Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo VII/Libro III/Capo IV

Capo IV – Poesia latina

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Tomo VII - Libro III Tomo VII - Capo V

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Capo IV.

Poesia latina.

I. Se la poesia latina non ebbe quel sì gran numero di coltivatori di cui può i’italiana vantarsi, n ebbe però essa pure in gran copia singolarmente al principio del secolo. Anzi se l’onore dell’una e dell’altra poesia deesi misurar non dal numero, ma dal valor de poeti, a me sembra che la latina possa in confronto dell’italiana credersi più gloriosa e più felice; perciocchè fra’ molti coltivatori della volgar poesia, se non pochi furono gli eccellenti, molti ancora ve n’ebbe che meglio avrebbero provveduto alo’onor delle Muse italiane, se non si fosser dichiarati loro seguaci. Nella poesia latina al contrario la copia degli eleganti poeti Tiraboschi, Voi XIII. i [p. 1972 modifica]Il)7a LIBRO fu, per quanto a me sembra, maggior di quella degl’incolti, e gli scrittori in essa eccellenti superarono in numero gli scrii tori di eccellenti poesie italiane. Nè mi pare che sia a stupirne, io ne ho altrove accennato ancor la ragione. La lingua italiana essendo a noi natìa, e, per così dire, domestica, ognuno lusingasi di leggieri di poter in essa scrivere felicemente j e il metro della volgar poesia è per se stesso sì facile, che molti si persuadono che ad esser poeta basti il volerlo. Qual cosa in fatti più agevole che il far quattordici versi, e persuadersi di aver fatto un sonetto? Or per ciò appunto che sembra aperta ad ognuno 1 la porta del Pindo italiano, infinita è la voi- j gar turba che si affolla ad entrarvi. Ma quanto I pochi son quelli a’ quali venga fatto di es- I servi con onor ricevuti! Quanto è minore la pena che si pruova nello scrivere in una lingua, I tanto è più difficile lo scrivere con eleganza f j e quanto è più veloce la penna, tanto meno si affatica l ingegno, e quindi fra sì gran numero 1 di rimatori sì scarso è il numero de’ poeti. Al contrario chiunque si accinge a poetare in lin- 1 gua latina, dee necessariamente conoscere che j non può ottenerlo senza far molto studio sugli antichi scrittori, da’ quali soli se ne può apprender la norma e l esempio. Egli è dunque costretto a leggere e a rilegger più volte i più perfetti modelli della poesia latina, e con tale attenta lettura ei si viene passo passo formando a quella maniera di pensare e di scrivere che in essi osserva. Egli è vero che senza un vivo ingegno e una fervida fantasia ei non sarò [p. 1973 modifica]TERZO igy3 eccellente poeta, e che questi son pregi di cui a pochi è liberal la natura. Ma finalmente, s’ei non avrà i voli di un Orazio, la maestà di un Virgilio, la naturalezza di un Ovidio, ne avrà almeno la somiglianza; e se non potrà ritrarne in se stesso l’anima, ne ritrarrà almeno i lineamenti e i colori. La stessa fatica che gli è necessario di sostenere scrivendo in una lingua non sua, e cercando le voci adattate alle leggi del metro, lo costringe quasi suo malgrado a riflettere e a pensare. Quindi, come la facilità del verseggiare in lingua italiana rende, come si è detto, difficile il verseggiare con eleganza, così per l opposto la difficoltà a verseggiare in lingua latina rende, per così dire, più facile il verseggiare con eleganza; o, a dir meglio, ci sforza ad usar quello studio e quell’ attenzione di cui l’ eleganza suol esser frutto., 11. Nè io voglio inferire da ciò che mediocri e cattivi poeti latini non vivessero anche nel secolo di cui scriviamo, e al principio di esso singolarmente, quando l'antica barbarie non era ancora interamente dileguata. Andrea Alciati scrivendo nell’an 1520 a Francesco Calvi (postMarq. Gudii Epist. p. 84), gli manda alcuni suoi Endecasillabi contro i cattivi poeti, e in essi veggiam nominati i seguenti: Marsi, Camperii, Rubri, Caquini, Saxae, Cantalyci, Plati, Paloti, nomi oramai sconosciuti, seppure nel secondo verso ei non intende di nominare Panfilo Sassi, il Cantalicio e Piatino Piatti da noi nominati nella storia del secolo xv, poeti che [p. 1974 modifica]I9y4 LIBRO allora ebbero plauso, perchè era facile l ottenerlo, ma che furono dimenticati, quando si richiamò dal sì lungo esilio l’antica eleganza. Fra’ cattivi poeTi fu ancor riposto dal conte. Niccolò d’Arco il medico mantovano Giambattista Fiera, contro cui sembra ch’ei fosse altamente sdegnato. Ecco com’egli ne parla scrivendo a Jacopo Calandra: Remitto tibi Carmen invenustum, Calandra optime, pessimi Poetae, Immo toxica ferrei Fierae Insulsi, illepidi, et senis recocti. L. 3, carm. 15. E altrove ancora ne parla con molto disprezzo (epigr. 16, 17, ec.). Fu per altro il Fiera uom dotto in medicina, in filosofia e in belle lettere, e molte opere in prosa e in verso se ne hanno alle stampe, fra le quali un poema De Deo Homine. Ma lo stile ne è rozzo comunemente, gonfio ed oscuro. Di lui più copiose notizie somministrerà a chi le brami il chiarissimo Bettinelli (Delle Lett, ed Arti mantov. p. 99, ec.). Ad essi si può aggiugnere un cotal Perisaulo Faustino Tradocio, di cui si hanno alle stampe alcune poco felici Poesie latine stampate in Venezia nell’an 1524 Ed altri ancora se ne potrebbon qui additare, se la copia degli eccellenti poeti che ci si offre innanzi, non ci persuadesse a passar sotto silenzio coloro che non son degni di sì bel nome. Ma se furono anche a que’ tempi poeti duri ed incolti, fu frutto del buon gusto, che regnava in quel secolo, il disprezzo e la dimenticanza in cui giacquero; e noi ancora perciò, senza trattenerci [p. 1975 modifica]TERZO nel dir di essi, passiamo a coloro che più belle testimonianze lasciaronci del lor valore nel poetare. III. Come la corte di Leon X parve rinnovar la memoria di quella d'Augusto, così il numero e il fior de’ poeti che a quel tempo viveano in Roma, parve emular le glorie di quel secolo sì rinomato. Un bel monumento ne abbiamo nel poemetto elegiaco di Francesco Arsilli intitolato De Poetis urbanis, che va unito alla Raccolta di Poesie latine intitolata Cory ciana, della quale abbiamo altre volte parlato. Essa fu stampata in Roma nel 1524, a’tempi di Clemente VII. Ma l'autore avea già da alcuni anni avanti scritta quell’operetta. In fatti in un codice di molte Poesie latine dell’Arsilli, scritto da lui medesimo, che or si conserva in Roma presso il chiarissimo signor ab. Francesco Cancellieri, due esemplari si hanno di questo poemetto, uno più breve e compendioso di soli 255 distici, ma che ha il pregio di aver segnati in margine di mano dell’Arsilli i nomi de poeti in esso indicati; l’altro più lungo e composto di 320 distici, in cui sono ommessi alcuni de poeti nel primo esemplar nominati, e alcuni altri ne sono aggiunti, ma senza segnarne nel margine i nomi. Il suddetto sig. abate Cancellieri riflettendo alla rarità del libro in cui è inserito questo si pregevole poemetto, e alle diversità che passano fra la detta edizione e gli esemplari mss., il secondo de quali è assai più copioso, avea pensato di farne una nuova edizione. Ma poscia per singolar gentilezza, tanto più degna di lode, quanto suol esser più [p. 1976 modifica]197G LIBRO rara, ha voluto spontaneamente cedermi questo onore, e mi ha trasmesse esattissime copie di ambedue gli esemplari, segnando le diversità che passano tra essi e l’antica edizione. Io ho creduto perciò di far cosa grata a’ lettori, e di aggiugnere qualche pregio a questa mia Storia, col pubblicare al fine di questo tomo il detto poemetto. Qui frattanto andremo scorrendo i nomi di tanti valorosi poeti che in esso l Arsilli ci mette innanzi, e confrontando ciò che ne dice, con ciò che della maggior parte di essi ci lasciò scritto il Giraldi ne’ suoi dialoghi De, Poetis suorum temporum. Ma prima mi convien dire dell"autore del poemetto, giovandomi delle notizie che me ne ha cortesemente inviate il suddetto abate Cancellieri. Aveane già ragionato il conte Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 1, p. 1142); ma egli avea solo potuto ripeterci ciò che se ne legge negli scrittori di que’ tempi. Al contrario l’abate Cancellieri, avendone tra le mani le opere, ne ha potuto raccogliere assai più certe notizie. Due grossi volumi in 4 se ne conservavano già presso gli eredi. Ma un di essi si è smarrito, e forse in esso con altre opere si ritrovava la traduzione de Proloquii d’Ippocrate, di cui fanno menzione il Giovio (Elog. p. 65) e il Giraldi (De. Poet. suor, tem. dial. 2, Op. t. 2, p. 564). In quello che or ne rimane, si contengono le seguenti opere, tutte in versi latini: Amorum libri III: De Poetis urbanis: Pirmilleidos libri tres, cioè in lode di una donna da lui lungamente amata, e da lui detta Pirmilla: Piscatio: Helvetiados liber unus: Praedictionum libri III, oltre alcune poesie, ì [p. 1977 modifica]TERZO *977 |c quali opere son tutte inedite, se se ne tragga il libro De Poetis urbanis. Ei fu natio di Sinigaglia, di nobil famiglia, e fratello di Paolo inviato dalla sua patria nel 1516 a complimentare il nuovo duca d Urbino Lorenzo de Medici, come si raccoglie da’ Consigli e dalle Riformazioni di quella città. Dopo aver coltivati felicemente i primi studj elementari, passò all'università di Padova, ed ivi attese agli studj della filosofia e della medicina, ne’ quali ancora ebbe poscia la laurea, di cui si conserva l’originale diploma in Sinigaglia presso gli eredi. In esso è segnato il giorno 26 di luglio, ma non può rilevarsene l’anno. Poichè però vi è nominato il vescovo Pietro Baro zzi, come cancelliere di quella università, ciò dovette accadere tra ’1 i5oo e‘1 i5o6 (V. Mazzucch. Scritt it. t 2, p. 4*8)* Del suo soggiorno e de’ suoi studj in Padova ragiona egli stesso nella prima elegia del libro secondo de" suoi Amori: Te duce, Phoebe, novus vitae primordia vates Exucoluit mollis et tua templa puer. Te suadente etiaiu Palavi imgravit ari L ibera, Et grave Chrysippi dogmata novit opus. lode auimo m'uin lalitantia semina, causas Vidit, et astrigeri devia signa poli. Et didicit Coi duce le praecppta Magi si ri, Atque Machaoniae munus et artis opem. Tornato a Sinigaglia, e innamoratosi della Pirmilla, stette ivi cinque anni amando, e cantando i suoi amori, finchè per desiderio di spezzar le catene, abbandonata la patria, dopo diversi non brevi viaggi, si fis'sò in Roma. Così ci narra [p. 1978 modifica]1978 Liimo egli stesso nella seconda elegia del libro III de’ suoi Amori: Sic miser ingratae decrevi virginis ora Deserere, et patrio quam procul esse solo. Non potuit genitrix, canos laniata capillos Ante pedes nati vertere corda sui: Non valuit fraternus amor, nil turba sororum, Quin sponte a patria sim vagus exul humo. E poco appresso: Per varios calles tranataque flumina et alpes Fit miseri Latium terminus exilii. Tunc licui primum Romanas cernere turres, Romuleasque domos, moenia, rura, viros. In Roma si trattenne più anni esercitando la medicina, caro a letterati che ne conoscevano il valore, ma ciò non ostante non molto felice nel radunare ricchezze; perciocchè, come il Giovio e il Giraldi affermano, essendo egli per naturale amore di libertà poco amante della corte, ei fu dalla corte medesima dimenticato. Nell an 1527 tornò a Sinigaglia, ed ivi visse tranquillo fra i suoi studi fino alla morte, da cui fu preso, secondo il Giovio. in età di settari’ anni. Ei vivea ancora a' 29 di settembre del 1540, come si raccoglie dal testamento di Paolo di lui fratello, segnato in quel giorno. Ma è probabile che non molto sopravvivesse. IV. Or venendo a poeti viventi a' suoi tempi in Roma, che si lodano dall'Arsilli, egli indirizza il suo poemetto a Paolo Giovio, e comincia dal fare le maraviglie come a quei’ tempi fioriscano tanti e sì valorosi poeti, mentre pure sì scarsi erano i premj alle lor fatiche renduti; [p. 1979 modifica]TF.RZO dal che egli raccoglie che più degno di lode era quel secolo stesso in cui il solo amore della virtù e degli studj produceva sì grandi e sì copiosi frutti, che quel di Augusto e di Mecenate, in cui la speranza del guiderdone eccitava gli animi ancor più indolenti e più pigri. Questo lamento fatto a’ tempi di Leon X non può non sembrare strano e importuno. Ma già abbiamo altrove veduto (l. 1, c. 2) che altri ancora menarono somiglianti querele; e forse il vedersi dalla corte poco curato, fu ciò che indusse l’Arsilli a dolersi in tal modo, mentre pur Roma risonava per ogni parte degli elogi che gli eruditi, e singolarmente i poeti, rendevano a Leone. Passa indi a annoverare i più illustri poeti ch’erano allora in Roma, c il Sadolrto e il Bembo sono i primi che’ egli ci mette innanzi; e le lor poesie latine sono in fatti degne degli encomj di cui egli le onora. Ma di essi già si è parlato. Loda poscia un certo Antonio Colonna, in modo però, che non s’intenderebbe che di lui ragionasse, se non ne avesse segnato in margine il nome nel primo esemplare. Nè di questo poeta io ho altra notizia. Siegue il Vida, di cui ci riserbiamo a dir tra non molto; e, dopo il Vida, Francesco Spel lilo da Camerino, ch" egli celebra come ugualmente elegante e nella Poesia elegiaca e nell eroica e nella lirica. Di lui fa menzione ancora il Giraldi (l. c. dial. 1, p. 542) che lo nomina Francesco Sferulo, e dice che oltre i libri elegiaci dell’Amor conjugale, e gli Epigrammi e le poesie liriche già composte, avea tra le mani non ancora finite le Imprese di [p. 1980 modifica]If)8o LIBRO Cesare Borgia e di Alessandro VI, e una istituzione di tutta la vita dell'uomo, da lui intitolata Antropographia o Antropoedia ma ch’egli era scrittor’ duro e troppo amante del suo sentimento. Niuna cosa di questo poeta si ha, ch’io sappia, alle stampe, trattone qualche componimento nella Coriciana. Di Battista Pio, che vien poscia nominato, diremo nel ragionar de’ grama ti ci. Più degno d’esser qui rammentato è Marcantonio Casanuova, da tutti gli scrittori di que’ tempi lodato come uno de’ più ingegnosi poeti, se, per troppo secondar il suo ingegno, non avesse dimenticata la naturalezza e l'eleganza. Questo è il giudicio che di lui portano il Giovio (Elog. p. 4/) c il Qiraldi (l. cit. p. 541, i quali ne parlano in modo che ben dimostrano che l’imitazion di Marziale, affettata dal Casanova, dal buon gusto di quell’età gli veniva attribuita a biasimo più che a lode. Egli era oriondo da Como, ma nato in Roma, del che, oltre la testimonianza de' due suddetti scrittori, abbiamo quella del Bandello: Venne, dic egli (t. 4, nov. 14), non è molto da Roma a Milano il dotto M. Marcantonio Casanuova per andare a Como a vedere li suoi propinqui; perciocchè sebbene egli nacque in Roma, e fu criato da la magnanima Casa Colonna, il padre suo nondimeno era Cittadino Comasco. Egli in Milano fu molto accarezzato da tutti quei che de le buone lettere si dilettavano. Il Giovio ne loda l’innocenza e l’amabilità de’ costumi, ma aggiugne ch essendo egli al servigio de’ Colonnesi, de quali grandi erano allora le discordie col pontefice Clemente VII, prese a [p. 1981 modifica]TEnZO m 1981 mordere acerbamente colla sua penna il pontefice stesso, che perciò arrestato e dannato a morte, fu ad essa sottratta dalla generosità di Clemente che gli perdonò; e che finalmente morì nella peste che dopo il sacco di Roma finì di recare all’ultima desolazione quella città. Più compassionevole è la descrizion della morte del Casanuova, che ci ha fatta il Valeriano (De Infelic. Liter. l. 2. p. 86); perciocchè egli narra che lo sventurato poeta si vide allora ridotto alle estreme necessità, e che costretto persino a mendicare il pane, e non trovandone, di disagio e di peste diè fine a’ suoi giorni. Alcuni Epigrammi se ne trovano qua e là sparsi in diverse Raccolte, e due ne ha pubblicati di fresco il ch. signor ab. Gianfrancesco Lancellotti (Poesie del Colocci, p. 65, ec.). V. Anche un comico, cioè un certo Gallo romano, vien dall*Ai’Arsilli lodato come attore insieme e poeta eccellente; ed egli è probabilmente quell’Egidio Gallo di cui si hanno versi nella Coriciana. Cammillo Porzio è qui ancor celebrato come uno de’ più felici imitatori di Tibullo, e di lui si è già fatta altrove menzione. Sieguono indi congiunti insieme Giammaria Cattaneo e un certo Augusto da Padova. Del secondo io non ho alcuna notizia: ma il primo fu uomo celebre pe’ suoi studj e per le sue opere, tra le quali però le meno pregevoli son le poetiche. Egli era di patria novarese, e fu in Roma segretario del Cardinal Bendinello Sauli. I Comenti sulle Epistole e sul Panegirico di Plinio, e le traduzioni di alcuni opuscoli di Antonio, d’Isocrate e di Luciano, gli fecero [p. 1982 modifica]I982 LIBRO aver luogo tra gli uomini dotti. Ei volle poscia provarsi ancora alla poesia, e, oltre alcuni brevi componimenti, pubblicò un poemetto latino in lode di Genova, in grazia del Cardinal suo padrone. Un altro più ampio poema avea egli intrapreso, che non potè condurre a fine, sull’argomento medesimo, che fu poi sì ben maneggiato da Torquato Tasso; e il Cotta afferma che anche il Cattaneo avea preso a scriverlo in ottava rima (Museo novar. p. t'jS). Ma la maniera con cui ne parlano il Giraldi (l. c. p. 540) e il Giovio (Elog. p. 49)mi persuade ch'esso pure fosse in versi latini. Altre notizie intorno al Cattaneo e alle opere da lui o pubblicate, o non finite, si posson vedere presso i tre suddetti scrittori. Antonio Lelli romano ci vien dall’Arsilli dipinto come poeta ardito e mordace, Tommaso Pietrasanta come limatore diligentissimo delle sue poesie, Evangelista Fausto Maddaleni di patria romano, come tenero e dolce poeta; e di quest’ultimo dice il Giraldi (l. c. p. 544) che avrebbe fatti nel poetare più felici progressi, se la moglie e le domestiche cure più che le Muse non l’avesser occupato. Loda poscia F Arsi Ili il celebre Baldassar Castiglione, le cui Poesie latine non son veramente inferiori ad alcuna di quelle di questo secolo; ma di lui si è parlato a lungo tra’ poeti italiani. Si loda indi dall’Arsilli come dolce ed elegante poeta un Mellino Romano, della qual famiglia furono al tempo medesimo tre fratelli, Girolamo che, mentre dava di se stesso più liete sperauze, fu da immatura morte rapito nell’età di soli ventiquattro anni; Pietro, [p. 1983 modifica]

TERZO che è probabilmente quello di cui qui si ragiona e di cui alcune Poesie si hanno nella Coriciana, e che è uno degl’interlocutori dal Valeriano introdotti nel suo Dialogo dell'Infelicità de’ Letterati (Valer, de Infel. Litter. p. 60), e Celso celebre per l’accusa da lui intentata in Roma a Cristoforo Longolio fiammingo per una declamazione da esso scritta contro i Romani, intorno alla quale degne son d essere lette alcune lettere del Longolio medesimo e del Sadoleto (Sadol. Epist. t. 1, p. 411 ec-)- Dell’infelice morte di Celso, annegato in un torrente vicino a Roma, parlano tutti gli scrittori di que’ tempi, e singolarmente il Valeriano (l. cit) j il quale ancora in quell’occasione scrisse un’ elegia (Carm. p. 28). Blosio Palladio è egli pure annoverato, e non senza ragione, tra’ valorosi poeti, e ne abbiamo de’saggi nella più volte mentovata Coriciana, e in qualche altra Raccolta, e nel poemetto da lui pubblicato in lode della Villa di Agostino Ghigi, stampato in Roma nel 1512. Di questo illustre poeta, dopo altri scrittori, ha parlato a lungo reruditissimo Cardinal Stefano Borgia che ne ha data per la prima volta alla luce un'orazione da lui detta in occasione dell’ambasciata inviata da’ Cavalieri di Rodi al pontefice Leon X l'an 1521 (Anec. rom. t. 2, p. 165, ec.) (a). Egli era oriondo dalla Sabina, (a) Di Blosio Palladio alcune altre più minute notizie ci ha somministrate il ch. aliate Marini, e singolarmente il bell' elogio fattogli dal Massarelli nel raccontarne la morte (Degli Archiatri pontif, t. 2, p. 274). [p. 1984 modifica]1984 Libro e diccvnsi veramente Biagio Pallai, nome che fu poscia da lui cambiato, secondo l’uso dell’Accademia romana, in quel di Blosio Palladio. L’an 1516 fu con onorevolissimo decreto dichiarato cittadino romano; dal qual decreto, pubblicato dal Cardinal Borgia, raccogliesi che egli era già stato uno de'Riformatori della Sapienza di Roma. Fu poi da Clemente VII scelto a suo segretario, e nell’impiego medesimo confermato da Paolo III, caro ad amendue questi pontefici per la sua integrità non meno che pel suo sapere, e amato al tempo medesimo da’ più colti uomini di quell età, e singolarmente dal Sadoleto. Nel i5 jo fu da Paolo III nominato vescovo di Foligno, la qual chiesa ei rinunziò poscia a Isidoro Clario nel 1547;, e tre anni appresso finì di vivere in Roma. Ei fu uno de' principali ornamenti dell Accademia romana, quando ella sì felicemente fioriva a’ tempi di Leon X e di Clemente VII, come di essa parlando abbiamo accennato, e Girolamo Rorario nel raro suo opuscolo, Quod animalia, bruta ratione utantur melius homine, descrive i vaghissimi orti e l'amene ville che presso Roma egli avea, e ove è probabile che gli accademici spesso-si raccogliessero (p. 89, ec.). VI. Fra tanti illustri poeti latini veggiam nominata anche una donna, cioè una cotal Deianira, di cui io non ho più distinta notizia. Severo da Piacenza monaco cisterciense, da noi lodato tra’ coltivatori della lingue greca, ha egli ancor luogo in tal numero. Battista Casali romano, di cui parla il sig. abate Lancellotti nelle sue Note alle Poesie del Colocci [p. 1985 modifica]terzo i y85 (p 58, ec.), Achille Bocchi bolognese, soprannominato Filerote, di cui altrove abbiam fatta menzione, Giaiupierio Valeriano, da noi parimenti già rammentato, V incenzo Pinipiuelli romano, Filippo Beroaldo il giovane, di cui direm tra gramatici, Mario Maffei di Volterra, di cui pure si è detto ad altra occasione, Bernardino Capella romano, lodato ancor dal Giraldi (l. c. p. 541) e dal Valeriano (l. c. p. 90), Antonio d’Amiterno, di cui si hanno Poesie nella Coriciana, benchè sia stato ommesso dal conte Mazzucchelli, e la cui infelice morte descrivesi dal Valeriano (ib.p 23), Rafaello Brandolini, soprannomato il Lippo, rammentato già tra’ poeti dell’ età precedente, Giannantonio Marostica, Lorenzo Vallati romano, Luca da Volterra medico, Marcantonio Flaminio, di cui dovendo noi parlar lungamente ci riserbiamo a farlo più sotto, Scipione Lancellotti medico romano, e Donato Poli fiorentino che non ostante l estrema sua povertà fu crudelmente ucciso da un suo servidore avido di occuparne le sognate ricchezze (ib.), tutti son dalfArsilli lodati come valorosi poeti. Ma a noi basti l’ averne qui ricordati i nomi. Non così ci è lecito fare di Angelo Colocci, il quale e pel valore nel coltivare le lettere, e per la liberalità nel proteggerle, non ebbe in questo secolo molti che il pareggiassero. Poco però ci dovremo affaticare nel raccoglierne le notizie, perciocchè il soprallodato abate Gianfrancesco Lancellotti, che ne ha pubblicate fanno 1772 le Poesie italiane e 'latine, ha lor premessa la Vita dello stesso Colocci, scritta con tal [p. 1986 modifica]1986 LIBRO diligenza e con sì copioso corredo d’erudizione, che non possiamo sperare di dir cosa nuova. Jesi fu la patria del Colocci, ed egli vi nacque da Niccolò Colocci di antica e nobil famiglia, e da Fortunata Santoni l’anno ■ 4^7* I'1 Roma attese agli studj, e sotto la direzione di Giorgio Valla (se pur questi fu mai professore in Roma, di che io non trovo indicio alcuno) e di Scipion Forteguerra fece non ordinarj progressi nelle lingue greca, latina e italiana, e nella provenzale ancora, di cui molto ei si compiacque. Il tentativo che fece nel 1586 Francesco Colocci, zio di Angelo, di rendersi signor di Jesi, costrinse tutta questa famiglia ad uscir dallo Stato ecclesiastico, e a ritirarsi a Napoli, ove Angelo ebbe la sorte di conoscere i colti ed eleganti poeti che ivi erano in sì gran numero, come il Pontano, il Sannazzaro, il Lazzarelli, ilSummonte, l’Altilio e più altri, e sull esempio della più parte di essi cambiò egli ancora il suo nome facendosi dire Colozio Basso. Sei anni appresso ottenne di essere richiamato alla patria, ove divise il tempo tra i domestici affari e i diletti suoi studj, onorato ancora di alcuni pubblici impieghi, e dell’ ambasciata al pontefice Alessandro VI, che i suoi cittadini affidarongli nel 1498. Angelo tornato in tal occasione a Roma, vi fissò il suo stabil soggiorno, e facendo ottimo uso delle ricchezze, parte proprie della sua illustre famiglia, parte raccolte dalle diverse onorevoli cariche che in diversi tempi ei sostenne nella corte romana, rendette la sua casa e i suoi orti gli orti e la casa delle lettere e delle Muse. [p. 1987 modifica]TERZO. 1987 L’Accademia romana, che dopo la morte di Pomponio Leto andava quasi raminga, fu da lui accolta. Una copiosa e scelta biBlioteca, una magnifica collezione di statue, di medaglie e d altri antichi pregevoli monumenti rendevano gli orti del Colocci famosi in Roma, e più famosi ancora rendeagli l animo splendido e liberale del lor possessore, il quale sembrava non esser ricco che a vantaggio de’ dotti. Quindi pieni sono delle lodi di Angelo i libri pubblicati a quel tempo, e molti de’ loro autori confessano di aver avuto da esso o aiuto o stimolo alla lor pubblicazione. Il senato romano lo onorò del titolo di patrizio, cui rendette comune alla famiglia Colocci, e non fu egli men caro a’ pontefici Leon X, Clemente VII e Paolo III. Il primo di essi, oltre un dono fattogli di quattromila scudi per certi versi scritti in sua lode, il nominò suo segretario, e mortegli già ambedue le mogli che il Colocci successivamente avea menate, nel 1521 gli diè la sopravvivenza al vescovado di Nocera. Questa da Clemente VII gli fu confermata, da cui ebbe ancora il governo d'Ascoli, e fu inviato a diverse corti d’Europa, per unire i principi in quella lega che fu poi sì fatale al pontefice. E il Colocci stesso tornato frattanto a Roma, ebbe non leggier danno; perciocchè nel memorabil sacco del 1527 ei sostenne gravi affronti, vide incendiata la sua casa, rovinati i suoi orti, e dovette sborsare una gran somma di denaro per riavere la libertà. Andossene allora alla patria, e per alcuni mesi attese a ristorarsi da' sofferti gravissimi danni. Indi tornato Tiraboscui, Voi XIIJ. 2 [p. 1988 modifica]I()88 * LIBRO a Roma l’anno seguente, si adoperò a raccogliere le infelici reliquie della dispersa Accademia. Nel 1537, morto il Favorino, gli sottentrò il Colocci nel vescovado di Nocera, cui poscia cedette nel 1546 a Girolamo Mannelli da Rocca Contrada suo nipote, e tornato a vivere tranquillamente in Roma, ivi diè fine a’ suoi giorni nel dì 1 maggio del 1549 Delle molte opere dal Colocci composte, le quali appartengono presso che tutte alla piacevole letteratura, benchè pure abbiavi qualche opuscolo filosofico e matematico, io lascerò che ognun vegga l’ esatto catalogo che ce ne ha dato lo scrittor' della Vita. Le Poesie latine del Colocci sono per eleganza e per grazia uguali a quelle de più colti poeti di questa era. Le Poesie italiane, benchè non mi sembrano tali da stare a confronto colle latine, per riguardo nondimeno al tempo in cui furono scritte cioè al principio del secolo, mentre sì scarso era il numero de’ buoni rimatori, si possono esse pure annoverare tra le migliori che di que’ tempi si abbiano, e deesi perciò al Colocci la lode di aver e coll esempio e colla munificenza giovato non poco a ravvivare e a rendere vieppiù, fiorente l una e l’altra poesia. VII. Al Colocci congiunge l’Arsilli Scipion Carteromaco, ossia Forteguerri, e Giano Parrasio. Ma del primo abbiam favellato nella storia del secolo xv, del secondo favelleremo nel capo seguente. Nomina poscia con molta lode Gianluigi Vopisco napoletano, di cui alcune Lettere al Colocci ha pubblicate l’ abate Lancellotti (Vita di A. Colocci, p. 87), e Mariangelo [p. 1989 modifica]TERZO I()8y Accorso aquilano, di cui e delle cui opere si hanno copiose notizie presso il conte Mazzucchelli (Scritt. ital. t 1, par. 1, p. 92) (a). Fra questi poeti di patria italiana, alcuni ne frammischia l’Arsilli di nazione tedeschi, che viveano in Roma, e de’quali perciò non è di quest’ opera il ragionare. Sieguono indi Andrea Fulvio, di cui abbiam rammentato altrove il libro Delle Antichità di Roma, un certo Sillano da Spoleti, il Tebaldeo, di cui si è trattato nel tomo precedente, Luca Buonfigli padovano, di cui non so che si abbia alcuna cosa alle stampe, e Camillo Paleotti bolognese, di cui abbiam fatto un cenno nel parlare degli scrittori del Diritto canonico. Due altri illustri poeti si congiungono da lui insieme, Tommaso Fedro Inghirami e Fabio Vigile da Spoleti, detti amendue lumi principali della Sapienza di Roma, in cui furono professori di eloquenza. Il secondo nella Raccolta Coriciana, in cui ha alcuni versi latini, è detto Fabius Agathidius Vigil Spolentinus. Ma nelle Rime sacre e morali di diversi autori, stampate in Foligno nell’an 1629, in cui egli ne ha alcune, è detto semplicemente Fabio Vigili (Quadr. t. 2, p. 3^2) (b). Ei fu segretario de’ Brevi di Paolo III, e vescovo prima di Foligno e poi di Spoleti (Bonamici De cl. Pontif'. Epist. Script., p. 2 23, (a) Più esatte notizie intomo a Mariangelo Accursio e alle opere da lui pubblicate ci ba poscia fiate il P. «I1 Afflitto (Meni, degli Scrii/, napol. t. 2, p. 20, ec). (&) Di Fabio Vigili ha prodotte nuove c più esatte notizie il soprallodato ab. Marini (t. i, p. 207). [p. 1990 modifica]199° LIBRO cd. 1770), e un magnifico elogio ce ne ha lasciato Giampierio Valeriano a lui dedicando il libro ix de’ suoi Geroglifici: Tu quoque, dic egli, nullum dicendi genus, nullam arcanae quantumlibet doctrinae partem intactam reliquisti, quae de. divinis humanisque studiis, de rerum natura, de moribus, de ratione docendi, de quacumque re vel dici, vel excogitari possunt, tuo illo magno ingenio felicissimaque memoria complexus es, ut vix alterum aetate nostra conspiciam, quem Varroni illi litteratissimo conferre possim. Ma più celebre ancora fu il primo, e degno perciò che se ne parli con maggiore esattezza; nel che ci potrà servire di scorta l elogio che ne è stato in-j serito tra quelli degl illustri Toscani { t. 2), e ciò che ne ha scritto il ch. P. abate e poi monsignor Galletti all occasione di pubblicarne nel 1777 due nuove orazioni. Tommaso Inghirami nobile di Volterra, figlio di Paolo e di Lucrezia Barlettani, e nato nel *4;°? hi età! di due soli anni fu costretto pe'tumulti civili a lasciare la patria e a ritirarsi a Firenze! donde poscia nell an 1483 passò a Roma! ove tutto si consacrò alle Muse; e perchè era non solo di pronto e vivace ingegno, ma or-j nato ancora di quelle doti che alle teatrali rap-j presentazioni sou necessarie, essendosi avve-j mito in que’ tempi ne quali, come altrove si è osservato (t 6, par. 3, p. i"òor), comincia^ 10110 esse a rinnovarsi in Roma per opera sin-j golarniente del cardinale Rafaello Riario, in ciò si rendette celebre ringhirami; e nel recitare tra le altre la tragedia di Seneca intitolata [p. 1991 modifica]terzo 199 r l1 Ippolito, sostenne con tale applauso il personaggio di Fedra, che d1 indi in poi fu sempre soprannomato Fedra o Fedro. Così racconta di aver udito dallo stesso cardinale Riario il celebre Erasmo, che dice di aver in Roma conosciuto Tommaso, da lui per errore detto Pietro, e ne loda assai l’eloquenza, per cui afferma che ei fu detto il Tullio della sua età (Erasm. Epist. t. 1, ep. 671). Alcuni aggiungono che il plauso in quell occasione da lui ottenuto dovettesi principalmente alla prontezza con cui, essendo in iscena, rottasi una macchina del teatro, per cui conveniva interromper Fazione, la sostenne e la continuò egli solo, recitando all’improvviso non pochi versi. Ma di ciò io non trovo memoria negli scrittori di que’ tempi. Ben trovansi ne medesimi frequenti elogi del raro ingegno e dell’ ammirabile eloquenza dell’ Inghirami. Il Sadoleto lo introduce a favellar nel Dialogo in cui prende a biasimare i filosofici studj, la difesa de’ quali affida egli poscia a Mario Maffei, e ne rammenta i detti faceti, e talvolta ancora pungenti, co’ quali solea condire i suoi discorsi, ma n esalta principalmente la singolare eloquenza: Quod ne longe abeat., così egli fa dir al Maffei (De Laudib. Philos. p. 187, ed. veron.), in' tua ipsius arte potes, Phoedre, perspicere. Quum enim te Oratorem nobis preabeas gravem atque magnum, quod idem facere nituntur in hac Civitate permulti, quid causae est, quod te dicent c concurrimus omnes undique, attendimus, admiramur, t nacque eloquentiae fulmina quasi extimescimus? [p. 1992 modifica]I992 LIBRO Somiglianti sono le lodi di cui l’onorarono e il Bembo (Dial. de Culice) e Giano Parrasio (Quaesit. per Epist. p. 64, ed. Neap. 1771)? i quali parimente cel rappresentano come il più eloquente oratore che avesse allor Roma. Fu perciò l’ Inghirami onorato distintamente da’ romani pontefici, poichè da Alessandro VI ebbe un canonicato in S. Pietro (a), e un altro in S, Giovanni Laterano, e fu inviato nell’ an 1495 insiem col cardinale Bernardino Carvaial oratore a Massimiliano I, da cui ancora con onorevol diploma fu dichiarato conte Palatino e poeta laureato, col privilegio di aggiugnere alle divise della sua famiglia l’ aquila imperiale; da Giulio II, oltre altri onorevoli impieghi, ebbe la prefettura della biblioteca Vaticana (V. Assentati. Catal. Di hi var. t. 1, praef. p. 60), e da Leon X ancora fu arricchito di più beneficj, e forse a più alto grado! d’onore sarebbe stato innalzato, se una ira-J matura e funesta morte non l’ avesse rapito. Perciocché fanno i5i6, mentre egli cavalcava su una mula per Roma, questa atterrita da due bufali che traevano un carro in cui si avvenne, si scosse ed infuriò per modo, che l Inghirami ne cadde, e benchè felicemente il carro gli passasse sopra senza offenderlo, la percossa però e lo spavento fu tale che, dopo (a) Non «la Alessandro VI, ma da Giulio II ebbe J Inghirami il canonicato in lS. Pietro, come ha avvertito il sig. abate?tlnnni die alcune altre notizie ci ha «late di «jueslo elegante scrittore (Degli Ai ch'airi fjonli/, t. i, p, 218, cc.). [p. 1993 modifica]TERZO 199J una lunga malattia, finì di vivere in età di circa 46 anni (Valer, de Infclic. Li ter. I. 1, p. 2 5). Monsignor Galletti però osservando l'abito in cui è dipinto Fedro in una pittura che rappresenta questo fatto, argomenta che esso accadesse prima dell an 1508; e poichè egli non morì che nel 1516, ne trae per conseguenza ch’ egli non morisse già per quel sinistro accidente. Il qual discorso avrebbe non poca forza, se antica fosse quella pittura, e non vi fosse luogo a temere di qualche error nel pittore. Il sopraccitato Parrasio, piangendone amaramente la morte, si duole (l. c p. 146) ch' egli abbia lasciate imperfette tante e sì belle opere, alle quali niuno avrebbe avuto il coraggio di dar l’ ultima mano, e ne accenna principalmente le eloquentissime Orazioni, un'Apologia contro i biasimatori di Cicerone, che Fedro aveagli letta pochi dì innanzi all’ ultima malattia, un Compendio di Storia romana, un Comento sulla Poetica d' Orazio e alcune Quistioni sulle Commedie di Plauto. Il Sadoleto ancora si duole che le opere dell'Inghirami, dopo la morte di esso, si fosser disperse e perdute (l. c p. 181). In fatti nulla fino a dì nostri si era veduto alle stampe di questo celebre oratore, se pure, comesi sospetta dall autor dell Elogio sopraccitato, non è opera dell Inghirami il supplemento all*Aulularia di Plauto, stampato la prima volta in Parigi nel 1513 (a). Una lettera latina a un certo (a) Abbiamo osservato altrove thè esso è di Urceo Codro (bill, nioii. t. 5, p. 4^4)• [p. 1994 modifica]1994 LIBRO Andrea, religioso Umiliato, ne fu stampata dopo le Lettere di Marquardo Gudio (p. 139). Cinque Orazioni ne sono state pubblicate di fresco dal suddetto monsignor Galletti (A necci, rorn. t. 1, p. 277; t 2, p. 125; t. 3, p. 183; Th. Ph. Inghir. Orat. duae, ec. Romae 177), tratte da un codice del ch. monsignor Mario Guarnacci, in cui si conservano molte Orazioni, Poesie c Lettere dell Inghirami (a).' E queste Orazioni, benchè non mi sembrino degne di quei magnifici elogi con cui abbiamo udito parlarne i più dotti uomini di quel tempo, sono nondimeno scritte con eleganza e con eloquenza; nè è perciò a stupirsi se allora, quando l’arte oratoria era sì poco ancor conosciuta, sembrasser cose ammirabili, avvivate singolarmente da’ rari talenti esterni di cui era l’Inghirami dotato. Ma torniamo all’Arsilli. Vili. Di Cesare Sacchi milanese ci dà Argelati qualche notizia (Bibl. Script, mediol. t. 2, pars 1, p. 1269)). Ma egli non ha avvertito che alcuni versi latini se ne leggono nella Coriciana, e che l’Arsilli il loda come uno degli eccellenti poeti che allor viveano in Roma, e che rammenta un poema ch’ egli stava scrivendo in lode del famoso Gian Jacopo Trivulzi, il qual però non ha mai veduta la luce. Quel Francesco Cetrari, di cui fa poscia menzione l’Arsilli!, è forse lo stesso che quel Pietro Cetrari (ti) Un'orazione dell*Ingiùntali in lode di S. Tommaso era stilla stampata in Roma sulla fine del secolo xv (A udìfredi, Culai, rum. edit, sacc. xv, p. 432). [p. 1995 modifica]TERZO 1995 di cui 1' abate Lancellqtti riporta l’iscrizion funebre fattagli dal Sadoleto (Vita del Colocci, p. 129). Poco conosciuti ancor sono tre altri poeti che adessi sieguono, Michele Venturi da Foligno, Giovanni da Macerata medico, da noi nominato altrove col nome di Giovanni Antracino, e un certo Niccolò da Padova sacerdote dell’antico Ordine de’ Crociferi, de’ quali tre poeti si hanno alcuni versi nella Coriciana. Di Guido Postumo della famiglia Silvestri pesarese, che ad essi dall’Arsilli si aggiugne, parlando il Girardi (l. c.p. 538) e il Giovio (Elog.p. 43); e, secondo essi, ei fu poeta mediocre, singolarmente negli endecasillabi e negli eroici, alquanto più felice nell' elegie, due libri delle quali furono da lui pubblicati in Roma nel 151 f, e dedicati a Leon X. Ei fu un de'poeti che frequentavan!! la corte di questo pontefice; ma i lauti banchetti, de’ quali egli troppo si compiaceva, gli furono fatali, e in età ancor giovanile gli fecer contrarre una malattia pericolosa. Il Cardinal Ercole Rangone, nella cui famiglia era già stato per qualche tempo maestro, il fè condurre a una sua villa in Capranica, ma ivi fra poco tempo finì di vivere. Egli è lodato ancora dall’Ari osto (Ori. fur. c. 43, st, 89) e da Giannantonio Flaminio (Epist l. 5, ep. 2, 3; l. 6, ep. 10). Assai più diligentemente di tutti ne ha raccolte le più minute notizie il sig. cavalier Domenico Bonamini, che il difende ancor dalle accuse di alcuni degli scrittori da noi citati ad esso apposte (Calogerà, N. Racc. t. 20). Assai più funesta fu la morte di Marco Cavallo anconitano lodato qui dall’ Arsilli, e [p. 1996 modifica]1996 LIBRO ancor dal Giraldi (l. cit), come valoroso poeta, e di cui alcuni versi si leggono nella Co riciana. Perciocché, come narra Pierio Valeriano (De Infel. L'iter. I. 1, p. \ i), dopo esser vissuto molti anni con fama di raro ingegno e di egregi costumi, mentre era segretario del Cardinal Marco Cornaro, perduta avendo una lite, e al tempo medesimo essendogli stata rubata da un disleale amico, presso cui favea depositata, una somma notabile di denaro, ne venne in tale manìa che, chiusosi nella sua stanza, con una spada si squarciò il seno e si uccise. Dell infelice morte di questo poeta ragiona ancora Ortensio Landi (Cataloghi, p. 348; Paradossi, l. 1, parad. 