima libera, traendola della servitudine del peccato; tolleci la cecità, e dacci perfetto lume; tolleci la morte, e dacci la vita della Grazia: dacci pace e quiete, privandoci d’ogni guerra; e vesteci e saziaci del vestimento della carità e del cibo dell’Agnello (il quale Agnello fu cotto 306 e arrostito in sul legno della santissima croce col fuoco dell’amore dell’onore del Padre e della salute nostra); e fa l’uomo sicuro, tollendogli ogni timore servile. Adunque bene è grande [p. 111 modifica]cezza e inestimabile dignità di questo dolce servire a Dio. Bene dobbiamo dunque con vera e perfetta sollicitudine servirgli con tutto il cuore e con tutto l’affetto.

Ma attendete, che questo signore non vuole compagnia, nè vuole essere servito a mezzo, ma tutto; però che impossibile sarebbe a servire a Dio e al mondo. E così disse Cristo benedetto: «Neuno può servire a due signori; però che servendo l’uno, egli è in contente all’altro». Perché non hanno conformità insieme. Il mondo dà tutto il contrario che quello che noi abbiamo detto; però che chi serve alla propria sensualità, delizie, stati e ricchezze, onori e diletti sensitivi, o figliuoli o marito, o alcuna creatura, d’amore sensuale, cioè d’amarli per propria sensualità fuore di Dio; egli gli dà la morte, cecità, nudità; però che fa privare del vestimento della carità, e dagli vergogna, perdendo la sua dignità. E ha venduto il suo libero arbitrio al mondo, al dimonio, e legatolo alla servitudine del peccato, ponendo l’affetto e l’amore suo in cosa che è meno di sé. E però pecca offendendo Dio; però che tutte le cose create sono fatte perché servano a noi, e noi per servire a Dio. Dandomi dunque a servire a loro fuore di Dio, offendendo, divento servo e schiavo del peccato, che non è; e divento non ca velie, però che son privato di Dio, che è Colui che è.

Convienci dunque al tutto renunziare al mondo, e servire a Dio. Ma perché è tanto contrario il mondo a Dio? Perché Cristo benedetto e’ invita e e’ insegna a servirlo con povertà volontaria; però che se l'uomo possiede le ricchezze attualmente, non le debbe possedere mentalmente, cioè col desiderio, ma debbesi spogliare l’affetto d’ogni cosa terrena. [p. 112 modifica]Il mondo ama superbia, e Dio umiltà; e tanto gli piacque questa virtù, che noi vediamo che Dio s’è umiliato a noi, il Figliuolo suo con grande umiltà e pazienzia è corso infino all’obbrobriosa morte della Croce per noi. Egli c’invita, e richiede la virtù della vera pazienzia con speranza e fede viva; paziente, dico, a portare ciò che Dio ci concede, e per l’amore suo perdonare a chi ci offende. Il mondo vuole tutto il contrario; però che si vuole vendicare, e stare coll’odio e col rancore verso il prossimo suo. La speranza e la fede debbe essere posta in Dio, che è cosa ferma e stabile, no nelle creature; ma fidarsi, ed esser fedele a Cristo crocifisso, e non alla propria sensualità. Ed averà fede viva quando parturirà e’ figliuoli vivi delle virtù di 307 sante e buone operazioni. Dio, ancora, ama giustizia, e ’l mondo ingiustizia. Facciamo dunque, facciamo una santa giustizia di noi medesimi; quando il sentimento nostro sensitivo vuole ribellare al suo Creatore, levisi con affetto d’amore e col lume della coscienzia, e accusilo al signore, cioè al libero arbitrio, e leghilo col legame dell’odio, e col coltello del divino amore l’uccida. Or così facciamo, carissima suoro; però che facendo così, saremo servi fedeli: e essendo servi, saremo signori.

Avete veduto in quanta eccellenzia e utilità ne viene l’anima di questo santo servire; e senz’esso non possiamo avere il fine per lo quale noi fummo creati. E anco abbiamo veduto quanto è pericoloso308 e a quanta viltà e miseria si conduce l'anima che [p. 113 modifica]serve al mondo e alle delizie e diletti suoi. Abbiamo ancora veduto per che cagione non hanno conformità insieme, cioè perchè sono molto di lunga l’uno da l'altro. Cristo ama la virtù, e odia il peccato: e tanto l'amò e odiò, che, per vestircene noi, spogliò sé della vita, fabbricando le iniquitadi nostre sopra il corpo suo, con molti flagelli e pene, e vergogna e vituperio e nell’ultimo la penosa morte della croce. Poi, dunque, che tanto gli dispiace il peccato, dobbianlo fuggire e odiarlo infino alla morte; però che in altro modo non offende309 l'anima, se non in amare quello che Dio odia, e in odiare quello ch’egli ama.

Or leviamo dunque il santo desiderio, e con affetto d’amore serviamo a Dio, spogliando il cuore d’ogni vanità e d’ogni amore disordinato di figliuoli, di marito, e di ricchezze. E possedetele e amatele come cose prestate a noi; però che ogni cosa n’è dato in presto e per uso; e tanto ne bastino310 quanto piace a Dio che ve l'ha date. Cosa sconvenevole è a possedere la cosa che non è sua per sua; ma la divina Grazia è nostra, e dobbianla possedere per nostra. Bene è veramente nostra la cosa che né dimonio ne creatura ci può tollere se noi non vogliamo; e bene è ignorante colui che esso medesimo si priva di così grande tesoro. Or non ce ne facciamo caro,311 poiché n’è così grande dovizia. E acciò che meglio ’l possiate avere e conservare, nascondetevi nelle piaghe di Cristo crocifisso, e bagnatevi nel prezioso sangue suo. Non dico più. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce. Gesù amore. [p. 114 modifica]

XCI. — A Monna Agnesa moglie di Pipino Sarto.

Pazienza lieta in amore. Orazione madre.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figliuola in Cristo dolce Gesù. Io Catarina serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo; con desiderio di vederti crescere in uno desiderio santo e in una pazienzia vera, per siffatto modo, che mai non ti scordi 312 della dolce volontà di Dio; ma con una allegrezza ti sappi conformare313 in ogni tempo che Dio ti dà, e con allegrezza annegarti nel sangue di Cristo crocifisso, e ine fare il tuo riposo, e ogni tua abitazione.314 In questo glorioso sangue riceverai il lume; però che nel sangue si consuma 315 la tenebra. Riceverai nel sangue la vita della Grazia; però che nel sangue ci tolse la morte: e gusterai nel sangue il frutto della ardentissima carità. Perocché per amore fu sparto; e anco, l'amore fu quello, che ’l tenne confitto e chiavellato in croce; però che non erano sufficienti e’ chiovi, se l’amore non l’avesse tenuto; ma l’amore il tenne. Or di questo amore voglio che tu ti vesta. E volendotene vestire, ti conviene bagnare nel sangue di Cristo crocifisso: e così voglio che tu faccia. Sii sollecita all’orazione santa, al luogo e al tempo suo, quando tu puoi; però ch’ella è quella madre che [p. 115 modifica]trica i figliuoli delle virtù. Altro non ti dico. Permani nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù, dolce, Gesù amore.


XCII. — A uno Spirituale316 in Firenze.

A un divoto che si scandalizzava delle astinenze di lei, dichiara, si umilia, ma insieme ammonisce.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo e dilettissimo padre in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva inutile di Gesù Cristo, mi vi raccomando: con desiderio di vederci uniti e trasformati in quella dolce, eterna e pura Verità, la quale Verità tolle da noi ogni falsità e bugia. 317 Io, carissimo Padre, cordialmente vi ringrazio del santo zelo e gelosia318 che avete all’anima mia; in ciò che mi pare, che siate molto sospeso, udendo la vita mia. Son certa che non vi move altro,319 il desiderio dell’onore di Dio e della mia salute, temendo voi l’assedio e l’illusione delle dimonia. Di questo timore, padre, che voi avete singolarmente nell’atto320 del mangiare, io non mi maraviglio: che io vi [p. 116 modifica]metto,321 che non tanto che ne temiate voi, ma io stessa tremo per timore dell’inganno delle dimonia. Se non che io mi confido nella bontà di Dio; e sconfidomi di me, sapendo che di me io non mi posso fidare. Perchè mi mandaste domandando, se io credeva potere essere ingannata, ovvero se io credeva non potere essere ingannata, dicendo che, se io nol credo, che questo è inganno di dimonio. E io vi rispondo, che non tanto di questo, che è sopra la natura del corpo, ma di queste e di tutte l’altre mie operazioni, per la mia fragilità e per l’astuzia del dimonio io sempre temo, pensando di potere essere ingannata; però ch’io cognosco e veggo che ’l dimonio perdette la beatitudine, ma no la sapienzia,322 colla quale sapienzia, come dissi, cognosco che mi potrebbe ingannare. Ma io mi rivolgo, poi, e appoggiomi all’arbore della santissima croce di Cristo crocifisso, e ine mi voglio conficcare; e non dubito che s’io sarò confitta e chiavellata con lui per amore e con profonda unmiltà, che le dimonia non potranno contro di me, non per mia virtù, ma per la virtù di Cristo crocifisso.

Mandastemi dicendo, che singolarmente io pregassi Dio ch’io mangiassi. E io vi dico, padre mio, e dicovelo nel cospetto di Dio, che in tutti quanti e’ modi che io ho potuto, sempre mi sono sforzata, una volta e due il dì, di prendere il cibo; e ho pregato continuamente, e prego Dio e pregherò, che mi dia grazia che in quest’atto del mangiare io viva come le altre creature, se egli è sua volontà, [p. 117 modifica]ché la mia c’è. Dicovi, che assai volte, quand’io ho fatto ciò ch’io ho potuto, e io entro dentro da me a cognoscere la mia infirmità, e Dio323 che per singolarissima grazia m’abbia fatto correggere il vizio della gola; dogliomi molto, ch’io la mia miseria non l’ho corretta per amore. Io per me non so che altro rimedio ponermici,324 se non ch’io prego voi che preghiate quella somma eterna Verità che mi dia grazia, se gli è più suo onore e salute dell’anima mia, che mi faccia prendere il cibo, se gli piace. E io son certa, che la bontà di Dio non spregierà le vostre orazioni. Pregovi che quello rimedio che voi ci vedete, che voi me lo scriviate; e pur che sia onore di Dio, io il farò volentieri. E anco vi prego che voi non siate leggiero a giudicare, se voi non sete bene dichiarato325 nel cospetto di Dio. Altro non vi dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce. Gesù amore.

XCIII. — A monna Orsa Donna di Bartolo Usimbardi, e a Monna Agnesa Donna di Francesco di Pipino sarto di Firenze.

Riguardare non quello che s’è fatto di bene, ma quello che resta a farsi. Tocca de’ suoi detrattori con umiltà dignitosa.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figliuola in Cristo dolce Gesù, io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, [p. 118 modifica]scrivo a voi nel prezioso sangue suo: con desiderio di vedervi perseverare nel santo desiderio acciò che mai non volliate il capo addietro: perciocchè non ricevereste il frutto, e trapassereste la parola del nostro Salvatore, che dice che noi non volliamo il capo addietro a mirare l’arato. Adunque state perseveranti; e ragguardate non a quello che è fatto, ma a quello che avete a fare. E che abbiamo a fare? A rivollere continuamente l’affetto nostro verso Dio, spregiando il mondo con tutte le sue delizie, e amando la virtù; portando con vera pazienzia ciò che la divina Bontà permette a noi: considerando, che ciò che dà, dà per nostro bene, acciò che siamo santificati in lui. E nel sangue troveremo che gli è così la verità. Onde di questo glorioso sangue, che ci manifesta tanto dolce verità, ce ne dobbiamo empire la memoria, acciò che non stiamo mai senza il suo ricordamento. E così voglio che facciate voi, carissime figliuole; però che in questo mondo persevererete infino alla morte, e nell’ultimo della vita vostra riceverete la eterna visione di Dio. Non dico più qui.

Io ti riprendo, carissima figliuola mia dolce,però che tu non hai tenuto a mente quello ch’io ti dissi, cioè di non rispondere a persona che di me ti dicesse neuna cosa che ti paresse meno che buona. Onde io non voglio che tu faccia più così; ma voglio che l’una e l’altra di voi risponda in questo modo a chi vi narrasse e’ difetti miei: che non ne narrano tanti quanti molti più ne326 potrebbono narrare. Dite a loro, che si muovano a compassione dentro nei cuori loro dinanzi a Dio, come [p. 119 modifica]essi il mostrano con la lingua; pregando tanto la divina Bontà per me, che coregga la vita mia. Poi dite a loro che il sommo Giudice è quello che punirà ogni mio difetto, e remunererà ogni fatiga che per lo suo amore si porterà. 327 Verso di monna Paula328 non voglio che tu pigli sdegno neuno; ma pensa che ella faccia come la buona madre, che vuole provare la figliuola, se ella ha virtù o no. Confesso veramente, che in me poca fortuna ha trovata; ma ho speranza nel mio Creatore, che mi farà correggere e mutare molto. Confortatevi, e non vi date più pena; però che ci troveremo unite nel fuoco della divina Carità, la quale unione non ci sarà tolta né da demonio, né da creatura. Altro non vi dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

XCIV. — A Frate Matteo di Francesco Tolomei dell’Ordine de’ Predicatori.329

Dall’umiltà la pazienzia; in essa l’amore vero. L’idea di redenzione, confermando l'amore, fa il timore stesso essere filiale, e rivela all’uomo il segreto di sé. Lettera maravigliosa.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo Figliuolo in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con [p. 120 modifica]rio di vedervi cercare Dio in verità, senza alcuno mezzo della propria sensualità o d’alcuna altra creatura:330 perocché col mezzo non potremo piacere a Dio. Dio ci dié il Verbo dell’ unigenito suo Figliuolo, senza rispetto di propria utilità. Questo è vero, che in331 lui non potiamo fare utilità alcuna: ma non addiviene così di noi; perocché, perchè noi non serviamo a Dio per propria utilità, nondimeno l’utilità è pure nostra. A lui ne torna il fiore, cioè l’onore; e a noi il fiotto della utilità. Egli ci ha amati senza essere amato; e noi amiamo perchè noi siamo amati: egli ci ama di grazia, e noi amiamo lui di debito, perocché siamo tenuti d’amarlo. Sicché così addiviene dell’utilità, che noi non potiamo fare a Dio, come di non poterlo amare di grazia senza debito. Però che noi siamo obligati a lui, e non egli a noi: perocché prima che fusse amato, ci amò; e però ci creò alla immagine e similitudine sua. Ecco dunque, che non potiamo fare utilità a lui, né amarlo di questo primo amore. 332 E io dico che Dio ci richiede, che come egli ci ha amati senza alcuno rispetto,333 così vuole essere amato da noi. In che modo dunque il potremo avere,334 poiché egli [p. 121 modifica]cel richiede, e noi nol potiamo fare a lui?335 Dicovelo: collo mezzo che egli ha posto, onde doviamo amare lui liberalmente, e senza alcuno rispetto d’alcuna propria nostra utilità: cioè doviamo essere utili, non a lui, che non potiamo, ma al prossimo nostro. Or con questo mezzo potiamo osservare quello che egli ci richiede per gloria e loda del nome suo: e per mostrare l’amore che noi gli abbiamo, doviamo servire e amare ogni creatura che ha in sé ragione, e distendere la carità nostra a buoni e cattivi, e ad ogni generazione di gente, così a chi ci disserve e sono scandalizzati in noi, come a chi ci serve. Perocché Dio non è accettatore delle creature ma de’ santi desiderii; e la carità sua si distende a giusti ed a peccatori.

E’ vero che alcuno ama come figliuolo, alcuno come amico, alcuno come servo e alcuno come persona che è partita da lei e ha desiderio che torni; questi sono gl’iniqui peccatoli che sono privati della Grazia. Ma in che lor mostra l’amore questo sommo Padre? in prestargli il tempo; e nel tempo gli pone molti mezzi, o in pentimento del peccato, tollendogli il luogo e il potere che non possono fare tanto male quanto vogliono; e in molti altri modi, per fargli odiare il vizio, e amare la virtù, il quale amore della virtù gli tolle la volontà del peccato.336 [p. 122 modifica]E così per lo tempo che Dio gli diè per amore, di nemici sono fatti amici, e hanno la grazia e sono atti ad avere la eredità del padre.

Amore di figliuoli ha a coloro che in verità lo servono senza alcuno timore servile, i quali hanno annegata e morta la loro propria volontà, e sono obedienti per Dio infino alla morte, a ogni creatura che ha in sé ragione; e non sono mercennai che ’l servano per propria utilità, ma sono figliuoli; e le consolazioni dispregiano, e delle tribolazioni si dilettano, e cercano pure in che modo si possano conformare con Cristo crocifisso, e notricarsi degli obbrobri e delle fadighe e pene sue. Costoro non cercano né servano Dio per dolcezza né consolazione spirituale né temporale che ricevano da Dio o dalla creatura; perocché, non cercando Dio per loro337 né il prossimo per loro, ma Dio per Dio inquanto è degno d’essere amato, e loro per Dio per gloria e loda del nome suo; e il prossimo servono338 per Dio, facendogli quella utilità che gli è possibile. Costoro seguitano le vestigie del Padre, dilettandosi tutti nella carità del prossimo, amando i servi di Dio per amore che amano il loro Creatore; e amano gl’imperfetti per amore che vengano a perfezione, dandogli il santo desiderio339 e continue orazioni. Amano gli iniqui che giacciono nella morte del peccato mortale, perché sono creature ragionevoli create da Dio, e ricomperate d’uno medesimo Sangue, che il loro: onde gli duole la loro dannazione; e per [p. 123 modifica]camparli si darebbero alla morte corporale. E’ persecutori, e’ mormoratori, e’ giudicatori, che sono scandalizzati in loro, amano340 sì percbè sono creature di Dio, come detto è, e si perchè sono strumento e cagione di ponere le virtù in oro, e farli venire a perfezione; e specialmente in quella reale virtù della pazienzia, virtù dolce, che non si scandalizza né si turba, né dà a terra per alcuno vento contrario né per alcuna molestia d’uomini. Costoro sono coloro che cercano341 senza mezzo, e l'amano in verità come legittimi e cari figliuoli; ed egli ama loro come vero padre, e manifesta loro il segreto della sua carità, per fargli avere la eredità eterna onde corrono come ebbri del sangue di Cristo, arsi nel fuoco della divina Carità, dalla quale sono illuminati perfettamente. Costoro non corrono per la via delle virtù a loro modo; anzi a modo di Cristo crocifisso, seguitando le vestigie sue. E se gli fusse possibile servire Dio ed acquistare le virtù senza fadiga, non le vogliono. Questi non fanno come i secondi, cioè l’amico e il servo; perché alcuna volta il loro servire è con alcuno rispetto. Onde talvolta è con rispetto di propria utilità; e per questo viene a grande amicizia, perchè cognosce il bisogno, e il suo benefattore, il quale vede che ’l può sovvenire, e vuole. Benché342 prima fu servo, perocché cognobbe il suo male, dal quale male seguitava la pena: onde col timore della pena caccia il vizio, e [p. 124 modifica]con l’amore abbraccia le virtù, cioè, servire il suo Signore, colui ch’egli ha offeso; e comincia a pigliare speranza nella sua benignità, considerando che egli non vuole la morte del peccatore, ma vuole che egli si converta e viva. Che se egli fusse pur nel timore, non sarebbe sufficente ad avere la vita, nè tornerebbe a perfetta grazia col Signor suo; ma sarebbe servo mercenario. Né anco debbo stare pur nell’amore del frutto, e della consolazione che ricevesse dal Signore suo, poiché è fatto amico; perchè questo, amore non sarebbe forte,343 ma verrebbe meno quando fusse ritratto dalla dolcezza o dalla consolazione e diletto di mente, o vero quando venisse alcuno vento contrario di persecuzione o tentazione dal dimonio; subito allora verrebbe meno nelle tentazioni del dimonio, e molestie della carne. Onde verrebbe a confusione per la privazione della consolazione mentale; e nella persecuzione e ingiurie che ci fanno le creature, verrebbe ad impazienzia. Sicché vedete, che questo amore non è forte: anzi fa, chi ama di questo amore, come Santo Pietro, il quale innanzi la Passione amava Cristo dolcemente, ma non era forte; e però venne meno al tempo della croce: ma poi si partì dall’amore della dolcezza, cioè, dopo l’avvenimento dello Spirito Santo, e perdette il timore, e venne ad amore forte e provato nel fuoco delle molte tribolazioni. Onde, venuto ad amore di figliuolo, tutte le portava con vera pazienzia; anzi correva con344 loro con grandissima allegrezza, come se fusse andato a nozze e [p. 125 modifica]non a’ tormenti. E questo era, perche’ era fatto figliuolo. Ma se Pietro fusse rimasto solamente nella dolcezza e nel timore ch’egli ebbe nella Passione e dopo la Passione di Cristo, non sarebbe venuto a tanta perfezione d’essere figliuolo e campione della santa Chiesa, gustatore e mangiatore dell’anime. Ma attendete il modo che Pietro tenne con gli altri discepoli per potere perdere il timore servile e l’amore 345 delle consolazioni, e ricevere lo Spirito Santo, come li era promesso dalla prima dolce Verità. Onde dice la Scrittura che si rinchiusero in casa e ivi stettero in vigilia e in continue orazioni; e stettero dieci dì, e poi venne lo Spirito Santo.

Or questa è la dottrina che noi doviamo pigliare, ed ogni creatura che ha in sé ragione; cioè rinchiudersi in casa, e stare in vigilia e continua orazione; e stare dieci dì; e poi riceveremo la plenitudine dello Spirito Santo. Il quale, poiché fu venuto, gl’illuminò della verità; e videro il secreto della inestimabile carità del Verbo con la volontà del Padre, che non voleva altro che la nostra santificazione. E questo ci ha mostrato il sangue di questo dolce e amoroso Verbo; il quale è tornato a’ discepoli, cioè, venendo la plenitudine dello Spirito Santo. E viene con la potenzia del Padre, con la sapienzia del Figliuolo, e con la pietà e clemenzia dello Spirito Santo; sicché la verità di Cristo è adempita, il quale disse a’ discepoli. suoi: io anderò, e tornerò a voi. Onde allora tornò; perocché non poteva venire lo Spirito Santo senza il Figliuolo e senza il Padre, perocché era una cosa con loro. Sicché venne. [p. 126 modifica]come detto è, con la potenzia che è appropriata al Padre, e con la sapienzia che è appropriata al Figliuolo, e con la beinivolenzia e amore che è appropriato allo Spirito Santo. Bene lo mostrarono gli Apostoli; perocché subito per l’amore perderono il timore. Onde con vera sapienzia cognobbero la verità, e con grande potenzia andarono contra gl’infedeli; gittavano a terra gl’idoli e cacciavano le dimonia. Questo non era con potenzia del mondo, né con fortezza di corpo, ma con forza di spirito e potenzia di Dio, la quale per divina grazia avevano ricevuta. Or così addiverrà a coloro che sono levati dal vomito del peccato mortale, e dalla miseria del mondo, e cominciano a gustare il sommo Bene, e s’innamorano della dolcezza sua. Ma, come detto è, a stare pur nel timore, non camperebbe 346 però l’inferno; ma farebbe come fa il ladro, il quale ha paura delle forche, e però non fura:347 ma non che egli non furasse se non credesse patire la pena. Così anco addiviene dall’amare Dio per dolcezza: cioè, che non sarebbe ne forte né perfetto, ma debile e imperfetto. E però non stanno fermi, ma348.... tengono la via e il modo con vera perseveranzia di giungere alla perfezione.

Il modo di giungervi é questo de’ discepoli, come detto è. Cioè, come Pietro e gli altri si rinchiusero in casa; così hanno fatto e debbono fare coloro che sono giunti all’amore del Padre, che sono figliuoli. Onde quelli che vogliono passare a questo stato, debbono entrare e rinchiudersi in casa. [p. 127 modifica]cioè nella capa del conoscimento di loro medesimi, che è349 quella cella nella quale l’anima debbe abitare. Nella quale cella trova un’altra cella, cioè la cella del cognoscimento della bontà di Dio in se. Onde dal cognoscimento di sè trae una vera umiltà, con odio santo dell’offesa che ha fatta e fa al suo Creatore: e per questo viene a vera e perfetta pazienzia. E nel cognoscimento di Dio, che ha trovato in se, acquista la virtù dell’ardentissimaa carità: onde trae santi e amorosi desideri. E per questo modo trova la vigilia e continua orazione.350 Cioè, mentre che sta rinchiusa in così dolce e gloriosa cosa quanto è il cognoscimento di sé e di Dio. Vigila, dico, non solamente dell’occhio del corpo, ma dell'occhio dell’anima; cioè, che l’occhio dell’intelletto non si veda mai serrale, ma sempre debba stare aperto nel suo obietto e amore ineffabile. Cristo crocifisso: e ivi trova l’amore, e la colpa 351 sua propria. Perocché, per la colpa Cristo ci donò il sangue suo. Allora l’anima si leva con grandissimo affetto ad amare quello che Dio ama, e ad odiare quello che egli odia. E tutte le sue operazioni drizza in Dio, e ogni cosa fa a gloria e loda del nome suo. E questa è la continua orazione, della quale dice Paolo: «Orate senza intermissione». Or que[p. 128 modifica]sta è la via di levarsi da essere solamente servo eamico, cioè del timore servile e dall’amore tenero della propria consolazione, e giungere ad essere vero servo, vero amico, vero figliuolo. Chè essendo fatto vero figliolo, non perde 352 però che non sia servo e vero amico: ma è servo e amico in verità, senza alcuno rispetto di sé, né d’altro che solo di piacere a Dio.

Dicemmo che stettero dieci dì, e poi venne, lo Spirito Santo. Così l'anima, che vuole venire a questa perfezione, le conviene stare dieci dì, cioè ne’ dieci comandamenti della legge. E con li comandamenti della legge osserverà i consigli; perocché sono ligati insieme, e non s’osserva l’uno senza l'altro.353 E' vero è, che quelli che sono al secolo debbono osservare i consigli mentalmente per santo desiderio; e coloro che sono levati dal mondo gli debbono osservare mentalmente e attualmente.354 E così, se riceve l’abbondanzia dello Spirito Santo, con vera sapienza di vero e perfetto lume e cognoscimento, e con fortezza e potenzia, forte355 contra ogni battaglia, è 356 potente principalmente centra sé medesimo, signoreggiando la propria sensualità. Ma tutto questo non potreste fare se n’andaste [p. 129 modifica]landò357 con la molta conversazione, dilungandovi dalla cella, e con la negligenzia del coro. Onde considerando me questo, vi dissi, quando vi partiste da me, che studiaste di fuggire la conversazione, e visitare la cella, e non abbandonare il coro né il refettorio358 (quando vi fusse possibile a voi), e la vigilia con l'umile orazione; e così adempire il desiderio mio, che vi dissi ch’io desideravo di vedervi cercare Dio in verità, senza alcuno mezzo. Altro non vi dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

XCV. — A certi giovani fiorentini, figliuoli adottivi di Don Giovanni.359

L'amore tiene in armonia le potenze dell’anima. Intelletto e volontà empiono la memoria del bene ricevuto; e questa alimenta le forze di quelli. L’amore è nutrito di meditazione e conoscimento delle imperfezioni proprie. Da questo la pazienza. Umiltà balia d’amore. Odio de’ propri difetti, servo all’amore. Mortificarsi non per mero odio di quelli o per la salute propria, ma per amore di Dio e bene de’ prossimi. Astinenza degna è l’obbedienza. Ordini religiosi scaduti; non tutti. Ai giovani fiorentini consiglia che s’amino.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figliuoli in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi legati nel legame dolce della carità sì e [p. 130 modifica]per siffatto modo che né dimonio ne creatura ve né possano separare.360

Questo è quel dolce legame che legò Dio Dell’uomo, e, l'uomo in Dio, quando la natura divina s’unì colla natura umana; e questo fu quell’amore ineffabile che donò l’essere all’uomo, traendolo361 Dio di sé medesimo, quando il creò alla immagine e similitudine sua. E perché l’anima è fatta per puro amore, l’amore accorda le potenzie dell’anima nostra, e legale insieme queste tre potenzie. La volontà muove l'intelletto a vedere, volendo amare alcuna cosa: sentendo l’intelletto che la volontà vuole amare, se ella è volontà ragionevole, l’intelletto si pone per obietto l’amore ineffabile del Padre eterno, che ci ha donato il Verbo del Figliuolo suo; e l’obedienzia e umiltà del figliuolo, sostenendo con mansuetudine pene, ingiurie, strazii, scherni e villanie, le quali ha portato con grandissimo amore. E così a quello che l’occhio dell’intelletto ha veduto, la volontà con amore ineffabile va dietro. E con mano forte egli ripone il tesoro ch’egli trae di questo amore, nella memoria; e così diventa grato e conoscente al suo Creatore delle Grazie e doni che si vede aver ricevuti da Dio. Che ciò ch’egli ha, vede, di grazia aver in sé e non per sé medesimo; che noi siamo quelli che non siamo, e però siamo operatori di quella cosa che non è, cioè del peccato.

Oh quanto è orribile morte la colpa, che ci tolle [p. 131 modifica]la vita! E questo vedendo l’anima nel modo detto, si veste d’amore e di perfetta umiltà: la carità trova e gusta nella bontà di Dio, vedendola 362 in sé medesima partecipare con molti doni e grazie, le quali ha ricevute e riceve continuamente.363 Nel cognoscimento di sé e del peccato, che trova per la legge perversa, che ha in sé (che ha ribellato e ribella al suo Creatore), sì concepe un odio e dispiacimento verso questa sensualità; e nell’odio trova una pazienzia, la quale pazienzia il fa foite a sostener pene, scherni, villanie, fame, sete, freddo, caldo, tentazioni e molestie dal dimonio. Schifa e fugge il mondo con tutti e’ diletti suoi: e nascene una vena d’umiltà, la quale è balia e nutrice della carità. E però porta con tanta pazienzia; perché la carità, amore ineffabile, Ha trovata la balia sua, cioè l’umiltà, il servo364 dell’odio di so, che per amore la serve con perfetta pazienzia. Esso fa vendetta e giustizia365 de’ nemici della divina carità; ed e’ nemici suoi sono questi. Amore proprio il quale [p. 132 modifica]per propria utilità ama se; e ciò che egli ama, ama per se, e non per Dio: diletti, piacimenti,366 stati, onori e ricchezze. E che vendetta è questa? E una vendetta di tanta dolcezza che lingua non è sufficiente a dillo: che dall’amor proprio che dà morte, viene all’amore divino che gli dà vita; dalla tenebra e odio e dispiacimento367 della virtù, viene alla luce e amore delle virtù: in tanto che elegge innanzi la morte, che volere lasciare la virtù. Anco, si dà a tenere tutti quelli modi e quelle vie per le quali vede che possa venire a virtù, e conservare la virtù in sé. E perché e’ diletti sensitivi e la delicatezza del corpo, e la conversazione di cattivi e perversi secolari vede che gli sono nocivi; però li fugge Con tutto il cuore: e con tutto l’affetto, del corpo fa ’l contrario, 368 e fanne vendetta, macerando colla penitenzia,369 col digiuno, vigilie e orazioni e discipline, quando singolarmente vedesi d’aver bisogno; cioè quando la carne volesse ribellare allo spirito. La volontà vendica colla morte; però che l'uccide, sottomettendola a’ comandamenti di Dio e a’ consigli che Cristo Figliuolo unigenito di Dio ci lassò con essi370 comandamenti. E così si veste [p. 133 modifica]dell’eterna volontà sua dolce; e naviga in questo mare tempestoso, virilmente e realmente seguitando le vestigie371 di Cristo crocifisso.

Or questo è quel dolce legame, il quale lega l'anima col suo Creatore. Tu372 legasti Dio nell’uomo, come detto è, e l’uomo in Dio, quando tu, Padre eterno, ci donasti il Verbo del Figliuolo tuo, e unisti la natura divina colla natura umana.373 figliuoli carissimi, questo fu quel legame che tenne confitto e chiavellato Dio-e-Uomo in croce: che se l’amore non l’avesse tenuto, non erano sufficienti i chiovi né la croce a poterlo tenere. L’amore che Cristo ebbe all’onore del Padre e alla salute nostra, e l’odio e dispiacimento ch’egli ebbe del peccato, e l’odio insieme coll’ amore fece vendetta delle nostra iniquità, e punille con pene e tormenti sopra il corpo suo.

Adunque l’anima, che è legata con Cristo crocifisso, il seguita, facendo vendetta, per onore di Dio e salute sua e del prossimo, 374 della parte [p. 134 modifica]sitiva; cacciando e’ nemici dell'anima sua; de’ vizii, dico, e disobbedienzia che egli ha avuto contro il suo Creatore, disobbedendo a’ comandamenti suoi: e mettevi dentro, e riceve375 gli amici. Gli amici sono le vere e reali virtù, fatte376 in amore e in perfetta carità. Perché uno de’ principali amici che abbia l’anima, è la vera obedienzia. Chi tanto è umile quanto obediente, obedisce ai comandamenti santi377 di Dio. L’anima che molto s’innamora di questa obedienzia, che è uno annegare e uccidere la sua volontà, distendesi anco più oltre: che ella vuole osservare l’obedienzia de’ consigli di Cristo, pigliando, in ordine approvato,378 il giogo della santa obedienzia. E non è dubbio, figliuoli miei, che ella è cosa più sicura e più provata. Che, perchè noi vediamo e’ religiosi infermi,379 non essendo osservatori dell’Ordine; nondimeno l’Ordine non inferma mai: che ella è fondata e fatta380 dallo Spirito Santo.

Onde, se sentite che Dio vi chiama a obedienzia, rispondetegli. E se vi venisse in pensiero di non contentarvi per gli Ordini che sono così venuti [p. 135 modifica]meno, e per poco amore v’ha di molti traversi;381 io rispondo a questo pensiero, che molti monasteri ci ha, che al tutto ogni cattiva barba n'è uscita fuori; che, avendo voi volontà della religione, sarebbe molto bene e onore di Dio che voi n’andassi, essendovi un buono capo. E fra gli altri monasteri, vi so dire di Santo Antimo,382 il quale; come don Giovanni vi dirà, ha uno abbate, che è specchio d’umiltà e di povertà e d’umiltà: 383 che egli non vuole essere il maggiore, ma il più minimo. Dio per la sua infinita bontà ne dispensi quello che debba essere più suo onore, e il meglio per voi.

Legatevi, legatevi insieme, figliuoli miei, caritativamente; l’uno sopporti e comporti 384 e’ difetti dell’altro; acciò che siate legati, e non sciolti,385 in Cristo dolce Gesù. Amatevi, amatevi insieme: che voi sapete che questo è il segno che Cristo lassò a’ discepoli suoi, dicendo che ad altro non sono cognosciuti e’ figliuoli di Dio, se non all’unità dell'amore che l’uomo ha col prossimo suo in perfettissima carità.

Ho avuta grandissima consolazione delle buone novelle dell’unità ch’io ho udita che avete insieme. Crescete. E non vollete il capo addietro; sì che [p. 136 modifica]io possa dire con santo Pavolo, quando disse a’ discepoli suoi, che eglino erano il suo D:audio, la sua letizia e la sua corona. Onde io vi prego che adopriate sì, che io il possa dire. Altro non vi dico. Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso, e legatevi insieme col legame dell’amore. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

XCVI. — A Pietro Canigiani in Firenze.386

Carità, vestimento nuziale. Che la vita dell’umanità, dal principio alla fine do' secoli, è invito a nozze d'amore. Nell’amor proprio, l’uomo, cercando il suo diletto, ha pena de beni che non ha, e che perde. Il buono è signore; il cattivo e schiavo, porta la croce del diavolo. Amarezza fortificata, dimore è bisogno: chi disama il meno, ascende ad amare il più. Lettera abbondante d’affetto.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre e figliuolo387 in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi fondato in vero e perfettissimo amore, acciò che siate vestito del vestimento nuziale della perfetta carità. Senza il quale vestimento non possiamo entrare a nozze della vita durabile, alle quali siamo invitati; ma saremo scacciati, e sbanditi di vita eterna con grandissima vergogna. Oh quanta confusione sarà a quell’anima, che nell' ultima estremità della morte, quand’ella è per entrare alle nozze della patria sua, ella per sua colpa [p. 137 modifica]se ne trovi privata e sbandita, trovandosi terminata la vita sua senza questo dolce e grazioso vestimento. Confusione truova nel cospetto di Dio, nell’aspetto degli angeli e degli nomini, e nella coscienzia sua, la quale è uno vermine che sempre rode; e nella visione delle dimonia, delle quali ella si fece serva, servendo loro, al mondo e alla propria sensualità. E ’l merito388 che ella ne riceve, si è confusione e rimproverio, con molto supplicio e tormento. Riceve da loro quello che hanno in sé. Questo gli avviene perch’ella va al convito senza vestimento nuziale. Chi ne l’ha privato?389 L’amore proprio di sé medesimo. Perocché colui ch’ama sé di proprio amore sensitivo, non può amare Dio né sé d’amore ragionevole; perché l’uno amore è contrario all’altro, in tanto che neuna confornìità hanno insieme. carissimo padre, ragguardate quanto essi sono differenti; e quanto è pericoloso e penoso l’amore sensitivo, e quanto è dolce il divino amore! La differenzia è questa: che colui ch’ha posto l’affetto suo nel mondo, ama e cerca tutte quelle cose nelle quali si possa dilettare sensitivamente. Egli cerca onori, stati e ricchezze del mondo: dove il servo di Dio gli fugge come veleno, perché n’ha levato l’affetto e l'amore, e trattone il cuor suo, e postolo solamente nel suo Creatore, reputandosi a gloria d’esser privato de’ suoi stati e ricchezze, diletti e piaceri, e ricevere grandi persecuzioni e rimproverio dal mondo e da’ suoi seguaci. Ogni cosa porta con vera e santa pazienzia, perché tutto ha conculcato [p. 138 modifica]co’ piei dell’affetto suo. Fatto è signore del mondo, perché pienamente l’ha lassato, non a mezzo, ma in tutto; e se non attualmente, almeno col santo e vero desiderio; apprezzando il mondo per quello che vale, e non per più, e spregiando la propria fragilità, tenendola per serva sottoposta alla donna della ragione. Dove l’amatore di sé medesimo si fa Dio de ’l mondo, e suoi piaceri, e di sé: cioè, che quel tempo che egli debbe spendere in servire il suo Creatore, egli lo spende in opere vane e transitorie, e nel corpo suo fragile che oggi è, domane non é, però ch’egli è cibo de’ vermini e cibo di morte,390 ed è un sacco pieno di sterco. Egli ama la superbia, e Dio l’umiltà; egli è impaziente, e Dio vuole la pazienzia: egli ha il cuore stretto, che non vi cape Dio né ’l prossimo per amore; Dio è largo e liberale. E però e’ servi di Dio seguiiatori della divina Carità, che in verità vanno per la dottrina di Cristo crocifisso, si dispongono a dare la vita per l'onore di Dio e in salute del prossimo: e ’l misero uomo servo del mondo il391 rode co’ denti dell’invidia e dell’odio, e con ira e di>:piacere divora le carni sue392 con appetito di vendetta. Questi si diletta nel loto dell’immondizia; e il servo di Dio nell’odore della purità e contineuzia. Eziandio stando allo stato legittimo del matrimonio, egli s’ingegna, per amore della virtù, di sentire e gustare393 l’odore della continenzia. In tutte quante le cose [p. 139 modifica]troviamo ch’egli è contrario l’uno all’altro; e però non possono stare insieme, ma l’uno caccia l’altro.

Onde vediamo che quando l’uomo si volta a cognoscere la miseria sua, e la poca fermezza e stabilità del mondo e la sua incostanzia, subito l'odia, e con l’odio caccia l’amore. E perché senza l'amore non può l’anima vivere,394 subito ama quello che col lume dell’intelletto ha veduto e cognosciuto nell’affetto della divina carità, trovando in sé la gran bontà di Dio, la fermezza e stabilità che riceve da lui, vedendosi ricreato a Grazia nel sangue dell’umile e immacolato Agnello, che per amore ha lavata la faccia dell’anima sua col proprio sangue. Onde, vedendosi tanto amare, non può fare che non arai. E però ci è molto necessario il lume per cognoscere l’amore che Dio ci ha, e le grazie e doni 395 che riceviamo continuamente da lui. Questo amore fa l’uomo grato e cognoscente a Dio e al prossimo suo; siccome l’amore proprio il fa ingrato e scognoscente, perché attribuisce al suo proprio sapere quello ch’egli ha. E chi mostra che egli è così? La ingratitudine sua: la quale ingratitudine si mostra per le colpe che tutto dì egli commette; come la gratitudine dimostra che l’anima retribuisce solo a Dio ciò ch’ella ha, eccetto il peccato, che non è: e la virtù dimostra la gratitudine.396 Bene è dunque vero che in ogni cosa sono differenti.

Dico che ’l servo del mondo, amatore di se, [p. 140 modifica]Siena - Palazzo Pubblico - Ambrogio Lorenzetti [p. 141 modifica] [p. 142 modifica]porta grandissime e intollerabili fadighe; perocché, come dice santo Angustino, il Signore ha permesso che l'uomo il quale disordinatamente ama, sia incomportabile a se medesimo. Questi porta la croce del dimonio: perocché, s’egli acquista diletti, egli gli acquista con pena; e avendoli, li tiene con fadiga, per timore di non perdergli; e se egli li perde, ne è cruciato con grandissima impazienzia; e se non gli può avere, ha pena, perché gli vorrebbe. Tanto è cieco, che perde la libertà sua, facendosi servo e schiavo del peccato, e del mondo con le sue delizie, e della propria fragilità. Queste sono pene generali agli amatori del mondo: ma quante sono le particolari, tutto dì il vediamo, le fadighe che portano gli uomini in servigio del dimonio. Oimè! Per acquistare l’inferno, essi non curano la morte corporale, né rifiutano veruna fadiga: E io (misera me!) per avere Dio, e per acquistare397 Dio, non sostenni mai una piccola cosa. L’ombra mia mi ha fatto paura. Veramente io confesso che i figliuoli delle tenebre fanno vergogna e confusione alli figliuoli della luce,398 perché vanno con più sollecitudine ed esercizio, e con maggiore fadiga all’inferno, che i figliuoli della luce a vita eterna. Sicché la fadiga è grande, e l’amaritudine è molta che dà questo perverso e miserabile amore.

Ma il vero e perfettissimo amore è di tanto diletto, dolcezza e soavità, che neuna amaritudine gli può tollero la dolcezza sua; né l’amaritudine il può conturbare; ma molto più fortifica la mente, perché accosta più l’anima al sue creatore; e in [p. 143 modifica]lui gusta la dolcezza della sua carità, tenendo confede viva, che ciò che Dio gli dà e permette, il fa per suo bene e per sua santificazione. Chi gliel’ha mostrato? Il sangue di Cristo, nel quale vide col lume della fede; che se egli avesse voluto altro che ’l nostro bene, non ci averebbe Dio dato siffatto ricomperatore, quanto399 fu il Verbo del suo Figliuolo, e il Figliuolo non averebbe data la vita la quale diè con tanto fuoco d’amore, fabbricando400 le nostre iniquità sopra il corpo suo. Egli riempie l'anima di fortezza e di lunga perseveranzia; non vollendo401 il capo in dietro a mirare l’arato. Egli non si scandalizza né in sé né nel prossimo suo; ma con benivolenzia e carità fraterna porta e sopporta i suoi difetti. Non ha pena per privazione di stato; né, se egli l’ha, il possiede con pena; e se egli non l’ha, noi cerca, né ha402 fadiga per averlo; perché l’affetto suo è ordinato e drizzato secondo la volontà di Dio, nella quale ha occisa la volontà sua propria, la quale volontà è quella cosa che ci dà pena e fadiga.

Questo amore il taglia dal mondo, e uniscelo in Dio per affetto d’amore; ordina la memoria403 a [p. 144 modifica]tenere li - beneficii suoi, illumina l’occhio dell’intelletto in cognoscere la verità nella dottrina di Cristo crocifisso; e drizza l’affetto ad amarlo con tutto il cuore con ansietato e grande desiderio: Ordina ancora gl’istrumenti404 del corpo, cioè che tutti i suoi esercizi corporali e spirituali sono drizzati in onore di Dio e in amore della virtù. Allora si truova in verità avere risposto a Dio, che l’ha invitata405 alle nozze di vita eterna dal principio della sua creazione infino all’ultimo. Questa, come grata, s’ha406 messo il vestimento nuziale dell’affetto della carità, perchè s’è spogliata dell’amore sensitivo, odiandolo; e ama Dio e sé in407 amore ragionevole. E così si truova vestita di carità; che in altro modo non poteva giugere al termine suo. Onde, considerando me, che altra via non ci è, dissi che io desideravo di vedervi fondato in vero e perfettissimo amore. E così voglio che facciate in questo punto del tempo che Dio ci ha servato per misericordia, che ora di nuovo cominciate a spogliarvi di voi e vestirvi di Cristo crocifisso. Lassate oggimai i morti seppellire e’ morti, e voi seguitate lui con ogni verità. Lassate oggimai gli affanni del mondo; lassate la sollecitudine in cui ella408 debbe essere, e voi furate il tempo ne’ santi [p. 145 modifica]esercizi con le vere e reali virtù: e non aspettate il tempo; però che non siamo sicuri d’averlo. Amate, amate; che ineffabilmente sete amato. Pigliate diletto e spasso con li servi di Dio, avendo la loro conversazione. Confessatevi molto spesso (bench’io non credo che bisogni dire);409 e la comunione ricevete per tutte le pasque solenni, acciò che più perfettamente possiate acquistare questo dolce vestimento. E studiate che la famiglia410 s’allevi col timore santo di Dio. Altro non vi dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

XCVII. — A Monna Favola da Siena, e alle sue Discepole, quando stava a Fiesole.

Le solite parole d’amore; ma con maggiore impeto di tenerezza.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce. A voi, dilettissima e carissima figliuola e suoro in Cristo Gesù, io Catarina serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo e confortovi e benedico nel prezioso sangue suo. Con desiderio io ho desiderato di vedervi unite nella sua ardentissima carità, la quale carità e amore fa diventare l’anima una cosa con Dio. Oh carità, piena di letizia e di gaudio e d’ogni securità, in tanto che ogni cosa tempestosa [p. 146 modifica]vi diventa pacifica e tranquilla! Oh madre carissima della dolce carità, ta parturisti tutti e’ figliuoli delle virtù. Sapete, dilettissima mia suoro, che neuna virtù è viva senza la carità. Così disse quello dolce innamorato di Pavolo, vasello "di elezione: «Se io avessi lingua angelica, e dessi ogni cosa a’ poveri; non avendo carità, nulla mi vale». E veramente egli è così: perocché l’anima che non è in carità, non può fare cosa che sia piacevole a Dio; anco, parturisce e’ figliuoli morti delle virtù. Perché sono morte? perché non ci è Dio, che le411 dia vita, cioè la carità; perocché chi sta in carità, sta in Dio, e Dio in lui.412 Ma la sposa di Cristo, che è vulnerata di questa saetta della carità, non resta mai d’adoperare; come la ferita fresca, che sempre batte molto maggiormente il cuore nostro. Ogni dì di nuovo gli sono gittate di nuove saette, cioè saette d’ardentissima carità; perocché non passa mai tempo, che la bontà di Dio non gitti carboni 413 accesi sopra del corpo nostro.

