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108 | lettere di santa caterina |
ché la mia c’è. Dicovi, che assai volte, quand’io ho fatto ciò ch’io ho potuto, e io entro dentro da me a cognoscere la mia infirmità, e Dio1 che per singolarissima grazia m’abbia fatto correggere il vizio della gola; dogliomi molto, ch’io la mia miseria non l’ho corretta per amore. Io per me non so che altro rimedio ponermici,2 se non ch’io prego voi che preghiate quella somma eterna Verità che mi dia grazia, se gli è più suo onore e salute dell’anima mia, che mi faccia prendere il cibo, se gli piace. E io son certa, che la bontà di Dio non spregierà le vostre orazioni. Pregovi che quello rimedio che voi ci vedete, che voi me lo scriviate; e pur che sia onore di Dio, io il farò volentieri. E anco vi prego che voi non siate leggiero a giudicare, se voi non sete bene dichiarato3 nel cospetto di Dio. Altro non vi dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Gesù dolce. Gesù amore.
XCIII. — A monna Orsa Donna di Bartolo Usimbardi, e a Monna Agnesa Donna di Francesco di Pipino sarto di Firenze.
Riguardare non quello che s’è fatto di bene, ma quello che resta a farsi. Tocca de’ suoi detrattori con umiltà dignitosa.
Al nome di Gesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.
Carissima figliuola in Cristo dolce Gesù, io Catarina, serva e schiava de’ servi di Gesù Cristo,
- ↑ Conoscere Dio, cioè la bontà di lui. Paro intenda che non per merito d’amore e d’astinenza, ma per necessità del suo temperamento, ella sia divenuta a nutrirsi così di poco.
- ↑ Il mi, come ne’ modi: «non so che mi dire, che mi pensare».
- ↑ Per chiarito, nel senso che Dante dice: «Mi fa chiaro». Ne’ Fioretti: «di che non sapendo dichiarare sé medesimo».