Manuale di economia politica con una introduzione alla scienza sociale/Capitolo II

Capitolo II - Introduzione alla scienza sociale

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CAPITOLO II.

Introduzione alla scienza sociale


1. Fondamento dell’economia politica ed in generale di ogni scienza sociale è evidentemente la psicologia. Verrà forse un giorno in cui potremo dedurre dai principii della psicologia le leggi della scienza sociale, come forse verrà giorno in cui i principii della costituzione della materia ci daranno, per via di deduzione, tutte le leggi della fisica e della chimica; ma per ora siamo lontani assai tanto da questa come da quella cosa, e conviene tenere altra via. Dobbiamo cioè prendere le mosse da alcuni principii empirici, per spiegare i fenomeni della sociologia, come quelli della fisica e della chimica. [p. 36 modifica]In avvenire, la psicologia, allungando ognora più a catena delle sue deduzioni, la sociologia, risalendo a principii ognora più generali, potranno congiungersi e costituire una scienza deduttiva. Ma di tali speranze non è tempo di fare caso.

2. Per mettere un poco d’ordine nell’infinita varietà delle azioni umane che dobbiamo studiare, gioverà classificarle secondo certi tipi.

Due di questi si parano subito a noi dinnanzi. Ecco un uomo bene educato che entra in un salotto; egli si toglie il cappello, pronunzia certe parole, compie certi atti. Se a lui chiediamo perchè, non saprà dirci altro se non che così è l’uso. Similmente egli opera in cose di ben maggiore momento. Se egli è cattolico e sta a sentire la messa, compie certi atti «perchè così si deve fare». Di molte altre sue azioni darà per motivo che così vuole la morale.

Ma lo stesso uomo sta nel suo studio e compra una gran quantità di grano. Egli non dirà più che opera in tal modo perchè così si usa, ma la compra del grano sarà l’ultimo termine di un seguito di ragionamenti logici, che muovono da certi dati sperimentali; mutando quei dati, muterebbe anche la conclusione, e quell’uomo potrebbe astenersi dal comperare, oppure anche potrebbe vendere grano.

3. Possiamo dunque, per astrazione, distinguere: 1.° Le azioni non-logiche; 2.° Le azioni logiche.

Diciamo: per astrazione, poichè nelle azioni reali i tipi sono quasi sempre mescolati, e un’azione può essere in massima parte non-logica ed in piccola parte logica, o viceversa.

Per esempio, le azioni di uno speculatore alla borsa sono certamente logiche; ma dipendono anche, sia pure in piccola parte, dal carattere di [p. 37 modifica]quell’individuo, e per tal modo sono pure in parte non-logiche. È ben noto che vi sono individui che più facilmente operano al rialzo; altri al ribasso.

Bisogna badare bene che non-logico non vuol già dire illogico; cioè un’azione non-logica può essere quanto di meglio sarebbe dato di trovare, coll’osservazione dei fatti e colla logica, per adattare i mezzi al fine; ma quell’adattamento è stato ottenuto per altra via che quella di un ragionamento logico.

Per esempio è noto che le cellule degli alveari delle api sono terminate da una piramide, la quale, col minimo di superficie, quindi colla minore spesa di cera, racchiude il massimo volume, cioè la maggiore quantità di miele. Ma nessuno suppone che ciò accada perchè le api abbiano risoluto col sillogismo e la matematica un problema di massimo; evidentemente è un’azione non-logica, sebbene i mezzi sono perfettamente adattati al fine, e che quindi l’azione è lungi dall’essere illogica. Eguale osservazione si può fare per molte e molte altre azioni che usualmente si dicono istintive, sia nell’uomo sia negli animali.

4. Occorre osservare che l’uomo ha una tendenza spiccatissima a figurarsi come logiche le azioni non-logiche. Tale tendenza è dello stesso genere di quella per cui l’uomo anima, personifica, oggetti e fenomeni materiali. E così questa come quella hanno appoggio nel linguaggio volgare, il quale, serbando le traccie dei sentimenti che esistevano quando si è formato, personifica cose e fatti, e li presenta come risultamenti di logiche volontà.