14), Ma egli l attribuisce a un’ alterazione di fantasia nata dal leggere i libri ne quali si ragiona della vita immortale. Sieguono poscia Paolo Bombace bolognese ucciso nel fatal sacco di Roma, e di cui parla diligentemente il conte Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 2, par. 3, p. i5o6) (a), i il qual però non accenna i versi latini che se j ne hanno nella Coriciana; Marcello Palonio romano, che dopo aver cantata in versi la celebre battaglia di Ravenna, preso avea a scrivere un poema in lode di Romolo; e Bernardino Dardano parmigiano, di cui rammenta le molte poesie di diversi argomenti che andava scrivendo, e dice che l imperadore avealo onorato della corona d'alloro e delle divise di cavalier Palatino (ò); Francesco Modesto da Ri(«) Assai più esattamente ha parlato del Rombace il co. Fantnzzi (Scritt. bologn. t. 2, p. 276, ec.). (b) Il Dardano verso il principio del xvi secolo era [p. 1997 modifica]terzo *997 piini > autor di un poema in lode di Venezia (Gyrald. I i, p- 546), e Giano o Giovanni Vitale palermitano, di cui gran numero di poesie latine si ha alle stampe, il catalogo delle quali, insieme colle notizie di questo poeta, si può vedere presso il canonico Mongitore (Bibl. sic. I 1 p. 41, ec.) (a). Ma noi paghi di non stato chiamalo a Saluzzo a istruir nelle lettere il figlio primogenito di Lodovico II, marchese di Saluzzo, e di Margherita di Fois di lui moglie. E nell’autunno del 1501, essendogli permesso di andarsi a sollevare in Casale di Monferrato, e avendo ivi trovata presso Benvenuto Sangiorgio la traduzione della Tavola di Cebete, fatta da Galeotto marchese del Carretto, e da lui poscia inserita nel suo Tempio (d’Amore, ei ne trasse copia per valersene nell’ istruzione del giovinetto suo principe. Di essa ha un esemplare il sig. > incenzo 'Malacarne da me altre volte lodato, innanzi a cui leggesi una lettera del Dardano a Giovanni Lodovico Vivaldo teologo domenicano. Da essa raccogliesi che si trattava di condurre il Dardano professore a Pavia; ma ch’ ei non voleva indursi ad abbandonare il suo principe, il suo allievo e la città di Saluzzo. Al fine leggonsi due ottave del Dardano a Margherita di Fois moglie del marchese, e a piè di esse così egli scrive: Vale ornamentum Gallie, Marchionatus Salutiarum decus et premium, Illustrissimi ac optimi Principis Ludovici dt licie ac solati uni, musarumque mearum et totius Italie presidium. Ex Casali S. Evaxii Prid. Cai. Octobris MCCCCCI. Di molte opere del Dardano fa menzione il signor. Vincenzo Malacarne nel suo Discorso ms., altre volte lodato, intorno alla Letteratura saluzzese. Ma più ampiamente della vita e delle opere del Dardano ha poi scritto il valoroso P. Affò (Mem, d’ill. Parm. t. 3, p.239, ec.). (a) Giovanni Vitale volle anche essere traduttore dal greco, e pubblicò in Roma nel i5i5 utforazion di Lisia in difesa di Eratostene da lui recata in latino. Ma, come ha osservato 1'ei udito 1*. Tommaso Verani da me più volte lodato, ella è la stessissima traduzione [p. 1998 modifica]I998 LIBRO averli del tutto passati sotto silenzio, facciamoci a dire più stesamente di due altri che qui si soggiungono dall’Arsilli, e che per la facilità d’improvvisare in poesia latina furono al tempo di Leon X rinomatissimi in Roma, benchè con molta diversità tra l’uno e l'altro, cioè di Andrea Marone e di Camtnillo Querno. IX. Il Cardinal Querini annovera tra’ poeti bresciani il Marone (Specim. Brix. liter. pars 1, p. 309), tra que’ del Friuli lo annovera il signor Liruti (Notizie de’ Letter. del Friuli, t. 2, p. 98), i quali amendue, e singolarmente il secondo, ce ne han date copiose notizie. I lor sentimenti si possono di leggeri conciliare insieme, dicendo, come afferma dopo altri il sig. Liruti, ch’egli era nato in Pordenone nel Friuli, ma oriundo da Brescia, ove ancor sembra che qualche tempo egli stesse ne primi suoi anni, e che vi apprendesse quel dialetto in cui scrisse due sonetti che si conservano in un codice di Apostolo Zeno. Ei fu dapprima maestro di scuola in Venzone terra del Friuli: indi passò alla corte di Alfonso I duca di Ferrara, e fu assai caro al Cardinal Ippolito d’Este. Alcuni endecasillabi a lui scritti dal Calcagnini (Carm. p. 172) ci mostrano che il Marone fosse mal soddisfatto del cardinale, perchè in un viaggio d’Ungheria nol volle condurre seco. Da alcuni monumenti però pubblicati dal Liruti raccogliesi che in quel regno ili parola in parola, che avea già scritta Francesco Filelfo, e che ras. conservasi nel convento dell' Incoronata in Milano (V. Cicercii Dpi si. t. 1, p. 24°)• [p. 1999 modifica]TERZO *999 fu certamente per qualche tempo il Marone, ma non si sa nè a quale occasione, nè quando. Dalla corte di Ferrara passò poscia a quella di Leon X, che fu pel talento di Andrea il più luminoso teatro. Il Giovio (Elog. p. 44) > il Giraldi (l. c. p. 540), il Valeriano (De Liter. Infel p. 26), tutti scrittori di que’ tempi, e che aveanlo conosciuto ed udito, ci dicono cose maravigliose della facilità ch’egli avea nell’improvvisare latinamente su qualunque argomento gli venisse proposto. Al suono della viola, ch’egli stesso toccava, cominciava a verseggiare, e quanto più avanzavasi, tanto più parea crescergli la facondia, la facilità, l’estro e l’eleganza. Lo scintillar degli occhi, il sudore che gli piovea dal volto, il gonfiarsegli delle vene, facea fede del fuoco che internamente lo ardeva, e teneva sospesi e attoniti gli uditori, a’ quali sembrava che il Marone dicesse cose da lungo tempo premeditate. Molte pruove egli fece di questo suo raro talento innanzi al pontefice Leon X, le cui cene erano, per così dire, il campo in cui i poeti venivan tra loro a contesa; e una volta singolarmente che in un solenne convito dato agli ambasciadori e a’ più ragguardevoli personaggi di Roma, egli invitato a improvvisare sulla sacra lega che allor trattavasi contro il Turco, cominciò con quel verso: Infelix Europa diu quassata tumultu Bellorum, ec. E seguì lungamente con tal plauso di tutta quell’augusta assemblea, che il pontefice gli fe’ tosto [p. 2000 modifica]2000 LIBRO dono di un beneficio nella diocesi di Capova. Non solo egli vinse più volte e mandò confuso il Querno, di cui ora diremo, ma fece ancora ammutolire il celebre Aurelio Brandolini, soprannomato Lippo, che in ciò avea gran nome. Così visse il Marone a tempi di Leon X, onorato e rispettato da tutta la corte, nella quale ancora aveagli il pontefice assegnata la stanza, ma senza che gli onori il facesser mai ricco, o perchè non gli si rendessero che sterili onori, o perchè egli, come sembra esser proprio di molti poeti, non sapesse goder de’ doni della fortuna. Sotto il pontefice Adriano VI, che rimirava i poeti come idolatri, ei fu cacciato dal Vaticano, a cui poscia fu richiamato da Clemente VII. Ma a’ tempi di questo papa il Marone, fu infelicemente avvolto, e non una volta sola, nelle sventure di Roma. Il Giraldi di lui parlando altrove, dice: Nec qui bis captus Maro, bis pretioque redemptus Moenia nescit adhuc direptae linquere Romae, Dum titulos sperat miser, et spes pascit inanes. Carm. de dirept. Urbis t. 2, Op. p. 915. * Il qual passo s’interpreta comunemente del famoso sacco di Roma del 1527, come se allora il Marone due volte preso, dovesse due volte riscattarsi coll oro. E fu forse così. Ma forse ancora il Giraldi allude qui a ciò che l’ anno innanzi era accaduto al Marone nel tumulto che in Roma eccitarono i Colonnesi.. Il Marone, scrive Marcantonio Negri al Micheli a 26 di ottobre deiranno i526 (Lelt. de• Principi, t. 1, p. 105), ha perduta tutta la roba sua, et 27 [p. 2001 modifica]TERZO 200I ducati, ch' erano nella sua stanza. Esso era in Borgo appresso la Penitenzieria, la qual tutta fu saccheggiata. Egli si salvò sotto un tetto mezzo morto dalla grave infermità poco innanzi patita e dalla paura. Ciò però fu un nulla in confronto a quello che gli accadile fanno seguente, quando preso nel memorabil sacco degl'imperiali, e trattato nelle più crudeli maniere. dovette comperare e gran prezzo la libertà. Pensava egli di ritirarti in Capova a vivere sul tenue beneficio che vi avea; ma il desiderio di ricuperare i suoi libri fermollo in Roma, ove dopo essersi aggirato infermo, mendico e cadente per alcuni mesi, più non potendo sostenere la vita, abbandonato da tutti, e ricoveratosi in una vile osteria, ivi si morì di disagio nello stesso anno 1527, in età di circa cinquantatrò anni. Pochi componimenti se ne hanno alle stampe, de quali il signor Liruti ci dà un distinto catalogo. Essi però, come avverte il Giraldi, non corrispondono alla fama che il Marone si era acquistata, ed egli era, o pareva almen più felice, quando verseggiava all improvviso, che quando scriveva versi premeditati. X. Anche del Querno fa grande elogio fÀrsilli. Ma diversamente di lui ragionano il Giovio (l. c. p. 51) e il Giraldi (l. c. p. 546) che cel dipingono come un solenne ghiottone, e che non avea altro pregio che una rara facilità e una più rara impudenza nel verseggiare. Era egli da Monopoli nel regno di Napoli, ov era nato, secondo il Giuntini, a" 4 di agosto del 1470 (Calend. astrol. ad h. d). Venuto a Roma a’ [p. 2002 modifica]2002 LIBRO tempi di Leon X con un suo poema di ben ventimila versi, intitolato Alexiados, e presentatosi agli Accademici colla improvvisali ice sua cetra, essi al vederlo pingue in volto e ben zazzeruto, pensarono ch’ ei fosse opportuno a fare una piacevole scena. Raccoltisi dunque a un solenne convito in un’ isoletta (del Tevere sacra già ad Esculapio, ivi, mentre il Querno mostravasi valoroso ugualmente nel poetare che nel bere, gli poser lietamente sul capo una corona di nuovo genere, tessuta di pampini, di cavoli e di alloro, e con replicate viva lo acclamarono arcipoeta. Gonfio di tanto onore, bramò di essere presentato al pontefice, e innanzi a lui fece pompa del suo talento poetico. Leone conobbe che costui era tutto opportuno a rallegrar le sue cene; e ad esse perciò ammettendolo, davagli a quando a quando qualche boccone, cui il ghiotton poeta standosi in piedi presso una finestra si divorava; e quindi il pontefice davagli a bere nel suo bicchier medesimo, a patto che dovesse dire tosto sull’argomento propostogli almen due versi; e s’ei non vi riuscisse, o se i versi fosser poco felici, fosse costretto a bere il vino ben adacquato. Così il Querno serviva di trastullo al pontefice, il quale si compiaceva talvolta di verseggiare egli ancora, rispondendo al Querno, come allor quando avendo costui detto: Archipoeta facit versus pro mille Poetis. Leon prontamente risposegli: Et pro mille aliis Archipoeta bibit; [p. 2003 modifica]TF.IlZO 20o3 E avendo poco appresso soggiunto il Querno: Porrige, quod faciat mihi carmina docta Falernum, Il! papa replicò tosto: Hoc etiam enervat, debilitatque pedes, alludendo alla podagra da cui il bevitor poeta era malconcio. Avveniva però a lui ciò che suole avvenire a’ buffoni, cioè che agli applausi si frammischiavan talvolta gl’ insulti e ancor le percosse. Ed egli ebbe innoltre la confusione di vedersi più volte vinto dal Marone, che gli era superiore di troppo. E ciò fu cagione che il Querno cominciò a frequentar più di raro le cene del pontefice, nelle quali ei dovette finalmente conoscere di essere il trastullo della brigata. Dopo la morte di Leon X, come narra il Giovio, andossene a Napoli, ove, benchè avesse qualche tenue provvisione (Tafuri, Scritt. napol. t. 3, par. 1, p. 225), si ridusse nondimeno a tale estremo di povertà, che caduto infermo, e ricoveratosi in uno spedale, ivi, come afferma lo stesso Giovio, lacerandosi da se stesso colle forbici il ventre e le viscere, disperatamente si uccise. Di lui non si ha alle stampe che un poemetto sulla Guerra di Napoli, stampato in questa città nel 1529), ma da me non veduto. XI. Insieme col Querno ricorda il Giraldi alcuni all ri poeti, che ammessi alle cene del mentovato pontefice cercavano di dare ad esso diletto, e di ottenere a lor medesimi applauso coll improvvisare in latino, ma per lo più ili Tiiudoschi, Voi. XJII. 3 / [p. 2004 modifica]2004 LIBRO modo che nc venivano pubblicamente beffeggiati e derisi. E nomina principalmente Giovanni Gazoldo, di cui dice che pe’ suoi ridicoli versi fu spesso dal pontefice condannato ad esser solennemente battuto, e che si rendette la favola di tutta Romane ad esso congiunge Girolamo Brittonio, deriso esso pure per la stessa regione. Celebre è ancor nelle storie il nome di Baraballo da Gaeta, che vantandosi di dire improvvisamente versi uguali a que’ del Petrarca, pretese di essere al par di lui coronato nel Campidoglio; e si può vedere presso il Giovio la descrizione della ridicola pompa con cui si diè principio alla cerimonia solenne, la quale non fu compita, solo perchè l’elefante, su cui Baraballo era stato posto a sedere per essere condotto in trionfo, mostrando maggior senno che gli uomini, non volle mai passar oltre al Ponte S. Angelo (Vita Leon. X, p. 97, ec.). E qui poichè abbiamo parlato degl improvvisatori che al tempo di Leon X ebbero maggior fama, ci 1 sia lecito l’ aggiugnerne alcuni altri che ne se-j guiron gli esempj. Io non trovo menzione d’altri che verseggiassero improvvisamente in latino, Ma la poesia italiana n ebbe non pochi. Già abbiam veduto che fu questo uno de’ pregi del celebre Luigi Alamanni; e abbiam pure fatta altrove menzione di Giambattista Strozzi, del Pero, di Niccolò Franciotti e di Cesare da Fano (par. 1, p. 134). Il Casio rammenta con lode Filippo Lapacino piovano in Toscana con questi versi: [p. 2005 modifica]TERZO 2005 Il Piovati Lapacin Poeta Tosco Visse e morì nella Città di Manto: Ebbe del dire all improvviso il vanto, Scrisse, ma non così giunse alla meta. E pi tafi, p. 51. (Un certo Aurelio ascolano viene dal Cellini lodato egli pure come improvvisatore valoroso (Sua Vita, p. 36). Bartolommeo Carosi, detto Brandano, sanese di patria, prima uomo di dissoluti costumi, poi penitente, ed'esempio di austerità e di fervore, più per trasporto di zelo che per amor di poesia, parlava spesso all’improvviso in versi toscani, di che si posson vedere più distinte notizie presso il Crescimbeni (Comment. della volg. Poes. t. 2, p. 195); e nella stessa maniera raccontasi che ciò facesse S. Filippo Neri. Di due improvvisatori veronesi Antonio Gelmi e Adriano Grandi fa menzione il marchese Maffei (Ver. illustr. par. 3, p. 406, ec.). Tre donne ancora annovera il Quadrio celebri per cotal lode (t. 7, p. 27, 28), Cecilia Micheli veneziana, moglie di Luigi Marcello,,e due natie di Correggio, cioè Barbara di Correggio, figlia del celebre Niccolò da noi nominato altrove, e monaca nel monastero di S. Antonio della stessa città, e Giovanna dei’ Santi, moglie di Alberto Conti gentiluom bolognese. Di amendue queste poetesse ragiona più a lungo il sig. Girolamo Colleoni (Scritt. di Correg", p. 18, 49), il qual però non crede abbastanza provato che la seconda di esse (della quale nella libreria de Minori osservanti di Reggio si conserva il [p. 2006 modifica]2006 libro Ganzonier ms,) fosse natia di Correggio (a). Ma ni uno giunse in ciò ad uguagliare la fama di Sivio Antoniano, che fu poi cardinale, e di cui, dopo altri scrittori, ha con molta esattezza trattato il conte. Mazzucchelli (Scritt it t. 1, par. 2, p. 856); il qual però non ha osservati alcuni passi delle Lettere di Bartolommeo Ricci che de’ primi anni dell’ Anto, niano, e del raro talento d’improvvisare, di cui era fornito, ci danno belle e interessanti notizie. Ei nacque a’ 31 di dicembre del 1540 in Roma di oscura famiglia originaria di Castello nella provincia di Abbruzzo, e presto in lui si scoperse la straordinaria abilità che ricevuta avea dalla natura di verseggiare improvvisamente, e che gli fece dare il soprannome di Poetino, come ci mostrano i passi di diversi scrittori di que’ tempi citati nella Vita dello Speroni (p. 34), da noi altrove indicata, il qual soprannome però fu circa il tempo medesimo conceduto ad. Alessandro Zanco, di cui abbiamo una lettera a Pietro Are- I tino (Lettere all Aret. t 1, p. 300) e a Giovanni Leone modenese, di cui diremo tra poco. Il Cardinal Ottone Trucses, a cui il giovinetto Silvio fu fatto conoscere, sel prese in casa, e gli diè agio di attendere studiosamente alle lingue latina, greca e italiana, e di (a) Di Barbara da Correggo e di Giovanna Santi ho parlato più a lungo nella Biblioteca modenese (t. 2, p. cp, ec. * t. 5, p. 18 i t. 6, p. 187); ma io non ho trovato alcun fondamento a confermare la gloria di» loro dà il Quadrio di poetesse improvvisatrici. [p. 2007 modifica]TERZO 2OO7 perfezionare vie maggiormente il suo singolare talento, di cui diede pruove principalmente in un solenne banchetto, nel quale, improvvisando 1 predisse al Cardinal Giannangelo dei’ Medici, ivi presente, il supremo onore del pontificato. Ercole II duca di Ferrara, andato a Roma nel 1555 per congratularsi col nuovo pontefice Marcello II, e udito improvvisar l’Antoniano, ne fu preso per modo, che seco il condusse a Ferrara, e l’ebbe sempre carissimo. Il conte. Mazzucchelli muove difficoltà a quell’ epoca, fondato su una lettel a che Annibai Caro gli scrive a Ferrara nel 1551 (Caro, Lettere, t. 2, lett. 7.). Ma chi può credere che in età di soli undici anni, quanti allor contavane l’Antoniano, foss egli avanzato nello studio delle medaglie, come quella lettera il suppone? Io credo dunque che debba ivi leggersi l’an 1555, in cui di fatti è segnata un’altra lettera a lui del Caro di somigliante argomento (ivi, lett. 49)5 ed è ancor cosa di gran maraviglia che in età di quindici anni foss egli cotanto inoltrato in tali studj. In Ferrara ei si fece scolaro del celebre Vincenzo Maggi, e si strinse in amicizia co’ più dotti uomini che ivi erano, e singolarmente col Ricci che in molte sue lettere non sa finir di lodarlo (Riccii Op.t. 2, p. 79, 150, 357, 385, ec.), e molte ne scrive a lui stesso piene di tenerezza e di affetto (ih. a p. 135 ad p. 155). In una di esse con lui si rallegra dell’annua pensione che il duca gli avea assegnata, e della cattedra straordinaria di belle lettere che gli era stata destinata, il che, secondo il Borsetti (ffisL [p. 2008 modifica]2008 LIBRO Gynm. Ferr. t. 2, p. 181), avvenne nel 1557 quando l’ Antoniano non contava che diciassette anni di età; nel qual tempo egli recitò alcune delle XIII orazioni che unitamente fu. rono poscia.stampate nel 1610. D) alcune di esse fa menzione anche il Ricci nelle Lettere sopraccitate. Ma egli si occupa singolarmente in lodarne il talento d’improvvisare: Satis tibi, Sylvi, gli scrive egli (l. c p. 135), su. perque esse potuit, quod summus Poeta natus esses, qui cum Heroum res praeclare gestas eo versu caneres (ne quid nunc dicam de iis, quos Italica Lingua de quaque re, quae tibi proposita sit, ex tempore vel optimos facis) ut eas ipsas, ut gererentur, ante oculos proponere videaris, tum etiam cujusque generis amores varie deplores, neque in Sacris Deorum pari dignitate non ludas, nisi alteram etiam laudem, quae ex Oratorio dicendi genere comparatur, tibi tam feliciter vindicares. Ma bello è il passo singolarmente in cui descrive in qual modo e quanto leggiadramente improvvisasse l’ Antoniano nel dì del solstizio estivo, in cui il Ricci avea in villa imbandito banchetto a suoi amici: Sylvius post prandium, scrive a Giambattista Pigna (ib. p. 385), ad lyram cecinit primun. Ut se de amicitia dicturum non paucioribus versibus proposuit, convertit cantum in meum villicum, quem ab optima agri colendi ratione maxime commendavit. Forte meus Architriclinus sponsae desiderio tractus, quae eum non longe ad suam villam expectabat, mire properabat. Hujus desiderii Sylvium clanculum in aurem certiorem [p. 2009 modifica]TF.RZO 20Og ut feci, tum is, nosti quam promptus sit, in hujus discessum versus suos convertit, atque amatorium ejus desiderium ita expressit, ut nihil melius. Siegue indi a dire che dopo alcuni discorsi. co’ quali fu interrotto il cantare di Silvio, questi riprese tra le mani la cetra: Sed. continua, rem miram audi. Dum canit Sylvius, advolat philumena avicula, in propiori aedibus muro consistit, coepit et ipsa illo sio vario gutture ad lyrae sonum respondere, atque ita varie, itaque artificiose, ut diceres eam dedita opera in certamen cum Sylvio venisse. Animadvertit ille, atque ad eam aviculam aliquot versus, ut ceteros omnes, optime compegit. Di questo suo pregio ei diede pruova anche in Venezia in occasione della venuta a quella città di Bona reina di Polonia nel 1555, nella qual occasione e da essa e da più ragguardevoli personaggi fu udito improvvisare con sommo applauso. In Firenze ancora, ove egli recossi col principe ereditario Alfonso, fu ascoltato con maraviglia, e si può vedere il magnifico elogio che ne lasciò scritto il Varchi (Ercolano, p. 359) > e c^e ® riferito anche dal conte. Mazzucchelli. Pio IV, appena eletto pontefice, chiamollo tosto a Roma, e il diè per maestro e segretario delle lettere latine al giovane Cardinal Borromeo suo nipote. Degl’impieghi che poi gli furono confidati, degli studj sacri a quali interamente si volse, delle fatiche da lui intraprese a ben della Chiesa, delle singolari virtù delle quali sempre mostrossi adorno, delle dignità alle quali fu sollevato, e della porpora a lui conferita nell1 anno 1098 [p. 2010 modifica]2010 LIDRO ila Clemente Vili, ragionano a lungo il coite Mazzucchelli e gli altri scrittori da lui citati, e io rimetto perciò ad essi i miei lettori. Morì in Roma in età di sessantatrè anni nel 1603. Il conte. Mazzucchelli ci ha dato un esatto catalogo di tutto ciò che di lui si ha alle stampe, e deesi solo aggiugnere una lettera latina a’ senatori Leonardo Donato e Lorenzo Priuli, e alcuni versi latini che di fresco ne ha pubblicati il ch. sig. D. Jacopo Morelli (Codices mss. Bibl. Nan. p. 188, 201). Ma da questa non inutile digressione rimettiamoci omai in sentiero, tornando alla serie de’ poeti de’ quali ci ha lasciata memoria l’Arsilli. XII. Un grande elogio fa egli di quel Giano o Giovanni Coricio, a cui onore fu pubblicata la più volte mentovata Raccolta, detta perciò Coriciana. Ma egli era tedesco, e ciò che di lui dovea dirsi, si è già da noi detto ad altra occasione (l. 1, c. 4)- Aurelio Chiarelli Lupi da Spoleti e Pietro Pezzi fiorentino son poscia da lui non brevemente encomiati. Ma di niun di essi io ho più distinte notizie, nè so che cosa alcuna ne abbia veduta la luce. Più degno di tali elogi fu Onorato Fascitelli monaco casinese, che di fatto viene qui esaltato con somme lodi. Le Poesie latine di questo illustre monaco, che per eleganza possono annoverarsi tra le migliori di questo secolo, sono state pubblicate a piè dell’edizion Cominiana di quelle del Sannazzaro; e innanzi ad esse si arrecano le testimonianze di molti scrittori intorno alla vita e alle opere del medesimo, alle quali si possono aggiugnere quelle che ce ne danno [p. 2011 modifica]. TERZO 2011 gli scrittori delle Biblioteche napoletane e casinesi. Una più ampia edizione, e accresciuta di più cose inedite, delle Poesie e insieme delle Lettere dei Fascitelli ci ha data in Napoli nell an 1776 il ch. sig. Gianvincenzo Meola, che vi ha premessa un esatta ed elegante Vita del loro autore (a). Egli era nato di nobil famiglia in Isernia nel regno di Napoli nel 1502, e dopo aver studiato per due anni in Napoli sotto Pomponio Gaurico, era entrato nell Ordine di S. Benedetto in età di diciassette anni. Sembra che da principio ei fosse poco pago del frutto che da suoi studj traeva, perciocchè in una sua lettera a Pietro Aretino scritta a' 12 di maggio del 1536 da Monte Cavallo, dice che invece di venire a Venezia (ov era stato per qualche anno), gli è necessario l'andare a Milano per tentar la sua sorte, e gli chiede una lettera di raccomandazione pel sig. Massimiliano Stampa (Lettere all Aret. t. 1, p. 303). Dopo aver soggiornato qualche tempo in Roma e in diverse altre città d’Italia, ove rendettesi caro a tutti gli uomini dotti, ebbe la sorte di piacere al pontefice Giulio III, da cui fu destinato dapprima maestro del giovine Cardinal Innocenzo dal Monte da lui adottato in nipote, e poscia a non molto fu fatto vescovo della chiesa dell’Isola, col qual carattere intervenne al concilio (n) Alcune altre latine poesie del Fascitelli sono state pubblicate in Napoli nel 1788, in seguito a quelle del sig. abate Giove nazzi, insieme con alcune di Pier Vettori, di Gabriello Altilio. eli Giano Parrasio e di Andrea Navagero. [p. 2012 modifica]2012 LIBRO di Trento. Rinunciata indi la chiesa, nel cui governo avea provate contraddizioni ed ingiurie che non avrebbe mai dovuto aspettarsi, ritirossi a vivere in Roma, ove morì nel marzo dell an 1564 Io non so chi sia quel Bartolommeo Dapni, o Dafni da Jesi, che dopo il l Fascitelb si celebra dall Arsilli. Più noto è Battista Sanga romano, segretario prima di Giammatteo Giberti, poscia del pontefice Clemente VII, lodato molto dagli scrittori di que tempi, e morto infelicemente di veleno in età giovanile, come si narra dal Muzio in una lettera riportata dal ch. monsignor Buonamici (De cl. Pontif. Epist. Script, p. 224 ec. ed. 1770). Fa poscia l Arsilli un magnifico elogio di Francesco Maria Molza, il quale di fatto nella latina ugualmente che nell italiana poesia è coltissimo ed elegantissimo scrittore. Un certo ' poeta Alessandrino imitator di Catullo, due fratelli Centelli, Gesone e Francesco, siciliani, del secondo de quali ragiona anche il canonico Mongitore (Bibl. sicula, t. 1, p. 212) (a), Giambatista Madalio toscano, Girolamo Angeriano napoletano, rammentato ancora dal conte. Mazzucchelli (Scritt. it. t. 1, par. 2, p. 772), Albineo da Parma e un certo Clelio, dall Arsilli posti nel numero de’ valorosi poeti, non hanno ora tal nome che richiegga da noi più distinta menzione. Ben ella è dovuta a tre altri (a) Un poema di Francesco Centelli De cultu mcllis annidi nei et saccharorum, ins. e diviso in due libri e dedicato a Clemente VII, ha trovato il sig. abate Ma* rini nella libreria Albani (Degli Archiatri ponlìf. t. i, p. a5i). [p. 2013 modifica]TERZO 3013 poeti eh1 ci poscia soggiugne, cioè ad Agostino Beazzano, a Benedetto Lampridio e a Basilio Zanchi. XIII. Del primo molte notizie ci somministra il conte. Mazzucchelli (ivi, t. 2, par. 2, p.571), a cui però alcune cose si debbono aggiugnere. Egli era nato in Trevigi, e di famiglia orionda da Venezia, e perciò soleva egli dirsi veneziano (Bembo, Lett, famil. t. 1, l. 2, Op. t 3, p. 10). Venuto in età giovanile a Roma, dovette principalmente al Bembo la sorte di essere conosciuto e stimato da Leon X (ivi, t. 2, l. 2, p. 108), di cui fu fatto suo famigliare. Così lo nomina il Bembo in una lettera scritta nel 1515 a nome di quel pontefice e Leonardo Loredano doge di Venezia, in cui il prega a mandargli le artiglierie per armar le sue navi: Ea de re Augustinum Beatianum familiarem meum, et Civem tuum probum ipsum virum, et ingenio doctrinaque praestantem ad te mitto, qui tibi mentem meam latius explicabit. Cui etiam mandavi, ut certos Graecorum libros, quibus egeo, Venetiis perquireret (Bemb. Epist. Leon. X nom. l. 10, ep. 45). Quindi ancora Leone gli fu liberale di alcuni beneficj, a quali alludendo il Bembo in una sua lettera al Longolio nel 1521: Tebaldaeus, gli dice (Epist. famil. l. 5, ep. 17), et Beatianus etiam fortunis aucti tibi hilarius salutem adscribunt; e in un’altra (ib. l. 6, ep. 123) nomina un beneficio che il Beazzano avea ne confini di Aquileia, e prega il segretario del re de’ Romani a far ch' ei sia compensato de’ danni ch’esso dalle rapine di alcuni avea sofferto. Dell'amicizia che il Bembo [p. 2014 modifica]3014 LIBRO ebbe pel Beazzano, e de’ diversi viaggi che questi fece per ordine del primo, di varie commissioni che gli furono affidate, parla il conte Mazzucchelli; il quale poi, sulla fede del Zilioli, aggiugne che nel fior degli anni assalito da gravissima infermità e specialmente dalla podagra, dovette ritirarsi a vita tranquilla prima in Verona, poi in Trevigi, ove passò gli ultimi diciotto anni della sua vita. È incerto ugualmente l anno della nascita e quel della morte di questo poeta. Ma poichè egli era al servigio di Leon X nel 1515, è probabile ch ei nascesse verso la fine del secolo xv. E se egli pubblicò veramente, come dal Mazzucchelli si afferma, una Canzone per una vittoria riportata sopra de Turchi fanno iòji, è manifesto che fino a quell’ anno dovette ei vivere, e perciò fino all estrema vecchiezza. Lo stesso scrittore accenna le onorevoli testimonianze che molti gli hanno renduto, e ci dà un esatto catalogo delle opere che ne abbiamo. Ei si esercitò ugualmente nella poesia italiana che nella latina. Ma nella prima, a dir vero, parmi ch’egli abbia molto di quello stile alquanto duro ed incolto che fu proprio della maggior parte de poeti che vissero sulla fine del secolo xv e su’ principj del seguente. Le poesie latine al contrario sono assai più eleganti. Tra le Lettere inedite d'uomini illustri, delle quali io ho copia, e i cui originali conservansi nel segreto archivio di Guastalla, una ne è del Beazzano a D. Ferrante Gonzaga, scritta da Trevigi a’ 23 di giugno del 1548, in cui raccomandagli un suo nipote, perchè gli dia qualche impiego nella milizia. [p. 2015 modifica]

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TERZO 2015 XIV. Più a lungo mi tratterrò io nel ragionar del secondo de’ mentovati poeti, cioè di Benedetto Lampridio di patria cremonese, poichè poco è ciò che di lui ci ha detto l'Arisi (Creinoti. litter. t. 2, p. 95), ed egli ha troppo diritto di rimanere immortale ne fasti della nostra letteratura. Ei dovette nascere verso la fine del secolo precedente, e in età ancor giovanile recarsi a Roma, ove la prima stanza ch'egli ebbe, fu nella casa di Paolo Cortesi, di cui abbiam a lungo parlato altrove (t 6, par. 1). Così afferma lo stesso Paolo: Lampridius Cremonensis Grammaticus hospes familiae nostrae (De Cardinal, p. 242). Passò egli quindi nel collegio de’ Greci, istituito a’ tempi di Leon X da Giovanni Lascari, e dotto, com’ egli era, nell’una e nell’altra lingua, giovò non poco all’istruzion di que’ giovani (Jovius Elog. p. 62). Morto nel 1521 il suddetto pontefice, il Lampridio passò a Padova, ove si trattenne più anni, non già insegnando pubblicamente, ma tenendo scuola privata, con guadagno più che con gloria, dice il Giovio, il quale attribuisce ad orgoglio del Lampridio il non aver mai voluto salire sulla cattedra per non venir con altri al confronto. Ma in ciò sembra che il Giovio si lasciasse trasportare da un cotal suo genio di unir la satira all elogio, che in quell’ opera spesso si scorge. Perciocchè è certo che il Lampridio fu in Padova applaudito e stimato, e che, benchè non fosse pubblico professore, recò nondimeno giovamento ed onore a quella università: Il nostro M. Lampridio, scrive il Bembo da Padova nel 1530 (Lettere, t. 2, l. 10, [p. 2016 modifica]20 i6 LIBRO Op. t. 3, p. 266), sta bene, ed è qui con molta grazia di questa Città, e di questo onorato Studio: E scrivendo ad Aon io Paleario, Lampridius, egli dice (Palearii Epist l. 1, ep. 16), mecum est totos dies; valde ejus consuetudine et convictu delector, qui cum mihi integritate illa sua est jucundissimus, tum pietate incredibili in amicos. Nullus est dies, quin de te faciat mentionem plenissimam desiderii. Pangit aliquid Pindaricum: nolo omnia: cum veneris, opus apparebit. Lo stesso Paleario avea in grande stima il Lampridio; e in una sua lettera dice di aver udito (ib. l. 1, ep. 4) ch’egli stava facendo un’ elegante versione delle Opere d'Aristotele; la qual però non sappiamo se veramente da lui si facesse. E in un’altra, scritta da Padova a Bernardino Maffei, che fu poi cardinale, parla con molta lode della spiegazion di Demostene, ch egli faceva privatamente in sua casa: De Lampridio nostro puto te aridi-.1 visse ex aliis, quanta cum laude proximis men• J sibus Demosthenis Orationes nobis explicarit Agebat enim omnes illos Senatores quos ille nominat; ipsum vero Demosthenem eo gestu, I eo vultu, et vocis conformatione, vehementem, plenum spiritus, plenum animi, vocibus sonantem, ut fieri nihil posset pule riiis. Quam vellem, nobiscum, mi Maffee, fuisses! Scio ego, te omnem istam Urbis magnificentiam et popularem gloriam cum una Lampridii interpreta- ' tiuncula non fuisse collaturum (ib. ep. 19). Somiglianti son le espressioni con cui del Lampridio ragionano il Sadoleto (Epist.famil. t. 2, p. 51, ed. Rom.) e Girolamo Negri (Epist. [p. 2017 modifica]TERZO 2OI7 p 14, 15, 16, 17, ec., ed. Rom.). Il duca di Mantova Federigo Gonzaga, a cui pervenne la fama del molto saper del Lampridio, volle averlo in Mantova per maestro del giovane principe Francesco suo figlio, e per mezzo di D. Gregorio Cortese monaco benedettino, poi cardinale, l’ottenne al principio dell’an 1536: Non tacerò, scrive lo stesso Cortese al Cardinal Contarini agli 8 di marzo del detto anno (Cortes. Op. t. 1, p. 104, ec.), come i giorni passati essendo in Mantova fui pregato da quell' Illustrissimo Signor di fare che M. Lampridio andasse a stare con lui ad effetto, che il suo unico figliuolo avesse la creanza sotto esso, ed anco desiderando il prefato Signore avere una compagnia, con la quale alle volte potesse esercitarsi in ragionamenti virtuosi; e così conclusa la cosa M. Lampridio se n è andato con provvisione di trecento ducati, e le stanze, e le spese per tre bocche, e spero debbia essere il liti iità e a quel Signore, e anche a tutto quel Stato. Il che ho scritto a V. S. Illustrissima e Reverendissima, perchè sò, che lo Illustrissimo e Reverendissimo Cardinale di Mantova altre volte cercò di averlo a suoi servigi; perchè esso conclude, che la servitù sua fosse destinata a quella Illustrissima Casa, e persuade si ' al presente essere a'1 servizi dell uno e l’altro Principe. Di questo passaggio del Lampridio da Padova alla corte di Mantova parlano ancora nella lor Lettere Bartolommeo Ricci (Op. t. 2, p. 560) e Cosimo Gheri, (Epist. cl. Virar., I cnct. i568, p. 56), il qual dice che Padova perdeva in lui un grande ornamento. Benché in [p. 2018 modifica]20l8 LIBRO Mantova ei fosse occupato nell’ istruzione del principe suo allievo, non lasciava però di prestare anche ad altri il medesimo ufficio, e singolarmente a Torquato Bembo, da Pietro di lui padre inviato a Mantova per tal fine: Io vorrei udire, gli scrive il padre (Lettere, t. 2, l. 10, Op. t. 3, p. 166) nel 1538, che attendesti ad imparare più volentieri che non fai e che pigliasti quel frutto da lo aver M. Lampridio a Maestro, che dei, pensando che hai tu più ventura, che tutto il rimanente de' fanciulli dell Italia, anzi pure di tutta l Europa, i quali non hanno così eccellente e singolar precettore, e così amorevole, come hai tu, sebbene sono figliuoli di gran Principi e gran Re. Egli finì di vivere, secondo la comune opinione, in Mantova in età immatura nel 1540, e il Bembo in fatti ne pianse la morte in una sua lettera segnata a’ 25 di settembre del detto anno (ivi, p. 299). Ma pare che in questa data sia corso errore; perciocchè, come ha osservato il ch. ab. Lazzari (Miscell. Coll. rom. t 2, p. 121), Aonio Paleario in una sua lettera, che non ha data, al Lampridio, gli scrive che il Cardinal Polo era stato nominato legato a Trento (Palear. Epist. l. 1, ep. 17), e questa legislazione non fu che nel 1542. Nelle Poesie latine, che sono quasi il sol monumento rimastoci del valor del Lampridio, fu egli il primo che ardisse d’imitar Pindaro, lodato perciò dal Giraldi (l. c p. 542), il quale ancora rammenta alcune Poesie greche da lui composte e ne loda gl’ ingenui ed innocenti costumi, da Bartolommeo Ricci (De Imitat. l. 2), e dal conte Niccolò [p. 2019 modifica]TERZO 301(J J'Arco (l. 2, carni. 67) e da più altri. Il Giovio però lo riprende, dicendo che per imitar pindaro ei divenne gonfio e duro, e poco gradito alle orecchie avvezze alla dolcezza della latina poesia. E certo il Lampridio in essa introdusse certa sorte di metri che non le sembran troppo adatti. Ma non può negarsi che nella nobiltà de’ pensieri e ne voli dell’ immaginazione ei non sia felice imitatore di Pindaro, e che a queste doti non congiunga comunemente molta eleganza; degno anche perciò di lode, perchè fu egli il primo tra’ moderni poeti a prefiggersi l’imitazione di sì difficil modello. Se ne hanno innoltre tre lettere italiane tra quelle scritte al Cardinal Bembo, e una latina al Cardinal Polo in congratulazione della porpora conferitagli (Card. Poli Epist dec. 2, p. i3). XV. Del terzo de’ tre nominati poeti, cioè di Basilio Zanchi, ha scritta sì esattamente la Vita il ch. signor abate Serassi (ante Zanchii Poem. ed. Bergorn. che appena possiamo sperare di dirne cosa non detta. Ei fu fratello di quel Giangrisostomo di cui tra’ teologi si è favellato, e nacque in Bergamo circa il 1501, ed ebbe al battesimo il nome di Pietro. Fu scolaro di Giovita Rapicio, che ivi allora teneva scuola, e con tal ardore si applicò allo studio, che in età di soli diciassette anni potè scrivere la sua Raccolta di Epiteti poetici, che fu poscia stampata nel 1542. Il suo natural talento per la poesia il trasse in età ancor giovanile a Roma, ch era allora il centro comun de’ poeti, e tal nome vi ottenne, che meritò, benchè in età di soli 20’ anni, Tiraboschi, Voi. XIII. 4 [p. 2020 modifica]2020 LIBRO di esser dall1 Arsilli lodato con ampio e magni, fico elogio. All’ usanza degli altri accademici prese il nome di L. Petreio Zancheo. Ma il cambiò presto di nuovo, perciocchè, tornato dopo la morte di Leon X a Bergamo, ivi nel 1524 entrò tra’ Canonici regolari lateranensì, e pn;se il nome di Basilio. Applicossi allora principal. mente agli studj sacrj, e frutto ne furono al. cune opere sulla sacra Scrittura, che ne abbiamo alle stampe. Io non seguirò il Zanchi nel frequente cambiar di stanza ch’ ei fece, soggiornando ora a Ravenna, ora in Bologna, ora in Padova, ora in Bergamo (ove istruì nelle lettere greche e latine Giampietro Maffei suo nipote, poi gesuita, e scrittoi'rinomalo perla sua tersa latinità) ora in Roma. Ma qualunque fosse il soggiorno del Zanchi, ei lasciava in ogni luogo belle ripruove del vivo suo ingegno e del suo indefesso ardor nello studio, e quindi ancor ne venne lo stringersi in amicizia co’ più dotti uomini di quell’età, tra'quali e 'l Zanchi passò sempre una’ amichevole corrispondenza. Il sig. abate Serassi, seguendo l’autorità del Ghilini, dice ch’ ei fu custode della biblioteca Vaticana, e che fu successore di Fausto Sabeo morto nel 1559 Ma oltre che noi vedremo ch’egli era morto fin dal 1558, nell’esatto Catalogo de’ Custodi di detta Biblioteca, tessuto dagli Assemanni, il Zanchi non è nominato; e al Sabeo si dà per successore Federigo Rainaldi! (Catal. Codd. mss. Vatic. t. 1, praef. p. 69) Benchè gli altri scrittori nulla ci dicano di qualche avversa vicenda che gli affrettasse la morte, una lettera però di Paolo Manu [p. 2021 modifica]TERZO 3021 uiostra che il Zanchi era degno di più felice destino: Basilii Zanchii, scriv egli a Lorenzo Gambara (l. 4 ep. 28), Poetae summi, Hominisque non vulgariter eruditi miserabilis et indignissimus interitus hilaritatem mihi prorsus omnem cripuit. Quem enim donare summis praemiis ob excellentem virtutem, decorare honoribus ob singularem integritatem atque innocentiam aequum fuit, eum tam ignominiose vexatum, tam acerbe, tam crudeliter extinctum, quis non ferat iniquissime? Equidem, ut audivi, etiam dolore tuo vehementer doleo; nam et vixistis una semper conjunctissime alter alteri egregie charus, et fuit uterque vestrum ad poeticam facultatem natura propensus, ac mire factus, ut cum nemo tam bonus poeta sit, quin vobis primas in componendis versibus partes tribuat, quam confessionem etiam ab invitis exprimit Poematum comparatio, uter tamen utri praestet, nondum satis judicare quisquam possit. Il sig. abate Serassi non ci dà su un tal punto più distinte notizie, e si riserba ad esaminarlo nell opera degli Scrittori bergamaschi, ch' egli ci fa sperare, e che io desidero vivamente che ad onore della comun nostra patria egli dia in luce. Io avvertirò frattanto che le soprarrecate oscure espressioni vengano rischiarate da una lettera di Latino Latini, scritta a' 7 di gennaio del 1559, e recata dal P. Lagomarsini (in Not. ad Ep. Pogiani, t. 1, ep. 15); Zane hi us noster in apostatatarum tempestate gravi carceris dolore confectus jampridem obiit Convien qui ricordare ciò che abbiamo accennato parlando di Ottavio Pantagato, cioè che il severo pontefice [p. 2022 modifica](2022 LIBRO Paolo IV nel 1558 pubblicò una legge, con cui sotto pena della carcere, e ancora della galea, si ordinava a tutti i religiosi che viveano fuori del loro chiostro, di fare ad esso ritorno. Fa d’uopo dunque dire che il Zanchi fosse tra essi, che indugiando ad ubbidire agli ordini del pontefice, fosse per comando di esso chiuso in prigione, e che ivi morisse. La data di questa lettera e la voce jampridem dal Latini usata ci mostra che il Zanchi era morto circa gli ultimi mesi del 1558, e che mal lì. nora ne è stata fissata la morte a’ 31 di gennaio del 1560. L’abate Serassi ha studiosamente raccolti gli elogi che molti scrittori ne han fatto; e si possono ad essi aggiugner due lettere di Bartolommeo Ricci, una al medesimo Zanchi, l’ altra ad Agostino Mosti (Op. t. 2, p. 451, 548), nelle quali delle poesie di esso ragiona con somma lode. Ed esse di fatto son tali, che fra la numerosissima serie de’ poeti latini di questo secolo, il Zanchi ha pochi uguali nella dolcezza, e nell’eleganza pochissimi superiori, e ciò in qualunque genere di poesia, poichè quasi di ogni sorta ce ne offrono gli otto libri che ne abbiamo. Fra essi è un poema sacro, intitolato De Horto Sophiae, in cui racchiude i dogmi e i fatti più illustri della cattolica Religione, tanto più degno di lode, quanto più è malagevole lo scrivere di argomento che dagli antichi scrittori non si potè maneggiare. Oltre queste poesie, e le altre opere che già sono state accennate, abbiamo del Zanchi una specie di lessico latino, intitolato Latinorum verborum ex variis auctoribus Epitome• [p. 2023 modifica]TERZO aoa3 p,ie altri indici, uno delle voci di Lucrezio, fallro di quelle di Catullo e di qualche altro poeta si conservano mss. nella Vaticana. Avea ancora intrapresa un’opera degli Epiteti greci, jornigl*a,lte a quella che già pubblicata avea de latini; ma la morte non gli permise il compirla. XVI. Noi siamo omai alla fine della lunga serie de’ poeti dall’Arsilli tessuta. Gli altri che ci restano a nominare, sono Gianfrancesco Bini, di cui abbiamo detto tra’poeti italiani, Tranquillo Molossi cremonese, Bartolommeo Crotti