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TF.IlZO 20o3 E avendo poco appresso soggiunto il Querno: Porrige, quod faciat mihi carmina docta Falernum, Il! papa replicò tosto: Hoc etiam enervat, debilitatque pedes, alludendo alla podagra da cui il bevitor poeta era malconcio. Avveniva però a lui ciò che suole avvenire a’ buffoni, cioè che agli applausi si frammischiavan talvolta gl’ insulti e ancor le percosse. Ed egli ebbe innoltre la confusione di vedersi più volte vinto dal Marone, che gli era superiore di troppo. E ciò fu cagione che il Querno cominciò a frequentar più di raro le cene del pontefice, nelle quali ei dovette finalmente conoscere di essere il trastullo della brigata. Dopo la morte di Leon X, come narra il Giovio, andossene a Napoli, ove, benchè avesse qualche tenue provvisione (Tafuri, Scritt. napol. t. 3, par. 1, p. 225), si ridusse nondimeno a tale estremo di povertà, che caduto infermo, e ricoveratosi in uno spedale, ivi, come afferma lo stesso Giovio, lacerandosi da se stesso colle forbici il ventre e le viscere, disperatamente si uccise. Di lui non si ha alle stampe che un poemetto sulla Guerra di Napoli, stampato in questa città nel 1529), ma da me non veduto. XI. Insieme col Querno ricorda il Giraldi alcuni all ri poeti, che ammessi alle cene del mentovato pontefice cercavano di dare ad esso diletto, e di ottenere a lor medesimi applauso coll improvvisare in latino, ma per lo più ili Tiiudoschi, Voi. XJII. 3 /