E se noi ci volliamo verso l’essere che la bontà di Dio ha dato a noi, veggiamo che egli non ci creò se non per pura carità; e perchè noi godessimo il bene il quale aveva in sé medesimo, e darci vita eterna. E però dice santo Pavolo, che Dio non vuole altro che la nostra santificazione. E ciò che dà, dà a questo fine, acciò che siamo santificati in lui. somma e eterna Verità, bene il desti a divedere: perocché avendo noi perduta la Grazia, non [p. 147 modifica]potevamo partici pare questo bene; onde vedendo Dio che questa sua volontà non si poteva adempire per lo peccato, costretto dallo amore pazzo414 che aveva in noi, mandò l’unigenito suo Figliuolo a fabbricare le nostre iniquitadi sopra il corpo suo. Onde, dunque415 questo Verbo fu innestato nella carne nostra nel ventre di Maria, subito il giudicò all’obbrobriosa morte della croce, posto nel campo di questa vita a combattere per la sposa sua, e per trarla dalle mani del demonio che la possedeva come adultera. Onde dunque,416 questo dolce cavaliere, come dice santo Bernardo, e’ salse a cavallo in sul legno della santissima croce, e misesi417 l’elmo della corona delle spine bene fondata, e’ chiovi nelle mani e ne’ piedi, e la lancia nel costato, per manifestarci il secreto del cuore. Oimè amore! amore! Parti che sia bene armato questo nostro dolce Salvatore? Confortiamoci; però ch’egli averà la battaglia per noi. Così disse egli a418 li discepoli suoi: «Rallegratevi, però che io ho sconfitto il principe del mondo». E santo Angustino dice che con la mano confitta e chiavellata ha sconfitte le demonia.

Adunque non voglio che alcuno timore caggia in voi, dilettissime mie figliuole, ne per demonio visibile né invisibile. Ma se egli vi dasse molte battaglie e illusioni, o paura di non poter perseverare nelle operazioni cominciate, confortatevi dicendo: [p. 148 modifica]«Per Cristo crocifisso ogni cosa potrò, perchè egli ha sconfitto per me le demonia». O dolcissimo amore Gesù, tu hai giocato con la morte in sulla croce alle braccia, e la morte vinse la vita, e la vita vinse la morte; cioè che per la morte del corpo suo destrusse la morte nostra, e per la morte nostra destrusse la vita del corpo suo.419 Oh inestimabile dilezione di carità! E tutto questo ci manifesta l’amore, e la volontà,420 e ’l fine per lo quale ci creasti, cioè solo per darci vita eterna. O amore dolce, quale fuoco dunque si difenderà che non s’accenda a tanto fuoco di amore, vedendo che Dio ci ha donato l' unigenito suo Figliuolo, e il Fgliuolo ci ha donata la vita con tanto desiderio, che non pare che ’l possa esprimere, quando ci dice: «Con desiderio io ho desiderato di fare la Pasqua con voi innanzi che io muoia». dolcissimo amore, dicevi della Pasqua di fare sacrificio del corpo tuo al Padre tuo per noi. Amore, con quanta carità e con quanta letizia dicesti quella parola di fare di te sacrificio, perché ti vedevi presso al termine! Tu facesti come colui il quale ha avuto grandissimo desiderio di fare una grandissima operazione, che quando se la vede pressoché fatta, ha gaudio e letizia. E con questa letizia corse questo innamorato all’obbrobrio della santissima croce.

Adunque io vi prego, suore, e voi figliuole, che di questo noi ci dilettiamo, cioè di portare gli obbrobri suoi. Ponete, ponete la bocca al costato del Figliuolo di Dio; però che è una bocca che gitta [p. 149 modifica]fuoco di carità, e versa sangue per lavare la nostre iniquitadi. Dico che l’anima che vi si riposa e ragguarda coli’ occhio dello intelletto il cuore consumato e aperto per amore, ella riceve in sé tante 421 conformità con lui, vedendosi tanto amore, che non può fare che non ami. E allora diventa l’anima ordinata; però che ciò ch’ama, ama per Dio, e neuna cosa ama fuore di lui; e così diventa un altro lui422 per desiderio, perocché non si trova altra volontà che quella di Dio. Non siate adunque negligenti, ma sempre correte, rompendo le vostre volontadi. 423 Permanete, figliuole mie, nella santa dilezione di Dio. Fate che adempiate il mio desiderio, sicché io vi veggia una cosa424 unite e trasformate in lui.

Catarina serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo. Confortate Monna Bartolomea e tutte l’altre; e ditele che non si volla addietro a mirare l’arato, ma sempre perseveri nel santo proponimento perocché senza la perseveranzia non potreste ricevere la corona. Laudato sia Gesù Cristo: Gesù dolce. Gesù Gesù. [p. 150 modifica]

XCVIII. — A Frate Tommaso della Fonte dell’Ordine de’ Predicatori in Siena.

Vincere il proprio volere. Dal lume dell’intelletto e dall’affetto del cuore viene la forza. Piacere e dolore, mezzi di bene. All’anima altrui non si giova senza dolore.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre in Cristo dolce Gesù. lo Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi spogliato di voi pienamente, acciocché perfettamente vi troviate vestito di Cristo crocifisso. E pensate, padre mio dolce, che tanto ci manca di lui, quanto ci riserviamo di noi. Quanto doviamo dunque diradicare da noi ogni propria volontà, e ucciderla425 e annegarla, poiché ella è cagione di privarci di tanto liceo vestimento! Il qual illumina l'anima, infiammata e fortificata. Illuminandola della verità eterna, gli mostra che ciò che ci addiviene in questa vita, è per nostra santificazione, e per farci venire a virtù: infiammala di desiderio affocato in fare grandi fatti per Dio, e di dare la vita per onore di Dio e salute dell’anime; e fortificala, perocché non è lume né fuoco senza fortezza. Perché il lume e l’amore portano ogni grande peso: la guerra, la pace, la tempesta,426 la bonaccia: e tanto gli pesa la mano ritta quando la manca, 427 tanto l’avversità, quanto la prosperità, perché. da una [p. 151 modifica]medesima fonte vede procedere l'una e l'altra, e per uno medesimo fine. Oh quanto virilmente naviga questa anima, che sì bene si spogliò; onde fu rivestita! Ella non può volere né desiderare se non la gloria e loda del nome di Dio, la quale cerca nella salute dell'anime. Di queste si fa uno suo cibo: e none 'l vuole mangiare altrove, che in su la mensa della croce, cioè con pena, scherni e rimproverio, quanto a Dio piace di concedergli. Tanto gode quanto si vede portare senza colpa. A questo alto stato non si può venire col peso del vestimento nostro. E però vi dissi ch'io desideravo di vedervi spogliato di voi pienamente e così vi prego che v'ingegniate di fare per l'amore di Cristo crocifisso. Non dico più. Avemmo addì XIII di giugno la vostra...428 Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

XCIX.- A Neri di Landoccio de' Pagliaresi.429

Il cuore de' mondani è angusto all'amore; la mente, cercando il bene falso, trova il contrario. Il giusto non temendo le apparenze del dolore, rinviene consolazioni. Ella accetta Neri in figliuolo. Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

A voi, dilettissimo e carissimo fratello e figliuolo mio in Cristo Gesù, io Catarina, serva e schiava de' [p. 152 modifica]servi di Gesù Cristo, scrivo e confortovi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi unito e trasformato e confermato430 in Cristo Gesù. La qual cosa, figliuolo mio dolcissimo, l'anima non può fare, cioè d'essere conformata con Cristo perfettamente, se al tutto non si stacca dalla conformazione del secolo. Però che il mondo è contrario a Dio, e Dio è contrario al mondo; non hanno veruna conformità insieme. E veramente così è: ché noi vediamo che Dio-Uomo elesse perfetta povertà, ingiurie, strazi, scherni, villanie, fame, sete; spregiò gloria e onore umano; sempre cercò la gloria del Padre e la salute nostra; sempre perseverando con vera e perfetta pazienzia; e non era in lui superbia; ma perfetta umiltà. Oh inestimabile diletta carità, ben fe contrario431 al secolo ! Il secolo cerca gloria e onori, delizie, superbia, impazienzia,432 avarizia, odio, rancore, e amor proprio di sé medesimo con tanta strettezza di cuore, che non vi cape il prossimo per Dio.433 Oh quanto s'ingannano gli stolti uomini che sono conformati con questo malvagio secolo ! Che volendo onori, sono vituperati; volendo ricchezze, sono poveri, perché non cercano la vera ricchezza; volendo letizia e delizie, hanno tristizia e amaritudine, perché sono privati di Dio, che è somma letizia. Non vogliono né morte né amaritudine, e [p. 153 modifica]giono nella morte e nella amaritudine; vogliono fermezza e stabilità, e dilungarsi dalla pietra viva. Or vedi dunque, carissimo figliuolo, quanta differenzia egli è da Cristo al secolo. E però e’ veri servi di Dio, vedendo che ’l mondo non ha veruna conformità con Cristo, si studiano con ogni sollecitudine di non avere neuna conformità col mondo: anco, si levano con odio e dispiacimento; e diventano amatori di ciò che Dio ama, e non hanno altro desiderio se non di conformarsi con Cristo crocifisso, seguitando sempre le vestigie sue, affocati e innamorati delle vere e reali virtù. E quello che essi veggono che Cristo elesse per se, vogliono per loro: e per contrario ricevono;434 perocché, eleggendo povertà e viltà, sono sempre onorati. Eglino hanno pace e diletto, letizia e gaudio ed ogni consolazione, privati d’ogni tristizia. E non me ne maraviglio; però che sono conformati e trasformati435 con la somma eterna Verità e Bontà di Dio, dove si contiene ogni bene, dove s’adempiono i veri e santi desiderii.

Adunque bene è da seguitarlo, e al tutto levarsi via e tagliarsi436 da questa tenebrosa vita. Il coltello dell’odio e dispiacimento di voi, e l’amore [p. 154 modifica]puro di Dio ve ne taglierà.437 Dicovi, figliulo carissimo, che questo coltello e dispiacimento non potreste avere senza la continua memoria di Dio, singolarmente dell’abbondanzia del sangue del Figliuolo di Dio, che ve ne ha fatto bagno, svenando e aprendo se medesimo con tanto fuoco e ardentissimo amore in sul legno della santa Croce. Or qui acquisterete questo coltello dell’odio; però che per l'odio e dispiacimento del peccato è morto. L’amore il tiene legato: perocché, come dicono e’ Santi, né chiovi né croce era sufficiente a tenerlo, se non fusse il legame della divina Carità.

Or qui voglio che ragguardi e si riposi sempre l'occhio dell’intendimento vostro. Ine troverete e innamorerete delle virtù vere; e troverete una perseveianzia, che né dimonia né creatura vi potrà separare da esse virtù, con volontà di soggiogarvi e sottomettervi438 ad ogni creatura per Dio, con vera e perfetta umiltà. Verravvi in tedio e in abominazione il mondo, e ogni sua operazione, nella memoria di questo sangue; e diventerete gustatore e mangiatore dell’anime: il quale è cibo de’ servi di Dio. E di questo vi prego e consiglio, che sempre vi dilettiate di mangiare. E perché vi paia d’essere difettuoso, non lassate perciò; perocché Dio ragguarda più alla buona volontà, che a’ difetti nostri.

Anco vi dico, che nella carità del prossimo fatta per Dio è quello fuoco che purifica l’anima. E acciò che sia ben purificata, aiutate frate Bartolommeo 439 quanto potete, mentre che vi sta, a [p. 155 modifica]li440 delle mani delle dimonia. Se io potessi venirvi aiutare, verrei volentieri; ma non pare che sia stata volontà di Dio. Per ora ci è poco tempo: nondimeno faremo quello che Dio ci farà fare. E sappiate, fratello, che io non ho fatto visibilmente, ma io ho fatto e farò invisibilissime.

Domandastemi, che io vi ricevessi per figliuolo: onde io, poniamochè indegna misera e miserabile sia, v’ho già ricevuto e ricevo con affettuoso amore; e sempre mi obbligo, e obbligherò dinanzi di Dio, d’entrare ricolta441 per voi d’ogni vostra iniquità commessa o che commetteste. Ma prego vi che adempiate il mio desiderio; cioè che vi conformiate con Cristo crocifisso, levandovi pienamente della conversazione del secolo, siccome detto è di sopra; perocché in altro modo non potremmo avere la conformità di Cristo. Vestitevi, vestitevi di Cristo crocifisso; però che egli è quello vestimento nuziale che vi darà qui la Grazia, e poi vi porrà alla mensa della vita durabile442 a mangiare con i veri Gustatori. Non dico più. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Benedicete e confortate frate Bartolommeo, e frate Simone443 in Cristo Gesù. [p. 156 modifica]

C. — A Frate Raimondo da Capua dell’Ordine dei Predicatori.

Sia pastore nel sacrificarsi per le pecorelle. Sposo della verità nel conservarlesi tutto.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo padre in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi portare de’ pesi444 delle creature per affetto e desiderio dell’onore di Dio e della salute loro; e pastore vero, che con sollecitudine governiate le pecorelle che vi sono o fussero messe fra le mani, acciocché il lupo infernale non le portasse; perocché se ci commetteste negligenzia, vi sarebbe poi richiesto. Ora è tempo da dimostrare chi ha fame o no, e chi si sente de’ morti, che noi vediamo giacere privati della vita della Grazia. Sollecitate dunque virilmente, e con vero cognoscimento, e con umili e continue orazioni infino alla morte. Sapete che questa è la via a volere cognoscere, ed essere sposo della verità eterna; e neuna altra ce n’è. E guardate che voi non schifiate fadighe; ma con allegrezza le ricevete: facendovegli445 a rincontra con santo desiderio; dicendo: «Voi siate le molto benevenute;» e dicendo: «Quanta grazia mi fa il mio Creatore, che egli mi faccia sostenere e patire446 per gloria e lode del nome suo!» [p. 157 modifica]Facendo così l’amaritudine vi sarà dolcezza e refrigerio offerendo lagrime con dolci sospiri per ansietato desiderio, per le miserabili447 pecorelle che stanno nelle mani del dimonio. Allora i sospiri vi saranno cibo, e le lagrime beveraggio. Non terminate448 la vita vostra in altro; dilettandovi e riposandovi in croce con Cristo crocifisso. Facendo così, sarete figliuolo dolce di Maria, e sposo della Verità eterna. Altro non dico. Date la vita per Cristo crocifisso, e annegatevi nel sangue di Cristo crocifisso. Mangiate il cibo dell’anime in sul legno della croce con Cristo crocifisso: affogatevi e annegatevi449 nel sangue di Cristo crocifisso. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio, Gesù dolce, Gesù amore. [p. 158 modifica]

CI. — A Giacomo Cardinale degli Orsini. 450

Consiglia umiltà, alla quale sia ragione il e cognoscimento della propria pochezza: consiglia pazienza e perdono. Pare che presentisse le ribellioni prossime, e le ambiziose mire dell’Orsini, che fomentarono le discordie sacerdotali.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce,

A voi dilettissimo e carissimo padre in Cristo Gesù, io Catarina serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo: con desiderio di vedervi legato nel legame della divina e ardentissima carità. La quale carità mosse Dio a trarre noi di se medesimo, cioè, dalla sua infinita sapienza, perché godessimo e participassimo il sommo bene suo. Egli è quello legame che, poiché l'uomo perde la Grazia per lo peccato commesso, unì e legò Dio nella natura umana, e ha fatto uno innesto in noi; perocché se la vita s’è innestata nella morte; sicché noi morti abbiamo avuta la vita per l’unione sua. E perché Dio fu innestato nell’uomo, Dio-e-Uomo451 corse, come innamorato, [p. 159 modifica]all’obbrobriosa morte della croce. In su questo arbore si volle innestare questo Verbo incarnato; e non l'ha tenuto né chiodi né croce, ma l’amore, perocché non erano sufficienti a tenere Dio-e-Uomo. Egli è quello dolce maestro ch’è salito in cattedra ad insegnarci la dottrina della verità, la quale l’anima che la seguita non può cadere in tenebre. Egli è la via onde noi andiamo a questa scuola; cioè a seguitare le operazioni sue. Così disse egli: «Io son Via, Verità e Vita». E così è veramente padre; perocché colui che seguita questo Verbo, per ingiurie, per strazii, per scherni, con obbrobri, pena e tormenti, con la vera e santa povertà, umile e mansueto a sostenere ogni ingiuria e pena, con vera e buona pazienzia,452 imparando da questo Maestro che n’è via, perché egli l’ha fatta, e tenuta453 osservata in sé medesimo, rende ad ogni uno bene per male: e questo è la dottrina sua. Bene vedete con quanta pazienzia egli ha portato e porta le nostre iniquitadi, che pare che faccia vista di non vedere: benché quando verrà il punto e il termine della morte, allora mostrerà ch’egli abbia veduto, perché ogni colpa sarà punita, e ogni bene sarà remunerato. Odi454 grande pazienzia! che non ragguarda all’ingiurie che gli sono fatte in su la croce; onde il grido de’ Giudei, che dall’uno lato gridano crucifige, e dall’altro, che egli discenda dalla croce, e egli grida: «Padre, perdona». E [p. 160 modifica]non si muove punto perché dicano ch’egli discenda, ma persevera infino all’ultimo; e con grande letizia gridò, e disse: Consiimmatum est. E poniamochè ella paresse parola di tristizia, ella era di letizia a quell'anima consumata e arsa nel fuoco della divina carità, del Verbo incarnato del Figliuolo di Dio. Quasi voglia dire il dolce Gesù: «Io ho consumato e adempito ciò ch’è scritto di me. Consumato è il desiderio, penoso che avevo di ricomprare l’umana generazione. Onde io godo ed esulto che io ho consumata questa pena, e ho adempita l’obedienzia 455 posta dal Padre mio, la quale avevo tanto desiderio di compire». O maestro dolce, bene ci hai insegnata la via e la dottrina; e bene dicesti verità, che tu eri Via, Verità e Vita. Perocché colui che seguita la via e la dottrina tua, non può avere in se morte, ma riceve in se vita durabile; e non è né dimonio ne creatura né ingiuria ricevuta che gli456 possa tollere, se egli non vuole. Vergognisi, vergognisi dunque l’umana superbia dell’uomo, e ’l457 piacimento e l’amore proprio di se medesimo, di vedere tanta bontà di Dio abondare in lui, tante grazie e beneficii ricevere per grazia,458 e non per debito; e non pare che lo stolto uomo senta né vegga tanto caldo e calore d’amore; che se fussimo di pietra, deveremmo già essere scoppiati. Oimè, oimè, disaventurata me! io non ci so vedere altra cagione, se non che l’occhio del [p. 161 modifica]gnoscimento non si vuole ragguardare in su l’arbore della croce, dove si manifesta tanto caldo d’amore. Dolce e soave dottrina, piena di frutti che danno vita; dove è larghezza, in tanto che ha aperto e stracciato il corpo suo: per larghezza ha svenato sé medesimo, e fattoci bagno e battesimo del sangue suo. Il quale battesimo ogni dì possiamo e debbiamo usare con grande amore e continua memoria: che siccome nel battesimo dell’acqua si purifica l'anima dal peccato originale, e dàle la grazia; così nel sangue laveremo le nostre iniquitadi e impazienzie; e morravvi ogni ingiuria; e non la terrà a mente, né vorrà la vendicare, ma riceverà la plenitudine della grazia, la quale Grazia il menerà per la via diritta. Dico dunque, che vedendo questo, l'anima non si può tenere che al tutto non anneghi e uccida la sua perversa volontà sensitiva, che sempre ribella a sé459 e al suo Creatore: ma, come innamorato dell’onore di Dio e della salute della creatura, non ragguarda sé; ma farà come l’uomo che ama, che il cuore e l’affetto suo non sarebbe trovato in sé, ma in quello che460 egli ha posto l’amore suo. Ed è di tanta virtù l’amore, che di colui che ama e della cosa amata fa uno cuore e uno affetto; e quello che ama l’uno, ama’ l’altro. Perocché se vi fosse altra divisione d’amore, non sarebbe perfetto. E spesse volte ho veduto, che quello amore che averemo461 ad alcuna [p. 162 modifica]cosa, per nostra utilità o per alcuno diletto che noi trovassimo in essa o piacere 462 non si cura, per venire ad effetto, né di villania ne d’ingiuria né di pena che ne sostenga, e non ragguarda alla fatiga; ma guarda solo d’adempire la sua volontà della cosa ch’egli ama. padre carissimo, non ci lassiamo fare vergogna alli figliuoli delle tenebre; perocché gran confusione è alli figliuoli della luce, cioè a’ servi di Dio che sono eletti e tratti dal mondo,463 e singolarmente a’ fiori e alle colonne464 che sono posti nel giardino della santa Chiesa. Voi dovete essere fiore odorifero, e non puzzolente, vestito di bianchezza di purità, con odore di pazienzia e ardentissima carità; largo e liberale, e non stretto, imparando dalla prima Verità che per larghezza die la vita. Or questo è quello odore che dovete gittare alla sposa dolce di Cristo, che si riposa in questo giardino. Oh quanto si diletta questa dolce sposa in queste dolci e reali virtù! Costui è figliuolo legittimo, e però ella il pasce e notrica al petto suo, dandogli il latte della divina Grazia, la quale è atta e sufficiente a darci la vita dell’eterna visione di Dio. Così disse Cristo a Paoluccio:465 «Bastiti, Paolo, la grazia mia». Dico che sete colonna posta a guardare466 il luogo di questa sposa: onde non dovete essere debile, ma forte; perocché la cosa debile, ogni piccolo vento che [p. 163 modifica]nisse, per tribolazione o per ingiuria che ci fosse fatta, per troppo abbondanzia di prosperità e delizie grandezze del mondo, l’uno vento e l’altro la farebbe cadere. Io voglio dunque che siate forte, poiché Dio v’ha fatto colonna nella santa Chiesa sua. Hacci dunque modo da fortificare la nostra debilezza? Sì bene, con l’amore. Ma non sarebbe ogni amore atto a fortificare. Non sarebbe lo stato né la ricchezza, né le superbie nostre, né ira né odio centra coloro che ci fanno ingiuria, né essere amatore di veruna cosa creata, fuore di Dio. Questo così fatto amore non tanto che egli ci dia forza, ma egli ci tolle quella che noi abbiamo; e tanto è misero e miserabile questo amore, che conduce l’uomo alla più perversa servitù che possa avere, e fallo servo e schiavo di quella cosa che non è,467 e tollesi la dignità e la grandezza sua. Ed è cosa ragionevole che ne sostenga pena; perocché esso medesimo si è privato di Dio. Dunque non è da fare altro, se non di ponere l’affetto e il desiderio suo e l’amore in cosa più forte di noi, cioè in Dio, onde noi abbiamo ogni fortezza. Egli è lo Dio nostro, che ci amò senza essere amato. Onde subito che l’anima ha trovato e gustato sì dolce amore, forte sopra ogni forte,468 ad altro non si può accostare, né altro può desiderare, se non lui; fuori di lui, non cerca né vuole cavelle. Onde costui è allora forte, perocché s’è appoggiato e legato in cosa ferma e stabile e che mai non si muta per veruna cosa che avvenga, e sempre seguita le vestigio e li modi di colui che egli ama: perocché egli è fatto uno cuore e una [p. 164 modifica]volontà con lui. Vede che sommamente Cristo si dilettò d’ogni pena e viltà:469 poniamochè fosse Figliuolo di Dio, nondimeno come agnello umile, mansueto e despetto, 470 conversò con gli uomini. E però si dilettano li servi suoi di questa via; odiano e dispiacegii tutto quanto il contrario, e fuggonlo. Costoro sono fatti una cosa con lui, e amano quello che Dio odia. Onde ricevono tanta fortezza, che veruna cosa già può nuocere. Fanno costoro come veri cavalieri, che non veggono mai tanta tempesta che se ne, curino; e non temono, perchè non si confidano in sé, ma tutta la speranza e fede loro è posta in Dio, cui elli amano: perocché vedono ch’egli è forte, e vuole e puole471 sovvenire. Onde allora dicono con grande umiltà con santo Favolo: «Ogni cosa potrò per Cristo crocifisso, ch’é in me, che mi conforta». Or non più dunque dormite, Padre. Poiché sete colonna, debile per voi, ma innestatevi in su l’arbore della croce, e legatevi per affetto e per smisurata e ineffabile carità con l’Agnello svenato, che da ogni parte del corpo suo versa sangue. Rompansi questi cuori; non più delizia e non più negligenzia; perocché il tempo non dorme, ma sollicitamente fa il corso suo. Facciamo mansione472 insieme con lui per amore e per santo desiderio: e non ci bisogna poi più temere. Questo è dunque il santo e dolce rimedio, cioè, che la creatura cognosca, sé medesima non essere: e sempre si vede fare quella cosa che non è; cioè il peccato, e ogni altra [p. 165 modifica]cosa ha da Dio. E quando ha cognosciuto sé, e egli cognosce la bontà di Dio in sé; e cognoscendo, lui ama, e sé odia, non sé in quanto creatura, ma in quanto si vede ribello al suo Creatore.473 Andando dunque con questo santo e vero cognoscimento, non erra la via, ma va virilmente; perocch’egli unito474 e trasformato in colui che è Via, Verità, e Vita; e hàlo sì fortificato, che né dimonio né creatura gli può tollere la sua fortezza; sì ei s’è fatto una cosa con lui. Or questo è il mio desiderio, cioè di vedervi legato in questo dolce e forte legame: e a questo me n’avvedrò. E uno de’ principali segni che noi abbiamo, che ci manifesti d’esser legati e discepoli di Cristo, cioè se noi rendiamo bene per male: altrimenti saremo in stato di dannazione. Molto è questo spiacevole a Dio in ogni creatura, ma specialmente nelli vostri pari, che sete posti per specchio nella santa Chiesa, dove li secolari si specchiano. E bene dovremmo ragguardare, che egli e maggiore la ingiuria che noi facciamo a Dio, ch’è infinito, che la ingiuria ch’è fatta per la creatura, che è finita; e nondimeno vogliamo che ci perdoni e faccia pace con noi, e vorremmo che facesse vista di non vedere l’offese nostre. Così dunque debbiamo fare noi verso i nemici nostri; e così vi prego e costringo da parte di Cristo crocifisso, che facciate per onore di Dio e salute vostra. Non dico più. Perdonate alla mia ignoranzia, perché per l’abbondanzia del cuore la lingua favella troppo. [p. 166 modifica]govi per quello Amore ineffabile, che voi mi siate uno campione nella santa Chiesa, cercando sempre l'onore di Dio e la esaltazione sua, e non di voi medesimo; siccome mangiatore475 e gustatore dell’anime. Studiatevi di fare ciò che potete, pregando il Padre santo che tosto ne venga e non tardi più. E confortatelo a ratto levare il gonfalone della santissima croce, e andare sopra l’infedeli, acciocché la guerra che è tra’ Cristiani vada sopra di loro. E non temete per veruna cosa che vedeste apparire, perocché l’aiuto divino è presso di noi. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

CII. — A Frate Raimondo da Capua dell’Ordine de’ Predicatori.

Conoscimento del vero nel vero. Inno al sangue.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo Padre in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi sposo vero della Verità e seguitatore e amatore d’essa Verità. Ma non veggo il modo che potiamo gustare e abitare con questa Verità se noi non cognosciamo noi medesimi. Perocché nel cognoscimento di noi, in verità cognosciamo, noi non essere, ma troviamo l’esser nostro da Dio, vedendo che egli ci ha creati alla immagino e similitudine sua. E nel cognoscimento di noi troviamo ancora la recreazione che Dio ci fece, recreandoci [p. 167 modifica]a Grazia nel sangue dell’unigenito suo Figliuolo; il quale sangue ci manifesta la verità di Dio Padre. La verità sua fu questa; che egli ci creò per gloria e loda del nome suo, e perchè noi participiamo l'eterna bellezza sua, perchè fussimo santificati in lui. Chi cel dimostra, che questo sia la verità? il sangue dello immacolato Agnello.

Dove troviamo questo sangue? nel cognoscimeuto di noi. Noi fummo quella terra dove fu fatto il gonfalone della croce: noi stemmo come vasello 476 a ricevere il sangue dell’Agnello, che correva giù per la croce. Perché fummo noi quella terra? perché la terra non era sufficiente a tenere ritta la croce; anco, averebbe rifiutata tanta ingiustizia; né chiovo era sufficiente a tenerlo confitto e chiavellato, se l'amore ineffabile che Egli aveva alla salute nostra non l’avesse tenuto. Sicché dunque l’affocata carità verso l’onore del Padre e la salute nostra, il tenne. Adunque fummo noi quella terra che tènnemo ritta la croce, e siamo il vaso che ricevemmo il sangue. Chi cognoscerà e sarà sposo di questa Verità, troverà nel sangue la Grazia, la ricchezza e la vita della grazia: e troverà ricoperta la nudità sua, e vestito477 del vestimento nuziale del fuoco della carità, intriso e impastato sangue e fuoco, il quale per amore fu sparto e unito con la Deità, Nel sangue si pascerà e notricherà di misericordia; nel sangue dissolve la tenebra e gustala luce; [p. 168 modifica]rocche nel sangue perde la nuvola dell’amore proprio sensitivo, e il timore servile che dà pena: e riceve timore santo e sicurtà del divino amore, il quale ha trovato nel sangue. Ma chi non sarà trovato amatore della Verità, non la cognoscerà nel cognoscimento di sé e del sangue. 478 Che479 egli vada schiettamente e senza frasche o novelle o timore servile; e senta il lume della fede viva, non solamente in parole, ma che basti d’ogni tempo, cioè nell’avversità come nella prosperità, e nel tempo della persecuzione come nel tempo della consolazione; e per neuna cosa diminuisca la fede, e il lume suo. Perocché la Verità ha fatto cognoscere nella Verità, e non tanto per gusto, ma per prova.480 Dico, che se questo lume e questa Verità non sarà trovata nell’anima, non sarà però, che non sia vasello che abbia ricevuto il sangue; ma per suo giudicio e sua confusione,481 in tenebre e dinudato del vestimento della Grazia, riceverà giustizia, non per difetto del sangue, ma perché esso spregiò il sangue, e, come accecato del proprio amore, non vide né cognobbe la Verità nel sangue: onde egli l’ha ricevuto in [p. 169 modifica]ruina; e con grande amaritudine è privato dell’allegrezza del sangue e della dolcezza e del frutto del sangue, perché esso non conobbe se né il sangue in sé, e però non fu sposo fedele della Verità. Adunque v’è bisogno di coguoscere la Verità, a volere essere sposo della Verità. Dove? Nella casa del cognoscimento di voi medesimo, cognoscendo, l'essere vostro avere da Dio per grazia, e non per debito. E in voi cognoscere la recreazione che v'ha data, cioè, d’essere recreato a Grazia nel sangue dell’Agnello, e ine bagnarvi, e annegare e uccidere la propria volontà. In altro modo, non sareste sposo fedele della Verità, ma infedele. E però io dissi che io desideravo di vedervi sposo vero della Verità. Annegatevi dunque nel sangue di Cristo crocifisso, e bagnatevi nel sangue, e inebriatevi del sangue, e saziatevi del sangue, e vestitevi di sangue. E se fusto fatto infedele, ribattezzatevi nel sangue; se il dimonio v’avesse offuscato l’occhio dell’intelletto, lavatevi l’occhio col sangue: se fuste caduto nella ingratitudine de’ doni non cognosciuti, 482 siate grato nel sangue; se fuste pastore vile e senza la verga della giustizia, condita con prudenzia e misericordia, traetela dal sangue; e coli’ occhio dell’intelletto vederla dentro nel sangue, e con la mano dell’amore pigliarla, e con ansietato desiderio strignerla. Nel caldo del sangue dissolvete la tepidezza; e nel lume del sangue caggia la tenebra; acciocché siate sposo della Verità e pastore vero e governatore delle pecorelle che vi sono messe tra le mani, e amatore della cella dell’anima e del corpo, quanto v’è possibile nello stato vostro. Se starete nel sangue, il [p. 170 modifica]farete; e se no, no. E però vi prego per amore di Cristo crocifisso, che voi il facciate. E spogliatevi d’ogni creatura (e io sia la prima); e vestitevi per affetto d’amore di Dio, e ogni creatura per Dio; cioè d’amarne assai, e conversarne pochi, se non in quanto si vede adoperare la salute dell’anime. E così farò io, quanto Dio mi darà la Grazia. E di nuovo mi voglio vestire di sangue, e spogliarmi ogni vestimento ch’io avessi avuto per fine a qui. Io voglio sangue; e nel sangue satisfò e satisfarò all’anima mia. Ero ingannata quando la cercavo 483 nelle creature. Sicché io voglio nel tempo della sollicitudine accompagnarmi484 nel sangue; e così troverò il sangue e le creature; e berrò l’affetto e. l’amore loro nel sangue. E così nel tempo della guerra gusterò la pace, e nell’amaritudine la dolcezza; e nell’essere privata delle creature, e della tenerezza485 del padre, troverò il Creatore ed il sommo ed eterno Padre, Bagnatevi nel sangue: e godete, che io godo per odio santo di me medesima. Altro non vi dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore. [p. 171 modifica]

CIII. — A Benuccio di Pietro, e Bernardo di Misser Uberto de’ Belforti da Volterra 486

Si concilino co’ nemici, per aver pace con Dio. Il modo unico dell’amare Dio è l'amare il prossimo. Non e’ è amore senza generosità, né questa senza umiltà. Il male fatto è ragione del bene da farsi; minaccia di gastighi; che a’ Belforti poi vennero: ma minacciando piega. Invita quegli alteri potenti, vengano a lei, non potendo essa a loro.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimi figliuoli in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi; con desiderio di vedere il cuore e l’affetto vostro e l’anima487 vostra pacificata con Cristo crocifisso; perocché altrimenti non potreste partecipare la divina Grazia. Voi sapete, figlioli miei, che solo il peccato è quello che fa cadere l'uomo nella guerra col suo Creatore. In che modo dunque potremo fare questa pace, poiché siamo caduti nella guerra mortale per le colpe nostre, e condannati siamo alle pene eternali, se pace non ci ha? Io voglio per certo che procacciamo il modo; poiché noi siamo caduti in tanto pericolo e danno dell’anima e del corpo: e modo non ci veggo altro che uno, cioè quello santo modo che tenue Dio verso di noi, quando per il peccato d’Adam tutta l’umana generazione cadde in guerra con Dio. Volendo dunque [p. 172 modifica]la misericordia di Dio fare pace con l’uomo, e della colpa commessa si conveniva pur fare vendetta; mandocci il Verbo dell’unigenito suo Figliuolo, come nostra pace488 e tramezzatole. E ’l Figliuolo di Dio prese le nostre iniquitadi, e punille sopra il corpo suo, siccome nostra pace e tramezzatore che egli fu. E dove le punisce? In su la dolorosa, penosa e obrobriosa morte della croce. Sicché vedete che Dio col mezzo del suo Figliuolo ha fatto pace coll’uomo; ed è sì perfetta questa pace e sì compita, 489 che poniamo490 l’uomo ricaggia in guerra pel suo peccato e defetto,491 egli ha lassato il sangue; il qual sangue riceviamo nella santa confessione, e ogni dì il possiamo usare, e avere tanto quanto piace a noi. Poi, dunque, che tanto di grazia e misericordia abbiamo ricevuta da Dio, non voglio che siamo ingrati né cognoscenti; ma voglio che seguitiate le vestigio di Cristo crocifisso; acciocché voi vi possiate pacificare con lui seguitando le sue vestigio, come detto è: perocché altrimenti, stareste in continua dannazione. Io ho detto che Dio per mezzo del Figliuolo suo, e il Figliuolo per mezzo del sangue, ci ha tolta la guerra e data la pace: così dice? io a voi, cioè che col mezzo della virtù vi converrà levare la guerra e fuggire l’eterna dannazione: altrimenti,, sareste confusi in questa vita e nell’altra. [p. 173 modifica]Ma io voglio che voi sappiate: ne amare Dio né virtù si può avere: nell’anima senza il mezzo del prossimo suo. Come? Dicovelo. Io non posso, l'amore ch’io ho al mio creatore, mostrarlo in lui, perchè a Dio non si può fare utilità. Conviene dunque pigliare il mezzo della sua creatura, e alla creatura sovvenire e fare quella utilità che a Dio fare non posso. E però Cristo a san Pietro, dimandandolo: «Pietro, m’ami tu?» Ed egli rispedendo, «si;» Cristo rispose, e disse: «Pasci le pecorelle mie. Dell’amore che tu mi porti, tu non puoi fare a me alcuno bene: fanne dunque bene al prossimo tuo». Sicché vedete, che col mezzo ci conviene pacificare della grande guerra che abbiamo con Dio. E sopra questo mezzo, acquisterete voi il mezzo della virtù.492 Io vi dissi che era quello dolce e glorioso mezzo il quale tolle ogni guerra e tenebra dell’anima. Ma tenete a mente: questa virtù s’acquista e truova nell’amore del prossimo suo; amando amici e nemici per Cristo crocifisso. E per esso spegnesi il fuoco dell’ira e dell’odio che l’uomo avesse col fratello suo.

La virtude della carità e dell’umiltà si truova e s’acquista solo in amare il prossimo per Dio; perocché l’uomo umile e pacifico caccia l’ira e l'odio del cuore suo verso il nemico, e la carità caccerà l’amore proprio di sé, e dilagherà il cuore con una carità fraterna, amando nemici e amici per lo svenato e consumato493 Agnello, come sé medesi [p. 174 modifica]mo; e davagli una pazienzia contra ogni ingiuria che gli fusse detta o fatta, e una fortezza dolce494 in sapere portare e sopportare495 i difetti del prossimo suo. Allora l’anima che sì dolcemente ha acquistata la virtù avendo seguitate le vestigio del suo Salvatore, rivolse tutto l’odio che aveva al prossimo suo, verso sé medesimo, odiando e’ vizi e’ difetti e i peccati che ha commessi contra il suo Creatore, Bontà infinita. E però egli vuole fare vendetta di se, e punirli sopra la parte sensitiva sua: cioè, che come la sensualità e vivere mondano egli 496 appetisce odio e vendetta del prossimo suo; così la ragione ordinata in perfetta e vera carità, vuole fare il contrario, volendo amare e pacificarsi con lui. E così tutti quanti e’ vizi hanno per contrario497 le virtù. E questa è quella virtù che fa pacificare l’anima con Dio; sicché con la virtù vendica l’ingiuria che egli ha fatta.

E però vi dissi che desideravo di vedere el cuore e l’affetto vostro pacificato col vostro Creatore. Questa è la vera via: veruna altra ce n’ha. Io dunque, figliuoli miei, avendo desiderio della salute vostra, vorrei che col coltello dell’odio fosse [p. 175 modifica]tolto498 da voi, e non faceste come gli stolti e matti che col percuotere altrui, percuotono se. Egli è il primo morto. Perocché colui che sta dell’odio mortale, 499 volendo uccidere il suo nemico, egli s’ha dato prima per lo petto a sé; perocché la punta dell’odio gli è fitta per lo cuore, il qual ha morto a Grazia. Non più dunque guerra, per l’amore di Cristo crocifisso. E non vogliate, tenere in tormento l'anima e il corpo. Abbiate timore del divino giudizio, il quale è sempre sopra di voi.

Non voglio dire più di questo: e dell’altre materie che s’appartengono alla salute vostra vi dirò a bocca. Ma ora vi prego e vi costringo, da parte di Cristo crocifisso, di due cose; l’una è, che io voglio che voi facciate pace con Dio, e co’ nemici vostri; perché altrimenti non la potresti fare con la prima dolce Verità, se. prima non la faceste col prossimo vostro. L’altra si è, che non vi sia fatica a venire un poco infino a me il più tosto che voi potete. Se non500 che a me è tanto malagevole il venire, io verrei a voi. Altro non dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce. Gesù amore. [p. 176 modifica]

CIV. — A Frate Raimondo da Capua dell’Ordine de’ Predicatori.

Amare anco i nemici e i non buoni. Rendere l’onore a Dio, la fatica al prossimo, come debito: fatica e di corpo e di spirito. Lodi magnifiche della pazienza in quanto vestita di carità. Solitudine sociale operosa. Brama la morte.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo e dolcissimo padre, e negligente e ingrato figliuolo, in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava’ de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi con vera e perfetta sollecitudine ad acquistare e conservare la virtù: perocché senza sollecitudine l'anima non la trova; ne quella ch’egli ha, conserva. L’amore è quella cosa che fa il cuore sollicito, e muove i piei 501 dell’affetto ad andare nel luogo dove si truova la virtù. L’anima dunque, che non è sollecita, segno è che non ama. Convienci dunque amare virilmente e schiettamente, e senza mezzo502 della propria sensualità o d’alcuna creatura che abbia in se ragione; e per giungere a questo dolce amore, ci conviene aprire l’occhio dell’intelletto, e cognoscere e vedere quanto siamo amati da Dio. Ma ad avere questo cognoscimento, ci conviene andare co’ piei dell’affetto nella casa del vero cognoscimento di noi, perché nel cognoscimento di noi si concepe l’odio verso la propria sensualità, e concepesi amore verso di Dio per la inestimabile sua carità, che ha trovata dentro da sé. 503 Onde allora il cuore subito si leva con uno [p. 177 modifica]stimolo d’affocato desiderio, e va cercando in che modo possa più perfettamente spendere il tempo suo; parendogli sempre avere caro del tempo (perché nel tempo si vede acquistare il tesoro, e perdere, secondo che gli piace); e vedendo che in neuno modo può giungere a vera virtù, se non col mezzo della carità del prossimo. La quale carità trasse dal cognoscimento di Dio, perocché nella bontà di Dio vide e cognobbe che ’l suo smisurato amore non si distendeva pure a lui, ma ad ogni creatura che ha in sé ragione, ed amici, e a nemici. Poniamochè s’ami più 'l uno che l’altro, secondo che si truova l'affetto della virtù.

Il virtuoso ama504 per amore della virtù, e in quanto egli è creatura; e lo ingiusto e iniquo505 peccatore, l'ama, sì perché egli è creato da Dio, e sì perché egli si parta dal vizio, e venga alla virtù. E così diventa gustatore506 e mangiatore dell’anime per onore di Dio. E per trarre l'anime dalle manidelle dimonia, si darebbe alla morte. E con sollicitudine fura il tempo a sé, cioè alla propria consolazione, di qualunque consolazione si vuole, o nuova vecchia che sia; e dallo al prossimo suo. E però fu detto a quella serva di Dio, dicendo ella: «Signore mio, che vuoli tu che io faccia?» ed egli rispose: «dà l’onore a me, e la fadiga al prossimo tuo».

E che fadiga gli dò? dagli fadiga corporale e mentale. Fadiga mentale e di santo desiderio, e offerire sante e umili e continue orazioni, con allegrezza [p. 178 modifica]de’ virtuosi,507 e con dolore di quelli che giaciono nella morte de’ peccati mortali, sostenenendo con vera pazienzia gli scandali, le infamie e le mormorazioni loro, le quali danno a noi; non ritardando per alcuna cosa l'orazione, e affocato desiderio, fame e sollicitudine della salute loro. Allora si conforma l’anima con Cristo crocifisso, mangiando questo cibo in su la penosa e ansietata croce del desiderio di Cristo, che fu maggiore e più penosa che quella del corpo. Dico che vuole gli sia data ancora fadiga corporale; e questo è quando ci affadighiamo corporalmente in servizio del prossimo, servendo di qualunque servizio si sia, patendone noi disagi e pene corporali. E alcuna volta Dio permette, che sosteniamo da loro delle percosse, e fame e sete e molta persecuzione; siccome facevano i santi martiri, che sostenevano pena e grandi tormenti. Ma egli è tanta la nostra imperfezione, che noi non siamo ancora degni di giugnere a tanto bene, quanto è essere perseguitati per Cristo.

Or per questo modo dunque doviamo dare la fadiga al prossimo, e l’onore a Dio, e fare adoperare 508 ogni cosa a gloria e loda del nome suo: perocché altrimenti le fadighe nostre non porterebbero frutti di vita, ma in questa vita gusteremmo l’arra della morte eternale. In Dio concepete l’amore, in cercare l'onore suo e la salute dell’anime; e nel prossimo si prova l'amore conceputo, nella virtù della pazienzia.