reggiano, di cui parla più a lungo il Guasco, che ne ha pubblicato ancora un sonetto (Stor, letter. di Reggio, p. 47) (u)) Batista d’Amelia e Pietro Corsi poeti poco or conosciuti, dell’ ultimo de’ quali si hanno alcuni versi nella Coriciana. Del Molossi si ha stampato in Lione nel 1539 un poemetto intitolato Monomachia, che si vede citato nel Catalogo della Biblioteca del re di Francia. Ma oltre ciò, il sig. d Clemente Molossi di Casalmaggiore possiede un codice di molte altre Poesie latine di Tranquillo, e diversi documenti intorno al medesimo, de’ quali si è giovato nel tesserne eruditamente la Vita, pubblicata di fresco, il P. Ireneo Affò. Egli ebbe nome Baldassarre, e per vezzo poetico prese quel di Tranquillo. Nacque da Giovannino Molossi in C.isalmaggiore nel 1466. Fu scolaro in Cremona di Niccolò Lucaro; e nel i4{)3 era al servigio (fl) Del Crolli hó date più distinte notizie nella Biblioteca modenese (l. 2, p. 197)[p. 2024 modifica]2034 LIBRO del patriarca d’Aquileia. Entrò poscia in grazia del Cardinal Farnese che fu poi Paolo III, fu maestro in Roma di Pier Luigi di lui figlio, e indi del nipote Alessandro, e al primo de suoi discepoli dovette l’ andare esente dalle comuni sventure del sacco di Roma nel 1527. Dopo esso, tornò alla patria, e vi morì ai’ 30 di aprile dell’ anno seguente. A questi poeti debbonsi aggiugnere alcuni altri, di cui l’Arsilli avea fatto elogio, quando scrisse dapprima questo suo componimento, e che leggonsi nell’ originale inedito da me accennato, e furon poscia da lui ommessi nella edizione fattane forse perchè erano allora già morti. Ivi dunque si nomina un Bonino de’ Negri medico milanese, a cui l’Arsilli con leggier cambiamento sostituì quell’Agatino da noi già nominato, se pur questo non è soprannome dello stesso Bonino. Ivi ancor fa menzione di Ulisse da Fano, di Marcantonio Colonna valoroso condottier d’armi e coltivatore insiem delle Muse, ucciso sotto Milano nel 1522 di Francesco Calvi lodato qui dalfArsilli come diligentissimo raccoglitore di libri, e che debb’ essere quello stesso di cui abbiam fatta altrove menzione (par. 1), e che forse fu ommesso nella edizione, perchè ei lasciossi sedurre da’ Novatori, come si è detto; di Pietro Delio, di Gianfrancesco Filomuso da Pesaro, lodato molto in una sua lettera dal Bembo, che nel i5o(> proposto avealo a Veronesi per maestro della lor gioventù (Epist. famil. l. 4 f ep. 12) (a), e di Cristoforo Batti (a) Gianfrancesco Filoniuso da Fesaro era ddLt [p. 2025 modifica]TfiRZO 3025 parmigiano, di cui più ampie notizie ci soin[iiintscra il conte Mazzucchelli (Scritt ital. t. 2, 548)Or questa sì numerosa serie di valorosi poeti, ch erano allora in Roma, ci fa abbastanza comprendere quanto ivi fiorisse ai’ tempi di Leone X la poesia latina. Nè tutti però gli ha qui nominati fArsilli. Perciocché nella più volte citata Raccolta Coriciana, in cui probabilmente non ebber parte che i poeti che soggiornavano in Roma, sono circa 130 gli autori di tai poesie, e parecchi di essi non si vigono dalfÀrsilli indicati. Ma io non debbo in ciò trattenermi più lungamente, e tempo è omai di uscire da Roma, e di ricercare i più chiari poeti sparsi nelle altre città d Italia. xvn. Un1 altra guida qui ci si offre a condurci, cioè Giglio Gregorio Giraldi. Due Dialoghi scrisse egli sui più illustri poeti de tempi suoi; uno in Roma a tempi di Leon X, e ne’ f.miglia Soperchi, come da una lettera di Antonio Bellone.od Aurelio di Ini fratello ha raccolto I" eruditissimo sig. abate Ongaro nelle belle notizie sulla Storia lette* ri ri a del Friuli da lui trasmessemi Egli, a persuasion del Salicilico, era stato scelto a maestro dalla città di l line dopo la partenza dell’ Amaseo nel 1489, e vi stette fino verso la fine del 1.492. Fu ricondotto al cominciar del secolo susseguente, ma poro tempo vi si trattenne, sì perchè pnrvegli di non poter più sostener quella fatira, sì perchè il duca d’Libino sdegnato contro di lui per I" abbandonar che avea fatto i suoi Stati, aveane confiscali i beni; e benché gli Udinesi cercassero, ma inutilmente, di far rivocare quel decreto, e dessero al Filomuso qualche compenso del danno perciò solferto, dovette egli nondimeno credere miglior consiglio di far litomo alla patria, e il rientrare in possesso de’ suoi beni. [p. 2026 modifica]2026 LIBRO primi anni di quel magnifico pontificato; il se„ condo in Ferrara nel tempo delle nozze della principessa Anna figlia del duca Ercole II, cioè nel 1548. In essi ei viene schierandosi innanzi l' un dopo l’ altro i poeti migliori vissuti a que’ tempi, e di ciaschedun di essi non fa semplici elogi, come l’Arsilli, ma ne osserva e n esamina, e per lo più con giusto ed esatto giudizio, i pregi non men che i difetti. Noi possiam dunque considerare questi Dialoghi come una esatta storia della poesia e de poeti dei primi cinquanta anni di questo secolo, e andremo perciò scorrendoli, passando sotto silenzio que de’ quali già ha fatta menzione l’Arsilli, nominando gli altri da questo taciuti, e trattenendoci alquanto su quelli che ce ne sembreranno più degni. Comincia egli nel primo Dialogo dall’ annoverare i poeti vissuti sulla fine del secolo precedente, dei quali noi abbiam già fatta a suo luogo menzione. Tra essi però ne frammischia alcuni che propriamente appartengono al secolo di cui scriviamo, come Gianfrancesco Pico, di cui si è parlato tra’ filosofi, il Sannazzaro mentovato da noi tra i poeti italiani, e di cui direm di nuovo tra poco, e Alessandro Guarini, figliuol di Battista il giovane, professore di belle lettere nell’ università di Ferrara, e segretario e consigliere ducale, di cui si potranno leggere più copiose notizie presso il Borsetti (Hist Gymn. Ferr. t 2, p. 107, ec.) che ne ha ancor pubblicate alcune Poesie. Quindi entrando nel secolo xvi, fa menzione del celebre cardinale Adriano, di cui direm tra’ grammatici. Il primo ch’ egli ci [p. 2027 modifica]TFR7.0 202T mette innanzi, c che debb’ essere onorato di più distinta menzione, è Andrea Navagero (Dial. 1 De Poet. suor. temp. Oper. t. 2, p. 537). Innanzi alla magnifica edizione delle opere di esso, fatta dal Comino in Padova, se ne legge )la Vita con molta eleganza descritta dal celebre Giannantonio Volpi, la quale fa che non ci sia necessario il raccoglierne altronde le più esatte notizie. Nato in Venezia da Bernardo N'avagero e da Lucrezia Polana nel 1483, e istruito ne’ buoni studj prima nella stessa sua patria da Marcantonio Sabellico, poscia in Padova da Marco Musuro e da Pietro Pomponazzi, talmente si accese nell’ amor delle lettere, che tutto ad esso si volse, e ne fece presso che l’ unica sua occupazione. Le Prefazioni dal vecchio Aldo premesse alle sue edizioni di Quintiliano, di Virgilio, di Lucrezio, e da Andrea Ascolano a quelle di Ovidio, di Orazio e di Terenzio, e quelle del medesimo Navagero innanzi alle Orazioni di Cicerone, ci fanno abbastanza conoscere quanto diligente egli fosse nel consultare i migliori codici, e di quanto esatto giudizio nello sceglierne le più corrette lezioni. La fama di eloquente oratore, ch’egli avea ottenuta, fece che a lui fosse dato l incarico di recitare l orazion funebre al generale Bartolommeo Alviano, al doge Leonardo Loredano e a Caterina Cornaro reina di Cipro. Quest ultima si è smarrita. Le prime due si hanno tra le Opere del Navagero; e benchè non vi si vegga quella rapida e robusta eloquenza che si è poi ammirata in alcuni più moderni oratori, esse nondimeno sono [p. 2028 modifica]3028 LIBRO scritte non solo con maggiore eleganza di quella che allora comunemente si usasse, ma ancora con più artificioso e meglio ordinato discorso; perciocchè, come si è altrove osservato, le orazioni funebri altro allora non erano per lo più, che un compendio della vita del defunto eroe. Dopo la morte del Sabellico, ei fu destinato ad aver cura della biblioteca del Cardinal Bessarione, e gli fu insieme dato fincarico di scriver la Storia veneta; opera da lui cominciata, ma poi gittata alle fiamme, come ad altra occasione si è avvertito. Ei coltivò l' amicizia de’ più dotti uomini di quel tempo, e principalmente del Bembo, del Contarini, dei Fracastoro, di Giambattista Ramusio, di Raimondo e di Giambattista della Torre, e fu da tutti esaltato con somme lodi. Le loro testimonianze si veggon raccolte innanzi alla detta edizione; e ad esse possono ancora aggiugnersi alcune altre lettere di Bartolommeo Ricci (Op. t. 2,p. 229) ad esso scritte, in una delle quali loda la singolar memoria del Navagero, che udito un verso di Virgilio, ne continuava il seguito fino alla fine del libro; una lettera al medesimo scritta da Lucillo Filalteo, in cui fa grandissimi elogi del grande ingegno e dell infaticabile studio di Andrea (Philalth. Epist. p. 84), il passo in cui il Valeriano ne piange la morte (De Infelic. Litterat l. 2, p. 52), e un’ Egloga nella stessa occasione composta dal Zanchi (Carm. p. 128, ed..bergom.). Da questa fu egli sorpreso in età di soli quarantasei anni, agli 8 di maggio del 1529, mentre era in Blois ambasciadore della Repubblica alla \ [p. 2029 modifica]forte di Francia. Non molte sono le poesie latine che ce ne sono rimaste. Ma lo scarso lor numero vien compensato dalla loro eleganza, e io non so se vi abbia altro poeta di questi tempi che sì felicemente abbia imitata quella grazia e quell amabile semplicità greca ch è il vero e distinto carattere del buon gusto. E quanto fosse fino e perfetto quello dei Navagero, si scuopre ancora del gittare ch ei fece al fuoco alcune sue Selve fatte in età giovanile a imitazion di quelle di Stazio, e da un somigliante sagrificio che ogni anno ei solea fare a Vulcano di qualche copia delle Poesie di Marziale, sacrifizio narrato dal Giovio scrittor di que’tempi, e che invano con frivoli argomenti si è sforzato di oppugnare un moderno scrittore, a cui è sembrato che fosse quello un gravissimo sacrilegio, che non potesse cadere in mente che al più scelerato uomo del mondo. Abbiamo ancora alcune rime del Navagero, le quali, benchè abbiano i loro pregi, non mi paiono nondimeno tali da stare al confronto colle latine. Delle belle ed erudite lettere da lui scritte ne suoi viaggi abbiamo fatta parola altrove; e di altre opere la lui o intraprese, o composte, ma poi smarrite, si posson veder le notizie presso il suddetto scrittore. XVIII. Zenobio Acciaiuoli, di cui abbiam parlato tra’coltivatori della lingua greca, lodato vien dal Giraldi (l. c. p. 538) come uomo che felice disposizione sortita avea della natura per poetare; benchè poscia entrando nell Ordine de Predicatori, volte le spalle a’ [p. 2030 modifica]2o3o libro profani studj, tutto si applicasse a’sacri. Magnifico è l’elogio che il Giraldi soggiugne di Giovanni Cotta veronese, e per quanto sia magnifico, esso non è punto esaggerato: Joannem Cottam juvenem adolescens vidi multi ingenii ac judicii ultra quam eatas sua ferebat Nam humili loco natus in varias Italiae partes peregre profectus, tandem Liviano Venetorum Imperatori adhaesit, sed capro Liviano a Gallis, illius mandato ad Julium Pont, profectus morbo interiit. Hic ergo in cursu juvenis cecidit. Ejus complures versiculos aliquando legi, quos et legisse juvat, idemque, ut vos faciatis identidem, moneo. Videbitis miram juvenis indolem, cui si fata longiorem vitam concessissent, inter bonarum litterarum proceres haud immerito Cotta connumeraretur (ib.). Somigliante elogio ne fanno il Valeriano (De Infelic. Liter. l. 1, p. 36), il quale aggiugne che non solo nella poesia, ma ancora nelle matematiche faceva il Cotta felici progressi, e il Giovio (Elog. p. 3 j), il qual dice ch egli avea tenuta per qualche tempo scuola in Lodi, e che morì in età di soli ventotto anni; e rammenta alcune opere da lui composte, e infelicemente perite. Di lui ragiona ancora il marchese Ma (Tei (Ver. illustr. par. 2, p. 401), che giustamente riflette che niun altro poeta con sì poche poesie giunse ad ottener sì gran fama. E veramente quelle del Cotta, che dopo altre edizioni furono aggiunte alla bella edizion Cominiana delle Opere del Fracastoro, son tali, che quanto maggiore è il piacere che si sente leggendole, tanto maggiore è il dolore che si [p. 2031 modifica]TERZO ao3l pruova al vederne sì scarso numero (*). Di Cesare Moro ferrarese, che dal Giraldi è annoverato tra gl’ illustri poeti nell’ una e nell’altra lingua, e anche tra’ valorosi oratori, e che fatto poi segretario di Alfonso I, morì in età immatura (p. 539), non so che cosa alcuna ci sia rimasta. Minori sono le lodi ch’ ei dà a Giorgio Anselmo di patria parmigiano, di cui dice che scrive non senza erudizione ed ingegno, ma che ha uno stile arido e duro (ib.)• Di questo autore e delle Poesie e di altre opere che ne sono a luce, parla con molta esattezza il conte Mazzucchelii (Scrittiteli, t. 1, par. 2, p. 834 ec.) (a). Di Celio Calcagnini e di Celio Rodigino, a’ quali lo stesso Giraldi dà luogo qui tra’ poeti, benchè molto non ne lodi le poesie (ib.), abbiam ragionato nel primo capo di questo libro. Dopo alcuni altri poeti che o appartengono al secolo precedente, o sono stati già da noi nominati, fa menzione il Giraldi di Giovanni Leone soprannomato il Poetino, di cui racconta che nacque ne’monti di Modena; che fu in Ferrara scolaro di Luca Riva e di Battista Guarino; che nel poetare fu sì felice, che n ebbe il soprannome di Poetino; ch’ei vivea allora in corte del cardinale Ippolito il vecchio; che molte elegie ed epigrammi ed altri versi andava ogni (*) Una nuova edizione delle Opere del Cotta si è fatta di fresco in Cotogna nel Vicentino, aggiuntevi alcune notizie di questo elegante scrittore. (a) Più copiose e più esatte son le nolizie dell’ Anselim che ci ha date il eh. padre Affò (Meni. tC ili. Partii, t. 3 j p. 3i8, ec.). [p. 2032 modifica]2o3a. LIBRO giorno scrivendo, e che avea allor tra le mani un poema eroico intitolato Perseidos, degno di esser pubblicato; e ne reca in fine un breve ma grazioso epigramma sulla favolosa Io (p. 54 *)• Di 1111 Giovanni Leone modenese cortigiano del cardinale Ippolito parla anche il Borsetti (Hist. Gymn. Ferr. t. 2., p. 295); ma egli tacendo gli studj poetici, dice soltanto ch’ei fu sacerdote, teologo ed oratore, e ne rammenta un’ opera teologica stampata in Ferrara nel 1520, e intitolata Virbius seu opus secretae Theologiae. È egli uno stesso scrittore, o deesi egli distinguere dal poeta? Io non ardisco deciderlo, perchè non trovo' tai monumenti che sciolgano il dubbio. Del poeta, s egli è diverso dal teologo, non so che altro si abbia alle stampe fuorchè l accennato epigramma conservatoci dal Giraldi. Qualche altro epigramma inedito ne ha questa biblioteca Estense (a). Di Lazzaro Buonamici e di Pietro Alcionio, de’ quali in seguito fa l’ elogio il detto scrittore (p.), io non dirò a questo luogo, perchè del primo sarà più opportuno il parlare nel capo seguente, ove pure diremo di Antonio Tilesio che poco appresso ei nomina, del secondo già si è ragionato nel trattar dello studio della lingua greca. Viene indi a parlare di Giovanni Muzzarelli mantovano, che venuto a Roma, secondo il costume di quegli accadei (a) Del I.eor.e si è più a lungo parlalo nella Biblioteca modenese (t. 3, p. 84) » ove S1 ® osservato che è più verninole che sia un solo f autore delle Poesie latiue e dell' opera teologica. [p. 2033 modifica]TERZO 3033 mici. latinizzò il suo nome, e si disse Giovanni Muzio Arelio. Di lui dice il Giraldi (p. 543) che avea veduto un Inno in lode di S. Giovanni Battista, e alcuni epigrammi da lui stesso mostratigli, e un poema in lode di Muzio Scevola, che stava allor componendo, e che di questo giovane grande era l’ aspettazion presso , dotti. In fatti il Bembo, scrivendo da Roma ad Ottaviano Fregoso il 1 di gennaio del 1512, Nos invisit, gli dice (Epist. famil, l. 5, ep. 7), Mutili s A reli us fere quotidie magnae, spei adolescens, ut scis, aut etiam majoris, quam quod scire possis magis enim magisque se se in dies comparat, cum ad mores optimos et ad omnem virtutem, tum ad poetices studia, ad quae natus preacipue videtur. Leon X, premiator generoso de’ colti ingegni, gli diè il governo della Rocca di Mondaino detta dal Valeriano (De lnfelic. Liter. l. 1, p. 22) Arx Mondulphia. Ma questo onore gli fu funesto: Monsignor mio, scrive il Bembo al cardinale di Bibbiena (Lettere, t. 1, l. 2, Op. t. 3, p. 10) a 3 di aprile del 1516, sapete bene, ch io temo grandemente, che 'l nostro povero Muzzarello sia stato morto da quelli di Mondaino, perciocchè da un mese in qua esso non si trova in luogo alcuno. Solo si sà, che partì da quella maledetta Rocca temendo di quegli uomini, e fu nascostamente. Non fu già, ch io non gli predicessi questo, che Dio voglia, che non gli sia avvenuto. Oh infelice giovane! non l avess'io mai conosciuto, se tanto e così raro ingegno si dovea spegnere sì tosto e in tal modo! E in altra al medesimo de' 30 dello stesso [p. 2034 modifica]2o34 lirro mese: Del Muzzarello niente si può intendere Laonde io per me lo tengo senza dubbio spacciato. O povero e infelice giovane! È possibile, che al tuo fine così tosto, e così miseramente sii pervenuto (ivi, p. 13)? In fatti il Valeriano racconta ch' ei fu poscia trovato morto insiem colla sua mula in un altissimo pozzo. E così accenna anche il Fornari comentando quel passo dell'Ariosto: Uno elegante Castiglione, un culto Mn* io Arelio, ec. canto 42 Chiamossi costui, dic egli (Sposiz. sopr l Orl. t. 1, p. 694), Giovanni Muzzarello: fe molti componimenti volgari et latini, essendo uno degli Accademici in Roma al tempo di Leone. Fu poscia da alcuni nemici suoi indegnamente ferito et ucciso. Molte Poesie latine e alcune italiane se ne hanno in diverse Raccolte; e nelle prime singolarmente egli è scrittore assai colto e felice. Un’altra opera inedita, e non rammentata da alcuno, ne abbiamo in questa biblioteca Estense in lingua italiana, e scritta a foggia dell'Arcadia del Sannazzaro, parte in prosa, parte in versi, in lode della sua donna, ch’ ei si protesta di non voler nominare. Ei dice di averla scritta ne più giovanili suoi anni, mentr era al servigio di Lodovico Gonzaga eletto vescovo di Mantova, morto nel 1511, ed essa è da lui dedicata alla Dia Helisabeth Gonzaga da Feltro Duchessa d Urbino. XIX. Degne di non molta lode sembrano al Giraldi le Poesie di Girolamo Nogarola, che da lui dicesi cavalier vicentino ed esule dalla [p. 2035 modifica]TERZO 2035 patria per aver seguito il partito imperiale contro la Repubblica (l. c.). Il marchese Maffei peri» Fannovera tra gli scrittori veronesi (Ver. illustr. par. 2, p. 415), e rammenta un’Orazione in versi da lui detta in Vicenza innanzi all’imperador Massimiliano, e stampata dal Frehero (Script. Rer. germ. t. 2). Un bello elogio soggiugne poscia il Giraldi di Paolo Cerrato di Alba (ib.): Paulus Cerratus ex Alba Pompeja non ignobilis est, tum genere, cum carminis et legum peritia, quod sciam: adhuc in manus habet di Virginitate tres libellos carmine heroico, in quibus mira facilitas et sonora carminis structura. Et si non eadem semper numerorum aequalitas, sed pro re interdum variata esset, nescio cui nostrorum temporum potae ceder posset. Huic quidem praeter eruditionem et carminis facilitatem morum ac vitae integritas non parum ornamenti affert. Di questo nobile giureconsulto e poeta ha raccolte con somma diligenza da’ monumenti della sua patria molte notizie il ch. sig. baron Vernazza da me più volte lodato, e con uguale eleganza le ha distese in latino, e le ha premesse alla ristampa di tutte le Poesie del Cerrato, fatta in Vercelli nello scorso an 1778 (a). Il Cerrato era nato da Benedetto Cerrato nobile di Alba verso il 1485, e morì, come sembra probabile, verso il maggio del 1541 - Il poema De Virginitate, dal (a) Sulle notizie medesime La poi stesi il sic. abate Odoardo Cocchi* la sua Lezione sulla Vita di Paolo Cerrato (Piemont. ili. t. 3, p. 65, ec.). Tihaboscbi, Voi. XIII. 5 [p. 2036 modifica]ao36 libro Giraldi lodato, non venne a luce che nel 1629 in Parigi. Di lui ancora si ha alle stampe un lungo Epitalamio di 533 versi nelle nozze di Guglielmo IX marchese di Monferrato e di Anna d'Alenco, seguite nel 1508, di cui si son fatte più edizioni, ma alcune di esse assai trascurate e mancanti. Tre epigrammi linai, inente se ne hanno nella più volte mentovata Coriciana. Anche lo Scaligero parla con grandi encomj di questo poeta, e lo annovera tra più illustri che avesse a questi tempi l'Italia (Poet. l. 6, c. 1, 4)- Dopo il Cerrato, si schiera in. nanzi il Giraldi alcuni valorosi poeti che viveano allora in Roma, e che perciò si son già da noi nominati; e passa indi a dire in breve di tre Mantovani (p. 545), cioè di Battista Fiera, di cui abbiam parlato al principio di questo capo, di Benedetto Teriaca, di cui dice di aver veduti alcuni libri astronomici in verso elegiaco, i quali io non so che abbian veduta la luce; e di Benedetto Porto, di cui dice ch’era il più colto fra essi, ma che per desiderio di limar sempre più le sue poesie non voleva ch’esse si rendessero pubbliche. Di Francesco Grapaldi, di Luca Valenziano e di Bernardino Donato, che tra poeti latini qui si registrano, abbiam già detto altrove in questo stesso volume. Del Fracastoro, che ad essi si aggiugne, di rem tra poco, e al capo seguente riserberemo il parlar di Battista Egnazio. Pomponio Gaurico, fratello di Luca, di cui abbiam ragionato nel trattar degli astronomi, ci vien dal Giraldi giustamente dipinto (ib.) come poeta non privo d ingegno e di grazia, ma troppo d [p. 2037 modifica]TERZO 203^ ,tìolle c lascivo. Di lui parla il Giovio (Elog. „46), e riflette che avendo voluto rivolgersi al tempo medesimo a molti studj, in niuno potè divenir eccellente. Ei fu professore nell’tipi versi tà di Napoli, e maestro ancora di Ferrante Sanseverino principe di Salerno (Origlia, Stor. dello Stud. di Nap. t 2, p. 8); e delle opere da lui composte, benchè non tutte pubblicate, si può vedere il catalogo presso il Giovio e presso il Tafuri (Scritt. napol t 3, par. 1, p 231; par. 6, p. 102). La morte ne fu infelice; imperciocchè andando da Sorrento a Castellamare nel 1530, sì smarrì per modo, che più non se n ebbe contezza, e fu creduto ch’ei j'osse ucciso e gittato in mare da alcuni ch’egli col palesare troppo liberamente i loro amori avea irritati. Io passo sotto silenzio Paolo da Canale, di cui fa menzione il Giraldi (p. 546), poichè di esso si è detto nel primo capo di questo libro. Aggiugne egli poscia che molti poeti erano ancora in Venezia, ma poco a lui noti pel breve soggiorno che in quella città avea fatto; e che molti n’ erano ancora in Milano; e nomina Stefano Dolcino, che fu veramente di patria cremonese, ed è lodato ancor dal Bandello come colto poeta (t 2, nov. 58) (a), Paolo Bernardino Lanticri e Francesco Taozi fa) L‘ editissimo P. Allò ha osservato (Mem. d ill. Parm, t. 3, p. 65, ec. 163, ec.) che due furono col nome di Stefano Dolcino, il primo canonico della Scala in Milano, ma parmigiano di patria, e morto nel 1508; l altro vissuto egli pur lungamente in Milano, lodato dal Giraldi e dal Bandello, e morto dopo il 1511 e distingue le opere dell’uno da quelle dell’altro. [p. 2038 modifica]ao38 libro soprannomato Cornigero, de’ quali più distinte notizie veder si posson presso l’Argelati (Bibl Script, mediol. t 2, pars 2, p. 3109; pars 1 p. 786, 1477), e più a lungo si ferma nel ragionar di Lancino Corti, di cui noi abbiamo parlato nel tomo precedente. Finalmente dopo aver fatta non molto onorevol menzione (di Giambattista Corbano cremonese, e dopo aver nominato con lode Antonio Maria Visdomini genovese, che prima di Guido Postumo era stato in Modena maestro de’ giovani conti Rangoni, e che molti versi avea scritti, benchè in istile alquanto basso, e allora stava scrivendo alcuni buoni Comenti sulle tragedie di Seneca, accenna i nomi di Niccolò Pannizzato ferrarese, di Pietro Antonio e di Jacopo Acciaiuoli, padre e figlio, di patria, come sembra probabile, fiorentini, ma abitanti in Ferrara, e da lui detti Azioli. Di amendue parla il conte. Mazzucchelli (Scritt. it. t. 1, par. 2, p. 1248), ma a ciò ch’ egli ne dice, possiamo aggiugnere che le Poesie latine di Jacopo lodate vengono come dolcissime da Giambattista Giraldi (Romanzip. 111, 112), e che un bell'elogio ne fa Celio Calcagnini, presso cui villeggiava allora l’Acciaiuoli ancor giovane: Qui est tam absurdo judicio, qui Jacobi Azajoli arane ni tates non amet? cui omnia feliciter Musae indulserunt, seu vorsam, seu prorsam o rat ione m tencat, seu in Etruscis se numeris exerceat, seu transinarinas Venere s accersal in fa ti uni (Op. p. 60)? XX. Schierati innanzi in tal modo i più illustri poeti latini che fiorivano ne’ primi anni del secolo, passa il Giraldi nel secondo Dialogo, [p. 2039 modifica]TERZO at>3;7 scritto* come si è detto, nel 1548, a ragionare di quelli che allora erano più rinomati. Comin* cja in esso a favellare de’ Greci venuti nel secolo precedente in Italia, e che tanto alla italiana letteratura avean recato di giovamento, e parla ancora di quelli che allora eran tra noi. Indi si fa ad annoverare alcuni poeti di diverse nazioni, portoghesi, spagnuoli, francesi, e singolarmente tedeschi, molti de’ quali però aveano fatti i loro studj in Italia. Venendo poscia agl’italiani (p. 562), alcuni dapprima ne nomina che avrebbon dovuto aver luogo nel primo Dialogo, e de quali noi abbiam ragionato nella storia del secolo precedente, cioè Pandolfo Collenuccio, Elisio Calenzio e Francesco Negri veneziano, a cui aggiugne quell’altro Francesco Negri bassanese da noi nominato altrove, e di cui accenna un poema in lode de’ Grigioni, intitolato Rhaetia. Nomina Macario Muzio di Camerino, autore di un poema in lode della santa Croce; e fa un bell elogio del pontefice Paolo III, che avendo nell’età sua giovanile coltivate studiosamente le lettere, anche nell’ età decrepita, in cui era allora, non cessava di proteggerle e di favorirle, e volentieri udiva le poesie greche e latine. Vuole che tra i poeti si annoveri anche Niccolò Leoniceno, di cui noi abbiam detto nella storia del secolo xv, e afferma che negli anni suoi giovanili avea egli talvolta improvvisato felicemente. Accenna Virgilio Porto medico e poeta modenese, vissuto lungo tempo in Bologna, di cui si eran vedute alcune Poesie, ed egli è quel Virgilio da Modena ch è lodato dal Casio come medico c [p. 2040 modifica]204<> LIBRO poeta latino e volgare (Epitaffi p. 69), e di C(J; fa menzione ancor PAlidosi tra’ professori bolognesi (Dott. bologn. di Teol. ec., p. De1 due grammatici Scopa e Stoa, e di Giulio Camini Ilo, che vengon poi nominati, ma con poca • lor lode, direm nel capo seguente. I)j Achille Bocchi, lodato qui dal Giraldi, e anche di Buonaventura Pistofilo, di Giambattista Giraldi e di Girolamo Falletti, de’ quali fa poco appresso assai onorevoli elogi (p. 566) si è già detto ad altre occasioni. Poeta di qualche nome vien da lui detto Giampietro Ferretti da Ravenna, vescovo di Milo e poi di Lavello, e morto nel 1557, dopo aver rinunciato a questo secondo vescovato. Ei fu scrittore indefesso, e non v’ebbe genere d’erudizione che non fosse da lui coltivato, come ci mostra il catalogo delle opere da lui composte, tessuto dal P. abate- Ginanni (Scritt. ravenn t. 1, p. 228), delle quali però assai poche son quelle che ne sono stampate. Fra questi Italiani frammischia il Giraldi Stefano Doleto francese, di cui non è di questa opera il ragionare; e fa poscia un magnifico encomio di Bartolommeo Ferrino, di patria ferrarese, e di bassa origine, ma dal suo ingegno e dal suo studio introdotto alla corte di Ercole II, e onorato da lui con ragguardevoli impieghi e con illustri ambasciate fino al 1545, in cui diè fine a’ suoi giorni. Due orazioni nella morte di lui recitate da Alberto Lollio e da Bartolommeo Ricci ci fan conoscere in quale stima egli fosse pel suo sapere, non meno che per la sua integrità. Il secondo ne loda singolarmente (Op. t.1, p.'j2,cc.) [p. 2041 modifica]TERZO 204 » lo studio dell1 amena letteratura e della poesia latina, in cui dice eh’ei riuscì felicemente nell'epigramma, e più ancora nelle odi; aggiugne che studio ancor maggiore egli fece della lingua italiana; e che o scrivesse egli in versi, o in prosa, scrivea sempre con eleganza e con eloquenza non ordinaria; e ne loda principalmente alcuni sonetti e due orazioni. Di lui si parla ancora nelle Memorie de’ Letterati ferraresi (t 1, p. 223), ove si accennan le cose che ne sono stampate, eJe altre opere ch’egli avea intraprese, ma o che non furon da lui finite, o periron con lui. Del Ferrino si è ancor detto altrove, ove abbiam rammentato quanto sollecito ei fosse nel custodire e nell’ accrescere la bella biblioteca di cui il Pistofilo morendo aveagli fatto dono. Liete speranze avea parimente concepute il Giraldi di Jacopo Novari giovane ferrarese (p. 367), di cui dice che avea vedute alcune assai delicate poesie. Ma l'impiego a cui fu sollevato di cancelliere del duca, sembra che il distogliesse da tali studj, poichè non trovo che cosa alcuna abbia veduta la luce. XXI. Noi abbiamo accennati di volo i suddetti poeti, perciocchè essi o avean già avuto altro luogo in quest’opera, o non ci han lasciati tai saggi de’ poetici loro studj, che convenisse il trattenersi lungamente nel ragionare. Un altro ora ne aggiugne, di cui, benchè poche opere ci sian rimaste, è rimasta però tal memoria presso gli scrittori di que’ tempi, che non possiamo spedircene sì brevemente. Questi è il cardinale Benedetto Accolti, detto comunemente il cardino! di Ravenna, di cui, benché [p. 2042 modifica]204a LIBRO nc abbia esattamente raccolte molte noliziil eli. conte Mazzucchelli (Scritt. ital. t i par. i, p. 62, ec.), speriam nondimeno di p0’ ter dir qualche cosa da altri non Osservata Egli era originario d'Arezzo, ma nato in Firenze da Michele Accolti e da Lucrezia Alamanni a’ 24 di ottobre del 14*97 7 secondo la più comune opinione. Terminati i suoi studj in Firenze e in Pisa, ove ebbe la laurea, passò a Roma, ed ivi, per opera dal Cardinal Pietro Accolti suo zio, tanto s’inoltrò nella grazia di Leon X, che, dopo aver sostenuto per qualche tempo l'impiego di abbreviatore apostolico, fu eletto vescovo di Cadice. Quali fossero le speranze che di sè dava il giovane Accolti, raccogliesi da un bel passo della Poetica del Vida, che leggesi nel codice altre volte lodato del signor baron Vernazza, e che manca nelle edizioni di quell' opera, perciocchè alla fine del libro III, volgendosi di nuovo ad Angelo Divizio, a cui in quel codice la Poetica è dedicata, così gli dice: Sat mihi, si te, Si te olim longe aspiciam mea fida secutum Indicia exupei asse viam, summoque receptum Vertice, et haerentes socios juga ad alta vocantem, Angele: si tecum vadentem passibus aequis Accoltum juvenem aspiciam, quem saepe maligno Sudantem clivo dulci miserantur amore Pierides, fessumque sinu super ardua tollunt Parnassi juga, saepe antro silvisque recondunt Secretis puerum egregium, piaci toque f ruuntur Amplexu. et dulci pia libant oscula cura -, Dum legit intacta lauri de fronde coronam Insignem, patruique audet se tollere supra Divinas laudes, famaeque aspirat avorum. [p. 2043 modifica]I / TERZO • 2043 I ^ncbe Adriano VI, benché non facesse gran ,conto degli oratori e de’ poeti, dal delto vcI jcovado il trasferì a quel di Cremona, ccdu-, i j0gli dal cardinale suo zio, che fu promosso all arcivescovado di Ravenna. E di ciò si trova menzione in una lettera di Baldassar Castiglione a M Andrea Piperario, scritta da Mantova a’ 7 di marzo del 1523: Pregovi ancor, se succederà quello, che mi scrivete del Vescovato di Cremona, in persomi del V2Scovo di Cadice, me ne avvisate, perchè io lo desidererei molto per l affezione e servitù, ch’ io porto al prefato Vescovo, ec. (Lett, di Negaz. t. 1, p. 102). Clemente VII, appena eletto pontefice, sulla fine dell' anno stesso lo nominò suo segretario insieme col Sadoleto; del che non ci lascia dubitare una lettera di Girolamo Negri de 2 di dicembre del detto anno, ove però benchè lodi FAccolli come giovane di venticinque anni, ma ben dotto e da bene (Lett. de Principi, t. 1, p. 119), dice però ch’egli crede che in confronto del Sadoleto ei sarà, come il console Bibulo in confronto di Cesare; espressione, come ottimamente riflette monsignor Buonamici (De cl. Pontif Epist. Script, p. 85, ed. 1770), che nè alle virtù del Sadoleto nè al talento dell’Accolti non si conveniva. Nel 1524 cambiò a vicenda col zio il vescovado di Cremona, ed ebbe ancora l’amministrazione di alcune altre chiese nel regno di Napoli, e la badia di S. Bartolommeo nel Bosco di Ferrara. A’ 3 di maggio del 1527, cioè tre giorni innanzi al memorabil sacco di Roma, fu dallo stesso pontefice annoverato tra’ cardinali. Di ciò che avvenissi [p. 2044 modifica]2044 LIBRO di lui in quell’occasione, non trovo memoria Solo da una lettera a lui scritta dal Sadoleto nel maggio dell’an 1529, raccogliesi che il Cardinal Accolti era o allora, o poco appresso partito da Roma, e vi avea poscia di fresco fatto ritorno: Cognovi ex Uteris mcorwn, Romae sunt, te (quod magnae voluptati mihi fuit) salvum et sospirem ab alienis oris, quo fueras horribili tempestate compulsus, Roman revertisse (Sadol. Epist t. 1, p. 281, ed. rom.) E grande era in fatti l’amicizia che passava tra l Sadoleto e l’Accolti, come dalle vicendevoli lor lettere si raccoglie, tra le quali quelle dell’Accolti sono esse ancora scritte con molta eleganza (ib. t. 1, p. 284, 488‘, A3, p. 276), e lodate perciò altamente dal Sadoleto (ib. t 1, p. 434). Nel 1532 fu inviato legato alla Marca d’Ancona, e il Cardinal Bembo di ciò con cui lui rallegrossi in una sua lettera de’ 19 di luglio del detto anno (Epistfamil. I. 6, ep. 79). E benchè una lettera dal Sadoleto a lui scritta sembri indicarci ch’ei, finito felicemente il suo governo, tornasse a Roma sulla fine dell’anno stesso (l. c. t. 2, p. 129), un’ iscrizione però a lui posta nella Fortezza d’ Ancona, e riferita dal conte Mazzucchelli, ci mostra ch’egli era in quel governo anche nel 1534- questo governo stesso gli fu cagion di amarezza e di danni. A 15 di aprile del 1535, per ordine di Paolo III, fu chiuso in Castel S. Angelo, e fu sottoposto a un rigoroso processo. Il Giovio scrivendo al vescovo di Faenza, nuncio in Francia, a’ 31 di maggio del detto anno, così gli dice (lettere di P. Giovio, Ven. 1560, p. 93): Ravenna (così diceasi [p. 2045 modifica]TERZO 2045 f Accolli dal nome della sua chiesa) ha due, mila settecento quarantacinque carte di proccss0 f e si tiene, se Dio non l'ajuta, che si scappellerà, come un uovo fresco; et sic transit gloria mundi. E in altra de 15 di luglio, I spiegando allegoricamente il pericolo in cui l’Accolti si ritrovava, Ravenna è a stillato e manti se ritti: non digerisce il pollo presto e paI natclla (ivi). Questi passi del Giovio, finora I non avvertiti, ci mostrano, per quanto a me sembra, che il delitto per cui l’Accolti fu chiuso in carcere, non fu solo di peculato, come so1 spedasi comunemente, poichè in tal caso non si sarebbe trattato di scappellarlo come un uovo fresco, cioè di decapitarlo, o almeno di toglierli il cappello. Ma qual fosse sì grave reato, non può congetturarsi, e le mie ricerche su ciò non sono state punto più fortunate di quelle già fatte da altri. Alcuni vogliono che il Cardinal Ippolito de’ Medici fosse l’autore della prigionia dell’Accolti, e che il Molza, ch era famigliare del primo, scrivesse contro il secondo una terribile invettiva; ma ciò non mi sembra probabile, perchè, se il Molza si fosse così dichiarato nimico all’Accolti, non avrebbe avuto ardire d’indirizzargli, dopo la sua liberazione, le due belle elegie (Molza, Op. t. 1, p. 227, 233, ed. Bergom. 1747), nelle quali loda il coraggio con cui avea sostenute le sue avversità. Solo sappiamo che venne fatto all Accolti di liberarsene collo sborso di una gravissima somma, cioè, secondo alcuni, di cinquantanovemila scudi «foro, c che in tal modo uscì di carcere a: 31 di ottobre dell’anno stesso. Girolamo Negri però [p. 2046 modifica]2046 LIBRO ne fa la somma alquanto minore: Il Card, di Ravenna, scriv egli a 6 di dicembre del detto,, anno (Lettere, de Principi. t. 3, p. 148), V(l alle Castella del suo Arcivescovado di Ravenna per starvi qualche tempo, et ricuperare li sborzati denari, che si dicono essere stati scudi quarantotto mila. Alla liberazione dell" Accolti giovaron molto gli ufficj del Cardinal Ercole Ganzaga, come raccogliam da una lettera del Sadoleto (l. c. t. 2, p. 331). Anzi una lettera a lui scritta da Pietro Aretino sembra indicarci (Lett. l. 1, p. 142) che lo stesso imperador Carlo V frammettesse in ciò la potente sua mediazione. L’Accolti, uscito dalla sua carcere ritirossi dapprima a Ravenna, indi a Ferrara, e finalmente a Venezia; e del soggiorno da esso fatto in queste due altre città ci fanno testimonianza le poc’anzi accennate elegie del Molza. Verso il principio del 1542, il pontefice Paolo III! con sue lettere gli permise di ritornarsene a Roma; e abbiamo la lettera dal cardinale scritta da Venezia a’ 12 di gennaio del detto anno allo stesso pontefice, con cui il ringrazia, quod literis honorificientis siini s una cum ceteris Colle gìs absentibus ad suum sanctissimum gremium, hoc est a desperationc omnium rerum ad certam spem, summo beneficio revocavit. ma insieme si scusa, perchè giunto essendogli all’improvviso sì lieto annunzio, si trova egli sì aggravato di debiti, che non può sì tosto recarsi a Roma (Epist. cl. Viror. p. 42, ed. ven. 1568). E un’altra pure ne abbiamo da lui scritta al papa medesimo da Firenze, ove si era frattanto recato a' 15 di novembre del 1544; [p. 2047 modifica]TERZO ' 2047 oe]la quale si scusa, perchè non può arrendersi al nuovo amorevole invito da esso avuto, sì per le molte gravi infermità alle quali era stato finallora soggetto, come anche per qualche commissione avuta dall imperadore, e ch era di molta importanza non solo per quel monarca, ma per tutta la Chiesa cattolica (ib. p. 45). La qual commissione però non sappiamo precisamente qual fosse. Pare infatti che ei non partisse mai da Firenze; ed ivi certamente ei morì a 21 di settembre del 1549 Poco è ciò che ne ha veduta la luce, e il conte Mazzuoli olii annovera diligentemente le Lettere e le Poesie che se ne hanno alle stampe, ed altre opere che o son rimaste inedite, o si sono smarrite. Ma le lodi colle quali ci venne onorato dagli scrittori di que’ tempi, cel rappresentano come uno de più colti ed eleganti scrittori che avesse quel secolo. Già abbiamo accennato quali elogi solea farne il Cardinal Sadoleto. Il Giraldi lo dice uno de primi scrittori di epigrammi e di elegie, e tale che difficilmente potea trovarsi il più ingegnoso e il più leggiadro, e rammenta insieme la protezione ch’ egli accordava agli uomini dotti, fra quali nomina il Pico, il Molza, il Valeriano, TUbaldini. il Pantagato, il Manuzio, il Robortello, e ad essi aggiugne se stesso. Celio Calcagnini ancora, scrivendo a Galasso Ariosto, esalta con molte lodi alcuni versi dell’Accolti, che quegli inviati gli avea, e due lettere piene di elogi scrive a lui stesso (Op. p. 137, 138). Ma bello è singolarmente l’elogio con cui Paolo Manuzio gli dedicò nel 1540 il primo tomo delle Orazioni di Cicerone, di cui, poichè esso [p. 2048 modifica]2048 libro non è stato accennato dal conte Mazzucchelli recherò qui una parte: Soles quotidie fere a gravissimarum artium tractatione in haec studia, quae sibi ab humanitate, nomen adsciverunt, quasi in hortum amaenissimum divertere ubi te modo Oratorum et Poetarum flores ' modo dulcium amicorum colloquia, mirifice delectant, ne praeter id temporis, quod valetudini dare soles, quod sane pusillum est, hora nulla sit, quam non in literis et virtute traducas. Quam tuae vitae rationem qui ignorant mirantur scilicet, unde illa tibi in adversis rebus fortitudo tanta, unde animi robur illud invicti. Di alcune altre circostanze intorno alla vita e alle’opere dell Accolti, poichè nulla io ho che aggiugnere al conte. Mazzucchelli, lascio che ognuno consulti l’opera di questo erudito scrittore, e quella del ch. monsignor Buonamici da me poc anzi citata, e fo frattanto ritorno al Giraldi. XXII. Paolo Sadoleto, di cui abbiam ragionato tra gli scrittori teologi, Romolo e Pompilio Amasei, Sebastiano Corrado e Antonio Maioragio, de quali tutti diremo nel capo seguente, e Francesco Robortello, di cui si è detto a lungo nel primo capo di questo libro, hanno qui luogo tra i buoni scrittori di poesie latine. Soggiugne ad essi {p. 5(x)) Girolamo della Rovere, o, com egli dice, Quercente, della famiglia di Giulio II, il quale, dic egli, nell’età fanciullesca sembrò un prodigio in ogni genere di dottrina in Pavia e altrove, e perorò pubblicamente e scrisse poesie di molti e diversi metri. Ei vive ancora, aggiugne, ma ora [p. 2049 modifica]TERZO 2<>49 aggiorna in Francia. Somiglianti cose di Girolamo della Rovere ci narra il Cardano (De (exemplis. geniturar. n. 58), che lo dice nato ',a 29 di gennaio del 1530, e afferma'che in età di nove anni disputò e perorò nell’uni ver| jjtà di Padova, e che aveane egli stesso veduta stampata quell’orazione; e che nelle lingue ancora avea una perizia superior di molto all’ età. Ei fu poscia invitato in suo nome dal duca di Savoia al re di Francia, a cui piacque per modo, che n’ebbe il vescovado di Tolone, da cui fu poscia promosso all’arcivescovado di Torino, e da Sisto V fatto cardinale, morì nel 1592. Di lui ragiona più a lungo ilRossotti (Sjlla/). Script. Pedem. p. 275, ec.), e oltre alcune altre orazioni, ne accenna le poesie latine da lui composte in età di dieci anni, cioè nel 1540, e in quell’anno stesso stampate in Pavia. Di Andrea Dazzi fiorentino non parla il Giraldi, che come di assai mediocre poeta; ma accenna insieme, come cosa degna di maraviglia, ch essendo vecchio e cieco, tenesse in Firenze scuola di lingua greca. Di lui ci dà più distinte notizie il signor Domenico Maria Manni (Sigilli, t. 2, p. 136), che ne annovera le opere; e una lettera latina se ne ha ancora in stampa scritta a Pietro Vettori nell’ottobre del 1543, in occasione ch’egli era stato dato collega al Vettori medesimo nella cattedra di eloquenza greca e latina (Epist. cl. Vir. ad P. Victor, t. 1, p. a3) (a). Poco (a) licite notizie di Andrea Dazzi ci som ministra anche il ch. monsig. Fabroni, a cui sembra che troppo [p. 2050 modifica]ao5o libro (legno ancora di lode sembra al Giraldi qnej. l’Andrea Saraco, di cui abbiam ragionato tra gli storici milanesi, e par che egli il nomini solo per far menzione di Battista Saraco, ch era allora in Ferrara segretario del duca, e soprastante all’archivio, di cui dice che frale gravi cure de’ suoi impieghi godeva talvolta di sollevarsi, o scrivendo suoi versi, o udendo gli altrui. Di Marcello Palingenio diremo tra gli scrittori di poemi morali; e tra quelli dell’arte poetica daremo luogo a Giulio Cesare.Scaligero, amendue nominati qui dal Giraldi, il quale ancora accenna, ma non con gran lode, la Storia del Vecchio e del Nuovo Testamento stesa in versi da Giammaria Velmazio francescano da Bagnacavallo, di cui innoltre nella Laurenziana si han quattro libri in versi eroici in lode dell'Italia, dedicati al duca Cosimo I (Catal. Codd. mss. BibL Laurent t. 2, p. 199)*, e le Poesie di un certo Tommaso Scaurano; e quelle, che gli sembran più degne d’encomj, di Scipione Baldi, o piuttosto Balbi, dal Finale di Modena, di cui dice (p. 570) che molto talento sortito avea per la poesia, e che molte cose avea già pubblicate, molte ancora ne sopprimeva. Più stesamente ragiona di questo poeta il conte. Mazzucchelli, che tutte ne annovera le poesie venute alla luce (Scritt. ital. t. 2, par. 1, p. 90) (a). severo sia il giudizio che nc ha dato il Giraldi (Hist. jicad. Pis. t. 1, p. 274. ec.). ta) Assai più copiose notizie di Scipione Balbi mi è poscia avvenuto di ritrovare, ed esse si posson vedere or pubblicate nella Biblioteca modenese (t. 1, p. 143, ec.). [p. 2051 modifica]T. TEnzo ao5i I ^clie il celebre Cardinal Egidio da Viterbo, I jj cui sarà luogo migliore a trattare, ove parÌ Inerii degli oratori di questo secolo, è posto dal Giraldi nel numero degli eleganti poeti. Quindi, dopo una non breve digressione sui p,ù illustri poeti italiani al tempo stesso vissuti, ritorna a’ latini, e dopo aver fatti i dovuti elogi di Scipione Capece e di Antonio Paleario, de quali favelleremo tra gli scrittori di poemi filosofici, parecchi altri ne nomina (p. 5^2) clic noi si accennan brevemente. Essi sono Pietro Mirteo udinese, uomo di vivace e facile ingegno, ma di guasti costumi, e ch eccitò J contro se stesso lo sdegno del dolce Flaminio, a cui spacciandosi stretto di parentela, andava qua e là ingannando non pochi, che niuna cosa ricusavano a un tal nome, di che può vedersi il ch. signor Liruti che ne ragiona più a lungo (Notizie de’Letter. del Friuli, t 2, p. 127); Pietro Angelio da Barga, di cui diremo più sotto; Giano o Giovanni, e Cosimo Anicj fratelli, de quali io non mi arresto a parlare, poichè già ne ha ragionato con molta esattezza il conte Mazzucchelli (l. c. t. 1, par. 2, p. 799, ec.) (a); quel Cataldo siciliano, di cui altrove abbiam favellato (t.6,par. 3); Jacopo Lebezio, cioè Lavezzuoli ferrarese, canonico regolare della Congregazione di S. Salvadore, di cui molte poesie latine si hanno alle stampe la) Dopo il co. Mazzucchelii, anche più esattamente lia trattalo de’ due Anicii il I*. (l'Afflitto (Mem. degli Senti, nap. t. i, p. 364, ec-)• Tiraboschi, Voi. XIII. 6 [p. 2052 modifica]20 JJ LIBRO (V. Asseman. Card Bibl. var. t. it p. 367, CL> ■ e Elio Giulio Crotti cremonese, uomo non nt.