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1978 Liimo egli stesso nella seconda elegia del libro III de’ suoi Amori: Sic miser ingratae decrevi virginis ora Deserere, et patrio quam procul esse solo. Non potuit genitrix, canos laniata capillos Ante pedes nati vertere corda sui: Non valuit fraternus amor, nil turba sororum, Quin sponte a patria sim vagus exul humo. E poco appresso: Per varios calles tranataque flumina et alpes Fit miseri Latium terminus exilii. Tunc licui primum Romanas cernere turres, Romuleasque domos, moenia, rura, viros. In Roma si trattenne più anni esercitando la medicina, caro a letterati che ne conoscevano il valore, ma ciò non ostante non molto felice nel radunare ricchezze; perciocchè, come il Giovio e il Giraldi affermano, essendo egli per naturale amore di libertà poco amante della corte, ei fu dalla corte medesima dimenticato. Nell an 1527 tornò a Sinigaglia, ed ivi visse tranquillo fra i suoi studi fino alla morte, da cui fu preso, secondo il Giovio. in età di settari’ anni. Ei vivea ancora a' 29 di settembre del 1540, come si raccoglie dal testamento di Paolo di lui fratello, segnato in quel giorno. Ma è probabile che non molto sopravvivesse. IV. Or venendo a poeti viventi a' suoi tempi in Roma, che si lodano dall'Arsilli, egli indirizza il suo poemetto a Paolo Giovio, e comincia dal fare le maraviglie come a quei’ tempi fioriscano tanti e sì valorosi poeti, mentre pure sì scarsi erano i premj alle lor fatiche renduti;