Oh pazienzia, quanto sei piacevole! oh pazienzia, quanta speranza dai a chi ti possiede! o pazienzia, tu sei reina, che possiedi, e non se’ [p. 179 modifica]duta dall’ira. O pazienzia, tu fai giustizia della propria sensualità, quando volesse mettere il capo, fuore, dell’ira. Tu porti teco un coltello di due tagli per tagliare e dibarbicare l’ira e la superbia, e il mirollo della superbia e impazienzia; cioè, dico due tagli, odio e amore. E il vestimento tuo è vestimento di sole, col lume del vero cognoscimento di Dio, e col caldo della divina carità, che gitta raggi co’ quali percuoti coloro che ti fanno ingiuria, gittando loro carboni di fuoco, accesi di carità, sopra il capo loro, il quale arde e consuma l’odio del loro cuore. Sicché dunque, pazienzia dolce fondata in carità, tu sei quella che fai frutto nel prossimo, e rendi onore a Dio. Egli è ricoperto questo tuo vestimento di stelle509 di varie e diverse virtù: perocché pazienzia non può essere nell’anima senza le stelle di tutte le virtù, con la notte del cognoscimento di sé, che quasi pare uno lume di luna. E dopo il cognoscimento di sé medesimo viene il dì, col lume e caldo del sole. Il quale510 è il vestimento della pazienzia, come detto è. Chi dunque non s'innamorerebbe di così dolce cosa, quanto è la pazienzia, cioè, a sostenere per Cristo crocifisso? Portiamo dunque, carissimo e dolcissimo padre. E non perdete il tempo, e studiatevi a cognoscere voi, acciocché questa reina abiti nell’anima vostra: perocché ella ci è di grande necessità. E così vi troverete in croce con Cristo crocifisso, e notricheretevi del cibo suo, al quale Dio v’ha chiamato ed [p. 180 modifica]eletto. E parravvi essere in lume di luna, mentre che sosterrete: ma nel sostenere troverete el lume del sole. L’anima vostra allora sarà risuscitata nella virtù: e couservevatela, e cercheretela con più sollicitudine e perfezione, infino che sarete giunto al termine vostro; e conformeretevi con Cristo crocifisso, che sostenne pene e tormenti ed obbrobrii. Perché sostenne? perocché cognobbe la sapienzia di Dio, che dell’offesa fatta al Padre doveva seguitare la pena. L’uomo era indebilito, e non poteva satisfare. Egli con affocato amore satisfesce, non essendo in lui veleno di peccato. In questo seguiterete le vestigio sue, se sarete virtuoso, sostenendo ingiustamente, cioè in non avere offesi coloro che ci fanno ingiuria; che in quanto dalla parte di Dio, sempre la511 riceviamo giustamente, perocchè sempre l’offendiamo. Poi, dunque, che Cristo ha sostenuto infino alla morte, ed è resuscitato glorioso; così faremo noi e li altri servi di Dio che sostengono con pena infino alla morte della propria sensualità. Perocché quando la propria sensualità è morta, l’anima n’esce risuscitata a grazia, e ha atterrato il vizio, gloriosa con la reina della pazienza. E col vestimento della pazienzia, che è detto di sopra, persevera infino all’ultimo, che sale in cielo. Benché tutte le virtù, fuore della carità, che è il vestimento della pazienzia, rimangono tutte di sotto, ed ella entra dentro come donna; nondimeno ella trae a sé il frutto di tutte le virtù, e singolarmente il frutto della pazienzia; perocché ella è tutta incorporata nella carità; anco, è il mirollo della carità, perocché s’è manifestata vestita d’amore, e non nuda. Pe [p. 181 modifica]rocche pazienzia senza carità già non sarebbe virtù. Ma perché l'amore vero e perfetto è nell’anima, ha mostrato il segno del sostenere pene e obbrobrio, scherni e villania, tentazioni del dimonio e lo stimolo della carne, le lingue de’ mormoratori e le lusinghe del cuore doppio, ’ che ha una in cuore e un’altra mostra in lingua; e tutte le ha passate con vera e santa pazienzia, e con vera sollecitudine di servire a Dio e al prossimo suo. Ed è fatto abitatore della cella del cognoscimento di sé; nella quale cella sta la cella ^ del cognoscimento della bontà di Dio in sé. Ine ingrassa, e ine si diletta. Nella cella sua mangia con pena ^ el cibo dell’anime: e così ha posta la mensa in su la croce. Nella cella della gloria e loda del nome di Dio si riposa, e ine ha fatto il letto suo. E così ha trovata la mensa e ’l cibo e servitore, cioè lo Spirito Santo, e l'onore * del Padre eterno, dove si riposa. E poiché ha trovata la cella dentro così dolcemente, ed egli la procaccia di fuore ancora, quanto gli è possibile.

Ricordivi, carissimo padre e negligente figliuolo, della dottrina di Maria, e di quella della dolce prima Verità. Sapete che vi conviene stare nel cognoscimento di voi; e offerire umili e continue orazioni. E convienvi studiare la cella, e cognoscere la verità; e fuggire ogni conversazione, se non quella

1 Dopo le mormorazioui e erli scherni, dopo tutte le altre tentazioni, pone, t-ome più t:ravissiraa, le lusinghe del cuore doppio, che più muovono a sdegno l’anima sincera, e però non se ne risentire è prova di più forte virtù.

- L’una cella nell’altra. Il rifugio più segreto è la speranza e la gratitudine della misericordia; e senz’essa lo studio di sé è orgoglio’ affannoso. Ma questo è quasi il limitare ai più intimi penetrali della perfezione.

3 Non è senza fatica il far migliori le anime altrui; ma con la fatica cresce il godimento e il nutrimento che ne viene alla nostra.

  • L’onore è il cibo, lo spirito lo ministra. [p. 182 modifica]LETTERE DI SANTA CATERINA 171

che è di uecesità per salute dell’anime, per traile dalle mani delle dinionia con la santa confessione. Dilettatevi per questo co’ publicaui e co’ peccatori: ma degli altri amatene assai, e conversatene * pochi. Non dimenticate all’ora e a tempo ^ suo l’officio divino: né siate lento ne negligente quando avete a fare i fatti per Dio e in servizio del prossimo. Ma data che voi avete la fadiga, e voi fuggite in cella; e non vi andate dilagando nelle conversazione sotto colore di virtù. Son certa, se averete perfetta sollecitudine e fame delle virtù, che voi il farete; e non starete senza memoria di non tenere a mente quello che v’è stato detto. Altrimenti, non fareste ^ mai, né conservereste quello che avete, se sollicitudine non ci fusse. E però vi dissi ch’io desideravo di vedervi con vera e perfetta sollicitudine. Ho speranza in quella dolce madre Maria, che adempirà il desiderio mio. Perdete voi medesimo, e cercate solo Cristo crocifisso, e non veruna altra creatura.

Pregate quelli gloriosi Pietro e Paolo, * che mi dieno grazia, a me e agli poverelli figliuoli, che ci anneghiamo nel sangue di Cristo crocifisso, e vestiamci della dolce verità. E me, s’egli è la volontà sua, tragga di questa tenebrosa vita: perocché la

1 Così frequentare una casa, e, in una casa; bazzicare un luogo, e, in un luogo, e con tali e tali persone.

2 Non sempre devesi o conviene lare gli usati esercizi a una c-ert’ora, quand’altro dovere altrove ci chiama: raa bisogna ragionevolmente saper cogliere a ciascuna cosa il suo tempo; e questo è dovere imprescrittibile in ogni faccenda.

2 Non fareste mai il bene davvero.

  • Di qui potrebbe arguirsi che Raimondo da Capua fosse a Roma: ma

poteva pregare Pietro e Paolo anco altrove; ohe a ogni modo, non crederei questa lettera degli ultimi anni di Caterina, ancorché ci si parli del suo desiderare la morte. [p. 183 modifica]vita m’è impazienzia,512 e la morte in grande desiderio. Confortatevi; e godiamo ed esultiamo; che l'allegrezza nostra sarà piena in Cielo. Altro non dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

CV. — A Fidate Bartolomeo, quando era ad Asciano.

Scritta per la domenica dell’Ulivo. Dell’umiltà gloriosa di Gesù Cristo. Del domare imperiosamente la nostra sensualità. D’un viaggio suo. Parole d’affetto ai discepoli.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

A voi dilettissimo e carissimo figliuolo" mio in Cristo Gesù, io Catarina, serva e schiava de’ servi di Dio, scrivo e confortovi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi con ardentissimo desiderio e con profonda umiltà e sollecitudine a ricevere il re nostro, che viene a noi umile e mansueto, e siede sopra l'asina. Oh inestimabile diletta Carità, oggi confondi la superbia umana, vedendo che tu, Re de’ re, vieni umiliato sopra la bestia, e cacciato con tanto vituperio.513 Vergogninsi dunque coloro che cercano gli onori e la gloria del mondo. Levisi, levisi, figliuolo carissimo, il fuoco del santo desiderio, e sia privato d’ogni freddezza; e salga sopra l’asina della nostra umanità,514 sicché ella non vada [p. 184 modifica]mai se non secondo che la ragione la guida, e non appetisca se non l’onore di Dio e la salute delle creature. Così voglio che facciate con grande sollecitudine, sentendo il caldo sul ^ calore del re nostro. In questo modo signoreggeremo la nostra sensualità e freddezza con cuore virile; e sarete gustatore del vero e amoroso cibo, il quale il figliuolo di Dio mangiò in su la mensa della santa croce. Questo farete voi e Neri, E fate con sollicitudine ciò che potete fare, dando l’onore a Dio^ e la fadiga al prossimo, con fede che lo Spirito Santo farà quello che a voi pare impossibile.

Del venire costà invisibilmente, io ’l fo per continua oratione, a voi e a tutto il popolo; e visibilmente, quando sarà possibile a me di fare, e quando Dio vorrà. Dell’andare a Santa Agnesa, non veggo il modo d’andarvi ora per la festa ^ sua, perocché non ho apparecchiato quello che voleva; se già Dio non provedesse. ^ Se vedete costà l’onore di Dio, non paia ■* fadiga di stare un poco più.^ Anco, adoperate quello che è di bisogno, con allegrezza; e state con ardente cuore.

Dite a frate Simone, figliuolo mio, in Cristo Gesù, che il figliuolo non teme mai d’andare alla madre; anco, corre a lei, singolarmente quando si vede percuotere, e la madre il riceve in braccio, e tiello al

515

516

<ref><Forse qualche sovvenimento al monastero: di che in altra lettera. ■* Omesso il vi. Come Dante: «Mi ritrovai per una selva... Che la diritta via era smarrita!> (da me).

<ref>Un poco più dopo Pasqua a predicare e fare dell’altro bene. [p. 185 modifica]petto suo, e notricalo.517 E poniamochè io cattiva madre sia, nondimeno sempre il porterò al petto della carità. Siate sollecito,518 e non negligente: sì che l'anima mia riceva letizia nel cospetto di Dio. Non ho avuto tempo di scrivergli. Benedicetelo cento migliaia di volte da parte di Cristo Gesù. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Alessa, ed io, e Cecca ci mandiamo molto raccomandando. Gesù dolce. Gesù amore.

CVI. — A Neri di Landoccio.

Negligenza del bene è da ingratitudine. Approfittare del tempo come di tesoro datoci, è riconoscenza.

A nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo Figliuolo in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedere spegnere in te ogni negligenzia e ingratitudine; però che negligenzia non è senza ingratitudine. Perocché se l’anima fusse grata, e cognoscente verso il suo Creatore, sarebbe sollecita, e non si lasserebbe fuggire il tempo fra le mani; ma con fame della virtù furerebbe il tempo. Voglio adunque, carissimo figliuolo, che col desiderio della virtù, e con gratitudine de’ benefizi ricevuti, eser [p. 186 modifica]citi sempre il tempo, 519 con umile e continua orazione. Altro non dico. Bagnati nel sangue di Cristo crocifisso, e permani nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce. Gesù amore.

CVII. — A Luisi di Misser Luisi Gallerani da Siena in Asciano.520

Sia cavaliere costante: gli sia colonna la eroine, alla quale appoggiato combatta. Il male è guerrra, in Cristo la pace.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

A Voi, dilettissimo e carissimo fratello mio in Cristo Gesù, io Catarina, serva e schiava de’ servi di Dio, scrivo e confortovi nel prezioso sangue del Figliuolo suo; con desiderio di vedervi cavaliere virile: cioè che audiate innanzi come cavaliere virile,521 non vollendovi addietro a schifare e’ colpi, ma sempre audiate innanzi522 con vera e perfetta perseveranzia. Perocché sapete che sola523 perseveranzia è coronata, e non il cominciare. E se vi [p. 187 modifica]sentite stanco nel perseverare in questo campo della battaglia, tollete, carissimo fratello in Cristo Gesù, tollete il gonfalone santo della croce, il quale è una colonna fortissima, dove si riposa l’Agnello svenato per noi. E tanto è forte, che ci tolle ogni debolezza: e tanto fortifica il cuore dell’uomo, che ne dimonio né creatura il puole524 muovere se esso medesimo non vuole. E non me ne maraviglio; perocché la fortezza dell’Amore il teneva legato e chiavellato in su il legno della santa croce. Or qui su dunque vi prego che vi leghiate; e così non potrete tornare indietro. Ine troverete fondate tutte le virtù. Ine sì troverete Dio-Uomo per l’unione della natura divina coll’umana. Ine troverete l’abbondanzia della divina Carità, con la quale egli ha tratta la sposa dell’umana generazione dalle mani del dimonio, che la possedeva come adultera.525

O dolcissimo amore Gesù, che con la mano disarmata e confitta e chiavellata in croce hai confitti e’ miei nemici! Egli venne, come nostra pace, a pacificare l’uomo con Dio. Così disse santo Paolo. «Io son messo e legato526 in Cristo per voi. Pregovi, fratelli carissimi, che vi reconciliate e facciate pace con lui; perocch’egli è venuto come tramezzatore a metter pace tra Dio e l’Uomo.» O dolce Gesù, bene è vero che tu se’ nostra pace e tranquillità e riposo di coscienzia; e veruna amaritudiue né tristizia può cadere in questa anima, né [p. 188 modifica]tà,527 nella quale abiti per Grazia. E ragionevole cosa è, ch’egli abbia perfetta letizia e piena ricchezza; però che in Dio, che è somma letizia, non cade tristizia né amaritudine. Egli è somma ricchezza, che non viene mai meno; e non v’ha ladri528 che imbolino.

Adunque io vi prego carissimamente che siate sollecito, questo punto del tempo che n’è rimaso;però che è grande consolazione il vivere bene e virtuosamente. E però vi dissi, io desideravo che fusto vero cavaliere, che non vi volleste mai in dietro, lassando il santo proponimento cominciato; armato delle vere e reali Virtù, appoggiato alla colonna della santa croce, la quale vi difenderà da ogni morsura e molestia di dimonio o di creatura che volesse ritrarvi dalle virtù. Non date orecchio, né crediate a’ consigli delle creature che vi volessero ritrarre del santo proponimento: ma con la confessione,529 spesso usando con quella compagnia che v’aiti ad avere Dio per Grazia. Non dico più. Bagnate530 la memoria vostra nel sangue suo. E confortatevi da parte di frate Bartolomeo,531 e di Neri. Raccomandate loro e me a messer Berenghieri.532 [p. 189 modifica]178 LETTERE DI SANTA CATERINA

Permanete nella santa pace di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

CVIII. - A Monna Giovanna di Capo e a Francesca in Siena.533

L’anima amante pone a usura i tempi fin del riposo, e ne cava tesori di merito. A vestirsi d’amore richiedasi la mano dell’amore; perché l’abito deve ’muovere dagli atti, e le opere da’ sentimenti.

Ai nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Dilettissime e carissime figliuole mie. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi tutte accese534 e consumate nel fuoco della divina Carità, sì e per sì fatto modo, che ogni amore proprio e freddezza di cuore, e tenebre di niente abbia a cacciare fuore. Questa è la condizione535 della divina Carità; che sempre adopera, e mai non si stanca, siccome l’usuraio 536 sempre guadagna il tempo per lui: se dorme, guadagna; se mangia, guadagna, e ciò che fa guadagna, e non perde mai tempo. Questo non fa l’usuraio, ma il tesoro del tempo.537 Così fa la sposa innamorata di Cristo, arsa [p. 190 modifica]LETTERE DI SANTA CATERINA 179

nella divina Carità: sempre guadagna, e mai non sta oziosa. Egli538 dorme; e la Carità lavora, mangiando, dormendo, e vegliando. Ciò che fa, d’ogni cosa trae il frutto.539 Carità piena di letizia, tu se’ quella madre che nutrichi i figlioli delle virtù al petto tuo. Tu se’ ricca sopra ogni ricchezza, in tanto che l’anima, che si veste di te, non può essere povera. Tu gli doni la bellezza tua, perocché la fai una cosa con teco; perché, come dice Santo Giovanni, Dio è carità; e chi sta in carità, sta in Dio, e Dio in lui. figliuole carissime, gaudio e letizia dell’anima mia, ragguardate l’eccellenzia e la dignità vostra, la quale riceveste da Dio per mezzo di questa madre della Carità. Che sì forte fu l'amore che Dio ebbe alla creatura, che ’l mosse a trarre noi di sé, e donarci a noi medesimi la immagine e similitudine sua, solo perché noi godessimo e gustassimo540 lui, e partecipassimo l’eterna sua bellezza. Non ci fece animali senza intelletto e memoria; ma egli ci die la memoria a ricevere 541 i benefizii suoi, e lo intendimento ad intendere la somma sua eterna volontà, la quale non cerca ne vuole altro che la nostra santificazione e la volontà ad amarla. Subitochè l’occhio del cognoscimento intende la volontà del Verbo, che vuole che ’l seguitiamo per la via della santissima croce, portando ogni pena, strazii, scherni, e rimproverii per Cristo [p. 191 modifica]180 LETTERE DI SANTA CATERINA

crocifisso, che è in noi, che ci conforta; la volontà si leva subito, riscaldata dal fuoco di questa madre della Carità, e corre, ad amare quello che Dio ama, e odia quello ch’egli odia, in tanto che non vuole cercare né desiderare, né vestirsi d’altro che.della somma eterna volontà di Dio. Poich’egli ha inteso e veduto ^ ch’egli non vuole altro che ’l nostro bene, vede che gli piace, e vuole " essere seguitato per la via della croce; è contento e gode di ciò che Dio permette, o per infirmità o per povertà, o ingiuria villania, obedienzia incomportabile e indiscreta. D’ogni cosa gode ed esulta; e vede che Dio il permette per sua utilità o perfezione. Non mi maraviglio se ella è privata della pena, perocché ella ha tolto da sé quella cosa che dà pena, cioè la propria volontà, fondata nell’amor proprio, e vestito ^ della volontà di Dio, fondata in carità.

E se voi mi diceste: «Madre mia, come ci vestiremmo?» — rispondevi: «con l’odio, e con l’amore». Che l’amore fa vestire dell’amore; siccome colui che si veste, che per odio ch’egli ha al vestimento vecchio, se lo spoglia, e con l’amore si mette il nuovo in dosso. ^ il vestimento, figliuole mie, é quello che veste? no: anco, è l’amore, perocché ’l vestimento per sé medesimo non si muterebbe, se la creatura non l’avesse preso per amore. ^

1 Si può intendere a mezzo; intendere, e poi le tracce della cesia intesa dileguarsi: il vedere dice intelligenza chiara e continua.

2 La volontà è più deliberata, costante, imperiosa, che il mero piacere. 2 Meglio vestita.

  • Non correggo or, ch’è yel modo d’interrogare; perché l’o stesso ha

simile forza, come il ne de’ latini.

5 Non è gioco di parole, ma ha senso profondo. Per amare il bene bisogna incominciare ad amarlo; senza ciò non si tolgono gl’impedimenti. Per accendersi, il corpo deve già avere in se un principio di calore. E acciò che questa non sia una petizione di principio, ne segue che al movimento dell’amore umano deve precedere la Grazia che infonda l’amore, a dir così, dell’amore. [p. 192 modifica]LETTERE DI SANTA CATERINA 181

Onde potremo ricevere questo odio? solo dal coguoscimeiito di voi medesime, vedendo, voi non essere: il quale tolle ogni superbia, e infonde vera umilità. Il quale cognoscimento fa trovare il lume e la larghezza della bontà di Dio, e la salute, ^ e inestimabile carità. Il quale non è nascosto a noi: era bene nascoso alla grossità nostra, prima che ’1 Verbo Unigenito Figliuolo di Dio s’incarnasse; ma poiché volle essere nostro fratello, vestendosi della grossità della nostra umanità, ci fu manifesto; ~ essendo poi levato ^ in alto, acciocché ’l fuoco dell’amore fusse manifesto a ogni creatura, e tratto fusse il cuore per forza d’amore.

Dunque bene è vero che l’amore trasforma, e fa una cosa l’amato con colui che ama. Or sollicite dunque, figliuole mie, a distendere il braccio dell’amore a prendere e ripouere nella memoria quello che l'intendimento ha inteso. A questo modo sarà adempito il desiderio di Dio e mio_ in voi, cioè, ch’io vi vedrò arse e consumate, e vestite del fuoco della divina carità. Fate, fate, che vi notrichiate di sangue. Che tosto ne vengono i tempi nostri.


1 Che segue da quella bontà e che e’ ispira la carità.

2 II lume che ci aiuta a conoscere noi. Il motto grego conosci te stesso invocava il cristianesimo, come l’iscrizione al Dio ignoto.

3 Acciò che sia più cospicuo, e^attragga il tutto a se. Un inno:

«Quicumque Christum qvceriiis,
Oculos in aitimi tollite
Illustre quiddam cernimus
Quod nesciat finem pati».

  • Vangelo: «Tempus meum prope est:» del sagrifizio. Presentiva le

prossime calamità. Il Burlamacchi dice che questa lettera non fu scritta da Lucca da Pisa, né nella prima gita di Firenze, dov’ella andò non per ordine del Pontefice, ma in altro, a noi non- noto, viaggio. Potrebb’essere di quelle missioni che, accompagnata da sue sorelle e da confessori, con speciali indulgenze del pontefice, essa faceva nel,distretto di Siena, [p. 193 modifica]182 LETTERE DI SANTA CATERINA

Non vi maravigliate se non siamo venute; ma tosto ne verremo, se piacerà alla divina bontà. Per alcuna utilità della Chiesa e volontà del Padre Santo ho sostentato per un poco il mio venire. Pregovi o comandovi, a voi, figliuole e figliuoli, che tutte preghiate, e offeriate orazioni, santi e dolci desiderii dinanzi a Dio per la santa Chiesa, perocché molto è perseguitata. Non dico più. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

CIX. — All' Abate Nunzio Apostolico.542

Le membra del corpo mistico sono legate in Carità: questa è latte che nutrisce, fuoco che illumina e scalda e converte in sé le cose alle quali s’apprende. Umiltà si conviene principalmente ai prelati, che devono servire e spiritualmente e temporalmente. Il papa si guardi dal favorire i congiunti; corregga con giustizia pia i pastori che fallano. Vizii dei pastori. Dell’eleggere cardinali migliori.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Venerabile padre spirituale in Cristo Gesù. Io Catarina, serva vostra e figliuola, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, mi raccomando, e scrivo a voi nel prezioso sangue di Dio; con desiderio di [p. 194 modifica]LETTERE DI SANTA CATERINA 183

vedervi vero sacerdote, e membro’ legato543 nel corpo della Chiesa santa. venerabile e carissimo padre in Cristo Gesù, quanto sarà beata l’anima vostra e mia, quando io vedrò che noi siamo legati nel fuoco della divina carità, la quale carità sapete che dà il latte alli figliuoli suoi, e notricali! E parmi che questo latte non si trae per altro modo che tragga il fanciullo il latte dal petto della madre sua; il quale per mezzo della poppa trae il latte, e così si notrica: così sapete, che l’anima nostra non può avere vita per altro modo che per mezzo di Cristo crocifisso. Così disse la prima Verità: «Veruno può andare al Padre se non per me». E in altro luogo dice: «Io sono via, verità e vita; e chi va per me, non va per le tenebre, anzi va per la luce».

O inestimabile dolcissima Carità, quale è la via tua, che tu eleggesti con tanto amore? Io non vedo che fusse onore né delizie né gloria umana, né amor proprio di te medesimo; perocché la carità non cerca le cose sue, ma solo l’onore di Dio e la salute della creatura. La vita sua dunque non fu altro che scherni e ingiurie e rimproveri e villanie, e all’ultimo l’obbrobriosa morte della croce. Per questa via l’hanno seguitato li Santi, siccome membri legati e uniti con questo dolce capo Gesù. Il quale è tanto dolce che nutrica e dà vita a tutte le membra che in esso capo sono legate. E se noi diciamo: «in che modo seguito questo dolce capo, e legomi con lui?» sapete che con altro modo non si lega l'uomo, se non con legame, né non diven [p. 195 modifica]184 LETTERE DI SANTA CATERINA

ta una cosa col fuoco se non vi si gitta dentro, che punto non ne rimanga di faore.544 Or questo è quello vincolo dell’amore, col quale l’anima si lega con Cristo. Oh quanto è dolce questo legame il quale legò il Figliuolo di Dio in sul legno della santissima croce. E legato che l’uomo è di questo legame, si truova nel fuoco. E fa il fuoco della divina carità nell’anima, come fa il fuoco materiale; perocché scalda e allumina, e converte in se, fuoco dolce e attrattivo, che scaldi e scacci via ogni freddezza di vizio e di peccati, e d’amore proprio di sé medesimo! Questo caldo riscalda e accende questo legno arido della nostra volontà: onde ella s’accende e distende a’ dolci e amorosi desideri! amando quello che Dio ama, e odiando quello che Dio odia. E come l’anima vede, sé essere cotanto smisuratamente amata, e dato sé medesimo Agnello svenato in su ’l legno della croce; allora dico che il fuoco l’allumina, e non cade tenebre in lei. E così l’anima, alluminata a questa venerabile fuoco, tutto distende lo intendimento, e allarga 545 E poiché ha sentito e ricevuto il lume, discerne e vede quello che è nella volontà di Dio; e non vuole seguitare altro che le vestigie di Cristo crocifisso, perocché vede bene che per altra via non può andare: e non si vuole dilettare in altro che negli obbrobri suoi. Onde allora, per mezzo della carne di Cristo crocifisso, trae a sé il latte della divina dolcezza. lume dolce, dove non cade tenebre né pena, per veruna amaritudine né tristizia che ven-[p. 196 modifica]LETTERE DI SANTA CATERINA 185

ga! Perocché il lume, ricevuto dal fuoco, vede che ogni cosa procede da Dio, eccetto che il peccato e vizio; e vede che Dio non vuole altro che la santificazione nostra; e per darci questa santificazione della Grazia, unissi esso Dio e umiliossi all’uomo; onde la sua umilità stirpa la nostra superbia.

Egli è quella regola la quale tutti ci conviene seguitare. Questo ragguarda bene lo intendimento alluminato, e vede, fermando l’occhio nell’occhio della divina carità e bontà di Dio. E dove la trova? dentro nel cognoscimento di sé medesimo. Perocché vede, sé non essere, e l’essere suo cognosce avere da Dio per grazia e per amore, e non per debito. Subito, dunque, il nostro intendimento intenderà a tanta bontà; nascerà in lui una fonte viva di grazia, una vena d’olio di profonda umiltà, la quale non546 lasserà cadere, né entrare per superbia né per veruno stato né gloria ch’egli abbia. Ma, come buon pastore, seguiterà le vestigie del maestro suo; siccome faceva quello santo e dolce Gregorio, e gli altri che ’l seguiro,547 che essendo li maggiori, erano minori, e non volevano essere serviti, anzi servire spiritualmente e temporalmente, più con la buona vita che con le parole. Poi, dunque,548 che lo intendimento ha ricevuto il lume del fuoco per lo modo che detto è; ed egli il converte549 in sé medesimo, e diventa una cosa con lui. E così la memoria diventa una cosa con Cristo crocifisso, onde altro non [p. 197 modifica]186 LETTERE DI SANTA CATERINA

può ritenere né dilettare550 né pensare, che del diletto suo che egli ama,551 e l’amore ineffabile che egli vede che egli ha a lui e a tutta l’umana generazione. Onde subito la memoria ritiene questo in sé; e diventa amatore di Dio e del prossimo suo; in tanto che cento migliaia di volte porrebbe la vita per lui. E non ragguarda a utilità che tragga da lui; ma solo perché vede che solamente Dio ama la sua creatura, si diletta d’amare quello ch’egli ama. Adunque bene possiamo dire che egli è drittamente fuoco che scalda e allumina, e converte in sé. E accordansi in questo fuoco le tre potenzio dell’anima, cioè la memoria a ritenere li beneficii di Dio, lo intendimento a intendere la bontà; e la volontà si distende ad amare per sì fatto modo che non può altro amare né desiderare veruna cosa fuore di lui. E tutte le sue operazioni sono dirizzate in lui; e non può vedere altrimenti, ma sempre pensa di fare quella cosa che più piaccia al suo Creatore. E perché vede che veruno sacrificio gli è tanto piacevole quanto essere mangiatore e gustatore dell’anime, mai non se ne sazia. E singolarmente a voi, padre, richiede Dio, e a’ vostri pari, questo zelo e sollecitudine. Questa è la via di Cristo crocifisso, che sempre ci darà il lume della Grazia. Ma tenendo altra via, anderemo di tenebre in tenebre, e nell’ultimo alla morte eternale. Ricevetti, dolce padre mio, la lettera vostra con grande consolazione e letizia, pensando che vi [p. 198 modifica]LETTERE DI SANTA CATERINA 187

ricordiate di sì vile e misera creatura. Intesi ciò che diceva: e rispondendovi alla prima delle tre cose che mi dimandate, dirò che il dolce nostro Cristo in terra credo, e così pare nel cospetto di Dio, che sarebbe bene che due cose singolari, per le quali la Sposa di Cristo si guasta, si levassero via. L’una si è la troppa tenerezza e sollicitudine di parenti, la ’ quale singolarmente si converrebbe che in tutto e per tutto egli fusse tutto mortificato. L’altra si è la troppo - dolcezza fondata in troppa misericordia. Oimè, oimè, questa è la cagione che i membri diventano putridi, cioè per lo non correggere. E singolarmente ha per male Cristo tre perversi vizi; cioè la immondizia, l’avarizia, e la infiata superbia, la quale regna nella Sposa di Cristo, cioè ne’ prelati, che non attendono ad altro che a delizie e stati e grandissime ricchezze. Veggono i demoni infernali portare l’anime de’ sudditi loro, e non se ne curano, perché sono fatti lupi, ^ e rivenditori della divina Grazia. Vorrebbesi dunque una forte giustizia a correggerli; ^ perocchà la troppa pietà è grandissima crudelità; ma con giustizia e misericordia si vorrebbe correggere. Ma ben vi dico, padre, che io spero per la bontà di Dio che questo difetto della tenerezza de’ parenti, per le molte

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orazioni e stimoli che egli averà da’ servi di Dio, si comincerà a levare. Non dico che la sposa di Cristo non sia perseguitata: ma credo che rimanerà in fiore, come dee rimanere. Egli è bisogno, che a racconciare al tutto, si guasti infino alle fondamenta. E questo che detto è, il gustare che io voglio che voi intendiate," non è in altro modo.

All’altra che dite, de’ peccati vostri. Dio vi doni l'abondanzia della sua misericordia. Sapete che Dio non vuole la morte del peccatore, ma vuole che si converta e viva. Onde io, indegna vostra figliuola, m’ho recato e recherò il debito de’ peccati vostri ^ sopra di me; e insiememente li vostri e li miei arderemo nel fuoco della dolce Carità, dove si^ consumano. Sicché sperate, e tenete di fermo che la divina Grazia vi gli ha perdonati. Or pigliate dunque uno ordine di ben vivere: e con virtù tenendo piantato nel cuore vostro il crociato ^ amore che Dio ha a voi, eleggendo innanzi la morte, che offendere il suo Creatore, o tenere l’occhio ^ che sia offeso da’ sudditi vostri.

All’altra dico: quando io vi dissi che v’affaticaste nella Chiesa santa, non intesi, né non dico solamente, delle fadighe che voi pigliate sopra le

1 Non nega che il vicario apostolico abbia peccati: lo piglia in parola, pigliandoli però essa sopra di sé, purché egli muti via e vita. La colleganza di lui colla famiglia de’ Salimbeni, amata da Caterina, ma non certamente adulata, né istigata a discordie civili, doveva rendere lei non più condiscendente, ma più autorevole in dare schietti consigli.

2 Qui pare non abbia il solito senso che ha in queste lettere; ma valga, dimostrato col sagrifizio della croce: come per accennare che i ministri di Dio devono principalmente onorarlo col sagrifizio di sé.

^ Permettere: tener l’occhio chiuso; o piuttosto in senso affine a tenere di mano farsi complice. Tener d’occhio ha senso quasi contrario come di chi dicesse: con l’occhio vigilante e teso tenere l’oggetto che non ci sfugga. [p. 200 modifica]LETTERE DI SANTA CATERINA 189

cose temporali (poniamochè sia bene); ma principalmeute vi dovete afiatigare* insiememente col Padre santo, e farvi ^ ciò che voi potete in trarre li lupi e li demoni incarnati de’ pasturi, che a veruna cosa attendono, se non in mangiare e in belli palazzi e in grossi cavalli. Oimè, che quello che acquistò Cristo in su il legno della croco, si spende con le meritrici. ’ Pregovi che, se ne doveste morire, ^ che voi ne diciate al Padre santo che ponga remedio a tante iniquitadi. E quando verrà il tempo di fare li pastori e’ cardinali, che non si faccino per lusinghe* né per denari né per simonia: ^ ma pregatelo quanto potete, che egli attenda e miri, ^ se trova la virtiì e la buona e santa fama nell’uomo; e non miri più a gentile che a mercennaio; ' ' perocché la virtù è quella cosa che fa l’uo

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562 [p. 201 modifica]190 LETTERE DI «ANTA CATERINA

mo gentile e piacevole a Dio. E questa è quella dolce fadiga, Padre, che io vi prego e pregai che voi pigliate. E pouiaraochè l’altre fadighe siano buone; questa è quella fadiga che è ottima.

Altro per ora non dico. Perdonate alla mia presunzione. Raccomandomivi cento migliaia di volte in Cristo Gesù. Stianvi a mente li fatti di messer Antonio. E se vedete costà l’Arcivescovo,563 sì me gli raccomandate quanto più potete. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce. Gesù amore.

CX. — A Monna Stricca, Donna che fu di Cione di Sandro de’ Salimheni. 564

Dalla fede la pazienzia. La fede insieme con la ragione e’ insegna che il breve patire può, se vogliamo, essere dono d’amore infinito.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce. Carissima figliuola in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio [p. 202 modifica]LETTERE DI SANTA CATERINA 191

di vedervi serva fedele al nostro Creatore, fondata in vera e santa pazienzia. E pensate che in altro modo noti potreste piacere a Dio. Noi siamo pellegrini e viandanti in questa vita, e senza alcuna stanza ^ di tempo corriamo verso il termine della morte; onde ci conviene avere il lume della santissima fede, acciò che (senza essa, per lo impedimento di tenebre ") possiamo giungere al termine nostro. Ma vuole essere fede viva, cioè con sante e buone operazioni: perocché dicono e’ Santi che la fede senza l’opere è morta. Poi, dunque, che noi abbiamo creduto che Dio è Dio, e ch’egli ci ha creati alla imagine e similitudine sua, ch’egli ci ha dato il Verbo dell’unigenito suo Figliuolo nato nel ventre dolce di Maria, e morto in sul legno della santissima croce per tollerci la morte e darci la vita della Grazia (la quale perdemmo per la disobedienzia di Adam, e per l’obedienzia del Verbo tutti contraiamo la Grazia, sì come prima tutti contraemmo la morte per lo primo peccato); subito, dico, allora che l’anima ha acquistato così dolcemente il lume della fede, vedendo tanto amore ineffabile quanto Dio le porta (e per darci anco speranza della nostra resurrezione, la quale avererao nell’ultimo dì del Giudizio, egli ha manifestato la resurrezione sua), l’anima s’innamora a tanto lume e a tanta dolcezza d’amore, quanto vede che Dio gli ha. ^ E comincia a vedere con questo medesimo occhio, che Dio non vuole altro che la nostra san

Per dimora, l’ha Dante e il Petrarca. Qui più bello, che il tempo stesso va e non ha stanza.

Forse sbagliato. Il senso è: se non l’avessimo, la fede, le tenebre e’ impedirebbero. Così in Dante la notte impedisce il salire al monte sacro.

La stampa: vede Dio che. [p. 203 modifica]192 LETTERE DI SANTA CATERINA

tificazioue; e ciò ch’egli ci dà e permette in questa vita, dà per questo fine; e tribolazioni e consolazioni, ingiurie, scherni e villanie, persecuzioni del mondo e tentazioni del dimonio, fame e sete, infermità e povertà, prosperità e delizie, e ogni cosa, permette per nostro bene. Onde la ricchezza ci permette, perché ne siamo dispensatori a’ poveri; le delizie e stati del mondo, non perché noi leviamo il capo per la superbia: anco, molto maggiormente ci dobbiamo umiliare con un santo ringraziamento della divina bontà. La tribolazione, da qualunque lato ella viene, e povertà, ce la dona, perché noi veniamo a vera e perfetta pazienzia, e perché cognosciamo la poca fermezza e stabilità del mondo; acciò che noi ne leviamo l'affetto e l desiderio nostro, e sia posto solamente in Dio con le vere e reali virtù. E così riceveremo il frutto delle nostre fadighe. Perocché ogni fadiga che noi sosteniamo per lo suo amore, è remunerata, e serbatoci il frutto della vita durabile, dove è vita senza morte e luce senza tenebre, sazietà senza fastidio, e fame senza pena. Così dice santo Agostino; dilunga è il fastidio dalla sazietà, e la pena dalla fame.565 Nell’altra vita ogni bene è remunerato, e ogni colpa è punita.

Adunque l’anima che ha questa viva Fede, partorisce le vere e sante operazioni; ed è veramente paziente a sostenere ogni pena e fadiga per Dio, e per remissione dei peccati suoi. Anco, ha in reverenzia ogni pena, considerando chi è colui che le dà, e perché le dà, e a cui le dà. Chi è colui che le dà? È Dio, somma ed eterna Bontà; non per [p. 204 modifica]LETTERE DI SANTA CATERINA 193

odio, ma per singolare amore. Così disse egli a’ discepoli suoi: «Io vi mando a esser perseguitati e martirizzati nel mondo, non per odio, ma per singolare amore. E di quello amore che il Padre mio ha amato me, di quello io amo voi. Però che, perché egli m’amasse di singolare amore, egli non di meno mi mandò a sostenere la pena obbrobriosa della santissima croce». Dico: perché le dà? Per amore come detto è, e per nostra santificazione, acciò che siamo santificati in lui. Noi chi siamo, a cui sono date queste fadighe? Siamo coloro che non siamo; ma per la colpa nostra siamo degni di cento migliaia d’inferni, se tanti ne potessimo ricevere. Però che, perché566 noi offendiamo il Bene infinito, deverebbe seguitare una pena infinita; e Dio per misericordia ci punisce nel tempo finito, dandoci pena finita. Perocché tanto bastano le tribolazioni in questa vita, quanto il tempo, e più no. E però ogni grande fadiga è piccola, per la brevità del tempo. Il tempo nostro, dicono e’ Santi, è quanto una punta d’aco. La vita dell’uomo è non cavelle; tanto è poca. Adunque ogni grande fadiga è piccola: la fadiga che è passata, noi non l’abbiamo; e quella che debbe venire, noi non siamo sicuri d’averla, perché non siamo sicuri d’avere il tempo. Solo dunque questo punto del presente ci è, e più no.

Or su, figliuola dolcissima, levati dal sonno; e non dormiamo più, ma seguitiamo con fede viva le vestigie di Cristo crocifisso, con vera e santa pazienzia. Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso. Altro non dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore. [p. 205 modifica]194 LETTERE DI SANTA CATERINA

CXI. — A Monna Biancina, Donna che fu di Giovanni d’Agnoliìio Salimbeni. ^

L’amore delle cose minori, se ci svia da Dio, è meschino e infelice.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima madre in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi ^ spogliato il cuore, e l'affetto vostro del mondo e di voi medesima; perocché in altro modo non vi potreste vestire di Cristo Gesù crocifisso; perché il mondo non ha conformità con Dio. L’affetto disordinato del mondo ama la superbia, e Dio l'umiltà. Egli cerca onore, stato e grandezza, e Dio benedetto le spregia, abbracciando le vergogne, scherni e villanie, fame, sete, freddo e caldo infino all’obbrobriosa morte della croce; e con essa morte" rendè onore al padre, e noi fummo restituiti a Grazia. Egli cerca di piacere alle creature, non curandosi dispiacere al Creatore; e egli non cercò mai se non di compire l’obedienzia del Padre eterno per la nostra salute. Egli ^ abbracciò e vestissi della povertà volontaria; e ’1 mondo cerca le grandi ricchezze. Bene è dunque differente l’uno dall’altro;

1 Biancina o Bianchina moijlie a Giovanni d’Agnolino Salimbeni, madre ad altro Agnolino e alla contessa Benedetta, era de’ Trinci signori dì Fuligno. Devota era Biancina a Caterina, e l’ebbe a lungo ospite nel suo castello; e le sopravvisse anni molti. Giovanni il marito era cavaliere poti^nte nella repubblica. Morì nel 1367, andando alla Rocca di Val d’Orcia, stramazzato dal cavallo olle gli cascò sopra. Agnolino il figliuolo ebbe una Farnese per moglie.

2 La stampa: vederti.

3 Inverte qui l’ordine dell’antitesi; come Paolo: «Nos stiliti propter Christum, vos autem prudentes in Christo; nos infirmi, vos autem fortes; vos nobiles, tios autem ignobiles». Nel precedente periodo egli è ripetuto e del mondo e di Dio: ma s’intende dal senso. [p. 206 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/206 [p. 207 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/207 [p. 208 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/208 [p. 209 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/209 [p. 210 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/210 [p. 211 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/211 [p. 212 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/212 [p. 213 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/213 [p. 214 modifica]fisso, dove è perfetta, e vera sicurtà. Egli è quel luogo dolce, dove la sposa empie la lampana del cuore suo: che drittamente il cuore è una lampana. Il quale debbe essere siccome la lampana, ch’è stretta da piedi e larga da capo; cioè che ’l desiderio e affetto suo sia ristretto al mondo, e largo di sopra: cioè dilargare il cuore e l’affetto suo in Cristo crocifisso, amandolo e tenendolo con vera e santa sollecitudine.567 E allora empirai questa lampana al costato di Cristo crocifisso. Il costato ti mostra il segreto del cuore: che quello ch’egli ha fatto e dato per noi, ha fatto per proprio568 amore. Ine trova la vera e profonda umiltà, la quale è l'olio che nutrica il fuoco e ’l lume del cuore della sposa di Cristo. Che maggiore larghezza d’amore puoi trovare, che vedere ch’egli abbia posta la vita per te? E che maggiore bassezza si può vedere o si trova mai, che vedere Dio umiliato all’uomo? E Dio-e-Uomo corso all’obbrobriosa morte della croce? Questa umiltà confonde ogni superbia, delizie e grandezze del mondo; questa è quella virtù piccola che è balia e nutrice della Carità. Allora è ricevuta la Sposa dallo Sposo suo, ed è messa nella camera dove si trova la mensa e il cibo e ’l servitore. La camera è la divina esseuzia dove si nutricano i veri gustatori. Ine si gusta il Padre eterno, che è mensa; il Figliuolo, ch’è il cibo; e lo Spirito Santo, che ci serve. E così gusta e si sazia l’anima, in verità, della eterna visione di Dio.

Or non dormire dunque più, ma destati dal sonno delle delizie del mondo, e seguita il tuo [p. 215 modifica]letto Cristo; e non aspettare il tempo, che tu non sei sicura d’averlo, perocché ti viene meno. Che tal ora crediamo noi vivere, che le morte viene a tollerci il tempo. E però chi fosse savio, non perderebbe il tempo che egli ha per quello che non ha. Rispondi dunque a Dio che ti chiama, col cuore fermo: e non credere né a madre né a suoro né a fratello, né a corpo569 di creatura che ti volesse impedire. Che tu sai che in questo noi non doviamo essere obbedienti a loro. E così dice il nostro Salvatore: «Chi non renuncia al padre e alla madre, a suoro e a fratelli, e anco a sé medesimo, non è degno di me». Conviensi dunque renunciare a tutto il mondo e a sé medesimo, e seguitare il gonfalone della santissima croce. Altro non ti dico. Permani nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce. Gesù amore.

A te dico, figliuola mia, che se tu vorrai essere sposa vera del tuo Creatore, che tu esca della casa del padre tuo; e disponti di venire, quando il luogo sarà fatto; che già è cominciato, e fassi di forza: cioè il monasterio di Santa Maria degli Angeli 570 a Belcaro. Se tu ’l farai, giugnerai in terra di promissione. Altro non dico. Dio ti riempia della sua dolcissima grazia. [p. 216 modifica]

XCIII. — Alla Contessa Benedetta figliuola di Giovanni d’Agnolino Salimbeni.

L’amore si nutre d’amore, e il divino viene educando l’uomo. All’amare precede il conoscere: l’intelletto è occhio; la fede, pupilla. L’anima è pianta d’amore. L’intelletto conosce dove piantarla: nell’umiltà, valle difesa da’ venti. Il suo fiore è la gloria di Dio. L’uomo di questo fiore non vive; per esso i frutti del bene. La carità del prossimo è pioggia che innaffia questa pianta, il conoscimento di sé, rugiada che rinfresca, il sole è l’amore di Dio.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figliuola in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi fondata in vera e perfetta carità, la quale carità è uno vestimento nuziale, che ricuopre ogni nostra nudità, e nasconde le vergogne nostre, cioè il peccato, il quale germina vergogna; lo spegne e consuma571 nel suo calore. E senza questo vestimento non possiamo entrare alla vita durabile, alla quale siamo invitati.

