Rime dell'avvocato Gio. Batt. Felice Zappi e di Faustina Maratti sua consorte
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1723
RIME
DELL’AVVOCATO
GIO. BATT. FELICE ZAPPI
E DI
FAUSTINA MARATTI
SUA CONSORTE.
SULLA XV EDIZIONE VENETA
ESPURGATA ED ACCRESCIUTA D’ALTRE RIME
DE’ PIÙ CELEBRI ARCADI DI ROMA.
TOMO I.
CONTENENTE SONETTI.
NAPOLI
1833.
Indice
Tirsi, di ripigliar vicina è l'ora
di Alessandro Pegolotti (1723)
Tirsi, qui appunto, ove in quest'urna incisa
di Vincenzo da Filicaja (1723)
Di febbre ria, ma più dal duolo oppressa
di Giuseppe Paolucci (1723)
Tirsi, se udrò mai più che Aglauro canti
di Giuliano Sabbatini (1723)
Mossi poc'anzi alla Foresta Ascrèa
di Juan Antonio de Vizarrón y Eguiarreta (1723)
Canzone epitalamica per nozze delli sigg. Zappi Maratti
di Paolo Antonio Del Nero (1723)
In funere Jo. Baptistae Zappi
di Michele Giuseppe Morei
Egloga
di Claudio Niccolò Stampa
Quando ad Amor od a Fortuna piacque
di Giovanni Battista Recanati (1723)
Carlo morìo, e alla sua tomba intorno
di Andrea Maidalchini (1723)
Donna gentil, che il nobil petto adorno
di Giacomo Canti (1723)
I. Qualunque dotto ingegno a lodar prende
di Giovan Battista Ciappetti (1723)
II. Per onorar le nostre umane inferme
di Giovan Battista Ciappetti (1723)
I. E qual sì industre man ritrar poteo
di Giovan Pietro Zanotti (1723)
II. Ben mi può torre, che a mirar non giunga
di Giovan Pietro Zanotti (1723)
M'è sparito dagli occhi il mio bel Sole
di Giovan Battista Catena (1723)
Chè non vieni, Aglauro bella
di Carlo Innocenzo Frugoni (1723)
Alla Stessa
di Carlo Innocenzo Frugoni (1723)
Or che Sirio in Ciel risplende
di Giuseppe Paolucci (1723)
