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TERZO *999 fu certamente per qualche tempo il Marone, ma non si sa nè a quale occasione, nè quando. Dalla corte di Ferrara passò poscia a quella di Leon X, che fu pel talento di Andrea il più luminoso teatro. Il Giovio (Elog. p. 44) > il Giraldi (l. c. p. 540), il Valeriano (De Liter. Infel p. 26), tutti scrittori di que’ tempi, e che aveanlo conosciuto ed udito, ci dicono cose maravigliose della facilità ch’egli avea nell’improvvisare latinamente su qualunque argomento gli venisse proposto. Al suono della viola, ch’egli stesso toccava, cominciava a verseggiare, e quanto più avanzavasi, tanto più parea crescergli la facondia, la facilità, l’estro e l’eleganza. Lo scintillar degli occhi, il sudore che gli piovea dal volto, il gonfiarsegli delle vene, facea fede del fuoco che internamente lo ardeva, e teneva sospesi e attoniti gli uditori, a’ quali sembrava che il Marone dicesse cose da lungo tempo premeditate. Molte pruove egli fece di questo suo raro talento innanzi al pontefice Leon X, le cui cene erano, per così dire, il campo in cui i poeti venivan tra loro a contesa; e una volta singolarmente che in un solenne convito dato agli ambasciadori e a’ più ragguardevoli personaggi di Roma, egli invitato a improvvisare sulla sacra lega che allor trattavasi contro il Turco, cominciò con quel verso: Infelix Europa diu quassata tumultu Bellorum, ec. E seguì lungamente con tal plauso di tutta quell’augusta assemblea, che il pontefice gli fe’ tosto