Che è carità? è uno amore ineffabile, che l’anima ha tratto dal suo Creatore, con tutto l’affetto e con tutte le forze sue. Dico che l’aveva tratto del suo Creatore: e così è la verità. Ma come si trae? coll’amore: perocché l’amore non s’acquista se non coll’amore e dall’amore. Ma tu mi dirai, carissima figliuola: «Che modo mi conviene avere a trovare e acquistare questo amore?» Rispondoti, per questo modo. Ogni amore s’acquista col lume: perocché la cosa che non si vede,572 non si [p. 217 modifica]sce; onde non cognoscendosi, non s’ama. Conviensi dunque avere il lume, acciò che tu vegga e coguosca quello che tu debba amare. E perché il lume e’ era necessario, provvede Dio alla nostra necessità, dandoci il lume dell’intelletto, che è la più nobile parte dell’anima, colla pupilla, dentrovi, della santissima fede. E dicoti che, poniamochè la persona offenda il suo Creatore, non passa però né vive senza amore ne senza il lame. Perocché l’anima, ch’è fatta d’umore e creata per amore573 alla immagine e similitudine di Dio, non può vivere senza amore; né amerebbe senza il lume. Onde se vuole amare, si conviene che vegga. Ma sai che vedere è, e che amare è quello degli uomini del mondo? E’ uno vedere tenebroso e oscuro;574 e per la oscura notte non si discerne la575 verità: ed è uno amore mortale, però che dà morte nell’anima, tollendole la vita della Grazia. Ma perché è oscuro questo vedere? Perché s’è posto nella oscurità delle cose transito del mondo, avendosele poste dinanzi a sé, fuore di Dio; cioè che non le ragguarda nella sua bontà, ma solo le ragguarda per diletto sensitivo; il quale diletto e amore sensitivo mosse 576 lo intelletto a vedere e cognoscere cose sensitive. Onde quest’affetto che si nutrica col lume dell’intelletto, poniamo [p. 218 modifica]ma577 che l'affetto il movesse, come detto è, le dà morte, commettendo la colpa, e tollere la vita della Grazia; perocché neuna cosa si può amare né vedere, fuore di Dio, che non ci dia morte; e però quello che s’ama, si dee amare in lui e per lui, cioè ricognoscere sé 578 e ogni cosa dalla sua bontà. Sicché vedi, che questi ama e vede; perocché senza amare e senza vedere non si può vivere. Ma è differente l'amore degli uomini del mondo, il quale dà morte, dall’amore del servo di Dio, che dà vita: perocché l’amore che s’acquista dal sommo ed eterno Amore, dà vita di Grazia. Poi, dunque, ch’è579 il lume che ha l’occhio dell’intelletto, debbelo aprire col lume della santissima fede, e ponersi per obietto l'amore inestimabile che Dio ci ha mostrato. Allora l'affetto, vedendosi amare, non potrà fare che non arai quello che lo intelletto vide e cognobbe in verità. O carissima figliuola, e non vedi tu che noi siamo un arbore d’amore, perché siamo fatti per amore? Ed è sì ben fatto questo arbore, che non è alcuno che ’l possa impedire che non cresca, non tollergli il frutto suo, se egli non vuole. E bagli dato Dio a questo arbore uno lavoratore, che l’abbia a lavorare, però che gli piace;580 e questo lavoratore è il libero [p. 219 modifica]arbitrio. E se questo lavoratore l’anima non l’avesse, non sarebbe libera; non essendo libera, averebbe scusa del peccato: la quale non può avere; perocché neuno è, né il inondo né il dimonio né la fragile carne, che costrignerla possa a colpa alcuna, se ella non vuole. Perocché questo arbore ha in sé la ragione, se il libero arbitrio la vuole usare; e ha l'occhio dello intelletto, che cognosce e vede la verità, se la nebbia dell’amor proprio non gliel’offusca. E con questo lume vede dove debba esser piantato l’arbore; perocché, se noi vedesse e non avesse questa dolce potenzia581 dell’intelletto, il lavoratore averebbe scusa, e potrebbe dire: «Io ero libero; ma io non vedevo in che io potevo piantare l’arbore mio, in alto o in basso». Ma questo non può dire; però che ha lo intelletto che vede, e la ragione, la quale è uno legame di ragionevole amore,582 con che può legarlo e innestarlo nell’arbore della vita Cristo dolce Gesù. Debbe dunque piantare l’albore suo, poi che l'occhio dell’intelletto ha veduto il luogo, e in che terra egli debba stare a volere producere frutto di vita. Carissima figliuola, se ’l lavoratore del libero arbitrio allora il pianta là dove debba essere piantato, cioè nella terra della vera umiltà (perocché noi dee ponere in sul monte della superbia, ma nella valle della umiltà); allora produce fiori odoriferi di virtù, e singolarmente produrrà quello sommo fiore della gloria e loda al nome di Dio: e tutte le [p. 220 modifica]sue operazioni e virtù, le quali sono dolci fiori e fratti, riceveranno odore da questo. Questo è quel fiore, carissima figliuola, che fa fiorire le virtù vostre: il quale fiore Dio vuole per se, e il frutto vuole che sia nostro. Di questo arbore egli vuole solamente questi fiori della gloria, cioè che noi rendiamo gloria e loda al nome suo; e ’l frutto dà a noi, però ch’egli non ha bisogno di nostri frutti, perchè a lui non manca alcuna cosa. Perch’egli è colui che è: ma noi che siamo coloro che non siamo, n’abbiamo bisogno. Noi non siamo per noi, ma per lui; però ch’egli ci ha dato l’essere, e ogni grazia che abbiamo sopra l’essere. Che a lui utilità non possiamo fare.583 E perché la somma ed eterna Bontà vede che l’uomo non vive de’ fiori, ma solo del frutto (perocché del fiore morremmo,584 e del frutto viviamo); però tolle il fiore per se, e il frutto dà a noi. E se la ignorante creatura si volesse notricare di fiori, cioè, che la gloria e la loda che dee essere di Dio, la desse a sé; sì gli tolle la vita della Grazia, e dagli la morte eternale, se egli muore che585 non si corregga, cioè che folla il frutto per sé, e il fiore, cioè la gloria, dia a Dio. E poi che l’arbore nostro è piantato così dolcemente; egli cresce per sì fatto modo, che la cima586 dell’arbore, [p. 221 modifica]cioè l’affetto’ dell’anima, non si vede da creatura dove sia unito coli’ infinito Dio per affetto d’amore. O figliuola carissima, io ti voglio dire in che campo sta questa terra, acciò che tu non errassi. La terra è la vera umiltà, come detto è; e ’l luogo, dov’ella è, e ’l giardino chiuso del cognoscimento di sé. Dico che è chiuso, perché l’anima che sta nella cella del cognoscimento di sé medesima, ella è chiusa, e non è aperta, cioè che non si diletta nelle delizie del mondo, e non cerca le ricchezze, ma povertà volontaria; e non le cerca per sé né per altrui, e non si distende in piacere alle creature, ma solo al creatore. E quando il demonio le desse laide e diverse587 cogitazioni con molte fadighe di mente e disordinati timori, allora ella non s’apre, ponendoseli a investigare, né a voler sapere perché vengano, né a stare a contendere con loro; e non spande il cuore suo per confusione né per tedio di mente; né abbandona gli esercizi suoi. Anco si serra e si chiude588 colla compagnia della speranza e col lume della santissima fede, e coli’ odio e dispiacimento della propria sensualità, reputandosi indegna della pace e quiete della mente; e per vera [p. 222 modifica]umiltà si reputa degna della guerra, e indegna del frutto, cioè che si reputa degna della pena che le pare ricevere nel tempo delle grandi battaglie. E ponsi sempre per obietto Cristo crocifisso, dilettandosi di stare in croce con lui: e col pensiero caccia il pensiero. Or questo è il dolce luogo dove sta la terra della vera umiltà.

Poiché la cima, cioè l’affetto dell’anima che va dietro all’intelletto, come detto è, ha cognosciuto l’obietto di Cristo crocifisso, l’abisso del fuoco della sua carità, il quale cognobbe in questo Verbo (perocché per questo mezzo ci è manifestato l’amore che Dio ci ha); e questo Verbo cognobbe nel cognosci mento di sé, quando cognobbe sé creatura ragionevole creata alla immagine e similitudine di Dio, e recreata nel sangue dell'unigenito suo Figliuolo; allora l’affetto sta unito coli’ affetto di Cristo crocifisso; e coll’amore trae a sé l’amore; cioè coll’amore ordinato, che leva sopra il sentimento sensitivo, trae a sé l'amore affocato di Cristo crocifisso. Perocché il cuore nostro, quando è innamorato d’un amore divino, fa come la spugna, che trae a sé l’acqua. Perché la spugna se non fusse messa nell’acqua, non la trarrebbe a sé, non ostante che la spugna sia disposta dalla parte sua. E così ti dico che se la disposizione del cuore nostro, il quale è disposto e atto589 ad amare, se il lume della ragione e la mano del libero arbitrio no ’l leva e congiunge nel fuoco della divina carità; non s’empie mai della grazia di Dio: ma se s’unisce, sempre s’empie. E però ti dissi che dall’amore e coli’ amore si trae l’amore.

Poi che ’l vasello del cuore è pieno, e egli [p. 223 modifica]qua l’arbore coll’acqua della divina carità del prossimo; la quale è una rugiada e una piova che inacqua la pianta dell’arbore e la terra della vera umiltà, e ingrassa essa terra e il giardino del cognoscimento di sé; però che allora è condito col condimento del cognoscimento della bontà di Dio in sé. Tu sai bene che l’arbore non è bene inaffiato della rugiada e della piova, e è riscaldato del caldo del sole, non producerebbe590 il frutto; onde non sarebbe perfetto, ma imperfetto. Così l’anima, la quale è un arbore come detto è, perché fusse piantato, e non innaffiato colla piova della carità del prossimo e colla rugiada del cognoscimento di sé, e scaldato del sole della divina Carità; non darebbe frutto di vita, né il frutto suo sarebbe maturo.

Poi che l’arbore è cresciuto, e egli distende e rami suoi, porgendo del frutto al prossimo suo, cioè frutto di santissime e umili e continue orazioni, dandogli esempio di santa e buona vita. E anco li distende, quando può, sovvenendolo della sustanzia temporale con largo e liberale cuore, schietto e non finto, cioè che mostri una cosa in atto, e non sia in fatto; ma schiettamente e con aff’ettuosa carità il serve di qualunque servizio egli può, e che vede egli abbia bisogno, giusta il suo potere. La Carità non cerca le cose sue, e non cerca sé per sé, ma sé per Dio, per rendere e’ fiori della gloria, e loda al nome suo; e non cerca Dio per sé, ma Dio per Dio, in quanto è degno d’essere amato da noi per la bontà sua; e non ama né cerca, né serve il prossimo suo per sé, ma solo per Dio, per rendergli quello debito il quale a Dio non può rendere, [p. 224 modifica]cioè di fare utilità a Dio. Perché già io ti dissi che utilità a Dio non possiamo fare: e però il fa Dio fare al prossimo suo; il quale è uno mezzo, che e’ è posto da Dio per provare la virtù, e per mostrare l'amore che abbiamo al dolce ed eterno Dio. 591 Questa Carità gusta vita eterna, consuma e ha consumato592 tutte le nostre iniquità; e dacci lume perfetto, con pazienzia vera, e facci forti e perseveranti in tanto che mai non volliamo il capo a dietro a mirare l’arato; ma perseveriamo infino alla morte, dilettandoci di stare in sul campo della battaglia per Cristo crocifisso; ponendoci il sangue suo dinanzi, acciò che ci faccia inanimare nella battaglia come veri cavalieri. Adunque, poi che c’è tanto utile e necessaria, e sì dilettevole questa carità, che senz’essa stiamo in continua amaritudine, e riceviamo la morte, e sono scoperte le nostre vergogne, e nell’ultimo dì del giudizio siamo svergognati da tutto l'universo mondo, e dinanzi alla natura angelica e a tutti e’ cittadini della vita durabile, (dove è vita senza morte, e luce senza tenebre, dove è la perfetta e comune carità, partecipando e gustando il bene l’uno dell’altro593 per affetto d’amore); è da abbracciarla questa dolce reina, e vestimento nuziale594 della carità, e con ansietato e dolce desiderio disponersi alla morte per potere [p. 225 modifica]quistare questa reina; e poiché l’aviamo, volere sostenere ogni pena da Qualunque lato elle ci vengano, infino alla morte, per poterla conservare e crescere nel giardino dell’anima nostra. Altro modo ne altra via non ci veggo. E però ti dissi che io desideravo di vederti fondata in vera e perfetta carità. Pregoti per l’amore di Cristo crocifìsso che ti studii, quanto tu puoi, di fare questo fondamento; e non ti bisognerà di temere di questo timore servile; né avere paura de’ venti contrarii delle molestie del dimonio e delle creature, le quali sono tutti venti contrarli che vogliono impedire la nostra salute. Ma perché l’arbore posto nella valle non pota595 essere offeso da’ venti,596 sia umile e mansueta di cuore. Altro non ti dico. Permani nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

CXIV. — Ad Agnolino di Giovanni d’Agnolino de’ Salimbeni da Siena.597

Lo conforta a resistere alle dicerie de’ suoi sudditi, a fui non piaceva che si facesse monaca la sorella di lui. Al grande signore volge parole imperiose, guerriere al guerriero. Chiama sé stessa e lui Cavaliere, il bene battaglia, l’anima città da difendere, la coscienza cane di guardia da pascersi d’amore e di sangue; l’amore del bene e l’odio del male, arme con la quale combattere.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce. Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù . lo Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, [p. 226 modifica]scrivo a voi nel prezioso sangue suo: con desiderio di vedervi vero combattitore, e non schifare i colpi, come fane598 il vile cavaliere. Figliuolo mio dolce, noi siamo posti in questo campo della battaglia; e sempre ci conviene combattere, e d’ogni tempo e in ogni luogo noi abbiamo e’ nemici nostri, e’ quali assediano la città dell’anima; ciò sono la carne con lo disordinato diletto sensitivo, ’l mondo coll'onore e con le delizie sue, e il dimonio con la sua malizia. Il quale, per impedire il santo desiderio dell’anima, si pone con molti lacciuoli, e per sé medesimo, o col mezzo della creatura in su la lingua de’ servi suoi, facendo parole piacentiere e di lusinghe o di minacce o di mormorazioni o d’infamie: e questo fa per contristare l’anima, e per farla venire a tedio nelle buone e sante operazioni. Ma noi, come cavalieri virili, doviamo resistere, e guardare questa città, e serrare le porte599 de’ disordinati sentimenti. E ponere per guardia il cane della coscienzia; sicché, quando il nemico passa, sentendo, gli abbai; e così desterà l’occhio dell’intelletto, e vederà se egli è amico o nemico, cioè o vizio o virtù, che passi. A questo cane si conviene dare bere e mangiare: bere se gli conviene dare il sangue, e mangiare il fuoco, acciò che si levi dal freddo della negligenzia; e così diventerà sollecito. A te dico, figliuolo Agnolino, dagli mangiare a questo tuo cane della coscienzia fuoco di ardentissima carità, e bere del sangue dell’Agnello immacolato, aperto in croce, il quale da ogni parte del corpo [p. 227 modifica]suo versa sangue. Perché noi abbiamo che dargli bere. E così facendo, sarà tutto rinvigorito; e sarete vero combattitore. E tollete il coltello dell’odio e dell’amore; cioè odio e dispiacimento del vizio, ed amore della virtù; e il nemico della carne nostra, che è il più pessimo600 e malvagio nemico che noi possiamo avere, sia ucciso; e il diletto suo da questo coltello. E la coscienzia il faccia vedere all’occhio dell’intelletto, quanto è pericoloso questo nemico del diletto carnale, che passa nell’anima; acciò che l’uccida. E ragguardi la carne flagellata di Cristo crocifisso, acciò che si vergogni di tenere in piacere e in diletto disordinato, e in delizie601 il corpo suo. E il dimonio con le malizie e lacciuoli suoi e’ quali egli ha tesi per pigliare l’anime, si sconfigga con la virtù della vera umiltà. Abbai questo cane della coscienzia, destando l’occhio dell’intelletto. E vegga quanto è pericoloso a credere agl’inganni suoi; e vollasi a sé medesimo, e cognosca l’uomo, sé non essere, acciò che non venga a superbia; perocché l’umiltà è quella che rompe tutti i lacciuoli del dimonio.

Bene averebbe l’uomo da vergognarsi d’insuperbire, vedendosi sé non essere, e l'esser suo avere da Dio, e non da sé; e vedere Dio umiliato a lui. Perocché per profonda umiltà discese dalla somma altezza a tanta bassezza, quanto è la carne nostra. Questo dolce e innamorato Agnello, Verbo incarnato, ci dà conforto: però che da lui viene ogni [p. 228 modifica]conforto. Perocché egli è venuto, come nostro capitano, e con la mano disarmata, confitta e chiavellata in croce, ha sconfitti e’ nemici nostri; e ’l sangue è rimaso in sul campo per animare noi, cavalieri, a combattere virilmente e senza alcuno timore. Il dimonio è diventato impotente per lo sangue di questo Agnello; perocché non ci può fare più che Dio permetta, e Dio non permette che ci sia posto maggior peso che noi possiamo portare. La carne è sconfitta co’ flagelli e tormenti di Cristo; e il mondo coll’ obbrobrio, scherni, villanie e vituperio; e la ricchezza con la povertà volontaria di Cristo Crocifisso. Perocché la somma Ricchezza è tanto povera, che non ha luogo dove posare il capo suo, stando in sul legno della santissima croce.

Quando il nemico, dunque, dell’onore e dello stato del mondo vuole entrare entro, fa’, figliuolo, che gli abbai il cane della coscienzia tua, e desti la guardia dell’intelletto: acciò che vegga che stabilità o fermezza non ha alcuno onore o stato del mondo. Da qualunque parte elle602 vengono, non ne truova punto. E voi ’l sapete, che l’avete veduto e provato.603 Poi voglio che voi vediate, che il darsi disordinatamente a queste cose transitorie che passano come il vento, non ne seguita onore, ma vituperio; però che l'uomo si sottomette a cosa meno di sé, e serve a cose finite; ed egli è infinito. Perocché l'uomo non finisce mai ad essere, benché finisca a Grazia per lo peccato mortale. E però se noi vogliamo onore e riposo e sazietà, convienci [p. 229 modifica]servire e amare cosa che sia maggiore di noi.

Dio è il nostro redentore, signore e padre, somma ed eterna Bontà, degno d’essere amato e servito da noi: e per debito il doviamo fare, se vogliamo partecipare della divina Grazia. Egli è somma Potenzia e sazietà;604 Egli è colui che sazia e empie l'anima e fortifica ogni debile; sì che sta in pace, e in quiete, e in sazietà e in sicurtà, e d’altro non si può saziare. E per questa cagione è, che ogni cosa creata è meno che l’uomo. Adunque lo spregiare del mondo è l’onore e la ricchezza dell’uomo. Ma gli stolti e matti non cognoscono questo vero onore, ma reputano tutto il contrario. Ma voi, come vero combattitore, levatevi sopra a’ sentimenti vostri sensitivi, e cognoscete questa verità. E non vogliate credere a’ malvagi e iniqui uomini: che favella il dimonio per bocca loro, per impedire la vita e salute vostra, e per provocarvi ad ira e contradire alla volontà di Dio. E però non credete a’ consiglieri del dimonio; ma credete e rispondete allo Spirito Santo, che vi chiama. Traete fuore la disciplina dell’ardire, e con viril cuore rispondete a loro, e dite che voi non sete colui che volliate ricalcitrare a Dio, perocché non potreste.

So che v’è detto, e vi sarà, molto male della Contessa605 da’ fedeli606 e dagli altri, perché ella vuol [p. 230 modifica]essere serva e sposa di Gesù Cristo. Questi iniqui, per impedire lei e voi, vi porranno innanzi i timori e sospetti; e porranno per vituperio e per viltà quello che è ’l maggiore onore che avere possiate. Perocché non tanto che sia onore presente, ma, l’onore e il ricordamento607 e la memoria di voi sarà dinanzi a Dio e nel mondo infine all’ultimo fine sopra a tutti quanti e’ vostri antecessori. Stolti e matti noi, che vogliamo pur poner l’affetto e la sollecitudine e la speranza nel fuoco della paglia. Gran fuoco si mostrò la prima volta che la sposaste: ma subito venne meno, e non rimase altro che fumo di dolore. La seconda apparbe la materia del fuoco, ma non venne in effetto; però che venne il vento della morte, e portello via. Molto sarebbe dunque semplice ella e voi, poiché lo Spirito Santo la chiama, se ella non rispondesse. E ha veduto che il mondo la rifiuta, e cacciala a Cristo crocifisso. Son certa per la divina bontà, che voi non sarete quello che per veruno detto vi scordiate della volontà di Dio, e non sarete corrente né ratto a’ detti del mondo. Chiudete, chiudete la bocca a’ sudditi vostri, che non favellino tanto: e mostrategli il volto. Non dubito (se il cane della coscienza non dorme e l’occhio dell’intelletto) che voi ’l farete; perocché in altro modo non sareste combattitore [p. 231 modifica]rile; anco mostrereste 608 grandissima viltà: e il mio desiderio è di vedervi virile. E però vi dissi, che io desideravo di vedervi vero combattitore posto in questo campo della battaglia, e singolarmente in questa battaglia nuova che voi avete ora per la disposizione della Contessa. Il dimonio s’avvede della perdita sua, e però vi fa dare tanta molestia alle609 creature. E però confortatevi, e uccidete 610 ogni parere del mondo; e viva in voi Cristo crocifisso. Altro non dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

CXV. — A Monna Isa, Figliuola che fu di Giovanili d’Agnolino Salimbeni. 611

La gran signora, che spregiava i giudizi de’ minori per alterezza, non curi le dicerie, e diasi a Dio. Tre volte ripete le parole ardire e perseveranza.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima figliuola in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi sposa ferma e fedele, e che non vi volliate al vento, come fa la foglia. Non voglio che così si volla l'anima vostra, ne ’l santo desiderio, [p. 232 modifica]per veruno vento contrario di veruna tribolazione persecuzione che desse il mondo o il dimonio: ma virilmente coll’affetto della virtù e della perseveranzia612 e la memoria del sangue di Cristo, le passiate613 tutte; né per detto di neuna creatura si remova questo desiderio, che giungono614 con detti e con gli iniqui consigli loro. Onde voi sarete sposa fedele e ferma, fondata sopra la viva pietra, Cristo dolce Gesù. Non perderete il vigore, e la parola non verrà meno nella bocca vostra; anco, l’acquisterete; però che non debbe diminuire la615 virtù ne l'ardire in colui che desidera e vuole acquistare virtù, ma debbe crescere. Ricordomi che secondo il mondo, vi sete fatta temere, e messovi sotto piedi ogni detto e piacere degli uomini: e questo è fatto solo per lo miserabile mondo. Non debbe adunque aver meno vigore la virtù; ma per una lingua, ne dovete aver dodici, e rispondere arditamente a’ detti del dimonio, che vuole impedire la salute vostra. E se terrete silenzio sarete ripresa nell’ultimo dì; e detto sarà a voi: maledetta sia tu che tacesti! E però non aspettate quella dura reprensione. Son certa (se vorrete seguitare l’Agnello derelitto e consumato in croce per la via delle pene, strazi, obbrobri e villanie), che non terrete silenzio.

Voglio dunque che seguitiate lo sposo vostro Cristo, e con ardito e santo desiderio entriate in [p. 233 modifica]questa battaglia nuova, a combattere con perseveranzia infino alla morte, dicendo: «per Cristo crocifisso ogni cosa potrò, il quale è in me, che mi conforta.» Ora all’entrata sentite voi la spina; ma poi ne averete il frutto, e riceverete gloria dalla loda di Dio. Orsù virilmente, e con vera e santa perseveranzia! E non dubitate, punto. Del fatto dell’abito,616 mi pare che sia da seguitare quello che lo Spirito Santo per la vostra bocca domandò, senza essere indotta da persona; lassare menare le lingue a modo loro. Questo non vi scemerà la devozione del glorioso padre vostro santo Francesco;617 anco, la crescerà. Non di meno voi sete libera: poniamochè fusse piuttosto difetto che non, a tornare a dietro quello che è cominciato.618

De’ fatti della Contessa,619 mi pare che si potesse fare che ella venisse alla Rocca prima che io venissi. Io credo che farà bene. Poi faremo quello che lo Spirito Santo farà fare. Altro non dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

Bagnatevi nel sangue di Cristo crocifisso. Gesù dolce. Gesù amore. [p. 234 modifica]CXVI. — A Monna Pantasilea, donna di Ranuccio da Farnese. ^

Dal conoscimento di sé e di Dio viene l’umile pazienza, necessaria all’uomo perchè sappia disceriiere i veri dai falsi beni, e purificarsi e sentire altri dolori dai propri. Consigli di vergine pura, e di donna esperta, alla moglie e alla madre.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissima suoro ^ in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi con vero lume e cognoscimento di voi e di Dio, acciocché cognosciate la misera fragilità del mondo. Perocché l’anima che cognosce la miseria sua, cognosce bene quella del mondo; e chi cognosce la bontà di Dio in sé, la quale trova nel cuore suo (cioè, cognoscendosi creatura ragionevole, creata alla iniagine e similitudine di Dio), subitamente alloraché l’anima è venuta a questo santo e vero cognoscimento, essa ama Dio in verità; e ciò che ell'ama, retribuisce ^ al suo Creatore, e ogni dono e ogni grazia. E accordasi sempre con la volontà sua; e di ciò che Dio fa e permette a lei, è contento; perocché vede che Dio non vuole altro che la sua santificazione. Questo ci manifesta il verbo

’ Ranuccio, fratello a Pietro Farnese, capitano rinomato, generale de’ Fiorentini nella guerra con Pisa; che dopo molte vittorie morì nel 1362. Dal quale in qaarta generazione nacque Paolo papa III. I Farnese^ sempre amici di Siena, nel 13ol le sottoposero a titolo di feudo alcune terre loro; onde furono cittadini gentiluomi della città. Si imparentarono con parecchie famiglie senesi: e appunto di questi tempi, due sorelle di Giovanni d’Agnolino Saliiubeni avevano due Farnese mariti. Forse delle due l’una (dice il Burlamacchi) era questa Pantasilea. Nome della guerra di Troia; che, come origine di Roma, era tenuta parte di storia italiana.

- S’accosta più a soror. Jfel Petrarca soror. Dante: nuro per nuora.

•* Avrebbe a esserci sbagliato. Il senso correrebbe meglio: e [retribuisce ogni dono... senza le parole ciò ch’elV ama. Ma potrebbe anco intendersi: fa sacrifizio segnatamente delle cose più amate. [p. 235 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/235 [p. 236 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/236 [p. 237 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/237 [p. 238 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/238 [p. 239 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/239 [p. 240 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/240 [p. 241 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/241 [p. 242 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/242 [p. 243 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/243 [p. 244 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/244 [p. 245 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/245 [p. 246 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/246 [p. 247 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/247 [p. 248 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/248 [p. 249 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/249 [p. 250 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/250 [p. 251 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/251 [p. 252 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/252 [p. 253 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/253 [p. 254 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/254 [p. 255 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/255 [p. 256 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/256 [p. 257 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/257 [p. 258 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/258 [p. 259 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/259 [p. 260 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/260 [p. 261 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/261 [p. 262 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/262 [p. 263 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/263 [p. 264 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/264 [p. 265 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/265 [p. 266 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/266 [p. 267 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/267 [p. 268 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/268 [p. 269 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/269 [p. 270 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/270 [p. 271 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/271 [p. 272 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/272 [p. 273 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/273 [p. 274 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/274 [p. 275 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/275 [p. 276 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/276 [p. 277 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/277 [p. 278 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/278 [p. 279 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/279 [p. 280 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/280 [p. 281 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/281 [p. 282 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/282 [p. 283 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/283 [p. 284 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/284 [p. 285 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/285 [p. 286 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/286 [p. 287 modifica]272 LETTERE DI SANTA CATERINA

CXXVI.- A Monna Alessia e a Monna Cecca 620

Mancasi alla perseveranza non solo rivolgendosi ai falsi beni abbandonati, ma non più amando con la debita intensità il bene vero, o allentando l’amore verso i prossimi, tra l’altre cagioni, per dicerie e per assenza. Di questo si duole per sé; ma dalle altrui ingiustizie deduce occasione a voler fare, Dio aiutandola, sempre migliore sé stessa.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso’ e di Maria dolce.

Carissime figliuole in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de' servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi costanti e perseveranti nelle virtù per sì fatto modo che non volliate mai il capo a dietro a mirare l’arato. Il quale mirare s’intende in due modi: l’uno si è quando la persona è uscita dal fracidume del mondo, e poi volle il capo col diletto della propria volontà, ponendo l’occhio dell’intelletto sopra di loro. Costui non va innanzi; anco, torna indietro verso il vomito, mangiando quello che prima aveva vomitato. E però disse Cristo che neuno si debba voliere indietro a mirare l’arato; cioè non vollersi a mirare le prime delizie, ne ragguardare alcuna operazione fatta perse medesimo;621 ma ricognoscerla dalla divina bontà. Sicché dunque debbe andare innanzi con la perseveranzia delle virtù, e debbe non vollersi in dietro, ma dentro nel cognoscimento di sé medesimo, dove trova la lar[p. 288 modifica]LETTERE DI SANTA CATERINA 273

ghezza della bontà di Dio. Il quale cognoscimento spoglia l'anima del proprio amore, e vestela d’odio santo e d’un amore divino, cercando solo Cristo crocifisso, e non le creature, ne le cose create, ne se medesimo sensitivamente, ma solo Cristo crocifisso, a mando e desiderando li obbrobri suoi. Se questo cotale è esercitato622 e ha dibarbicata la radice dell’amore proprio, va innanzi, e non volle il capo indietro. Ma se al tutto non fusse dibarbicata spiritualmente, temporalmente caderebbe nel secondo voliere del capo. E sai, quando si volle questa seconda volta? Non alle delizie del mondo; ma quando l'anima avesse cominciato a metter mano ad arare623 la grande perfezione. La quale perfezione principalmente sta, in tutto, in annegare e in uccidere la volontà sua; e più nelle cose spirituali che nelle temporali; perocché le temporali le ha già gittate da se; ma abbiasi cura624 delle spirituali. In questa perfezione ama l’anima in verità il Creatore suo, e le creature per lui, più e meno, secondo la misura con che essi amano.625 Dico dunque, che se la radice non è al tutto divelta dell’amore proprio di sé, che voliera la seconda volta il capo indietro e offenderà la sua perfezione. Perocché o egli l’offende, amando la creatura senza modo e senza misura626 si debbo dare solamente a Dio; ma la creatura, amarla con modo, e con la misura del suo Creatore. O egli si [p. 289 modifica]274 LETTERE DI SANTA CATERINA

volle ad allentare l’amore verso la creatura, la quale esso amò di singolare amore: il quale allentare, non essendovi la cagione della colpa verso la cosa amata, non può essere che non allenti quello di Dio; ma movendosi per mormorazioni o scandali, per dilungamento della presenzia di cui627 egli ama, per mancamento di propria consolazione, non è senza difetto. Questi cotali vollono il capo indietro, allentando la carità verso del prossimo suo.

Non è dunque questa la via; ma la perseveranza.628 E però dissi, ch’io desideravo di vedervi costanti e perseveranti nelle virtù, considerando me, che voi eravate andate tra’ lupi delle molte mormorazioni; e perché pare che non sia veruno che sia sì forte che non indebilisca. Perocché io ho veduto vollere in dietro quegli, ^ del quale io pensava ch’egli avesse fatti sì fatti ripari contra ogni vento, che neuno il ^ potesse nuocere infino alla morte; non credevo che punto vollesse la faccia, e non tanto la faccia, ma la miratura dell’occhio. Veramente questo è segno che la radice non è divelta, perocché, se ella fusse divelta, faremmo quello che debbono fare i veri servi di Dio, i quali né per spine né per triboli, né per mormorazione, né per consigli delle creature né per minacce né per timore de’ parenti si vollono mai indietro; ma in verità seguiteremmo Cristo crocifisso in carcere, ed in mor



629

630 [p. 290 modifica]te;631 e seguiteremmo le vestigio sue, non senza il giogo della vera e santa obedienzia dell’Ordine.

Di questo non dico,632 perocché se egli volesse, io non vorrei; ma di fuore da questo, me ne doglio non per me, ma per l’offesa che è fatta alla perfezione dell’anima; perché verso di me fanno bene. Perocché mi dà egli e gli altri materia di cognoscere la mia ignoranzia e ingratitudine, di non avere cognosciuto, né cognosca633 il tempo634 mio e le grazie ricevute dal mio Creatore. Sicché a me fanno aumentare la virtù. Ma non ho voluto tacere, perocché la madre è obbligata di dire a’ figliuoli quello lor bisogna.635 Parturito è stato egli, e gli altri con molte lagrime e sudori; e parturirò infìno alla morte, secondo che Dio mi darà la grazia in questo tempo dolce della sollicitudine636 data a me e a questa povera famigliola della prima dolce Verità. E pare che di nuovo voglia che si fornisca la navicella dell’anima mia, ricevendo solo la satisfazione del mio Creatore, con l’esercizio di cercare e cognoscere la dolce Verità, con continue mugghia637 e orazioni nel cospetto di Dio per la salute di tutto quanto il mondo. Dio ci dia grazia, a voi e a me, e ad ogni persona, di farlo con grande sollicitudine. [p. 291 modifica]Raccomandateci a Teopento,638 che preghi Dio per noi, ora che egli ha il tempo della cella: perocché siamo peregrini e viandanti in questa vita, e posti a gustare il latte e le spine639 di Cristo crocifisso. E ditegli che legga questa lettera: e chi ha orecchie, sì oda; e chi ha occhi, si veda; e chi ha piedi, sì vada, non vollendo il capo indietro; anco, vada innanzi, seguitando Cristo crocifisso, e con le mani adoperi sante vere640 e buone operazioni, fondate in Cristo crocifisso. Altro non dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce. Gesù amore.

CXXVII. — A Frate Bartolomeo Dominici, e a Frate Tomaso d’Antonio dell’Ordine de’ Predicatori quando erano a Pisa.

Scritta forse sotto la domenica delle palaie. Del soggiogare la parte sensitiva alla ragione: che è il frutto della redenzione. D’un’imbasciata ch’ell' ebbe da papa Gregorio. Vuol dare per Cristo la vita.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

A voi, dilettissimi e carissimi padri per riverenzia di quello dolcissimo Sacramento, e carissimi fratelli in quello abondantissimo e dolcissimo sangue, il vostro carissimo padre641 e fratelli vi mandano cento migliaia di saluti, confortando e [p. 292 modifica]cendo in quella ardentissima carità che tenne legato e chiavellato Cristo in su la croce.

O fuoco abisso di carità, tu se’ fuoco, che sempre ardi e non consumi: tu se’ pieno di letizia e di gaudio e di soavità. Il cuore che è vulnerato di questa saetta, ogni amaritudine gli pare dolce, e ogni grande peso diventa leggiero. Oh dilezione dolce, che pasci e ingrassi l’anima nostra! E perché dicemmo che ardeva e non consumava; ora dico che egli arde e consuma, e distrugge e dissolve ogni difetto, ignoranzia, e ogni negligenzia che fusse nell’anima. Imperocché la carità non è oziosa; anco, adopera grandi cose.

Io Catarina, serva inutile, spasimo di desiderio, rivolgendomi642 per le interiora dell’anima mia per dolore e pianto, vedendo e gustando la nostra ignoranzia e negligenzia, e non donare amore a Dio, poiché tante grazie dona a noi con tanto amore. Adunque, carissimi fratelli, non siate ingrati né sconoscenti; perocché agevolmente si potrebbe seccare la fonte della pietà in voi. negligenti, negligenti, destatevi da questo perverso sonno: andiamo e riceviamo il re nostro che viene a noi umile e mansueto.

O superbi voi! Ecco il maestro dell’umilità che viene e siede sopra l’asina. Però disse il nostro Salvatore che una delle cagioni, infra le altre, per la quale egli venisse sopra essa, si fu per dimostriare a noi la nostra umanità, in quello643 che [p. 293 modifica]egli era venuto per lo peccato a dimostrare che ci conviene tenere con quest’asina della nostra umanità644 quello modo che tenne egli, cioè cavalcarla e signoreggiarla. E drittamente e senza veruna differenzia, non ci ha tra noi e la bestia cavelle; perocché la ragione per lo peccato diventa animale. Verità antica,645 che ci hai insegnato il modo! Io voglio che tu sagli sopra quest’asina, e possegga te medesimo umile e mansueto. Ma con che piei vi saliamo, dolcissimo Amore? con l’odio della negligenzia,646 e con amore della virtù.

Or non diciamo più, perocché troppe cose averemmo a dire. Non posso più. Ma facciamo così, figliuoli e fratelli miei. Il canale è aperto e versa, onde noi avendo bisogno di fornire la navicella dell’anima nostra, andiamo a fornirla ine a quello dolcissimo canale, cioè il cuore e l’anima e ’l corpo di Gesù Cristo. Ine troveremo versare647 con tanto affetto, che agevolmente potremo empire l’anime nostre. E però vi dico: non indugiate a mettere l'occhio nella finestra.648 Che vi dico che quella somma Bontà ci ha apparecchiati i modi e li tempi da fare i grandi fatti per lui. E però vi dissi che voi fuste solleciti di crescere il santo desiderio. E non state contenti alle piccole cose, perocché egli le vuole grandi. [p. 294 modifica]per tanto io vi dico che ’l papa mandò di qua uno suo vicario; ciò fue il padre spirituale di quella Contessa649 che morì a Roma; e è colui che renuniziò al vescovo per amore della virtù, e venne a me da parte del Padre santo, dicendo che io dovessi fare speciale orazione per lui e per la santa Chiesa; e per segno mi recò la santa indulgenzia. Gaudete dunque et exultate, perocché il Padre santo ha cominciato ad esercitare l’occhio650 verso l’ onore di Dio e della santa Chiesa. Costà verrà un giovane che vi darà questa lettera. Dategli di ciò che egli vi dice, fede; imperocché egli ha uno santo desiderio d’andare al Sepolcro; e però egli ne va ora al santo Padre, per lui651 e per alquante persoue religiose e secolari. Io ho scritta una lettera652 al Padre santo; e mandandolo pregando che per amore di quello dolcissimo sangue egli ci dia licenzia acciocché noi [p. 295 modifica]diamo li corpi nostri ad ogni tormento. 653 Pregate quella somma eterna Verità, che, s’egli è il meglio, che ci faccia questa’ misericordia a noi ed a voi, sicché tutti di bella brigata 654 diamo la vita per lui. Son certa che, se sarà il meglio, egli ce la farà dare.

Altro non dico. Alessa vi si raccomanda cento migliaia di volte, con desiderio di ritrovarvi e di vedervi con quella ardentissiraa carità; e maravigliasi molto come voi non ci avete mai scritto. Dio ci conduca in quello luogo dove noi ci vedremo a faccia a faccia con lo Dio nostro.

Alessa negligente 655 si vorrebbe volentieri involiere in questa lettera per potere venire a voi. Monna Giovanna 656 vi manda molte volte benedicendo, e pregavi che abbiate memoria di lei dinanzi da Dio.

Gesù, Gesù, Gesù, lo Catarina, serva inutile di Gesù Cristo, cento migliaia di volte vi conforto e benedico. Catarina 657 Marta vi si raccomanda che preghiate Dio per lei. Raccomandateci a frate Tomaso e al vostro priore e a tutti gli altri. Gesù dolce, Gesù amore.


[p. 296 modifica]

CXXVIII. — A Gabriele di Divino Piccolomini. 658

Perseveranza. La vita è battaglia. La carità sia corazza; la sopravvesta s’invermigli nel sangue di Cristo. Chi si veigogna di tale insegna e non delle terrene viltà, è vano e vile. Spada a due tagli sia l’amore del bene e l’odio del male, il conoscimento della piccolezza nostra e della grandezza di Dio. Nella croce, vittoria. Accennasi alla crociata.

Al nome di Gesù Cristo crocifìsso e di Maria dolce.

Carissimo figliuolo in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a te nel prezioso sangue suo; con desiderio di vederti costante e perseverante nella Virtù sì e per sì fatto modo, che non volla mai il capo addietro; però che in altro modo non potresti esser piacevole a Dio, ne riceveresti il frutto del sangue dell’umile e immacolato Agnello. Perocché solo la perseveranzia è quella che è coronata. Adunque ci è di necessità la perseveranzia. E se tu mi dicessi, carissimo figliuolo: «In che modo posso avere questa costanzia e perseveranzia, conciosiacosa che io abbia molti contrari e molti nemici659 attorno, cioè il mondo e le creature660 con molte persecuzioni, ingiurie, e mormorazioni, e la propria mia sensualità, che spesse volte mi repugna, e ribella contra la ragione?» Rispondoti, che in nessuno modo [p. 297 modifica]si può sconfiggere li nemici se non coll’arme e senza timore; e che volontariamente661 entri nella battaglia, e dispongasi alla morte, e che ami la gloria che seguita dopo la battaglia, in questo modo noi, che siamo posti nel campo a combattere contro li nostri nemici, cioè centra il mondo, la carne e ’l dimonio, senza l’arme non potremmo combattere, né ricevere li colpi che non ci offendessero. Che arme dunque è quella che ci conviene avere? Di coltello. Convienti anco avere la corazza della vera carità, la quale ripara e’662 colpi, che ci dà il mondo in diversi modi, e a molte tentazioni del dimenio, e a’ colpi della nostra fragilità, che impugna centra lo spirito, come detto è. E conviensi che la corazza abbia la sopravvesta 663 vermiglia, cioè il sangue di Cristo crocifisso, unito, intriso e impastato664 col fuoco della divina carità.

E questo sangue conviene che sia scoperto, cioè che tu il confessi dinanzi a ogni creatura, e non lo ascondi, confessandolo per buone e sante operazioni, e con la parola, quand’egli bisognasse: [p. 298 modifica]che tu non facci come molti matti665 che si vergognano dinanzi al mondo di ricordare Cristo crocifìsso, e di confessarsi, loro essere servi di Cristo. Questi cotali non si vogliono mettere la sopravesta. Oh confusione del mondo! che si vergognano di ricordare Cristo e il sangue suo, del quale sono ricomperati con tanto fuoco d’amore. E non si vergognano delle loro iniquitadi; che con tanta miseria666 si privano del frutto del sangue; e hanno tolta la bellezza dell’anima loro, e perduta la dignità; 667 e sono fatti animali bruti; e fatti servi e schiavi del peccato, e non se ne avveggono. Però che essi hanno perduto il lume della ragione, e vanno, come ciechi e frenetici, attaccandosi alle cose del mondo, che non si possono tenere a nostro modo, perchè corrono come il vento. Perocché o elle vengono meno a noi, o noi a loro, cioè quando noi siamo richiesti dal Sommo Giudice, separandosi l’anima dal corpo. E se essi non si correggono o nella vita o nel punto della morte (benché neuno debba essere tanto ignorante che pigli indugio, però ch’egli non sa in che modo né in che stato si muore, né quando); dico che non correggendosi, sono privati del bene della terra e di quello del cielo, e giungono alla eterna dannazione. Non voglio dunque, figliuolo, poiché stanno in tanto pericolo, che tu sia di questi cotali, ma armato per lo modo detto, [p. 299 modifica]stante, e perseverante sia nella battaglia infino alla morte,668 e senza alcuno timore. E convienti anco avere il coltello669 in mano, con che tu ti difenda; e sia di due tagli, cioè d’odio e d’amore; amore della virtù e odio del vizio. E con questo percuoterai il mondo, odiando gli stati, delizie, pompe e vanità sue, e la infinita670 superbia. E percuoterai e’ persecutori con la vera pazienzia671 che tu acquisterai dell’672 amore della virtù. Percuoterai il dimonio; però che la carità è sola quella, che il percuote; e fugge da quell’anima come la mosca dalla pignatta673 che bolle. E percuoterai la sensualità e fragilità tua coll’ odio, il quale odio traesti dal santo 674 cognoscimento di te, e con lo ancore del tuo creatore, il quale amore acquistasti per lo cognoscimento di Dio in te, e per questo amore entrasi nella battaglia.

E debbiti ponere dinanzi all’occhio dell’intelletto tuo Cristo crocifisso, gloriandoti negli obbrobri e nelle fadighe sue. In lui vedrai la gloria che ti è apparecchiata e a chiunque il servirà; nella [p. 300 modifica]qual gloria troverai e riceverai il frutto d’ogni fadiga portata per gloria e loda del suo nome. Or questo è il modo, carissimo figliuolo, da venire a perfetta virtù, e vincere la fragilità, ed a perseverare infino alla morte. Senza la perseveranzia l’arbore nostro non producerebbe il frutto. E però ti dissi che io desideravo di vederti costante e perseverante, acciò che mai non vollessi il capo addietro. Altro non ti dico. Hotti fatto menzione dell’arme, acciò che tu sia proveduto quando si leverà il gonfalone della santissima croce; onde io voglio che tu sappi che arme ti conviene avere. E però fa’ sì che tu la procacci ora fra i Cristiani;675 e comincialati ad usare, ch’ella non sia rugginosa quando anderai sopra gl’infedeli. Permani nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce. Gesù amore.

CXXIX. — A Frate Bartolommeo dell’Ordine de’ Predicatori in Fiorenza.

Parole di Gesù a Caterina. Veste e cibo e letto d’amore. Desidera vedere il frate segnato per lo mezzo. Che il vescovo di Firenze non le risponde.

Al nome di Gesù Cristo crocifìsso e di Maria dolce.

A voi, dilettissimo e carissimo fratello e figliuolo in Cristo dolce Gesù, io Catarina, serva e schiava de’ servi di Dio, scrivo e confortovi nel [p. 301 modifica]SO sangue del Figliuolo suo; con desiderio di vedervi annegnto e affocato Del fuoco dell’ardentissima carità di Dio, spogliato del vostro perverso vestimento, e vestito e ricoperto dal fuoco dello Spirito santo. Il quale vestimento è di tanta fortezza e di tanta durezza, che non ammolla mai il cuore che n’è vestito, e non diventa mai femminile; ^ anco, è atto e forte a ricevere i grandissimi colpi delle molte persecuzioni del mondo e del dimonio, e del corpo proprio; e non gli passano dentro, perocché il vestimento della carità fa resistenzia. Perocché l’amore ogni cosa porta: ciò " è esso Spirito Santo. Egli è quello lume che caccia ogni tenebra; egli è quella mano, che sostiene^ tutto il mondo. Così mi ricordo che, poco è, ^ egli diceva: «Io son colui, che sostengo e mantengo ^ tutto il mondo. Io son quello mezzo che unì la natura divina con la natura umana: io son quella mano forte, che tengo il gonfalone della croce; e di questo ho fatto letto, tenuto confitto e chiavellato, Dio-ed-uomo». Egli è di tanta fortezza, che se ’l vincolo della carità, fuoco di Spirito Santo, non l’avesse tenuto, li chiodi non erano sufficenti a tenerlo.amore dolce, e inestimabile Carità, tu se’ ministrato re e servitore delle vilissime creature. Quale cuore adunque si difenderà che non si spogli del vestimento dell’uomo vecchio _ dell’amore proprio

1 Da effeminare lo spirito; sebbene sia vestimento d’amore.

- Questo amore è lo Spirito divino, perché Dio è carità. Ciò non corrispondente a neutro, usavano; come in Virgilio: «Hoc erat illa fames. - Nec sopor illud erat».

3 Un inno: «Mundum pugillo continens».

  • Dante: «l’mi partii, poco è, da uno...».

5 Più bello, anche perchè più buono, del Cuncta snperoilio moventis. Paro intenda di parole ch’ella stessa sentì nel suo cuore. [p. 302 modifica]di sé medesimo, e non corra, a tanto calore, ^ a vestirsi dell’uomo nuovo? Certo i cuori tiepidi e freddi e negligenti se ne difendono: e tutto questo nasce dalla perversa radice dell'amore proprio. E però vi dissi che io desideravo che voi fuste annegato e vestito di quella fortezza e plenitudine dello Spirito Santo; perocché l’anima, che ha levato l’affetto suo sopra di sé, e percossolo ^ nel consumato desiderio di Dio, non cade in questo difetto, ma ène privata.

Adunque io vi prego, figliuolo in Cristo Gesù, che, poich’Egli dice che è vestimento forte, che riceve ogni colpo, che noi portiamo virilmente. Oh amore! Il Verbo si ha dato in cibo, il Padre è letto dove l'anima riposa per amore. Dunque non ci manca cavelle. Il vestimento è di fuoco centra al freddo, cibo centra al morire di fame, e letto centra alla stanchezza. Siate, siate innamorato di Dio, dilettando l’anima e la coscienzia vostra in lui; e non vogliate pigliare la estremità: ^ perocché noi vediamo tanta larghezza, che essendo noi peregrini, questa Parola incarnata ci ha accompagnata nella peregrinazione, e datocisi in cibo per farci correre virilmente. Ed è ^ sì dolce compagno dell’anima che ’1 seguita, che egli è colui che giugnendo

1 Salmo: «Non est qui se abscondat a calore ejus».

2 Fattolo giungere come chi coglie nel segno. Dante: «Per quello rotear (di spiriti) elle insieme venne, Tosto che in certo grado si percosse».

3 Qui vale la forza intellettiva e meditante dell’anima, e la forza operante, e il sentimento del bene operare.

  • Contrappone l’estremità all’imagine di larghezza, intendendo: non siate

avari d’amore, non istate allo stretto precetto, dilettatevi nell’abbondanza del consiglio.

