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282 lettere di santa caterina

si può sconfiggere li nemici se non coll’arme e senza timore; e che volontariamente1 entri nella battaglia, e dispongasi alla morte, e che ami la gloria che seguita dopo la battaglia, in questo modo noi, che siamo posti nel campo a combattere contro li nostri nemici, cioè centra il mondo, la carne e ’l dimonio, senza l’arme non potremmo combattere, né ricevere li colpi che non ci offendessero. Che arme dunque è quella che ci conviene avere? Di coltello. Convienti anco avere la corazza della vera carità, la quale ripara e’2 colpi, che ci dà il mondo in diversi modi, e a molte tentazioni del dimenio, e a’ colpi della nostra fragilità, che impugna centra lo spirito, come detto è. E conviensi che la corazza abbia la sopravvesta 3 vermiglia, cioè il sangue di Cristo crocifisso, unito, intriso e impastato4 col fuoco della divina carità.

E questo sangue conviene che sia scoperto, cioè che tu il confessi dinanzi a ogni creatura, e non lo ascondi, confessandolo per buone e sante operazioni, e con la parola, quand’egli bisognasse:

  1. Le battaglie che ci colgono alla sprovvista, diffideati, svogliati sono vinte già prima che cominciate. La speranza della gloria deve sospingere il pensiero al di là dei limiti della battaglia, cioè della vita. Così la vita è non pure caparra, ma preludio d’immortalità.
  2. Da quel che segue parrebbe doversi leggere a’.
  3. La portavano sopra l’armatura i guerrieri a cavallo.
  4. Sangue e fuoco, riscontransi spesso in queste lettere uniti; simbolo dell’età, che, segnatamente in Italia, era un terribile misto indistinto di guerra e d’amore. Né l’imagine del sangue impastato col fuoco parrà strana a chi rammenta le folgori temprate in Virgilio.


    «Tres imhris torti radios, tres nuhis aquosae
    Addiderat, rutili tres ignis et alitis austri;
    Fulgores simul horrificos sonitumqm metumgm
    Miscuerant operi, flammisque sequacibus ira».

    E questo giovi a raffronto tra il Giove pagano, e il Verbo e lo Spirito del Dio a’ Cristiani padre.