I. Quand’io men vò verso l'ascrea montagna
II. O della stirpe dell’invitto Marte
III. Che far potea la sventurata, e sola
IV. O luccioletta, che di quà dall’Orno
V. Chi è costui, che in sì gran pietra scolto
VI. Alfin col teschio d’atro sangue intriso
VII. O pellegrin, che in questa selva il piede
VIII. Quel dì, che al Soglio il gran Clemente ascese
IX. Ardo per Filli. Ella non sa, non ode
X. Per far serti ad Alnano io veggio ir pronte
XI. Poichè dell’empio Trace alle rapine
XII. Io veggio entro una bassa e vil Capanna
XIII. Morte, il tuo fero artiglio in van si stende
XIV. Talora io parlo a un colle a un rivo a un fiore
XV. Il Gondolier, sebben la notte imbruna
XVI. Questi è il gran Raffaello. Ecco l’idea
XVII. S’è ver ch’ogn’Uom intègro era da pria
XVIII. In van resisti: un saldo core e fido
XIX. O Violetta bella, che ti stai
XX. Quando Matilde al suo sepolcro accanto
XXI. Stassi di Cipro in su la piaggia amena
XXII. Un Cestellin di paglie un dì tessea
XXIII. Al Tribunal d’Amore un dì n’andai
XXIV. Quando per girne al Ciel di morte a scherno
XXV. Ecco il Parnaso: ecco gli allori, e il biondo
XXVI. Tal mi fè piaga un Garzon fero e rio
XXVII. E qual sul Tebro pellegrina e rada
XXVIII. Sognai sul far dell’Alba, e mi parea
XXIX. La prima volta, che io m’avvenni in quella
XXX. Un giorno a’ miei pensier disse il cor mio
XXXI. Signor, tutto dell’Asia il Popol empio
XXXII. Nacque a Tirinto ier, (che gaudio ha il core!)
XXXIII. La prisca Roma del sepolcro fuore
XXXIV. Sotto mi cadde quel destrier feroce
XXXV. A governar di Pietro il sacro legno
XXXVI. Che se tornar dopo tant’anni e tant
XXXVII. Due ninfe emule al volto, e a la favella
XXXVIII. In quell’età ch’io misurar solea
XXXIX. Vago, leggiadro, caro Bambolino
XL. Vincesti o Carlo. D’atro sangue impura
XLI. Chi è costui, che in sì gran pietra scolto
XLII. Dalla più pura, e più leggiadra stella
XLIII. Questo è il dì, che nel Cielo il Sol vestissi
XLIV. Cento vezzosi pargoletti Amori
XLV. Illustre Duce che i trionfi tuoi
Traduzione dell’antecedente sonetto di Gaetano Manfroni
XLVI. Tornami a mente quella trista, e nera
XLVII. Nasce l’illustre Ciro, e nasce appena
XLVIII. Presso è il dì che cangiato il destin rio
XLIX. Che si farà di questa ampia Antonina
L. D’allor che adorna l’eliconia gente
LI. Anime illustri, il cui gran nome in queste
LII. Viva l’Augusto Carlo. Oppressa e vinta
LIII. Amor s’asside alla mia Filli accanto
LIV. Io veggio, ahimè, che il biondo crin s’annegra
LV. Lucido sol che non derivi altronde
I. Dolce sollievo dell’umane cure
II. Che? non credevi forse, anima schiva
III. Io porto, ahimè, trafitto il manco lato
IV. Pensier, che vuoi, che in così torvo aspetto
V. Qualora il tempo alla mia mente riede
VI. Non so per qual ria sorte, o qual mio danno
VII. Questo è il faggio, o Amarilli, e questo è il rio
VIII. Da poi che il mio bel Sol s’è fatto duce
IX. Allor, che oppressa dal gravoso incarco
X. Ahi che si turba, ahi che s’innalza e cresce
XI. Bacio l’arco e lo stral, e bacio il nodo
XII. Dov'è, dolce mio caro, amato Figlio
XIII. Cadder preda di morte e in pena ria
XIV. Bosco caliginoso orrido e cieco
XV. S’è ver ch’a un cenno del crudel Caronte
XVI. Invido Sol, che riconduci a noi
XVII. Per non veder del vincitor la sorte
XVIII. Se mai degli anni in un col corso andranno
XIX. Quando l’almo mio Sol fra gli altri appare
XX. Poichè il volo dell’Aquila latina
XXI. Or qual mai darem lode al pregio vostro
XXII. Io non so come a questa età condotte
XXIII. Io mi credea la debil navicella
XXIV. Prese per vendicar l’onta e l’esiglio
XXV. Chi veder vuol come ferisca Amore
XXVI. Questa che in bianco ammanto, e in bianco velo
XXVII. Ahi ben me ’l disse in sua favella il core
XXVIII. Muse, poichè il mio Sol gode e desìa
XXIX. Donna che tanto al mio bel Sol piacesti
XXX. Ombrose valli, e solitari orrori
XXXI. Ovunque il passo volgo, o il guardo io giro
XXXII. Amato figlio, or che la dolce vista
XXXIII. Poichè narrò la mal sofferta offesa
XXXIV. Fra cento d'alto sangue illustri e conte
XXXV. Ah rio velen delle create cose
XXXVI. Nuovo al bel Tempio suo crescendo onore
XXXVII. Donna real che d'Imeneo la legge
XXXVIII. Scrivi, mi dice un valoroso sdegno