5. La tendenza a figurarsi come logiche le azioni non-logiche si attenua e diventa la tendenza, egualmente errata, a considerare le relazioni tra i [p. 38 modifica]fenomeni come aventi la sola forma di relazione di causa ad effetto, mentre ben più spesso tra i fenomeni sociali le relazioni esistenti1 sono quelle di mutua dipendenza. Bisogna notare che le relazioni di causa ad effetto sono ben più facili da studiarsi che quelle di mutua dipendenza. La logica ordinaria basta in molti casi per le prime: mentre le seconde richiedono spesso una qualità speciale di ragionamenti logici, cioè i ragionamenti matematici2.

6. Sia A un fatto reale e B un altro fatto reale, i quali stanno tra di loro in relazione di causa ad effetto, oppure anche di mutua dipendenza. Diremo oggettiva tale relazione.

Ad essa corrisponde, nella mente dell’uomo, una altra relazione A' B', che è propriamente relazione tra due concetti della mente umana, mentre A B era relazione tra due cose. A quella relazione A' B' daremo il nome di soggettiva.

Se troviamo esistere nella mente degli uomini di una data società una certa relazione A' B', possiamo ricercare: α) Quale sia l’indole di tale relazione soggettiva, se i termini A' B' hanno un significato preciso, se tra essi esiste, o non esiste, un nesso logico. β) Quale relazione oggettiva A B corrisponde a quella relazione soggettiva A' B'. γ) Come ha e come vien determinata quella relazione soggettiva A' B' [p. 39 modifica]δ) In qual modo la relazione A B si è trasformata nella relazione A' B'. ε) Quale effetto abbia sulla società l’esistenza di quelle relazioni soggettive A' B', sia che corrispondano a qualche cosa di oggettivo A B, sia anche quando sono interamente imaginarie.

Quando ad A B corrisponde A' B', i due fenomeni si svolgono parallelamente; l'ultimo nel caso in cui diventa un poco complesso, riceve il nome di teoria. Si ritiene per vera (I, 36) quando in ogni suo svolgimento A' B' corrisponde ad A B, ossia quando teoria ed esperienza procedono d’accordo. Non vi è, non vi può essere, altro criterio di verità di una teoria.

7. Già accennammo (I, 10) che di nessun fenomeno naturale possiamo conoscere tutti i particolari, quindi la relazione A' B' sarà sempre incompleta in paragone della relazione A B, e non fosse altro che per tale cagione, mai quelle relazioni potranno interamente coincidere, mai il fenomeno soggettivo potrà essere una copia rigorosamente fedele del fenomeno oggettivo.

8. Ma ben altre cagioni possono allontanare l’uno dall’altro quei fenomeni. Se per lo scienziato che studia sperimentalmente i fatti naturali nel suo laboratorio, il fenomeno soggettivo si avvicina quanto è possibile al fenomeno oggettivo, per l’uomo invece a cui fa velo il sentimento e la passione, il fenomeno soggettivo può divergere tanto dal fenomeno oggettivo da non avere più nulla di comune con esso.

9. Bisogna notare che il fenomeno oggettivo non si presenta alla nostra mente se non sotto forma di fenomeno soggettivo, onde propriamente questo, non [p. 40 modifica]quello, è cagione delle azioni umane; e il fenomeno oggettivo per operare su di esse deve trasformarsi prima in fenomeno soggettivo3. Da ciò la somma importanza per la sociologia di studiare i fenomeni soggettivi e le relazioni in cui stanno coi fenomeni oggettivi.

Le relazioni tra i fenomeni soggettivi sono ben di rado copia fedele delle relazioni tra i fenomeni oggettivi corrispondenti. Spessissimo si osserva la differenza seguente. Certi uomini, sospinti dalle condizioni della vita, compiono certe azioni P...Q; poscia quando si fanno a ragionarvi sopra scoprono, o credono di scoprire, un principio comune a P...Q, ed allora si figurano che hanno compiuto P...Q, come conseguenza logica di quel principio. In realtà P...Q non sono conseguenza del principio, ma sì bene il principio è conseguenza di P...Q. È ben vero che, quando poi il principiò è stabilito, ne seguono azioni R...T, che da esse si deducono, onde, la proposizione riprovata è solo in parte falsa.