° La stampa: e di sì. [p. 303 modifica]al termine della morte ci riposa nel letto,676 mare677 pacifico della divina Essenzia, dove noi riceviamo l’eterna visione di Dio. Questo parbe che volesse dire la dolce bocca della Verità in su ’l legno della santissima croce, quando disse: «In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum». Gesù dolce, tu se’ nel Padre; ma non noi, perocché, come membri putridi, per lo peccato eravamo privati della Grazia: sicché fa detta 678 per noi, perocché679 la stretta compagnia che fece coll’ uomo, che divenuto 680 una cosa con lui, reputava suo quello che era nostro. fuoco d’amore! Io non voglio dire più, perocché non mi resterei infino alla morte, se non che io vi vegga segato per mezzo.681

Ricevetti la vostra lettera, e intesi ciò che diceva del dubbio che avete. Ratto, per la grazia di Dio, il dichiareremo insieme. Son certa che la divina providenzia non vi farà stare senza frutto, non tollendolo682 con la vostra coscenzia, ma largo e in perfetta umilità. Così voglio e prego teneramente, come figliuolo, che facciate; ed io, come misera miserabile madre, v’offerirò e terrò dinanzi al Padre eterno Dio. E se mai fui affamata dell’anima [p. 304 modifica]vostra, singolarmente sono il dì d’oggi. In questa pasqua ve ne sete potuto" avvedere: e ogni dì è questa pasqua. Onde non potete stare senza me, che continuamente per santo desiderio non sia dinanzi da voi.

Dell’andare a Roma, credo che Dio per sua grazia vi ci manderà, perocché veggo la volontà di Frate Tomaso inchinata a ciò. Il nostro Cristo in terra ne viene tosto, secondo ch’io intendo. ^ Per la qual cosa io vi prego e costringo che ne veniate il più tosto che potete.

Mandastemi a dire che era morto misser Niccolaio’ e monna Lippa. Honne avuta grande letizia, pensando che ogni cosa è fatta con providenzia di Dio. Sappiate se mouna Lippa avesse lassato per testamento cavelle. E se ne poteste avere cavalle per Santa Agnesa, impegnatevene; perocché hanno grande bisogno.

Ho scritto a monna Pilla, ^ e a Maddalena. Il Vescovo ^ non mi risponde mai. E. però vi prego che v’andiate, e costringiate di fare quello che io gli scrissi: e dia a voi quella quantità che può, sforzando il potere: perocché è di grandissima necessità. E così dite a Niccolò Sederini. Il più tosto che potete, recate ciò che vi danno. Dite ad Elisabetta ed a Cristofana e a tutte l’altre, che si confortino in Cristo Gesù cento migliaia di volte, e che corrano virilmente dietro allo sposo dolce. Cristo

1 Fin dal 74 prometteva Gregorio di lasciare Avignone. Questa lettera avrebbe a essere del principio dell’anno seguente.

2 Forse il Buonconti nobile pisano, padre dei quattro discepoli a Caterina.

" Forse scorcio di Sobilia, e questo da Sibilla. Pisa ha la Santa Sobilla Palmieri.

Il vescovo di Firenze poteva risponderle; ma non sapendo coli’ opera, non osava in parole. Lettere di S. Caterina - Voi. II. 19 [p. 305 modifica]Gesù. Pregatela che mi perdoni, che io dimenticai la manna,683 che io le promisi. Dite a Ficcolino delli Strozzi, che cresca di virtù in virtù. Perocché chi non cresce, torna a dietro. Confortatelo molto molto, da mia parte.

Sappiate che ’l dì che Dio sposò l’umana generazione con la carne sua, fummo di nuovo lavati nel sangue e sposati con la carne.684 Annegatevi ed affogatevi nel fuoco del santo desiderio. Permanete nella santa dilezione di Dio.

Alessa e Catarina, e io, Cecca685 pazza, vi ci mandiamo molto raccomandando. Gesù, Gesù. Catarina serva de’ servi di Dio inutile. Vi si raccomanda frate Raimondo e frate Tommaso.

CXXX. - A Ipolito degli libertini di Firenze.686

Per tenerezza della figliuola, e sotto colore di questa per attacco alle cure domestiche, non indugi darsi alla religione, ma prima alloghi la fanciulla, e tal cura non lasci ad altri. Scelga qual ordine vuole, ma aiuti del suo i Certosini di Gorgona, necessitosi. Sapiente consiglio, del non si distaccare, anello per anello, dalle cure minute del mondo; ma risolversi con la franchezza che attesta la libertà e la aspirazione dell’anima. Non si libera l’uomo dal male se nell’altezza del bene non vola franco.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Carissimo fratello in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di [p. 306 modifica]vedervi col cuore virile, spogliato d’ogni passione e tenerezza sensitiva: la quale tenerezza che procede dall’amor proprio, è inapedinaento d’ogni santo desiderio, e operatore687 d’ogni male. Colui che ama sé, sta entro una tiepidezza di cuore. Da l’uno lato il chiama Dio, facendogli vedere il poco tempo che ci ha a vivere, e la miseria e fragilità del mondo, e la poca fermezza e stabilità sua; e che ogni diletto minimo e sollecitudine688 che l’uomo piglia disordinatamente fuori di Dio, è punito miserabilmente. Viengli in odio e dispiacimento il mondo, e volentieri se ne vuol levare; vedendo che chi lassa il mondo, possiede il mondo, cioè, chi si fa beffe dello stato, pompe e delizie sue; vedendo che ognuno è rimunerato, e saragli poi renduto per uno cento. Dispensi allora in sé medesimo al tutto abbandonarlo. Ma se r amore proprio anco vivesse nell’anima, questo desiderio intepidisce; e con una cotale tenerezza di sé si va pure attaccando, pigliando indugio di tempo. Non si dee fare così; ma uccidere ogni amor proprio, considerando in sé medesimo che non è sicuro d’avere il tempo. Che se noi ne fussimo sicuri, sarebbe da dire: «io mi porrò a «sciogliere questo legame del mondo; e quando io «sarò sciolto, n’andrò a legarmi con Cristo croci«fisso col mezzo del giogo della sua obedienzia». Carissimo fratello, poiché689 sete sicuro d’avere il tempo, gettate a terra ogni amore proprio e tenerezza sensitiva; e non vi ponete a sciogliere, ma a tagliare. Recatevi nella mano del libero arbitrio un [p. 307 modifica]292 LETTERE DI SANTA CATERINA

coltello che abbia due ta^li, cioè d’odio e d’amore: amore della virtù, e odio e dispiacimento del vizio e del mondo e della propria sensualità. A questo modo dimostrerete che siate uomo virile, e non tiepido né negligente.

Rispondete, ripondete a Dio che vi chiama per sante e buone ispirazioni; e havvi il luogo apparecchiato, santo e divoto, separato al tutto dal secolo: con un padre, cioè il Priore di Gorgona, ^ che è drittamente un angelo, specchio di virtìi, con una buona e santa famiglia. Non fate resistenzia alla divina grazia, che con tanta benignità vi domanda di volere abitare nel cuore e nell’affetto vostro. Secondo che io intesi per la lettera che mi mandasti, parmi che abbiate buona e santa intenzione: ma troppo la pigliate a lunga, domandando due anni. E questo fa il dimenio, perchè gl’incresce del vostro bene, ponendovi innanzi d’avere necessità, ^ per impedire la pace e la quiete vostra. Molto mi parrebbe che facesti bene, il. più tosto che si potesse, allogare la fanciulla vostra e levarvi quel peso dal collo; poi degli altri fatti, spacciatamente determinargli. ^ Potreste, le altre faccende che avete a fare, lassarle fare a quel mezzo ^ che vedesti che fusse buono e atto a fadigarsi per l’amore di Dio e per voi; ma quello della fanciulla fate voi medesimo. Prego vi da parte di Cristo crocifìsso, che tosto vi spacciate, e non aspettate il tempo, che ’1 tempo

1 Bartolommeo Serafini di Ravenna certosino.

2 D’attendere alle cose domestiche.

3 Usato con doppia proprietà, di deliberazione precisa, e di conclusione.

  • Di persona, può stare, essendo quella di mezzo idea generale. Così

messo, il latore di lettera o roba. [p. 308 modifica]LÈTTERE DI SANTA CATERINA 293

non aspetta voi. Viene a voi il Priore di Gorgona: dite a lui pienamente la vostra intenzione; e pigliate una salda, ferma e vera ^ deliberazione. E se cosa è, ^ che voi pigliate ^ d’essere a quel luogo santo e divoto (che sarà la vita dell’anima vostra), per qualunque modo si sia, * se voi dispensate la sostanza vostra a’ poveri, datene a quel luogo di Gorgona. Perocché il luogo ha bisogno d’essere acconciato, a volere stare secondo i costumi dell’Ordine di Certosa.

Orsù virilmente! Che io spero nella bontà di Dio che bagnandovi nel sangue di Cristo crocifisso, voi farete questo e ogni altra cosa senza indugio di tempo. Non dico più. Raccomandatemi a Leonardo e Niccolò Sederini; ^ e Monna Antonia e tutta l’altra famiglia beuedicete in Cristo dolce Gesù. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

1 Può essere salda, cioè intera e soda in sé, ma non durare ferma: ose non è salda e ferma, non è deliberazione vera, cioè sincero uso della propria libertà. Orazio mente solida.

2 Forse se cosi è, ma può stare anche cosa, nel senso di s’egli è, se ciò è, come nella particella: con ciò sia cosa che. Agl’Italiani cosa è parola solenne, come vestigio di eausa. Onde il Petrarca lo dice alla Vergine, e dicevasi fin di Dio. Adesso è latto contrapposto a persona, e, che peggio è, la persona è un coso.

3 Scorcio. Sottinteso deliberaxione o simili. Essere, andarci per appartenere a quello.

  • andate religioso altrove, o rinunziato a’ vostri beni o a parte di

quelli.

= Fratelli: e segnatemente Niccolò a lei devoto. [p. 309 modifica]

CXXXI. — A Niccolò Soderini in Firenze.690

Dio Signore e Padre. Noi, ricchi o no, servi e figli. Egli ci dà il tesoro del tempo e della libertà, da arricchire. Le virtù, nostra dovizia,.sono insieme suo dono; vincono insieme e coronano la nostra natura. Accenno alla guerra crociata. Ringraziamento.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Reverendissimo e dilettissimo fratello in Cristo Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, vi conforto e benedico nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi vero figliuolo e servo di Gesù Cristo crocifisso, voi e tutta la famiglia vostra, sì come servo ricomprato dal Figliuolo di Dio: ragguardando sempre come il servo che sta dinanzi al suo signore, che sempre teme di non offendere e di non dispiacere a lui,691 Così voglio che sempre facciate voi; e che vediate che ’l Signore692 a cui siamo obbligati di servire, l’occhio suo è sempre sopra di noi; onde dobbiamo sempre temere di non offedere a sì dolce e caro signore. Questo è quel santo timore che entra come servo nell’anima, e traene ogni vizio e peccato, e operazione che fosse contra alla volontà del Signore suo.

Desidero anco che siate figliuolo del Padre vostro celestiale, il quale v’ha creato alla immagine e similitudine sua; e ha fatto a voi e ad ogni creatura come fa il padre che mette alcun tesoro in mano del figliuolo suo, e per farlo grande e arricchito, il manda fuora della città sua. Così fa questo dolce padre: perocché, avendo creata l’anima, egli [p. 310 modifica]LETTERE DI SANTA CATERINA 295

le dona il tesoro del tempo e il libero arbitrio della volontà, perchè arricchisca. Così vedete voi che è: però che noi siamo forestieri e peregrini in questa vita; e con questo tesoro del tempo e col libero arbitrio guadagniamo. E' vero che in questo tempo la creatura può annegare la volontà e libero arbitrio suo, e con esso può annegare la perversa vanità, piacimento e dispiacimento e sollecitudini e diletti del mondo; la quale è quella mercanzia che sempre l’uomo impoverisce, però che non ha in sé veruna stabilità né fermezza, e non ha se non una mostra di fuore, e dentro è guasta, e lassata693 al puzzo di molti peccati: e questa mostra fa che l’uomo s’accordi a mercato con lui. Adunque, carissimo e venerabile fratello in Cristo Gesù, io non intendo né voglio che questo tesoro dato dal Padre a noi per divina grazia e misericordia, noi lo spendiamo in sì vile mercanzia; perocché giustamente saremo reprobati dal Padre. Dunque come figliuoli veri, e con perfetta sollecitudine spendiamo questo dolce tesoro in una mercanzia perfetta; la quale è contraria a questa, però che ha il colore pallido, povero e vile: e dentro v’è uno tesoro che ingrassa694 e arricchisce qui per Grazia, e poi ’l conduce nella vita durabile del Padre a godere l’eredità sua. Or vediamo dunque che tesoro, costui che è arricchito, egli ha comprato. Il tesoro é questo: spregiamento d’onore, di delizie, di ricchezze, e d’ogni consolazione e ricreazione o piacimento degli uomini; e ha voluto quelle virtù vere e reali, le quali paiono piccole e di non piccolo aspetto negli occhi del [p. 311 modifica]296 LETTERE DI SANTA CATERINA

mondo, ma dentro v’è il tesoro della Grazia. Ben pare piccolo al mondo a eleggere strazi, scherni, ingiurie e rimproveri, a eleggere volontaria povertà; la quale caccia a terra l’umana superbia e grandezza e stato del mondo; la quale ^ si mostra tanto alta e diventa umile abbassandosi per virtù. E non vuole tenere altre vestigia che del padrone suo; che gli ha commesso il tesoro della libera volontà; con la quale egli può guadagnare e perdere secondo che vuole e secondo la mercanzia che compra.

Oh dolce e santo tesoro delle virtù, che in ogni luogo andate sicure, in mare e in terra, e in mezzo de’ nemici di neuna cosa temete, però che in voi è nascoso Iddio, che è eterna sicurtà! Non gli è tolta dagli uomini né dall’ingiuria^ la perfetta pazienzia; perocché non si trova nel mondo chi voglia ingiurie; e la pazienzia egli ^ prova per mezzo dalla ingiuria e delle fadighe. Così l'ardentissima e amorosa carità: perocché sempre, per contrario, si cerca l'amore proprio di sé medesimo; ma il cuore dilargato e abbattuto * alla ricchezza della carità, vuole gaudio e letizia e ogni sicurtà. ^ E non ragguarda

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699 [p. 312 modifica]né cerca se per sé, ma sé per Dio, e ’l prossimo per Dio. E brevemente, ogni sua operazione è drizzata in lui non per propria utilità, ma per onore del Padre, quando ritorna alla casa sua.700

Orsù dunque non dormiamo più nel letto della negligenzia, però che egli è tempo da investire questo tesoro in una dolce mercanzia: e sapete in quale? In pagare701 la vita per lo Dio nostro, dove si terminano tutte le iniquità nostre. Questo dico per l'odore del fiore che si comincia ad aprire, per lo santo passaggio, per lo quale ora il Padre santo e il nostro Cristo in terra ha commesso che si cerchi per voler sapere la santa disposizione e volontà dei Cristiani, cioè se vorranno dare la vita per acquistare la Terra santa; e dicendo che se troverà le volontà disposte, che ogni aiuto darà, e con sollecitudine userà la potenzia sua.702 Così dice la bolla che egli ha mandata al provinciale nostro e al ministro de’ frati Minori e a frate Raimondo; e mandollo, comandando che fussero sollecitati a invistigare le buone volontadi per tutta Toscana e in ogni altro terreno: e vuogli703 per scritto, per vedere il loro desiderio, e quanti sono; per dare poi ordine, e mandare in effetto. Adunque io v’invito alle nozze della vita durabile, e che v’accendiate per desiderio a pagare sangue per sangue; e quanti ne potete, [p. 313 modifica]invitare;704 però che alle nozze non si vuole andar solo. E non potete poi tornare addietro.705 Non vi dico altro.

Ringraziovi con affettuoso amore della carità che avete mostrata, secondochè per la lettera e per lo Maestro706 ho inteso. Non sono sufficiente a remunerare l'affetto vostro: ma prego e pregherò continuamente la somma eterna Bontà che vi rimuneri di sé.707 Raccomandatemi e benedicetemi cento migliaia di volte in Cristo Gesù. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

CXXXII. — A Monna Giovanna708 e altre figliole in Siena.

Dio non chiede orazioni di molte parole, ma d’opere in carità. Preghisi per gli offensori come per amici che ci danno guadagno. Vincendo le voglie smodate che son freni importuni, l’anima corre nel bene libera. La crociata. La regina di Cipro.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Dilettissime e carissime figliuole in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, e madre vostra in Cristo, scrivo a voi [p. 314 modifica]e confortovi nel prezioso sangue del figliuolo di Dio; il quale fu Agnello mansueto e immacolato e svenato, non per forza di chiodi o di lancia, ma per forza d’amore e smisurata carità la quale aveva e ha alla creatura. Oh carità ineffabile dello Dio nostro! Tu m’hai insegnato, dolcissimo Amore, e hàmmi mostrato non con sole parole (perché tu dici che non ti diletti di molte parole), ma con l’operazioni, delle quali tu dici che ti diletti, le quali tu richiedi a’ servi tuoi. E che m’hai tu insegnato, Carità increata? m’hai insegnato che io, come agnello, pazientemente sostenga non solamente le parole aspre, ma eziandio le percosse dure e aspre,709 le ingiurie e danni. E con questo vuoli ch’io sia innocente e immacolata, cioè senza nocimento a neuno de’ prossimi e fratelli miei; non solamente a quelli che non ci perseguitano, ma a coloro che ci fanno ingiuria: e vuoli che per loro preghiamo come per speciali amici che ci danno buono e grande guadagno. E non solo nelle ingiurie e danni temporali vuoli che noi siamo pazienti e mansueti, ma generalmente in ogni cosa la quale sia centra la mia volontà: come tu non volevi che in veruna cosa fusse fatta la tua volontà, ma quella del Padre tuo. Come adunque leveremo il capo centra la bontà di Dio, volendo che s’adempiano le perverse nostre volontadi? e non vorremo che fusse adempiuta la volontà di Dio?

O dolcissimo amore Gesù, fa’ che sempre s’adempia in noi la volontà tua, come sempre si fa in [p. 315 modifica]cielo dagli Angeli710 e Santi tuoi. Questa è, dilettissime mie figliuole in Cristo, quella mansuetudine la quale vuole il nostro dolce Salvatore trovare in noi; cioè che noi con cuore tutto pacifico e tranquillo siamo contenti d’ogni cosa ch’egli dispone e adopera inverso di noi e non vogliamo né luogo né tempo a nostro modo, ma solamente a suo. E allora l’anima così spogliata d’ogni suo volere, e vestita della volontà di Dio, è molto piacevole a Dio. La quale, come cavallo sfrenato,711 corre di grazia in grazia velocissimamente, e di virtù in virtù; che non ha neuno freno che la tenga, che non possa correre, perocché ha tagliato da sé ogni disordinato appetito e desiderio di propria volontà, i quali sono freni e legami che non lassano correre l’anime degli spirituali.

I fatti del passaggio continuamente vanno di bene in meglio; e l’onore di Dio ogni dì cresce più. Crescete continuamente in virtù, e fornite la navicella dell’anime vostre; perocché il tempo nostro s’approssima. Confortate e benedicete Francesca da parte di Gesù Cristo e da mia: e ditegli che sia sollecita sì che io la trovi cresciuta in virtù [p. 316 modifica]d’io tornerò. Benedite e confortate tutti i miei figliuoli in Cristo. Ora a questi dì è venuto l’ambasciatore della regina di Cipri712 e parlommi. Esso va al santo Padre Cristo in terra a sollecitarlo de’ fatti del santo passaggio. E ancora il santo Padre ha mandato a Genova a sollecitare loro713 di questo stesso.

Il nostro dolce Salvatore vi doni la sua eterna benedizione. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

CXXXIII. — Alla Reina di Napoli.714

Sei figliuola a Dio e serva. Da serva buona, netti il vaso dell’anima; da figliola, l’empia di buone coso. Faccia giustizia di sé, poi agli altri, non per piacere agli uomini, né per paura loro. Accenti a tal donna coraggiosi. Poi della crociata.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

A voi, reverendissima e carissima madre mia in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava [p. 317 modifica]de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi, e confortovi nel prezioso sangue del Figliuolo di Dio; con desiderio di vedervi vera e perfetta figliuola di Dio. Sapete pure che il servo giammai non vorrà offendere nella presenzia del signore, perocché teme la pena che seguita dopo la colpa commessa; onde per questo timore s’ingegna di servirlo bene e diligentemente. Così dico che colui ch’è vero figliuolo, elegge innanzi la morte, che offendere il padre; non per timore di pena né per paura715 che abbia da lui, ma solo per la reverenzia sua e per l’amore che egli ha al padre, non l’offende. Questo è quello figliuolo che debbe avere la eredità, però che non ha renunciato al testamento del padre, ma ha osservate e seguita le vestigio sue. Così vi prego, venerabile madre in Cristo Gesù, che facciate voi, e come il vero servo; 716 che voi sapete che sempre stiamo dinanzi a questo Signore, e l’occhio suo vede in occulto, ed è sempre sopra di noi; e ben vede la somma eterna Verità chi è colui che ’l serve o che ’l disserve. Debbe dunque l’anima temere di non offendere il suo Creatore, però che egli è quello vero signore che ogni peccato punisce, e ogni bene remunera; e neuno né per signoria né per ricchezza né per gentilezza può fare, né [p. 318 modifica]schivarsi717 che non serva a questo signore dolce Gesù.

Oh quanto è dolce e santa questa dolce servitudine, che pone freno e ordine all’anima e non la lassa andare per la perversa servitadine del peccato: anco, fugge tutte quelle cose che la potessero inducere al peccato! Tutte le cose che vede siano fuore della volontà del Signore, odia; perocché sa che se egli le amasse, caderebbe nel giudizio suo. Poi, dunque, che l’anima s’è levata con timore, ragguardando, sé essere serva, e che dall’occhio suo non si può nascondere; comincia a dibarbare l’affetto e l'amore disordinato del mondo; e ordinali e conformali colla volontà del signore suo; però che altrimenti non potrebbe piacergli. Che, come disse Cristo, neuno può servire a due signori; però che se serve all’uno, è contrario all’altro. Sicché, poi che l’anima nostra è tratta con timore, 718 corre con perfetta sollicitudine, e caccia ogni peccato e defetto da lui. Drittamente questo amore fa come il servo nella casa, che è posto per lavare e’ vasi immondi.

Ma poi che l’anima è venuta a esser figliuola, cioè essere e stare in perfetta carità, fa come ’l vero figliuolo che ama eternalmente719 il padre suo; e non ama per amore mercenario, cioè per utilità che tragga dal padre; e non teme d’offenderlo per paura di pena, ma solo per la bontà del padre, e per la sustanzia della sua natura che ’l padre gli ha data con amore. Sicché la natura gli dà [p. 319 modifica]za,720 e l’amore il costringe ad amarlo e servirlo. Onde costai si può dire che sia vero figliuolo. Adunque dico che l'amore nostio verso il Padre celestiale, è, che tu non ami per rispetto di neuna utilità che tu tragga da lui, né per paura di pena che ti facesse portare: ma solamente perché egli è sommo e giusto e eternai mente buono, per sua infinita bontà, e degno d’essere amato; e neuna altra cosa è degna d’essere amata fuore di Dio; ma in lui e per lui amare e servire ogni creatura.

Or questo è amore di padre.721 E come722 timore dritto ha a mondare e’ vasi, così questo amore ha a empire il vasello dell’anima delle virtù, e trarne fuore ogni grandezza e pompa di vanagloria, ogni impazienzia e ingiustizia e vanità e miseria del mondo; trarne il ricordamento delle ingiurie ricevute: e solo ci rimane il ricordamento de’ benefizii di Dio e della sua bontà, con vera e perfetta umiltà; e con pazienzia a sostenere ogni pena per lo dolce Gesù, con una giustizia santa che giustamente renderà il debito suo a ognuno.

E attendetete che in due modi avete a fare giustizia. Cioè, prima, di voi medesima, sicché giustamente rendiate la gloria e l’onore a Dio, ricognoscendo da lui e per lui avere ogni grazia: e a voi rendete quello ch’é vostro, cioè il peccato e la miseria, con vera considerazione e dispiacimento del peccato. Perocché il peccato tenne confitto e chiavellato il figliuolo di Dio in su ’l legno della [p. 320 modifica]santissima croce. L’altra si è una giustizia data sopra le creature; la quale avete a fare e tenere723 per lo Stato vostro nel vostro reame. Per la qual cosa io vi prego in Cristo Gesù che voi non teniate occhio che sia fatta ingiustizia; ma con giustizia giustamente ad ognuno sia renduto il debito suo, così al grande come al piccolo. E guardate che neuno piacimento né timore di creatura vi ritraggano da questo: altrimenti, non sarete vera figliuola. Onde se voi giustamente terrete l’occhio verso l’onore di Dio, vorrete innanzi morire, che passarla mai.

Poiché il vasello è netto de’ vizi e peccati, ed è ripieno delle virtù; non si può tenere né difendere il cuore che non ami; sì perché egli ha trovata la vena della bontà di Dio adoperare724 in lui, e sì per la conformità725 che ha la creatura col Creatore. Perocché la creò alla immagine e similitudine sua: e questo fece non per debito né perché ne fosse pregato, né per utilità che traesse da lei, ma solo l'abisso e la forza dell’amore e la ineffabile carità sua il mosse. Questo fu quello amore che fece Dio unire e umiliare all’uomo. Oh quanto, dolce e venerabile madre, si debbe vergognare la creatura d’insuperbire per neuno stato o grandezza che abbia, vedendo il suo Creatore tanto [p. 321 modifica]liato, e con tanta ardentissima carità correre all’obbrobriosa morte della croce! Or di questo, dunque, dolcissimo amore desidera l’anima mia che siate vestita; perocché senza questo non potreste piacere a Dio né avere la vita della Grazia.

Fovvi assapere le dolci e buone novelle; perocché il dolce nostro Cristo in terra, il santo Padre ha mandata una Bolla a tre religiosi singulari,726 cioè al Provinciale de’ frati Predicatori, e al ministro de’ frati Minori, e a uno nostro frate servo di Dio: e ha loro comandato che sappiano e facciano sapere per tutta Italia e in ogni altro paese che essi possono e debbono investigare coloro che volessero e avessero desiderio di morire per Cristo oltre mare, e andare sopra gl’Infedeli: e tutti gli debbano scrivere e rappresentare a lui: dicendo che se truova la santa disposizione e l’acceso desiderio727 de’ Cristiani, che vuole dare aiuto e vigore colla potenzia sua, e andare sopra gl’Infedeli. E però vi prego e costringo da parte di Cristo crocifisso che vi disponiate e accendiate il vostro desiderio, ognora che questo dolce punto verrà, di dare ogni aiuto e vigore che bisognerà, acciocché il luogo santo del nostro dolce Salvatore sia tratto dalle mani delle dimonia, acciò che partecipino il sangue del Figliuolo di Dio, come noi. Pregovi umilmente, madre mia, che none schifiate di rispondere a me il vostro santo e buono desiderio che avete verso questa santa operazione. Altro non dico. La pace e la Grazia dello Spirito Santo sia sempre nell’anima vostra. Permanete nella santa dilezione di Dio, e perdonate alla mia presunzione.

Gesù dolce, Gesù amore. [p. 322 modifica]

CXXXIV. — A Bartolomeo e Jacomo, eremiti in Campo Santo in Pisa. 728

Scritta forse allorché trattavasi della Crociata. E parlando a chi stava nel Campo Santo di Pisa, nomina più volte la terra. Raccomanda sacrifizi d’amore. Amore apre la memoria, e l’ingegno trova nel cuore di Dio. Dio ama d’amore uguale gli uomini tutti: nuova ragione sublime di civile uguaglianza. Similitudine dell’aquila in nuovo aspetto.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

Dilettissimi e carissimi figliuoli miei in Cristo dolce Gesù. Io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi svenare, e aprire il nostro corpo per lo dolce nome di Gesù. Oh quanto sarà beata l’anima nostra se riceveremo tanta misericordia, che noi diamo quello per lui che esso diè per noi con tanto fuoco d’amore e di carità! Oh fuoco che ardi e non consumi, e consumi ciò che è nell’anima fuore della volontà di Dio! Questo fu quello caldo vero che cosse729 l’Agnello immacolato in sul legno della santissima croce. Oh cuori indurati e villani, come si possono tenere che [p. 323 modifica]non si dissolvono a questo caldo? Certo io non mi maraviglio se i Santi non erano accecati in amore proprio di loro, ma in tutto erano annegati730 in cognoscere la bontà di Dio ed il fuoco della sua ardentissima carità. Correvano, con la memoria del sangue, a spandere il sangue. Quando ragguardo lo smisurato fuoco di Lorenzo, che stando in su la graticola del fuoco, stava immoto731 col tiranno..... Doh! Lorenzo, non ti basta il fuoco? — Risponderebbeci: «No». Perocchè è tanto l'ardentissimo amore che è dentro, che spegne il fuoco di fuore.

Adunque, carissimi figliuoli in Cristo dolce Gesù, gli affetti e desiderii vostri non siano morti di qui all’ultimo della vita nostra:732 non dormite: destatevi. E non ci veggo altro rimedio a destarci, se non uno continuo odio: dall’odio nasce la fame della giustizia, in tanto che vorrebbe che li animali ne facessero vendetta. Come giunto è alla vendetta di sé, purgasi l’anima in questo dolce fuoco; dove troverete formata733 in voi la bontà di Dio.

Per lo quale cognoscimento della somma bontà, quando l’anima si trova annegata in tanto abisso d’amore, quanto vede che Dio ha in lei; dilargasi734 il cuore e l’affetto; onde l’occhio del cognoscimento apre735 a intendere, la memoria a ritenere, [p. 324 modifica]e la volontà si distende ad amare quello che egli ama. E dice e grida l’anima: «dolce Dio, che ami tu più?» Risponde il dolce Dio nostro: «Ragguarda in te, e troverai quello ch’io amo». Allora ragguardate in voi, figliuoli miei carissimi, e troverete e vedrete che con quella medesima bontà e ineffabile amore che troverete che Dio ama voi, con quello medesimo amore ama tutte le creature che hanno in loro ragione. Onde l’anima come innamorata si levi e distendasi ad amare quello che Dio più ama: ciò sono i dolci fratelli nostri. E levasi con tanto desiderio e concepe tanto amore, che volentieri darebbe la vita per la salute loro, e per restituirli alla vita della Grazia. Sicché diventano mangiatori e gustatori dell’anime; e fanno come l'aquila che sempre ragguarda la rota 736 del sole e va in alto: e poi ragguarda la terra, e prendendo il cibo, del quale si debbe notricare, il mangia in alto. Così fa la creatura: cioè, che ragguarda in alto, dove è il sole del divino amore; e ragguarda poi verso la terra, cioè verso l'umanità del Verbo incarnato del Figliuolo di Dio: e ragguardando in quello Verbo e Umanità tratta dal ventre dolce di Maria, vede in su questa mensa il cibo e mangialo; e non solamente nella terra, nella quale ella ha preso dell’umanità di Cristo, ma levasi su in alto col cibo in bocca; e levatasi su, entra nell'anima, consumata e arsa dell’amore del Figliuolo di Dio. E quello affettuoso amore trova che è uno fuoco che esce dalla potenzia del Padre, il quale donò a noi per ardore la sapienzia del Figliuolo suo; e una fortezza di fuoco di Spirito Santo, il [p. 325 modifica]quale fu di tanta fortezza ed unione, che né chiodi né croce arerebbe tenuto quello Verbo, se non fusse il legame dell’amore: e l’unione fu sì fatta, che né per morte né per veruna altra cosa la natura divina si partì dall’umana.

Or737 voglio che mangiate questo dolce cibo. E se mi diceste: «Con che ale volo?» con l’ale dell’odio e della morte;738 con pene739 di strazii, di scherni e di rimproverii crociati per Cristo crocifisso. E non vogliate né reputate di sapere altro che Cristo crocifisso: in lui sia la vostra gloria e il vostro refrigerio e ogni vostro riposo. Pascetevi e notricatevi di sangue. Dio ragguardi a’ vostri desideri!. Non dico più. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce, Gesù amore.

CXXXV. — A Misser Pietro Marchese del Monte.

Per ben giudicare il popolo, giudichi sé. Memoria accusatrice, volontà rea dolente, intelletto sentenziante, cuore e corpo pazienti. Paghi un debito di coscienzia.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

A voi, missere lo senatore, io Caterina,740 serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo salutandovi nel prezioso sangue del Figliuolo di Dio; con desiderio di vedervi vero rettore della giustizia, prima a voi, e poi in altrui; sì che voi possiate [p. 326 modifica]apparire innanzi al giustissimo giudice con sicura faccia. Perocché colui che non tiene la giustizia sopra di sé, non può con buona faccia farla sopra altrui. Perocché tanto è l’opera giusta, quanto procede dalla giustizia e pura volontà.741 O dolcissimo fratello in Cristo Gesù, pigliate l’esempio dal prezioso Agnello che fece giustizia de’ peccati altrui sopra di sé. Quanto dunque maggiormente dobbiamo noi far vendetta de’ peccati nostri sopra di noi! Or dunque salite sopra la sedia della ragione, e fate che la memoria accusi i mali fatti e i mali detti e i mali pensieri vostri; e la volontà si doglia dell’ingiuria del suo Creatore e dimandi giustizia: e allora l’intelletto giudichi la pena742 che dee sostenere il cuore ed il corpo, e diagliela con grande impeto e con grande fervore. E allora sarà placato il giudice giusto; e non solamente perdonerà l’offesa, ma farà, colui che giustamente ha giudicato sé, diventi giusto giudice degli altri. E così diventiamo veri rettori,743 sottomettendo noi medesimi alla regola della giustizia.

Altro non dico. Prego vi che siate sollecito di [p. 327 modifica]spacciare con misser Matteo 744 quello che voi avete a fare per la vostra salute: e non tardate. Altrimenti, vi si potrebbe far mettere la mano alla stanga;745 e paghereste innanzi che voi ne la levaste. E se non avete altro modo, dateli a lui o a uno banco, sì che stiano a sua posta;746 ed egli troverà bene poi il modo. Non ci sono ora le mie compagne che mi solevano scrivere: e però è stato di bisogno che io abbia fatto scrivere747 a frate Raimondo; il quale vi si raccomanda e saluta in Cristo Gesù con tutto il cuore, e sollecitavi del fatto che avete a fare con misser Matteo.

Se Neri748 vuol venire qua, pregovi che voi il [p. 328 modifica]lasciate venire. Altro non dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio.

Fatta in Pisa il secondo dì di settembre.

Dopo le predette cose, vi raccomando il portatore di questa lettera, il quale è buono e dritto uomo, e vive secondo Dio; ed è fratello della mia cognata secondo la carne, ma sorella secondo Cristo;749 che se gli bisognasse il vostro aiuto, che voi glielo diate per amore di Cristo crocifisso, Gesù dolce, Gesù amore.



CXXXVI. — Ad Angelo da Ricasoli.

Non dorma, Monsignore, ma si sacrifichi per la carità. Scusa frate Raimondo che non abbia obbedito al vescovo. La Crociata.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

A voi, carissimo padre in Cristo dolce Gesù, io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo crocifisso, scrivo e racco mandovi nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi confitto e chiavellato per santo desiderio in sul legno della santissima e venerabile croce; dove noi troveremo l'Agnello immacolato, arrostito750 al fuoco della divina carità. In su questo arbore troviamo la fonte [p. 329 modifica]della virtù: perocché la carità è quello arbore fruttuoso, che fu croce e chiovo che tenne legato il Figliuolo di Dio; perchè altra croce, o altro legame non l’avrebbe potuto tenere. Ivi trovate, l’Agnello svenato essere mangiatore 751 dell’onore del Padre e della salute nostra. E tanto è grande l’affetto suo, che con la pena corporale noi poteva esprimere.752 O inestimabile, dolcissima e diletta Carità, per ismisurata fame e sete che tu hai della salute nostra, tu gridi che hai sete. E pouiamochè la sete corporale ci 753 fosse grande per la molta fadiga,754 era nondimeno maggiore la sete della nostra salute. Oimè, oimè, non si trova chi ti diè bere altro che amaritudine di molte iniquitadi: ma dargli bere con una libera volontà, con puro e amoroso affetto, questo in pochi si trova.

Pregovi dunque, dolcissimo, carissimo e venerabile padre mio, che vi leviate su dal sonno della negligenzia, perocché non è tempo più da dormire; perocché il sole si comincia già a levare. E dategli bere, poiché tanto dolcemente ve ne dimanda. E se mi diceste: «Figliuola mia,755 io non ho che dargli;» già v’ho detto che io desidero e voglio che siate confitto e chiavellato in croce, dove noi troviamo l’Agnello svenato, che da ogni parte versa; il quale s’è fatto a noi botte, vino, e celleraio. Così vediamo noi; perocché, quella umanità è quella [p. 330 modifica]LETTERE DI SANTA CATERINA 315

botte che velò756 la natura divina: e ’l celleraio, fuoco e mani di Spirito Santo, spillò quella botte in su ’l legno della santissima croce. Questa Sapienzia, parola incarnata, e vino dolcissimo, ingannò e vinse la malizia del dimonio; perocché egli ’l prese con l’amo della nostra umanità. Adunque non possiamo dire che non abbiamo che dargli; ma debbiamo tollere il vino dell’assetato e ineffabile desiderio ch’egli ha della salute nostra, e questo dargli col mezzo del prossimo nostro.757 Voi dunque, come padre vero, prego che poniate la vita per li sudditi e per le pecorelle vostre. Aprite l'occhio dell’intelletto e ragguardate la fame che Dio ha del cibo dell’anime; e allora s’empierà l'anima vostra del fuoco del santo desiderio, in tanto che mille volte, se fusse possibile, darete la vita per loro. Siate, siate gustatore dell’anime, perocché questo è il cibo che Dio richiede. E io prego la somma eterna Verità, che mi conceda grazia e misericordia che io veda, per l’onore di Dio e per lo santo cibo, isvenare ed aprire il corpo nostro, siccome egli è aperto per noi. E allora sarà beata l’anima vostra, venerabile e dolcissimo padre.

Sappiate, padre, che frate Raimondo non ha fatta l'obedienzia vostra, perché è stato molto impacciato, e non ha potuto lassare; perocché gli è convenuto aspettare alquanti gentili uomini per lo fatto di questo santo Passaggio:758 e anco ha molto [p. 331 modifica]316 LETTERE DI SANTA CATERINA

da aspettare. Ma il più tosto che potrà, ne verrà, e sarà alla vostra obedienzia. Perdonate a lui e alla mia presunzione. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce. Gesù amore.

CXXXVII. — A Misser Matteo Rettore della Chiesa della Misericordia di Siena, mentre che essa era a Pisa.

Al conoscimento vero di sé precede e consegue calore d’affetto; dalle due cose insieme ne viene l’immedesimarsi per amore a tutte le creature. Carità lega le mani della giustizia. I mali della Chiesa e d’Italia sono spine, tra le quali ella sente la rosa. Crociata.

Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

A voi, dilettissimo e carissimo figliuolo in Cristo Gesù, io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo, scrivo nel prezioso sangue suo; con desiderio di vedervi infiammato tutto d’amoroso fuoco, sì e per siffatto modo, che diventiate una cosa colla prima dolce Verità. E veramente l’anima che per amore è unita e trasformata in lui, fa come il fuoco che consuma in sé l’umido delle legna; e poiché sono bene riscaldate, sì le arde e converte in sé medesimo, dandogli quello calore e caldo e potenzia ch’egli ha in sé medesimo. Così l’anima che ragguarda il suo Creatore e la sua inestimabile carità, con la quale comincia l’anima a sentire il caldo del cognoscimento 759 di sé medesimo (il quale cognosci[p. 332 modifica]LETTEEE DI SANTA CATERINA 317

mento consuma ogni umido760 d’amore proprio di sé medesimo); crescendo il caldo, gittasi coll’affocato desiderio nella smisurata bontà di Dio, lo quale trova in se. Allora partici pa del caldo e della virtù sua, perciocché subito diventa gustatore e mangiatore delle anime, e ogni creatura ragionevole converte in sé medesimo per amore e desiderio:761... 762 il colore e sapore delle virtù che egli ba tratto dal legno della santissima croce che é l’arbore venerabile dove si riposa il frutto dell’Agnello immacolato, Dio-e-Uomo. Or questo è quello frutto soavissimo, il quale vuole dare all’anima, per partecipare col prossimo suo. E veramente così è: che non potrebbe né dare né producere altro frutto che quello che egli abbia tratto dall’arbore della vita, perocché s’è innestato d’amore e desiderio in esso arbore, perché era veduta e cognosciuta la larghezza della smisurata sua carità. figliuolo dolcissimo e carissimo in Cristo Gesù, questo desidera l’anima mia di vedere in voi, acciocché il desiderio di Dio e mio sia adempiuto in voi. Sì vi prego e vi comando che sempre siate sollecito di consumare ogni umidezza d’amore proprio, di negligenzia e d’ignoranzia. Cresca il fuoco del santo e smisurato desiderio inebriato del sangue del Figliuolo di Dio. Corriamo come affamati dell’onor suo e della salute della creatura: arditamente gli tolliamo il legame con lo quale fu lega [p. 333 modifica]318 LETTEEE DI SANTA CATERINA

to in sul legno della santissima croce, leghiamogli le mani della sua giustizia. Ora è il tempo di gridare, di piagnere, di dolerci. ^ Il tempo è nostro, ^ figliuolo: perocché è perseguitata la sposa di Cristo da’ Cristiani, falsi ^ membri e putridi. Ma confortatevi: che Dio non dispregerà le lagrime, sudori e sospiri che sono gittati nel cospetto suo. L’anima mia nel dolore gode ed esulta, perocché tra le spine sente l’odiìre della rosa che é per aprire. * Dice la prima e dolce Verità che con questa persecuzione adempie la volontà sua e i desiderii nostri. Ancora, godo ed esulto del dolce frutto che s’é fatto in Cristo in terra sopra i fatti del santo passaggio;’ e ancora di quello che è fatto e fa qui ed è per fare ® per la divina grazia. Aiutatemi, Figliuolo mio. Inebriatevi nel sangue dell’Agnello.

Non voglio dire più. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio, facendo sempre riposo ai

1 II piangere di fuori senza il dolersi dentro è di molti e piagnoni e arrabbiati.

2 Non intende volgarmente, utile e lieto; ma il tempo dell’operoso dolore è il suo tempo di lei.

3 Forse cristiani falsi, e membri putridi, o senza l’e. Accenna alle discodie religiose e civili.

  • CMabrera: «Z,a rosa.... Apre al mattin, novella t.. Il Burlamacchi

intende semplicemente il ritorno del papa a Roma: Caterina assai più. Che s’è q^uesto solo, vistolo ritornare, non avrebbe chiesto né sospirato altra cosa.

5 Rammenta il Bnrlamacchi che nella prima crociata mille o forse dumila senesi, capitanati da un loro gentiluomo, seguirono Boemondo; nell’anno 1146 cinquecento con Corrado: nel 1187 altri cinquecento nobili all’impresa di Federico primo; il 1217, invitandoli con un breve Onorio III, novecento comandati da un Bandinelli. Onde questa in Siena era tradizione continuata da Pio II, il quale nell’accingersi al passaggio morì.

^ Chiamata a Pisa da persone pie, e ritenutavi più a lungo dall’Arcivescovo, attrasse a sé la venerazione affettuosa d’anime d’ogni condizione; e rattenne la repubblica, che, collegandosi a Firenze, non aggravasse le discordie sterili e ree. [p. 334 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/334 [p. 335 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/335 [p. 336 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/336 [p. 337 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/337 [p. 338 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/338 [p. 339 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/339 [p. 340 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/340 [p. 341 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/341 [p. 342 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/342 [p. 343 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/343 [p. 344 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/344 [p. 345 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/345 [p. 346 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/346 [p. 347 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/347 [p. 348 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/348 [p. 349 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/349 [p. 350 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/350 [p. 351 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/351 [p. 352 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/352 [p. 353 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/353 [p. 354 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/354 [p. 355 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/355 [p. 356 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/356 [p. 357 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/357 [p. 358 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/358 [p. 359 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/359 [p. 360 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/360 [p. 361 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/361 [p. 362 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/362 [p. 363 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/363 [p. 364 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/364 [p. 365 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/365 [p. 366 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/366 [p. 367 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/367 [p. 368 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/368 [p. 369 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/369 [p. 370 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/370 [p. 371 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/371 [p. 372 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/372 [p. 373 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/373 [p. 374 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/374 [p. 375 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/375 [p. 376 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/376 [p. 377 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/377 [p. 378 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/378 [p. 379 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/379 [p. 380 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/380 [p. 381 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/381 [p. 382 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/382 [p. 383 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/383 [p. 384 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/384 [p. 385 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/385 [p. 386 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/386 [p. 387 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/387 [p. 388 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/388 [p. 389 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/389 [p. 390 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/390 [p. 391 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/391 [p. 392 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/392 [p. 393 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/393 [p. 394 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/394 [p. 395 modifica]rità? Quand’egli infonde e dona la sua ardentissima carità nell’anima. Questo è quel dolce cento, senza il quale non potemmo avere vita eterna; e con esso, non ci può esser tolta la vita durabile. Adunque io vi prego dolcemente che voi cresciate e non menomiate nel santo proponimento e buono desiderio, il quale Dio vi ha donato. Così desidera l’anima mia che facciate. Non dico più. Dio vi doni la sua dolce eterna benedizione. Io, inutile serva, a tutti mi raccomando.

E io Giovanna Pazza763 e tutte l'altre, preghiamo che noi tutte moriamo infocate d’amore. Gesù dolce. Gesù amore.




