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Il)7a LIBRO fu, per quanto a me sembra, maggior di quella degl’incolti, e gli scrittori in essa eccellenti superarono in numero gli scrii tori di eccellenti poesie italiane. Nè mi pare che sia a stupirne, io ne ho altrove accennato ancor la ragione. La lingua italiana essendo a noi natìa, e, per così dire, domestica, ognuno lusingasi di leggieri di poter in essa scrivere felicemente j e il metro della volgar poesia è per se stesso sì facile, che molti si persuadono che ad esser poeta basti il volerlo. Qual cosa in fatti più agevole che il far quattordici versi, e persuadersi di aver fatto un sonetto? Or per ciò appunto che sembra aperta ad ognuno 1 la porta del Pindo italiano, infinita è la voi- j gar turba che si affolla ad entrarvi. Ma quanto I pochi son quelli a’ quali venga fatto di es- I servi con onor ricevuti! Quanto è minore la pena che si pruova nello scrivere in una lingua, I tanto è più difficile lo scrivere con eleganza f j e quanto è più veloce la penna, tanto meno si affatica l ingegno, e quindi fra sì gran numero 1 di rimatori sì scarso è il numero de’ poeti. Al contrario chiunque si accinge a poetare in lin- 1 gua latina, dee necessariamente conoscere che j non può ottenerlo senza far molto studio sugli antichi scrittori, da’ quali soli se ne può apprender la norma e l esempio. Egli è dunque costretto a leggere e a rilegger più volte i più perfetti modelli della poesia latina, e con tale attenta lettura ei si viene passo passo formando a quella maniera di pensare e di scrivere che in essi osserva. Egli è vero che senza un vivo ingegno e una fervida fantasia ei non sarò