Rime dell'avvocato Gio. Batt. Felice Zappi e di Faustina Maratti sua consorte/Prefazione
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Amico lettore | Rime a Tirsi Leucasio | ► |
PREFAZIONE
di
GIO. BATTISTA CATENA.
Prima di presentarti, o Lettore, le Rime del celebre Avvocato Gio: Battista Felice Zappi, ho stimato degno della tua notizia il breve elogio, che qui ti descrivo della di lui nobile origine, studio, ed onori da lui riportati non tanto dalla Corte di Roma, che dalla Repubblica de’ Letterati.
Nacque adunque Gio: Battista Felice Zappi da Evangelista nobile della città d’Imola: e conosciutasi da’ di lui genitori l’indole del fanciullo vivace, e inclinata agli studi, fu da loro mandato nel Collegio di Mont’Alto in Bologna, ove in età di anni tredici fu con universal maraviglia laureato da Ulisse Giuseppe Gozzadini, indi Cardinale amplissimo di santa Chiesa. Non contento poi il Zappi di star ristretto nell’angustie di quelle città convicine, che poco di gloria, e meno di fortuna contribuir gli potevano, s’elesse la Corte di Roma, ove portossi per esercitarsi nell’Avvocazione, impossessatosi pienamente e della teorica e della pratica, che in tal professione richiedesi: onde meritò da quel Regnante Pontefice Innocenzio XII esser onorevolmente provveduto delle cariche d’Assessore del Tribunale dell’Agricoltura, e di Fiscale di quello delle Strade. L’oggetto però della di lui più geniale occupazione era la Poesia, ed ogni sorta d’erudizione sagra e profana: impulso per esso il più dilettevole, e grato, di frequentar le Accademie, fra le quali fioriva nel tempo del di lui arrivo in Roma quella degl’Infecondi, in cui dando egli i primi saggi del suo raro talento, fu contraddistinto per uno de’ primi Accademici del nostro secolo. Insinuatosi poscia nell’amicizia di alcuni ragguardevoli Letterati, instituì con esso loro la Ragunanza degli Arcadi, ove fra i primi Pastori fu chiamato col nome di Tirsi Leucasio: nè vi fu in quel tempo chi con maggior diligenza, ed amore la frequentasse, nè chi fosse desiderato ed aspettato con più desiderio, e stima di lui: tantochè ogni piccolo componimento, quantunque detto all’improvviso, faceva in quella Ragunanza la prima figura. Fu esso il primo, che v’introdusse le Egloghe in terze Rime, intersiate di vari metri e di più Interlocutori, cadauno de’ quali recitar dovesse co’ propri versi. Tutti i di lui componimenti venivano universalmente stimati ed applauditi, e molto più li Sonetti, che per lo stile pien di vezzo, di brio, e chiarezza, oltre all’esser di gusto perfetto, riuscivano grati al segno maggiore, perchè detti con ispirito e vivacità naturale, e con forme al di lui costume obbligante e pieno di gentilezza. Nè qui si deve tralasciare di far menzione del conto, che di lui fece la s. m. di Clemente XI Pontefice Massimo, e degli onori e grazie che la Santità sua degnossi di compartirgli: poichè dopo d’avere stabilita in Campidoglio l’Accademia del Disegno, gli diede l’onor del Discorso per l’aprimento di essa, goduto solamente da Prelati e Persone più distinte. Dalla clemenza di quel santo Pontefice non andò disgiunto il patrocinio e parzialità di stima, e l’affetto di più Porporati, amplissimi Mecenati del nostro secolo: tra’ quali Benedetto Pamfili, Pietro Ottoboni, e Ulisse Giuseppe Gozzadini, come fautori della Virtù, onorarono frequentemente il Zappi della loro benignissima confidenza, ora in città, ora nelle loro delizie d’Albano e Frascati, ora nelle domestiche private Assemblee, e massime nelle pubbliche Ragunanze, al gran Palazzo della Cancellaria Apostolica, conservando mai sempre l’Eminent. Ottoboni il suo umanissimo paterno amore verso la sua tanto divota, ed eternamente obbligata Arcadia, nata in tempo del Pontefice suo zio Alessandro VIII, ed indi accresciuta, ed illustrata con atti d’una veramente eroica munificenza e generosità sua propria, e connaturale dell’Eccellentissima Casa Ottoboni. Fra le altre Feste e Ragunanze fatte con solenne magnifica pompa da S. E., è rimarcabile quella, che fece nel detto Palazzo la sera delle Calende d’Agosto l’anno 1701, festa volgarmente detta il Ferragosto, ove unitamente dal Zappi e Crescimbeni Custode Generale di Arcadia fu recitata un’Egloga di nuova invenzione intitolata parimente il Ferragosto, in cui si loda la magnificenza e virtù di detto Porporato.