Fine del volume secondo [p. 396 modifica]

INDICE



LETTERE DI SANTA CATERINA

LXXII. — A Romano Linaiuolo alla Compagnia del Bigallo in Firenze 7 LXXIII. — A Suora Costanza Monaca del Monasterio di Santo Abundio apresso Siena. 10 LXXIV. — A Frate Niccolò da Monte Alcino dell’Ordine de’ Frati Predicatori... -15 LXXV. — Al Monasterio di San Gaggio in Firenze, e alla Badessa e Monache del Monasterio, che è in Monte Sansovino..17 LXXVI. — A Frate Giovanni di Bindo di Doccio de’ Frati di Monte Oliveto 25 LXXVII. — Al Venerabile Religioso Frate Guglielmo d’Inghilterra, il quale era Baccelliere i dell’Ordine de’ Frati Eremitani di Santo Agostino a Selva di Lago....31 LXXVIII. — A Niccolò Povero, di Romagna, Romito a Firenze. 35 LXXIX. — All’Abadessa e Monache di San.Pietro in Monticelli a Lignaia in Firenze..38 LXXX. — A Maestro Giovanni terzo dell’Ordine de’ Frati Eremitani di Sant’Agostino. 45 LXXXI. — A Francesca di Francesco di Tolomei, vestita dell’abito di San Domenico, inferma 51

LXXXII. — A tre Donne di Firenze 54

LXXXIII. — A Conte di Conte da Firenze, Spirituale 59 [p. 397 modifica]Pagina:Lettere - Santa Caterina, 1922.djvu/397 [p. 398 modifica]CVI. — A Neri di Landoccio 174

CVII. — A Luisi di Messer Luisi Gallerani da Siena in Asciano 175

CVIII. — A Monna Giovanna di Capo, e a Francesca in Siena 178

CIX. — All’Abate Nunzio Apostolico....182

CX. — A Monna Stricca, Donna che fu di Cione di Sandro de’ Salimbeni....190

CXI. — A Monna Biancina, Donna che fu di Giovanni d’Agnolino Salimbeni..194

CXII. — Alla Contessa Benedetta, figliuola di Giovanni d’Agnolino Salimbeni da Siena. 197 CXIII. — Alla Contessa Benedetta, figliuola di Giovanni d’Agnolino Salimbeni.... 203

CXIV. — Ad Agnolino di Giovanni d’Agnolino dei Salimbeni da Siena 212

CXV. — A Monna Isa, figliuola che fu di Giovanni d’Agnolino Salimbeni....218

CXVI. — A Monna Pantalisea, donna di Ranuccio da Farnese 221

CXIII. — A Monna Lapa sua madre, e a Monna Cecca nel Monasterio di Santa Agnesa di Montepulciano, quand’essa era alla Rocca...225

CXVIII. — A Monna Caterina dello Spedaluccio e a Giovanna di Capo in Siena...227

CXIX. — A Monna Alessa vestita dell’abito di santo Domenico, quando era alla Rocca 231

CXX. — A Monna Rabe di Francesco de’ Tolomei 235

CXXI. — A’ Signori difensori, e Capitano del Popolo della città di Siena, essendo essa a Sant’Antimo 239

CXXII. — A Salvi di Misser Pietro, orafo in Siena 245

CXXIII. — Ai Signori difensori della città di Siena. 254

CXXIV. — A Misser Matteo, Rettore della Casa della Misericordia di Siena 262

CXXV. — A Madonna Nera Priora delle Mantellate di Santo Domenico, quando essa Caterina era alla Rocca d’Agnolino....269 [p. 399 modifica]CXXVI. — A Monna Alessia e a Monna Cecca.. 272 CXXVII. — A Frate Bartolomeo Dominici, e a Frate Tomaso d’Antonio dell’Ordine de’ Predicatori quando erano a Pisa.. 276 CXXVIII. — A Gabriele di Divino Piccolomini.. 281 CXXIX. — A Frate Bartolomeo dell’Ordine de’ Predicatori, in Fiorenza 285 CXXX. — A Ipolito degli libertini di Firenze.. 290 CXXXI. — A Niccolò Soderini in Firenze... 294 CXXXII. — A Monna Giovanna e altre figliuole in Siena 298 CXXXIII.— Alla Reina di Napoli 300 CXXXIV. — A Bartolomeo e Jacomo, eremiti in Campo Santo in Pisa 307 CXXXV. — A Misser Pietro Marchese del Monte. 310 CXXXVI. — Ad Angelo da Ricasoli..... 313 CXXXVII. — A Misser Matteo Rettore della Chiesa della Misericordia di Siena, mentre che essa era a Pisa 316 CXXXVIII.— Alla Reina di Napoli 369 CXXXIX. — A Frate Tomaso della Fonte dell’Ordine de’ Predicatori in Siena....325 CXL. — A Misser Giovanni Condottiero, e capo della Compagnia che venne nel tempo della fame 327 CXLI. — A Don Giovanni de’ Sabbatini da Bologna monaco dell’Ordine della Certosa nel monasterio di Belriguardo, presso a Siena, quand’ella era a Pisa....331 CXLII. — A Sano di Maco, essendo la Santa in Pisa 333 CXLIII. — Alla Reina di Napoli 337 CXLIV. — A Monna Pavola a Fiesole....341 CXLV. — Alla Reina d’Ungheria, cioè alla madre del Re. - 346 CXLVI. — A Frate Bartolomeo Dominici dell’Ordine de’ Predicatori, quando era Biblico di Fiorenza 352 GXLII. — A Sano di Maco, essendo la Santa a Pisa la prima volta 355 [p. 400 modifica] CXLVIII. — A Pietro marchese del Monte...356

CXLIX. — A Misser. Pietro Gambacorti in Pisa. 361

CL. — A Frate Francesco Tebaldi di Fiorenza, nell’Isola di Gorgona, monaco Certosino....365

CLI. — A Monna Nella, Donna che fu di Niccolò Buonconti da Pisa 371

CLII. — A Giovanni Trenta, e a Monna Giovanna sua Donna da Lucca... 375



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Indice

  1. Fondata in Firenze da un secolo o poco più, da Pietro Martire Domenicano, zelante avversario de’ Manichei, inquisitore generale in Toscana. La colonna di Santa Felicita è memoria degli Eretici vinti in armi. Affidò Pietro a dodici cittadini dodici gonfaloni bianchi con croce vermiglia, da radunare il popolo, se guerre civili, anzi sociali, sotto pretesto di religione insorgessero. Ucciso ch’e’ fu dagli Eretici, crebbe d’uomini e donne la Compagnia, detta in prima di Santa Maria, ma poi della Misericordia per essersi lei dalle armi volta alle opere di pia carità. E prese in cura lo Spedale di Santa Maria del Bigallo, a cinque miglia da Firenze sulla strada d’Arezzo. Le monache domenicane di Ripoli (delle più antiche case dell’Ordine) nel 1267 lo cedettero a questa Confraternita, che prese il nome di lì. Nel 1503 i Capitani del Bigallo cedettero esso spedale alle Benedettine di Catignano, che lasciarono il loro monastero cadente. Questo magistrato ebbe poi in cura i fanciulli abbandonati.
  2. Invito è più amorevole e onorevole di chiamata.
  3. Dante:

    «Ne l’impetrare spiraxion mi valse, Con le quali e in sogno ed altrimenti Lo rivocai».

    Ispirazione concerne più direttamente la mente; desiderio, il cuore. Sante nell’origine, buone nel fine.
  4. Realtà è la verità ideale in atto. Ma nell’uso antico e nel popolare, reale ha senso più ampio.
  5. Consiglio di virtù non secondato da amore è quasi vestimento prezioso che uno abbia dinanzi a sé, e non se ne vesta.
  6. Vede intendendo, trova sperimentando.
  7. Rompere la prima durezza; tagliare, dividere il desiderio dagli oggetti pericolosi; divellere le radici dell’affetto passionato. Rammentisi che parla a un linaiuolo, e le imagini della cultura e della veste apparranno più appropriate.
  8. In questa vita. Se pure il qui non è una ripetizione sbagliata del quanto abbreviato.
  9. Vivo assolutamente diciamo fanciullo o uomo soverchiamente vivace.
  10. Più comune oggidì: non farebbe
  11. In un’altra lettera, e tuttavia nel popolo, Santa Bonda, per essersi l’a d’Abondio appiccicata al titolo precedente; onde femmina il Santo. Monastero a un miglio da Siena, fondato da Pipino nel 754 o 56; dedicato ai santi Abondo e Abondanzio, le cui reliquie egli aveva portate di Roma, e arricchito di rendite. Erano monache benedettine; e al tempo del Burlamacchi la pietà vi fioriva. Il Beato Colombini volle essere ivi sepolto; e Caterina in quella chiesa gustò delizie di spirito. Narra la leggenda che intendevasi edificarlo nel piano lungo il fiume Tressa; ma che le materie raccolte nel giorno alla fabbrica, trovandosi nella notte portate più d’una volta sul monte, quel sito parve elezione di Dio.
  12. Paragona il luogo che contiene l’acqua e il calore salutare di lei, all’essenza divina della quale è il verbo redentore. Dante: «Non circoscritto, e tutto circoscrive».
  13. Giovanni: «In principio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum». Qui apud adombra unione intima essenziale. Il luogo del bagno e l’acqua e il suo calore fanno una cosa: e così, dice Caterina, la potenza e la sapienza redentrice e l’amore. Se non c’è tutta l’aggiustatezza (e ce n’è più di quel che paia, quanto è possibile a imagini umane), certo ci è novità.
  14. Pare che intenda, tra Dio e l’intelletto dell’uomo frapporsi il limite dell’umanità; ma questo limite in grazia della redenzione farsi mezzo. L’immagine ha un senso alto; e, anco letterariamente è meno strana che in Dante: «Gli occhi che quinci e quindi avén parete Dio non caler»
  15. Per Dio. Dante.
  16. Sai per fede il prim; ora sappi il perchè della fede.
  17. Non già che il peccato sia cosa estrinseca; ma ne’ più segreti dell’anima c'è un male di cui l’uomo pio meno s’accorge, e gli viene dalla sua stessa maleintesa e male usata pietà.
  18. Le presenta di fuori, eppoi le insinua nell’intimo
  19. Forse, intendo o infonde.
  20. La stampa si trovi
  21. Bello che l'infinita bontà del bene infinito, l'anima la ritrovi dentro di sè, e la ritrovi nell'atto di sentire le sue proprie angustie. Più bello che nel Petrarca:

    «Qual cella è di memoria, in cui s'accolga
    Quanta vede virtù, quanta beltate,
    Chi gli occhi mira, d'ogni valor segno,
    Dolce del mio cor chiave?»

  22. Il contrapposto in altezza, di quel di Dante: «Faccian le bestie fiesolane strame Di lor medesme. Ha fatto alla guancia della sua palma.... letto.» Ma come il Padre sia mensa non s'intende; quand' altri non dica che, siccome la scienza regge e pare che offra il necessario alla vita, così la potenza di Dio all' opere nostre.
  23. Sta per benchè.
  24. Uomo di solitudine, morto nel nel 1398; ha titolo di beato.
  25. Forse: per la sua.
  26. Forse: in fine
  27. Non so se meglio sarebbe: chi dubita, nel principio.... intendo che all’uomo non ancora munito di fede ferma, la via in sul primo pare faticosa.
  28. Tanto l'odio quanto l’amore, nel linguaggio di Caterina e nel filosofico, sono affetti. Intendo odio e pentimento del male, amore del bene.
  29. In senso di scaglione: e qui l’uscita in one, come nel greco e nel francese, è diminutiva.
  30. Forse s’inebrii. Non è ben chiaro dove le parole di Cristo finiscano, e dove essa ripigli. Ma il tua pare che segni il distacco.
  31. Il bacio è segno di pace.
  32. Cantica: «Flores apparuerunt in terra nostra».
  33. Il sagrifizio doloroso di sé, può ad ogni ora l’anima rinnovarlo.
  34. San Craggio a uno scarso miglio da Firenze. Gaggio, corrotto da Caio; poiché a San Caio intitolò il monastero Tommaso Corsini, nobile fiorentino; e il cardinal Pietro figliuolo di lui lo arricchì della metà de’ suoi beni, in prò’ delle Agostiniane, ivi di sangue nobile tutte. San Savino è tra Siena e Arezzo; faceva uno staterello da sé, soggetto all’Altezza Reale di Toscana: così il Lettere di S. Caterina - Vol. II. Burlamacchi. Nel 1336 fu fondato il monastero a cui Caterina scrive, da tre donne tornate di Terra Santa. Erano Benedettine. E conservavano copia di questa lettera, perdutosi il foglio, se non scritto, inviato da Caterina; perdutosi o logorato per il molto richiedere che ne facevano gli ammalati, da quel tocco sperando a sè guarigione. La medesima lettera è ai due monasteri; con’una piccola giunta a quel di San Gaggio.
  35. Per condanna, la Bibbia.
  36. La stampa: promesse.
  37. La stampa: El
  38. II pauperes spiritu, rendesi col per meglio che coll’ in. Dicendo in ispirito, parrebbe escludersene la povertà esteriore ed in atto. Dicendo per, denotasi la libera scelta, e l’alto fine spirituale, e la spirituale radice, senza la quale la povertà è apparenza arida, ostentazione, forse grettezza e inerzia e sudiceria.
  39. Talvolta soggetto è più di suddito, in quanto accenna dipendenza forzata; ma del resto la sudditanza è cosa più regolare e abituale, la soggezione può essere per accidente o per poco.
  40. Vi spogliate della vostra volontà e dell’affetto. Virgilio: «Istam... exue mentem».
  41. Ap.: «Obediens usque ad mortem». Non del tempo, ma del grado d’intensità; non fino all’ora del morire, ma fino a morire per obbedienza.
  42. Sentenza solenne. Condotta in dice più che al. Dante: «Il biasmo in che era condotta».
  43. Spesso in Caterina vale, oltre al trasgredire, il non curare.
  44. Distingue la promessa del voto; perchè ad anima retta e costante l'infrangere la promessa, anco semplice, è grave macchia.
  45. Più bello che a. Dice prontezza e pienezza d’operazione.
  46. Non correggo chiamate; non solo perchè accorda con angeli, ma perchè comprende le anime tutte, con velo maschile o femminile che sia.
  47. Propriamente, cioè quella pena che sola merita questo nome.
  48. Non è vera umiltà senz’affetto. Salendo si trova il profondo. Coelumque profundum.
  49. La stampa: tardate e saglie: che spesso la seconda persona dell’ imperativo qui finisce in e anco che non sia la seconda coniugazione.
  50. Secondo il senso del greco, ripostiglio. L’idea di negozio nell’origine non ha luogo. Ogni cosa si fa mercantile col tempo; e lo provano le parole negozio, operaxione, interesse, frutto, però, effetto, oggetto. E sarebbe un bel trattato e profondo: delle parole e delle cose dal mercimonio invilite.
  51. Frequenti simili imagini ne’ libri sacri. Il Salmo: «Myrrha et gutta et easia a vestimentis tuis. — Quam jucundum habitare fratres in unum! Sicut unguentum....» i.a Cantica: «In odorem unguentorum tuorum curimus».
  52. rimo e in dignità, e perchè l’anima n’è occupata già prima.
  53. Femminino dello scorcio di Ranieri o Rainerio. Tutto quello che segue è a sole le monache di San Gaggio.
  54. Di sue fatiche: o piuttosto, come altrove, frutto dell’albero della croce Parrebbe più chiaro senza l’in ciò; ma il valore del modo antico è questo: l’affaticarsi dell’uomo è per.... Di questo, che egli si affatica, è cagione... In questo c’è il fine... — Il presente periodo è una digressioncella, che subito però la riconduce al soggetto, e si fa conferma di quello.
  55. A sé, o a’ suoi cari.
  56. Terrene.
  57. Non dice accrescerla. L’un pronome basta. La logica non consiste in queste cose.
  58. Forse de’ Docci, nobili Senesi: fatto dal nome (forse scorcio di Bindocoio) il casato. La madre di lui Margherita Bindi Docci, Mantellata.
  59. La perseveranza è la costanza nel bene, segnatamente a fine religioso, e continuata per tutta la prova. «Non coronabitur nisi qui legitime certaverit».
  60. Accetto dice più che piacevole, prepara trilione più intima; e ha senso religioso più proprio.
  61. Lascio non, che sta per nol, e s’intende. Risparmiare i pronomi senza offendere l’evidenza, è vantaggio.
  62. La stampa: questa.
  63. Forse avvedremmo.
  64. La stampa: asente; come in autori anche non senesi asempio per esempio, e altri molti. Ma potrebbe dire anco assente.
  65. Disordinate: perchè lo sciogliersi de’ vincoli necessari, o lo sciogliersi anco de’ non necessari in modo non conveniente al fine, è disordine.
  66. Qui vale il conoscere a prova; né senza pratica è cognizione piena. Così comunemente diciamo: non conosce quel che sia pudore, quel che sia dignità. Il più corrotto e avvilito non cessa di conoscerlo con la mente ma lo disconosce.
  67. Del sentimento dell’uomo, Dante: «Mi porse tanto di gravezza, Con la paura ch’uscia di sua vista».
  68. Dante: obbediendo.
  69. La stampa: o.
  70. La stampa: e come.
  71. Non correggo ponendovi: giacche tali trapassi di costrutto a lei sono, famigliari.
  72. Per lo più soave ha maggior valore di dolce; ma nello stile di Caterina questa è parola solenne che comprende ogni bene e ogni gioia d’amore. Ond’ella, quasi unica, per darle ancora maggiore efficacia suole posporla al nome; siccome qui appresso: al tempo dolce, che è più affettuoso e più alto che in Dante a Francesca: «Al tempo de’ dolci sospiri».
  73. Più bello assai che parevano, non solo per la uguaglianza del numero ma perchè l’impersonale rittae meglio questa soavità intima che viene dall'alto; e perchè tutte le gioie delle fatiche feconde e dei pesi cari sono da quel singolare raccolte in una.
  74. Più bello che in Orazio spem longam.
  75. O manca, o il salto da voi a lui è un po’ forte.
  76. Sottinteso divina anco in Dante.
  77. Crede il Burlamacchi che Gugliemo abitasse al convento di San Leonardo, anch’esso degli Eremitani, un miglio da Lecceto, e tra i due conventi corre la selva de’ lecci. Ma San Leonardo nel principio del secolo scorso aveva pochi frati, per causa della mal’aria che spirava dalle acque ferme lì presso; onde dicevasi il piano del lago. Quello che nelle note a un’altra lettera il Burlamacchi dice seccato, parrebbe dunque altra cosa.
  78. Può la pianta essere sterile, e può produrre qualche frutto scarso e stento, segnatamente se la sterilità medicata dall’industria e dell’arte.
  79. Quasi portiamo al rivolgere del tempo debito, e in copia.
  80. Potrebbesi leggere puotèlo per potealo; ma meglio la sconcordanza, che dimostra la sempre presente potenza.
  81. Non muto: perchè l’egli, così posto, può intendersi che dia forza al detto.
  82. Pare che intenda: la sconoscenza nostra è il peso che ci tira al basso; l'amore di Gesù è il peso che ci solleva. Peso non è sola la forza di gravità che fa scendere; ma ogni forza attrattiva: e lo provano anche grammaticalmente i sensi di sospendere, appendere, pendere, e il traslato filosofico di pensiero. In un inno la Chiesa:

    «Beata cujus brachiis
    Pretium pependit saeculi!
    Statera facta corporis».

  83. Ne avrebbe a togliersi, o leggere ne senza il non. Forse il copista scrisse l’idiotismo usitato per più dolcezza di pronunzia, nome può.
  84. Dante:

    «Apri la mente a quel ch’io ti paleso».
    «Quella che ad altro intender m’avea chiuso».

  85. Anima e amatore sta bene nella grammatica filosofica della vergine uomo.
  86. Questo che pare sforzo, è necessità dell’amore. Il soprannaturale è veramente natura.
  87. Pongo tra parentesi queste parole, nelle quali Caterina, per odio dell’amor proprio si lascia sviare dal principale concetto. Intendasi: che dà tenebre all’anima, la quale se ne lascia occupare.
  88. In croce. Vangelo in altro senso: «surgite; eamus». La Chiesa: «Agnus in crucis levatur Immolandus stipile».
  89. Vangelo:«tollite jugum memum» — Vincolo è più soave di legame, e può essere anco più stretto e più intimo; onde ha sensi più spirituali. L’amore e il piacere, che sono vincoli, stringono più dolcemente che la semplice obbligazione. Dante: «Non fu alcuna cosa — Che mi legasse con sì dolci vinci — Strinse potenzia con atto tal vime che giammai non si divima — Lo vincol d’amor che fa Natura».
  90. Non è chiaro; ma può valere, andiamo con forte moto a congiungerci. In questo senso anche Dante. E in un luugo il percuotere vale corrispondere con armonia:

    «leva all’alte ruote
    Meco la vista, dritto a quella parte
    Dove l'un moto all’altro si percuote.

    Lettere di S. Caterina - Voi II. 3

  91. Perchè imagine dell’ente infinito; perchè destinata a bene infinito; perchè la natura della sua cognizione è quell'indefinito, che è l’ombra dell’infinità a cui aspira la sua affezione. Altre volte in queste lettere infinito sta per immortale.
  92. Dante:

    «Giammai non si saxia
    Nostro intelletto se il Ver non lo illustra,
    Di fuor dal qual nessun vero si spaxia».

    Agostino: «Fecisti nos ad te; et inquietimi’ est cor nostrum donec requiescat in te».

  93. Prima che noi l’amassimo, prima che fossimo.
  94. Manca. Intendo ohe la natura divina con la potenza sua soddisfa d’abbondanza alla umana colpa. Dante: «Tanto soddisfece, Che d’ogni colpa vince la bilancia».
  95. Guglielmo per lo più dimorava nel bosco. Di quelle grotte, nido di meditazione e preghiera, parla con divozione Martino V che le visitò.E li comincia a vagheggiar nell'arte Di quel Maestro che dentro a se l’ama».
  96. Dante: «l’occhio della mente».
  97. Essere necessità a, in Dante.
  98. Notisi collocazione di parole, da scrittore grande, e che col suono esprime l’idea e il sentimento.
  99. Fuor di Firenze. Monache benedettine, devote a Caterina. E della morte di lei scrive un discepolo a una di queste. Conservano con venerazione un Crocifisso lasciato da essa.
  100. Forse senza l’ha. Senonché in quel che segue, qualcosa manca. Intende che Cristo e la dottrina di Cristo insegna un amore privo d’interesse, perch’egli così ci ha amati.
  101. La dottrina di G. C. è umiltà. Più bello che se dicesse è l’umiltà o simile. Così diciamo: Quel ch’io sento è verità.
  102. La stampa porta dopo croce un interrogativo, e non ha egli; che pare doversi aggiungere acciò che corrisponda e al costrutto e alla serie delle idee.
  103. Non correggo misere ancorché segua spose: perchè solito a lei fare maschio lo spirito femminile; o in quel punto pensare agli uomini tutti, applicando poi alle monache.
  104. Forse addivenga. Ma può stare.
  105. Dante del voto: «Nel fermar tra Dio e V umno il patto, — Vittima fassi dì questo tesoro» (della libertà del volere).
  106. Meglio avendole.
  107. Trasgredisce questo voto. Questo è de’ tre il men difficile, anzi il più comodo ad osservare.
  108. Comprende anco la superiora, secondo l’uso del tempo e secondo l'origine.
  109. Passa dal presente al futuro: e ciò conferisce non solo a varietà di forme e di suoni, ma fa sentire la certezza della cosa pronunziata, come se fosse già; e denota che il male non s’arresta al presente, ma è fonte di simili altri assai.
  110. Forse da leggere del mondo; se pur non intende che i consiglieri del Demonio (nominato già) siano gli uomini profani di cuore.
  111. Avrebbe a esser ripetuto per isbaglio; almeno i difetti l'una dell’altra.
  112. L’umiltà non solo nutrisce, ma accende ogni affetto. Fin nell’amore colpevole l’anima si sente dolcemente umiliata, e minore e necessitosa dell’oggetto amato; e in questo sentimento si esalta. L’uomo superbo, la donna vana, non ama.
  113. Ha senso qui tra d’intenso e di attento. Intenzione per attenzione a Corfù si dice.
  114. Bene comparato il timone alla mano, che tiene e porta, sospinge e ritira, innalza e abbassa, e regge e lascia cadere l’affetto, secondo ch’è timore santo o servile.
  115. La stampa affoca, che tiene di fauces.
  116. Prudenza senza forza è paura; forza imprudente, mattia.
  117. Può stare anche senza un altro a, leggendo quasi a ’l mondo, e ogni; come diciamo: per l'amor di Dio e la carità della patria tralasciando il per l’altra volta.
  118. Può esserci gradazione crescente se intendasi per diletto il primo senso che gli ascetici dicono dilettazione o compiacimento: per vanità lo svagolarsi ne’ diletti ancorché non colpevoli; per delizie le delicatezze che fiaccano e corrompono; per piacere i princìpii e sequele della voluttà; per contento il tenersi abitualmente ne’ piaceri, il non mirare più alto, contentandosene vilmente e profondandosi in quelli.
  119. Il traslato della veste ne’ libri sacri è frequente. In un salmo: Induam salutari — Induam confusione».
  120. Non la solitudine meditante, ma i crocchi appartati, o il superbo dividersi dalle pari. Senti la popolana.
  121. Non pochi degli Agostiaiani onorò dell’affetto suo Caterina, segnatamente di que’ di Leccete. Un d’essi fu Giovaoni Tantucci nobile senese, detto Giovanni III, perchè priore dopo altri due Giovanni, Incontri e Chigi, senesi e beati. Il Tantucci insegnava Teologia; onde Caterina lo chiama semplicemente Maestro: dottore dell’università di Cambridge. Borioso della sua scienza, e al modo di certi uomini pii sospettando d’ogni virtù che non somigli la loro, andò con frate Gabriello di Volterra Provinciale de’ Francescani, per voler confondere questa fanciulla: e ne rimase confuso; e, buono e dotto veramente consì era, prese a onorarla altamente. La accompagnò ne’ viaggi d’Avignone o di Roma; e fu de’ tre confessori a cui da papa Gregorio era data facoltà di assolvere i convertiti nelle sue peregrinazioni da essa, E anco al Francescano fu grato mutare in riverenza gli spregi superbi. Un Padre Tantucci nel secolo scorso stampò tradotte le momorie del Caffarini, con altre notizie della vita di Caterina.
  122. Dante dà ai pensieri atto e faccia: e personifica la coscienza, la buona compagnia.
  123. Togliendo questo sicché il costrutto riesce grammaticalmente più netto. Ma gli è un quasi riempitivo, di quelli che usiamo parlando.
  124. Più bello rode in che rode essa. Entro a lei esercita opera di distruzione dolorosa, non però distrugge lei.
  125. Nella stampa e congiunzione.
  126. C'è un amor proprio spirituale; o, com’ora direbbero, anco i buoni talvolta peccano d’egoismo.
  127. Intendi empirsi del. Potrebbesi correggere: nol può empire, intendendo che l’amore divino faccia partecipe il cuore della virtù del sangue: ma non in questo senso usa participare la Nostra. Orazio:«Sinoerum est nisi vas, quodcunque infundis, acescit.
  128. La stampa, queste due ultime volte, pone nelle; e intorbida il senso, e toglie una bellezza di verità. Numerate diverse altre tentazioni, Caterina ne soggiunge una più grave che quelle del diavolo, e quelle degli uomini in genere, e specialmente de’ non buoni; dico quelle che si danno fra loro i servi di Dio.
  129. Usa nel vero suo senso la parola tentare, e la spiega. Tobia: «quia dilectus eras Deo, necesse fuit ut tentatio probaret te».
  130. Rimprovèrio anco in Dante: e più si accosta a improperio.
  131. La grammatica quadrupede porterebbe: piacere a lui, e unire con lui.
  132. Le tribolazioni gli sono strumento a edificare sé ed altri; ma considerandole appunto perciò come cosa sacra, non presume egli di adoperarle, quasi strumenti vili, a capriccio.
  133. La stampa: come egli. Il Burlamacchi spiega: «Dio concede a l’uomo il bene delle tribolazioni quasi per premio, secondo che l’uomo ha saputo dall’amore di Dio trarre amore». Ma l’interpretazione mi pare sforzata, e il senso non lega. O ci deve mancare qualcosa, o s’ha porre così, e intendere: a questo modo riguardando le tribolazioni per amore concedute da Dio, l'uomo ne deduce cagione e ragione di meglio amare Lui bene sommo, e odiare l'unico vero male, la colpa.
  134. Sapientemente dice che la volontà del male fa ribellare la ragione al vero. Il dubbio stesso è spesso principio o effetto di colpa voluta.
  135. Qui più bello che prende. Dice e la prontezza, e l’atto abituale: l'ha preso in men ch’io non dico, e la tiene sempre.
  136. Salmo: «Gladii ancipites».
  137. Un inno:

    «... Gloriosi
    Corporis Mysterium,
    Sanguinisque pretiosi,
    Quem in mundi pretium,
    Fruetus ventris generosi,
    Rex effudit entium.

    Lettere di S. Caterina - Voi. II. 4

  138. Scandalezzare i tristi e i falsi buoni, è morale necessità.
  139. Sottintendesi la volontà vostra.
  140. Se non è errore di scrittura, intendasi: secondo questa volontà di Dio (di per da), siate giudice della vostra. Lezione accenna a qualche lettura spirituale o fatta fra loro dianzi o solita farsi. In questo senso lezione, anco in Dante.
  141. Parole affettuose del frate, desiderante a Caterina siccome a madre, che gli dava non pur latte ma fuoco. «Ignitum eloquium tuum vehenienter». Mamma più volte nel severo poema di Dante.
  142. Con.
  143. Fra i discepoli di Caterina numerati da ser Cristofano Guidini è un Giovanni.
  144. Fra Guglielno d’Inghilterra; agostiniano: e così frate Antonio. M. Matteo Rettore dell’Ospedale della Misericordia; l’Abate è quel di Sant’Antimo.
  145. Figliuola di Francesco Tolomei, e di Onorabile o Orrabile o Rabe degli Agazzari, famiglie cospicue di Siena; sorella di Giacomo Tolomei, convertito a Dio per opera di Caterina. E questa stessa Francesca con la sorella Ginoccia per le esortazioni di lei, si tolse dal mondo, si fece Domenicana; e il popolo la disse beata.
  146. Non solo i disordinati piaceri del senso, ma ogni condiscendenza al senso o nol non saper sostenere il dolore o nel non usare ragionevolmente il piacere anche lecito, ella chiama(e così dicevasi sapientemente) sensualità; che ora a talnni, sotto il nome di sensibilità, è latta pregio di natura e d’arte, coltivasi, accattasi. Possono in quel senso anco le persone devote essere sensuali.
  147. Incorona la Triade col raggio della bellezza.
  148. Una gentile canzone serbica: «Di die sa egli il tuo seno? di viola o di rosa? Ne’ di viola ne di rosa: sa di ragazza».
  149. Il compiacimento nel male fa che l’anima accolga in sé il nemico, la cui battaglia, altrimenti, strepita fuor delle porte.
  150. Assoluto, com’ oggidì sopportare. Così gli Apostoli esultavano dell’essere stimati degni di patire, per il nome di Gesù, contumelie.
  151. Che l’uomo vive quaggiù. O forse qualcosa manca.
  152. Manca il solito cominciamento; ond’è da credere frammento di lettera, la quale forse accennava a particolari notabili della vita di queste tre, e chi si di quante altre, fiorentine.
  153. Dante:

    .... il tempo è caro
    In questo regno si, ch’io perdo troppo
    Venendo teco sì a paro a paro».

  154. In Omero ha senso d’amore materiale. Come rincontratesi Omero e Caterina, gl’Ionio e la Senese? E come il concetto della prosa di lei vola sopra quel canto Che sovra gli altri, com’aquila, vola?
  155. Orazione senza operazione non è d’anima ragionevole; se non quando l’esempio della solitudine levata dalle meschinità della terra, operi (e non fa di bisogno che ciò sia sensibilmente, e quasi materialmente) negli animi altrui, e rigeneri la società.
  156. Più particolarmonte detta. L’orazione dell’intenzione e dell’opera abbraccia tutta la vita; la mentale e la vocale, son parti di quella.
  157. Orazioni.
  158. Alla contemplante e pensatrice operosa non pare indegno esercitarsi in lavori manuali; e questo anco per tenere sveglia la mente. L’esercizio, bene adoprato, del corpo, è sollievo e ispirazione.
  159. Atti del chiedere venia, perdono, inchinandosi a Dio. I greci chiamano lETcivoiai e il pentimento iEtàvoiGig Un del trecento: «Orava con molte lagrime, e facea molte venie prostrandosi in terra». Vuole Caterina non già che si facciano cotesti inchini presente la gente, ma in cella, per iscuotere la sonnolenza; e perchè lì veramente gli sfoghi dell’affetto e dell’umiltà sono liberi e schietti. In senso non religioso la cronaca del Morelli: «fu in Vinegia dinanzi al Doge, con molte invenie dimandando perdono». Oggidì invenie vale cerimonie affettatamento sommesse. Così la stessa parola cerimonia, acquistò senso profano e di spregio.
  160. Più felice quest’imagine del sonno che si apprende all’anima e s’avviluppa quasi pianta parassita; che in Dante il frangersi nel sonno che, prima di morire, guizza.
  161. Forse sbagliato. Il senso pare; quand’anco ella non avesse il pieno sentimento e uso della forza propria, non perderebbe però tutto il merito dell’aver vinto quella fiachezza ch’è nel condiscendere a se. Il sopra di quello destare, par voglia dire che la mente non si reca in tutto sopra di sé, non ha piena la coscienza riflessa. La stanchezza vince, i sensi; ma l’anima tuttavia è regina di quelli.
  162. Può non essere impersonale: e così in Dante: «Come l'uom che non s’affigge. Ma vassi alla via sua».
  163. In Romagna merollo. La d e la r si scambiano: armario, armadio. Vestirsi del midollo, non è improprio se s’intenda affine a investirsi, ne’ sensi dell’induere latino.
  164. Paolo: «In caritate non fiata». Bello il contrapporre di libero a doppio. Libertà è coraggio di semplicità sapiente; la doppiezza è di schiavi.
  165. Non per viltà o per disperazione, che sono due rami dell’orgoglio, ai quali l'anima rea s’impicca.
  166. Se le persone ne cercano assai di cotesti consiglieri dell’anima. Le genti è comune ai Francesi; ma il popolo toscano, anco nel plurale, lo ha tuttavia.
  167. Nell’intimo. Lo sposare troppe opinioni lascia l’affetto vedovo. Come la Samaritana che non aveva marito, appunto per averne avuti sette.
  168. Non solo varii ma differenti, non solo differenti ma diversi. Questo si chiama saperne e di stile e di spirito. Questa è la pazienza tollerante, midollo della carità. L’impazienza liberalesca è intollerante degli altri e di sé, quando non sia incatenata o non s’addormenti.
  169. Conte è nome, non titolo: e aveva il nome stesso anche il padre. Fu il figliuolo devoto a Caterina. Ed ebbe in cura la carcere delle Stinche; giacché in tempi che meno menavasi vanto di scienza penale, se non sempre più umane, erano più moralmente vegliate e meno corruttrici le carceri. A lui Giovanni delle Celle scrisse in lode di Caterina due lettere.
  170. Non solo l’esercizio delle pratiche esteriori, ma i desiderii del bene che valgono più, e le opere stesse. Pare che a esercizio corrisponda frutto, per denotare che e’ è delle pratiche sterili; a desiderio corrisponda perfezione, cioè esecuzione che lo compisca; a operazione corrisponda il conseguimento del fine. Intende che le opere buone a fine meramente umano, non raggiungono da ultimo neppur questo fine: onde i disinganni amari, e i dubbii disperati.
  171. Apparisce chiaro, non sembra in mera apparenza.
  172. Salmo: Eduxit me de lacu miseriae et de luto faecis».
  173. Non ogni prova dà l’esperienza; ma, d’altra parte, non ogni esperienza è provata, cioè preparata e seguita dalla riflessione, che la rende feconda e dimostrativa, e ne deduce le sue coseguenze.
  174. Può stare anco senza il che; ma non è da torlo via come errore.
  175. Umiliarsi al prossimo per altro che per Dio è viltà e vanità.
  176. La redenzione non solo è fatta conoscere all’intelletto dalla Fede; ma essa Fede, in quanto virtù, fa sentire all’anima il valore della Redenzione in effetto. E però dice introdotto il sangue, quasi fatto scorrere negli intimi seni dell’ anima.
  177. O felix culpa! Ci aggiunge avventurata per abbondanza d’affetto, ma non senza senso, in quanto dice che tale ventura non è merito nostro; dove felice accenna più propriamente la grandezza del bene a cui la colpa fu non cagione ma occasione.
  178. Petrarca: «Anima che di nostra umanitade Vestita vai».
  179. Renderò il debito delle utilità ricevute da Dio con beni utili a Dio, non abbisognante di noi.
  180. Né per tentazione di diletto, più terribile d’ogni pena.
  181. Non potendo per meriti di giusta fatica acquistare i beni dello spirito, si può dire che in certa guisa li furi, appropriandoseli, e cogliendo il tempo opportuno; e poi tenemdoli celati, non per frode, ma sì per modestia e per tema di perderli. Soggiunge, con modo ardito (per non moltiplicare le parole, e correre diritto alla cosa, e anche così esprimere l'imagine del furare) furare la vita e la maturità: bella parola, che la ripensare al contrapposto, delle acerbe gioie o delle immature o fradice, puerili o decrepite grandezze del mondo.
  182. Il reputar sé da molto.
  183. Per curare ha esempi, e uno neutro e passivo del Giambullari. Ma qui ha senso più generale e più proprio.
  184. Che n’usi secondo il libero arbitrio. Altrove dice la libertà e il tempo tesori affidati da Dio.
  185. Meglio ad averlo.
  186. Canigiani.
  187. O quella che Giovanni delle Celle aveva fatta in Firenze, e ne tocca in altra lettera Caterina: o simile a quella.
  188. Salvo se tu ti fai monaco.
  189. Non so se errato.
  190. Le umiltà non soffoghi la sincerità, né invilisca il coraggio delzelo puro.
  191. A’ falli commessi; i quali per la Fede convertonsi in meriti vieppiù grandi forse che quelli della inesperta innocenza. Questa parola modesta, e le altre che seguono, darebbero a sospettare, essere qui nella fine il vero intento e l’assunto di tutta la lettera. Ne abbiamo veduti altri esempi. E di qui apparrebbe in nuova bellezza l’artifizio dell’affetto che spirano segnatamente le parole in cui degna.uente commentasi l’esclamazione del dolce Gregorio. Lettere di 3. Caterina - Vol. II.
  192. Vangelo: «Erunt novissima illius pejora prioribus».
  193. La stampa: ricalcitraste.
  194. La stampa senta.
  195. Dante:

    «.... Andavam forte
    Si come nave spinta da buon vento»,

  196. Periodo avviluppato Ma non è, come pare, improprio lo stringersi e il serrarsi, accanto al traslato de la navicella. Chi andando, s’attiene a una parte, o tende verso quella, pare che voglia stringerlesi. In Virgilio, appunto di nave: «Inter navemque Gyae scopulosque sonantes Radit iter laevum interior. — Littoraque Epiri legimus».
  197. Grossolana insidia, facile a fuggire.
  198. La stampa: li.
  199. Muove dalla lontana le sue obbiezioni; si presenta in modo quasi lusinghiero: occurrit.
  200. Dante: «Giugnèmi paura».
  201. La stampa ha qui un’ella che turba il senso. Il diavolo non e femmina.
  202. La libertà non può essere legata che da se stessa; se non si rinnega, nessuno la vince.
  203. Forse dilettassesi. Ma può stare anche questo.
  204. Qui manca. forse è da togliere le parole e presumendo di sè medesimo alcuna cosa.
  205. Per impugnazione, sulla forma di pugna; come per confermazione, conferma.
  206. Non è negazione di per sé, giacché in. Romagna ha pur senso di qualchecosa. Onde il non richiederehbesi sempre; ma omettesi come quando veruno per nessuno.
  207. Non dice partito da: ed è proprietà sapiente, degna di questa similitudine, comparabile non senza vantaggio alla simile dell’Ariosto e d’altri poeti. L’odore, l’aura piacevolmente ispiratrice, la grazia e la bellezza, rimangono tuttavia nel bene di cui l’anima abusa; ma non sono nell'anima stessa: essa divide la bellezza dall’oggetto bello, con attrazione rea, con distrazione da ultimo penosa. Alta distinzione del bello assoluto che è nelle minime cose, in rispetto all’ordine di tutto il Creato, dal relativo che la mente umana ci scorge o vuol trovarci, diverso dall’ordine, o contrario a quello. L’uomo co’ suoi errori e abusi non può distruggere, né togliere agli altri uomini (se essi non si facciano complici del suo errore) né la bellezza né la bontà né l’utilità delle cose.
  208. Secondo dicesi del vento favorevole; e l’obbedienza seconda la legge del bene, e chi in nome di lei ci indirizza al cammino.
  209. Alla volontà pare. Modo della lingua parlata che forma meglio il pensiero, che al dire aggiunge asseveranza.
  210. Non solamente lo lai partecipe delle qualità angeliche, ma Angelo.
  211. La stampa: l’ha.
  212. Così prender piacere, e simili. Pigliare compassione dice la forza dell’anima che con deliberata riflessione consente agli altrui dolori, e fa attivo un sentimento il quale col suo nome stesso porta l’idea di passività.
  213. Anche Aldo così. Forse t’estolli.
  214. Speculo per specchio in Dante: «Perchè cotanto in noi ti specchi?»(ci guardi fiso).
  215. Se le parole e non l’osserva non sono ripetizione di chi copiò, potrebbesi intendere, che trapassare il voto riguarda le trasgressioni attuali; non lo osservare, la violazione o almeno la noncuranza abituale.
  216. Intendo: giacché non osserva l’una, non osserva l’altra. Ed è sapiente sentenza. Chi non vince la propria volontà, e disordinatamente resiste alla volontà altrui, non sa vincere altre inclinazioni prave; e se non nell’effetto, nella radice ha, tra gli altri vizi, quello della incontinenza. Giacché continenza, astinenza, ritegno hanno la medesima origine.
  217. La stampa: n’esci.
  218. Non gli vola sopra, ma ci cade.
  219. La stampa, e quanto.
  220. Altrove: olio dell’umiltà.
  221. Famiglia fiorentina de' Grandi. Nel 1343 rabbassata dal popolo. Piero fu nel 1395 de’ dieci di Balìa.
  222. Crederei avessi a scrivere ch’è; giacché innanzi al verbo il toscano ama questo pronome.
  223. L’atto comprende anche il pensiero; il bene, nell’uso, riguarda l’opera esteriore.
  224. Dante: «Dichiareranlti ancor te cose vere» lo scrivono dichiarerà, come qui la stampa diceva vagli: ma la consonante, pronunziando, è smorzata, non spenta.
  225. Mette noi nel cuor loro, ispira in essi l’affetto di noi.
  226. Dice che nella colpa non è il lume della fede; non già che la fede sia distrutta nell’anima, ma non è pieno ne efficace il suo lume; come le nubi tolgono la luce del sole, non però che spengano il sole o facciano notte fitta.
  227. Dio a lui non manca; o piuttosto impersonale; non manca a lui il bene. Salmo: «Dominus regit me, et nihil mihi deerit»
  228. Bello il non isperare nella propria speranza; cioè, il non credere a sola la credenza propria, il non amare il proprio amore.
  229. Convenire così, modo antico: ma forse s’ha a scrivere e gli.
  230. Forse da levare a. Petrarca: «.... rapidamente ne abbandona il mondo, e picciol tempo ne tien fede».
  231. Dante: «Tutto il ciel muove. Non moto». Boezio: «Stabilique manens das cuncta moveri».
  232. Offre non solo il desiderio ma il bisogno, quasi dono di Dio, da rendere a Dio. Non solo la necessità ma il dolore è ostia accetta, se occasione di merito.
  233. Sovvenire dice l’atto del venire in aiuto; aiutare, l'opera e l’effetto. Non sempre chi sovviene, aiuta: e può aiutare anco chi non vuol sovvenire. Certi sovventori impicciano, certi nemici aiutano validamente.
  234. Il resto, quel eh.’ e’ non può. «Quod superest».
  235. Orai per domani, gli antichi dicevano; e credo sia di qualche dialetto. Abbiamo procrastinare', parola aulica. Dante fa parlare il merlo. E sentasi in inferno il crio, e in paradiso il tin tin.
  236. Il singolare personifica meglio e mette più in atto.
  237. Bello, che l’avaro si trovi prodigo del tesoro più prezioso.
  238. Possibilità dice i minimi termini del potere, come la stessa forma grammaticale denota. E usa tutti e due i vocaboli per far meglio risaltare quella pia e generosa pirentesi: che Dio richiede il possibile.
  239. Primo dono, ch’è l’istinto del bene; dono non negato anco a quelli a chi il lume della fede è negato o scarso.
  240. Monastero già fuor di Firenze, ora dentro le mura dietro a Santa Croce, di Francescane. Ma però il titolo dice Scalze, il Burlanacchi lo crede quel di Sant’Agata, assai fuori della città.
  241. Nell’umanità la sua pena cadde, ed egli sostenne la pena. A cadere, pena è il reggente; a sostenere Cristo. Non è regolare, ma è chiaro più di molti costrutti regolarissimi. Cadere in senso simile nel Petrarca: In giusta parte la sentenzia cade». Lettere di S. Caterina - Voi II.
  242. Dante:

    Per le fosse degli occhi ammirazione
    Traen di me....
    Grato e lontan digiuno
    Tratto, leggendo nel magno volume...
    (in Dio).