|V j) oc sia solamente, ma in tutte le belle arti ver. sato, e clic molti saggi avea già dati e con. tinuava a dare tuttora del leggiadro suo ingegno (V. Aris. Cremori, litter. t. 2), le cui Opere fi,, ione stampate in Ferrara nel i5G4 (*). XXIII. Fra questi poeti, di cui in breve si spedisce il Giraldi, uno egli nomina che parmi degno di non esser cogli altri confuso, cioè Lodovico Parisetti reggiano, detto il giovane a differenza di un altro vissuto al principio del secolo, di cui il Guasco rammenta una compendiosa Storia di Reggio in versi latini, da lui composta, e data, non so in qual anno, alle stampe (Stor, letter. di Regg. p. 31), Più celebre fu il giovane che qui dal Giraldi si nomina. Ei dice solo di averne vedute molte poesie, ma di non averle lette con attenzione Molte di fatto son le opere in versi del giovane Lodovico; e tra esse un poema in sei libri sulla Creazione del mondo, intitolato Theopeja, stampato dal Manuzio nel 1550, e un altro in quattro libri sull’Immortalità dell Anima, stampato in Reggio nel i5 {i («)• In questi due (*) In un registro de’ corrispondenti di Veronica Gambata, che conservasi nel pubblico archivio di Correggio, e di cui mi ha data notizia il eh. sig. dottar Miritele A n tomoli, Giulio Crolli vedcsi segnato col titolo Cantellicrc del Sig. Giovanni da Saxnde Ibi. (a) De? due Lodovici, di Girolamo e di altri eroditi personaggi della nobil famiglia Pari setti, si è più a lungo parlato nella Biblioteca modenese (tp. 48, ec. * /. (», p. i58, ec.); il che pure vuol dirsi di quel Giovanni Berettari nominato poco appresso (/• ti p. a3o). [p. 2053 modifica]/ TERZO 2053 pormi sembra che il Parisetli si prefiggesse d imitare Lucrezio; ma benchè qualche tratto sia scritto con eleganza, più spesso però lo stile ne è troppo prosaico e basso. Più felice egli fu nell’imitare Orazio, a somiglianza del quale scrisse sei libri di epistole in versi, che vennero a luce insiem col secondo degli accennati poemi. In alcune di esse si vede molta eleganza, e non picciola conformità coll originale ch’ ei prese a copiare; e perciò non è stupire che il Sadoleto molto ne lodasse una a lui indirizzata (Epist. famil. t. 2, p. 260); che il Bembo facesse molti encomj di un altra dal Parisetti inviatagli (Lettere, t. 3, l. 9, Op. t 3, p- 377)? L‘ che il Caleagnini ancora n esaltasse l’erudizione e l’eleganza nello scrivere sì in verso che in prosa (Op. p. 150). Se ne hanno ancora tre orazioni col titolo De divina in hominem benevolentia, stampate in Venezia nel 1552, e più altre opere, altre in prosa, altre in versi, ma alcune di esse inedite, delle quali ci dà il catalogo il suddetto Guasco (l. c. p. 48). A Lodovico congiunge il Giraldi Girolamo Parisetti, dicendo che, benchè egli sia giureconsulto, essendo però uscito dalla scuola dell’Alciati, è assai colto nella letteratura greca e latina, e talvolta si esercita nel verseggiare. Di lui abbiam parlato più a lungo nel formar la serie de canonisti. Più bello ancora) è l’ elogio ch' ei fa di Gio'anni Bereltari sacerdote modenese, di cui afferma che in età giovanile fece sì lieti progressi nella letteratura e nella volgar poesia, e che nelle canzoni singolarmente riuscì si [p. 2054 modifica]2054 libro ingegnoso e sì colto, che avendone vedute alcune il Beni ho e il Cardinal Bernardo da Bibbiena ed altri uomini illustri, ne trassero speranza ch ei dovesse aver luogo tra’ più rai.j poeti; e che perciò il Molza sel prese in casama che poscia tutto si volse alle sacre lettere e; che l’ Accademia di Modena il rimirava non altramente che padre, finchè dagl Inquisitori citato a Roma, fu costretto a trasferirsi colà a render ragione della sua Fede, e dopo alcuni mesi assoluto, tornassene a Modena, ove passava tranquillamente la sua vecchiezza. Del Berettari, che fu sprannomato Poliziano, parlano ancora il Vedriani (Dott. modon.p. 117, ec.) e il Muratori (Vita del Castelv.), il quale, allegando la Cronaca inedita del Lancellotti, ne fissa la citazione a Roma nel 154 » - però ella avvenne in quell’ anno, convien dire che, anche poichè egli ne fu tornato, nascesse qualche sospetto intorno alle opinioni da lui seguite; poichè una lettera del Cardinal Morone al Cardinal Contarini, scritta da Modena a’ 3 di luglio del 1542 (Quirin. Diatr. ad t. 3 Epist Poli p. 284), ci fa vedere che allora dovette il Berettari guistificarsi innanzi al Morone di alcune sue proposizioni; e veggi amo ancora ch' ei fu tra que’ che segnarono nel primo di settembre del detto anno il Formolario di Fede più volte da noi menzionato. Convien però dire ch’ ei si purgasse intieramente perciocchè, secondo il Vedriani, ei continuò a fare le lezioni sopra la sacra Scrittura nella cattedrale di questa città. Questo scrittor medesimo afferma che moltissime composizioni ne furono [p. 2055 modifica]TERZO 2055 janip«'itf* in Parigi e altrove. Ma io non trovo I.|,e altro se ne abbia fuorchè una lettera al )|ol7.a (Molza, Op. t. 3, />. ioi, cil. Bcrg). XXIV. Giambattista Amalteo, quando il Giraldi scriveva il suo secondo dialogo, era ancor giovinetto di ventitré anni. Aveane ei nondimeno vedute elegie, epigrammi ed egloghe, le quali ne faceano concepire grandi speranze, E riuscì in fatti l Amalteo uno de’ più colli e je' più leggiadri poeti che in questo secol fiorissero. Copiose ed esatte notizie di esso ci ],a date il ch. sig. Giangiuseppe Liruti; nè di lui solamente, ma di molti altri di questa famiglia originaria di Pordenone nel Friuli, e diramata poscia in più altri luoghi della stessa provincia (Notiz. de Le Iter, del Friuli, t. 2, p. 1, ec.). Paolo Amalteo religioso dell' Ordine dei’ Minori, e professore di belle lettere in Pordenone, nella terra della Motta, in Belluno, in Trento e in Vienna d’Austria, coronato poeta dall imperador Massimiliano I, e poi barbaramente ucciso, non si sa come, nè per qual occasione, circa il 1517; Marcantonio di lui fratello che, dopo aver fatto conoscere i suoi talenti per l amena letteratura nell’ Austria e nell Ungheria, fu professore in diversi luoghi del Friuli, e morì nel 1558 (*); e Franca Molle lettere e molti epigrammi latini di Marco Antonio Amalteo, e qualche altra operetta di esso e di Paolo di lui fratello trovavansi manoscritte nella biblioteca di S. Michel di Murano, e se ne può vedere il catalogo l'atto dal celebre P. abate Mittarelli, il quale ancora di essi e di altri della stessa famiglia ci ha date diverse pregevoli notizie (Bibl. mss. S. Mirh.u l. f'eu. p. 3i, ec.). [p. 2056 modifica]2056 LIBRO cesco altro loro fratello, professore di belle lettere in Sacile, e lodato da Girolamo Rora. rio come uomo dottissimo (Quod bruta animalia ratione utantur melius homine), ebher tutti gran nome per il lor valore in tali studi e ce ne lasciaron più saggi in diverse loro opere, altre stampate, altre inedite, altre perdute, delle quali minutamente ragiona il sopraccitato scrittore. Da Francesco nacquero Girolamo nel 1507, il quale allo studio della poesia congiunse quello ancora dell" arte medica, da lui insegnata in Pavia, ed esercitata in più luoghi del Friuli fino al 15"j4 7 1,1 cul finì di vivere; Cornelio, che fu parimente medico insieme e poeta, ed ebbe per alcuni anni l’impiego di segretario della Repubblica di Ragusa; Aurelio, lodato egli ancora come uomo assai dotto ne’ buoni studj, e Giambattista il secondo de’ fratelli, di cui dobbiamo singolarmente trattare. Nato in Oderzo nel 1525, e inviato all università di Padova, vi si distinse per modo, che in età di soli venti anni fu chiamato a Venezia a istruire nelle lettere umane i giovani della nobil famiglia Lippomana; di che fa cenno anche il Giraldi nel passo sopraccitato. Non cessò egli perciò dal coltivare i suoi studj, e non solo nelle tre lingue greca, latina e italiana, ma nella filosofia ancora, nella teologia e nella giurisprudenza si esercitò attentamente. Passò in Inghilterra nell'an 1554 coll ambasciadore della Repubblica Giovanni Michele, fu indi segretario della Repubblica di Ragusa, poscia fu chiamato a Roma, e scelto a suo segretario dal pontefice Pio IV, come [p. 2057 modifica]TERZO aoS-’ .(l’erma il sig. Liruti, benché il silenzio ili ,1,011 si gii or Biiouutuici possa muoverne qualche dubbio, e passò per ultimo all’ impiego di segretario della Congregazione del (Concilio. Due f,«Uere inedite dell’ Amalteo a d). Cesare Gonj(1ga signor di Guastalla, delle quali io ho copia, ci fan vedere che nel 1567 egli era in Mi; ino col santo Cardinal Carlo Borromeo. Morì finalmente in Roma in età di soli quaranlott’.anni nel 15^3, pianto in morte da' più dotti uomini di quel tempo, che l’ aveano in vita onorato de’ più magnifici encomj. In fatti le. poesie latine di Giambattista, stampate prima nel 1550, quando ei non contava che venticinque anni di età, e delle quali si fece poscia per opera del Cardinal Aleandro il giovane una più ampia raccolta nel 1527, insieme con quelle di Girolamo e di Cornelio di lui fratelli, non cedono in eleganza ed in grazia a quelle di alcun altro poeta di questa età. Ne abbiamo ancora alcune Poesie volgari, e alcune Lettere, oltre più altre inedite, delle quali distintamente ragiona il suddetto scrittore, che riporta ancora gli elogi co’ quali hanno di lui ragionato molti de’ più dotti scrittori; e parla innoltre di Giulio e di Paolo, e più a lungo di Attilio Amalteo figliuol di Girolamo, e di Ottavio fratel di Attilio, che a questa famiglia conservarono e accrebbero co’ loro studj quel nome che le aveano i lor maggiori ottenuto. XXV. Di Lorenzo Gambara, nominato qui dal Giraldi (p. 573), di rem tra poco, nel ragionare degli scrittori di poemi eroici. Una lunga serie tesse egli poscia di altri poeti [p. 2058 modifica]20.58 UBRO Ialini, de' quali altro non fa che indicarci i nomi. Essi sono Anlonfranceaoo Ra in ieri mi]a. nese, di cui abbiamo detto fra poeti italiani Onorato Fascitelli da noi mentovato poc’anzi Augusto Cocceiano bresciano, di cui parla alquanto più a lungo il Cardinal Querini (Specimen Brix. liter. t. 2, p. 228); Gabbriello Faerno cremonese, Antonio Volpi e Partenio Paravicino comaschi, Angelo Perotti da Camerino, Tolommeo Galli comasco, che fu poi cardinale, Giulio Feroldi e Francesco Manfredi cremonesi (a), Giampaolo Amanio cremasco di cui diligenti notizie si hanno presso il conte Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 1, par. 1, p. 5^5)• due Giovj, Paolo il giovane e Giulio, nipoti del celebre Paolo Giovio, Fazio Benvoglienti sanese da noi altrove lodato, Girolamo Olgiati soprannomato l uccisore, per l uccisione da lui fatta del duca Galeazzo Maria Sforza, il quale però non so come sia dal Giraldi qui nominato, poichè visse nel secolo precedente; un Landriani milanese, ch è forse quel Gianfabricio nominato dall’ Argelati (Bibl. Script, mediol. t. 2, pars 1, p. 776); Andrea Angulio, Antonio V acca, Antonio Sanfelice, Placido da Piacenza, Lodovico Domenichi, di cui ad altra occasione si è detto a lungo; Giamba(n) Di Francesco, o Gianfrancesco Manfredi, che non sol fu poeta, ina anche medico pontifìcio, e poi correttore e revisore nella bibliote-ca Vaticana, e finalmente per certi suoi non conosciuti delitti imprigionato in Roma nel i56.4, belle notizie ci ha date d valoroso sig. abate Marini (Degli Archiatri pontif t. 1, p. 435, ec.; t. 2, p. 3oa, 3o8). [p. 2059 modifica]TFllzn 2f>.>0 tista Gabio, Ferdinando Balanio siciliano, Faj,io Segni fiorentino, di cui più ampie notizie potranno somministrare a chi le desideri i Fasti dell’Accademia fiorentina (p. 92); Pietro Alvaro romano e Lelio Carani, oltre alcuni altri stranieri che a questa Storia non appartengono. Fra tutti questi poeti due soli ne trascelgo io a dirne alquanto più stesamente, perche mi sembran tra essi più degni di distinta memoria, cioè il Faerno e il Volpi. Il Faerno, di cui sono sconosciuti i primi anni e i primi impieghi (a), dovette la sua fortuna al santo Cardinal Carlo Borromeo e al pontefice Pio IV di lui zio, il quale essendo ancor cardinale, sel prese in corte, e l’ amò sempre, e il protesse costantemente. E n’ era egli veramente degnissimo; perciocchè tutti gli scrittori di quei tempi, le testimonianze de quali si posson veder raccolte innanzi alle Favole di questo poeta nelle edizioni Comi ninne, ne esaltano concordemente non sol l'ingegno e il sapere, ma ancora la probità singolare e l’innocenza de’ costumi (). A maggior grado di (a) Il P. abate Casati ha pubblicata una lettera «lei Faerno a Francesco Sfondrati senator di Milano, la qual ci mostra che nel t538 egli era in Barcellona al servigio del co. Ermes Stampa, ina virino a far con lui ritorno in Italia ((irereii E/n st. t. 1, p. 53). (*) I.e notizie che il padre M. Vairam dell’Ordine de’ Predicatori ci ha recentemente date della vita del Faerno (Cremon. Mon. t. 2, p. 63, ec.), ci mostrano che prima di entrare al servigio del Cardinal Medici per opera dei’ cardinali Francesco Sfondrati e Marcello Cervini, egli ebbe l’impiego di correttore e di revisore de libri nella biblioteca Vaticana. Ed (egli ha ancora prodotte [p. 2060 modifica]aoGo libro onore salì il Faerno, quando il cardinale suo protettore fu sollevato sulla cattedra di S. Pietro, e in quell occasione gli scrisse il Contile una lettera a1 2(3 di gennaio del 1560 (Contile, Lett t. 2, p. 256), in cui con esso rallegrasi della nuova fortuna a cui è stato innalzato, e lo esorta a valersene a vantaggio altrui. E che il Faerno seguisse questo consiglio, e che uomo, com egli era, d ottimo cuore, tutto si adoperasse a procurar l altrui bene, leggiadramente descrivesi da Latino Latini in una sua lettera de 4 di marzo dell anno stesso, recata dal P. Lagomarsini (in Notis ad Pagi ari. t. 2, p. 187): Sed iterum longius abripior. Faernus tamen revocat, quasique contemptum se. queritur; ut est homo nuc in omnium deliis, Pontificique in primis, ut antehac semper, carus. Nunc hominem videre et. audire est operae pretium. Quamquam enim non, quacumque multorum causa vult, eadem . potest, laborat tamen lebenter, efficit certe aliquid, ita ut eum patronum sibi omnes, qui modo aliquam operam literis navarint, quaerant. Quare putato, virum bonum numquem carere molestia: nosti enim poetarum praesertim improbitatem, ne hic tibi inopissimorum adolescentium legionem commemorem, ad perendum non hostem, sed obsonium sportulamque, promptissimam. Poco tempo potè il buon Faerno godere della lieta sua sorte. Verso la piìi «lire testimonianze <f uomini illustri di quella età, al sapere non meno die all'amabile indole del Farina sommamente onorevoli. [p. 2061 modifica]TFRZO 2o(Ù fine* deiranno stesso ei fu travagliato da lunga pericolosa infermità, dalla qual nondimeno parve ristabilirsi (Pogian. Epist l. c.). Ma un anno appresso, a 17 di novembre del 1561, in età ancor fresca finì di vivere; sulla qual morte abbiamo una bellissima lettera del Cardinal Ottone Truchses al Cardinal Osio piena di elogi del Faerno, pubblicata dal P. Logomarsini (ib. p. 359), il quale un’altra ne reca di Latino Latini dello stesso tenore. Fra le altre lodi che il Truchses ne dice, non è l’ultima quella che per alcuni anni era il Faerno vissuto in Roma, come in una villa, senza aver punto delle arti, degl inganni, de raggiri proprj delle corti, lieto e pago soltanto di quel suo ingenuo candore che il rendeva amabile a tutti. Ordinò il pontefice, come narra il medesimo cardinale, che se ne dessero alla pubblica luce le opere. E infatti l’an 1564 ne furono stampate in Roma le cento Favole tratte da Esopo e da altri antichi scrittori, e da lui esposte in versi latini di varj metri con una sì tersa e sì facile eleganza, che pochi tra gli scrittori moderni si sono egualmente accostati alle grazie degli antichi poeti. Ridicola è l’accusa che da alcuni si appone al Faerno, cioè che ei si valesse delle Favole di Fedro non ancora pubblicate, e che cercasse perciò di sopprimerle. Perciocchè o si parla della sostanza delle Favole, e questa ei si protesta di averla tratta da Esopo e da altri antichi Greci, le cui opere erano nelle mani di tutti, e più note assai di quelle di Fedro; o si parla dei versi, e basta il confrontare que’ del Faerno [p. 2062 modifica]2002 LIBRO con que’ di Fedro, per conoscere se il primo giovato siasi del secondo; intorno alla quale accusa si può vedere la lunga confutazione che ne fa il sopraccennato P. Lagomarsini (ib. p. 363, ec.). Alcune altre eleganti poesie ne abbiamo unite alle dette Favole nell’edizioni Cominiane; e fra esse una contro de’ Luterani, il che ha data occasione ad altri di credere che contro i detti eretici avesse gli scritto un trattato. Fu inoltre il Faerno uno de’" più infaticabili e de’ più attenti censori dell’edizioni degli antichi scrittori, confrontandole co’ migliori codici per renderle più esatte e corrette. Così egli emendò le Filippiche di Cicerone e le Commedie di Terenzio, opere amendue assai lodate da Pier Vettori (E pisi, p. 112, 129) , il quale alla seconda dal Faerno non finita diè f ultima mano. Molto egli affaticossi ancora nell’emendare Livio e Plauto; ma di queste fatiche niun frutto si è veduto in luce, trattane una lettera italiana in cui si contiene la censura delle emendazioni del Siconio sopra la Storia di Livio , la quale vedesi nelle citate edizioni, insieme con un trattarello latino imperfetto sui Versi comici. XXVrI. Più scarso è il numero di Poesie che ci è rimasto di Giannantonio Volpi, le quali sono state raccolte e unitamente date alla luce in Padova nel 172.5 dal celebre Giannantonio Volpi il giovane, il quale vi ha premessa una breve Vita del loro autore. Era egli nato in Como da nobil famiglia a’ 31 di gennaio del 1514* Avendo perduto nei primi anni il padre, dovette interromper gli ameni studi a’ \ [p. 2063 modifica]terzo ao63 quali era naturalmente portato, e studiar prima in Pavia, ed esercitar poscia in patria la giurisprudenza; il che egli fece con tal successo, che fu destinato a scrivere gli Statuti municipali , e fu ancora dalla città inviato alla corte deir imperador Carlo V. Il desiderio di più cospicui onori il trasse a Roma, ove fu alcun tempo in corte del cardinale Alessandro Farnese; ma non veggendo compiersi le sue speranze, tornossene a Como, ove, dopo avere più anni amministrata quella chiesa pel vescovo Bernardino della Croce, che ne era assente, per rinuncia da questo fattane, gli succedette nelf anno 1559. Intervenne al concilio di Trento; da Pio IV e da Gregorio XIII fu due volte inviato nuncio agli Svizzeri; e dopo avere per quasi trenta anni retta con molto zelo quella sua chiesa, finì di vivere a’ 30 di agosto del 1588. Fra le Poesie che ne abbiamo, tutte molte eleganti , son degne d’osservazione singolarmente due satire, nelle quali si può dire con verità che fu egli il primo tra’" moderni a imitare felicemente lo stile d’Orazio. All’onorevole testimonianza che Paolo Manuzio ha renduta al Volpi in una sua lettera (l. 8, ep. 22), che è stala premessa alla citata edizione, si può aggiugner quella del Doni, di cui si ha una lettera al Volpi (Doni, Lett. p. 112), e un’altra in cui ragiona di lui, e narra le singolari accoglienze che avea da lui avute in Como nel 1543 (ivi, p. 45). Abbiamo ancora tre lettere dello stesso Volpi al Domenichi (Pino, Racc, di Lett. t. 2, p. 280). Un bell’elogio per l’ultimo ne fa il Taegio che lo dice uomo d’ingegno divino [p. 2064 modifica]2oC>4 LIBRO e«l espertissimo in tutte le buone arti , e sin. golannenle nella poetica (Villa, p. 81). Alle Poesie di Giannantonio alcune se ne aggiungono di Girolamo, minori di numero, ma non inferiori nell’eleganza. Questi da Giammatteo Toscano è ancor lodato come eccellente cosmografo (Peplus Ital. l 3), e tra gli Epigrammi del Molza ve il’ ha uno in cui loda un’opera di Cosmografia da esso composta. Ma io non so che un tal libro abbia mai veduta la luce. XXVTI. Anche alcuni giureconsulti si pongono dal Giraldi nel numero de’ buoni poeti (p. 5~4)y come il conte Federigo Scotti e il conte Costanzo Landi piacentini, e il grande Alciati. Di quest1 ultimo si è da noi favellato , ove era luogo più opportuno, cioè nella storia della giurisprudenza, e del secondo abbiam detto nel parlare degli scrittori d’antichità. Del conte Federigo Scotti abbiamo un volume di .Poesie latine, stampate in Bologna nel 1580 , a cui vanno aggiunti due libri di lettere e alcune orazioni. Lo stile però non è molto colto, e pare che gli studj della giurisprudenza non gli permettessero di giungere a quell’eleganza che fu propria di tanti poeti di quest’età. Ne abbiamo ancora alcune opere legali che a questo luogo non appartengono. Di Francesco Lo visi ni nobile udinese e nato nel 1524, di cui, benchè non contasse allora che ventiquattro anni di età, fa qui onorevole menzione il Giraldi, dicendolo giovane meravigliosamente disposto alla poesia: di lui, dico, parla a lungo il più volte lodato signor Liruti (Notizie dei [p. 2065 modifica]TERZO 21)65 ietter. del Friuli, t. 2, p. i33, ec.), e dimostra ch’egli, dopo aver avuti a suoi maestri in Udine Fausto da Longino e in Padova Lazzaro Buonamici, e dopo essere per alcuni anni stato maestro de’ giovani della nobil famiglia Cornaro in Venezia, fu nel 1550 chiamato professore di belle lettere a Reggio, la qual città ebbe in quel secolo l’onore di udire da quella cattedra dottissimi uomini, come Sebastiano Corrado, Pietro Angelio da Barga , il Lovisini, Celio Rodigino, Giulio Cammillo e Petro Morino francese, come da un’orazion di quest’ultimo raccoglie il suddetto scrittore. Il Lovisini, dopo averla sostenuta per quattro anni, passò nel 1554 afia C0,tL’ di Parma a istruir nelle lettere il giovane principe Alessandro Farnese , con cui poscia in carattere di segretario viaggiò in Inghilterra e in Ispagna, e in questo secondo regno si trattenne più anni, e vi fece ammirare il suo ingegno e sapere. Tornato finalmente a Parma nel 1566, ivi tre anni appresso finì di vivere, e fu con molto onore seppellito nella chiesa cattedrale di quella città. Molti ne piansero co’ loro versi l’immatura morte, e molti lasciaron di lui onorevol memoria ne’ loro scritti, come ci mostrano le loro testimonianze dal sig. Liruti raccolte, alle quali si possono aggiungere quelle di Bartolommeo Ricci che ne parla con molta lode in alcune sue lettere (Op. t. 2, p. 35), di Giambattista Pigna che lo accompagnò con un suo epigramma al Siconio, mentre per andare a Reggio passava per Modena (Carm, p. 65) , e di Giulio soprannomato Ariosto, che ne inserì 1’elogio [p. 2066 modifica]20G6 LIBRO nella’ sua Primavera (canto 1). Egli aggiunse un terzo libro al poema del Fracastoro intitolato Joseph, e alcune altre Poesie latine, italiane e greche se ne leggono in diverse raccolte, oltre un numero assai maggiore di altre poesie e di altre opere che son rimaste inedite, o si sono smarrite, delle quali parla distintamente il Liruti. Ei pubblicò ancora nel 1554. un comento latino sull Arte poetica di Orazio e tre libri intitolati Paregon, ne’ quali spiega diversi passi difficili di diversi antichi scrittori latini e greci; nelle quali opere si scuopre ugualmente e la molta erudizione del,Lovisini, e l’attento studio da lui posto nell imitaziou dello stile dei migliori autori. XXVIII. Dopo questa enumerazione di molti poeti, fatta secondo l’ordine che più piacque al Giraldi, par ch’egli voglia prendere a tesserne un’altra serie secondo l’ordine delle loro patrie (p. 574)* Ma quattro sole città egli nomina, Modena, Brescia,.Mantova e Ferrara. E Modena può esser ben soddisfatta di ciò eli’ ci ne dice, perciocchè, parlando de’ Modenesi, afferma che horum ingenia prompta sunt et parata in iiiratn(jue par lem’, e uggitigne che alcuni hanno scritto assai bene, ma alquanto oscuramente, della Poetica, cioè il Castelvetro, di cui già abbiam favellato, e Filippo Valentini, di cui si parla a lungo nella Vita del Castelvetro, scritta dall’eruditissimo Muratori, ove si rammentano i rari pregi d’ingegno de’ quali fu egli dotato, benchè non ce ne sia rimasto alcun monumento, e i disastri a cui fu soggetto , pel mostrarsi ch’ei fece troppo propenso alle opinioni de’ [p. 2067 modifica]TERZO 2067 I ^valori ({a); e fa poscia l’elogio ancora di Gabriello Falloppio, di Antonio Fiordibello, di Qarlo Si gonio. Non così può dirsi contenta Brescia dell’espressioni con cui di essa ragiona il giraldi, dicendo: Brixia multos habet eruditos, sed non et Poetas, ut ejus filia Verona Versificatores etiam potius quam Poetas fovet ipsa Brixia (p. 575). Il Cardinal Querini non ha lasciata passare senza risposta l’accusa dal Giraldi apposta a quella illustre città, e ci schiera innanzi un buon numero di poeti da essa usciti Specimen Brix. Litter. t. 2, p. 158), cioè Gianfrancesco Quinziano Stoa e Giovita Rapicio, de’ quali direm nel capo seguente, Fausto Sabeo, Jacopo Bonfadio, Niccolò Secchi da noi rammentati altrove, Bartolommeo Teani, Cesare Duchi , Andrea Mozzi, Augusto Cocceiano , molto lodato dal Bembo in una sua lettera (t. 1, l.3, Op. t. 3, p. 24), Giammario Mazio, Giannantonio Teigeto, Girolamo Bornati, due monaci benedettini Teofilo da Brescia e Tito Prospero Martinengo (b), c più altri poeti, i quali, benchè non tutti sieno di tal valore che possano accrescer gran nome alla lor patria, molli (n) Di Filippo Valentini celebre non meno pel vivace suo indegno che per le vicende a cui fu soggetto ne’ tempi de’ sospetti destati per le nuove eresie , si è parlalo lungamente nella biblioteca modenese (l. 5 , p. 206, ec.). (/>) Di Tito Prospero Martinengo meritan di esser lette le notizie che con molta esattezza ne da date l’eruditissimo sig. D. Baldassarre Zamboni (Libreria Martinengo , p. 128, ec.). Tirabosciii, Voi XIII. 1 [p. 2068 modifica]ao68 libro però sono tra essi assai colti e leggiadri; e noi parleremo tra poco di due tra essi forse i più celebri, cioè di Lorenzo Gambara e di Giuseppe Milio Voltolina. A’ poeti bresciani succedono i mantovani, e Marcantonio Antimaco uno dogi’ ri, terlocutori del Dialogo è quegli che ne fa l’e, logio. Alcuni di essi sono or poco noti, come Geremia Cusaturo sacerdote, di cui dice che con Ovidiana facilità stesi avea cinque libri di Fasti, i quali però da lui non erano stati pub. blicati, e da’ discendenti di esso erano stati soppressi; e Giannantonio Borgo, professore in Ferrara, che molti versi avea parimenti cotn posti, ma da lui letti solo confidentemente a’ suoi amici. Più celebri sono Galeazzo Gonzaga che visse lungamente alla corte di Ferrara, e che allora pel duca Ercole II governava Modena, di cui, egli dice, si leggono molte, ma inedite Poesie; Pellegrino Morato, Olimpia di lui figliuola, Giara batista e Antonio Possevino, tutti scrittori da noi rammentati altrove. XXIX. Fra tutti i Mantovani però ottennero ! nel poetare fama maggiore i due fratelli Lelio e Ippolito Capi lupi (a), nominali qui dal Giraldi, a’ quali possiamo aggiungere l’altro loro fratello Cammillo, le Poesie de’ quali furono unitamente stampate nel 1540. Lelio fu il maggiore d’età, e nacque nel 1501, e si rendette famoso singolarmente pe’ sui Centoni, ne’ quali ebbe una rara facilità, degna d’esser lodata, se tal (o) Intorno 11 questi e ad altri Ca|»11upi belle notirie ci somministrerà, io spero, il eh. sig. ubate Andres, quando pubblicherà il Catalogo della loro Biblioteca. [p. 2069 modifica]terzo 2069 ,enere di poesia fosse degno di lode. Egli morì \lantova nel 1563 in età di sessantadue anni, come si legge nell’onorevole epitaffio a lui posto nella chiesa di S. Francesco (V. Bonfadio, lett p• 47? ed. Bresc. 1758). Cammillo, il secondo di essi, nato nell’anno 1504, al valor poetico congiunse la esperienza ed il senno, che lo renderon degno di cospicue cariche e d’illustri ambasciate a lui confidate da’ suoi sovrani; e morì in età ancor fresca nel 1548. Il più celebre fu Ippolito, nato nel 1511. Ei fu dapprima segretario e ministro in Roma del Cardinal Ercole e di d). Ferrante Gonzaga , e le lettere da lui scritte ad ambedue, che si conservano nel secreto archivio di Guastalla, potrebbon formar più volumi. Fra le altre sono interessantissime quelle che appartengono alla guerra di Parma e della Mirandola, fatta da Giulio III; ed esse dimostrano che il Capilupi oltre l’essere uomo erudito e colto poeta, era ancora accorto negoziatore e pieno di zelo pel servigio de’ suoi padroni. Esse ancora ci scuoprono ciò che niuno, ch’io sappia, ha avvertito; cioè che verso l’agosto del 1556, nel tempo dell’infelice guerra di Paolo IV contro gli Spagnuoli, egli insiem con più altri addetti al servigio di quella corona , o di personaggi dalla medesima dipendenti, fu. chiuso in prigione in Castel S. Angelo, e liberatone poscia nel settembre del 1557, Pio IV nel 1560 il nominò vescovo di Fano, e nel 1561 inviollo suo nunzio a Venezia, come raccogliesi ancor da una lettera a lui scritta da Annibal Caro (t. 2, lett. 155). Sette anni appresso rinunciò al suo [p. 2070 modifica]20^0 LIBRO vescovado (Ughell. Ital. sacra, t. 1, p. 669) e morì poscia in Roma nell’anno 1580, e fu! sepolto in Araceli coll’iscrizione riportata dall’Ughelli. De’ tre Capilupi fa menzione ancora il ch. signor abate Bettinelli (Delle Lettere ed Arti mantov. p. jo3) (a). XXX. Chiude finalmente il Giraldi il suo Dialogo, e noi chiuderemo il compendio che finor ne abbiamo fatto, cogli elogi de’ più valorosi poeti ferraresi che o viveano allora, o poco innanzi erano morti (p. 576). Essi sono Lodovico Carbone, di cui si è detto nel secolo precedente, Curio Lancellotto Pasio, poeta laureato , di cui abbiamo una copiosa gramatica intitolata De Literatura non vulgari, da lui dedicata al senato e al popolo di Reggio, ove allora teneva scuola, e stampata più volte al principio di questo secolo, opera che senza ragione ei fu da alcuni accusato di aver rubata a Pomponio Leto; e di lui abbiamo ancora in questa biblioteca un ampio Comento a penna sulle Satire di Persio; Daniello Fini e Gabriello Ariosto, de’ quali si potran vedere alcune notizie nella recente opera del dottissimo signor Giannandrea Barotti (Mem. de’ Letter. ferrar. t.1, p. 107, 229); Enea Gerardini, Alberto Cestarelli, Archelao Acciaiuoli figliuol di quel Jacopo nominato più sopra, Fabio Antimaco, Francesco Severi, di cui abbiamo fatto un cenno tra (ti) I Capilupi raccolsero una piegovole biblioteca, die ancor conservasi in Mantova ^ e il suddetto si®, abate Andrcs ha formalo un diligente Catalogo di que* codici , il quale io desidero che venga alla luce. [p. 2071 modifica]TERZO 20nI ,. medici. Domenico Bondi Magnani, Giulio Ponzio Moreletti, Girolamo Beniutendi Bolgia* , rjni, Jacopo Cagnaccini, Prospero Pasetti, il I Roncbegalìo, Renato Cato, Ireneo Brasavola, | gjarnbatista Pigna e Alessandro Sardi, di molti ’ y quali abbiam già ragionato altrove. Quindi rammenta Ercole Trotti figlio di Alfonso, per cui mostra di temere che i piaceri della coi te f l’amore del cavalcare nol distolgano da’ buoni jtudi5 benché, aggiugne egli, la cura e la diligenza del padre provvederà in modo che ciò non avvenga. Amen due questi splendidi cavalieri sono anche altrove dal Giraldi lodati, il padre come un altro Mecenate nel favorire e nel proteggere i dotti (Ante Lib. in Ingrat.), il figlio come giovane nella greca e nella latina lingua versato assai, e di tutte le belle arti ottimo conoscitore (Dialogism. 