Oltre l’esercizio delle belle Lettere, impiegò il Zappi anche lodevolmente il talento nell’Accademia de’ Concili fondata nel Collegio di Propaganda Fide, in cui lesse in vari tempi molte erudite Dissertazioni sì di materie Conciliari, che di Dogmatiche, e d’Istoria Ecclesiastica. La maggior gloria però che gli fruttasse da tutte le sue occupazioni era quella, che ritraeva dalle Lettere amene, nelle quali niuno in Roma ed in Italia al suo tempo trovossi eguale. In testimonio di che ne fanno ampia menzione gli eruditissimi Muratori nel Trattato della perfetta Poesia, e nelle Notizie Istoriche degli Arcadi morti, nel primo Tomo: nel Giornale 34 de’ Letterati Art. 9, e ne’ Saggi de’ letterari Esercizi de’ Filargiti nel Lib. 2 Lez. 42 di Poetica a car. 522 del Conte Fabrizio Antonio Monsignani. È parimente da notarsi che sino dalle Nazioni Oltramontane sono stati tradotti in diversi idiomi i componimenti del Zappi, e particolarmente gli Anacreontici: e sebbene non sieno state date alla luce dal medesimo le sue Poesie Latine, sono state scritte nondimeno con gusto non inferiore alle Italiane.
Fu poi così amante della virtuosa civil conversazione, che volle praticar mai sempre con persone d’ingegno e costume che fosse più somigliante e confacevole alle sue nobili ed ingenue qualità: onde stimò di soddisfar pienamente al suo genio l’eleggersi una moglie, che accoppiasse all’esterne doti del corpo quelle dell’animo e virtù morali, qual fu Faustina Figlia del famoso Cavalier Carlo Maratti, chiamata fra le Pastorelle d’Arcadia Aglauro Cidonia, celebre per la sua bellezza, virtù e spirito ne’ concetti delle sue Rime, parte inserite nella Raccolta degli Arcadi, parte in quella di Bologna, ed ultimamente in quella di Venezia fra le Rimatrici viventi.
Le lodi di questa virtuosissima Donna sono state cantate, e pubblicate da più eruditi Accademici, ond’io l’ho giudicate degne d’essere nuovamente impresse antecedentemente alle di lei Rime da me raccolte, e unite a quelle del predetto suo impareggiabile Consorte.
La di lui virtù riceveva da pertutto gli encomi e gli applausi, non tanto perchè in se stessa era di perfetta qualità, ma perchè deferendo esso all’altrui talento, ricambiava largamente quella stima e credito, che riscuoteva dagli altri. Quindi è, che teneva sempre viva e la corrispondenza e l’amore co’ primi letterati d’Italia, de' quali egli non tralasciava di far menzione nelle sue rime, come d’un Alessandro Guidi, d’un Vincenzo da Filicaia, d’un Girolamo Gigli, e di tanti altri ch’io lascio di raccontare per non fare una lunga istoria: conservando fra i molti più lunga la confidenza ed amicizia coll’abbate Giuseppe Paolucci e col sudetto arciprete Gio. Mario Crescimbeni.
Ma, siccome l’umane cose a vicende o a cambiamento o ad altra Divina irreparabile disposizione soggette sono, non potè lungamente il nostro Zappi nè del bene che si procacciò col suo virtuoso talento, nè raccogliere il frutto di quelle speranze che gli aveva promesso la corte di Roma: poichè nell’età ancor fresca d’anni cinquantadue assalito da una leggiera malattia, che trascuratamente curata divenne mortale, finì di vivere in Roma lì 30 luglio del 1719 e fu sepolto nella Chiesa di S. Maria degli Angioli de’ P. P. Certosini, avendo lasciato dopo di se un figliuolo di tenera età, e d’indole non dissimile a’ suoi genitori. Tralascio qui (per non tessere un lungo catalogo) di nominare i primi letterati d’Europa, che avendo avuta occasione di trattare e carteggiar seco, hanno dimostrato il loro più sensibile dispiacimento della sua morte per mezzo de’ loro funebri componimenti, come prontamente la nostra Arcadia sua diletta ed obbligata per più titoli, (e massime per essere stata difesa e sostenuta, allorchè temeva di perdersi nelle note scissure insorte) non mancò di palesare e col pianto e con le rime quel dolore, che per la perdita del loro amato collega e compastore aveva concepito: osservandosi fra gli altri nelli due seguenti componimenti latini, il primo di Michel Giuseppe Morei, detto fra gli Arcadi Mireo Roffeatico in una Elegia dedicata a monsignor Nicolò Forteguerri; ed il secondo di Claudio Stampa in un’egloga dedicata all’abbate Francesco Cavoni, da cui fu altresì teneramente compianto.