  243. La pena. Come sopportare e soffrire assoluti; è il ferre latino. Bello, che lo membra del mistico corpo, sensitive per la comunicazione col capo, da lui abbiamo il merito del dolore, e la forza del sostenerlo, o la vivificatrice partecipazione della divina sua vita. Ed è eziandio nuova e gentile imagine che il latte dell’amore ci venga dall’umanità di Cristo accostata alla nostra, come il bambino accosta le sue labbra di carne alla carne del petto materno per averne un liquore ch’è come lo stillato della vita.
  244. Appetire quel che non si ha, por l’amore in quel che si ha. E però dice la ricchezza in particolare; cioè che i beni posseduti in comune per le necessita del monastero o de’ poveri, nessuno se li appropri nè in atto nè col desiderio, non ponga la essi l'amore neanco sotto specie di giovare alla comunità; ch’è pretesto tentatore, e può farsi diavolo.
  245. Tiene sè in bando da colloqui vani; comincia dall’imperare a sè stessa; poi sbandisce da sè anco i devoti, impone agli altri astinenza anco dalle soddisfazioni del santo piacere spirituale; e così appresa per sè una astinenza ancora più forte, si ribandisce nella sua cella, divenutale ricetto fido. Fida silentia sacris. Notisi che ribandire (e qui sta la bellezza) è richiamare dal bando, il contrario di sbandire. E certamente la cella è patria, so sposa. Ad Andromaca, lo sposo era famiglia e patria.
  246. Ellissi, che sottintende, il senso, il valore. Comune, dire di, Aprirsi d’una cosa.
  247. Con l'esempio dell’obbienza di Cristo; anzi in forza di quella obbedienza, redentrice (ch’è fonte d’ogni merito a noi); e in perpetua concordia con quello. Quanta potenza di stile e sapienza di concetto in una semplice particella! ma tali bellezze di lingua (che non sarebbero di lingua se non fossero d’idea) non s’illustrano scrivendo col Cesari: nota modo!
  248. Quasi con più speciale cura che le altre promesse; perchè più facile è all’amor proprio, ammantato di devozione, condiscendere alle proprie tenerezze, che però possono diventare ostinazioni più dure. Ed è generoso in donna tanto autorevole, e degna d’essere obbedita, e così fortemente e meritamente persuasa di quanco dicesse e tacesse, il raccomandare obbedienza; di che se non dava l’esempio in sé stessa, avrebbe perduta ogni autorità, in mezzo a tutti superiori gelosi, e devoti intrammettenti, e uomini del secolo e di chiesa, malevoli, e tentati a malignare della sua ardimentosa severità.
  249. Cagione, comprendendo e ragione e causa e occasione e fin pretesto, dice meno del perchè, il quale denota la diretta e più esatta ragione. I caparbi non si contentano d’una spiegazione indigrosso; vogliono il perchè delle cose: ma la caparbietà loro stessa li fa incapaci a riceverlo nella mente.
  250. La carità non è carità se non è posseduta giustamente, cioè se non distribuisce l’amore giusta il valore degli enti. Anima giusta qui vale buona; e dall’omonimo deduce Caterina nn argomento: giacché la lingua è un sistema di raziocini.
  251. Aiutare a dice più proprio il giovare cooperando. Aiutare uno, può essere soccorso, senza che l’aiutato possa o voglia dal canto suo fare nulla.
  252. Antico per quegli, che sta per quello.
  253. Bello non solamente il distinguere correzione e punizione (i moderni che allungano e ingrossano tutto, ne han fatto correzionale e penale), ma il porre che la correzione e la pena abbia per misura non pure la gravità della colpa, ma l’attitudine a portare il dolore, e con esso espiare. Questo secondo, le leggi umane non io insegnano, o neanche accennano; gli esecutori di quelle si fanno quasi un vanto di scordarlo, dal fiscale all’aguzzino.
  254. Per animosità, alla latina. E questa terza condizione del correggere e del punire è spesso, nonché dagli aguzzini, dai giudici dimenticata.
  255. Temo che questo lo sia giunta moderna. E se il testo lo porta s’ha a intendere per loro, faceudo punito un neutro per elissi, sottintendendo fallo o simili.
  256. Sta per quel che non bene dicesi ripieno; ma attacca più fnrte alle precedenti idee le seguenti, come l’atque latino. Potrebbe anco intendersi e’ per egli, coi trapassi soliti.
  257. Chi nel punire non misura con ragionevole amore il gastigo, arroga a sé un diritto non suo, e insieme ne abusa; doppiamente ladro solo l’incompetenza, ma la mala applicazione della legge, e sia pur fatta da autorità competente, rende il potere illegittimo.
  258. Non terrebbe il luogo della propria dignità; perderebbe (come suol dirsi) terreno. Ovvero; la punizione perderebbe della sua forza, non penetrerebbe negli animi per correggerli, ch’è il vero luogo della autorità.
  259. O è a leggere se non, o nel dettare sottintese per questo mezzo acquistare giustizia vera attingendola alla carità. Se la giustizia è il fondamento de’ regni, Caterina sono l’a core alla, stessa giustizia fondamento.
  260. Scorcio effiace. Petrarca: «Sfòrzati al cielo, o mio stanco coraggio». Dante: «La bella donna che al ciel l'avvalora».
  261. Forse le più agiate si facevano venire di fuori qualche boccon ghiotto. Così fin da’ tempi di Paolo, alla cena del Signore era già entrata disuguaglianza di cibi ingiuriosa.
  262. Onus per fallo, nella Bibbia, come debito.
  263. Compagna più volte ai viaggi di Caterina, che in altre sue lettere la rammenta. Incerto se da’ Pazzi di Firenze o de’ Cinughi nobili di Siena, ch’erano un ramo de’ Pazzi. Nel 1260 tramutatisi da Firenze; dei nomi di Cino e d’Ugo, figliuolo e padre, fattosene il casato. Niccolò padre di Giovanna, fondatore nel 1310 della certosa di Belriguardo, chiamasi nei documento Cini Ugonis; onde arguirebbesi che il nuovo cognome non era ancora divalgato, e che però la figliuola potesesi nominare de’ Pazzi. Aggiunge il Barlarnacchi the le compagne di Caterina erano tutte di Siena.
  264. Personifica la Pazienza, come la Misericordia; e così Dante a lei si rivolge, intendendo a Dio. Ma Dante con sdegno impaziente, Caterina con conoscenza d’amore.
  265. Pone la tiepidezza dopo, perchè più del ghiaccio talvolta la tepidezza è rea.
  266. O corse?
  267. Impasto ha qualche senso traslato: ma questo è un de’ pochi men che convenienti, tra i molti in queste lettere di pensata proprietà e di bello ardimento.
  268. O da togliere l’e, o piuttosto da sospettare che qualche parola manchi.
  269. Parecchie imagini poco meno a noi strane di questa, tolte dal vino e dalla vendemmia e dagli arnesi di quella, rincontransi ne’ Profeti.
  270. Tradizione. Dante fa nhe un francese venga con la lancia di Giuda; «E quella ponta Si che a Fiorenza fa scoppiar la pancia». Questo è un po’ più che la botticella e la canna.
  271. Comune il metter mano a un vaso, o metterlo a mano, manometterlo, per cominciare a trarne il liquore che ha dentro.
  272. Il modo solito: col fuoco che è trombatore, ossia banditore. Perchè il fuoco dello Spirito scese in forma di lingue. E in più luoghi de’ libri sacri l'annunzio del vero è tromba.
  273. Scrive più volte vassello, come ora vassoio; e vasello in Dante navicella, onde vascello a noi.
  274. Se non è sbaglio, può intendersi che la purificazione dell’anima, sebbene meritata dal desiderio e dall’opera, riman però sempre effetto di grazia preveniente; sì che né l’uomo può gloriarsene, e neanco conoscere il quando e il come e’ sia fatto migliore veramente.
  275. Non pongo ch’è, ’l sebbene così possa sciogliersi la scrittara del codice, perchè più bello sottintendere il verbo.
  276. Del non aver potuto iiitenogare di quanto desiderava. Dante: «Trassi dell’acqua non sazia la spugna».
  277. Ripigliarsi a bell’ agio il discorso, per meglio riposarsi nell'immagine dell’ebrezza celestiale. Ripetizioni volute dal cuore.
  278. Salmo: «Fuerunt mihi lacrymae meae panes die ac nocte».
  279. Qui è soggiuntivo.
  280. Si volge a tutte le altre discepole e amiche.
  281. Più gentile che in Dante: «Lamenti saettaron me diversi Che di pietà ferrati avean gli strali.» I rigidi zelatori del buon gusto ci avrebbero più a ridire su questi lamenti che hanno strali, strali ferrati, ferrati di pietà; che sulla botticella e sulla bottiga della povera Caterina. I raggi del sole in Dante sono saette conte; e neanche questo è imitabile. Più schietto i Latini; tela diei.
  282. A Pietro Corsini, fatto cardinale nel 1370. succedette nella sede di Firenze (non divenuta arcivescovile che nel 1419), il Ricasoli, stato prima vescovo di Sora, e quindi d’Aversa. Il Del Migliore e l’Ughelli rammentano come, avendo il Comune interdetta la sede di Firenze e di Fiesole alle famiglie de’ grandi, questi per un suo cappellano in pien consiglio rinunziasse per la mitra al casato, facendosi chiamare de’ Serafini, e cangiasse l'arme, mettendo nella nuova una mitra e due angeli, angeli d’oro vestiti d’argento. Cotesta non umiltà ma vanità piaggiatrice fu punita dal sospetto incessante de’ popolani, che da ultimo lo costrinsero andare vescovo di Faenza, con tutti i suoi Serafini, idoletti d’argento e d’oro. Fu quindi balestrato alla sede d’Arezzo, dove nel 1403 ebbero tregua i suoi vescovadi. Altri fa la famiglia senese, e non era né senese né fiorentina; ma baronalo del Chianti. Alcuni rami, per la prossimità, e per intendersela co’ Picoolomini e Salini beni (questi segnatamente erano al popolo molesti e sospetti), ebbero la cittadinanza di Siena. Ma in Firenze i Ricasoli crebbero più potenti. Ed essendosi nel 1361 fatta legge, che i Grandi passati a’ popolani fra due mesi rinunziassero in Senato all’antica consorteria, e mutar nome e armi; rinnovatosi nell'8O più rigidamente il decreto, tra i venti de’ Grandi che si sbattezzarono civilnente trovansi i Ricasoli fedeli all’esempio del vescovo (che l’Ammirato dice frate); e si partirono ne’ Bindacci e ne’ Fibindacci ; il quale peggiorativo del nome triviale di Bindo (Non ha Firenze tanti Lapi e Rindi), era o una lusingheria de’ Ricasoli al popolo più forse temuto che amato, o una canzonatura del popolo che i piaggiatori disprezza. E il vescovo dai Serafini era de’ Fibindacci.
  283. Non già ch’e’ non deva la sua cura eziandio alle pecorelle smarrite; e questo ella insegna sovente e con efficacia: ma tanto più reo il pastore, se delle docili non si cura.
  284. Non dice vi; e spesso appone a se gli altrui difetti, per attenuare il rimprovero; sebbene il Ricasoli sappia che Caterina non è vescovo. Il costrutto comincia da e se; ma poi rimane sospeso per la foga delle cose importanti da dir in risposta alla obiezione di Monsignore. Sottinteso un risponderei, e chiaro ogni cosa.
  285. Imperfetto aveva senso più grave che di semplice privazione della perfezione assoluta; e l’ha tuttavia, quando dicesi imperietto un monco e uno storpio. Onde qui può dirsi che sia più di fragile, come fragile più di debole. E forse imperfetto, nella mente di Caterina, corrisponde alle lusinghe del mondo; fragile alla fragilità della carne; debole alle illusioni del demonio.
  286. Paura è più; ma aggiunto a timore il servile, la gradazione cresce.
  287. Non solamente soffre ch'altri l’offenda, ma l’offende egli stesso, a cui spetta offrire gli esempi del meglio.
  288. Crontrappone la prudenza saggia al timore che parecchi politici e prelati, specialmente prelati politici, spacciano per prudenza; e il timore da ultimo li fa audaci, e l’audacia servi. Qui giova recare la variante d’Aldo, che ha qualche buona parte da potersi prescegliere: «Colui che seguita questo, diventa debile, e sì pauroso e timoroso di «timore servile, che come fanciullo, teme dell’ombra sua. Ma s’ello è «savio, fugge alla madre, e ivi diventa sicuro e perde il timore. Così «questi cotale teme più l’ombra della creatura che l’ombra sua, e uomo «com’egli. E in tanto abbonda questo timore, che non si cura’ per non «dispiacere alle creature e per non perdere lo stato suo, che il suo Creatore «sia offeso o d’offendergli. Ma la inestimabile....»
  289. La stampa della. Ma nello stile di Caterina i figliuoli delle virtù, sono le virtù stesse figliuole della Carità; come la madre della carità è essa Carità' madre.
  290. Numerando, Da computare.
  291. Dante:«Quindi par che il loro occhio si pasca». Virgilio: «Animum pictura pascit inani».
  292. Dante:

    «Chè quantunque la Chiesa guarda, tutto
    È della gente che per Dio dimanda, Non di parente»

    .
  293. Il primo dice la possessione, il secondo la fruizione.
  294. Dante: «Cristo... si meroa». Lettere di 8. Caterina - Voi, II. 7
  295. A sé.
  296. Il ladro. Intende simbolicamente del lupo; non credo che voglia impiccati per la gola i ladri dell’onore di Dio; e lo proverebbe altresì la parola correggimento; che non ben si corregge il cuore e la testa tirando il collo. A ogni modo, le pene più gravi ella intende doversi serbare a chi abusa de’ beni più grandi.
  297. O v’invita, e destarvi a con lume seguitare; che non è modo de’ suoi: o qualche parola manca.
  298. La stampa di, ma più sotto de’.
  299. Fuori di Montepulciano. Agnese, senza il processo di Roma, era venerata per santa. Portare il monastero in città, non venne fatto: e le domenicane ci stettero fino al 1435, quando, scarse di numero, tramutaronsi a Orvieto, e lì si fece convento di frati dell’Ordine stesso.
  300. Altri, a modo di neutro cono questo. O sottintende bisogno.
  301. In senso affine a guerra, l’ha Dante: ma dice tutti i disordini della discordia.
  302. I Toscani tuttavia alla s seguita da altra consonante prepongono un i non però pieno, quasi una mezza vocale.
  303. Pietà e religiosa e umana; che ambedue versano dalla medesima fonte: pietà di divozione alle cose grandi, di riverenza a tutti, in quanto imagine tutti di Dio, e di carità compassionevole a chi patisce. L’ingrato è empio, crudele a sé insieme e ad altri. E poiché tanto si ama quanto si conosce; chi a bello studio sconosce, dissecca l’amore.
  304. Avari, cioè avidi, di lode, dice Orazio. Più bella questa fame del tempo, e sacra invero: come maledetta la fame dell’oro. Ogni minuzzolo del tempo ha prezzo inestimabile, se può portare il prezzo della eternità. La morte a Agostino: «Momentum a quo pendei aternitas».
  305. Carlo nel 1369 strinse pace vantaggiosa di Firenze con Pisa. Ma il popolo che per la vittoria avuta sopra i Pisani chiedeva di più, se ne sdegnò, e pose a pericolo la vita di lui. Nel 1374 fu mandato a Siena con Buonaccorso di Lapo, a fare accordo tra quella repubblica e i Salimbeni. Con esito del pari felice, conchiuse altri negoziati. Maddalena Strozzi figliuola di Carlo e di Laudomia fu moglie a Luchino Visconti cugino di Bernabò. Laudomia pare il nome ciclico di Laodamia, e rincontrasi nella famiglia: giacché Piero Strozzi maresciallo di Francia fu marito a Laudomia di Pier Francesco de’ Medici.
  306. Dante, del luoco: «E sì lo incendio imaginato cosse». Del sole e gl’Italiani e Latini, onde coquere per maturare. In Ennio e in Virgilio, delle cure e degli affetti dell’animo. Volgarmente gl’Italiani cotto per preso d’amore. Altro più strano traslato in Cicerone, che parole tolga da un più antico: bene coxtus et conditus sermo. E Plauto scherzando tra cotto e dotto, i Legisti: Juris coctiores. Quando si pensi al simbolico Agnello pasquale, e a Lui che fa per amore cibo di sé, l’imagine apparirà meno strana.
  307. Non so se il di sia sbaglio.
  308. Pare stia in senso di pericolante; se non si voglia una ellissi, sottinteso, il servire al mondo.
  309. Pecca.
  310. Contentiamoci che tanto ci durino quanto Dio vuole.
  311. Non ne siamo avari a noi stessi.
  312. Ti discordi dalla.
  313. Accomodarti a quelle ohe l’inelegante linguaggio moderno direbbe circostante. Coll’ in conformarsi ha più valore che al solito modo coll’a.
  314. Non solo il riposo dalla stanchezza delle dolorose fatiche, ma il luogo abituale del vivere.
  315. Dante per contrario: «Lo giorno d’ogni parte si consuma» (la luce, al cadere del sole).
  316. Anco il Segneri l’ha sostantivo, per uomo dato alle cose dello spirito; che dicevasi uomo di spirito in ben altro senso dal francese moderno.
  317. Bugia è falsità conosciuta per tale, e nondimeno voluta far credere ad altri per verità.
  318. Gelosia è nell’origine la parola stessa che zelo; ma non ogni zelo è geloso. E non a caso pone qui Caterina le due parole.
  319. Manca forse che.
  320. Non so se abbiasi a leggere nel fatto; ma sta in questo senso. Dal ventesim’anno d’età Caterina dicesi che, smesso l’uso del pane, vivesse d’erbe e pur d’acqua; e per non dare scandalo tornasse a altri cibi i quali allo stomaco ingracilito, ma contento ormai del pochissimo, dovevano essere incomportabili.
  321. In senso affine ad affermo, in qualche dialetto dicesi tuttavia. E già promettere non è che mettere innanzi, un modo di profferire, manifesto.
  322. La scienza, come spirito angelico. E dice forse sapienza per scienza con arte d’astuzia.
  323. Conoscere Dio, cioè la bontà di lui. Paro intenda che non per merito d’amore e d’astinenza, ma per necessità del suo temperamento, ella sia divenuta a nutrirsi così di poco.
  324. Il mi, come ne’ modi: «non so che mi dire, che mi pensare».
  325. Per chiarito, nel senso che Dante dice: «Mi fa chiaro». Ne’ Fioretti: «di che non sapendo dichiarare sé medesimo».
  326. Il molto con particelle intensitive. Dante: < Era più molto >
  327. Del difetto dice mio; il merito della fatica lo accomuna a tutti, e quasi ci rinunzia per sé.
  328. A una madonna Paola indirizza due lettere.
  329. Figliuolo a Francesco, e a Rabe o Onorabile della nobile famiglia Agazzari; fratello a Giacomo; e indotti da Caterina alla religione ambedue. Matteo ebbe titolo di Beato: e così le due sorelle di lui Francesca e Genocchia, terziarie.
  330. Così virilmente risponde al sofisma dell’innamorato d’Avignone; che le bellezze di quaggiù Sono scala al Fattor, chi ben le estima. Ma le estimava egli forse bene il Canonico laureato raccogliendole in Lauretta tutte? e delle bionde trecce di lei faceva egli scala al Fattore diritta e salda?
  331. Per a; come in per contro o verso.
  332. Di anticipazione e gratuito. Bello, che l’idea d’utilità contrappongasi a quelle d’amore e di creazione. Chi bada all’utile proprio, con ciò stesso confessa sé dipendente più che non vorrebbe da quello da cui pretende a sé utilità.
  333. Riguardo meschino all’utile proprio.
  334. Non chiaro. Né oserei correggere avere in amare. Il senso pieno pare che sia: in che modo potremo noi avere quest’amore che da ultimo torna in utilità di noi stessi, se egli pur ci richiede servigi in segno d’amore, e noi non possiamo rendere a lui servigio veruno?
  335. Dobbiamo amarlo senza riguardo all’utile nostro, se noi non lo possiamo amare senza utile nostro. Finamente e profondamente posta la questione, troppo assottigliata da’ quietisti e ingrossata dal Bentham.
  336. Bello che il tempo sia dono, e doni nel tempo i mezzi di bene; e mezzi di bene anche i negativi, cioè il mancare del luogo e del potere a far male. Luogo è opportunità esteriore, potere la forza propria. Così la mancanza del luogo è dono del tempo; e il negativo si la positivo. E veramente anco nell’oradine ideale il concetto di luogo dipende da quello di tempo: onde apparisce meschino il concetto di Kant che fa del luogo e del tempo due forme ugualmente matrici.
  337. Lecito cercare sé, cioè, il bene proprio, ma in riguardo di Dio, bene sommo. Senza questo riguardo si fa errore anco il seaiplice studiare sé per sé: onde la psicrdogia gretta materiale nasce coll’ egoismo gemella.
  338. Chi serve per Dio, non serve nel male, né per lucri vili o vili paure di danno: è libero.
  339. Desiderare il bene altrui è già dono di carità. Lettere di S. Caterina - Vol. II.
  340. La stampa: amano sè; che sconvolge il senso.
  341. Anche senza il lo si può intendere.
  342. Prima che amico, era servo; temeva la pena: ma questo timore non è in tutto vile, si la via al pentimento, e il pentimento all’amore: amore imperfetto tuttavia, perchè destato da sola la speranza de’ benefizi di Dio, considerato più come rimuneratore necessario, che come Padre. Delicata originazione degli affetti, e vera storia dell’anima; storia da potersi applicare anco all’umana moralità, e al civile risorgimento de’ popoli.
  343. L’amore tutto di speranza, è impaziente, cioè senza coraggio, perchè non ha radice nel cuore profondo.
  344. Non correggo a, perchè il con lo dipinge in compagnia delle tribolazioni, anzi fatto agile dal peso di quelle.
  345. La stampa debile. Forse ha a leggersi l’amore debile delle per conttraposto dall’amore forte. Cant.: «Fortis ut mors, dilectio».
  346. Per fuggire, attivo, nel Novellino: campare la morte.
  347. Orazio: «Non sum maenhus. ait, Neque ego, hercule, fur, ubi vasa Praetereo sapiens argentea. Tolle periulum, Jam vaga prosiliet fraenis natura remotis».
  348. Qui manca. La stampa non avverte il vuoto.
  349. Manca l’è nella stampa.
  350. Notisi questa mirabile storia del progresso interiore. Studiare sé medesimi; nella verità e nel bene che in noi ritroviamo, riconoscere Dio: quindi non insuperbire, ma umiliarci: dell’umiltà attingere non viltà, ma coraggio di pazienza; dalla pazienza prendere non inerzia fredda, ma fervore d’amore; dell’amore le opere di pietà. Questo è l’ultimo frutto; la prima radice è lo studio di sé.
  351. L’amore di gratitudine alla redenzione ci fa sentire la gravezza del male dalla redenzione espiato. Così la riavuta sanità ci la meglio misurare la malattia superata. Ma qui s’inchiude eziandio una verità più profonda. La rivelazione cristiana ci scopre il segreto del fallo originale, tormento della pagana filosofia.
  352. Col che, come Dante col di: «Per non fare, ho perduto Di veder l’alto sol che tu desiri».
  353. Non s’adempie in intero un precetto qualsiasi, neanco umano, se non si tende a fare un po’ più del precetto: neanco la propria volontà. Legge provvida di progresso, dettata della stessa umana debolezza; la quale, se si limitasse avaramente al mero necessario, a questo stesso verrebbe meno.
  354. L’uomo del secolo è in potenza religioso, legato da liberi voti: e tutta la società cristiana vive in uguaglianza di spirito.
  355. Ripete dall’abbondanza del cuore. Le parole dolce e forte, virile e sangue a lei sono frequenti.
  356. È verbo quest’e; ma meglio forse sarebbe togliere il se più sopra.
  357. Rammenta animula, vagula, blandula. Ma nella fanciulla cristiana è rimprovero quello che nell’uomo pagano è carezza leziosa.
  358. Non vada alle mense di qualche barone.
  359. Bene intende, secondo me, il Burlamacchi, figliuoli di spirito a Giovanni Delle Celle; de’ cui allievi taluno si fece discepolo a Caterina; tra gli altri Barduccio Canigiani, poi datosi al sacerdozio per consiglio di lei.
  360. Paolo: «Quis me separabit a charitate Christi?»
  361. Non s’intenda materialmente; che sarebbe panteismo o antropomorfismo, non potuto neanco sognare da Caterina: ma la parola trarre ha sensi in antico spiritualissimi; e lo dicono quo’ di ritrarre. I nostri catechisti hanno il cavare dal nulla; ch’è più materiale. Come se nulla fosse una buca piena di tutte le cose.
  362. Vedendo ch’ella in sé partecipa della divina carità; e le grazie ch’ella riceve da Dio sono insieme di ciò effetto e segno.
  363. Trova la carità nel cospetto di Dio, cioè nel meditare i suoi benefizi, e collocarsi dinanzi a lui per contemplarli e pregare. E trova essa carità nel cognoscimento di se, cioè delle proprie miserie che le l’anno sentire la necessità e la grandezza del soccorso avuto e da avere. Ha già insegnato più volte che da umiltà carità.
  364. Il modo solito: Iodio di sé, c’hè servo all’amore del perfetto. La balia dà il latte e pota; la nutrice prende, non solo dell’alleviamento ma de’ principii dell’educazione, cura più assidua e intelligente. L’umiltà non dà solamente il cibo all’amore, ma lo regge e lo svolge: perché gli accresce le ragioni dell’essere quel che gli è; e lo fa ascendere in alto. L’odio di sé, cioè il cognoscimento delle imperfezioni proprie, il quale tarpa la stima soverchia de’ pregi, non è che una parte infima dell’umiltà: e però è detto servo in questo ragionamento sapiente, che vela di figure la dottrina dell’anima.
  365. Impone a essi la pena debita all’errore (e questo vale vendetta); e anco prima che errino, li giudica con giustizia, riguardando la ragione da’ loro pericoli.
  366. Pare più generale qui di piaceri; ogni compiacimento ne’ beni esteriori.
  367. Non solo la fuga dal bene, ma pure il tedio e la negligenza nel riceverlo, è più che principio di male.
  368. La stampa con tutto el cuore, e con tutto l'affetto del corpo fa el contrario. Potreboesi dividere in modo che al fuggire si recasse il cuore e l’affetto, facendo punto prima del corpo; ma c’è un’idea di più, e bella, intendendo che l’affetto sia quello che vegili allo mortficazioni del corpo, acciocché non diventino accanimento selvaggio, disperato, diffidente della misericordia di Dio. Il senso, così inteso, è: fa il contrario di quello che il corpo pretende, ma lo fa per affetto al piacere vero e supremo.
  369. Include ogni astinenza e dolore patito per ragione degna.
  370. Ci lasciò insieme coi comandamenti stessi, facendo del generoso consiglio allo stretto precetto corollario e corona.
  371. Le immagini di vestire, navigare, vestigio, non bene s’avvengono, se pure la non avesse avuto al pensiero quello del salmo: «In mari via tua et semita tuae in aquis multis; et vestigia tua non cognoscentur. Al che forse accenna anche Dante:

    «Metter potete ben per l’alto sale
    Vostro naviglio, servando mio solco
    Dinanzi all’acqua che ritorna eguale».

  372. Con lirico volo si volge alla Carità.
  373. Della congiunzione dello spirito al corpo, ha Dante figura simile:«Ti piaccia Di dirne come l'anima (del suicida) si lega In questi nocchi(nelle piante infernali, che sono a lei membra sensibili) e dinne.... Se alcuna mai da tai membra si spiega».
  374. La mortificazione abbia il triplice intento: non della salute propria solo (che sarebbe amor proprio avaro), ma dell’onore di Dio e del bene de’ prossimi. Se da essa non viene onore alla legge del bene, se noi ne siam fatti impotenti a giovare a’ fratelli; la penitenza è pena mal collocata, non degna di premio, o meritevole di premio minore che le invisibili spirituali astinenze.
  375. L’introduce e accoglie e ritiene degnamente.
  376. Non leggo fatti, recandolo a amici. Bello, delle virtù questo fatte. Dio e l’uomo insieme le fanno: l’uno ne crea il germe e lo educa, l’altro coopera ad educarlo. Poi virtù fatte comprende anco gli atti singoli virtuosi; come nella Bibbia, fare virtù , vale, opere grandi meravigliose. E virtù vera è miracolo di creazione. Onde, anche in senso men alto, il Petrarca: «Cria d’amor pensieri, atti e parole».
  377. Posposto, risalta. In senso men alto. Dante: «La semenza santa Di que’ Roman — La compagnia santa». Virgilio: «Tuo perfusi flumine sacro»
  378. Dalla Chiesa.
  379. Rammenta il Burlamacohi la Decretale famosa di Clemente V sugli Ordini degenerati, e le cure d’Urbino V nel riformare Monte Cassino, e poi d’Eugenio IV per Santa Giustina di Padova.
  380. Nel Villani Ordine è femminino, come la margine e simili. Ma qui crederei un de’ trapassi soliti di Caterina, sottintesovi Religione.
  381. Fors’è da leggere: va dimolti; col solito accoppiamento del plurale col singolare. Ma credo ch’eli’ abbia dettato che per poco amore.
  382. De’ Guglielmiti.
  383. Se non è sbaglio, che non credo, intende unità di cuore, che viene dalla carità, e che si manifesta nella perfetta uguaglianza, come dichiarano le parole seguenti. Né senza uguaglianza è vera unità sociale; né senza uniformità di sentire è vera civile uguaglianza.
  384. Sopportare non basta; bisogna saper comportare, ch’è ancora più liberale del tollerare; e colla forma stessa della voce indica il reciproco convenirsi, e sorreggersi, anziché darsi addosso.
  385. Il solito insistere sull’idea che le preme. Dante, sì parco, in cosa meno importante e con meno efficacia: «E parve di costoro Quegli che vince, e non colui che perde».
  386. Figliuolo di Donato: fu ambasciatore per la repubblica nel 1358,nel 65 e nel 67: devoto a Caterina; onde nel 78 gli arsero i Ciompi la casa; e nel 79 fu multato in duemila fiorini d’oro.
  387. Padre per età, figliuolo in ispirito.
  388. Dante: «Ond’egli ha cotal merto (di pena infernale).
  389. Dell’anima, al solito, possa all’uomo. Dante con tre sconcordanze: «Il mal seme d’Adamo Gittansi di quel lito ad una ad una.... Quelli che muoion nell’ira di Dio, Tutti convengon qui. — Quinci non passa mai anima buona».
  390. Mors depascet cos.
  391. Il prossimo.
  392. Meglio forse intendere le carni sue proprie; giacché del prossimo è detto: L’ira contro altrui, lo fa rabbioso in sé. Dante: «In sé medesmo si volgea co’ denti».
  393. Ben trasportasi l’impressione del gustò all’odorato, ch’è buona parte lei gusto. Lettere di S. Catarina - Vol II
  394. Vero e profondo. Il disamare i beni minori, di necessità conduce ad amare i maggiori; perché l’anima vive d’amore, e non trovando da respirare a suo agio nel basso, ascende. Per contrario, l’intiepidirsi dell’amore alle cose grandi, anche senza colpa deliberata al principio, porta l’innamorarsi poi delle piccole reamente: perché qualcosa amare bisogna.
  395. Il dono è grazia o più gratuita o più evidentemente gratuita.
  396. Quest’ultimo pare giunta non dettata da lei.
  397. Per acquistarlo, perduto (dic’ella) per colpa mia.
  398. Dal Vangelo.
  399. Non fa qui rispondere tanto a quanto. E di tali forme gli esempi non mancano, e hanno garbo se non sono affettate, ila quanto qui potrebbe suonare aggettivo, come in Dante: «E quanta e quale vid’io lei far piue!» Da Virgilio: «Qualisque videri Coelicolis et quanta solet».
  400. Più chiaro altrove presenta l’imagine dell’incudine. E qui fabbricare tiene dell’origine fabbro. Se pur non si voglia accennato a quello del Salmo: «Super dorsum neum fabricaverunt peccatores, prolongaverunt iniquitatem suam».
  401. Sottintendi: Si che l’uomo non volga.
  402. Crederei che Caterina dettasse affatiga (per si affatica), e lo scrivente intendesse male. Petrarca: «Il tanto affaticar che giova?»
  403. Ordinare per efficacemente disporre è la voce delle scuole: mar qui ha doppia proprietà, inquantochè la potenza della memoria viene all’ordine.
  404. Quel ch’ora organi. Strumento è parola più feconda, perché alle idee di struttura e di costruzione congiunge quella d’istruzione, in, quale comprende docilità e dipendenza. Così agli organi corporei è diffusa una forza attiva, ma in servigio dell’anima.
  405. I libri sacri ci mostrano Dio amante fin dalla costituzione del mondo: ma questo invito alle nozze lontanissimo, che la di tutta la vita dell’intera umanità un apparecchio alla solennità dell’amore, rende l’idea, nella sua gentilezza, ancora più grandiosa, fa il bello sublime.
  406. Per è Dante: «Alla voce che promessa tanto s’avea».
  407. Più intimo che con, e più degno allo spirito.
  408. Forse ello o egli, il mondo. Deve, in pena.
  409. Lo fate già.
  410. Ebbe quattro figliuoli: Ristoro; Barduccio (segnatamente fido a Caterina); Luigi, ch’ebbe molta prole, e fu nel 99 Gonfaloniere; e Cristofano. Qualche cenno di questa potrebbe farla credere scritta dopo il tumulto del 78, e l’arsione delle case Canigiani. Ma gli altri consigli più generali e quasi più iniziali fanno ch’io la collochi qui. E così gli accenni delle disgrazie diventan presentimenti di senno civile e affermazione filiale e materna.
  411. Forse li per gli, loro.
  412. Da Giovanni.
  413. Qui corpo sta per cuore; e carboni non è imagine di distruzione; ma rammenta quello del Salmo; «Inclinavit coelos et descendit.... A cospectu ejus nubes transierunt; grando et carbones ignis»'.
  414. Nella Cantica imagini simili; ma non ne tempera la sconvenienza agli orecchi moderni.
  415. Così famigliarmente: sicché dunque.
  416. Rammenta l’origine dell'eculeo. E il cavallo e l’elmo e i chiodi e la lancia sono arnesi di guerra che il divino guerriero usa contro sé stesso: la sua giustizia, mossa dall’amore, infierisce contro la sua umanità, che assume in sé gli effetti del male nemico a Dio.
  417. La stampa missesi; come altra forma italiana si messe.
  418. Dante: Abbandonò li freni.
  419. La Chiesa: mortem nostram moriendo destruxit».
  420. Volontà comprende la sapienza d’amore. e la potenza con la quale esso corre al fine prefisso.
  421. Forse tanta.
  422. Dante in una parola: «Più t’inlei — Dio vede tutto, e il tuo veder s’inluia».
  423. In altro senso Dante: «Non si franga lo tuo pensier.... sovr’ello: Attendi ad altro».
  424. Col plurale nel Vangelo: «Unum sumus — unum sint».
  425. Di piante, il Petrarca: «Il sol uccide i fiori e l'erba».
  426. La stampa: e la tempesta. Forse diceva: la guerra e la pace, la tempesta e la bonaccia.
  427. Bello che l’avversità corrisponda alla man ritta, la prosperità alla manca; come agli antichi il tonare da manca era fausto. È bellissimo il paragone delle due mani; che piacere e dolore sono strumento di bene, e parti vive della medesima vita; e, come dice il proverbio, una mano lava l’altra, e tutte e due il viso.
  428. Manca.
  429. Rinieri, di famiglia de' Grandi di Siena; segretario a Caterina innanzi il Pianigiani e il Maconi, e messo di lei a Gregorio e a Urbano e a Giovanna. Lei morta, Neri si fece romito; e romito morì. Così la povera figliuola del tintore aveva discepoli e scrivani i primi tra' gentiluomini della repubblica; onore reso alla virtù, ma anche all'ingegno. In questa lettera a Neri, gli è dato del voi; poi del tu come già adottato in figliuolo.
  430. Trasformato dice il passaggio a perfezione, il quale viene dal primo unirsi in affetto; conformato, l'effetto dell'unione intima.
  431. Neutro, come in Dante.
  432. Cerca, regge tanto onori e delizie, quanto impazienza e odio; perché le passioni co' loro dolori sono spesso dagli uomini così affannosamente cercate come i meri piaceri.
  433. Il prossimo ne' cuori stretti mondani ci cape, ma non per amore di Dio; ci cape, in quanto del prossimo prendiamo al nostro amor proprio soddisfazione. Bello, che la passione sia, ancora più che malvagità, grettezza.
  434. Assoluto, come il latino accipere. Cercano quel che pare ad altri il dolore, e ricevono consolazione.
  435. Non propongo trasformare, com’è sopra; perché l’una idea entra nell’altra, quando nel suo sapiente disordino le confonde l’affetto. E può ben dirai che alla prima trasformazione dell’anima nel bene, seguendo l’intima conformazione, da questa si genera una trasformazione più alta. Ascensiones in corde suo disposuit.
  436. Il comune decidere e il moderno decidersi, rende ragione di questo traslato. Più ardito, e forse più contorto, in Dante: «Alcun bene, In tutto dall’accorger nostro scisso. — Da quello odiare (Dio) ogni affetto è deciso
  437. Tagliar fuori è locuzione militare.
  438. Sottomettere può essere più spontaneo, più abituale, più pieno. Avvertasi però, che soggiogare in antico aveva senso men forte.
  439. Bartolomeo De Dominici, ohe predicava in Asciano.
  440. I prossimi.
  441. Pagatrice.
  442. Dante:

    «O sodalizio eletto alla gran cena
    Del benedetto agnello, il qual vi ciba
    Tanto che vostra voglia è sempre piena;
    Se, per grazia di Dio, questi preliba
    Di quel che cade dalla vostra mensa».

  443. Da Cortona.
  444. Non muto e’ pesi; perché forse ella intende non caricare le spalle del frate di tutti i pesi; e in quel de’ è carità di figliuola e senno di madre.
  445. La stampa facendovelo. Ma gli risguarda le fatiche, che sono non solo da schivare, ma da incontrare prontamente.
  446. Patire qui dice più del sostenere, ohe può essere anco di leggier noia, tolleranza degli altrui difetti e opinioni. Lettere di S. Caterina - Vol. II. 10
  447. Degne di commiserazione affettuosa. Virgilio: «Miserabile, corpus» del gentile giovanetto Pallante.
  448. Non altro intento ponete ad essa. Dante: «Termine fisso d’eterno consiglio».
  449. Ripete per sovrabbondanza d’affetto; se pure non è sbaglio di ehi con la penna teneva dietro alla sua veloce parola. Può intendersi affogare le voglie men che buone; annegare anco le lecite, e le consolazioni che paiono debite alla perfetta pietà.
  450. Iacopo Orsini, cardinale diacono del titolo di San Giorgio in Velo d’oro o Velabro, figliuolo al Conte di Nola, ebbe il cappello nel 1371; e andando in Avignone, passò al dì 13 d’ottobre da Siena, dove avrà forse veduta Caterina. Morto Gregorio, dalla brama dei Romani d’avere un papa de’ loro, concepì speranza del soglio pontificalo. Forse non tanto l’età sua fresca quanto il non voler i cardinali francesi cortigiani darla in tutto vinta agli Italiani, e al popolo segnatamente di’ Roma, fece che l’elezione cadesse nell’arcivescovo di Bari. Il quale fu coronato da esso Orsini, come toccava allora al diacono più anziano tra’ cardinali; e poi né apertamente rinnegato ne bene riconosciuto. Morendo nell’agosto del 79, disse che a lui sarebbe papa legittimo chi fosse approvato da un Concilio universale: ma ben doveva egli sapere se legittima fosse l’elezione d’Urbano. Se non che, confessando i Francesi d’esservi stati costretti dalla paura, l’Orsini credeva non poter entrare nella loro coscienza, né discredere alla loro viltà da essi medesimi professata. Con ciò forse egli faceva inganno a se stesso.
  451. Non appone l’articolo a uomo perché fa di Dio ed uomo una parola e una persona; come noi diciamo Uomo-Dio.
  452. Non ogni pazienza è buona. Patire il male è farsene complice: patire per non sapere o non osare togliere da sé e da altri le cagioni del dolore, può essere inerzia infingarda e vile: patire fremendo o gemendo senza trarne con l’intenzione (non potendo coll’opere) occasione di bene, non ha merito alcuno.
  453. Forse e osservata.
  454. Così a modo d’esclamazione diciamo: senti!
  455. Nel linguaggio ascetico è anco la cosa imposta per obbedienza.
  456. Senza dire gli ’l possa, può sottintendersi vita; o che piuttosto tollere rimanga indeterminato come rubare e simili.
  457. Personifica il compiacimento in sé e l’amore di sé, e vuole che si vergognino, L’umana superbia dell’uomo è pleonasmo qui non senza valore; e per chiarezza le faceva di bisogno nominare l’uomo, a poter soggiungere di se medesimo.
  458. Ricevere grazia per grazia, non è inutilità, perchè può esserci grazia meritata. Onde il modo: gratia gratis data.
  459. Bello che la perversa volontà sia ribelle e sé stessa. La guerra è io lei, in quanto in lei è impressa l’imagine della verità.
  460. Manca l’in: solito idiotismo. Nel Petrarca sovente è detto che il cuore suo non è già più seco, ma nella donna ch’egli ama.
  461. Non si ha già a leggere avemo: ma ho veduto, averemo, e trovassimo, sono sconcordanze che fanno logicamente armonia.
  462. Il piacere può essere più estrinseco del diletto. In questo costrutto l’amore è personificato.
  463. Vangelo:«elegi vos de mundo».
  464. Attratta da’ fiori, ci si ferma a lunga, e dimentica le colonne che troppo rammentano giardino principesco. Ma perché questa è immagine di salvezza, e usata da Paolo, ci ritorna più sotto.
  465. Nel grande e severo apostolo facitore di stuoie, la figliuola del tintore riconosce un suo famigliare, un vecchio amico.
  466. La colonna, per lei, non solo sostiene, ma guarda: è viva, e fa parte della milizia di pace.
  467. Il male è negazione: cioè amore d’un bene figurato là dove non è.
  468. Cantica: «Fortis, ut mors, dilectio». Il secondo forte pare sostantivo; come in Dante: «Mi sovvenne Ad altro forte».
  469. Dell’essere tenuto di poco pregio.
  470. Dante: «Gente dispetta».
  471. Credo che Caterina avrà scritto non puole, ch’è uso moderno da non seguire, ma può o potè che in Toscana vive tuttavia; ma al numero meglio il primo.
  472. Modo de’Vangeli.
  473. Dante: «Ma perchè mai non può dalla salute Amor, del proprio obietto volger viso, Dall’odio proprio son le cose tute». In Caterina la dottrina dell’amore di sé è esposta in modo più filosofico insieme e più popolare.
  474. Manca l’è.
  475. Vang.: «Il mio cibo è, ch’io faccia il volere del padre mio».
  476. Fin nelle ripetizioni delle cose più note, l’ingegno gentile ingentilito dall’affetto ritrova varietà e novità. Questo dicasi e del vasello, e della terra che non avrebbe sostenuta l’ingiustizia della croce se non ce l’obbligava l'onnipotenza dell’amore intenso a una nuova creazione del mondo spirituale.
  477. Troverà se vestito.
  478. Per conoscere il vero in sé e in Dio, bisogna prendere principio dall’amarlo.
  479. O sbagliato, o manca. La stampa poi dice senza. Io pongo senta per dare un qualche senso; ma non credo d’avere sanato ogni piaga. Frasche, dice la vanità de’ ragionamenti umani, novelle, secondo l’uso antico, i falsi artifizi nel dire e nell’operare.
  480. L’una verità è conosciuta per l’altra e nell’altra; e non tanto la maggiore per mezzo della minore, quanto questa entro in quella. Parla di verità pratiche; e dice che non tanto la consolazione, quanto l’esperienza del bene, ancorché faticosa, anzi perché faticosa, acuisce e amplia il conoscimento.
  481. Gli effetti della creazione e della redenzione sono comunicati a tutte le anime, quanto basta a conoscere le verità necessarie: ma bisogna usare le forze dell’intelligenza e dell’affetto, acciocché la verità, disconosciuta e abusata, non ci torni in condanna.
  482. Non voluti conoscere ne rimeritare.
  483. Per sangue intende la vita e l’affetto e il sagrifizio: né a così grande animo altro modello poteva corrispondere che l’infinito.
  484. Nel sagrifizio dell’amore troverò società degna dell’uomo e di Dio.
  485. Non nella dolcezza delle lusinghiere consolazioni, ma nella sublimità del dolore trovare Dio. E lo conoscerà Padre allora, come Padre egli è al Redentore, dai patimenti glorificato.
  486. De’ Belforti, Guelfi in Volterra potenti, contavansi a’ tempi di Caterina diciannove signori, guerrieri prodi; Ottaviano Belforti, figliuolo a Belforte capo della famiglia, tenne Volterra molt’anni con fama di prudenza e di giustizia: e i discendenti di lui, salvo l’intervallo del Duca d’Atene, fino al 1411 si mantennero in signoria. Quell’anno, sollevatosi il popolo. Bocchino Belforti cadde per man di carnefice, con altri de’ suoi; e gli altri sbanditi. Di Bocchino fu moglie Benedetta; fratello fu Pietro, che da Angela di Benuccio Salimbeni ebbe questo Benuccio, al quale è la lettera. Tutti della casa dicevansi de’ signori di Volterra.
  487. Per cuore può intendersi in genere la volontà; per affetto la volontà mossa da un principio d’amore abituale, per anima tutte le facoltà dello spirito.
  488. Dante, della redenzione: «Della molt’anni lagrimata pace».
  489. Compito è più di perfetto, in quanto questo secondo, giusta l’origine, non vale, che fatto insino alla fine; ma il compimento e la compitezza è al fine quasi corona. Senonchè perfezione in altro senso è assai più.
  490. Per poniamoche, quantunque. Così avvegna per avvegnaché.
  491. In alcuni dialetti tuttavia per difetto. Poteva in antico aver senso più grave di peccato, come a noi delitto, che ai Romani sonava men grave, dice misfatto. E invero la colpa è mancanza, vuoto, negazione, più o meno profonda. Lettere di S. Caterina - Voi. II.
  492. Far bene al prossimo non è ancora virtù compiuta, ma il mezzo del mezzo. Non è compiuta, perché si può far bene ad altri non solo per fini malvagi, o men che generosi; ma il pur farlo col fine unico di salvare sé, è imperfezione.
  493. Dante:«Consunto (ucciso) Fu l’Uom che nacque e visse senza pecca».
  494. Gentile aggiunto a fortezza; e ritrae tutta l’anima che lo dettò.
  495. Portare non basta; e si può con mal garbo: nel sopportare è la forza, perché il peso non si trascina ma si regge.
  496. Può non essere errore, ma ripieno; come in Dante: «S’egli erra L’opinion.... de’ mortali».
  497. Paro sentenza troppo semplice; ma inchiude, se non sbaglio, un senso riposto. A fare il bene è norma in certa guisa il male stesso, inquantochè basta tenere la via contraria. In secondo luogo, del bene da farsi, in certo modo è misura il male fatto da noi o da altri; il qual bisogna compensare equamente, e poi vincere sovrabbondando. In terzo luogo la forza che l’uomo spese nel male, gli si fa fino a un certo segno speranza a poterne spendere nel bene altrettanta, e maggiore, per la virtù nel bene insita.
  498. L’amore reo di voi stessi. Quest’odio è amore vero.
  499. I Belforti avevano con violenza depressi i Ghibellini, segnatamente quelli di casa Allegretti.
  500. Può stare anche senza fosse.
  501. Dante: trei per tre.
  502. Non solo il disordinato affetto agli altri uomini, ma la soverchia cura di sé (cagione di quel disordine), e impedimento che si frappone tra l’uomo e la somma felicità.
  503. L’anima. Più che ne’ benefizi esteriori, ella trova in sé Dio,
  504. L’anima ama il virtuoso.
  505. Iniquo è più; perché l’equità naturale è più elementare, se posso dire così, che la perfetta giustizia.
  506. Gusta ne’ buoni il bene passato e il presente, ne’ men buoni il bene sperato e preparato da esso.
  507. De’ in senso di per i, sopra i; simile al de latino.
  508. Operare, e fare ch’altri operi. Ma forse il testo è scorretto.
  509. Le virtù nelle stelle figura anche Dante. Bello, che l’umile conoscimento de’ propri difetti sia notte, ma pura e consolata dalla placida luce della misericordia di Dio; alla qual notte segue poi il lume pieno.
  510. Le altre virtù sono come stelle al sole di quella pazienza che soffre deliberatamente, affettuosamente, per un alto intento d’amore: pazienza redentrice.
  511. Non intende l’ingiuria, ma sottintende la pena, o simile.
  512. Ha forse a leggere in pazienzia, intendendo patimento, come Dante.
  513. Veramente sull’asina entrando, ebbe Gesù dal popolo trionfale accoglienza: ma forse riguardasi non tanto all’umile cavalcatura quanto gli oltraggi che a quell'accoglienza seguirono; e nella mente di Caterina i due estremi si toccano, come suole ne’ cantici de’ profeti.
  514. Molte le imagini dove la parte terrena dell’uomo è comparata a animale che porta, e o s’accascia o ricalcitra. E il corpo stesso è soma.
  515. Forse nel. Ma può anche sul; giacché l’idea d’imitazione sovente denotasi con questa particella. Condurre un lavoro sul modello, sul fare; sul suo esempio-operò.
  516. Che cade sotto Pasqua.
  517. Dante:

    «Volsimi alla sinistra col rispitto
    Col quale il fantolin corre alla mamma
    Quand’ha paura, o quand' egli è afflitto
    «Come madre che soccorre
    Subito al figlio pallido e anelo».