Tutto ciò si vede bene nelle leggi del linguaggio. La grammatica non ha preceduto, ma ha seguito la formazione delle parole. Ma le regole grammaticali, dopo che furono stabilite, hanno dato origine a qualche forma, che si è aggiunta a quelle esistenti.

In conclusione facciamo due parti delle azioni P...Q; R...T; la prima, P...Q, che è più numerosa ed importante, preesiste al principio che pare regolarla, la seconda R...T, che è accessoria e spesso di pochissimo momento, è conseguenza del principio; o, in altro modo, è conseguenza indiretta [p. 41 modifica]stesse cause che direttamente hanno dato P...Q.

10. I fenomeni A' e B' del § 6 non corrispondono sempre a fenomeni reali A, B; spessissimo accade che A' o B', o anche tutti due, non corrispondono a nulla di reale, sono entità esclusivamente imaginarie. Inoltre la relazione tra A' e B' può essere logica solo in apparenza e non in realtà4. Da ciò nascono vari casi che è opportuno distinguere.

11. Sia A un fenomeno reale di cui un altro fenomeno pure reale B è conseguenza. Vi è una relazione oggettiva di causa ad effetto tra A e B. Se un uomo ha concetti più o meno grossolanamente approssimati di A e di B, e pone quei concetti in relazione di causa ad effetto, ottiene una relazione A' B', che è imagine più o meno fedele del fenomeno oggettivo. Di tale genere sono le relazioni che scopre lo scienziato nel suo laboratorio.

12. Si può ignorare che B è conseguenza di A e credere che sia invece conseguenza di altro fatto reale C; o si può, pure sapendo che B Fig. 1.è conseguenza di A, deliberatamente volerlo considerare come conseguenza di C.

Il primo caso è quello di errori scientifici: e sempre se ne avranno esempii, perchè fallibile è l’uomo. Il secondo caso si osserva nelle finzioni legali; nei ragionamenti che usano fare i partiti politici, per opprimersi vicendevolmente, o in altre simili circostanze; è così che ragiona, nella favola, il lupo che vuole mangiare l'agnello. La maggior [p. 42 modifica]parte dei ragionamenti che si fanno per imporre balzelli è di tale fatto: si dice che si vogliono porre quei balzelli B in relazione con un certo principio di giustizia, o d’interesse generale C; ma in realtà B è legato, come effetto o causa, al tornaconto A della classe dominante. Infine al caso presente si può pure riferire, almeno in parte, l’origine della casuistica5.

13. Sinora discorremmo di tre fatti reali A, B, C; ma nelle speculazioni umane intervengono spessissimo fatti interamente imaginari.

Può uno di questi casi imaginari M essere posto in relazione logica col fatto reale B; il quale errore, che è frequente ancora nelle scienze sociali, era Fig. 2.pure, in altri tempi, solito nelle scienze fisiche. Per esempio, si toglie l’aria da un tubo comunicante con un vaso pieno d’acqua; la pressione dell’aria sulla superficie dell’acqua è il fatto A, il salire dell’acqua nel tubo è il fatto B. Tale fatto si è voluto spiegare con altro fatto interamente imaginario M, cioè coll’«orrore della natura pel vuoto», il quale ha effettivamente B per conseguenza logica. Al principio del secolo XIX la «forza vitale» spiegava infiniti fatti biologici. I sociologi contemporanei spiegano e dimostrano molte cose col «progresso». I «diritti naturali» hanno avuto e seguitano ad avere molta parte nella spiegazione dei fatti sociali. Per molti, che hanno imparato un poco come i pappagalli lo teorie socialiste, il «capitalismo» spiega tutto ed è cagione di ogni male che si osserva nell’umano consorzio. Altri discorre della «terra libera», che [p. 43 modifica]veramente nessuno ha mai veduto; e ci si narra che tutti i mali della società nacquero il dì in cui «l’uomo fu separato dai mezzi di produzione». Quando sia stato quel dì non si sa; forse fu quello in cui Pandora aprì il vaso, oppure quello in cui il lupo e l’agnello discorrevano.

