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TERZO 2015 XIV. Più a lungo mi tratterrò io nel ragionar del secondo de’ mentovati poeti, cioè di Benedetto Lampridio di patria cremonese, poichè poco è ciò che di lui ci ha detto l'Arisi (Creinoti. litter. t. 2, p. 95), ed egli ha troppo diritto di rimanere immortale ne fasti della nostra letteratura. Ei dovette nascere verso la fine del secolo precedente, e in età ancor giovanile recarsi a Roma, ove la prima stanza ch'egli ebbe, fu nella casa di Paolo Cortesi, di cui abbiam a lungo parlato altrove (t 6, par. 1). Così afferma lo stesso Paolo: Lampridius Cremonensis Grammaticus hospes familiae nostrae (De Cardinal, p. 242). Passò egli quindi nel collegio de’ Greci, istituito a’ tempi di Leon X da Giovanni Lascari, e dotto, com’ egli era, nell’una e nell’altra lingua, giovò non poco all’istruzion di que’ giovani (Jovius Elog. p. 62). Morto nel 1521 il suddetto pontefice, il Lampridio passò a Padova, ove si trattenne più anni, non già insegnando pubblicamente, ma tenendo scuola privata, con guadagno più che con gloria, dice il Giovio, il quale attribuisce ad orgoglio del Lampridio il non aver mai voluto salire sulla cattedra per non venir con altri al confronto. Ma in ciò sembra che il Giovio si lasciasse trasportare da un cotal suo genio di unir la satira all elogio, che in quell’ opera spesso si scorge. Perciocchè è certo che il Lampridio fu in Padova applaudito e stimato, e che, benchè non fosse pubblico professore, recò nondimeno giovamento ed onore a quella università: Il nostro M. Lampridio, scrive il Bembo da Padova nel 1530 (Lettere, t. 2, l. 10,