  518. Questo pare che s’indirizzi a frate Simone.
  519. Virgilio: «Diffugit arator.... et agricola... Dum pluat in terris et possint sole reducto Exercere diam» (ne’ lavori). Furare il tempo, approfittarne e appropriarcelo; e, anziché s’involi a noi esso, involarlo. Ne’ Vangeli la morte vien come ladro. Intendasi inoltre sottrarre il tempo, non che ai piacerle agli uffizi men necessarii e men utili.
  520. De’ grandi di Siena. Era di questa casa il beato Andrea, fondatore dello spedale della misericordia; e dicesi il primo terziario domenicano vestito dal beato Ambrogio Sansedoni. Luisi, come in Dante Oderisi e Parisi.
  521. Lo ripete, perché le preme. Virgilio: «An puer improbus ille? Improbus ille puer».
  522. Dante:

    «Com’esce alcuna volta di galoppo
    Lo cavalier di schiera che cavalchi
    E va per farsi onor del primo intoppo».

  523. Manca il la forse. Ma può starne senza.
  524. Temo sia del copista.
  525. Frequente nella Bibbia: e conferma che il superbo strupo di lucifero s’ha a intendere stupro, e non truppa, come il Grassi voleva.
  526. <Pro Christo legatione fungimur, tamquam Deo exhortante per nos. Obsecramus pro Christo, reconciliamini Deo.» Messo era parola solenne, ma indeterminata; e però aggiunge legato.
  527. Forse è da preporre a in quest’anima; ma ad altri può parere, così, negligenza non senza grazia.
  528. Dal Vangelo.
  529. Rimane troppo sospeso se intendasi del sagramento. Qui direi confessare la propria fede innanzi agli uomini, e praticare compagnia di fedeli veri; che sarebbe il contrario del non dare orecchio al male, e non ci credere, quando sbadatamente o di necessità venisse agli orecchi.
  530. Dante: «... Dello spavento La mente (memoria) di sudar ancor mi bagna».
  531. F. B. di Domenico. Aveva predicato in Asciano; e anco Neri de’ Pagliaresi e’ era dimorato.
  532. Degli Arzocchi, Pievano d’Asciano. Lettere di S. Caterina - Vol. II. 12
  533. Forse della casa senese de’ Capi. Compagna a Caterina in Firenze, dove fu da lei risanata da un male al piede; e poi sua compagna anco a Roma. Francesca è forse una Tolomei; non la Gori, ch’è sempre Cecca.
  534. La stampa arrese.
  535. Comprende, nel linguaggio antico, ogni stato, anco più intimo ed essenziale. Dante: «Avea di riguardar desio La condizion che la fortezza serra».
  536. Dal danaro e da’ lucri, anche illeciti, trae G. C. parecchie similitudini, come argomento dal meno al più.
  537. Non è merito di suo ingegno o fatica; ma il tempo gli frutta. Molto più all’anima che se ne giova a lucri con merito e degni di sé.
  538. L’usuraio.
  539. Coll'intenzione nobilita le opere minori e le necessità corporali i riposi.
  540. Nel gustare è un assaporare più a beli’ agio e quasi con più riflessione il godimento. Anco le bestie e gli uomini bestiali godono a qualche modo del bollo: pochi lo gustano.
  541. Nella memoria è esercizio d’intelligenza. Quindi il senso traslato di capacità. Dante: «Se le parole mie..... La mente tua guarda e riceve».
  542. Gherardo di Puy, benededettino, abate di Marmontier, congiunto di sangue a Gregorio XI, che lo mandò nel 1371 in Italia, tesoriere della Santa Sede e collettore generale delle sue rendite; e nel 72 lo fece Governatore di Perugia, del Patrimonio, e d’altre terre, con titolo di vicario apostolico. Nunzio non si sa che mai fosse; ma, se l’intitolazione di questa lettera non è sbagliata, (e parecchie sono), convien dire ch’e’ fosso invitato in Toscana per missione speciale. Allora potevano esser nunzi anco i non vescovi: poi si sono raffinate le cose. Ma il Burlamaeehi lo trova nunzio in Italia, non in Toscana proprio. Nel governo di Perugia, Gherardo fu tacciato di aizzare le discordie tra Arezzo e Castiglione, e fingesse di cassare gli assoldati papali per mandarli sottomano in aiuto di Cione Salimbeni contro Siena sua patria. Cinque secoli dopo doveva di simili baratti con travestimenti aiutarsi l’esercito del papa stesso. Quindi i sospetti delle repubbliche insidiate, e la guerra. Ribellatasi Perugia, i Fiorentini e altri colleghi assediarono nel castello Gherardo; che nell’uscirne ebbe affronti.
  543. De’ legami della vita, Virgilio: «Nexos artus».
  544. Pare che accenni alla storia de’ tre giovanetti, che, legati, furon messi nel fuoco, per non voler adorare sua maestà al suon di pifferi.
  545. Allargare è moto più ampio e men violento. Nel distendersi può essere contorsione, non accrescimento o ampliazione: sì nel proprio e sì nel traslato.
  546. Forse nol.
  547. Avrà dettato seguirono. Dante: <Predicò Cristo e gli altri che ’l seguiro».
  548. Il dunque tra le due veci che formano una sola particella, ha altri esempi del tempo.
  549. Non dice converte in quello, ma lo converte in sé; per denotare il merito della libertà cooperante alla Grazia.
  550. Per dillettarsi; come tanti altri rifleessivi che, segnatamente nell’antico diventano neutri assoluti.
  551. Di quel ch’è diletto, o gradito, a Cristo, e che però è amato dall’uomo. Se non si voglia che il diletto sia Cristo stesso, amato dall’uomo; come nella cantica: «Dilectus meus mihi et ego illi;» e Dante: «Del nostro diletto».
  552. Fosse della. Ma di tali irregolarità non mancano esempi.
  553. Non correggo troppa, perché l’avverbio col nome può fare quasi tutt’una voce, come in oltrecotante, e simili.
  554. Dante: «Il maledetto fiore(fiorin d’oro) C’ha disviate le pecore e gli agni, Perocché fatto ha lupo del pastore.
  555. Correggere fortemente i prelati pare ai capi loro che sia un guastare la Chieda; ma è il vero edificare. In queste parole il Burlamacchi vede un vaticinio della ribellione di Perugia, ed altri oasi seguiti. Ma anco senza rivelazioni soprannaturali, poteva la rara donna, testimone delle brighe dei Pontefici, augurare calamita. Io però intendo il detto in senso più semplice insieme e più ampio.
  556. Fare. Il vi è quasi intensivo, come nel mondo: non sa che si fare. O forse ha leggersi; farvi a trarre, tirar via. I pastori stessi sono i demonii, secondo la solita locuzione di lei.
  557. Dante: «Non di parente, né d’altro più brutto» (in senso di laido). Meritrice s’avvicina più il a merito.
  558. Pare ci l’osse pericolo a dirgliene: non per Gregorio, uomo buono, ma pe’ suoi Cardinali Legati.
  559. Adulazioni; o che il papa e i suoi sieno adulati, o ch’essi adulino i principi, o l’uno e l’altro.
  560. Distingue danari da simonia, giacche non per danari soltanto si fa simonia-. Ogni promessa ricevuta o data di compenso terreno, foss’anco non seguito da effetti, è mercato delle cose sante. Gregorio creò i Cardinali nel dicembre del 75; e uno fa quest' abate, detto Cardinale del maggior monistero, del quale titolo è corruzione Marmoutier. Diede il suo voto ad Urbano: ma poi parteggiò per Clemente infino alla morte. Le storie lo dicono tiranno, e che nulla d’ecclesiastico avesse. Il beato Tommasuccio, uomo lodato dal quel vescovo cittadino che sant’Antonino fu, ebbe a sgridarlo pubblicamente, chiamandolo incorreggibile. Urbano VI al suo malgoverno imputò la sollevazione e la perdita di Perugia.
  561. Mirare dice qui il continuarsi del primo atto della attenzione.
  562. Di sangue nobile, o d’uomo che viva di sue mercedi. Non intende d’animo mercenario; che spesso è vizio de’ più ricchi e più gentiluomini.
  563. Se l'abate era in Toscana, intendasi l’arcivescovo di Pisa; se in Avignone, quel d’Otranto, benevolo a Caterina.
  564. Questo con altri titoli delle lettore, fu dai copisti variato; dacché al tempo che Caterina dettò, viveva Cione marito di Stricca. Nome accorciato da Baldistricca, comune ai Salimbeni e ad altri Senesi: forse corrotto di Baldassarre, con una forma diminutiva, sul faro di Bandeca per Benedetta; e di Cocco per Nicolò. Così intenterebbesi come fosso anche nome maschile: ed era senese lo Stricca rammentato da Dante, di quella brigata godereccia, dove un Salimbeni e un Maconi, con altri giovani, in diciotto mesi sprecarono dugentomila fiorini d’oro. Cione, potente irrequieto, per vendicare la morte d’uno de’ suoi, s’armò contro la patria; e ne ruppe le squadre; istigato anco dall’abate vicario papale in Perugia; ma poi, mediatrice Firenze, quotò. Guerreggiò poi con Agnolino Salimbeni, capo della famiglia, il quale allora faceva per la repubblica, lì figliuolo di Cione, Nicolò o Cocco nel 1404 signoreggiava in Chiusi e in altri luoghi. Antonia figliuola di Cocco fu moglie a Franceso Casale signor di Cortona, e poi a Sforza Attendolo, madre a Buoso Sforza conte di Santa Fiora.
  565. Beati son saziati del bene senza infastidirsene, anzi sempre rimanendo con fame, ma fame di dolce desiderio senza pena.
  566. Qui perché vale per la ragione che: nel precedente periodo sta per benché. Lettere di S. Caterina - Voi. II.
  567. Nel senso di cura affettuosa.
  568. Vero.
  569. Villa donata a Caterina da un signore senese, o da lei fattone monastero.
  570. Bello il corpo qui. L’anima umana, finché si tiene nella dignità d’anima, non ci può tradire.
  571. Non solo ne attuta l’ardore molesto, ma ne disperde le tracce.
  572. Vedere dice l’intuizione data e necessaria; conoscere, l'operazione spontanea della mente, alla qual segue l’affermazione, che è il principio del volere: e il volere abituale è amore. Che l’intelletto, come motore della volontà, sia la pili nobile parte dell’anima, Dante e Caterina lo tengono con Tommaso d’Aquino.
  573. Dante: «L'animo ch’é reato ad amar presto..... Vostra apprensiva da esser verace Tragge intenzione. — Né Creator né creatura mai... fu senza amore».
  574. Le tenebre, plurale, è più della oscurità; ma la tenebra può essere meno. Però qui la gradazione può staro.
  575. La stampa: le.
  576. Tutto questo linguaggio, sebbene di colorito così vivo, è di filosofica proprietà. Dante: «Quel piegare (verso il bene appresso) è amor; quello e natura Che, per piacer, di nuovo in voi si lega. Mentre ch’egli (l’amore) è ne’ primi ben diretto, E ne’ secondi sé stesso misura, Esser non può cagion di mal diletto».
  577. Il prima, è frapposto alla, particelle poniamochè, come il dunque altrove al poiché. Dice che l’affetto non si muove se non verso il Bene conosciuto dall’intelletto, ma ohe e’ è un moto d’affetto anteriore, il quale indirizza l'intelletto ad attendere per conoscere il bene desiderabile.
  578. Dante: «Furon modesti (gli angeli buoni) A riconoscer sé della Bontate Che gli avea fatti a tanto intender presti.
  579. La stampa ha qui congiunzione per verbo: ma, anche mutata cosi, non dà senso netto. A qualche modo può intendersi: essendoché il lume è quello che l’occhio dell'intelletto ha, cioè che la verità conoscibile è per esso, ed esso ò creato per la verità; deve l’uomo aprire quest’occhio con la fede, sì per ricevere il lume più pieno, si per meglio disporre sé stesso a conoscere.
  580. Non chiaro. Pare intenda che a Dio così piace, che Dio si compiace nella libertà della creatura fatta a imagine sua.
  581. La stampa: pazienza.
  582. Non paia strano che la ragione sia dotta legame d’amore. Intendesi che questa facoltà essendo la comparazione e la deduzione delle verità conosciute dall’intelletto non si può esercitare senza l’attenzione, la quale è già un esercizio del volere; né l’attenzione può essere perseverante senza l'affetto il quale la regga.
  583. Quest’idea, qui sospesa," è altrove svolta. Non potendo noi fare a Dio utilità, la dobbiamo, in ricambio, a’ prossimi nostri. Qui l’accenna appena, perchè la sviava dal suo discorso. L’importanza di questo sentimento gliela pose sul labbro ma, poi, dettando, si ritenne, e lasciò così in tronco.
  584. La stampa: morremo.
  585. Per senza che, Dante: «Non corra che virtù noi guidi».
  586. Dante de’ beati che vedono salire in alto Maria:

    «Ciascun di que’ candori in su si stese
    Con la sua cima, si che il grande affetto
    Ch’egli aveano a Maria, mi fu palese».

    E nell’apparire di Beatrice sul monte, le tracce della fiamma lasciata dai

    candelabri eran maggiori Della mia vista.

  587. A questa voce Dante da senso grave quasi affine a perverso. E già, di per sé, la inordinata varietà de’ pensieri toglie l’armonia dello spirito, eia sua potente unità: «Atque animum nune hue celerem, nune dividit illue: In partesque rapii varias, perqìie omnis versat».
  588. Ella avrà forse inteso dettare una sola di queste due, e ritrarre l’altra che le venne detta. Sarebbe un troppo assottigliare (sebbene non senza qualche verità) dicendo che il serrare talvolta denota ogni specie di difesa, e quasi il contrario di diradare, dove il chiudere, in questo rispetto, sarebbe più. Ma qui meglio avvertire che nel presente traslato il serrarsi dell’anima dipinge il suo difendersi dalle insidie e offese esteriori, il chiudersi denota il tranquillo e sicuro raccoglimento.
  589. Attitudine è disposizione più diretta e più accomodata. Lettere di S.Caterina - Vol. II.
  590. Anco in Dante.
  591. Qui riprende il concetto lasciato sospeso più su.
  592. Le ha consumate co’ meriti della redenzione; e le nuove che noi commettiamo, consuma.
  593. Dante:

    «E quanta gente più lassù s’intende, Più v’è da bene amare, e più vi si ama; E, come specchio, l'uno all’altro rende».

  594. Il vestimento interrompe l’imagine della reina, che verrà quindi subito continuata. Forse intendeva: Reina con vestimento nuziale; come nel latino: «maculis insignis et albo».
  595. Forse possa. Sia per sii.
  596. L’affetto e la fantasia la trasportano d’una in altra imagine: ma poi a un tratto da sé si ravvia con mirabile forza e agilità di ragione e di stile.
  597. Capo della famiglia. Andò nel 1375 a Firenze, giacché quella Repubblica era eletta arbitra delle differenze tra la repubblica senese e la famiglia Salimbeni. Poi fece per la patria, con valore e con senno, parecchie imprese di guerra.
  598. Anco Dante: fané per fa.
  599. Dante: «Degli occhi facea sempre al ciel porte — Agli occhi che fur porte Quand’ella entrò entrò col fuoco ond'io sempre ardo — A cui (alla Povertà) La porta del piacer nessun disserra».
  600. I superlativi, gli antichi gli congiungevano con particelle denotanti comparazione o misura d’intensità. Dopo pessimo, malvagio scade; se non si voglia intendere della malvagità morale in più special modo.
  601. Il piacere può essere innocente e involontario; il diletto può essere disordinato, ma non di pensata malvagità; le delizie qui sono il disordine ricercato, le squisitezze de’ piaceri pericolosi.
  602. È rimasto a lei nel pensiero, o allo scrittore nella penna, il nome a cui recasi l’elle; cose del mondo, o simile.
  603. I Salimbeni ebbero discordie sanguinose co’ Tolomei; e in guerre con l’intera repubblica ne perì parecchi di loro.
  604. Meglio Sapienza. Il copista trovando poi saziare e sazietà, forse avrà scambiato.
  605. Benedetta sorella d’Agnolino, vedova d’un marito e d’uno sposo, consigliata da Gate; ina stessa a farsi monaca, ma in brevi parole senza né minacce spirituali ne lusinghe punto. Dice poi che il fratello l’aveva sposata; giacché le fanciulle allora non eleggevano a sé il marito, e dipendevano da’ fratelli insieme e da’ genitori.
  606. Di casa vostra: sudditi o famigliari. Parla a signore quasi principe. Agnolino, avo paterno di questo, era de’ più ricchi in Italia, con rendita di ben centomila fiorini d’oro; e fu capitano degli Orvietani. Giovanni il padre fu consigliere di Carlo IV, e nelle sue case lo accolse, lui con la corte splendidamente. Un Sezzo Salimbeni aveva già dato ospizio magnifico a Carlo di Valois, e a Caterina sua moglie, figliuola dell’imperatore di Costantinopoli; della qual tenne al sacro fonte la bambina natale in Siena. Altri afferma (ma non è certo) che Salimbene Salimbeni, ito con Raimondo di Puglia alla prima crociata, per il valore mostratovi, fosse nel 1098 elevato, primo de’ Latini, alla sedia patriarcale d’Antiochia.
  607. Ricordamento riguarda gli uomini, memoria l’eternità. E anco tra gli uomini, memoria dice fama più gloriosa, se non sempre con altrettanto affetto. Le lettere di Caterina che dureranno immortali, avverano il vaticinio.
  608. La stampa mostrerete.
  609. Per quel ch’ora direbbesi dalle.
  610. Recidete da voi. Dante: ogni affetto deciso, dall’odiare Dio; cioè che l’uomo non può odiare l’Ente necessario. Altrove la frode uccide il vincolo naturale d’amore.
  611. Congettura il Burlamacchi, sia questa la moglie di Paolo Trinci, de’ signori di Fuligno. Isa o Lisa da Elisabetta.
  612. Dice affetto della perseveranza, perché costanza non è senza amore, né amore incostante è verace.
  613. La stampa: passate.
  614. Pare sbaglio: se non- s’intenda giungere per cogliere assalendo, e non si sottintenda le creature, nominate lì accanto nel singolare, ma in forma da potervisi applicare il noto uso del plurale accoppiato ai nomi collettivi. Potrebbesi anco il giungono recare al mondo e al demonio, più lontani.
  615. La stampa: le.
  616. Si fece poi Mantellata. E Urbano VI in un breve del 1380, delle cinquanta alle quali concede indulgenza piena in punto di morte, nomina per prima lei.
  617. I Trinci veneravano quel d’Assisi segnatamente: e un fra Paolo della loro famiglia aveva, pochi anni innanzi, rimessa in vigore la regola dell’Ordine che scadeva.
  618. Sarebbe difetto anzi che no, rivolgere (qui tornare è attivo, come in Dante più volte) il proposito di farvi dell’Ordine di S. Domenico: ma voi siete libera. I due Ordini tendono al fine stesso. Più volte Caterina raccomanda di non volere a tutti imporre una medesima forma di bene.
  619. Benedetta, sorella di Lisa; e anch’ella desiderava di entrare nell’ordine.
  620. Senese, de’ nobili Saracini. Vedova, diede il suo a opere di pietà; si fece Mantellata, e discepola e compagna fidata di Caterina, la quale, morendo, affidò a lei la sua spirituale famiglia. Cecca o Francesca, vedova di Clemente Gori senese, ebbe tre figliuoli, domenicani, morti in età giovani, maturi in virtù, e la figliuola Giustina monaca in Montepulciano. Morì nel 1383 in Roma, lasciando il suo alla figliuola, un grosso legato ai Domenicani di Siena, e quattro fiorini d’oro a Fra Tommaso della Fonte confessore della vergine amica sua.
  621. Anco il gloriarsi del bene fatto può essere colpa grave, forse più grave del compiacersi ne’ falsi beni terreni.
  622. Ha preso l’abito buono.
  623. Quasi questa sia il campo. Così diciamo; coltivare la virtù.
  624. Badi che nelle spirituali a cui s’è appigliata, non s’annidi l’amor proprio e il capriccio.
  625. Il bene supremo.
  626. Modo riguarda la qualità più propriamente dell’atto, misura l’intensità. Lettere di S. Caterina -Vol. II.
  627. Di colui che.
  628. Chi non persevera, è già fuor di via. Il bene non è bene, se non coerente a sé stesso.
  629. Non muto in quello; perché, siccome lui e simili dicesi anche quando il pronome è reggente, così quegli; e n’ha esempi la Crusca.
  630. Non correggo li per gli, giacché parecchi de’ verbi che d’ordinario portano l'a non solo in antico ma anche oggidì talvolta ammettono quest’altra forma. Nuocerlo ha esempi del volgarizzamento di Palladio e d’altri vecchi.
  631. Vangelo: «Paratus sum in carcerem et in mortem ire».
  632. Pare sia guasto. Intendesi da quanto segue, che avrebbe a dire a un di presso cb’ella non parla per sé; e accenna forse a un tale di cui non aveva a lodarsi.
  633. Sottinteso: e che io non conosca. Come se avesse prima detto: ch’io abbia conosciuto.
  634. Nel linguaggio biblico, la missione da consumarsi nel tempo,l’opportunità dell’adempierla.
  635. La stampa: bisogno.
  636. La stampa: sollecitudine, che non so se abbia a correggersi solitudine.
  637. Come urla plurale. Salmo: «rugiebam a gemitu cordis me». Ogni suono cupo suol dirsi mugghio.
  638. Nomi di forma greca erano anco in Italia, e sono.
  639. Le dolcezze e i dolori. Più sopra disse spine e triboli, perchè il secondo è più. Anco la rosa ha spine. Onde tribuli dicevasi da’ Latini, le materie pungenti sparse nel cammino a impedire il nemico.
  640. Tra santo e buono colloca vero, perché non e’ è bene senza verità. E posponendo buono a santo, pare intenda che l’umana bontà non deve dalla santità essere esclusa, e che il bene minore nel maggiore è compreso, non già soffocato da questo.
  641. Raimondo.
  642. Salmo: «Effudi in me animam meam.... Ad meipsum anima mea conturbata est». Le interiora, che ora prendesi in senso materiale, è nell’origine sua generico; anzi più degnamente direbbe delle cose intime dello spirito. Un altro Salmo: «Benedie, anima mea, Domino, et omnia quae intra me sunt nomini sanato ejus».
  643. Ellissi; sottinteso tempo, atto, o simile. Ma il resto del periodo è impacciato, forse per essere qualche parola ripetuta o inframmessa.
  644. L’umanità asina, è (a chi ha letto il Buffon, e conosce i buffoni e i muli e le altre bestie uomini) lode grande.
  645. Antiquus dierum.
  646. Nella negligenza comprende ogni male; perché questa con l’origine della stessa parola, dice essere il contrario dell’amore e della sollecitudine; e perché dalla disattenzione al bene incominciano gli errori.
  647. Assoluto. Dante: «una fonte che bolle e riversa Per un fossato».
  648. Cantica: «Respieciens per fenestras, prospiciens per cancellos». D’apertura qualsiasi, Dante: «Fanno dolore, e al dolor finestra». E l’Ariosto.
  649. Alfonso di Vadatera vescovo in Andalusia, poi romito, confessore di santa Brigida, nel 73 morta in Roma; stato più volte in Avignone a sollecitare, in nome di lei, Gregorio al ritorno. Anche per quello doveva egli riverire (come si sa che riverì) Caterina, e ella lui. L’anno 1388 morì; e fu sepolto nella chiesa detta si di San Girolamo, ma tenuta dagli Olivetani, a quattro miglia da Genova, edificata con elemosine raccolte da esso. Devoto al potente eremita, al Dalmata di Betlemme, aveva già prima dotato co’ proprii beni un monastero dell’ordine di San Girolamo, sorto in Ispagna a que’ dì. Era più volte ritornato nel Senese per trattare della sua fondazione col Generale Olivetano; e Caterina, che a parecchi di que’ monaci ha lettere, gli avrà additati i più degni, e cooperato all’intento di lui. Contessa ella chiama Brigida, non principessa; perchè quel titolo era da Matilde nobilitato in Toscana sopra tutti i principati, né così volgare e triviale come divenne poi. Dante a Dio imperatore dà i santi maggiori nell’aula più segreta per Conti, cioè compagni di milizia e dignità, quasi una camera di Pari.
  650. Non è un grande elogio. Pare che a lei paresse che Gregorio XI in corte d’Avignone esercitasse poco l’occhio della mente. E però parla latino, come d’insolita cosa.
  651. Sé.
  652. Smarrita.
  653. Il Burlamacchi crede ch’ella chiedesse licenza d’andar in Terra santa. Io direi ch’ella lo confortasse a bandire la crociata, anco per distrarre i Cristiani, e specialmente gl'Italiani, dagli odii che li disfacevano. Così anco quest’altra risoluzione di Gregorio in buona parte dovrebbesi alla fanciulla di Siena.
  654. Questo modo usa in altra lettera, dove accenna non a pellegrinaggio ma a guerra. Nel cuore apostolico e martire profetava le Suore di Carità e se ne faceva verginalmente madre.
  655. Che scrive a dettatura; e soggiunge quest’umile e affettuosa parola di sé.
  656. Forse di Capo; alla qual sono più lettere.
  657. Non so se questa sia la soscrizioue del nome; o se abbiasi a intendere Catarina, Marta, accennando umilmente al Vangelo, dove dice cho Maria elesse l’ottima parte; per confessare che essa, Caterina, era troppo occupata nella vita attiva. Se Caterina e Marta, due altre sorelle della scrivente mandassero quell'ambasciata, direbbe vi si raccomandano. Nell’incertezza, io lascio la punteggiatura del Gigli.
  658. Famiglia di fama, più che senese, italiana; che diede due papi, quattro cardinali, arcivescovi quattordici, ventuno vescovi, venti generali d’eserciti, e principi e duchi parecchi; e dieci beati. Gabriele fu pio, discepolo a Caterina; e così il figliuolo di lui Giovanni, che, fattosi domenicano, ebbe titolo di Beato.
  659. Non ogni contrario è nemico.
  660. Il mondo è non solo la parte dell’umana società meno indirizzata alle cose più richieste dalla dignità vera umana, ma anche il viluppo di queste medesime cose. Le creature, gli uomini in genere (che con le stesse buone qualità loro, da noi mal usate a mal intese, risicano di sviarci), e tutti gli oggetti esteriori, innocenti per sé, che ci tentano, perchè noi ne facciamo tentazione a noi stessi.
  661. Le battaglie che ci colgono alla sprovvista, diffideati, svogliati sono vinte già prima che cominciate. La speranza della gloria deve sospingere il pensiero al di là dei limiti della battaglia, cioè della vita. Così la vita è non pure caparra, ma preludio d’immortalità.
  662. Da quel che segue parrebbe doversi leggere a’.
  663. La portavano sopra l’armatura i guerrieri a cavallo.
  664. Sangue e fuoco, riscontransi spesso in queste lettere uniti; simbolo dell’età, che, segnatamente in Italia, era un terribile misto indistinto di guerra e d’amore. Né l’imagine del sangue impastato col fuoco parrà strana a chi rammenta le folgori temprate in Virgilio.


    «Tres imhris torti radios, tres nuhis aquosae
    Addiderat, rutili tres ignis et alitis austri;
    Fulgores simul horrificos sonitumqm metumgm
    Miscuerant operi, flammisque sequacibus ira».

    E questo giovi a raffronto tra il Giove pagano, e il Verbo e lo Spirito del Dio a’ Cristiani padre.

  665. Nell'originario senso di vani; vuoti di cuore e di mente, pieni di quel sentimento di sé, che nel primo fa gli uomini audaci, poi vili.
  666. Può avere gemino senso; e della miseria t-he loro ne segue, e della causa di quella; dico la miseria dell’anima angusta, per cui l’avaro è detto assolutamente misero. E costoro sono avari a sé del bene di che Dio è largo ad essi.
  667. Bello che innanzi pure a dignità, venga bellexxa. Una postura di paiole, nonché una parola, rivela l’anima.
  668. Dante:

    «Quella virtù che mi seguette
    lnfin la palma, e all’uscir del campo...»

  669. Sul primo accenna al coltello; ma poi l’attrae a sé l’imagine della carità, arme di difesa, e della veste tinta nel sangue. Bellezza.
  670. Ha qui propriamente il gemino senso di sterminata e di indeterminata; giacché ne’ beni minori, divisi dal massimo, l’ideale dipartesi dal reale.
  671. La guerra del giusto è sempre a pura difesa; ma chi odia il bene, vuol vedere in quella difesa un’offesa. La pazienza costante de’ buoni muove a stizza i cattivi, che la gridano ostinatezza provocatrice e qaasi beffarda: essi più intolleranti di tutti.
  672. Non correggo dal. Così gli antichi spesso.
  673. Proverbio Toscano:A pignatta che bolle le mosche non ci si avvicinano. Dell’uomo irato. Ma Caterina al solito appropria a sé e innova le imagini e le locuzioni. E l’importuna avidità della mosca ben s’addice al tentatore, diavolo sia o uomo. Il fervore dell’anima e dell’ingegno e della vita, allontana in vero gl’insidiatori del tempo e della quiete nostra.
  674. Non ogni studio di sé medesimo é a bene.
  675. Prima che alla crociata contro gl’infedeli, accingiti alla guerra contro le tue passioni. Il finale esito delle guerre tra i popoli dipendo da causemorali: il men cattivo, o colui che farà gli uomini men cattivi (anco che cattivo egli stesso), è chi vince.
  676. Pare accenni all’imagine del letto de’ fiumi e del mare; che starebbe con la larghezza d’amore figurata di sopra.
  677. Dante:

    «E la sua volontade e nostra pace:
    Ella e quel mare a cui tutto si move
    Ciò ch’ella cria, e che natura face».

  678. Quella parola. Comunemente: l’ho detta, a dirvela.
  679. Avrebbe a dire: per quella stretta, o per la solamente. E anco il che seguente sarebbe da togliere.
  680. La stampa: divenuta. Com’uomo, raccomandava lo spirito proprio al Padre, nel quale era come Dio.
  681. Vi vorrei tanto presto d’amore, che foste pronto a ogni tormento, e io sicura di ciò, come se vi ci vedessi. Accenna forse ai supplizii ottomanni de’ quali rinnovaronsi anco più tardi gli esempi sopra gli eroi cristiani.
  682. Non lo sottraendo a voi stesso con angusta e fredda coscienza.
  683. Che abbondante raccoglievasi nel senese.
  684. Pare intenda d’essersi confessata e comunicata nel giorno dell'Annunziazione, forse dopo lunga astinenza dal cibo dell’anima a cagione di sua infermità.
  685. A cui Caterina dettava.
  686. Potenti; sospetti al popolo. C’erano Ubertini anco a Siena; spenti da circa due secoli. E forse Caterina avrà conosciuti questi per la congiunzione ne con quelli.
  687. Tenerezza operatore; come auctor di femmina.
  688. Non solo i piaceri, ma anco i dolori non degni fanno pena: de’ quali l’uomo assai volte si fa bello, pure perchè dolori.
  689. Forse non sete.
  690. Devoto a Caterina, e che in sua casa l’ebbe ospite.
  691. Non solo d’offenderlo con fallo volontario, ma pur dispiacergli. Salmo: «Ecce sieut oeuli servorum in manibus dominorum suorum, sicut oculi ancillce in manibus dominae suae, ita oculi nostri ad Dominum Deum nostrum, donec misereatur nostri».
  692. La stampa: sangue.
  693. Abbandonata all’immondizia che la corrompe, e fa inutile e schifosa.
  694. Dicesi casa pingue di roba. E dicevasi popolani grassi. E chi sa che Caterina, scrivendo al Soderini, non pensasse anche a questo?
  695. Avrebb’a essere guasto. Può inteodersi a qualche modo, che la superba grandezza si mostra alta in apparenza, ma si umilia per essere veramente grande.
  696. L’ingiuria o ingiustizia che viene dagli uomini, è uno degli stimoli che ci fanno impazientire, ma gli uomini possono in altre maniere, e forse con le lusinghe e le carezze importune e col sacco dato al tesoro del nostro tempo, assaltare la pazienza nostra.
  697. La stampa: gli. Dimostra che la virtù è dono divino, e prova insieme, della grandezza dell’umana libertà, da questo ch’essa ci aiuta a vincere le inclinazioni della natura inferma. Una di queste, che molte altre ha e porta seco (e forse tutte) è l’impazienza; alla quale l’uomo, abbandonato a sé, è sì proclive, che ne fa vanto e virtù.
  698. Errato; se non s’intenda che si sia per sua ventura abbattuto a trovare questa ricchezza, che non gli viene da merito proprio.
  699. In antico valeva ardimento.
  700. Se non è errato, può voler dire che l’anima giusta, rivolgendosi a Dio, ritorna alla casa del Padre e sua.
  701. Pagare questo debito. Onde il modo pagare il debito alla natura, morire. Ma qui il debito è alla grazia, e diventa acquisto d’inestimabile grazia.
  702. Del Breve in cui Gregorio XI ai Provinciali de’ Frati Minori e dei Frati Predicatori e a Frate Raimondo mandò che sentissero delle disposizioni degli Italiani al passaggio, toccasi nella prima delle lettere di Caterina a Giovanna di Napoli. E forse allora con lettera di lei andò al Capitano delle masnade inglesi il medesimo Raimondo.
  703. Li vuole: i nomi, o il numero.
  704. Non correggo invitate, perché lo scorcio è più bello.
  705. Pare intenda che la compagnia gli darà insieme animo e gli crescerà l’obbligazione; giacché scuorarsi dopo incuorati gli altri, è maggiore vergogna. Pare che indovinasse la poco soda tempera dei Soderini. E quel lungo allegoreggiare sulla mercanzia, scrivendo a uomo fiorentino, non pare a caso.
  706. Forse Raimondo. Il Burlamacchi intravvede qui un aiuto prestato dal Soderini al fratello di Caterina. Non ce n’essendo alcun cenno chiaro, né indizio altronde, io non lo crederei col dotto uomo per due ragioni: che l’animo nobile di tal donna si sarebbe compiaciuto di esprimer» la sua gratitudine con pili schiette parole; e che ella avrebbe nella lettera tenuto altro linguaggio.
  707. Dante: <Illustrami di te».
  708. Di Lapo.
  709. Forse dure nel dolore che cagionano, aspre nell’intenzione di farlo ancora più grave. Percosse, qui, tutta sorte d’offese di fatti. Ingiurie sta per ingiustizie, come ne’ Latini, e in Dante e in altri. I danni sono le ingiustizie che segnatamente offendono l’utilità.
  710. Così traduce il sicut in Coelo anche Dante:

    «Come del suo voler gli Angeli tuoi
    Fan sagrificio a te, cantando osanna,
    Cosi facciano gli uomini de’ suoi».

  711. Al cocchio dell’anima dà Platone cavalli. Ma che questa vergine dolce rappresenti il progresso nella virtù come correre di cavallo senza freno, parrebbe strano ardimento, se il figurare gli affetti disordinati come freni molesti ai generosi impeti dello spirito non venisse non solamente a temperare l’idea, ma renderla sublime e degna del cielo. Quest’è ben più che la comparazione del guerriero al cavallo, in Omero, in Virgilio, nel Tasso. Diresti ch’ell’ abbia letto in Virgilio: «Ruptis fugit paesepia vinclis Tandem liber equus, campoque potitus aperto». Dante: «..... A noi dier volta — Come schiera che corre senza freno — In tre voli tanto spazio prese — Disfrenata saetta».
  712. Così nel Boccacio e in Dante. Eleonora, figliuola del Principe d’Antiochia, vedova di re Pietro I, regnava per Pietro II, minore. Gregorio XI raccomandò l’isola pericolante a Raimondo Berengario Gran Maestro di Rodi. Forse Eleonora stessa desiderò che il suo ambasciatore parlasse alla Senese, la cui fama poteva essere giunta nell’Oriente, più prossimo allora all’Italia che non sia coi vapori d’adesso: ma certamente quell'inviato, stando in Pisa a aspettare l’imbarco per Avignone, avrà cercato di Caterina, non ella di lui. Non dice, io gli parlai, ma parlommi; che è più dignitoso appunto perché più modesto.
  713. I Genovesi. La figliuola di repubblica tratta senza cerimonie la potente repubblica vincitrice di Pisa.
  714. Figliuola a Carlo d’Angiò duca di Calabria e a Maria di Valois, figliuola di Carlo di Valois, fratello di Filippo il Bello: e questo Carlo è quello col soprannome di Senzaterra. Nacque nel 1324; ebbe quattro mariti: Andrea d’Ungheria suo cugino, Lodovico di Taranto suo cugino, Giacomo d’Aragona principe di Maiorica, Ottone di Brunswich. Nel 1348, anno pestilenziale davvero, vendette ai papi per ottantamila fiorini d’oro Avignone e la Contea Venassina. I papi la difesero, accusata dell’avere ucciso il primo marito. Qui la chiama reverendissima, titolo fin dal settimo secolo dato a monache; e Dante e il Boccaccio lo dà a secolari, e il Villani fa reverendissima la corona di Francia. Venerabile qui chiama Giovanna, e chiamerà il re di Francia
  715. Paura non solo della pena, ma anco del corruccio, quando non sia per affettuoso dolore di dispiacere al padre, ma perchè se ne aspetti incomodo o umiliazione.
  716. Siate figliuola, e anche serva; ma serva vera, cioè con affetto, e non schiava. Osservate i cenni di lui, i suoi voleri.
  717. Il fare riguarda gli atti contrari, lo schivarsi le omissioni e i sotterfugi dell’accidia.
  718. Avrebbe a essere sbaglio, e qualcosa mancare.
  719. Sta per continuamente, perpetuamente secondo l’origine di aviternus. Orazio: «Serviet aeternum, quia parvo nasciet uti».
  720. Sentendosi il figliuolo per l’origine quasi uno col padre, la coscienza di sé gli dà forte il sentimento dell’affetto ch’e’ deve a chi lo procreò con amore.
  721. Di figlio a padre. Così, amore di patria, alla patria.
  722. Può stare anche senza l’il, come in Dante: «Fuggami errore, è giugnemi paura» ma credo che qui ell’abbia dettato l’articolo.
  723. Non solo fare a salti, o con sentenze e in parole e in carta, ma sì mantenerla; e che i magistrati la tengano.
  724. La stampa ad operare. E c’è esempi del trovare, coll’a: ma qui meglio adoperare all’antica per operare. Ed è il modo di Paolo: «Operatur in nobis».
  725. Siccome il figliuolo ama e obbedisce il padre, perché sente nella propria la vita di lui; così l’uomo ama Dio non solamente per la bontà di lui che in sé prova, ma per l’imagine divina che in sé riconosce. L’amore di sé, come d’ogni altro bene, gli è scala a Dio. Delicato e profondo concetto, dedotto dalle viscere dell’umana natura, e che dei sentimenti naturali fa prova novella ai soprannaturali. Lettere di S.Caterina - Vol. II.
  726. Ora direbbero con l’eleganza solita individualmente.
  727. Ma disposizione corriponde al volessero di sopra; che è meno del desiderio.
  728. Nell’edifizio, uno de’ più maravigliosi del mondo, il cui suolo è la terra portata di Palestina, e forse impressa un giorno dal piede del Re mansueto, non si sa che romiti abitassero. Ma giova pensare che come a Betlemme e negli altri luoghi santi, trovando le memorie dell’Oriente nel bel mezzo d’Italia, uomini pii scegliessero quel luogo a nido di meditazione e patria dell’anima. Il Burlamacchi domanda se qui non s’intenda di san Giovanni al Gaetano fuori di Pisa, ove stette del tempo come in deposito la terra sacra, e dove abitavano Camaldolesi. Ma non lo direbbe, cred’io, Campo santo. E quell’altra memoria mi piace più.
  729. Virgilio: «Glebasque jacentes Pulverulenta coquat maturis solibus cestas». Onde delle cose divine, in Dante, l’Apostolo:

    «Drizza la testa, e fa che t’assicuri
    Che tutto quel che vien dal mortai mondo,
    Convien che a’ nostri raggi si maturi».

    Poi segue che i monti (cioè gli apostoli) gl’incurvarono gli occhi (glieli fecero abbassare) col proprio pondo (col grande splendore): imagine più strana che questa di Caterina; perché più ricercata men propria.
  730. Apparisce di qui come annegato nel suo intendimento corrisponda a immerso, a assorto; che dicesi tuttavia di pensiero, d’affetto, di cure e d’occupazioni.
  731. La stampa: immotto. Forse manca una parola che leghi col tiranno. Poi interrompe, per interrogare lui stesso. Doh, più forte che deh: significa meraviglia.
  732. Vivano al bene, e si facciano sempre più vivaci a far vitale la morte.
  733. Compiuta e vivente, e forma dell’anima vostra.
  734. La stampa: di largarsi.
  735. Per si apre, l’ha anco il Chiabrera.
  736. Un inno:«Flammeam Dum solis accendis rotam».
  737. La stampa: che voglio.
  738. Forse amore.
  739. Forse penne.
  740. Scrive Caterina; per solito Catarina, non solo alla senese, ma come altri dialetti.
  741. Non è l'atto nelle materiali forme giusto, non è la letterale esecuzione della legge, che faccia la giustizia, ma l’intenzione ed il sentimento giusti. Può anco la giustizia operarsi ingiustamente, se a mal fine, o con animo passionato. Quindi appare più bello il buona faccia di sopra, dopo detto sicura.
  742. Dante: «La pena ch’è giudicata in sulle tue accuse». Bello, che l'uomo si faccia suo giudice, la memoria accusatrice; la quale non ha merito per sé dell’accusa, anzi irriterebbe e dispiacerebbe, se la volontà non se ne dolesae umilmente; e il dolore della volontà sarebbe o languido, o cupo, o sragionevolmente accanito, se l’intelletto, non lo illuminasse e che lo regolasse: e il giudizio dell’intelletto sarebbe inefficace, se prima il cuore che il corpo non eseguisse il giudizio, e operasse l’espiazione.
  743. Fa sé stessa rettore, per non dire così diventerete; che non sarebbe parola di donna,
  744. Rettore dello spedale della Misericordia.
  745. Era usanza che il debitore fosse obbligato a tener la mano sopra una stanga finché non pagasse, e se non pagava, recidergliela. La legge smessa, fu rinfrescata in Siena nel 1446. E al debitore di lire mille, se non pagava entro un mese, tagliassesi un piede sopra una stanga a tale uso. Intendesi che il debitore non teneva lì la mano sempre: ma gli era una di quelle formule del jus patrizio, che in assai cose fu jus d’usurai, così come poi gli usurai diventano o di diritto o di latto patrizi, così era un simbolo dei nexi romani, rappresentati in lunga allegoria nello Scylok dello Shakespeare. E nella Bibbia obbligare la mano, tenderla, e simili, valeva riconoscersi debitore; onde l’origine di mallevadore che intesi pronunziare manlevadore ai Lucchesi. E qui Caterina accenna alle parole evangeliche, del rendere fino all’ultimo quadrante.
  746. Ora dicesi disposizione. Fare fosse penitenza d’ingiustizia da questo marchese commessa; e che, per celare lui, Matteo, facesse verso i danneggiati l’ammenda, o, non potendo verso loro con le famiglie, ne sovvenisse i poveri, o destinasse la somma ad altri buoni usi.
  747. Apprese a scrivere da sé nel 1377. E per le lettere più importanti, aveva segretari i discepoli, Pagliaresi, Canigiani, Maconi: per le più famigliari, le amiche. Così il Burlamacchi: ma da questa a un senatore, che avrebbero scritta le compagne se e’ erano, vedesi ch’ella adoperava la mano degli uni e delle altre, come cadesse; e ce ne voleva parecchie delle mani, se Caterina dettava tre e più lettere a un un tratto. E questo prova che, senza tante scuole del governo, le donne di quella repubblica sapevano scrivere.
  748. Pagliaresi. Argutamente nota il Burlamacchi che dopo gli atti ostili nel senese fatti dal priore di Pisa, non poteva senza sospetto un gentiluomo di Siena andarsene a Pisa; e richiedevasi quel ch’ora direbbero passaporto, il permesso della polizia.
  749. Lisa de’ Colombini, moglie a Bartolo, un de’ fratelli di Caterina.
  750. Questa dell’Agnello rammenta un’imagine, che ai moderni avrebbe a parere più strana, in Dante, che, dopo dipinto le capre ruminando manse.... State poterve, prima che sia pranse, soggiunge: io come capra. E il pranzo delle capre rammenta quell’altro de’ principi gloriosi, i quali Laudano il cibo che lassù, si prande.
  751. Vangelo:«Esuriunt et sitiunt justitam». Dante: «Esurièndo sempre quant'è giusto».
  752. Il fatto e l’esempio è, come la parola, espressione dell’anima e dell’idea.
  753. Ivi, in quello stato.
  754. Nel senso di laborare, che dicesi degli estremi dolori.
  755. Parola di gran prelato, tra la compassione e l’uggia dei voleri di questa monaca che lo vuole confitto in croce.
  756. Se l’imagine pare sconveniente e di troppa famigliarità, non è del tutto impropria. Il corpo dicesi vaso, e dicevano la botte vasello. L’umanità velava la divinità. Ma forse ella avrà ’detto celò.
  757. Non potendo giovare a lui, non abbisognante di noi, gioviamo ai fratelli, ne’ quali egli vuole amato sé stesso.
  758. Fin dal 1372 e 73 aveva Gregorio raccomandata la guerra contro i Turchi, i quali, vinta Valacchia e Serbia, guastavano i paesi greci e gli slavi. La guerra fraterna di Venezia con Genova fu de’ più gravi impedimenti all’impresa.
  759. L’angusta riflessione sopra sé, senza riguardo di vincoli che obbligano l’uomo all’universo e al comune Creatore, è cosa fredda e buia. Ma considerare in sé la verità eterna e uno specchio di tutte le cose, non si può senza quella luce che non va disgiunta mai dal calore.
  760. L’umidità è segno e causa di dissoluzione; onde il doppio senso di fradicio.
  761. Non arroga a sé le facoltà dell’altre creature, facendo sé centro dell’universo; ma si comunica e immedesima a tutte, conoscendone meglio i pregi per lo studio di se, e non aggravando i difetti, umiliata dalla propria esperienza.
  762. Qualcosa manca.
  763. La Pazzi a cui Caterina dettava.