14. Quando si fa uso di fatti imaginari M, potendosi scegliere quello che si vuole, parrebbe che almeno si dovrebbe avere cura che logico fosse il legame MB; eppure ciò sempre non accade, sia perchè la logica ripugna a certi uomini, sia perchè si mira ad operare sul sentimento. E segue altresì spesso che il fatto imaginario M è posto in relazione con altro fatto imaginario N, con nesso logico, e anche con nesso illogico. Di quest’ultimo caso si trovano non pochi esempi nella metafisica e nella teologia, nonchè in certi scritti filosofici come nella Filosofia della natura dello Hegel6.

Cicerone (De nat. deor., II, 3) cita un ragionamento mercè il quale, dall’esistenza della divinazione M, si deduceva l’esistenza N degli Dei. In altro scritto, egli cita un ragionamento inverso, pel quale dalla esistenza degli Dei si deduce quella della divinazione7; e tosto ne mostra la vanità.

Tertulliano sa come accade che i demoni possono predire la pioggia; ciò segue perchè, portati per l’aria, la sentono prima che giunga in terra8. [p. 44 modifica]

Nel medio-evo, quando gli uomini volevano comporre alcuna teoria, erano quasi invincibilmente tratti a ragionare, o meglio a sragionare, in quel modo; e se mai per un caso singolarissimo alcuno ardiva manifestare qualche dubbio, era perseguitato, come nemico di Dio e degli uomini, da coloro che, per fermo, erano in assoluto contrasto col buon senso e colla logica. Più tardi, le incomprensibili dispute sulla predestinazione, sulla grazia efficace, ed altre simili, ed ora le divagazioni sulla solidarietà, dimostrano come gli uomini non si distacchino da quei sogni, che solo dalle scienze fisiche poterono essere banditi, mentre in quelle sociali non cessano di aver luogo.

15. Se una relazione oggettiva A B combacia approssimativamente con una relazione soggettiva A' B' nella mente di un uomo, costui, ragionando Fig. 3.logicamente, potrà trarre da A', altre conseguenze C' D', ecc., che non si discosteranno troppo dai fatti reali C, D, ecc. Invece, se M essendo una cagione imaginaria, o anche un fatto reale diverso da A, la relazione oggettiva A B corrisponde alla relazione soggettiva M B', nella mente di un uomo, costui, sempre ragionando logicamente, trarrà certe conseguenze N, P, Q, ecc., che nulla hanno di reale. Se esso dunque paragona le sue deduzioni alla realtà, con animo di ricercare solo il vero e senza che qualche forte emozione a lui faccia velo, s’accorgerà che la cagione di B non è M; e così poco alla volta, ognora sperimentando, e paragonando le deduzioni teoriche alla realtà, modificherà la relazione soggettiva M B' e la sostituirà con altra A' B', che maggiormente si avvicina alla realtà. [p. 45 modifica]

16. Di tale genere sono gli studii sperimentali dello scienziato, e di tale genere sono pure molte altre azioni pratiche dell’uomo, tra le quali porremo quelle che studia l’economia politica. Tali azioni vengono ripetute molte e molte volte, in condizioni diverse, per modo che si abbiano da esaminare molte conseguenze di A, oppure di M, e che perciò si possa, ove concorrano altre condizioni soggettive, aver un fedele concetto delle relazioni oggettive.

17. Chi invece è tratto rare volte ad operare secondo la relazione A B, o la compie sempre in identiche condizioni, oppure soggiace a forti impressioni del sentimento, può benissimo avere della relazione A B un concetto in parte imaginario M B' e talune volte un concetto interamente imaginario M N.

18. La teoria del primo genere di azioni è essenzialmente diversa dalla teoria del secondo genere. Di questa saranno dati ora brevissimi cenni, mentre il presente manuale ha principalmente per oggetto lo studio di quelle.

Notisi intanto che, nella vita sociale, il secondo genere di azioni ha parte notevolissima e di gran momento. Ciò che dicesi morale e costume ne dipende interamente. Sta di fatto che sinora nessun popolo ha avuto una morale scientifica e sperimentale. I tentativi fatti da filosofi moderni per ridurre la morale a tale forma riescirono vani; ma quando anche si volesse ritenerli concludenti, rimarrebbe sempre che non escono da un ristrettissimo cerchio e che i più degli uomini, quasi tutti, li ignorano interamente. Similmente sorge ogni tanto qualcuno che nota il carattere anti-scientifico, anti-sperimentale, di certi usi o costumi; e ciò può dare luogo [p. 46 modifica]a discrete produzioni letterarie, ma non ha solitamente la menoma efficacia per mutare quegli usi o costumi, i quali solo si trasformano per ben altre cagioni.

