Canzone epitalamica per nozze delli sigg. Zappi Maratti
Questo testo è stato riletto e controllato. |
PAOLO ANTONIO DEL NEGRO
canzone epitalamica
PER NOZZE DELLI SIGG. ZAPPI MARATTI.
Sulla Riva del Penèo
Stava Dafne ancor fastosa
In pensar che disdegnosa
Già deluse il Nume Ascrèo,
Ch’a rapirla mentre corse,
6Divenir Lauro la scorse.
Corsi avea mille e mill’anni
Da quel dì che mutò forma,
Nè però l’antica norma
Perdè mai tra i propri danni;
Ch’ella ancor vegeta, e vive
12Di sue voglie acerbe e schive.
De’ suoi rami all’ombra verde
Mille inganni eran conversi
Con gran lodi, e vaghi versi,
Quali il vento pur disperde,
Ch’a ben pochi ella risponde
18Coll’onor delle sue fronde.
Solo un dì vicino a lei
Diè di man Tirsi alla Lira,
Con la qual tai grazie spira,
Che innamora Uomini e Dei.
Bella Dafne, egli dicea,
24Bella Dafne, amata Dea,
Dunqu’è ver, ch’ancor tu serbi
Fra tue brame inique e crude
In sembianza di virtude
I tuoi genî più superbi?
Dunqu’è ver che mai non pensi
30Di mutar gli antichi sensi?
Se cangiar gli aspri costumi
Tu volessi e il cor feroce,
Tenterei con la mia voce
Di placar gl’irati Numi:
E far sì, che in le tue forme
36Novamente ti trasforme.
Non è sol d’Orfeo la Cetra,
Che da’ regni della Morte
La smarrita sua Consorte
Ritirar col canto impetra:
Cangia omai l’usanza rea,
42Bella Dafne amata Dea.
A tal dir rise ciascuno,
In udir, com’ei ricorda
Vecchi amori ad una sorda,
Ch’ora è tronco oscuro e bruno;
E rideano: chè il lamento
48Sparga Tirsi invano al vento.
Ma la Ninfa, che tra i rami
Riteneva umana mente,
Pensa udir Febo presente,
Che all’antico Amor la chiami:
Tal le sembra al biondo crine,
54E alle Rime alte e divine.
Omai stanca di star sempre
Sotto il vel di dura scorza,
Apre il cuore a nuova forza,
Che l’invoglia a cangiar tempre:
Volge a Tirsi il vago ciglio,
60E d’amar prende consiglio.
Cesse appena al nuovo affetto
Che ogni ramo si disciolse:
E alla prima effigie volse
Il bel volto, il fianco, il petto:
Tal se ’n va la rozza vesta
66Col rigor ch’ella detesta.
Era pur bella a vederse
Da quel tronco apparir fuore,
Con miracolo maggiore
D’allor quando i rami aperse:
Poichè puote lunga etade
72Conservar tanta beltade.
Nero ha il crine, e bianco il volto,
Come l’Alba in Orizzonte,
Che ha la notte in sulla fronte,
Ed il dì nel viso accolto.
Non così bella sorgea
78Dalle spume Citerea.
E pentita dell’asprezza
Già mostrata al caro Amante,
Verso lui muove altrettante
Dolci grazie, e l’accarezza:
E poich’altra si ravvisa
84Cangiar nome ancor s’avvisa.
Non più Dafne, disse, io voglio,
Che verun giammai mi nome:
Resti pur l’ingrato nome
Alla fronda, ch’io mi spoglio:
Resti ancor l’aspro soggiorno,
90Nè più qui faccio ritorno.
Così detto, al dubbio affanno,
Ch’ondeggiava a Tirsi in viso,
Che non era il Dio d’Anfriso
Ben notò: ma dell’inganno
Non le increbbe, chè ha gentile
96Quanto Febo aspetto e stile.
Duo bei rami coglie alfine
Della sua spogliata fronda,
E coll’uno a sè circonda,
E coll’altro a Tirsi il crine,
Chè ambidue portan corona
102Nel bel Regno d’Elicona.
Che non men di Tirsi appresa
La bell’Arte avea la Bella
Coll’armonica favella,
Che da tanti aveva intesa:
Sembra Tirsi il biondo Dio,
108E la Ninfa Euterpe o Clio.
Ma seguendo il suo pensiero,
L’alta Coppia il cammin prese,
E dell’Arcade paese
Cittadini ambo si fero:
E la Bella, qual risolse,
114Qui d’Aglauro il nome tolse.
Scese allora il santo Imene,
Ch’ambidue stringe ed allaccia:
Mentre poi l’un l’altro abbraccia,
Risuonar l’acque e l’arene,
E rispose il Cielo e l’aura:
120Viva Tirsi e viva Aglaura.