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lettere di santa caterina 163

mo; e davagli una pazienzia contra ogni ingiuria che gli fusse detta o fatta, e una fortezza dolce1 in sapere portare e sopportare2 i difetti del prossimo suo. Allora l’anima che sì dolcemente ha acquistata la virtù avendo seguitate le vestigio del suo Salvatore, rivolse tutto l’odio che aveva al prossimo suo, verso sé medesimo, odiando e’ vizi e’ difetti e i peccati che ha commessi contra il suo Creatore, Bontà infinita. E però egli vuole fare vendetta di se, e punirli sopra la parte sensitiva sua: cioè, che come la sensualità e vivere mondano egli 3 appetisce odio e vendetta del prossimo suo; così la ragione ordinata in perfetta e vera carità, vuole fare il contrario, volendo amare e pacificarsi con lui. E così tutti quanti e’ vizi hanno per contrario4 le virtù. E questa è quella virtù che fa pacificare l’anima con Dio; sicché con la virtù vendica l’ingiuria che egli ha fatta.

E però vi dissi che desideravo di vedere el cuore e l’affetto vostro pacificato col vostro Creatore. Questa è la vera via: veruna altra ce n’ha. Io dunque, figliuoli miei, avendo desiderio della salute vostra, vorrei che col coltello dell’odio fosse

  1. Gentile aggiunto a fortezza; e ritrae tutta l’anima che lo dettò.
  2. Portare non basta; e si può con mal garbo: nel sopportare è la forza, perché il peso non si trascina ma si regge.
  3. Può non essere errore, ma ripieno; come in Dante: «S’egli erra L’opinion.... de’ mortali».
  4. Paro sentenza troppo semplice; ma inchiude, se non sbaglio, un senso riposto. A fare il bene è norma in certa guisa il male stesso, inquantochè basta tenere la via contraria. In secondo luogo, del bene da farsi, in certo modo è misura il male fatto da noi o da altri; il qual bisogna compensare equamente, e poi vincere sovrabbondando. In terzo luogo la forza che l’uomo spese nel male, gli si fa fino a un certo segno speranza a poterne spendere nel bene altrettanta, e maggiore, per la virtù nel bene insita.