12). Lo stesso duca Ercole II si annovera qui dal Giraldi tra’ valorosi poetij perciocchè, dice, fin dall’infanzia soleva scrivere maravigliosamente in poesia: e benchè, continua egli, le cure del governo lo abbian rivolto altrove, gode talvolta nondimeno di trattenersi insiem colle Muse, e ode volentieri le altrui poesie. Dal che inferisce lo stesso Giraldi che non è a stupire se tra’" cortigiani e famigliari stessi di Ercole due ne abbia non indegni di esser posti nel numero de’ buoni poeti, cioè Agostino Mosti e Niccolò Bcndcdei. XXXI. Noi siam venuti finora seguendo le tracce dell’Arsilli e del Giraldi nel formare la serie de’ più illustri poeti. Ma uno, da essi pur nominato, ne abbiamo ommesso, perchè [p. 2072 modifica]20^2 LIBRO avevam risoluto di scriverne con più esattezza e non abbiam voluto interromper di troppo l’ordine da essi tenuto, Io parlo del più dolce del più amabile, del più modesto fra tutti i poeti latini di questo secolo, cioè di Marcantonio Flaminio, nome caro alla virtù non meno che alle Muse, e che in tutti coloro che il co nobbero, destò sentimenti di ammirazione al pari che di tenerezza. Il sig. Francesco Maria Mancurti ne ha scritta elegantemente la Vita che va innanzi all" edizion Cominiana delle Poesie del Flaminio. Ma ella, a dir vero , è anzi un elogio, che un esatto racconto, e io perciò ne verrò ricercando con più minutezza le particolari circostanze; distinzione troppo dovuta a un uomo, la cui memoria dee essere immortale nei fasti dell1 italiana letteratura. Ma prima che del figlio, ci convien dire in breve del padre, cioè di Giannantonio Flaminio, il quale, benchè fosse di gran lunga inferiore al figlio, fu però a’ suoi tempi avuto in conto di elegante poeta e di dotto scrittore. Il P. Domenico Giuseppe Capponi dell* Ordine de’ Predicatori, che il primo ne ha pubblicate le Lettere latine in Bologna nel 1744? l,a posta innanzi ad esse la Vita del loro autore, di cui altre anche più esatte e più minute notizie ci ha date l’eruditissimo monsignor Giannagostino Gradenigo vescovo di Ceneda in una sua lettera, in cui ricerca se i due Flaminj dir si possano serravallesi di patria (N. Racc. d Opmc. t. 24). Noi lasciando in disparte questa disputa che, come più altre di tal natura, è disputa di puro nome, ci varremo di essa per [p. 2073 modifica]I TERZO 2073 I meglio accertar l’epoche della vita del padre I n0u men che del figlio. Lodovico Zarabbini di I Cotignola fu il padre di Giannantonio, che nacque in Imola circa il 14^4 » e neU’antica Accademia veneziana, a cui fu poscia ascrit| 10. prese il soprannome di Flaminio, che fu poi il cognome della famiglia. Prima in Bologna , indi, cacciatone dalla peste , in Venezia, sotto la direzione de’ più illustri maestri di quell’età , coltivò felicemente le lettere. In età di soli ventun1 anni, nel 1485, fu condotto professore di belle lettere a Seravalle nella diocesi (*) di Trevigi collo stipendio di 100 zecchini , e ivi prese a sua moglie una certa Veturia giovane nobile di quel paese. Di là passò nell" impiego medesimo circa il i4‘)i a Montagnana, ove fu fissato prima per nove anni, poscia per altri cinque, finchè trovando quel clima contrario alla sanità della moglie, tornossene nell’an 1502. a Seravalle; e benchè invitato in addietro con ampie offerte da’ Vicentini, ivi salì di nuovo sulla sua cattedra, e fu ascritto a quella cittadinanza e al collegio de’" notaj. Le guerre dalle quali travagliato fu quel paese, furon fatali al Flaminio , che avendo in esse perduto quanto avea colle sue fatiche e colla sua industria raccolto, spogliato d’ogni cosa, fece ritorno nel 1 O09 a Imola sua patria, ove la liberalità del Cardinal Raffaello Riario e del pontefice Giulio II recaron sollievo alle sue passate sventure, e ove egli prese (*) Serravalle è bensì podesteria del territorio di Bergamo, ma è nella diocesi di Ceneda. \ [p. 2074 modifica]2074 LIBRO ! dirimenti a tenere scuola di belle lettere. Ma ’amore eli’ egli portava a’ suoi cari Serravai. lesi, da’ quali avea anche avuto l’onore della cittadinanza, e poscia ancor quello di essere ascritto alla nobiltà, non gli permise di rigettare i lor replicati inviti, e tornò di nuovo tra essi all1 usalo suo impegno verso il 1517 La fama sparsa del saper del Flaminio trasse colà molti nobili giovani, che inviati da’ lor genitori, stavano presso di lui come in un con. vitto. Fu tra essi Alfonso figlio di Gaspero Fantuzzi nobilissimo e splendidissimo patrizio bolognese, il quale poscia neh1520 volle clic il Flaminio passasse a Bologna, e nel suo proprio palazzo avesse stabil soggiorno, e ivi istruisse con più agio e il figlio e gli altri nobili giovani, de’ quali fu ancor maggiore allora il concorso. Quanto il Fantuzzi amasse il Flaminio, e quanti effetti della sua liberalità gli facesse provare, abbastanza cel mostrano le molte lettere dal Flaminio stesso a lui scritte. Sedici anni visse egli in Bologna, cioè fino a’ 18 di maggio del 1536, che fu l’ultimo della sua vita, caro a tutti, e da tutti sommamente stimato non solo pel suo molto sapere, ma ancora per gli aurei costumi e per le virtù singolari di cui fu adorno. Ne abbiamo non poche poesie latine, nelle quali però ei non è molto felice. Migliori ne son le prose, benchè esse ancora non abbiano quell’eleganza che in altri scrittori si ammira. Fra esse abbiamo dodici libri di Lettere, le Vite di alcuni Santi delf Ordine de’ Predicatori , un Dialogo intorno all’ cducazion de’ fanciulli, un Trattato [p. 2075 modifica]TERZO 2oj5 dell’origine della Filosofia, una Gramatica latina e più altre opere, altre stampate, altre inedite, delle quali ci ha dato il catalogo il suddetto P. Capponi. XXXII. Più assai però che alle sue opere , dee Giannantonio Flaminio il nome di cui gode tra’ dotti, a Marcantonio suo figlio, natogli in Seravalle nel 1498. Egli stesso il venne attentamente formando alla pietà non men che alle lettere greche e latine, e vedeva con incredibil piacere le liete speranze che di sè dava quel suo caro fanciullo, e la felice disposizione che avea singolarmente sortito per la poesia latina. Così egli il tenne presso di sè ora in Seravalle, ora in Imola sua patria, ove frattanto avea fatto ritorno, fino al 1 £> 14 5 nL‘l qual anno volendo egli inviare al nuovo pontefice Leon X alcune sue poesie (*), scelse a ciò fare il suo figlio, giovinetto allora di sedici anni, e gli ordinò che con quelle del padre offrisse ancora al pontefice alcune sue poesie, e lo accompagnò con sue lettere al papa stesso e al Cardinal Marco Cornaro. Nella sua lettera al cardinale scritta al 1 di maggio del dotto anno, Alisi liac de caussa, scrive (I. A. Flambi. Epist. I.2 , ep. 5), AI. Antonium Eia-: minium filium me uni, (pii et ipsc Sylva rum (*) Il titolo di Silvae dato da Giannantonio Flaminio al libro che il giovinetto Marcantonio suo figlio presentò al pontefice Leon X, mi ha fatto credere eh* esse fossero poesie. Ma essa fu f opera da me poi rammentata più sotto intitolata Annotationum Silvae, di cui ha pubblicato un frammento monsig. Gradenigo, e di cui il ch. sig. d Jacopo Morelli, che ne ha un antico esemplare, ci fa sperare una compita edizione [p. 2076 modifica]20^6 LIBRO suarum libellos, non insulsum fortasse munusculum , ad ipsum Pontificem maximum detulit. De cujus quidem adolescentis nunc primum decimum sextum aetatis annum supergressi ingenio ac eruditione dicerem aliqua y nisi essem pater; sed et praesens ipse, ut spero, id tuae amplitudini, ne paterno indigere testimonio videatur y indicabity et quae secum attulit ex multis y quae hactenus scripsit, uberrimum , ni fallor , testimonium ferrent Il giovinetto Flaminio introdotto al pontefice dal cardinale suddetto e dal Cardinal d’Aragona, fu da esso accolto con grande amorevolezza. Leone udì con piacere i versi del padre e del figlio , diede pruove al secondo della sua bontà e munificenza , fece chiedere al padre se gli sarebbe piaciuto che il suo Marcantonio si stesse in corte presso di lui, e frattanto raccomandollo caldamente a Rafaello Brandolini, oratore e poeta allora famoso, e che abitava nel Vaticano (ib. ep. 2), mentre Giambattista Pio , per istanza fattagliene da Giannantonio, avea il pensiero di continuare a istruirlo nelle lettere (ib. l. 5, ep. 19, 20). Un1 altra volta fu il giovane Flaminio presentato al pontefice, mentre questi era in una sua villa, ed egli ricevutolo cortesemente, nel congedarlo, Figlio, gli disse, in Roma ci ricorderemo di voi; e infatti appena tornatovi, il fece chiamare a sè, e gli fece provare altri effetti della sua munificenza (ib. ep. 4) > e rapito al vedere il raro ingegno di quel giovinetto, a lui si volse con questo verso di Virgilio: Macte nova virtute puer: sic itur ad astra. I. A. Flam. Dial. de E due et. [p. 2077 modifica]TERZO 2077 Volle lo stesso Leone far pruova del non ordinario valore di questo ottimo giovane, e innanzi a molti cardinali si fece a disputare con lui di non so quali quistioni; ed egli sì francamente sostenne questo cimento, che destò maraviglia ne’ circostanti, e il Cardinal d’Aragona ne scrisse lettere di congratulazione al padre (id. Epist. L. 2, ep. (8). Avrebbe questi voluto che Marcantonio dopo un breve soggiorno tornasse a Imola, e di ciò avea già scritto al pontefice stesso (ib. ep. 2). Ma cambiò poscia pensiero, e determinossi a lasciargli ivi aperta la via alla fortuna (ib. l. 5, ep. 22). E di quel soggiorno si prevalse il giovin Flaminio per fare un viaggio a Napoli e conoscervi di presenza il celebre Sannazzaro (l. (6, ep. 1). L’anno seguente però, cioè nel 1515, invitato dal conte Baldassar Castiglione, partissi da Roma e andossene ad Urbino, ove il Castiglione sel raccolse in casa, e prese ad amarlo e a coltivarlo, rapito dal raro talento che in lui conobbe; e il padre con più sue lettere ne mostrò al Castiglione la più sincera riconoscenza (ib. ep. 5,6, 7, 8, 9, 13, 14, 15), e il figlio ancora , grato al suo splendido benefattore, ne cantò le lodi in una sua egloga da lui composta in un viaggio da Mantova a Urbino, e stampata nell’anno stesso a Fano, insieme con alcune altre sue poesie aggiunte a quelle di Michele Tarcagnotta e scritte con tale eleganza, che appena sembra possibile che un giovinetto di 17 anni potesse giugnere a tanto. Nella lettera ad Alessandro Mazzoli bolognese , premessa all’Egloga, Mitto ad te , [p. 2078 modifica]20^8 LIBRO dice (V. B. Castil. Op. p. 367, ed. Comìn.) t Eclogam, quam superioribus diebus, cum Mantua redirem Urbinum, in itinere composui. In ea sub persona Thyrsidis gratias ago Balthasari Castalioni, Principi in omni virtutum genere consumatissimo, qui nos domo, font mi s, patria, ob bellorum incendia ejcctos in contube mi uni accepit, et. sua liberalitate non parum sublevavit. Il desiderio però, che avea Giannantonio che il giovane suo figlio si voi gesse ancora agli studj filosofici e che scegliesse poi a qual professione volesse applicarsi, determinollo a toglierlo dalla casa del Castiglione, e ad inviarlo a Bologna sulla fine del 1515 (I. A. Flamin. l. 3, ep. 24; l- 6, ep. 14, 15); e ricusò a tal Gnc f invilo fattogli dal Beroaldo a nome del Sadoleto, il quale avrebbelo voluto in Roma suo compagno nell1 impiego di scrittor delle lettere pontificie (ib. ep. 19). In Bologna fu il giovane Flaminio accolto in sua casa da Francesco Bentivoglio, a cui perciò scrisse il padre più lettere piene di gratitudine (ib. ep..20, 21, 23). Io non trovo per quanto tempo si trattenesse il Flaminio in Bologna. Certo è eli1 egli era in Roma circa il 151 <9, quando ivi trattossi la celebre causa del Longolio da noi altre volte accennata, perciocchè il Sadoleto, scrivendo al Longolio stesso, gli dice che il Flaminio erasi offerto a recitar 1’ 0razionc che quegli allora assente avea in sua difesa composta (SadoL Epist. famil. t. 1, p. 42, ed. rom.). Questo secondo viaggio di Roma fu da lui fatto probabilmente in compagnia di Stefano Sauli, da noi altre volte lodato, e [p. 2079 modifica]TERZO 2079 presso il quale fu per qualche tempo il Flaminio. Così raccogliamo da una lettera dal padre di esso scritta al medesimo Sauli nel 1522 (ib. in App. p. 503), nella quale egli accenna che già da gran tempo era presso di esso Sauli il suo Marcantonio, e da un7 altra dal Castiglione scritta da Mantova ad Andrea Piperario in Roma a’ 7 di marzo dell* anno i523, in cui gli chiede nuove di Marcantonio Flaminio , eli era col Protonotario Sauli (Castigl. Lett, di Neg. t 1 , p. 102). In fatti egli è annoverato dall’Arsilli tra’ poeti che allor viveano in Roma , e descritto come giovane di vita austera e di facilità mirabile nel verseggiare. Anche il Giraldi ne parla come di giovane vivente in Roma, e unendolo col Molza, At Franc. Mar. Molciam Mutinensem, dice (De Poet. suor, temp. dial. 1 , Op. t. 2, p. 544)? et M. Antonium Flaminium, adolescentes adeo bonarum litterarum studio inflammatos video, ut assidue ambo vel libros evolvant, vel aliquid ipsi componant. De utroque magna concipere possumus. Nec solum hi humanitatis flosculos legunt, sed ulterius studia sua proferunt.... Flaminius vero sapientiae studia cum uiraque lingua conjungit; et nisi acrius eum stomachi morbus urgeret, paucos ei conferre possemus. Sed ita comparatum est, ut praeclara ingenia fere semper aliquid infestet et interturbet. Verso questo tempo medesimo dovette il Flaminio fare il viaggio di Genova col Sauli, e trattenersi con lui in una piacevole villa , formando insieme con altri uomini eruditi colà condotti dal Sauli quella Accademia della quale si è [p. 2080 modifica]qo8o libro detto altrove (l. i, c. I\). Dal servigio del Sauli passò il Flaminio a quello del datario Giberti e con lui per qualche tempo fu in Padova! ove è verisimile eh1 ei profittasse del sapere di’ tanti celebri professori che ivi erano allora: Questa mattina, scrive Romolo Amaseo da Padova a’ 18 di settembre del 1524 (Vita Rom. Amas. p. 210), hanno pranzato con me M. Marcantonio Flaminio e M. Giulio Cammillo; io li ho fatte carezze, sì per /’amicizia ver chia, come perchè il Flaminio al presente sta con Mons. Datario. Il servigio del Giberti t raticnnelo alcuni anni in Verona; ed ei godeva ancora di passar qualche tempo in una amena villa alle rive del lago di Garda, ove f ottimo suo padrone aveagli fatto dono di un delizioso podere (Flamin. l. 5, carm. 20). Ei fu nondimeno ancora per qualche tempo in Roma , e alcuni versi ci indicano di’ ci vi giugnesse poco innanzi al famoso sacco del 1527 (ib. carm. 35), a cui però non sappiamo se si trovasse presente. Mentre egli era al servigio «li quelf illustre prelato , si diede a parafrasare in prosa latina il libro XII della prima filosofia , ossia della Metafisica d’Arislotile, eli’ egli pensava di dedicare al Giberti, ma che per consiglio di esso egli poi dedicò al pontefice Paolo III. La prima edizione che suol citarsene* è quella di Basilea del 1537. Ma è certo che fin dall’anno precedente già se n’era cominciata l1 edizione in Venezia. Ne abbiamo un’indubitata testimonianza in una lettera del Cardinal Cortese , allora abate , scritta al cardinale Contarini da Venezia agli 8 di marzo del / [p. 2081 modifica]TERZO 208l detto anno (Cortes. Op. t. 1 , p. io3): A caso anche mi si è aumentato alquanto di rifrigerio, che il nostro M. Marcantonio Flaminio venne di compagnia da Verona , e starasi meco tutta la Quadragesima, il che non solo di giorno , ma anche buona parte della notte, mi è di gravissima consolazione: e così di una divisa compagnia V. S. Reverendiss. ha M. Galeazzo, ed io M. Marco Antonio Flaminio , qual è in questa Terra a effetto di far stampare la Parafrase sua fatta sopra il xii della Metafisica; e già vi è dato principio, nè dubito, che sii opera per piacere sommamente prima per la bellezza e celsitudine della materia , poi perchè ancora è scritta in un stile molto proprio, candido ed elegante. Editi vero sempre mi ho promesso molto del giudizio ed ingegno di M. Marcantonio; ma in questa cosa superavit etiam opinionem meam, e tanto più, quanto per avanti non si era esercitato a scrivere in soluta oratione,- ed or questo pare uno stile e s trattiss imo, a tal che judicio meo non cede ad alcuni di quelli, che oggi scrivono; e. tanto è dilucido e plano, che se il residuo delle cose di Aristotele fosse trattato in tal modo, facilmente sarebbe pervio ad ognuno, e vi sarebbono più persone dotte. Ed esiste in fatti questa edizione, che è assai bella, fatta nel detto anno , e ne ha copia questa biblioteca Estense. E perchè la pietà singolare, che rendeva ancor più belle le rare doti di questo amabil poeta, faceagli coltivar con piacere gli studj sacri, ei prese a scrivere una parafrasi [p. 2082 modifica]2082 LIBRO in prosa su XXXII Salmi, che fu poi stampata in Venezia nel 1537: Aspetto, scrive il Cortesi al Cardinal Contarini da Padova a’ 12 novembre del detto anno (ib. p. 124), fra pochissimi giorni quà e a Praglia Messer Marcantonio Flaminio , qual viene per far stampare una Parafrase sua sopra trenta doi Psalmi cosa dignissima di quello ingegno e di quel spirito. Non è concisa, come fu quella del Campense, ma diffusa, e larga, e penso debbia esser molto utile. Mi duol bene, che per l’infirmità sua non possa proseguir più avanti, che già questo poco in tutto gli avea levato il sonno. XXXni. Frattanto le indisposizioni del Flaminio crebbero a segno , che cominciosi a temer eli’ ei non ne rimanesse la vittima. Dopo aver viaggiato qua e là, ma inutilmente, per diversi paesi (l. 2, carm. 7), finalmente l’aria di Napoli parve la più opportuna a guarirlo; e colà perciò ei recossi verso la fine del 1538, perciocchè agli 11 di novembre del detto anno , scrive egli stesso da Sessa, che non avendo trovato in Napoli alloggiamento comodo, era colà tornato, e che stava ivi godendo della compagnia di M. Galeazzo Florimonte, e che se nella primavera seguente non avesse potuto trovare stanza in Napoli, avrebbe fatto ritorno a Verona (Atanagi, Lett. facete, l. 1, p. 347). Ma egli ve la trovò, e ora in Napoli, ora in Caserta, ora in altri luoghi del Regno andò trattenendosi almen fino al marzo del 1541 (ivi, p. 352, ec.), e vi ricuperò felicemente la sanità, [p. 2083 modifica]TF.RZO 2083 egli poi scrisse a Gianfrancesco Caserta f|,e lo avea invitato a fare colà ritorno: Quid? ista vestra Tam felicia , tam venusta rura , Quem non alliciant suo lepore? Addas, quod mihi reddidere vitam , Cum vis tabifica intimis medullis Serpens lurida membra devoraret. L. 6, carm. 20. E non solo ei si rimise in salute, ma ebbe ancor quegli onori e que’ premj che a’ suoi meriti eran dovuti. Quindi Torquato Tasso, nel suo Dialogo , fa dire al Minturno: Io posso afI ftrmar senza bugia A avere conosciuto in questa Città (cioè in Napoli) il Bonfadio ed il Flaminio , e molti altri, i quali se ne partirono arricchiti co’ doni, o almeno onorati colle ricchezze de’ Signori Napoletani (Op. t 3, p. t\ 14, td. Fir.). Bernardo Tasso tra gli altri bramò di conoscerlo , e gli scrisse a tal fine invitandolo a venire a Sorrento, e dolendosi di non poterlo imitare nella buona vita, come si era sforzato d’imitarlo nella poesia, e conchiuse esortandolo a difendere colla sua virtù la santa Fede (B. Tasso, Lett. t 1, lett. 133). Ma, a dir vero, invece di difendere la Religione, fu allora il buon Flaminio a non lieve pericolo di diventarle nemico. Ch’egli si mostrasse per qualche tempo propenso alle opinioni dei novatori, non può negarsi. E forse la stessa pietà del Flaminio, e l’austera e innocente vita eli’ ci conduccva, lo trasse suo malgrado in que’ lacci; perciocchè, essendo la riforma degli abusi e t emendazion de’ costumi il pretesto di cui Tiraboschi, Voi. XIII. 8 [p. 2084 modifica]2084 LIBRO valeansi gli eretici per muover guerra alla Chiesa non è meraviglia che alcuni uomini pii si lasciassero da tali argomenti sedurre, singoIar mente prima che i loro errori venisser proscritti solennemente nel concilio di Trento. Fin dall’anno 1536 avea ei cominciato a gustare i lor libri: e sembra che perciò gli fosse fatta qual, che perquisizione; perciocchè il Cortese, scrivendo al Cardinal Contarini a’ 22 di giugno del detto anno, e pregandolo a ottenergli dal papa la facoltà di legger tai libri, E perchè, dice (Op. t. 1, p. 108), non vorrei m intervenisse quello intervenne a Mes. Marcantonio la settimana santa , precipue se Monsignor di Chieti (il Cardinal Giampietro Carrafa) lo sapesse prego V. S. Reverendissima, ec. In Napoli poscia avendo conosciuto il Valdes, uno de’ più dichiarati seguaci delle nuove opinioni, questi seppe raggirarlo per modo, che l’incauto Flaminio sempre più si mostrava inclinato a seguirne f esempio. I Protestanti, a’ quali 1* avere nel lor partito un uom sì celebre per eleganza di stile non meno che per integrità di costumi sembra che sia loro di grande onore, ne menan trionfo; e lo Schelornio tra gli altri ha scritto su ciò una lunghissima Dissertazione (Amoenit. Ist. eccles. t. 2, a p. 1 ad p. 179). E s’ei si fosse ristretto a provare che il Flaminio fu per qualche tempo inclinato alle loro opinioni, io non ardirei di negarlo. Ma perchè il Cardinal Pallavicino ha affermato ch’ei poscia ravvidesi per opera del Polo, e che ciò narrasi dal Beccadelli nella Vita di questo gran cardinale, ei dà una mentita a quel famoso scrittore, [p. 2085 modifica]TERZO 3o85 e dice clic nella V’ita del Polo non si legge tal cosa. E veramente nella traduzion latina. fattene da Andrea Dudizio, essa non si ritrova; n)a nell1 originale italiano, pubblicato dal Cardinal Querini (Epist. card. Poli, t. 5, p. 38-),’* vi è chiaramente espressa, ed è questo un passo troppo interessante, perchè io possa qui ommetterlo: Tornando M. Marcantonio Flaminio da Napoli, suo vecchio et caro amico, et trovatolo tinto it alcune opinioni non molto sicure, c haveva ritratto dalla conversazione del Val de s in Napoli, per ajutar l’amico, il quale di buona vita et mente conosceva , senza dir cosa alcuna di questo, lo invitò a star seco in quell’ozio Viterbese, ove allora si trovava, et parlando parte delli studi di Immanità, nel li quali M. Marcantonio era eccellente, parte delle cose’ sacre, andò con tanta destrezza in processo di tempo domesticandolo, che lo fece senza contesa capace della verità Catholica, sicchè restò di sana e netta dottrina, nella quale continuando, et versi sacri scrivendo , morì da buon Cristiano in casa di S. S. Reverendissima, la quale usava di dire, che non poco servizio, oltra il benefizio dell’amico, gli parevan haver fatto a’ Catholici, havendo ritenuto il Flaminio f et non lasciatolo partecipare con gli Heretici, come facilmente havria fatto, tra’ quali poteva nuocere assai per la facile et bella maniera, che havea di scrivere latino et volgare. La testimonianza di un tale scrittore, non solo contemporaneo, ma amico e confidente del Flaminio e del Polo, non dà luogo a rispostale lo Schelornio può dibattersi quanto [p. 2086 modifica]2086 libro egli sa, e recar molti passi e delle Poesie e di altre opere del Flaminio, nelle quali a lui pare di scorgere i sentimenti de’ Protestanti, e io non vi trovo che i sentimenti d’uom religioso e pio; ma non potrà mai provare che il Flaminio non si ravvedesse ben presto. Egli ci rimprovera la proibizione dell’Opere del Flaminio, fatta da Paolo IV nel 1559; e a questo fatto, che è certo, aggiugne altre dubbiose voci sparse da alcuni a que’ tempi, che il papa volesse farne disotterrare il cadavero per gittarlo alle fiamme; voci smentite dal molto amore che Paolo ancor cardinale ebbe per lui, e di cui diedegli pruova in una grave malattia, da cui essendo condotto agli estremi il Flaminio, questi fu persuaso di doverne la guarigione alle ferventi preghiere del Cardinal Carrafa (Carm. l. 6, carm, 40). Che se ciò non ostante ei vietò il leggerne le Opere, egli è evidente che ciò fu effetto o di soverchia severità, o di altra qual che si fosse cagione. Perciocchè nelle altre edizioni , che poi si fecer dell’Indice, le Opere del Flaminio non vi si veggon notate (V. Zeno, Note al Fontanini, t. 2, p. 109, ec.). Or se esse fossero state infette di errori, ne avrebbono i romani pontefici permessa la lettura? O anzi il vederle tolte dall1 Indice, non è egli sicuro indicio a conoscere ch’esse furon trovate innocenti? E dobbiamo aggiugnere che il Flaminio, ancor quando avea nell’animo qualche inclinazione alle opinioni de’ novatori, fu nondimeno sì cauto, ch’ebbe sempre il concetto di ottimo e sincero cattolico , e ne son pruova gl’impieghi a’ quali fu destinato. [p. 2087 modifica]TERZO 2087 XXXIV. Fin da quando egli era in Napoli, fu scelto tra quelli che dovevano accompagnare il Cardinal Con tari ni al Colloquio di Vormazia nel i5.jo; e l’Aleandro, parlando di que’ personaggi in una sua relazione pubblicata di fresco (Cortes. Op. t. 1, p. 55), e segnata a’ 6 di settembre del 1540, Simil offizio, dice, di scriver bene potria far anche il Flaminio bon Poeta e bon Oratore, e ben dotto Graece, e per molti anni datosi alla Scrittura Sacra e Dottori antiqui, ben stimato per il Commento sopra alcuni Salmi. Il detto è molto famigliare del detto Reverendissimo Contareno, e trovasi ora in Napoli. Ma le infermità del Flaminio non gli permisero l’intraprender quel viaggio. Tornato da Napoli, trattennesi il Flaminio non poco tempo in Viterbo col Cardinal Polo, che ivi era legato, e che ivi il fece ravveder degli errori dei quali era stato imbevuto, come sopra si è detto. Quanto piacere provasse il Polo nella compagnia del Flaminio, lo scrive egli stesso in una sua lettera al Cardinal Contarini de’ 9 di dicembre del 1541: Il resto del giorno passo con questa santa et utile compagnia de’ Signori Carnesecchi e Marcantonio Flaminio nostro. Utile io chiamo; perchè la sera poi M. Marcantonio dà pasto a me et. alla miglior parte della famiglia de ilio cibo, qui non perit, in tal maniera cìi io non so, quando io abbia sentito maggior consolazione nè maggior edificazione. Intimossi frattanto nel 1542 il concilio di Trento, e il Polo fu un de’ legati destinati ad esserne presidenti, e recovvisi egli infatti sulla fine del 1542, e seco condusse il Flaminio: Polus, [p. 2088 modifica]. ao88 libro scrive Aonio Paleario al Lampridio, Legatus est Tridentum: Flaminius una proficiscitur, una Priulus, et fortasse Carnesecius, animae quales neque candodiores terra tulit (l. 1, ep. 17). Ma il Carnesecchi non vi andò, come ci mostra la lettera scrittagli dal Flaminio al primo di gennaio del i5.{3, di cui diremo tra poco. Anzi impedita allora la convocazion del concilio, il Flaminio col Polo tornossi a Viterbo, e quindi nel maggio dell1 anno stesso accompagnò il pontefice nel suo viaggio a Busseto (Seb. Corrad. praef. ad Comm. in Epist. Cic. ad Attic..). Raccoltosi poi il concilio di Trento sulla fine del i 545, il Cardinal Pallavicino racconta (Stor. del Conc, di Trento, t. 1, l. 6, c. 1) che al Flaminio fu offerto l’impiego di segretario del concilio, ma ch’egli se ne scusò, forse perchè nutriva nell’animo quelle opinioni contro cui, accettandolo, avrebbe dovuto rivolger la penna, e delle quali però, aggiugne lo storico, egli poi si ravvide. Ma a me par più probabile che il Flaminio si fosse fin d’allor ravveduto, e che la debole sua sanità fosse la vera cagione per cui si sottrasse a quel carico. Certo la lettera che da Trento egli scrisse al Carnesecchi sul mistero dell’Eucaristia fin dal primo di gennaio del 1543, è per tal modo cattolica, che gli stessi Protestanti confessano che nell’articolo della Eucaristia egli è stato loro contrario, e si riducono a dire che non avendo egli in quella lettera fatto motto di alcuni particolari punti di quel mistero, deesi credere che in essi ei fosse lor favorevole (V. Schelhorn, l. cit. p. 11): maniera veramente leggiadra di argomentare, per [p. 2089 modifica]TERZO 2089 il numero degli eretici crescerebbe a dismisura! Benchè però il Flaminio ricusasse l’impiego di segretario, andossene a Trento, probabilmente col Polo, ove cel mostrano e una lettera da lui scritta a’ 28 di novembre del 1545 (Lettere di diversi Uom. ill. Trevisio, 1603, p 248), e la dedica da lui fatta al cardinale Alessandro Farnese della sua elegante traduzione ,in versi latini di 30 Salmi stampata nel 1546. Benchè io non trovi che il Flaminio lasciasse mai il servigio del Polo, nella cui casa ancora morì, come si è poc* anzi accennato, è certo pprò, eli’ ci fu ancora al servigio del cardinale Alessandro Farnese , come ci mostran moltissime poesie da lui in onor di esso composte, nelle quali rammenta ancora i molti e singolari beneficj che da quello splendido mecenate de’ letterati avea ricevuti, e singolarmente un podere, che dopo la morte di suo padre gli era stato usurpato, e che il cardinale aveagli fatto rendere (l. 1 , carm. 17), e i molti beni di cui l’avea arricchito (l.6, carm. 1, 3). Nè fu solo il Farnese a mostrarsi così liberale al Flaminio. Il cardinale Rodolfo Pio gli fè dono egli pure di alcuni poderi (ib. carm. 42). Il cardinale Guidascanio Sforza solea liberarlo ogni anno da alcune decime, di cui eragli debitore (l. 5, carm. 2). Il cardinale Benedetto Accolti gli fece presente di una preziosa tazza (l.2, carm. 10), e così di più altri provò egli la liberalità e la magnificenza, di cui sapeasi render degno col suo valore e colle sue amabile e dolci maniere. Ma in niuna occasione conobbesi meglio quanto amato e stimato fosse il Flaminio, come allor vTT 9 [p. 2090 modifica]3090 unno quando, dopo una penosa malattia, finì di VU vere in Roma co’ più vivi contrassegni d:fpr_ vente e sincera pietà a’ 18 di febbraio del 1550 in età di soli cinquantadue anni. Io non so che siasi mai sì universalmente pianta la morte di alcun uomo dotto, quanto fu quella del Flaminio. Al fine dell’edizione cominiana si possono vedere le lettere e le poesie da molti scritte in quell’occasione, le quali fan chiaramente conoscere quanto essi fossero per tal nuova costernati ed afflitti. Le lettere singolarmente di Pier Vettori, del Polo, del Ricci del Manuzio son tali che appena si posson leggere senza legrime. Morì il Flaminio, dice il Manuzio (Lett. volg", p. 51), e morì insieme la gentilezza, la bontà, la gloria de’ buoni Qual è si duro cuore, che non s’intenerisca pensando alla sua morte? E il Ricci, trasportato dal suo dolore, o Flamini, esclama (Op. t. 3, p. 238), o vir Christiane , o aetatis nostrae nobilium studiorum splendor et decus! ut te nimis cito Deus ad se accersivit! ut integerrimae vitea exemplum terris abstulit! ut bonarum artium studia quasi viduavit! nosque amicos tuos ea consuetudine privavit, qua nulla jucundior, nulla honestior, nulla sanctior reperiri posset! A questi e ad altri passi, recati nella citata edizione, si posson ag* giugnere due lettere, una del Paleario al cardinale Bernardino Maffei, l’altra in risposta del cardinale al primo (Palear. Epist. l. 4, ep. 23, 24), nella seconda delle quali così dice quel dottissimo cardinale: Et quidem illius viri mors literis ob praestantem doctrinae omnis atque ingenii elegantiam, religioni ob admirabilem morum et

  1. [p. 2091 modifica]TERZO 3091

vitae sanctimoniam ac pietatem, bonis omnibus ob singularem erga eos, in quibus iniset aliqua virtutis significatio, animi studiique propensionem tantum detrimenti attulit, ut nulla re satis unquam resarciri posse videatur. Sed quam lo ipse ram pie cristianeque decessit, ut prope nefas sit dubitare, illum summam hujus vitae miseriam atque calamitatem cum infinita aevi sempiterni beatitudine atque felicitare commutasse, nos quidem, qui eum amamus, multo magis laetari oportet, tanto illius bono, quam ullu nostro commoveri incommodo, praesertim cum tot ille tamque praeclara ingenii sui atque doctrinae monumenta in omni fere lit erarum genere reliquerit, ut jucundissima eorum lectione facile omnis abstergi possit animi nostri moeror atque tristitia. XXXV. E veramente chiunque prende tra le mani le opere del Flaminio, non può a meno di non amarlo. Così vedesi in esse congiunta a una rara eleganza e a una singolar leggiadria una sì dolce amabilità, che rapisce e seduce. Esse sembran dettate dal cuore, non dall’ingegno, e dal cuore il più sensibile e il più tenero che fosse mai. Pregio ancor più ammirabile, perchè le poesie del Flaminio non sono comunemente rivolte a oggetti, ne’ quali una viziosa passione prende molte volte il sembiante di virtuoso affetto; ma o sono di argomenti sacri, o spiegano la sua riconoscenza e la sua tenerezza pe’ suoi benefattori e pe’ suoi amici. Ne’ primi anni della fervida gioventù lasciossi egli ancora allettare dall’uso comun de’ poeti, e scrisse con qualche libertà alcune poesie amorose. Ma sgridatone dal saggio e severo suo S f [p. 2092 modifica]20Q2 LIBRO padre (I. A. Flamin. l. 5, ep. 12), col crescere degli anni rivolse ad argomenti più gravi il suo stile, e compensò la licenza di que’ giovanili componimenti colla traduzione accennata de’ 30 Salmi. Quindi il conte Niccolò d’Arco il loda, e il dice fortunato perchè non lasciavasi avvolgere nelle reti d’Amore: Felix Flaminius, quem nulla puella, nec ignis Est potis a sancto seposuisse thoro. L. 2, carm. 12. Oltre le opere, delle quali abbiamo già fatta menzione, ei pubblicò ancora in Venezia nel 1554 una breve Sposizione in prosa di tutti i Salmi. Molte lettere italiane ne sono sparse in diverse Raccolte, e in quella singolarmente fatta in Trivigi nel 1603, altre delle quali appartengono ad argomenti poetici, altre trattano di pietà e di religione, due ve ne ha intorno al modo d’istruir la gioventù nelle lettere; e tutte sono scritte con molta grazia, ma senza quella affettata eleganza che rende noiose a leggersi le lettere di alcuni scrittori di que’ tempi. Un Compendio ancora della Grammatica italiana pubblicò egli in Bologna fin dal 1521, ed essendo poscia uscite alla luce le Prose del Bembo, ei ridussele a metodo, ossia ad ordine alfabetico; la qual opera però non fu pubblicata che più anni dopo la morte del Flaminio, cioè nel 1569. Finalmente, oltre altre opere che o giaccionsi inedite (fra le quali il soprallodato monsignor Gradenigo ha pubblicato un frammento di quella intitolata Annotationum Sylvae), o son perite, delle quali si parla dagli autori della citata edizion [p. 2093 modifica]TERZO 20^3 Coniiniana, in età di soli diciannove anni scrisse jn Ialino la Vita del B. Maurizio ungherese dell’Ordine de’ Predicatori, che da f Leandro Alberti fu inserita tra quelle degli uomini illustri del suo Ordine, da lui raccolte (Bonon. 15 » 7, p. 217). Alla più recente edizion cominiana delle Poesie del Flaminio, fatta nel 17^7? so~ nosi aggiunte ancor quelle di Giannantonio e di Gabriello Flaminio; e quelle del secondo, se non si uguagliano a quelle di Marcantonio, son però cose ancore degne di andar loro dappresso. XXXVI. A questi illustri poeti nominati dall’Arsilli e dal Giraldi, molti altri debbonsi aggiugnere, de’ quali essi non han fatta menzione, o perchè non ne avesser contezza, o perchè non volessero parlar di tutti, o per qualunque altra ragione: ed altri ancora che vissero dopo la metà del secolo, e non poteron perciò dal Giraldi, non che dall1 Arsilli, essere conosciuti. Tra’ primi possiam nominare Riccardo Sbruglio udinese molto lodato da Erasmo, e di cui ampie notizie ci somministra il sig. Liruti (De Letter. del Friuli, t. 2, p. 89); Zaccaria Ferreri Vicentino abate di Monte Subasio, e poi vescovo di Guardia nel regno di Napoli, che nel 1524 pubblicò in Roma molti Inni sacri, nei quali però è più a lodare la bellezza dell’edizione , che la eleganza dello stile (u); Antonio Cerniti novarese, di cui abbiamo (//) La Vita (di questo celebre vescovo, prima monaco casinese, poi abate commendatario della badia di Monte Subasio), indi monaco certosino, poscia notaio e cancelliere del conciliabolo di Pisa, tenuto contro Giulio il, [p. 2094 modifica]2094 LIBRO quattro libri di Poesie liriche, stampate in Venezia nel 1550; Giuliano Princivalle da Camerino, dato da Leon X per precettore, o per aio al Cardinal Innocenzo Cibo, e che poscia nel sacco del 1527, vedendo i crudeli e ignominiosi tormenti che si davano da’ vincitori a coloro che erano in concetto di denarosi, gittossi disperatamente da una finestra, e morì sul colpo (Valer, de Infelic. Literat. I. i) * e Francesco Panfilo da Sanseverino nella Marca, di amendue i quali poeti ragiona più a lungo, e ci dà qualche saggio delle lor poesie il signor Lancellotti (Mem, della Vita del Coloccit p. 70, 54). Il Calcagnini dà il nome di soavisrientrato finalmente in grazia di Leoi^X, e da lui promosso al vescovado di Guardia, e onorato poscia di luminosi impieghi, è «lata da me descritta c inserita uel tomo xvi di questo Giornale di Modena , ove ancora ho dato ragguaglio delle opere che ce ne sono rimaste , e di quelle che sono smarrite. Ad esse dee aggiugiiersi un poemetto ms. in versi esametri, diretto «1 doge Leonardo Loredano, e intitolato: De noci urna visione Mense Decembri Silva XXXV, indicatomi dal sig. D. Jacopo Morelli che lo avea veduto. In esso finge il Ferreri che S. Marco conducalo in Paradiso, ove gli mostra le anime degli croi Loredani, e la sede preparata al doge Leonardo. Alla line si legge: Dal. Fenrl. Id. Dee. MDFtt. Il sig. abate Marini, nella bella sua opera degli Archiatri ponliiicii (l. 1, p. ^43), avverte che nell’archivio di Castel S. Angelo conservasi la rarissima edizione iù pergamena degli Atti del suddetto Concilio di Pisa fatta in quel tempo, in cui spesso s’iucontra la sottoscrizione originai del Ferreri. Di lui ha pailato anche il P. Angiolgabriello da Santa Maria (Scritt. vircnt. t. i\, p. 20 , ec.). Ma ognun può vedere quanto scarse e inesatte siano le notizie che ce ne ha date. [p. 2095 modifica]TERZO 30()5 girne alle Elegie di un certo Giovanni Calvi (Op. p. *a7)> eli’era assai caro al conte. Guido Rango ne. Eusebio Valentini modenese, monaco dell’Ordine di S. Benedetto, viene lodato dal Cardinal Cortese (Op. t. 2, p. 174, ec.), e se ne hanno non poche Poesie stampate in Roma nel 1589, oltre una lettera al Clario (Isid. Clar. Epist p. 112) (a). Più grandi elogi ancora fa lo stesso Cortese del monaco Rafaello da Piacenza dello stesso Ordine, di cui pure non poche Poesie han veduta la luce (l. cit. p. 190; Poggiali, Stor. letter. di Piac. t. 2, p. 25) (A). Francesco Franchini cosentino, vescovo di Massa e di Piombino, fu poeta grazioso e leggiadro, ma troppo libero e immodesto, atteso singolarmente lo stato di cui fece professione. Le Poesie di lui furono più volte stampate, e di esse e del loro autore ragiona più a lungo il marchese Salvadore Spiriti (Scritt. cosent. p. 47). Di Francesco Bellini da Sacile nel Friuli parla con molta lode il Bembo in diverse sue lettere, dalle quali il co. Mazzucchelli ha diligentemente raccolte le più esatte notizie intorno a questo poeta (Scritt. ital. t. 2, par. 2, p. 684, ec.). A questo scrittor medesimo rimanderò io per amor di brevità chiunque desideri di aver contezza di Dante Alighieri terzo di questo nome, (a) Del monaco Eusebio Valentini abbiam date piii distinte notizie nella Biblioteca modenese (l. 5, p. 3o \). (b) Giaiifraucesco Apostoli di Montemagno nel Monferrato fu poeta fecondo assii, ma «li maggior facilità che eleganza. Di lui e delle vicende per le sue poesie da lui sofferte parla il co. Mazzucchelli (Scritt. ital. t. i, p. 880). [p. 2096 modifica]2096 LIBRO buon poeta latino al principio di questo secolo (t. 1, par. 1, p. 492)j intorno al quale si può vedere ancora il tomo secondo degli Aneddoti romani (p. 209). Latino Giovenale romano adoperato da’ papi Clemente \ II e Paolo III in gravi affari e in diverse legazioni, e di cui si fa frequente e onorevol menzione nelle Lettere del Bembo (Lettere, t. 3, l. 2; Op. t. 3 p. 199, ec. Epist. Leon. X nom. l. 9, cp. 36/.10, ep. 31; l. 15, ep. 6, ec.) , del Sadoleto (Epist t. 2, p. 313) e del Castiglione (Lett di Negoz. t 1, p. 160), e lodato ancor dal Giraldi (D ’udogism. 8), fu egli pure in concetto di buon poeta (a). Ninno però di questi poeti ebbe tal nome che possa destar maraviglia il vederli dimenticati da chi prese a formar la serie de’ più valorosi. Quegli di cui può sembrare più strano che dal Giraldi sia stato passato sotto silenzio, è il conte Niccolò d’Arco, che vivea a que’ tempi, ed era assai noto a’ migliori poeti di quell’età, e nello scrivere con eleganza in poesia latina poteva gareggiare co’ più famosi. Qualunque sia la ragione di tal silenzio del Giraldi, le copiose notizie che ce ne hanno date prima il conte Mazzucchelli (l. cit t. 1, par. 2, p. 967, ec.), poscia* il ch. signor Zaccaria Betti che una nuova e più ampia edizione ci ha data delle Poesie del conte Niccolò, ci renderan lecito lo spedircene in breve. Nato nelfanno i479 Arco, feudo della sua (a) Di Latin Giosenale si vegga ciò clic si è fletto nella parte prima di questo tomo , ove si è ragionato delle Raccolte di Antichità. [p. 2097 modifica]TERZO jfjQi antica c nobil famiglia nel Tirolo, benchè passasse i primi anni nella corte ilelT imperador Federigo III, e per qualche tempo ancora vivesse tra’ ’l rumore dell’armi, seppe nondimeno coltiI vare le lettere, e tanto ad esse si affezionò, che rinunciando a’ più ragguardevoli onori, a’ quali la sua nascita e i suoi talenti in vita vanto, ritirossi al suo feudo, e parte ivi, parte in Bologna , tutto si abbandonò agli studj. Da Giulia Gonzaga figlia di Francesco conte di Novellara ebbe più figli, e tra essi Scipione emulatore della gloria del padre (a). Morì sulla fine del i54<); nel qual anno medesimo ne erano stale per opera di Giovanni Fraticello pubblicate in Mantova alcune Poesie Ialine, di cui poscia si fece (a) La Giulia Gonzaga di Novellara moglie del conte Niccolò d’Arco non fu figlia del conte. Francesco, come io, seguendo l’autorità (del co. Mazzucchelli e del signor Zaccaria Betti , ho allel uiato, ma del co. Giampiero, e fu sorella del conte. Alessandro, il quale ebbe a moglie Costanza da Correggio figlia dell relulu e \ eronica e di Gib ito. Così ci mostra uno Stromento a rogito di Petronio Parisetti notaio reggiano de’ 14 di giugno del 1529, che si conserva in Coi reggiti presso il dottor Michele Antonioli, in cui si dice che la suddetta A erotica a nome de’ suoi pupilli Ippolito e Girolamo avea già assegnata una possessione pi r la somma di 750 ducati d’oro in oro: I/f. Contiti Alexand.ro qu. Ill. conte. Jo. Pel ri de Gonzaga conte. Novellariae occasione et causa dotium Ill. D. Constantiae filiae quondam praefati Ill. D. Giberti et sororis praef. pupillo rum; e che il co. Alessandro col conscn.ro della suddetta sua moglie Costanza avea ceduta la possesione medesima: Ill. conte. Nicolao de Arco , et Ill. D) Juliae jugalibus occasione et causa dotium praefatae Ill. D. Juliae sororis dicti Ill. C. A Icxaudn. [p. 2098 modifica]2098 LIBRO nel 1739 una più compita edizione dal Comino unendole a quelle del Fracastoro e del Fumano , finché un1 altra ancor più copiosa ce ne ha data, come si è accennato poc’anzi, il coltissimo signor Zaccaria Betti, rendendo con ciò un ben giusto tributo di onore a uno de’ più eleganti poeti del secolo xvi. Alcune altre notizie spettanti alla famiglia del conte Niccolò si posson vedere presso 1’abate Bettinelli (Delle Lett, ed Arti mantov. p. 10/4) (’)• (*) Ai poeti qui nominati deesi aggiugnere ancor Giovanni Bressani di patria bergamasco. Brevi e scarse notizie ci ha di esso date il conte. Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 2, par. 4, p. 2072). Assai più copiose ed esatte le ho io avute per mezzo del sig. Marco Bressani coltissimo cavaliere da lui discendente, e mi spiace che la natura di questa mi.\ opera non mi permetta di darne che un breve cenno. Nacque egli in Bergamo nel 1490 da Vincenzo Bressani di antica e nobil famiglia di quella città, e da Maria Tizzoni ornatissima gentildonna ili lui moglie. È probabile ch’ei fosse nelle lettere istruito o da Guidotto Prestinari, professor rinomato a quei tempi in Bergamo , nella cui morte ei compose un epigramma , o dal celebre Battista Pio, che ivi pure allora teneva scuola. Fra i pregi d’ingegno, che in lui si videro, fu singolare quello della fecondità, per cui non v3 ebbe forse poeta che a lui si uguagliasse. Egli stesso in un suo opuscolo inedito De se ipso, et de suis seri piis. che ne conservano i discendenti ed eredi, racconta che avea composti oltre a settantamila versi, altri in lingua latina, altri nell’italiana, altri nel volgar dialetto della sua patria, in cui sembra ch’ei fosse il primo a scriver versi. E veramente nelle Poesie del Bressani vedesi l’usato difetto de’ troppo fecondi poeti, cioè l’inuguaglianza dello stile e la mancanza della lima. Quali esse sono però, ci mostrano ch’egli avrebbe potuto uguagliarsi a’ migliori poeti, se avesse voluto moderare alquanto la soverchia sua facilità. Fu caro a [p. 2099 modifica]TERZO 2099 XXXVII. Gli ultimi anni di questo secolo Furono mcn fecondi di poeti latini, perché la poesia italiana quasi tutti a sè rivolse 1 più leggiadri ingegni d’Italia. Alcuni nondimeno la coltivaron con lode non inferiore a quella che tauli altri aveano già ottenuta. Aurelio Orsi bolognese si può annoverare tra" primi, singolarmente nell1 elegie; perciocché negli epigrammi ei dà talvolta saggi di un gusto clic comincia a corrompersi. Le Poesie ne furono stampate la prima volta in Parma nel i58g. Cinque anni appresso se ne fece una nuova edizione in Bologna , e parve all’editore di far cosa degna d’eterna fama, riducendo a lode della Madie di Dio, o di S. Maria Maddalena gli Epigrammi dall’Orsi composti per la sua donna. molti de’ più celebri e dei più dotti personaggi di quel tempo, non solo pe’ suoi talenti, ma anche per le virtù morali di cui era adorno, e in onor di esso fu coniata una medaglia che vedesi nel Museo Mazzucchelliano. Finì di vivere a’ 12 di marzo nel 1:ìGo, e ne fu pianta la morte da molti illustri poeti , i cui versi si leggono innanzi alle Poesie latine e italiane e bergamasche del Bressani col titolo di Tumuli , stampate in Brescia nel 1574, ove pure l’anno medesimo si pubblicarono i Distici, ne’ quali egli avea ridotte le narrazioni di Valerio Massimo. Alcune altre Poesie se ne leggono in diverse Raccolte di quell’età. Un volume ms. di altre opere del Bressani conservasi presso i discendenti di esso , che contiene oltre il sopraccennato opuscolo alcune Novelle, un Poemetto bernesco in ottava rima sulla fuga de’ Loverini cagionata da un vano timore, e molte altre poesie e prose di diversi argomenti. TlRABOSCHl, Voi XIII. [p. 2100 modifica]2100 LIBRO Ma meglio avrebbe egli fatto, se avesse ommesse e non malconce spietatamente quelle poesie cui l’onestà non permetteva di pubblicare come si è fatto nella più recente edizione di Roma nel 1743. Maggior copia, maggior varietà, e forse anche maggior eleganza ritrovasi nelle Poesie di Publio Fontana, nato nel 1548 in Palusco luogo del territorio di Bergamo, ma della diocesi di Brescia , e che dopo aver atteso con felice successo agli studj piacevoli e a’ serj, parte in Chiari, parte in Brescia, da Domenico Bollani, vescovo di questa città , fu nominato parroco nella suddetta terra sua patria , ed ivi, dopo aver retta quella chiesa con molto zelo per non pochi anni, finì di vivere nel 1609. Le Poesie del Fontana sono state insiem riunite e pubblicate dal dottissimo Cardinal Furietti, il qual vi ha premessa la Vita di esso, cogli elogi fattine dall1 Eritreo e da molti altri scrittori di que’ tempi. Lorenzo Frizzolio, natio di Sogliano nella diocesi di Rimini , che visse lungo tempo in Ferrara, amico di Bartolommeo Ricci, come da molte lettere di questo raccogliesi. e di Giglio Gregorio Giraldi che lo introduce a parlare in uno de’ suoi Dialoghi (Dialogism. 