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3090 unno quando, dopo una penosa malattia, finì di VU vere in Roma co’ più vivi contrassegni d:fpr_ vente e sincera pietà a’ 18 di febbraio del 1550 in età di soli cinquantadue anni. Io non so che siasi mai sì universalmente pianta la morte di alcun uomo dotto, quanto fu quella del Flaminio. Al fine dell’edizione cominiana si possono vedere le lettere e le poesie da molti scritte in quell’occasione, le quali fan chiaramente conoscere quanto essi fossero per tal nuova costernati ed afflitti. Le lettere singolarmente di Pier Vettori, del Polo, del Ricci del Manuzio son tali che appena si posson leggere senza legrime. Morì il Flaminio, dice il Manuzio (Lett. volg", p. 51), e morì insieme la gentilezza, la bontà, la gloria de’ buoni Qual è si duro cuore, che non s’intenerisca pensando alla sua morte? E il Ricci, trasportato dal suo dolore, o Flamini, esclama (Op. t. 3, p. 238), o vir Christiane , o aetatis nostrae nobilium studiorum splendor et decus! ut te nimis cito Deus ad se accersivit! ut integerrimae vitea exemplum terris abstulit! ut bonarum artium studia quasi viduavit! nosque amicos tuos ea consuetudine privavit, qua nulla jucundior, nulla honestior, nulla sanctior reperiri posset! A questi e ad altri passi, recati nella citata edizione, si posson ag* giugnere due lettere, una del Paleario al cardinale Bernardino Maffei, l’altra in risposta del cardinale al primo (Palear. Epist. l. 4, ep. 23, 24), nella seconda delle quali così dice quel dottissimo cardinale: Et quidem illius viri mors literis ob praestantem doctrinae omnis atque ingenii elegantiam, religioni ob admirabilem morum et