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186 LETTERE DI SANTA CATERINA

può ritenere né dilettare1 né pensare, che del diletto suo che egli ama,2 e l’amore ineffabile che egli vede che egli ha a lui e a tutta l’umana generazione. Onde subito la memoria ritiene questo in sé; e diventa amatore di Dio e del prossimo suo; in tanto che cento migliaia di volte porrebbe la vita per lui. E non ragguarda a utilità che tragga da lui; ma solo perché vede che solamente Dio ama la sua creatura, si diletta d’amare quello ch’egli ama. Adunque bene possiamo dire che egli è drittamente fuoco che scalda e allumina, e converte in sé. E accordansi in questo fuoco le tre potenzio dell’anima, cioè la memoria a ritenere li beneficii di Dio, lo intendimento a intendere la bontà; e la volontà si distende ad amare per sì fatto modo che non può altro amare né desiderare veruna cosa fuore di lui. E tutte le sue operazioni sono dirizzate in lui; e non può vedere altrimenti, ma sempre pensa di fare quella cosa che più piaccia al suo Creatore. E perché vede che veruno sacrificio gli è tanto piacevole quanto essere mangiatore e gustatore dell’anime, mai non se ne sazia. E singolarmente a voi, padre, richiede Dio, e a’ vostri pari, questo zelo e sollecitudine. Questa è la via di Cristo crocifisso, che sempre ci darà il lume della Grazia. Ma tenendo altra via, anderemo di tenebre in tenebre, e nell’ultimo alla morte eternale. Ricevetti, dolce padre mio, la lettera vostra

con grande consolazione e letizia, pensando che vi

  1. Per dillettarsi; come tanti altri rifleessivi che, segnatamente nell’antico diventano neutri assoluti.
  2. Di quel ch’è diletto, o gradito, a Cristo, e che però è amato dall’uomo. Se non si voglia che il diletto sia Cristo stesso, amato dall’uomo; come nella cantica: «Dilectus meus mihi et ego illi;» e Dante: «Del nostro diletto».