26), fu poeta egli ancora di molto grido, principalmente negl’Inni sacri, dei quali molti si hanno alle stampe tra le altre di lui poesie. Negli Aneddotti romani, ove si dà notizia di qualche opera inedita di questo poeta, e se ne produce una lettera (t. 3, p. 400, ec.) ci si fa sperare la Vita di esso scritta dal ch. sig. abate Girolamo Ferri. Una sola circostanza ne toccherò io qui, cioè che nel ròyo [p. 2101 modifica]TERZO 2101 Niccolo Bendidio , a nome di D. Cesare Gonzaga signor di Guastalla , il richiese perchè volesse prender la cura d’istruir nelle lettere D. Ferrante di lui figliuolo, e ch’egli con sua lettera, scritta da Rimini a’ 15 di marzo del detto anno, il cui originale conservasi nel segreto archivio di Guastalla, donde io ne ho avuta copia, se ne scusò. Havendo quietato l’animo mio, scrive egli, et essendomi dato a servire il Signore Iddio in questa Chiesa, ove anche m’avanza tempo d’attendere alli miei studi’ , non mi torna comodo per molti rispetti il voler rompere questa mia deliberazione, onde mi confermo ogni giorno più a starmene in questa quieta vocazione, insintanto che piacerà al S. Dio mandarmi altri pensieri, il che l estate passata risposi anche al S. Claudio Gonzaga et ad alcuni amici, che mi ricercarono d’andare alli ser\>izi dell Illustrissimo S. Priore di Barletta con provisione honesta, et soddisfazione di quel Signore, ec. Copioso argomento di ragionare ci potrebbe ancor porgere Marcantonio Bonciario, nato nel 1555 in Antria, sei miglia lontan da Perugia, se molti altri scrittóri , c singolarmente il co. Mazzucchelli, non ne avessero già ragionato sì stesamente (Scritt. ital. t. 2, par. 3, p. 1571), che rendessero inutile il dirne di nuovo. Non v’ebbe mai forse uomo che tanto avesse a combattere contro la natura e contro la fortuna per applicarsi agli studj. Figlio di un calzolaio , e allevato fra i disagi della povertà , malconcio co’ troppo severi gastighi da un villano pedante, in modo che fu a pericolo di perder la sanità, indi in età di soli [p. 2102 modifica]3102 LIBRO quattordici anni rimasto privo quasi del tutto dell’uso delle mani e de’ piedi, ciò non ostante, aiutato dalla munificenza del cardinal Fulvio Corneo vescovo di Perugia , potè applicarsi agli studj, e fare grandi progressi nelle lingue greca e latina sotto la scorta singolarmente del famoso Mureto, alla cui scuola mandollo il cardinale in Roma. La cura del seminario in Perugia e la cattedra di belle lettere nella stessa città lo occuparono per molti anni, benchè nel 1590 agli altri suoi gravi incomodi si aggiugnesse quello di perdere interamente la vista. Ciò non ostante, tale era la fama del saper del Bonciario, che benchè cieco , fu invitato dall’università di Bologna, e dal Cardinal Federigo Borromeo gli fu proferto l’impiego di bibliotecario dell’Ambrosiana. Ma egli, allegando la sua cecità, non volle partir da Perugia, ed ivi chiuse i suoi giorni a’ 9 di gennaio del i6i(j. Era il Bonciario uomo di vasta erudizione e di molta facilità nello scrivere e nel dettare, come ben ci dimostra il gran numero delle opere in prosa e in verso da lui pubblicate, delle quali abbiamo il catalogo presso il detto scrittore. A questa facilità però e a questa erudizione non è ugual l’eleganza, checchè ne abbiano detto alcuni che lo hanno appellato l’Omero italiano. Alcune lettere se ne hanno ancora tra quelle del Baronio colle risposte a lui fatte da quel cardinale (Baron. Epist et Opusc. t. 1, p. 409 ec-j t 2> p 160, 213 , 224). Per la stessa ragione io accennerò solo il nome di Giovanni Giovenale d’Ancina, notaio di Fossano in Piemonte, prima professore di medicina in Piemonte, poi sacerdote ‘ V [p. 2103 modifica]TERZO 2Io3 dell’Oratorio in Roma, e finalmente eletto vescovo di Saluzzo nell’anno 1602, ed ivi morto due anni appresso, in età di cinquantanove anni, con fama d’uomo non men dotto che santo; perciocchè di lui ancora ha parlato diffusamente il conte. Mazzucchelli (l cit. t. 1, par. 2, p. 679, ec.), annoverandone le opere, fra le quali sono non poche Poesie latine. Giano , o Giovanni Pelusio da Crotone, maestro di Ranuccio Farnese duca di Parma (Lazzari, Miscell Coll. rom. t 2, p. 520; Tafuri, Scritt, napol. t. 3, par. 2, p. 269), Bartolomrneo Pan* cialichi fiorentino (Fasti consol. dell’Accad. fior. p. 59 , ec.) , Sebastiano Sanleolini e Fabio Segni , molto lodati in due sue lettere da Pier Vettori (Epist. l. 8, p. 186; l.5, p. 123), Luca dell’Antella (Mazzucch. Scritt. ital. t. 1, par. 2, p. 840; Epist, cl. Vir. ad P. Victor, t. 3, p. 176, 183; t. 4» ad calc.), Giambattista Arcuci (Mazzucch. l. cit. p. 973 ,• P. Vi» ctor. Epist. p. 154 , 170), Giulio Rossio lodato dal Mure lo sopra tutti i poeti elegiaci de’ tempi suoi (l. cit. ep. <)3, 9|), Giambatista Piacili genovese, che nel 1594 dedicò le sue Poesie latine all’Accademia della Crusca, Giambattista Porta piacentino, Angiolo Guicciardi modenese, furon tutti poeti di qualche grido. Ma quando porrei io fine a questa parte di Storia , se tutti coloro volessi andar rintracciando di’ ebber nome d’illustri poeti? Ciò che ne abbiam detto fin qui, ci fa conoscere bastantemente qual fosse il lor numero; e ci dimostra che se tutti non ebbero ugual diritto a goder di un tal nome , molti però ne furon degnissimi, c che [p. 2104 modifica]2104 LIBRO sarebbe a bramarsi che ne avesse l’Italia avuta sempre ugual copia. Noi frattanto, dopo avere generalmente parlato de’ coltivatori della poesia latina, passiamo a dir di coloro che in qualche particolar genere si esercitarono con molta lode. XXXVIII. Nel ragionare poc’anzi di Marcantonio Flaminio, abbiamo osservato ch’egli ebbe il coraggio di accingersi alla difficile impresa di recare in versi latini alcuni de’ Salmi di Davide. La stessa impresa fu poi da due altri poeti felicemente eseguita , cioè da Giovita Rapicio, che scrisse la Parafrasi di alcuni Salmi in verso, e da Publio Francesco Spinola, che recolli parimente in versi latini. Del primo ci riserbiamo a trattare nel capo seguente. Il secondo non fu nè genovese di patria, come alcuni hanno creduto, nè bresciano, ma milanese, come pruova l’Argelati (Bibl. Script, mediol. t. 2 , pars. 1, p. 1431), e come confessa anche il Cardinal Querini (Specimen 11 ri oc. l’iter, t. 2, p. 202). Fu professore di belle lettere in Milano, in Brescia, in Verona e in altre città, e gran numero di Poesie latine diede alle stampe congiuntamente nel 1563. La Parafrasi de’ Salmi era uscita alla luce fin dall’anno innanzi, e alcune altre opere ancora in prosa di diversi argomenti ce ne sono rimaste. Questa Parafrasi però, benchè da alcuni lodata, fu da altri, e in maggior numero, biasimata, come non molto elegante. E a me sembra, a dir vero, ch’ella sia inferiore non a quella del Flaminio soltanto, ma a quella ancor del Rapicio. Io non so su qual fondamento il Gerdesio abbia annoverato ‘ \ [p. 2105 modifica]TERZO 2105 10 Spinola tra’ Protestanti (Specim. Ital. reform, p. 333, ec.). Ma è verisimile ch’egli abbia creduto che una version poetica de’ Salmi non potesse farsi che da un Protestante; la quale opinione, quanto sia ragionevole, ognuno il vede. Certo se lo Spinola avesse avuti tai sentimenti, nè avrebbe dedicata, come fece, quella sua Parafrasi al pontefice Pio IV e al salilo Cardinal Borromeo, nè sarebbe vissuto tranquillamente in Italia, senza mai ricevere molestia alcuna in que’ tempi, ne’ quali un legger sospetto bastava talvolta a dare occasione di rigoroso processo. Di alcune altre versioni di qualche Salmo è inutile il ragionare; e a me non conviene il trattenermi su questi piccioli oggetti, mentre altri tanto maggiori ci stanno aspettando. XXXIX. Fra questi voglionsi nominare principalmente i poemi sacri, i quali e per la dignità e per la difficoltà del loro argomento renderon celebri alcuni poeti che in essi si esercitarono. E due principalmente furono che quasi al tempo medesimo e quasi sullo stesso argomento ci diedero due insigni poemi, il Sannazzaro quello De Partu Virginis, e il Vida la sua Cristiade. Del Sannazzaro si è già detto tra’ poeti italiani; e qui rifletterem solamente che come nell’italiana, così ancora nella latina poesia, egli è un dei più colti e più leggiadri scrittori che avesse il principio di questo secolo, come ben ci danno a vedere e le elegie e gli epigrammi e le altre poesie che ne abbiamo, e principalmente l’accennato poema diviso in tre libri* nel quale egli con rara eleganza, e tanto più [p. 2106 modifica]/1 2 I 06 LIBRO ammirabile, quanto meno poteva egli in valersi delle espressioni degli antichi poeti, dcs scrive l’esecuzione del gran mistero dell’Incarnazione, poema perciò esaltato a gara con somme lodi da tutti i più dotti uomini di quel tempo, le testimonianze de’ quali si veggon raccolte innanzi alla bella edizion cominiana di questo poema e delle altre poesie latine del Sannazzaro. Del Vida dobbiam qui ragionare, e tanto più volentieri, quanto meno ne è stata finora rischiarata la vita, benchè pur molto ne abbiano scritto e gli storici dell’Ordine de’ Canonici regolari, e l’Arisi (Cremori, li ter. t. 2, p. 100, ec.), e gli editori delle Poesie del Vida della stampa di Oxford nel 1722, che vi hanno aggiunta una breve Vita di esso, pubblicata di nuovo da’ Volpi nella bella edizion Cominiana del 1731. Dicesi comunemente ch’ei nascesse nel 1470. E il primo a muovere dubbio è stato il signor abate Stefano Marcheselli (Orazioni in difesa del Vida, p. 111), che diverse ragioni di molta forza arreca a provare eli1 ei dovette nascere poco innanzi al 1490 Ad esse un’altra ancor più evidente parmi che possa aggiugnersi. Il Vida confessa che i due poemi del Giuoco degli scacchi e del Baco da seta furon da lui composti nella sua adolescenza (De Republ. dial 1, p. 47? ed. comin.). Or il primo di que’ poemi è da lui dedicato a Isabella Gonzaga marchesa di Mantova, e nel principio del libro secondo così parla di Federigo di lei figliuolo, che fu poi duca di Mantova: Aspice; jam quantas ostentet corpore vires Federicus puer, ut vultu decora alla parentum [p. 2107 modifica]TERZO 2107 Spondeat, ut veniant scintillae ardentis ab ore, Flagrantesque micent oculi, utque horrentia semper Bella sonet, puerique agitet se pectore Mavors, J.inique adeo nunc arma placent, jam fervidus acri Gaudet equo, indomitusque animi, cupidusque pericli. Ognun vede che questi versi descrivono un fanciullo di nove, o dieci anni almeno; e perciò essendo nato Federigo nel 1500, essi non possono essere stati scritti che verso il 1510, quando ’ il Vida, se era nato nel 1470, contava quarant’anni di età. Poteva egli dunque dire di aver composto quel poema essendo ancor giovinetto , e dirlo adolescentie suae lusum? Par certo dunque eli’ ei non nascesse che circa il 1490 Cremona ne fu la patria, e Gelelmo Vida e Leona Osascala ne furono i genitori, lodati da lui ne’ suoi versi (Poem. t. 2, p. 143 » ed. Comin.), e detti nobili sì, ma di tenui sostanze, e che ciò non ostante vollero che il figliuolo fosse nobilmente allevato e istruito nelle belle lettere e nelle scienze. Il Papadopoli, citando certi Dialoghi del Vida, diretti a Giammatteo Giberti, da niuno, io credo, giammai veduti, afferma (Hist. Gymn. patav. t. 2, p. 215) che narra egli stesso di avere studiato in Padova sotto Romolo Amaseo e sotto Bernardino Donato. Ma l’Amaseo, come altrove vedremo, non cominciò a leggere in Padova che nel 1520, e il Donato solo nel 1526 (Facciol. Fasti, pars 1, p. 57), cioè quando il Vida già da gran tempo avea passata l’età della scuola. Egli di sè dice soltanto che fu mandato a dotte città: Atque ideo doctas docilem misistis ad urbes , L. cit. p. »45. [p. 2108 modifica]2Io8 libro per le quali è probabile che intenda Padova e Bologna. Il primo saggio clf ei diede al pubblico del suo valore nella poesia latina, fu in occasione che l’anno 1504 si dierono alle stampe in Bologna, ove forse allora era il Vida, le Collettanee in morte di Serafino Aquilano, nelle quali due componimenti si leggon del V ida, degni appunto di un giovinotto, qual egli era allora. In esse ei nominasi Marcantonio, che tal nome avea egli sortito al battesimo, cambiato poscia da lui in quello di Marco Girolamo, quando entrò nell’Ordine de’ Canonici regolari lateranensi, tra i quali fu ascritto alla canonica di S. Marco in Mantova, come affermano gli scrittori di quell’Ordine. Ne’ monumenti cremonesi però, che noi citeremo tra poco, vedremo che è detto canonico del monastero di S. Pietro del Po in Cremona. Diedesi allora, com’egli stesso racconta (De RepubL l. 1, p. 46), a’ più gravi studj della filosofia e della teologia, e per fare in essi maggior profitto, andossene a Roma negli ultimi anni di Giulio II. Avea egli prima d’abbandonare la Lombardia, olire più altre minori poesie, composti i due poc’anzi accennati poemi, e questi letti da tanti egregi poeti, che allora erano in Roma, gli ottennero non poca fama. Quindi è eli’ ei fu uno tra quelli le cui poesie furono inserite nella Raccolta Coriciana, da noi nominata più volte; e che l’Arsilli non men che il Giraldi l’annoverarono tra’ più valorosì poeti di quell’età, e il Sadoleto ancora lo mentovò nel numero di quegli accademici che tenevano le sì liete adunanze da noi altrove descritte, e lo onorò di questo breve [p. 2109 modifica]TERZO 2109 ma magnifico elogio: Magniloquum Vidam, et cujus proxime ad antiquam Un idem carnieri accederet (Epist. t. 1, p. 3i 1). Il nome del Vida giunse all1 orecchie di Leon X, a cui fu fatto conoscere dal Giberti; e quel magnanimo pontefice tosto chiamatolo alla sua corte, lo ebbe carissimo, e gli fu liberale di ricchezze e di onori. Così rammenta egli stesso con sentimenti di gratitudine: Leo jam carmina nostra Ipse libens relegebat: ego illi carus et auctus Muneribusque, opibusque , et honoribus insigniti!?. Carni, t. 2, p. 144. Fra le altre beneficenze egli ebbe da questo pontefice il priorato di S. Silvestro in Frascati, ove in un dolce e piacevole ritiro potesse più tranquillamente attendere a’ suoi studj, e singolarmente al poema sulla Vita di Cristo, che lo stesso pontefice gli ordinò di comporre. Egli si accinse alla difficile impresa, ma non la condusse sì tosto a fine; e solo sotto il pontificato di Clemente VII, da cui gli fu quest’ordine rinnovato, fu composto il poema, ma pure non fu ancor pubblicato, e il Vida volle mandare innanzi altre sue poesie: Questa settimana che viene, scrivea Girolamo Negri agli 11 d’aprile del 1527 (Lett. de’ Principi, t. 1, p. 106), saran finiti di stampare i libri della Poetica del Vida con certi altri suoi versi, cioè di Scacchi et Egloghe, et Inni. Si stampano di una bellissima lettera corsiva, acciocchè non faccian male agli occhi del Beazzano. La Cristiade, che saranno sei libri, premetur in duodecimum annulli. Vuol’prima, che ci saziamo di questa [p. 2110 modifica]3110 LIBRO del Sannazzaro, cioè del poema De Parta Viigìnis, eh1 era stato la prima volta stampato l’anno innanzi. XL. La lettera or citata del Negri nf invita a una non inutile digressione sulla prima edizione della Poetica del Vida. Le espressioni del Negri indicano chiaramente che quella che stava allora sul compiersi, e che di fatti in quell1 anno si pubblicò, fosse la prima. Nondimeno l’Arisi* ne mostra un1 alLra piò antica fatta in Cremona nel 1520. Egli produce una lettera dal Vida scritta a’ 5 di febbraio del 1520 alla città di Cremona , in cui le rende grazie dell’onor compartitogli col pregarlo ch’essa avea fatto a inviarle la sua Poetica, acciocchè potesse usarsi nelle lor pubbliche scuole; e quindi soggiugne che , benchè egli l’abbia già da lungo tempo finita, pensava nondimeno di non pubblicarla sì presto; ma che nulla può ricusare alla sua patria; che la manda adunque, ma a patto di’ essa si custodisca in qualche privato o pubblico luogo, ove possano bensì i cittadini farne uso , ma non possa venire in mano di altri, che senza sua saputa la facciano pubblicare. Quindi aggiugne l’Arisi che a’ 27 di marzo dell’anno stesso, per ordin del pubblico, fu data alle stampe quell’opera coll’assistenza di Daniello Gaetano e di Francesco Concorrezzi maestri in Cremona, e ne cita in prova i monumenti di quell1 archivio. Io ho avuta la sorte di aver copia del monumento dall1 Arisi accennato per opera del sig. abate Vincenzo Valsecchi gentilmente trasmessomi da Cremona, ed è il seguente: Lfigi [p. 2111 modifica]TERZO 2 III Ii teras R. D Hieronymi Vidae Canonici Regularis S. Augustini Morn. S. Petri de Pado Cremonae Poetae celeberrimi datas Romae nonis Februarii, quibus significat mittere Poeticam. opus ab ipso compilatum, presentatas per R. D). Hieronymum Pelizarium S. Cosmae et Damiani Commendatarium, et immediate habita fuit elegans oratio per ExcelL Grammaticae Professorem D. Mag. Danielem Cajetanum tam in laudem Poetae , quam operis , exhorando ut imprimatur typis, et pro honore Communitatis, et legatur per rectores Grammaticae, ipseque legere obtulit... quibus dictis , omnes convenerunt, ut omnino opus ipsum imprimatur, et quidem diligentiori cura et pulchriori forma, qua fieri poterit, publico sumptu, cui impressioni quidem praedictus D. Daniel Cajetanus adesse obtulit. Questi sono i soli monumenti che intorno a ciò si trovano in quell’archivio; ed essi ci provan bensì che ne fu ordinata la stampa , ma non eli’ ella si eseguisse. In fatti ni uno ha mai veduta I’ edizion cremonese del 1520 e pare che debba inferirsi o che il Vida si opponesse a tale edizione , o che le pubbliche calamità la impedissero. E se ella fosse allora venuta a luce, noi l’avremmo assai diversa da quella che ora abbiam tra le mani. Di questa bella scoperta io son debitore al ch. signor baron Giuseppe Vernazza , che ha appresso di sè il pregevolissimo e forse unico codice della Poetica del Vida, qual fu da esso scritta dapprima; e con singolar gentilezza me 1’ ha da Torino trasmesso, perchè io potessi agiatamente osservarlo. [p. 2112 modifica]2 1 12 LIBRO Esso è magnificamente scritto in pergamena , e appena si può comprendere, da chi nol vede, qual diversità passi tra esso e l’edizioni che ne abbiamo. Non solo i versi sono spesso mutati, ma l’ordine ancora è non rare volte tuli1 altro da quel clic ora ne abbiamo; e vedesi chiaramente leggendolo, che fu quella opera del Vida ancor giovane, da lui poscia più maturamente limata e corretta. Ma ciò che rende ancor più pregevole questo codice, sono molti tratti e molte digressioni dall’autore inseritevi, e ommesse poscia nelle edizioni. In esse non si legge la dedica al Delfino figlio del re Francesco I, che allora, quando liscila prima edizione del 1527, era ostaggio pel padre alla corte di Spagna; ma l’opera è dedicata ad Angiolo Divizio da Bibbiena , nipote del Cardinal Bernardo , a cui il Vida l’offre con bell’elogio al principio del libro I, e a cui parimente si volge al principio del libro II e sulla fine del libro III. Già abbiamo recati altrove i magnifici elogi che ivi avea inseriti di Giammatteo Giberti, del cardinale Ercole e del conte Guido Rangone e degli altri lor fratelli, di Luigi Lippomano e del cardinale Benedetto Accolti. In questo Giornale di Modena si è data una diligente descrizione di questo bel codice, e se ne son pubblicati i tratti più degni d1 osservazione (t.14,p. 158), e si son recate altre ragioni a provare che l’edizione del 1527 fu certamente la prima. Conforme a questo codice è probabil che fosse la copia che il Vida mandò a Cremona nel i5?.o; e come in esso ei parla del Cardinal Ercole Rangone, come [p. 2113 modifica]TERZO 2II3 già cardinale, il che avvenne nel 1517 , così è evidente che tra que’ due termini compiè il Vida questo suo egregio lavoro. Ma noi, frattanto lasciandone da parte le poesie, seguiamo a esaminare le epoche della sua vita. XLI. Clemente VII, in premio probabilmente delle Poesie già pubbicate dal Vida, e per animarlo a compiere e a pubblicare la Cristiade, la qual però non fu stampata che nelf anno 1535 , lo sollevò al grado di protonotario apostolico, col quale solo il veggiamo distinto in una lettera a lui scritta, ma senza data , da Girolamo Perbuono alessandrino marchese d’incisa (Oviliar. l. 4? ep. 12). Quindi a’ 6 di febbraio del 1532 il nominò vescovo (d’Alba. Non sappiamo precisamente in qual tempo si trasferisse il Vida al suo vescovado, e io non so se basti l’autorità del Ghilini (Teatro di Letter. t. 1, p. 322) a farci credere che ciò avvenne subito dopo la morte di Clemente VII. Delle cose da lui operate a pro della sua chiesa, parla abbastanza 1J Ughclli (Dal. sacra, t. 4), perchè io qui debba ripetere ciò ch’ei ne dice. Nè solo ei mostrossi zelante e amorevol pastore; ma in occasion dell* assedio con cui l’an 1542 i Francesi strinsero Alba (Murat. Ann. d hai. ad h. a.), egli con raro coraggio, postosi tra’ difensori, colle parole non meno che coll’esempio gli animò alla difesa per tal maniera, che quella città si tenne ferma contro il nimico (V. Vidae Op. t 3 , ed. comin, p. 151, 161 , 163). Intervenne poscia al concilio di Trento, nella qual occasione ei suppone tenuto da sè col Flaminio , [p. 2114 modifica]311-4 LIBRO col Priuli, e co’ cardinali Cervini, Polo e dal Monte il discorso di cui formò poscia i dialoghi de’ due libri De Republica, opera la qual ci dimostra che in prosa al pari che in verso egli era colto ed elegante scrittore, e che non solo nell1 amena letteratura, ma anche negli studj della politica e della filosofia egli si era molto innoltrato. Nacque frattanto una gara di precedenza tra le due città di Cremona e di Pavia; e dovendosi essa decidere dal senato di Milano, amendue si armarono di ragioni a difesa della lor causa. I Cremonesi crederono di non poter rinvenire più eloquente avvocato del Vida; ed egli secondò volentieri le loro istanze, e scrisse le tre famose Azioni de’ Cremonesi contro i Pavesi, che dopo altre edizioni sono state di nuovo stampate in Venezia nel 1764 , e che , trattane la soverchia asprezza contro de’ suoi rivali, si possono a giusta ragione riporre tra le più eloquenti orazioni di questo secolo. Grande argomento di disputa han dato queste orazioni, e forse più in questo secolo nostro, che in quello in cui furono scritte. Alcuni hanno preteso che tutt1 altri che il Vida ne fosse l’autore, e a questo sentimento si sono accostati gli editori di Oxford, e par che anche i Volpi lo abbian seguito, poichè le hanno ommesse nella bella loro edizione delle Opere tul le del Vida. Ma se vi ha nella storia cosa indubitabile e certa, ella è questa. L1 Arisi ha prodotto il decreto con cui la città di Cremona a’ 21 di marzo del 1549 ordina che tutte le scritture per sua difesa raccolte si mandino ad Alba al vescovo Vida , [p. 2115 modifica]TERZO 3II5 pregandolo di volerle ridurre a forma di eloquente orazione; la lettera dalla città medesima perciò scritta al Vida , e la risposta del Vida, con cui promette di accingersi a ciò che la sua patria da lui richiede. Ma più ancora. Nel segreto archivio di Guastalla conservasi una lettera originale del Vida a don Ferrante Gonzaga governator di Milano, scritta da Alba a’ 13 di giugno del 1550, nella quale caldamente il prega a voler accordare a’ suoi Cremonesi qualche maggior dilazione, oltre quella de’ 15 giorni, che già avea accordata, per dare alle stampe le loro ragioni, e fra le altre cose gli dice: Li supplico humilmente, quanto più posso, oltra i motivi di quella cittade tanto fedele, utile, et affezionata a S. M. et anche amatissima a V. E. per la servitù mia le piaccia donarmi anchora de più quindici altri giorni, fra li quali senza fallo sarà finita la stampa. Altrimenti io havrei preso tanta fatica indarno , et sempre quella Città, qual e di me. benemerita, imputeria in sempiterno a me tanto suo danno , non havendoli spedito a tempo, che se fusseron potuti valere dell’opera mia , et in perpetuo ne restarei in somma scontentezza. A quel tempo non solo li saranno le mie allegazioni, ma vi potrei essere anchor io, ec. Puossi egli addurre pruova più convincente di questa a provare il Vida autore di queste orazioni? E le lodi che in esse il Vida dà a se stesso, possono mai avere ugual forza a provare il contrario? E molto più che non recitandosi quelle orazioni dal Vida (perciocchè esse furono solo distribuite stampate, come Tuia boschi, Voi. XI11. io [p. 2116 modifica]31 16 LIBRO dalla lettera stessa e da più altre pruove raccogliesi), e non essendo posto loro in fronte il suo nome, non era poi cosa sì sconveniente che i Cremonesi tra i loro pregi annoverassero ancor quello di avere a lor cittadino il V ida. Ottennesi in fatti l’indugio di altri 15 giorni (V. Calogerà, Racc. t 22, p. 54) j e frattanto* sparse nel pubblico quelle orazioni, i Pavesi ne restarono altamente commossi, e si dolsero con don Ferrante che dal Vida fossero indegnamente insultati. Così ci mostra un’altra lettera originale del Vida a don Ferrante, scritta da Alba a’ 22 di luglio deli’ anno stesso , che si conserva nel sopraccitato archivio, e comincia: Miei Cittadini da Cremona mi fanno intendere , qualmente Pavesi, immaginandose , rii io sia l’autore di certe difensioni fatte da’ nostri in la causa della precedenzia, vengono a lamentarse a V. E., ec. Benchè il Vida in questa lettera non confessi apertamente di esser l’autore di quelle orazioni, nol nega però; e questo silenzio* congiunto colle prove poe1 anzi recate, le rende sempre più evidenti a). La lite rimase indecisa presso il! Senato, e quindi da don Ferrante fu imposto ad amendue le parti un rigoroso silenzio con suo decreto de’" 7 di agosto dell’anno stesso (ivi, p. 81). Il P. don Giampaolo Mazzucchelli, erudito scrittor (//) Alle orazioni <lrl Vida m (livore de’ Cremonesi rispose l’anno seguente i55i Giulio.Salerno pavese, piovane di sull venlisei anni. Ma queste orazioni non sono state ma» pubblicale (Cupsoni, Meni, di i’avia, t. a, Pnj. p. »3). [p. 2117 modifica]TERZO 3117 somasco , in una sua Dissertazione pubblicata sotto il nome di Giusto Visconti (ivi, t 9, p- 1, ec.), ha preteso di dimostrare che le orazioni del Vida fossero come libelli infamatorj, dannati pubblicamente al fuoco per man di carnefice, e ciò in presenza del vescovo stesso. Ma le ragioni e le pruove con cui l’Arisi ha rigettato cotal racconto (ivi, t. 22,p. 39 , ec), sono sì evidenti , cbe è inutile il disputarne più oltre. E che il Vida continuasse ad essere amato e stimato da don Ferrante, ne sono pruova più altre lettere che quegli gli scrisse da Cremona (ove egli nel 1551 si ritirò per le guerre che desolavano la sua diocesi) dal detto anno fino al 1557 , che fu f ultimo della vita di don Ferrante, le quali conservansi nel detto archivio. Da una di esse , de’ 6 di giugno del 1551 , si raccoglie che don Ferrante gli ordinò di presiedere al capitolo generale degli Umiliati, che tenevasi in Cremona, e di proccurarne in qualche modo la riforma. Un’altra , che si ha alle stampe (Lett de’ Princ. t 3), è una testimonianza del zelo di questo vescovo per la sua chiesa; perciocchè avendo egli udito che don Ferrante avea risoluto di andare contro Alba, e di mettere a fil di spada tutti que’ cittadini, egli caldamente il prega ad avere pietà del suo gregge; e la risposta che gli fa don Ferrante, ci mostra la stima e il rispetto eli1 egli avea pel Vida. Nel 1563 era ancora in Cremona (Vida, Op. t. 3, p. 136). Ma tornossene circa quel tempo ad Alba. E nella biblioteca Ambrosiana si ha una lettera da lui scritta di colà a S. Carlo a1 30 di novembre del i564> in [p. 2118 modifica]3 1 18 LIBRO cui risponde al santo, che l’avea pregato a stendere i decreti pel concilio provinciale da tenersi in Milano , e gli manda un saggio di que’ che appartengono alla dottrina , coll’idea degli altri decreti, e vi aggiugne l’Orazione che poteasi dal santo Cardinal recitare nell1 apertura del concilio. Di questa lettera , accennata dal ch. sig. dottor Oltrocchi (Not. ad Vit. S. Car. p. 54, noù 1 c), mi ha inviata copia il più volte lodato sig. baron Vernazza, insieme col saggio de’ decreti, i quali però nel detto concilio furon distesi diversamente (*). Mori il Vida in Alba sul Far del giorno de’ 27 di settembre del 1566, e il corpo ne Fu in quella cattedrale sepolto con questo semplice epitafio: Hic situs est M. Hieronymus Vida Cremon. Albae Episcopus. Io ho veduto F inventario de’ mobili trovati nel suo palazzo vescovile, trasmessomi dallo stesso sig. baron Vernazza, il quale ci fa vedere ch’ei morì assai povero. Un’altra notizia ci dà l’Arisi intorno al Vida , cioè che nel 1549) il Capitolo di Cremona fece istanza a Paolo III per averlo a suo vescovo; ed ei ne produce l’autentico documento. Ma io dubito che ivi si parli di un altro , perciocchè i canonici il dicono solamente: Hieronymun Vidam ejusdem item Collegii Canonicum; la quale appellazione io non veggo come convenisse al nostro Marco Girolamo , che allora era (*) Il P. Maestro Vaironi domenicano Ini pubblicali, non ha molto, due finora inediti componimenti del Vida , umendue da esso scritti in età giovanile, uno in morte del Cardinal Oliviero Caraffa., Pallio in, morte del pontefice Giulio 11 (Cremori. Monum. pars 2, p. 36, ec.). [p. 2119 modifica]TEMO a 1 19 vescovo il1 Alba. Intorno a cbe però io non oso decidere cosa alcuna. XL11. Io ho successivamente accennate quasi tutte le opere dal Vida composte, nè entrerò a riferire minutamente le lettere e le brevi poesie che se ne hanno qua e là disperse, e altre opere che senza ragione gli vengono attribuite , o che furono da lui composte, ma or più non si trovano; intorno a che ci danno lumi bastevoli i Volpi nella bella loro edizione, e l’Arisi; presso i quali si vedranno ancora raccolti gli elogi che del Vida han fatto quasi tutti gli scrittori di que’ tempi. Quelle che maggior fama ottennero al Vida, furon i sei libri della Cristiade, i due pometti del Baco da Seta e del Giuoco degli Scacchi, l’Arte poetica, gli Inni sacri, ed altre Poesie latine di diversi argomenti. Già abbiam veduto che il Sadoleto, parlando dei versi del Vida, afferma che niun più di lui accostavasi alla maestà e alla gravità degli antichi. E veramente non vi ha forse poeta di quell’età , che tanto sappia, per così dir, di Virgilio, quanto il Vida, il qual ben si vede che tutto formossi su quel modello, e si studiò di ritrarne in se stesso i più minuti lineamenti. Ma ciò è appunto che da alcuni gli si volge a delitto; e il primo ad accusarnelo fu il Giraldi, il quale, dandogli luogo nella serie de’ più illustri poeti, il loda altamente , ma in modo che sembra aver dell’ironico , e par che in somma ce lo dipinga come un plagiario ed espilator di Virgilio, ed insieme come uom superbo e gonfio di se medesimo: Admirari ego solco, dice egli (De Poet. suor, tcinjy. 4 [p. 2120 modifica]21 20 LIBRO dial. 2 , Op. t 2 , p. 5òi), id quod vos minime fugit, M. Hieronymum Vidam Cremonensem , unum ex Sodalibus, quos a vitae regula Canonicos appellamus, quem unum hac tempestate meo judicio eo pervenisse videmus, quo sine Gracis, duce cumprimis Virgilio, pervenire poeta potest, adeo ut a malevolis surripere ne dum sumere dicatur. In nullo certe Maro magis deprehenditur. Hanc ille incudem diu noctuque tundit, uni insistit: vastus illi animus atque poeticus; precipua ejus f ut mihi quidem videtur, virtusi excellens , ac mira quadam in poeticis materiis disponendis illustrandisque felicitas. Qua in re me decipi jure quidem nemo judicarit, qui vel ejus latrunculorum ladum , quem Scacchorum ille appollat, legerit, vel Bombycum duos libellos, et tresdecim Italorum pugilum cum totidem Gallis certamen (componimento ora perduto) quod noper ille Balthasari Castalioni Mantuano... misit; nec non et Poeticorum, et Christiados t quae in apertum nondum ille retulit, nec quibus manus adhuc extrema accessit. Sed jam de Vida satis , ne nos ilum magis, quam se ipse, laudare videamur. Questo dialogo si suppone dal Giraldi tenuto al tempo di Leon X, quando il Vida avea composta la sua Poetica, e in essa dapprima avea fatta di lui assai onorevol menzione. Ma quando poscia la pubblicò nel 15 27 7 e il Giraldi, come sopra si è avvertito , vide da essa tolto il suo nome, se ne corrucciò altamente; e io non dubito punto che ripigliando egli tra le mani il suo primo dialogo, quando scrisse il secondo nel i548, [p. 2121 modifica]TERZO 2I2 I per pubblicarli amendue, non vi aggiugnesse allora quelle espressioni di sarcasmo e d’ironia , che probabilmente non avea usate dapprima. Il sentimento del Giraldi fu poi seguito da molti altri che ci rappresentano il Vida come un freddo versificalo!’ Virgiliano. Altri al contrario vogliono ch’ei sia tenuto in conto di uno de’ più illustri poeti, e su ciò sonosi vedute uscire alla luce Dissertazioni, Apologie, Orazioni, Lettere, ec. in gran numero, che lungo e inutile sarebbe l’annoverare. E io non dirò che il Vida sia un poeta pien di estro e di fuoco. Assai pochi sono nel secolo xvi quelli a cui convenga tal nome; perciocchè ponendosi allora tutto lo studio nell’imitare gli antichi scrittori, e nel formarsi sul loro stile, ne avveniva che molti scrivean bensi con rara eleganza, ma stretti, per così dire, fra’ lacci della imitazione non ardivano spiegare il volo, e secondare liberamente il loro talento e la loro fantasia. Il Vida però, a mio parere, non è nè sì ardito espilator di Virgilio, che: suoi poemi si debban dire centoni, come alcuni hanno affermato; nè versificatore sì freddo, che nelle sue poesie ei non abbia e invenzione ed estro ed affetto, se non tanto che basti a riporlo nel numero de’ gran genj poetici, tanto almeno che gli dia buon diritto a sollevarsi non poco sopra la volgar turba de’ freddi versificatori. Ma del Vida sia omai detto abbastanza. XL11I. Piò altri poeti presero ad argomento de’ lor poemi i misterj della Religione, e qualche punto di storia sacra. Tali sono i tre libri [p. 2122 modifica]3122 LIBRO intitolati Mariados di Cesare Delfino parmigiano, stampati in Venezia nel 1537, e i Fasti sacri di Ambrogio Novidio Fracchi da Ferentino, stampali in Roma nel 1547, e que’ «li Ambrogio Caravaggi, detto in latino Claravaceo, cremonese, pubblicati in Milano nel.1554, e i poemi della Passione di Cristo di Domenico Mancini e di Girolamo Valle padovano (*). Ma se se ne tragga il poema sulla Vita di S. Francesco d’Assisi in 13 libri di Francesco Mauro da Spello dell’Ordine de’ Minori, stampato in Firenze nel 1571, col titolo Franciseiados, eli’ io veggo esaltarsi da alcuni con somme lodi, ma di cui io non posso dare giudizio, non avendol veduto; se se ne tragga, dico, il detto poema, non abbiam cosa che meriti d’esser rammentata distintamente. Io passerò dunque invece a parlare di alcuni poemi didascalici, appartenenti alla morale, alla filosofia , all1 agricoltura , o ad altre arti, che in questo secolo si pubblicarono, e per cui celebri sono tuttora i nomi de’ loro scrittori. Famoso è quello intitolato Zodiacus Vitae, perche da’ dodici segni dei Zodiaco prende il titolo de’ dodici libri, ne’ quali è diviso; e abbraccia diversi precetti morali per ben condurre la vita. L’autore si dice Marcellus Palingenius Stellatus, il qual nome, oltre l’esser posto in fronte al libro, vedesi anche formato dalle iniziali de’ primi versi del libro I. Il Ger(*) Girolamo Valle, aulor del poema sulla Passione di Cristo, fiorì nel secolo xt, e di lui parla Apostolo Zeno (Dissert. f ’oss. t. 1, p. «37). N [p. 2123 modifica]terzo aia3 desio (Specimen Ital. reform. p. 317) accenna una lettera del sig. abate Facciolati da me non veduta, nella quale osserva che Marcello Palingenio è anagramma di Pier Angelo Man zolli, cui perciò egli crede autore di quel poema; ma io non so se altra pruova egli ne arrechi , trattane quella dell’anagramma, la qual non è di gran peso (*). Certo il Giraldi, che di questo poeta ha fatta menzione (dial. 2 de Poet. suor. temp. p.), Io dice semplicemente Marcello Palingenio, e non accenna che fosse questo un nome finto, nè a me par verisimile che sotto un nome finto volesse ei dedicare, come fece, questo suo poema al duca di Ferrara Ercole II. Il soprannome di Stellato è probabile che venga dalla Stellata luogo del Ferrarese, che potè esser la patria di questo poeta. Egli vivea fin dal principio del secolo; perciocchè ricorda un lavoro in creta da sè veduto in Roma a’ tempi di Leon X (l. 11, 5. 846, ec.). Vogliono alcuni ch’ei fosse protomedico del detto duca; ma non veggo che se ne arrechino sicure pruove. Il suddetto poema non è molto lodevole nè per f invenzione , di cui non v’ ha idea , ne per l’eleganza. che non è molta. Una certa naturale facilità è il maggior pregio che vi si scorga. E forse sarebbe esso men celebre, se l’autore non vi avesse sparse per entro alcune fiere invettive contro i monaci, contro il clero e contro gli stessi romani pontefici. Ciò fece credere cbe (*) La lettera del Facciolati intorno al Palingcnio ò stampata fra le altre Lettere di quel coito scrittore. [p. 2124 modifica]aia/f libro il Palingenio fosse imbevuto delle eresie dei novatori; e perciò, poichè egli fu morto, come narra il Giraldi, ne fu dato alle fiamme il cadavero. Ciò non ostante, benchè le accennate invettive troppo male convengano a uno scrittor cattolico e pio , a me non sembra che il Palingenio. si dichiari seguace di alcuna eresia; anzi egli nella prefazione del suo poema protesta di soggettare ogni cosa al giudizio della Chiesa cattolica. XLIV. Ancor più infelice fu il destino di Aonio Paleario autore di un elegante poema sull’Immortalità dell’anima. Molti hanno.scritto di lui ampiamente; e fra essi con maggior diligenza Federigo Andrea Hallbaver, che avendone fatte ristampar l’Opere in Jena nell’anno 1728, vi ha premessa una lunga Dissertazione sulla vita e sull1 opere dell" autore, lo Schelornio (Amaen. Hist. eccl. t. 1 , p. 425) e il ch. abate Lazzeri (Miscell. Coll. rom. t. 2, p. 115, ec.). Io accennerò dunque in breve ciò eli1 essi lianno ampiamente provato, e procurerò insieme di toccar qualche cosa da essi non avvertita. Ei fu natio di Veroli nella Campagna romana; e il vero nome della famiglia di esso non fu de’ Pagliaricci, come scrive il Gerdesio (Specimen Ital. reform. p. 314), ma dalla Paglia, come scrive il Castelvetro in certe sue Memorie citate dal Muratori (in Vita Sigon.). Matteo e Chiara Gianarilla furono i genitori , da’ quali ei nacque circa il principio del secolo xvi, ed ebbe il nome di Antonio, da lui poscia per vezzo d’antichità cambiato in quello di Aonio. Dopo aver fatti i primi [p. 2125 modifica]terzo. aia5 suoi studi in Roma fin verso il , e dopo aver poscia viaggiato per una gran parte d Italia, andò alternando il soggiorno ora in Perugia , ora in Siena, ora in Padova, ora in Roma , e continuando in ogni luogo a istruirsi coll’udire i più celebri professori. Fermossi poscia in Siena, ove prese in moglie una cotal Marietta, e circa il 1536 cominciò a tenere scuola privata ad alcuni nobili giovani. Due orazioni da lui recitate in difesa di Antonio Bellanti, accusato di avere furtivamente introdotto sale in città, eccitarono, se crediamo al Paleario medesimo, contro di lui gli animi de’ potenti, e furon la prima cagione delle gravi sventure a cui poscia soggiacque. Ma, a dir vero, diede egli stesso occasione alle sue funeste vicende col dichiararsi favorevole alle opinioni de’ novatori. Il Trattato del Beneficio di Cristo, che vuolsi opera del Paleario, stampato verso il 1544 * e ìn quest’anno medesimo confutato da Ambrogio Caterino, e il libro contro de’ papi, intitolato A elio in Pontifices Romanus, et eorum asseclas, da lui scritto verso il 1542, quando trattavasi di raunare il concilio in Trento , spiegano abbastanza , quai fossero i sentimenti eli’ ei nutriva nel seno. È vero che al primo libro ei non pose innanzi il suo nome; e che il secondo non fu pubblicato che più anni dopo la morte di esso. Ma ciò non ostante, ei non seppe dissimular le opinioni delle quali era imbevuto. Accusato perciò nel innanzi al governatore Francesco Sfondrati e all’arcivescovo Francesco Bandini, scrisse in sua difesa t [p. 2126 modifica]2 I aG LIBRO quell’orazione die abbiamo alle stampe, nella quale, benchè egli non si dichiari apertamente favorevole all’eresia, parla però in modo, che ben si conosce come egli pensi. Ciò non ostante , fu allora assoluto; ma forse il sospetto contro di lui conceputo, fu cagione ch’ei non potesse ottenere, come bramava, una pubblica cattedra , benchè ei ne rigetti la colpa sopra un tal Marco Blaterone suo rivale. Nel 1546 fu chiamato a Lucca professor d’eloquenza, nel qual impiego durò il Paleario per alcuni anni, e nove orazioni vi recitò, che vanno tra le altre sue opere. Tutti gli scrittori della Vita dei Paleario affermano che cinque anni soli ei fermossi in Lucca. Ma se egli vi fu chiamato nel 1546, come par certo, e se non passò a Milano che nel 1555, come è certissimo, o convien prolungare il tempo di questo impiego , o convien trovare ove negli altri quattro anni egli si trattenesse. Il Castelvetro, nelle Memorie poc’anzi citate, racconta che Antonio Bendinelli fu chiamato da’ Lucchesi a leggere a Lucca pubblicamente con gran premio a pruova di Antonio dalla Paglia, che si faceva chiamare Aonio Paleario , il quale per l’avversario valente si partì da Lucca, e andò a leggere a Milano. Checchè sia di ciò, il Paleario, chiamato a Milano per succedere nella cattedra d’eloquenza al Maioragio, morto neli555, fu ivi accolto con grand’onore. Benchè ei talvolta si dolga e meni lamenti che il frutto non sia uguale alle sue fatiche, in una sua lettera però, scritta dieci anni appresso al Senato di Milano, confessa che molti e singolari vantaggi \ [p. 2127 modifica]TERZO 3I37 avcane ricevuti: Decennium sum apud vos P. C. Qui annus fuit, quo non fuerim vestris beneficiis cumulatus? Primun Regiis liters per vos ex Hetruria fui accitus ampio stipendio constituto; deinde privilegio honestatus , datis immunitatibus, postea stipendio auctus; postremo cum consenuissem, rationem habuistis senectutis et infirmae valetudinis meae (Miscell, Coll. rom. l. cit. p. 173). Pare che nel 1565 vi fosse qualche trattato di chiamarlo a Bologna (V. Fantuzzi, Vita di Ul A biro v. p. 216), il (quale però non ebbe effetto; e il Paleario continuò a stare ed insegnare in Milano. Ma mentre ei godeva tranquillamente di tali onori, rinnovatesi contro di lui le accuse di eresia, e citato perciò a Roma, fu stretto in carcere, ove convinto di aver sostenute e insegnate molte opinioni de’ novatori, a’ 3 di luglio delf anno 1570, dopo avere ritrattati i suoi errori, e dopo essersi disposto piamente alla morte, fu appiccato, e il cadavere ne fu dato alle fiamme. Intorno a che veggasi i monumenti prodotti prima dal P. Lagomarsini (Not. ad Epist Pogian. t. 2, p. 188), e poscia dall’abate Lazzeri (l. cit p. 184) che ha ancor pubblicate le lettere da lui negli estremi momenti scritte alla sua moglie e a’ due suoi figli Lampridio e Fedro. XLV. Tal fu l’infelice fine della vita di un uomo degno di miglior sorte Il suo poema dell’immortalità dell’anima, diviso in tre libri, è uno de’ più bei monumenti della poesia latina di questo secolo; così ne è colto lo stile, leggiadre le immagini, ammirabile la varietà in sì [p. 2128 modifica]2128 LIBRO difficile e scabroso argomento, il Sadoleto, a cui il Paleario nel 1536 ne inviò copia prima di pubblicarlo, fu preso per modo e dall’eleganza dello stile, e da’ religiosi sentimenti che l’autore vi avea sparsi per entro, che gliene scrisse una lettera piena di encomj, in cui fra le altre cose così gli dice: De quot ut tibi vere exponam, quod sentio, hoc judicii feci, eorum, qui in eo genere voluerunt esse, sane paucos et nostra et superiore memoria aeque eleganter scripsisse atque tu; eruditius certe neminem. In quo mihi illud mirifice probatum est., quod haec tua scripta non accersitis fucosisque argumentis, neque, quo magis poetica videantur, a fabulosa illiusmodi Deorum vetustate repetitis, sed sancta et vera religione condita sunt Tua ista eximia erga Deum pietas, quae se se in tuis scriptis primum offert, nos cogit de te deque omni sensu animi tui excellentique doctrina praeclare existimare (Epist. t. 2, p. 369, ec.). E siegue poscia encomiando altamente lo stesso poema, e ne scrive ancora ne’ medesimi sentimenti a Lazaro Buonamici (ib. p. 372), e a Sebastiano Griffi stampator in Lione (ib. p. 377)> esortandolo a darlo in luce. Bellissima è un altra lettera a lui scrittà dal Sadoleto, quando questi ne lesse l’Apologia che il Paleario, accusato d’eresia in Siena, avea scritta in sua difesa. In essa scorgesi l’indole amabile e l’ottimo cuore di questo grand’uomo, il qual persuaso che la dolcezza fosse la più efficace via e a tener lungi e a richiamare dall’errore i fautori delle nuove opinioni, interpreta come può meglio alcuni passi che \ [p. 2129 modifica]TERZO 313() rendeva» sospetta la fede del Palearlo, ma insieme caldamente lo prega a esercitare il suo ingegno soltanto in argomenti di lettere, e a tenersi lontano da certe pericolose quistioni (t. 3, p. 44p)- Ma il Paleario non si attenne a sì saggio consiglio, come pur troppo ci mostrano e l’Azione contro i Pontefici, ed altri libri da esso composti e inseriti nella Raccolta delle Opere già accennata, fattane in Jena, e una lettera a Lutero e a Calvino e agli altri Protestanti, che ne ha pubblicata lo Schelhornio (l. cit. p. 448). Oltre queste opere, ne abbiamo quattordici orazioni di diversi ai gementi scritte con molta eloquenza, per la quale, al pari che per la poesia, avea il Paleario non ordinario talento, molte lettere innoltre, alle quali non poche ne ha aggiunte il sopraccitato abate Lazzeri; e un’altra inedita a Vespasiano Gonzaga per consolarlo nella morte della seconda di lui moglie, si conserva nel segreto archivio di Guastalla; e finalmente alcune altre poesie. Anche nella lingua italiana si esercitò il Paleario, e di lui si ha alle stampe un libro intitolato i Concetti di Aonio Paleario per imparare insieme la Granulile a, e la lingua di Cicerone; col supplimento de’ Concetti della lingua Latina, e col Dialogo delle false esercitazioni delle Scuole (V. Fontani ni colle Note di A. Zeno, t. 1, p. 54, ec.). Di alcune altre opere del Paleario, che si sono smarrite, ragiona il citato Hallbaver. Roberto Titi ha affermato non esser del Paleario il sopraccitato poema (ivi). Ma non si sa qual pruova ei n’avesse; nè è sì agevole a produrre tali ragioni [p. 2130 modifica]2l3o libro che possano contrapporsi all’autorità del Sadoleto, di Bartolommeo Ricci , amicissimo e gran lodatore del Paleario (B Ricci Op. t 2 , p. 78, 162, 317, 32 2, 3(>6, ec. 393; De Imitat. l. 2, ec.), del Giraldi (dial. 2 De Poet. suor. temp. p. 572), e di tanti altri scrittori di que’ tempi, da’ quali gli vien quell’opera attribuita costantemente (*). XLVI. Dagli scrittori de’ poemi morali passiamo a quelli de’.filosofici. e ci basti tra essi il rammentare Scipione Capece nobile napoletano, e nell1 università della sua patria professore di giurisprudenza, che da lui fu illustrata con qualche sua opera. Ma l’amena letteratura fece la sua più dilettevole occupazione. Un’adunanza d’uomini dotti, che teneasi in sua casa, giovò non poco a farne sempre più fiorire in quel regno gli studj, e frutto ne fu la pubblicazione ivi fatta nel 1535 de’ Comenti sopra Virgilio attribuiti a Donato. Poco sappiamo della vita da lui condotta; e il conte Mazzucchelli, che ne ha raccolte diligentemente le notizie premesse alla traduzione del poema di cui ora diremo, fatta dal P. abate Ricci, non ha potuto rinvenirne (*) Oltre le opere del Paleario qui riferite, in un codice ms. della università di Siena, segnato n. 5o5, si hanno di lui Rime varie alle sacre e sante ombre ih Botino , e sono uu verso sciolto, una canzone, e Ire sonetti ad esso con sua lettera indirizzati alla 3fagn. e Virtuosa Mad. Aurelia Bcllanti Comare sua Osservandìssima, di cui o figlio, o marito esser «fovea quel Bogino. Ne ha copia anche l’erudito sig. Baldassare de’ Martini in Hoveredn, a cui io debbo questa notizia. Due lettere inedite del l’aleaiio si conservano ancora in un rodice della biblioteca del monastero di S. Ambrogio in Milano (Cicereii Epist. t. 2 , p. b’j). [p. 2131 modifica]TERZO 213l pur l’epoche principali («). Si sa solamente di’ ei fu al servigio del celebre Ferdinando Sanseverino principe di Salerno , che ebbelo molto caro. Il detto P. abate Ricci crede (Note al poema l)e Princ. rer. p. 194? e(^ Veti. 1754) eh egli morisse circa il 1550; anzi l’Origlia ne anticipa la morte all’anno 1545 (Stor. dello Studio. di Nap. t. 2, p. 32). Ma tra le Poesie del Capece abbiamo (p. 266 cit. ed.) un’elegia al Seripando già cardinale, al qual onore ei non fu sollevato che nel 1561, onde almeno fino a quell’anno continuò egli a vivere. Cominciò il Capece a dar saggio del suo valore poetico con un poema in tre libri diviso, in lode di S. Giovanni Battista, intitolato De Vate Maximo, di cui solo fa menzione, perchè solo erasi allora veduto, il Giraldi (l. cit. p. 572), il qual però non ne forma che un mediocre encomio. E forse questo poema meritava qualche più ampia lode. Ma assai maggiore l’ottenne il Capece colf altro poema in due libri, intitolato De Principiis rerum, che fu da lui dedicato al pontefice Paolo III, e stampato la prima volta nel 1542. In esso egli espone tutto intero il sistema di fisica, quale allora si conosceva, e lo espone con una facilità e con una eleganza che nella oscurità di sì astruso argomento è ammirabile, e tal parve al Bembo e al Manuzio che paragonaron perciò il Capece (a) Del Capece si possnn vedere copiose ed esatte notizie nell* opera altre volte lodala del sig. Lorenzo Giustiniani (Scritt. legali napoL t. 1, p. 171, ec.). TlRÀBOSCUl, Voi. XIII. II [p. 2132 modifica]2 132 LIBRO a Lucrezio, anzi il Manuzio per poco non gliel’antipose. Le loro testimonianze, e quelle di altri scrittori di quel tempo, si posson vedere innanzi all’edizion di questo poema e delle altre poesie del Capece fatta in Venezia nel 1754, a cui si aggiugne la traduzione già accennata dell’abate Ricci, che lo ha ancor illustrato con ampie e dotte annotazioni. In esse egli ci addita molte opinioni de’ più moderni filosofi, che sembra a lui di vedere indicate nel poema medesimo. Ma io temo che altri non sien per vedervele sì facilmente; e mi sembra che l’opera del Capece sia più pregevole per la singolare eleganza con cui è scritta, che per le opinioni che vi si insegnano. Alcune altre poesie e qualche altra operetta di questo medesimo autore leggonsi nella citata edizione; e nelle notizie del Capece, che vi sono premesse, si fa menzione di qualche altro lavoro da lui intrapreso, ma o non condotto a fine, o perduto. XLV1I. Più difficil lavoro fu quello a cui si accinse al tempo medesimo Adamo Fumani veronese, canonico nella sua patria, compagno del Cardinal Polo nella legazione di Fiandra (V. Quirin. Diatr. ad vol. 2 Epist. Poli, p. 8(ì), e poi segretario del concilio di Trento, caro a’ più celebri letterati di quell’età, e morto nel 1587, di cui ragionan più a lungo gli autori del Giornale de’ Letterati d’Italia (t 9, p. ia5) e il marchese Maffei (Ver. illustr. par. 2). Scrivere in versi la logica, e quella che allora insegnavasi, intralciata e spinosa, era certamente impresa di tale difficoltà, che [p. 2133 modifica]TERZO 2133 appena poleasi sperare di riuscirvi felicemente. Nondimeno il Fumani ardì di entrare in sì mal-, agevol sentiero; e in un poema, diviso in cinque libri, spiegò e svolse tutte le regole della logica con tale eleganza, che non può quest’opera leggersi senza stupore, come abbia egli potuto da un argomento sì sterile formare un sì leggiadro e colto poema. Esso si giacque inedito (fino al 1739, in cui la prima volta fu pubblicato nella seconda edizione Cominiana delle Opere del Fracastoro, aggiuntevi alcune altre poesie greche, latine e italiane dello stesso Fumani, nelle ultime delle quali però ei non è molto felice. La poesia non fu la sola occupazion del Fumani. Ei tradusse ancora dal greco in latino le Opere morali ed ascetiche di s Basilio; la qual versione fu stampata in Lione nel 1540, e il Comento d’Areta sul Salmo xxxv. Recitò l’orazion funebre, che non è venuta in luce, in morte del vescovo Giberti, e nel recitarla racconta il Corte eli" ei mosse gli uditori ad altissimo pianto (Stor. di Ver. par. 2, c. 20); e più altri saggi diede del suo sapere, de’ quali ragionano i suddetti scrittori. XL\ III Ma niuna scienza fu a tanto onor sollevata dalla poesia, quando la medicina per opera del gran Fracastoro, uomo d’immortale memoria ne’ fasti della letteratura, e di cui, dopo averne altre volte accennati i meriti verso diverse scienze, tempo è omai che diciamo con qualche maggior distinzione. Poco però dobbiamo in ciò affaticarci; perciocchè l’antica Vita che ne fu scritta da incerto autore, che da alcuni si crede il suddetto Fumani, e quella [p. 2134 modifica]2 134 LIBRO .che nel iy3i ne ha pubblicata Federigo Ottone Menckenio (di cui però mi spiace di non aver veduto che il breve estratto inserito (1731, p. 198, ec.) negli Atti di Lipsia), e ciò che ne dice il marchese. Maffei (Ver. illustr. par. 2:p. 337), ci rendon facile il parlarne con esattezza. Paolo Filippo Fracastoro di nobile e antica famiglia veronese, e Cammilla Mascarella vicentina furono i genitori di Girolamo che venne a luce nel 1483. Inviato a Padova per gli studj, vi si congiunse in istretta amicizia co’ dottissimi uomini, de’ quali era allora feconda quella città, e vi ebbe a suo maestro il celebre Pomponazzi (*). Ma il Fracastoro non solo • non si lasciò sedurre dall’autorità di un tant’uomo ne’ suoi sentimenti intorno all’Anima, i quali anzi furono da lui confutati in un suo Dialogo, benchè senza farvi menzione del Pomponazzi; ma ben conoscendo quanto sterile fosse quella barbara e scolastica filosofia di cui il suo maestro facea professione, a tutte le più utili scienze, ed insieme ad ogni classe d’amena letteratura, si volse studiosamente. E comunque la medicina facesse l’occupazion sua primaria, la filosofia però, la matematica, l’astronomia, la cosmografia, la storia naturale non gli furon men care. Non si troverà forse uomo che tante e sì pregevoli cognizioni in sè raccogliesse a que’ tempi, quante (*) Non doveasi qui ommettcre che il Fracastoro, appena ricevuta la laurea delle Arti in Padova , fu ivi pel i5oa , cioè in età di soli diciannove anni, nominato fjrofessore di logica. Ma pochi anni appresso lasciò a cattedra per attendere più tranquillamente a’ suoi studi (Facciol. Fasti, pars 2, p. n5, cc.), [p. 2135 modifica]TERZO 2135 ebbene il Fracastoro, e che tanto in esse sopra il comun degli uomini si avanzasse. Noi abbiam rammentato altrove le belle Lettere geografiche, cosmografiche e di storia naturale da lui scritte al Ramusio; abbiam mostrato quanto egli superasse gli altri astronomi di quell’età nella cognizione delle stelle; abbiamo osservato qual nuovo sistema cercasse egli d’introdurre nella filosofia; e abbiam accennato con qual diritto abbia ad essere annoverato tra’ medici più valorosi , titolo a lui dovuto anche per l’invenzione del Diascordion, che da lui prima d’ogni altro fu formato e descritto (De Contagio l. 3, c. 7). Di tutte queste scienze scrisse il Fracastoro, ed è difficile il definire se le opere da lui pubblicate sien più pregevoli per f eleganza dello stile, o pe’ nuovi sentieri che in esse ci scuopre. Il dolce e tranquillo riposo in cui comunemente egli visse, gli agevolò il fare sì lieti progressi. Dopo aver passati alcuni anni in Pordenone presso il generale Bartolommeo Alviani, che ivi avea aperta una illustre accademia, altrove da noi mentovata, ritirossi a Verona, e menò gran parte della sua vita sul delizioso colle d’Incaffi, ove or solo, or fra una scelta schiera di amici, a cui il rendevan carissimo le dolci maniere e l’amabile indole di cui era dotato, attese costantemente a coltivare i suoi studj. Fu medico del concilio di Trento, e per consiglio di lui si ordinò la traslazione del concilio medesimo da quella città a Bologna. Finalmente in età di settantun anni finì di vivere sul suo colle <F In caffi agli 8 d’agosto del 1553, e ne fu trasportato il corpo alla chiesa di S. Eufemia [p. 2136 modifica]ai36 libro in Verona con intenzione (T innalzargli un magnifico monumento, il che poi non fu eseguito. Ben ebbe l’onor di una statua, che nell’anno 1559) gli fu per or din del pubblico eretta, e che ancor si vede nella piazza più nobile di quella città. I)i molte opere del Fracastoro noi abbiam parlato, ove l’argomento il chiedeva. Qui direm dunque solamente delle poetiche, e primieramente della Sifilide, ossia de’ tre libri De Morbo gallico. Non vi ha poema, a mio credere, in cui si veggano sì ben combinate forza ed eleganza di stile, leggiadria d’immagini e profondità di dottrina; e ottimamente dice il celebre Guarino, che in esso la Fisica e la Poesia l estremo delle sue forze han consumate (Ragion, poetici, l. 1, p. 62, ed. ven.). Un altro poema, ma di argomento sacro, prese poi a scrivere il Fracastoro, cioè il Giuseppe. Ma l’età avanzata, che non gli permise di compierlo, aveagli già scemato quel fuoco, senza cui ogni poesia cade e languisce. Quindi, benchè esso ancora sia degno del suo autore, non può nondimeno stare a confronto colla Sifilide. Ne abbiam più altre poesie tutte eleganti e graziose, che si veggon raccolte nelle citate edizioni Cominiane, alle quali ancora si aggiungono alcune Rime del Fracastoro, poche di numero, ma tali che ben ci dimostrano che per la poesia italiana avea egli ugual talento che per la latina. Oltre i sì belli modelli di poesia, ce ne diede anche il Fracastoro alcuni precetti nel suo Dialogo della Poetica, a cui diè il nome del suo amico Andrea Navagero. Molte altre cose a questo grand’uomo appartenenti, e gli elogi de’ quali [p. 2137 modifica]I TERZO 313^ egli è stato onorato, si posson vedere nelle indicate edizioni. Nella prefazione alla seconda di esse premessa si dice che il Menckenio, benchè ne abbia scritta esattamente la Vita, e benchè dia le dovute lodi al talento e al sapere del Fracastoro, gli fa però molte e non lievi obbiezioni, le quali da’ più dotti Italiani non saranno mai approvate. Non avendo io veduta quest’opera, sono mio malgrado costretto a non poter entrare in un tale esame, e a riservare ad altri il difendere un sì grand’uomo dalle accennate accuse. XLIX. L’agricoltura ancora trovò tra’ poeti chi prese ad esporne in versi i precetti. Marco Tullio Berò nobile bolognese (a), figliuolo di queU’ Àgostino di cui abbiam fatta menzione tra’ celebri giureconsulti, fu il primo , a mio credere, che ne scrivesse in poesia latina, e un poema intitolato Rusticorum Libri x pubblicò nel 1568 (V. Mazzucch. Scritt. itnl. t. 2, par. 2, p. 1003). Io non 1’ ho veduto; ma le lodi con cui l’onora Pietro Angelio da Barga (Carm, p. 276, 349, de. Fior. 1568), mi rendon probabile che sia pregevole assai. A più ristretto argomento si volse Giuseppe Milio Voltolina da Salò sul lago di Garda , il quale in tre libri, stampati in Brescia nel 1574, scrisse della Coltura degli Orti; del quale autore se avesse avuta notizia il P. Rapin, non si sarebbe vantato di essere il primo scrittore in versi di tale argomento. Il cardinale Querini ci (a) Veggansi le notizie <li questo poeta presso il conte Faniuzzi (Scptt. Bologn, t. 1, p. 10Ì). [p. 2138 modifica]2138 LIBRO lia dato un saggio di questo poema, in cui. per lo più scorgesi eleganza e grazia uguale a quella de’ più colti poeti di quell’età, ed ha ancora accennate alcune altre poesie che se ne hanno in istampa (Specimen Brix. liter. pars 2, p. 259)). A questo luogo possiamo ancor ricordare l’elegante poemetto del Baco da Seta del Vita , di cui si è detto poc’anzi, e i due poeti che scrissero intorno alla Caccia, Natal Conti, di cui detto abbiam tra gli storici, e di cui abbiamo un poema De Venatione in quattro libri , e il poc’anzi nominato Pietro Angelio da Barga, che assai più felicemente trattò lo stesso argomento. Bello è l’articolo che intorno a questo illustre scrittore ci ha dato il conte Mazzucchelli (Scritt ital. t. 1 , par. 2 , p. 747)? tratto principalmente dalla Vita ch’egli scrisse di se medesimo, pubblicata dal canonico Salvini (Fasti consol. dell’Accad. fior.p. 287, ec.). Ei fu detto Bargeo da Barga sua patria, castello 20 miglia lontan da Lucca, ove nacque a’ 22 di aprile del 1517. Fino a dieci anni studiò con tal impegno e con tale profitto , che nelle lingue greca e latina era versato assai più che non sembrasse possibile in sì tenera età. Mortigli poscia i genitori, fu costretto, per vivere , a cambiare i libri coll’armi; ma tra poco tornò agli studj; e in Bologna, ove era stato inviato perchè studiasse le leggi, egli invece tutto si volse all’amena letteratura sotto la direzioni del celebre Romolo Amaseo. Alcuni versi satirici da lui composti il costrinsero a fuggir da Bologna; e recatosi a Venezia, trovò ivi onorevol ricovero, prima presso Guglielmo [p. 2139 modifica]TERZO 2l3y Pellicerio ambasciadore del re di Francia, che di lui si valse per correggere i codici greci che pel suo sovrano faceva copiare, indi presso Antonio Pollino, che inviato dal re medesimo a Costantinopoli, seco colà il condusse nel 1542, la qual epoca si raccoglie da una lettera a lui scritta dall’Aretino (P. Aret. Lett. l. 2, p. 273). Il suo zelo per la nazione italiana, che il trasportò ad uccidere un Francese, il quale parlavane con disprezzo , il pose a pericolo della vita , e a gran pena potè camparla fuggendo, e tra mille rischi ritirossi a Genova , e di là a Milano presso il marchese del Vasto , da cui fu amorevolmente accolto, e onorato di una pensione di 38 e poi di 60 fiorini al mese. Il desiderio di riveder la patria e i suoi il condusse in Toscana; ma mal soddisfatto dello stato delle sue cose domestiche, tornava a Milano nel 1546, quando udì la morte del marchese suo protettore. L’invilo cbe ebbe in quel tempo dalla città di Reggio a tenere scuola di lingua greca collo stipendio annuo di circa 324 fiorini, fu opportuno a’ suoi bisogni. Tre anni vi si trattenne l’Angelio, e vi ottenne anche l’onore della cittadinanza. Passò indi a Pisa, ove per 17 anni fu professore di belle lettere, e poscia dell’Etica e della Politica d’Aristotele, collo stipendio prima di tre, poscia di quattro libbre d’oro. Nel 1575 fu chiamato a Roma dal Cardinal Ferdinando de’ Medici, che il volle in sua corte , e gli fu liberale di onori e di ricompense, fino a regalargli duemila fiorini d’oro per la dedica dall’Angelio a lui fatta delle sue Poesie. Passò gli ultimi anni della sua vita [p. 2140 modifica]2 I LIBRO in Pisa, vivendo ivi tranquillamente in riposo, e godendo i frutti della liberal munificenza del suo principe, e ivi morì a’ 29 di febbraio del 1596, e vi ebbe onorevolissima sepoltura. Tutto ciò con più altre particolari circostanze intorno alla vita dell’Angelio, da me per brevità tralasciate, si può vedere nel già indicato articolo. Ivi ancora si annoverano le opere tutte che di lui ci rimangono, o stampate, o inedite. Fra le prime abbiam le orazioni funebri di Arrigo II re di Francia, e de’ gran duchi Cosimo I e Francesco I, tre opuscoli latini, il primo del modo di leggere gli scrittori della Storia romana, il secondo sugli obelischi, il terzo su’ distruttori degli antichi edificj di Roma; alcune poesie italiane colla traduzione dell’Edipo Tiranno di Sofocle, e alcune lettere latine , alle quali se ne debbono aggiugnere due scritte a Pier Vettori (Cl. Viror. Epist. ad P. Victor. Li, p. 71, 89) e due italiane, una all’Aretino (Lettere all’Aret t 2 , p. 29 6), l’altra a Paolo Manuzio (Manuzio, Lettere, p. 54). Ma ei dovette il suo nome principalmente alle Poesie latine. Oltre i cinque libri di Poesie di diversi argomenti, fra le quali abbiamo alcune elegie in cui l’Angelio imita assai felicemente lo stil di Catullo, bellissimo è il poema sulla Caccia de’ Cani, intitolato Cynegeticon , e diviso in sei libri, in cui con molta facilità e con rara eleganza comprende tutto ciò che a quell’argomento appartiene; poema esaltato allora con somme lodi da’ più dotti uomini di quell’età , e rimirato anche al presente come un de’ migliori che la moderna latina poesia [p. 2141 modifica]TERZO 2l41 possa vantare. Un altro di somigliante argomento, cioè sulla Uccellagione, aveane egli scritto , diviso in quattro libri; ma appena s’indusse a pubblicarne il primo, la lettura del quale ci fa dispiacere di’ egli abbia soppressi gli altri. Finalmente non pago di questi minori poemi, si rivolse anche al genere epico; e in XII libri della sua Siriade trattò in versi latini l’argomento medesimo che allora stava trattando il Tasso in versi italiani. Ma egli non vi diè l’ultima mano che in età avanzata; e perciò, benchè questo poema ancora sia scritto con eleganza , non ha però tutta quella maestà e grandezza che gli conviene. L. Benchè la Siriade dell’Angelio non possa dirsi poema tale che sia degno di andar d’appresso a’ più illustri , esso nondimeno è per avventura il migliore di quanti allora vider la luce. La Colombiade di Lorenzo Gambara bresciano, benchè esaltata con somme lodi da Giusto Lipsio (Miscell. Coll. rom. t 2, pf’J’])477 da Paolo Manuzio (l. 4> ep 28,"48), da Basilio Zanchi (Carm, p. 139, 179), e benchè scritta non senza eleganza , appena nondimeno, per ciò cbe all" invenzione appartiene, può dirsi poema epico , poichè altro non è che un racconto che il Colombo medesimo fa de’ suoi viaggi. Di questo poeta , di cui molte altre poesie si hanno alle stampe, più distinte notizie si posson vedere presso il Cardinal Querini (Specimen Brix. liter. pars 2 ,p. 268, ec.), il quale dimostra che non è in alcun modo credibile che contro il Gambara e contro i poeti bresciani-scrivesse il Mureto quel poco onorevole [p. 2142 modifica]214? *• LIBRO distico che gli viene comunemente attribuito. Sullo stesso argomento abbiamo un altro poema in due libri di Giulio Cesare Stella romano, stampato in Roma nel 1589, colla prefazione del Padre Francesco Benzi gesuita , e con molte testimonianze dei più dotti uomini di quel tempo in lode di esso. L’Austriade di Ricciardo Bartolini poeta perugino divisa in dodici libri, e stampata la prima volta nel 1515, benchè allor lodatissima , giacque nondimeno assai presto, e fu del tutto dimenticata (V. Mazzucch. Scritt. ital. t. 2, par. 1, p. Il poema di Girolamo Falletti sulla Guerra di Carlo V, da noi mentovato altre volte, e quello sulla Guerra Turchesca, e altri poemetti di Bernardino Baldini, di cui pure si è detto in altra occasione, non son parimente tali che possa loro a ragion convenire il nome di poemi epici. Lo stesso deesi dire di quello del suddetto P. Francesco Benzi, intitolato Quinque Martyres e Societate Jesu in India, stampato la prima volta in Venezia nel 1591, e poscia più altre volte. Il conte Mazzucchelli, seguendo le tracce dell’Eritreo e dell’Alegambe , ragiona a lungo di questo collo scrittore (Scritt. ital. t. 2, par. 2, p. 783), che fu natio di Acquapendente, ma non ne ha ben accertate le epoche della vita. Perciocchè egli, fidandosi dell Eritreo che il dice vissuto cinquantaduc anni, e 32 di essi nella Compagnia (di Gesù, nella quale era entrato in età di venti anni, c avvertendo di’ egli morì nel 15()4 > ne raccoglie eli’ egli nascesse nel i5.\2 , e entrasse nella Compagnia nel i5G:i. Ma due lettere del medesimo [p. 2143 modifica]TERZO 2i43 Benzi, dal conte Mazzucchelli non avvertite, ci pruovano che l’Eritreo si è in ciò ingannato. Sono esse scritte a Pietro Vettori , e nella prima (Cl Viror. Epist, ad P. Victor, t. 2, p 48), segnata a’ 29 di novembre del 1569, ei Prende il nome di Plauto, che avea prima di rendersi gesuita; e il Vettori, rispondendogli a’ 4 di marzo dell1 anno seguente (benchè, secondo lo stil fiorentino, egli scriva 1569), lo dice ancor giovane: perge, juvenis optime, optima studia colere, et in cursu isto, in quo nunc es, summae laudis commendatione ingenii adipiscendae , toto animo versare (Victor. Epist. p. 161). Era adunque allora il Benzi ancor secolare, ed era ancor giovinotto; nè pare che il Vettori così avrebbegli scritto, scegli, nato nel 1542 , avesse allora contati ventisette anni. Nella seconda, scritta nel settembre del 1585, gli rammenta il Benzi la prima scrittagli disciassette anni innanzi; e gli racconta che avea cambiato stato rendendosi gesuita, e il nome di Plauto mutato avea in quel di Francesco (l. cit. p. 174)- A ciò aggiungasi un’altra lettera di Giusto Lipsio al Mureto, scritta da Roma nell’agosto del 1568, in cui parla del Benzi, che allora era discepolo del Mureto, come di giovinetto: Plautum tuum, vel jam potius nostrum, fero in oculis; eius cotidiana consuetudine et sermonibus magnam partem lenio desiderium absentiae tuae. Quem ego adolescentem non tantum ideo amo , quia amatur a te, etsi id quoque, sed multo magis, quod ea elegantia ingenii est, et, ut captus est hujus aetatis, etiam doctrina , ut amore ct [p. 2144 modifica]3144 LIBRO amicitia nostra maxime videatur dignus (Miscell. Coll rom. t. 2, p. 469). Deesi dunque seguire l’opinione dell’Alegambe (Bibl. Script. S. J. p. 315) che il dice entrato nella Compagnia nel 1570 , in età di venti anni; e sol dee correggersi, ove, forse per errore di stampa, lo dice in essa vissuto ventisette anni , e dee invece leggersi ventiquattro. Ei fu in Roma scolaro carissimo al Mureto, che in più luoghi , citati dal conte Mazzucchelli, ne parla con sentimenti di stima e di tenerezza non ordinaria. Fu professor di eloquenza per molti anni nel collegio romano, e ottenne la stima di tutti i più dotti uomini di quel tempo, i quali quanto altamente sentissero dell’ingegno e dell’eleganza del Benzi, si può vedere nelle loro testimonianze , accennate dal suddetto scrittore. Oltre il suddetto poema, ne abbiamo molte altre poesie latine di diversi argomenti, le quali ci scuoprono il lungo e attento studio di’ ei fatto avea sugli antichi poeti da lui felicemente imitati. Non debbonsi omettere le molte orazioni , che posson giustamente riporsi tra le migliori di quell’età. Un più distinto catalogo dell’opere del P. Benzi si ha presso il conte Mazzucchelli , a cui però debbonsi aggiugnere le due lettere poc’anzi citate, e un’altra da lui scritta al Cardinal Baronio, a cui si ha ancor la risposta del medesimo cardinale (Baronii Epist. t. 1, p. 286, 288). LI. Fra le Poesie del P. Benzi abbiam due drammi latini, intitolati l’uno Ergastus , l’altro Philotimus. Essi sono scritti, come le altre cose di questo scrittore, con eleganza. Ma [p. 2145 modifica]TERZO 3l45 l’introdurre eh1 ei fa in essi personaggi ideali, come l’Onore , la Fama, la Virtù, la Gloria , l’Inganno, il Livore, non ci permette di proporli come modelli degni d’imitazione. E veramente , quanto felici furono i progressi della poesia drammatica italiana nel corso di questo secolo, tanto più lenti furono que’ della latina, forse perchè non potendosi i drammi latini sì agevolmente rappresentate sulle pubbliche scene, pochi erano quelli che a ciò si accingessero; nè vi era stimolo di emulazione nel superarsi l’un l’altro. Il Giraldi confessa che poco in ciò avea prodotto l’Italia , e nomina solo, ma non con molta lode, Giovanni Armonio Marso, autore di una commedia intitolata Stefarùo (*), e Benedetto Zamberti veneziano, autor di un’altra detta Dolotechna (De Poet. suor. temp. dial. 1, p. 543), alle quali si può aggiugnere la tragedia intitolata Imber Aureus di Antonio Tilesio , e alcune tragedie di Gianfrancesco Stoa , de’ quali diremo nel capo seguente. La miglior cosa per avventura che in questo genere abbiamo, sono otto tragedie e due commedie di Coriolano Martirano da (*) Ecco il titolo della commedia dell’Armonio (non Armodio), stampata al principio del xvi secolo: Johannis Murinomi Alarsi Comoedia Stephanium Urbis Venetae genio publice recitata. Vrnetiis per Bernardinum Venetum de Vitalibus, in 4-° L’Armonio in essa lece anche da attore, come si raccoglie da una lettera dal Sabellico ad esso scritta (Epist. Salirli. l. 10); Bartolommeo non Benedetto Zamberti fu Fautore della commedia intitolata Dolotechne, essa pure stampata verso cpiel tempo (Agost. Scriit. vene*, t. 2, p. 5^*). [p. 2146 modifica]2i 46 unno Cosenza, con altre opere dello stesso autore, stampate in Napoli nel 1556. Esse però sono anzi versioni di antichi scrittori greci, che cose da lui ideate e composte; ma tal ne è l’eleganza e la proprietà dello stile, che poche altre poesie si posson con queste paragonare. Io ne parlo sulla testimonianza di molti scrittori citati dal Tafuri (Scritt Napol. t 3, par. 2, p. <)3, ec.); poichè unica e rarissima essendo quella edizione, io non l’ho potuta vedere. Ad essa vanno uniti dodici libri dell’Odissea e la Batracomiomachia , e l’Argonautica, cioè, coni’ io credo, la traduzione di quella attribuita ad Orfeo. Se ne hanno ancora alla luce molte lettere latine, oltre più altre opere rimaste inedite. Ei fu vescovo di S. Marco nella Calabria , e segretario interinale del concilio di Trento. Credesi comunemente eh’egli morisse nel 1558. Ma se non è errore nella data di una lettera inedita di Antonio Guido a Vespasiano Gonzaga signore di Sabbioneta, che conservasi nell" archivio di Guastalla , conviene stabilire che ciò avvenisse nel 1551, perchè essa è segnata a’ 4 di settembre del detto anno (/1): 11 povero Vpscovo Martirano e morto questi dì, dopo l haver perduto un suo nipote, eh era (a) La data della lettera sulla morte del vescovo Coriolano Martirano è del 1557, non del i.|5i. E Bernardino non fu fratello. ma nipote del vescovo \ ed egli è quel nipote medesimo di cui si parla nella lettera qui riportata, e che come segretario di Carlo V nel regno di Napoli è nominato dal Falco verso la fine del suo Rimario, e dal Ruscelli nei suoi Fiori, nelle note a un sonetto del Guidiccione, ec. [p. 2147 modifica]TERZO 31/|7 Segretario del Regno quindici giorni avanti. Et certo che è stato gran danno sì per la casa sua, come anco per le bone lettere, le quali in lui hanno perduto molto, et tanto più, che avea cominciata a transferire di greco in verso latino eroico bellissimo et altissimo la divina Iliade d’Omero, et già ne avea fatti sei libri, che riusciva un Opera eccellentissima , quando l havesse potuta condurre a perfetto fine. Sertorio Quattromani pensava di pubblicare più opere inedite di Coriolano; e tra esse, non sei solamente, ma sette libri dell1 accennata traduzione; il che però non fu da lui condotto ad effetto (V. Spiriti, Mem, de’ Scritt. cosent, p. , ec.). Fratello di Coriolano fu Bernardino , uomo esso pure assai colto, e autore di alcune rime e di qualche altra opera, ma di cui appena si ha cosa alcuna alle stampe (V. Tafuri, l. cit. par. 1, p. 277; par. 6, p. 25; Spiriti, l. cit. p. 62) (*). A queste poesie drammatiche, che han veduta la luce , aggiugniamone una inedita , cioè la commedia latina, intitolata Lucia, di Girolamo Fondoli cremonese, di cui avea copia l1 Arisi, presso il quale si posson veder gli elogi tessuti al Fondoli da molti scrittori di quei tempi (Cremon. liter. t 2, p. 139). Nell1 edizion Cominiana delle Opere del Vida si son pubblicati alcuni pochi versi del prologo di questa commedia (*) Nel Registro altra volli citato de’ corrispondenti di Veronica Gambata trovasi segnato anche Bernardino Alar tirano col titolo di Segretario del Duca di Borbone. TlRABOSQW, Voi XIII. 12 [p. 2148 modifica]\ 2 l -{8 LIBRO (l. 3, p. 160), i quali ci mostrano quanto felice imitator di Plauto egli fosse, e ci fanno spiacere che i Volpi non abbiano eseguita l’idea che aveano di darla alle stampe LII. Come alla poesia italiana abbiamo congiunta la pedantesca, cbe è, per così dire, un capriccioso innesto di essa colla latina, così dobbiam congiugnere la maccaronica, cbe è una ridicola metamorfosi della medesima, con cui si rendon grossolanamente latine le voci e le frasi non solo italiane, ma ancor plebee, e si assoggettano alle leggi del metro; genere di componimento che non accresce gran pregio alla storia della letteratura, ma che pur non debb’essere dimenticato, perché ebbe-l’onore di essere coltivato da un uomo cbe era capace di cose molto maggiori, e che innoltre più altri assai migliori saggi ci ha lasciato del suo talento (a). Parlo del celebre Teofilo Folengo, noto sotto il nome di Merlino Coccaio. La Vita che ne è stata premessa alla bella édizione delle Poesie maccaro(a) Non fu il Folengo il primo inventore delle poesie maccaroniche. Fin dal secolo precedente era stata stampata un’operetta nel medesimo genere, ma senza data di anno, che ha per titolo: Typhis Odaxii Patavini Carmen Macaronicum de Patavinis quibusdam Arte Magica delusis; del qual rarissimo libro si può vedere la descrizione che ci ha data il ch. sig. d Jacopo Morelli (Bibl. Pinell. La, p. 4^8)* Due edizioni di questo capriccioso ma osceno libro si hanno nella real biblioteca di Parma, senza data di anno esse pure; anzi in esse non vedesi pure indicato nel titolo il nome dell’autore. Tifi, secondo gli scrittori padovani, era fratello di quel Lodovico , di cui abbiamo altrove parlato. v) [p. 2149 modifica]TERZO 3l49 niclie, fatta in Mantova nel 1768 e 1771, tessuta per lo più sulle esatte notizie che studiosamente ne ha raccolte l’eruditissimo monsignor Giannagostino Gradenigo vescovo di Chioggia e poi di Ceneda, e morto pochi anni addietro, e alcune lettere su questo argomento medesimo da esso scritte all’ornatissimo sig. marchese Carlo Valenti, il quale cortesemente me le ha trasmesse, mi renderanno agevole il far conoscere questo scrittore, la cui vita era stata in addietro involta fra molte tenebre e molti errori. Ei nacque d’illustre e antica famiglia in Cipada villa presso il lago di Mantova agli 8 di novembre nel 1491 e al battesimo fu detto Girolamo; e dopo aver dato ne’ primi anni non pochi indicj di vivo e prontissimo ingegno, sulla fine del 1507 entrò nell’Ordine di S. Benedetto, prendendo il nome di Teofilo, e a’ 24 di giugno del 1509 vi fece la professione. Ma dopo avervi passati alcuni anni, traviò miseramente, c acciecato da una rea passione, si perdette nell’amor di una donna, cioè di una cotal Girolama Dieda, come ci mostrano i capoversi di una canzone del suo Chaos, e talmente si lasciò da essa travolgere, che lasciando il chiostro, e probabilmente ancora f abito monastico, andò per più anni ramingo, cioè dal 1515 in circa fino al 1526. In quel tempo prese egli a scrivere le sue Maccaroniche, la prima edizion delle quali fu fatta in Venezia nel i5i9 (a), seguita poscia da molte (a) La prima edizione delle Poesie maccaroniche del Folengo porta in fronte non l’anno 1519, come io ho asserito, una l’anno i5i8. Eccone il frontespizio: [p. 2150 modifica]2 1 5o ’ LIBRO altre che diligentemente si annoverano appiè della citata Vita. Vogliono alcuni che Teofilo accintosi a scrivere un poema latino con qualche speranza di superare Virgilio, e veggendo poscia che sembrava ad alcuni ch’egli appena l’avesse uguagliato, per dispetto gittasse quel suo poema alle fiamme, e si ponesse a scrivere in quest’altra capricciosa maniera, di cui se non fu egli il primo ritrovatore, giunse certamente in essa ad andar di gran lunga innanzi a ogni altro. Ma di un tal fatto non si adduce altra pruova che qualche passo delle sue burlevoli poesie, nelle quali molte cose egli ha scritto da giuoco, ed è più verisimile ciò che afferma il Gravina (Della Ragion poetica, l. 1, § 44)? cioè che il Folengo, il quale col suo ingegno avrebbe potuto comporre un nobile e sublime poema, anzi che rendersi in ciò uguale a molti, volesse superar tutti in un altro genere di poesia. In fatti la leggiadria delle immagini, la varietà de’ racconti, la vivacità delle descrizioni, e qualche tratto di seria ed elegante poesia da lui inserito tra le sue Maccaroniche, ci fanno conoscere quanto felice fosse la disposizione eli’ egli avea sortito al poetare. Le oscenità e i tratti poco religiosi che vi sono sparsi per Merlini Coca/ Poetar. Mantuani Macaronìces Libri xvn non ante impressi. E al line si legge: Explìcit septimus (lecimus. Finis. Vcnetiis in ne dibus Alvxandri Paganini inclito Lauredano Principe Kalen. Jatiua. unxFin. Ma come il nuovo anno in Venezia comincia negli atti pubblici solo a’ n.’i «li marzo , così potrebbe essere avvenuto cbe nella sottoscrizione si seguisse lo stil ven«>to, e che quel i5itt corrispondesse aU’auuo nostro »519. [p. 2151 modifica]TERZO 2151 entro, c eli’ egli poscia cercò di togliere dalle (posteriori edizioni, furono effetto dello sfrenato libertinaggio a cui allora abbandonato si era il Folengo; il che pur dee dirsi dell’Orlandino poema romanzesco in ottava rima da lui pubblicato la prima volta nel 1526, sotto il nome di Limerno Pitocco da Mantova. Ravveduto poscia de’ suoi errori, fece ritorno alla sua Religione sulla fine del 1536, e l’anno seguente diè alle stampe il Chaos del Triperuno, opera oscura non meno che capricciosa, in cui parte in versi, parte in prosa, ora in italiano, ora in latino, ed ora in grave, ora in maccaronico stile va descrivendo le vicende della sua vita, il suo traviamento e la sua conversione. Ritirossi allora a un piccolo monastero dell’Ordin suo nel Promontorio di Minerva in Regno di Napoli, ed ivi per riparare i danni che la lettura delle giovanili sue poesie potea cagionare, compose il poema dell’Umanità’del Figliuolo di Dio in ottava rima, intitolato la Vita di Cristo, il qual poema però non ebbe sì gran numero di lettori, quanti avuto ne aveano le altre opere del Folengo. Dal regno di Napoli passò egli in Sicilia circa il 1533, e resse per qualche tempo il piccolo monastero detto di S. Maria della Ciambra ora abbandonato, e recossi poscia a Palermo, ove, ad istanza di don Ferrante Gonzaga vicerè di Sicilia, compose una cotale azione drammatica in terza rima, intitolata la Pinta o la Palermita, cbe è in somma una rappresentazione della creazione del mondo, della caduta di Adamo, della Redenzione, ec. Di questa conservansi alcuni codici a penna, ma non cosi [p. 2152 modifica]2 152 LIBRO di alcune altre tragedie cristiane, le quali sappiamo che ivi furono dal Folengo composte. Dalla Sicilia tornò il Folengo in Italia, e nel monastero di S. Croce di Campese nel territorio di Padova (*) passò gli ultimi anni della sua vita, cioè fino a’ 9 di dicembre del 1544 * in cui venne a morire. Io ho accennato le principali opere del Folengo. Quanto alle altre minori , e ad alcune che o son rimaste inedite , o si sono smarrite, si posson vedere le esatte notizie che se ne hanno dopo la Vita già mentovata , e intorno ad alcune di esse possiamo aspettarle ancor più minute dalla Biblioteca degli Scrittori anonimi e pseudonimi che già da gran tempo si apparecchia a darci il ch. P. don Giuseppe Morali C. B. Teatino. LI1I. A compiere interamente la storia de’ progressi della poesia in questo secolo, rimane or solamente a dir di coloro che prescrisse!’ le leggi a poetare con lode. La Poetica d’Aristotele era a que’ giorni per la poesia ciò che il Codice di Giustiniano per la giurisprudenza, e lo scostarsene un passo solo, era grave e imperdonabil delitto. Quindi fu il recarla nuovamente in latino, come se le antiche versioni non fosser bastanti, nel che , oltre i comentatori de’ quali or ora diremo, adoperossi, a’ tempi di Clemente VII, Alessandro de’ Pazzi fiorentino, da noi già mentovato ad altra occasione , il quale, come racconta Pier Vettori (Epist. l. 4, p. 86), dopo averne diligentemente (*) Il monastero di Santa Croce di Campese c nella diocesi di l’ndova, ma nel territorio di Vicenza. [p. 2153 modifica]TERZO • 2 153 emendato il testo, prese a recarla in latino; ma sorpreso dalla morte , non potè dare al pub* blico il suo lavoro, il che fu poscia eseguito da Guglielmo di lui figliuolo. E un compendio latino verso la fin del secolo ne fece Antonio Riccoboni. Le versioni latine non parvero ancor sufficienti al bisogno , e si reputò necessario che ella fosse tradotta anche in lingua italiana. Bernardo Segni fiorentino, autore di più altre versioni, ci diede ancor questa, che fu pubblicata la prima volta in Firenze nel 1549 e vi aggiunse a spiegarla alcune brevi chiose. Nuova e assai più ampia e più ingegnosa fatica intraprese in quell’opera il Castelvetro, e tradottala nuovamente nella volgar nostra lingua, la comentò ancora assai lungamente. Questo Comento fu la prima volta stampato in Vienna nel 1570, e corrispose alla fama che con altre sue opere avea già l’autore ottenuta, cioè d’uomo ingegnoso ed acuto al par di chiunque , ma che talvolta , secondando troppo il suo ingegno medesimo, si abbandona a oscure e inutili sottigliezze; il che pure vuol dirsi di molti passi delle sue Opere critiche, nelle quali ragiona di cose appartenenti alla poesia. Anche Alessandro Piccolomini , di cui altrove si è detto, ignorando forse la versione del Castelvetro, un’altra ne fece nel! 1571, e la diè in luce in Siena l’anno seguente , e vi aggiunse poscia tre anni appresso alcune sue annotazioni. Francesco Buonamici , da noi nominato altre volte, invece di tradurre Aristotele, si fece a scriverne le difese, e pubblicò a tal fine i suoi Discorsi poetici. Altri al tempo medesimo [p. 2154 modifica]2 154 LIBRO presero a comentar la Poetica latinamente, e, tra essi furono i più illustri Francesco Robor-I tollo, Vincenzo Maggi e Pier Vettori. Del primo già si è ragionato nel trattar degli storici, del terzo diremo più opportunamente nel capo se! guente. Qui parleremo sol del secondo, cbe e «legno di distinta menzione nella Storia della Letteratura. HV. Ei fu di patria bresciano, e diè i primi saggi del suo sapere nell1 università di Padova. Il Papadopoli ce ne dà poco esatte notizie (Hist. Gymn. patav. t. 1, p. 305), e fra le altre cose, con gravissimo errore, afferma ch’ei morì circa il 1543 , mentre è certissimo che visse molti anni appresso. Il Facciolati afferma (Fasti Gymn. patav. pars 3, p. 283) eh* ei fu dapprima fissato l’an 1528 alla prima cattedra straordinaria di filosofia col tenue stipendio di 47 fiorini, indi nel 1533 promosso (ib. p. 279) alla seconda cattedra ordinaria con 125 fiorini, che poscia crebbero fino a’ 3oo nel 1535, e sembra indicare che ivi durasse fino al 1543; nel qual anno fu a quella cattedra destinato un cotale Abraccio pugliese. Ciò pare che si confermi dalla narrazion del Borsetti (Hist. Gymn. Ferr. t. 2. p. 161) che afferma che il Maggi fu professore nell1 università di Ferrara dal 1544 fino al 1564» benchè egli sbagli dicendo che tenne scuola di medicina, scienza di cui il Maggi non fece mai professione. La cattedra di filosofia fu quella ch’ei sempre sostenne, e dapprima prese a spiegare i libri di \ri stot eie De Phisico Auditu. come raccogliam da una lettera scritta nel novembre del 1546 da Francesco Davanzali a [p. 2155 modifica]TERZO 2155 Pier Vettori, in cui gli narra di esser venuto a Ferrara, solo per udire il Maggi (uomo, dice egli, di gran senno e di eccellente dottrina) spiegar (que’ libri, poichè non v’era in Padova chi gli spiegasse (Cl. Viror. Epist ad P. ì 7ctor. t. 1. p. 54). Si fece poscia a interpretar la Poetica del medesimo autore. Quindi Bartolommeo Ricci, scrivendo al principe Alfonso figliuol del duca Ercole II, il prega a fare in modo che il Maggi, il quale avendo compito il tempo alla sua lettura prefisso, potea partir da Ferrara, non abbandonasse quella università; e dice che viveano bensì allora molti illustri filosofi, come il Boccadiferro, il Genova, il Porzio, ma che il più dotto di tutti era Vincenzo, e ch’era egli il primo che avesse pubblicamente interpretata la Poetica d’Aristotele (Riccii Op. t. 2, p. 47)- Questa lettera non ha data , e non sappiamo a qual anno appartenga, e ignoriam parimente se il Maggi partisse da Ferrara per qualche tempo (*). Nelle (*) L’anno in cui il Maggi da Padova passò a Ferrara , e il motivo per cui egli vi fu condotto, confermasi da una lettera del duca Ercole II a certo M. Jacopo che dovea essere suo ambasciadore in Venezia, la qual conservasi in questo ducale archivio, e che è troppo onorifica al Maggi, perchè possa essere qui tralasciata. Mag. Jac. Noi hi ivano conduci o In Excel lente Ms. Vincenzo Maggi, havendo ottima relazione de la dottrina et virtù sua, principalmente perchè l’abbia ad insti lui re. il Principe nostro figliolo , poi per leggere Filosofia in questo Studio, et per servirmene in altre mie occorrenze, secondo che porterà il tempo. Et ne rendemo certo , che la Se re ni.ss. Signoria non solo sia per contentarsene , ma anche per aver piacere, clic [p. 2156 modifica]2156 LIBRO Lettere di Pietro Aretino troviam menzione di un Vincenzo Maggi che nel 1548 era alla corte di Francia (Aret Lett. I. 4> p *99)- Ma non par probabile ch’ei sia lo scrittore di cui trattiamo. Questi certo nel i58r) era in Ferrara, corne ci mostra la dedica della sua Poetica al Cardinal Cristoforo Madrucci, benché poi questa non si pubblicasse che Tanno seguente. Avea egli intrapreso a comentare la Poetica d’Aristotile fin dal tempo in cui trovavasi in Padova; e in questa fatica avea allora avuto a compagno Bartolommeo Lombardi veronese, come lo stesso Maggi sinceramente confessa. Sorpreso poi il Lombardi da immatura morte, continuò solo il Maggi l’incominciato lavoro, e valendosi per lo più della versione del Pazzi, vi aggiunse note e comenti scritti sul far di que1 tempi, cioè spiegando Aristotile co1 passi di altri antichi scrittori, e fondando i precetti più sull1 autorità che sulla ragione c sulla natura. A questi comenti egli aggiunse un trattato ci vagliamo de’ suoi sudditi, essendole Noi quel buon figliolo che semo. Di che tutto havemo voluto darvi questo avviso, acciò ch’accadendo il bisogno ne facciate testimonio alii Clariss. Sig. Reformatori del Studio. Et ch’anco essendo necessario ne parliate al Serenissimo Principe, et Illustriss. S. pregandola in nostro nome, che non solo non sia impedito, ma anco che voglino restar contenti, chel ci serva in queste nostre occorrenzie, et certificando et la lor Sublimità et li predetti Signori Reformatori, che oltra che si può dir chel sia nel Stato loro essendo appresso di Noi, cene faranno piacere gratissimo; et a la prefata Sublimità molto ce raccomandate. State sano. Ferr. xx Sept. 1542. B. Prosper. [p. 2157 modifica]TERZO 2107 De Ridiculis, e il Comento sulla Poetica di Orazio. Abbiamo una lettera del Ricci al Maggi, in cui gli scrive che avendo fatta presentare quell’opera a’ due principi figli del duca Ercole II, essi l’aveano accolta con gran piacere, e aveano ricompensato il servidore che 1 avea loro recata (l. cit. p. 355). Sembra che il Robortello si corrucciasse per quest’opera contro il Maggi; perciocchè scrivendo egli al Vettori, Cogor, gli dice, pruder naturarti institatumque meum... dicax esse in Madium illum importunissimum hominem. Nosti corniculam illam, ec. (Cl. Viror. Epist. ad P. Vict. t. 1, p. 83). Ma forse ancora il Robortello qui parla di un altro Maggi. Certo il nostro e nelle sue opere si scuopre, e ci vien distinto da tutti come 110111 modestissimo , e troppo lontano dall’offendere alcuno. Nel 1557, essendosi dovuta chiudere l’università di Ferrara, e rivolgere ad uso di guerra gli stipendj a’ professori assegnati, fu forza di partire anche al Maggi; di che altamente si dolse il Ricci (l. cit. p. 80, 357, 358). Ei dovette però farvi poscia ritorno, se è vero che ivi morisse nel 1564 Oltre l’opera accennata, io ne ho veduta un’orazione da lui detta in Ferrara al principio della sua scuola, ivi stampata nel 1557. In questa biblioteca Estense si hanno mss. alcuni Comenti di esso sulla Fisica di Aristotele, che forse son quegli stessi di cui il Borsetti afferma cbe esisteva copia in Ferrara presso il dottor della Fabbra, e un opuscolo De praestantia mulierum. Il suddetto Borsetti accenna altre orazioni dette e pubblicate dal Maggi. Un’altra pruova dell’alta stima di [p. 2158 modifica]ai58 libro cui il Maggi godette vivendo, son due medaglie in onor di esso coniate, che si riferiscono nel Museo Mazzucchelliano (t 1, p. 217)? ove ancora si accennan gli elogi con cui di esso han parlato Ire grand1 uomini di quell1 età, il Cardinal Valerio, il Sigonio e Flaminio Nobili. LV. Molti altri trattati appartenenti alla poesia videro al tempo stesso la luce. Il Ragionamento sulla Poesia di Angiolo Segni, la Topica poetica di Giannandrea Giglio, i tre libri latini della Poetica di Antonio Viperano, il trattato della Poesia inserita dal P. Possevino nella sua Biblioteca, e stampato anche a parte, i Dialoghi della Invenzion poetica di Alessandro Lionardi, e i Discorsi poetici di Faustino Summo, parecchi Dialoghi ed altri opuscoli, e le Lettere poetiche di Torquato Tasso. V opera De poetica Imitatione di Bernardino Partenio, le Istruzioni di Mario Equicola, la Poetica di Bernardino Daniello lucchese, di cui pure abbiamo la Sposizione delle Rime del Petrarca e della Commedia di Dante, e quella di Giangiorgio Trissino, e i tre libri dell’Arte poetica del Vida in versi esametri, e i tre libri del Muzio in versi italiani sciolti, e la Poetica disputata e istoriale di Francesco Patrizi dovrebbono aver qui luogo. Fra esse le opere del Trissino, del Vida, del Muzio, del Tasso, del Patrizj sarebbon meritevoli di più distinta menzione, come quelle nelle quali principalmente traluce l’erudizion loro e il loro buon gusto; se non che il Patrizj si scuopre qui pure, come nelle altre sue opere, intollerante di freno, e soverchio amatore di cose nuove. Ma poichè degli autori di esse si [p. 2159 modifica]•TERZO 2 I 5q é già detto altrove, ci basti l’averle qui accennate. Fra tanti scrittori adunque, su’ quali potremmo qui trattenerci, quattro soli ne sceglieremo, i quali hanno diritto a non essere in quest’opera nominati sol di passaggio. LVI. Ed il primo di essi è Antonio Minturno. Diligenti son le notizie che di questo scrittore ci ha date il Tafuri (Scritt. napol. t. 3, par. 2, p. 4°o i Par• 7> P 5a3, ec.). Era egli figlio di Antonio Sebastiani e di Rita Magistra, e, secondo il citato scrittore, volle esser soprannominato Minturno dalla famiglia della sua avola paterna, benchè altri vogliano eli’ egli avesse con ciò riguardo a Minturna città distrutta nel regno di Napoli, presso al luogo ove ora è Traetto, patria di Antonio. Certo questi chiama Minturna sua antiquissima patria (Lettere, l. 5, lett. 5). Negli anni suoi giovanili coltivò principalmente la filosofia alla scuola del celebre Agostino Nifo, di cui fu discepolo in Napoli, in Sessa e in Pisa. In quest ultima città egli per poco non volse le spalle allo studio per seguire una donna , di cui erasi caldamente innamorato. Ma dopo due anni di traviamento, affin di spezzar le catene, andossene a Roma l’anno in cui morì Leon X, cioè nel 1521 , e protesta che d’allora in poi non fu più soggetto a passione amorosa (ivi, l. 4 > /cfL 21). Soggiornò egli pur qualche tempo ora in Roma. ora in Gennazzano castello della casa Colonna, ed ivi sotto la direzione di un cotal Maestro Paolo attese allo studio della lingua greca (ivi, l 1, lett. 10). Avea ancor cominciato a studiare

l’ebraica , ma non pare che in quello studio continuasse (l. (6, lett. 25). Nel 1523 la peste il costrinse a partir da Roma e da Gennazzano, e recatosi a Sessa, si diede allo studio della matematica, e passato poscia a Napoli, ed eccitato dall’esempio de’ valorosi poeti, dei quali allora abbondava quella città, prese a esercitarsi nella poesia italiana (ivi, l. 2, lett. 1). Il desiderio di fuggir i rumori della guerra lo consigliò a ritirarsi nell’isola isola Ischia, e quindi a passare in Sicilia (ivi), ove il duca di Monleleone viceré di quell1 isola cortesemente lo accolse, il tenne in corte, e gli assegnò poi una pensione annua di 200 ducati (ivi, l. 6, lett. 48)• Col medesimo duca tornò poscia a Napoli, ed ivi presso di lui adoperossi a fare che in quella città fosse aperto un collegio de’ Gesuiti, come ci mostra una lettera a lui scritta dal loro fondatore S. Ignazio, che dal Tafuri riportasi intieramente. Avea egli raccolta una copiosa e scelta biblioteca, ma ebbe il dolore di vederla in gran parte dissipata e dispersa nel tumulto di Napoli del 1547 (Pizzamani, pref. alle Lett. del Min tur.). Le virtù di cui egli era adorno, e la stima acquistatasi col suo sapere, gli meritarono nel 1559 il vescovado d1 Uggento, c col carattere di vescovo intervenne al concilio di Trento. Fu poi trasferito nel 1565 alla chiesa di Cotrone, ed ivi morì nel i3r.\. Due opere scrisse egli intorno alla poesia, una in latino, divisa in sei libri, intitolata De Poetica, l’altra in lingua italiana, intitolala IJ Arte poetica, divisa in quattro libri , e dedicata all’Accademia Laria di Como; [p. 2161 modifica]/ TERZO ’ 2l6l e questa è propriamente, com’egli stesso confessa , una traduzione della sua opera latina , clic è avuta in conto di una tra le migliori che in quel secolo si pubblicassero. Delle altre opere del Minturno, che sono poesie italiane e latine, traduzioni de’ Salmi, lettere italiane, e di più altri opuscoli da lui composti, ma che or non si trovano, parla distintamente il Tafuri, a cui solo io aggiungerò una lettera latina a Paolo Giovio, che si legge dopo quelle del Gudio (p. 129). LVII. Giason de Nores è il secondo degli scrittori dell’Arte poetica , che voglionsi qui rammentare. Ei non fu, a dir vero, italiano, ma nacque nell’isola di Cipro. Perchè nondimeno fece i suoi studj in Padova, ed ivi poscia ancor tenne scuola, e in lingua italiana quasi tutte scrisse le sue opere, egli ha diritto ad aver luogo in questa Storia. Venne ancor giovinetto in Italia, e applicatosi alle scienze , ottenne in Padova la laurea, e tornossene quindi in Cipro. Mentre ivi si tratteneva, udì la morte di Trifon Gabrielli, uomo assai dotto , e non men celebre per la sua probità che pel suo sapere, detto perciò dal Cardinal Valerio (De’ caut. adhibit. in edend. Lib.) il Socrate Vene»* to , e lodato molto ancora dal Bembo (Familiar. l. 2, ep. 8, 12, 13, ec.). Aveane Giasone in Padova frequentata la casa, e l’avea udito spiegare la Poetica d’Orazio. Per sollevare adunque il dolore che per la morte di Trifone avea provato, si diede a stendere in latino quella sposizione che dalla bocca di lui avea raccolta, come egli stesso racconta nella dedica [p. 2162 modifica]2lf)2 LIBRO a Calcolando de Norcs suo fratello, in cui il Trifone fa un lungo e magnifico elogio. Fu questa la prima opera intorno alle poesie, che Giasone desse alla luce, e fu fabbricata fin dall’anno 1553 in Venezia, aggiuntovi un picciol Compendio de’ tre libri dell Oratore. Caduta quell’isola in man de’ Turchi nell’anno l570, Giasone si ritirò a Venezia, ed ivi visse per alcuni anni, sostentato probabilmente dalla pietà di alcuni di que’ patrizj. Quando, essendo egli stato dalla sua nazion destinato nell’anno 1577 a perorare per essa presso il nuovo doge Sebastiano Veniero, e avendo egli detta quell’Orazione che poi inserì nella sua Retorica (l. 3, p. 171), non solo ottenne pe’ suoi Cipriotti, che fosse loro assegnata ad abitare con molti privilegi la città di Pola, ma per sè ancora impetrò la cattedra di filosofia morale, che già da dieci anni vacava dopo la morte del Robortello , collo stipendio di 200 fiorini, accresciuto poi fino a 300 nel 1589 (Facciol. Fasti, pars 3 , p. 315). Ivi fu ch’egli pubblicò la più parte delle sue opere, che sono molte e di diversi argomenti, cioè filosofiche, geografiche, cosmografiche, politiche e rettoriche, delle quali si può vedere il catalogo presso il P. Niceron (illeni, des Homm. illusi, t. , p. 256, ec.). Due son quelle che versano intorno la poesia, cioè il Discorso intorno agli accrescimenti che la Poesia riceve dalla Filosofia, e la Poetica; opere, nelle (quali ei prese a combattere e riprendere il Pastor fido del Guarini, e diè occasione a quella fiera e lunga contesa che tra questi due scrittori si accese, [p. 2163 modifica]TERZO 3»63 e di cui abbiamo altrove fatta menzione. Morì Giasone nel 1590 per dispiacere singolarmente di veder esule dagli Stati della Repubblica Pietro suo figliuolo per una rissa da lui avuta con un nobile veneto, per cui questi morì. Ma s’egli avesse potuto superare il suo dolore, avrebbe veduto questo suo figlio medesimo occupato onorevolmente in Roma alla corte di ragguardevoli personaggi, e stimato pel suo sapere, di cui ancora lasciò documenti in più opere, niuna però delle quali ha veduta la luce (V. Zeno, Note al Fontan. t. 1, p. 95, ec.). LVI1I. Non di ogni poesia generalmente, ma in particolar modo della drammatica prese a scrivere Angiolo Ingegneri di patria veneziano, nome pochissimo conosciuto finora , e di cui godo di potere per la prima volta produrre alcune notizie, tratte da’ bei monumenti che si conservano nel segreto archivio di Guastalla , gentilmente comunicatimi dal più volte lodato P. Affò. Fin dal 1572 avea egli tradotti in ottava rima i Rimedj contro l’Amore di Ovidio , e dedicatigli con sua lettera da Venezia come primo frutto de’ suoi studj ad Antonio Martinengo conte di Villachiara, e furono poi stampati in Avignone nell’anno 1576 (V. Argel. Bibl. de’ Volgarizz. t. 3, p. 161; t. 4» par. 2, p. 607). Nel 1578 trovavasi egli, non so per qual ragione, in Torino, e in quell’occasione accolse ivi, come altrove si è detto, il fuggiasco Torquato Tasso. Passò indi in Parma , ove cel mostrano le due edizioni fatte nel 1581 nella detta città e in Casalmaggiore della Gerusalemme del medesimo Tasso. Quindi Tiraboscbi, Voi. XIII. i3 [p. 2164 modifica]2 1 64 LIBRO nel i5&9 pubblicò colle stampe in Vicenza un dramma pastorale intitolato Danza di Ve ne re, da lui cominciato per ordine dell Accademia olimpica di quella città, c finito poi ad istanza di donna Isabella Lupi marchesa di Soragna, che alla corte di Parma lo fece rappresentare, e volle che donna Cammilla sua figlia vi sostenesse il personaggio di Amarilli, come narra l’Ingegneri medesimo nella dedica alla stessa Cammilla. Tali opere ci dimostrano che l’Ingegneri era uomo assai conosciuto pel suo valore nel poetare. Or chi crederebbe che un uomo tale dovesse essere l’anno 1585 chiamato da d). Ferrante II Gonzaga a Guastalla per lavorarvi il sapone? E nondimeno fu veramente così. Io ho copia della lettera originale scritta su ciò da D. Ferrante da Genova a’ 15 di dicembre dell’anno 1585 al suo segretario Bernardino Marliani, ed è la seguente: Segretario amatissimo. Poichè l’Ingegneri sta in punto per venire costì a dar principio alf opera del sapone, come sapete, e vi dirà più distesamente il Manfredi da parte mia, vi ordino che vista la presente facciate finire la Casa della Cignacca per tale effetto senza altra replica, et tosto che detto Ingegneri sia giunto , gli facciate accomodare in detta Casa tutti gli ordegni, che li faranno bisogno, mandando a Mantova a far fare due caldaje, secondo vi sarà detto da lui esser a proposito, et farle pagare, et condurle a Guastalla, senza che egli ne senta alcun disturbo. Et perchè desidero , che si cominci, et che detto Ingegneri, quando sarà giunto costì, non perdi tempo , [p. 2165 modifica]TERZO 2 165 et s flabbia a dolere, farete impiegare fino a quattrocento scudi in sapone a Venezia, et in terra, pigliando ogni cosa dalli Mercanti, c/i egli vi dirà , et condurre il tutto a Guastalla a riquisizione del suddetto , facendo però per via sicura. Di più dovendo egli condurre tutta la sua famiglia, et essendo povero , subito che sarà arrivato da voi il Manfredi, gli farete dare cento scudi per mandarglieli, acciò si possa incamminar quanto prima, come ho scritto medesimamente al Caimo intorno a questo. Io ho ancora due lettere dell1 Ingegneri a 1). Ferrante, mentre era in procinto di venire a Guastalla, una da Vicenza de’ 19, l’altra da Venezia dei 26 di luglio del 1586, e il seguente attestato dell’Ingegneri medesimo: Confesso per la presente io Angelo Ingegneri haver ricevuto da MS. Cristoforo Zerbino fattore dell Illustrissimo et Eccellentissimo Sig. D. Ferrando Gonzaga mio Sig. sette forme di legno colle loro asse sotto da lavorare di sapone, et una caldaja grande, di pesi numero quattro e libre sette di rame, la qual caldaja prometto di restituire ad ogni beneplacito di Sua Eccellenza a chi mi verrà comandato da lei. Et in fede ne ho scritto e sottoscritto la presente di mia propria mano 1586 a dì 29 Dicembre in Guastalla. Convien dire che la poesia non fosse stata molto utile all’Ingegneri, e eli’ egli trovasse più vantaggioso l’impastar sapone, che il far versi; se pure non dobbiam dire clf ei fosse scialacquatore, o trascurato ne’ suoi affari. Ciò sembra congetturarsi da altri monumenti dello stesso archivio, veduti dal / [p. 2166 modifica]ai66 libro soprallodato P. Affò, e da lui citati nella Vita da esso scritta del detto Mai li ani, da’ quali raccogliesi che nel 1587 ei fu costretto a costruirsi prigione in Guastalla per la somma di 200 ducati, che un mercante veneto da lui pretendeva; che d). Ferrante, perchè ei non perdesse quanto avea in casa , gli fece confiscare ogni cosa, che ne fece poscia difender la causa , e che trattolo da quelle angustie , continuò sempre ad amarlo. Infatti alcune lettere dell’uno all* altro, delle quali pure io ho copia, ci scuopron l’affetto che D. Ferrante avea per l’Ingegneri, ed esse non si raggiran già sul sapone, ma per lo più su cose poetiche. Da Guastalla passò l’Ingegneri a Roma al servigio del Cardinal Cinzio Aldobrandini, e presso lui era almeno al fine del settembre del 1592, come ci mostra una lettera da lui scritta a D. Ferrante. A lui dedicò i suoi tre libri Del buon Segretario; picciola operetta, ma scritta assai bene, e piena di egregi avvertimenti , e molto lodata da Apostolo Zeno (Note al Fontan. t. 1 , p. 157). Le lettere da lui in quel frattempo scritte a D. Ferrante ci fan vedere che continuò f Ingegneri a goderne la protezione e la grazia; che nel 1596, avendo egli fatto un viaggio a Venezia per ordine del Cardinal suo padrone , passò per Guastalla affin di rivedere il suo antico signore; ch’egli eccitava continuamente D. Ferrante a dar compimento alla sua Enone, e che nel 1598 l’Ingegneri contrasse nuova servitù col duca d’Urbino, colla quale occasione ebbe da D. Ferrante un dono di cinquanta scudi. Da quel sovrano fu [p. 2167 modifica]TERZO 3l(>7 mandato nel 1599 a Modena a tenere a battesimo in nome della duchessa un figlio nato a questi principi, e ne diè avviso ei medesimo con sua lettera al duca di Guastalla. Nel 1602 , con approvazione del duca d’Urbino, passò al servigio del duca di Savoia, di che diede parte egli stesso al medesimo D. Ferrante, chiedendogli qualche soccorso, e singolarmente la liberazione di un pegno che lasciato avea in Guastalla. Egli era ancora in Torino nel 1608, come raccogliesi da una lettera da Aquilino Coppini scritta in quell’anno (Coppin. Epist. p. 72). Da un’altra lettera dello stesso Coppini , scritta nel febbraio dell’anno seguente (ib. p. 81), si trae che il povero Ingegneri fu ivi un’altra volta prigione, non sappiamo per qual motivo, e che poscia ne uscì: Angelus Ingegnerius ad me scripsit, se tandem e custodia Jais se emissum, spemque habere fore. ut Ducis benignitate sublevetur, et proventu aliquo certo perpetuoque pro tor incommodis perlatis augeatur. Utinam quiescat ali quando longaevus ille senex, quem anceps fortuna ne dum peritia Romanae Aulae tota Italia celebrem fecit. Io non so quanto ancor f Ingegneri sopravvivesse, nè ove finisse i suoi giorni. Par ch’egli fosse ancor vivo nel 1613, quando si stamparono in Venezia alcune poesie da lui scritte in dialetto veneziano. Di lui abbiamo, oltre ciò, una tragedia intitolata Tomiri, un’opera in versi contro l’alchimia, intitolata ancora Palinodia dell’Argonautica, citata dal Quadrio (t. 6, p. 75), e l’opera per cui qui gli diam luogo , cioè il Discorso della Poesia [p. 2168 modifica]2168 LIBRO rappresentativa, stafnpato in Ferrara nel i5y8. Ili essa egli esamina tutto ciò che al dramma appartiene, e parla in particolar modo delle rappresentazioni pastorali; e questa è l’opera probabilmente di cui intende di ragionare Muzio Manfredini , citato da Apostolo Zeno (l. cit. p. 479)? ove sl 8l,0^e cbe F Ingegneri contro tutte le favole sceniche volesse alzar tribunale. Egli tra le altre cose fu uno de’ riprensori del Pastor fido’ , e perciò a lui ancor fu risposto da chi prese a farne 1’apologia. LIX. Abbiam riserbato l’ultimo luogo tra gli scrittori dell’Arte poetica a quello che fra tutti è il più celebre, non solo per la molta sua erudizione, ma ancora, e forse più, per l’intollerabile sua vanità nello spacciarsi per discendente dell’antica famiglia degli Scaligeri, e stretto di parentela colle più illustri famiglie d’Italia, cioè a Giulio Cesare Scaligero. Egli fu F architetto di questa solenne impostura, e ne gittò i fondamenti in diversi passi delle sue opere. Ma Giuseppe di lui figliuolo si sforzò di accreditarla colla famosa sua lettera a Giano Dousa De Splendore ac vetustate Gentis Scaligerae. Secondo essi, Benedetto della Scala, padre di Giulio Cesare, fu uno de’ più valorosi guerrieri del secolo xv; trovossi a 38 battaglie; più di cento volte in nome di Federigo III o del re Mattia Corvino condusse le truppe contro gli Schiavoni, o contro i Turchi; azzuffossi tre volte in duello co’ più forti tra* Turchi, e ne riportò ampie spoglie; da lui e da Berenice Lodronia figlia del conte. Paride Magno Lodronio nacque Giulio Cesare nel 148 4 7 nel castello ili [p. 2169 modifica]TERZO 2I69 Riva nlla sorgente del lago di Garda , che era tuttora signoria della loro famiglia. Due giorni poichè egli fu nato, i Veneziani sapendo che rimperador Federigo e il re Mattia bramavano che si rendesse a questa famiglia I’ antico dominio di Verona, assaltarono a mano armata il castello; e la madre, benchè freschissima di parto, dovette con gran pericolo sottrarsi fuggendo insieme co’ figli presso suo padre. Insieme con Tito suo fratello studiò i primi elementi sotto il celebre F. Giocondo veronese. Quindi in età di dodici anni, presentato dal padre all1 imperador Massimiliano, fu da lui ricevuto tra’ paggi della sua corte, e per lo spazio di diciassette anni sotto gli occhi di quel monarca, che teneramente lo amava, si esercitò in tutte le arti proprie di un giovane nobile. Fu poscia tra l’armi insieme con Massimiliano e con suo padre; e quando si ruppe la guerra tra l’imperadore e i Veneziani, essendo stato Benedetto nominato da Massimiliano governato!* di Verona, sotto pretesto di rendergli quel suo dominio, il figlio ivi si stette col padre, finchè questi fu richiamato da Cesare, che fatta la pace co’ Veneziani si volse contro i Francesi. Nella battaglia di Ravenna nel 1512, ei si vide morire al fianco il padre Benedetto e il fratello Tito; e fu egli stesso a gran pericolo della vita; perciochè, ferito e gittato a terra, fu pesto da seicento piè di cavalli, e lasciato per morto , finchè tornato in sè stesso, dopo alcuni giorni, potè ritrovare f aquila imperiale affidata al suo fratello Tito , e con essa venne innanzi a Massimiliano, da cui fu accollo e premialo [p. 2170 modifica]21^0 LIBRO con grandi onori. Accompagnò poscia i cadaveri del padre e del fratello a Ferrara, ove era Berenice sua madre, la quale otto giorni dopo morì di dolore. Alfonso I duca di Ferrara y ricordandosi della parentela che due volte avean avuta gli Estensi cogli Scaligeri, gli assegnò un’annua raggu arde voi pensione. Ciò non ostante avea egli risoluto di farsi frate francescano, e venuto era a Bologna per apprendere la teologia di Scoto. Ma cambiò presto parere, e prese invece a continuare gli studj della letteratura e della filosofia. Nel 1518 passò a Torino, ed ivi, conosciuto dal vicerè francese , ebbe il comando di una compagnia di cavalleggieri, coi quali egli faceva continuamente scorrerie e prodezze maravigliose. Nè cessava frattanto dal coltivare gli studj della lingua greca , della filosofia , e ancor della medicina; e in tal maniera passò più anni in Torino; finchè nel 1525, insieme con uno della famiglia della Rovere, cbe era vescovo di Agen , passò in Francia , e nella detta città stabilì la sua dimora. Questi sono in breve i gloriosi sogni de’ due Scaligeri , i quali ciò non ostante ottennero di esser allor creduti anche da’ dotti uomini, e fra gli altri dallo storico de Thou. Gasparo Scioppio ne scrisse e ne pubblicò una voluminosa confutazione , intitolata Scaliger Hypobolimaeus, in cui passo passo vien ribattendo la lettera di Giuseppe, in cui tante favole sono comprese , e vi scuopre fino a 500 bugie; opera scritta , è vero, con troppa asprezza, e in cui egli ancora si appoggia troppo talvolta a’ popolari rumori, e spaccia più cose o false, o almen [p. 2171 modifica]TERZO dubbiose. Ma tante sono le falsità delle quali il convince , tante le contraddizioni che vi osserva , che fa stupore il vedere che lo Scaligero avesse pur coraggio di fargli risposta. Io non mi tratterrò a confutare cotai pazzie, che più in breve sono state confutate anche dal marchese Maffei (Ver. illustr. par. 2, p. 300). Basti il riflettere che se Benedetto e Giulio Cesare fossero stati que’ sì prodi guerrieri che si vorrebbon far credere, non vi sarebbe storico delle guerre di que’ tempi che non ne ragionasse , mentre al contrario non v1 è pur uno che ne faccia parola. Innoltre noi abbiamo altrove parlato di Benedetto Bordone miniatore e autore dell1 Isolano, e abbiamo allora recati non pochi argomenti che questi, il qual fu tutt’altro che uom potente e guerriero, fu appunto il padre di Giulio Cesare. Il testimonio del Giraldi, da noi allora recato, il quale chiaramente afferma che Giulio Cesare Scaligero era prima detto Bordone, è troppo autorevole, perchè possa restarne dubbio; e Giuseppe di lui figliuolo cerca invano di schermirsene , dicendo che suo padre era allora soprannomato in Italia il conte di Burden, e che per errore di stampa si legge nell’opere del Giraldi il cognome di Bordone. Un altro argomento recherò io qui solamente a smentire le imposture degli Scaligeri. Tra l’an 1518 e’ ’l 1523 , secondo Giuseppe, Giulio Cesare di lui padre fu sempre in Torino. Or prendansi in mano le lettere di Bartolommeo Ricci, ed una se ne vedrà scritta allo Scaligero da Ferrara a’ 15 di marzo del if>5(>, nella quale dolcemente si duole che a più lettere [p. 2172 modifica]2 1^2 LIBRO scrittegli non abbia risposto; dice che consegna questa al suo principe Alfonso d1 Este, che andavasene in Francia, e che il prega a ricordarsi dell’amicizia che stretta avea con lui in Venezia 35 anni addietro, com’ei riconlav a si del frutto che dal conversare con lui raccolto avea pe’ suoi studj: Quando cui ni rccordor, gli dice tra le altre cose (Op. t. 2. par. 2, p. 489), (quantum tuis fidelissimis monitis , cum una Venetiis agebamus, mea studia juveris, non possum eorum cum primas tibi facile tribuere, tum hoc modo per lite ras memor esse. Mi Juli, Riccio tuo tandem post trigesimus quintum arili uni te vivere... isthinc quoque significa. Ecco dunque lo Scaligero pacifico tra’ suoi studj in Venezia 35 anni prima deli556, cioè circa il 1521, quando Giuseppe vorrebbe persuaderci eli’ ei fosse capitano in Torino. E ciò basti per saggio delle solenni imposture che amendue gli Scaligeri hanno osato di tramandare alla posterità , lusingandosi eli’ ella potesse esser sì cieca, che non mai giugnesse a scoprirle. LX. Noi crederem dunque invece che Giulio Bordone fosse figliuolo di Benedetto Bordone, probabilmente di patria padovano , e miniatore in Venezia, e soprannomato dalla Scala, o per f insegna che alla sua bottega avea posto, o pel luogo in cui essa era situata; che fino al 1525, cioè fino all’anno 42 della sua età, si trattenesse modestamente ora in Venezia , ora in Padova , studiando ed esercitando la medicina; che frattanto sotto il vero suo nome di Giulio Bordone pubblicasse quegli opuscoli de’ quali abbiam fatta menzione parlando del padre, e [p. 2173 modifica]TF.RZO 2173 il poemetto poc’anzi accennato; e che offertaglisi poscia qualche occasione, eia speranza di migliori vantaggi, passasse ad Agen in Francia; la qual cosa è forse la sola che nel racconto da noi riferito si narra con verità. Ei non sapeva ancor bene di esser disceso dagli antichi Scaligeri, nè di esser conte di Burden; e perciò, avendo chiesta al re Francesco I nel 1528 una patente di naturalista, affine di esercitare liberamente la sua professione, non altro nome egli prese che quello di Giulio Cesare della Scala de Bordons Dottore in Medicina , natio della Città di Ve rana in Italia. Quando poscia nel 1529 ebbe presa a sua moglie Andietta di Roques , nata di nobile e agiata famiglia in Agen, allora cominciò a pubblicare più francamente le sognate grandezze, senza riflettere cbe era cosa troppo pericolosa lo spacciarsi per gran signore e parente delle famiglie sovrane, e non poter mostrarne alcun documento , nè additare un principe che lo riconoscesse per tale; ed essere anzi costretto a procacciarsi il vitto, esercitando la medicina. Questa fu la professione in cui lo Scaligero si occupò, finchè visse; ed essa non gli fu inutile, che anzi ne raccolse egli non poche ricchezze. Morì in età di settantacinque anni, a’" 21! di ottobre del 1558 , e fu sepolto nella chiesa degli Agostiniani. Giuseppe di lui figliuolo, che abbandonò poi la cattolica religione, esalta le virtù morali del padre con lodi eguali a quelle con cui ne esalta la nobiltà. Io desidero che le prime sien meglio fondate che le seconde. Ma il vedere per una parte che Giuseppe dice di suo [p. 2174 modifica]2 174 LIBRO padre ch’era sì nimico della bugia, che non potea soffrir coloro che cadevano in tal difetto , e il riflettere per l’altra alle cose che Giulio Cesare ci volle far credere intorno alla sua nobiltà, e allo sfacciato mentir ch’egli fece in tal materia, mi sforza a dubitare alquanto della sincerità di sì gran lodi. Noi però, lasciando da parte il carattere morale dello Scaligero , esaminiamone solo il sapere, e le opere in cui egli ce ne ha lasciate le pruove. Oltre quelle da lui pubblicate sotto il vero suo nome di Giulio Bordone in Italia, egli si esercitò in tradurre e in comentare diverse opere di Aristotele, di Teofrasto e d’Ippocrate, appartenenti alla storia naturale e alla medicina, delle quali si può vedere il catalogo presso il P. Niceron (Mèm, des Homm. illustr. t 23, p. 258) e presso il Chaufepiè (Dict. histor. crit. V. Se aliger.), che sono i due scrittori che più ampiamente han trattato dello Scaligero. Ma queste non furono le sole scienze nelle quali Giulio Cesare volle occuparsi. Abbiamo altrove veduto ch’ei volle azzuffarsi col famoso Cardano, e impugnare f opera de Subtilitate da lui pubblicata; ma che il fece con poco felice successo. Miglior causa prese egli a sostener contro Erasmo, impugnando con due orazioni il dialogo da lui dato alla luce col titolo di Ciceronianus; ma la buona causa fu da lui renduta men buona colle ingiuriose espressioni, delle quali si valse oppugnando il suo avversario. Avea lo Scaligero fatto un lungo e diligente studio sulla lingua latina; e perciò, non pago di aver difeso contro Erasmo gli imitatori di Cicerone, volle [p. 2175 modifica]TERZO 3iy5 espressamente trattare delle qualità e de’ pregi della detta lingua, e pubblicò in Lione nel 1540 i xiii libri De causis linguae latinae. La qual opera fu la prima di questo argomento che si vedesse scritta con metodo non pedantesco, ma filosofico; benchè essa pure abbia non poche cose o inutili, o soverchiamente sottili. Vuoisi clic un1 altra voluminosissima opera in xxiv libri avesse egli composta sulle Etimologie della lingua medesima; ma che non potesse ritrovare stampatore che se ne incaricasse, di che probabilmente non abbiam molto a dolerci. Io passo sotto silenzio le lettere e le poesie latine, e queste per lo più non molto felici, e altri opuscoli di diversi argomenti dello Scaligero, de’ quali parlano lungamente i due sopraccennati scrittori, e mi ristringo a dir solo in breve della Poetica divisa in sette libri. Non può negarsi che non sia questa la più erudita opera di questo genere, che ancor si fosse veduta; ed essa ci scuopre il grande studio che su’ poeti greci e latini fatto avea lo Scaligero, e insieme l’acuto ingegno di cui era fornito. Ma all’erudizione e ali’ ingegno non era in lui pari il discernimento ed il gusto. Un uomo a cui Seneca il tragico sembra non inferiore in maestà ad alcuno de’ Greci, e superiore in eleganza allo stesso Euripide; che in Catullo non vede se non cose basse e triviali; che crede le Satire di Giovenale tanto migliori di quelle di Orazio, quanto queste son migliori di quelle delle vecchio Lucillo, mostra abbastanza qual gusto abbia per la poesia. L’ordine innoltre è intralciato e confuso; le osservazioni son lutto [p. 2176 modifica]sul materiale, per così dire, della poesia; nulla vi ha intorno alle intrinseche sue bellezze, nulla del genio e dell’entusiasmo poetico; ma vi si veggon soltanto minuzie gramaticali che invece di addestrare i giovani poeti a un nobile e ardito volo, ne incatenano in certo modo l’ingegno, e il fanno schiavo di quelle puerilità delle quali un vero poeta non soffre il giogo. Quindi a me pare che troppo esagerate sieno le lodi con cui l’hanno esultata il l’ossio, il Casaubono, il Lipisio ea’altri scrittori citati dal Pope Blount (Censura celebr. Auct. p. 600), da’ quali egli è detto uomo divino, e il più dotto che mai vivesse; elogi, i quali a me sembra che non si possano adattare allo Scaligero, senza oscurar la fama di tanti altri che a una erudizione e a un ingegno non inferiore, e forse anche maggior di quello di cui fu egli fornito, congiunsero assai miglior gusto e assai più (fino discernimento.