Vi sono certi fenomeni ai quali nelle nostre società si dà il nome di etici o morali, che tutti credono conoscere perfettamente, e che nessuno ha mai saputo rigorosamente definire.

Non sono mai stati studiati da un punto di vista interamente oggettivo. Chi se ne occupa ha una qualche norma che vorrebbe imporre altrui, e da lui stimata superiore ad ogni altra. Egli quindi ricerca non già ciò che uomini di un dato tempo e di un dato paese chiamano morale, ma ciò che a lui pare doversi chiamare con quel nome; e quando pure degna studiare qualche altra morale, egli la vede solo attraverso ai proprii pregiudizi, e si contenta di paragonarla alla sua, che è misura e tipo di ogni altra. Quel paragone porta a varie teorie, implicite, od esplicite. La morale tipo è stata considerata come alcunchè di assoluto; rivelata od imposta da Dio, secondo il maggior numero; sorgente dall’indole dell’uomo, secondo alcuni filosofi. Se ci sono popoli i quali non la seguono ed usano, è perchè la ignorano, e i missionari hanno l’ufficio di insegnarla ad essi e di aprire gli occhi di quei miseri alla luce del vero; oppure i filosofi si daranno briga di togliere i densi veli che impediscono ai deboli mortali di conoscere il Vero, il Bello, il Bene, assoluti; i quali vocaboli sono spesso usati sebbene nessuno abbia mai saputo cosa significassero, nè a quali cose reali corrispondessero. Chi sottilizza su tale materia vede nei diversi generi di morale, taluno ora dice anche nelle varie religioni, uno sforzo dell’Umanità (altra astrazione del genere delle precedenti, [p. 47 modifica]sebbene un poco meno incomprensibile) per giungere alla conoscenza del sommo Bene e del Vero.

Nell’epoca moderna quei concetti si modificarono, forse più nella forma che nella sostanza, ma in ogni modo accostandosi un poco più alla realtà, e si ebbe la teoria della morale evoluzionista; ma non perciò venne abbandonato il concetto di una morale tipo, soltanto essa fu cacciata alla fine dell’evoluzione, di cui segna il termine, sia in modo assoluto, sia temporaneamente. S’intende che quella morale tipo, scelta e fatta proprio dall’autore che la propugna, è migliore di tutte quelle che la precedettero. Ciò si può, volendo, dimostrare col sussidio di un’altra bellissima e, ai giorni nostri, potentissima entità metafisica denominata Progresso; la quale ci affida che ogni termine dell’evoluzione segna uno stato migliore di quello dato dal termine precedente; e che, per certe sue virtù occulte, ma non perciò meno efficaci, vieta che quello stato possa diventare peggiore.

In realtà, e lasciando da parte quei discorsi vani od inconcludenti, tale morale tipo altro non è se non il prodotto dei sentimenti dell’uomo che la fa propria, sentimenti per la massima parte attinti nella società in cui vive quell’uomo, e per una minima parte suoi esclusivamente; ai quali dànno forma i sentimenti, e che lievemente modifica il ragionamento; ed essa non ha altro valore se non quello di manifestazione di quei sentimenti e di quel ragionamento.

Ma il suo autore non l’intende davvero così. Egli ha accolto quella morale spinto dal sentimento, e si pone il problema: come dimostrarla coll’esperienza e la logica? Così necessariamente incorre in pure logomachie, poichè quel problema è, per indole propria, insolubile. [p. 48 modifica]

19. Gli uomini, e probabilmente anche gli animali viventi in società, hanno certi sentimenti che in circostanze determinate dànno norma alle loro azioni. Quei sentimenti dell’uomo sono stati divisi in varie classi, tra le quali sono da notarsi quelle denominate: religione, morale, diritto, costume. I confini tra quello varie classi neppure ora si possono segnare con precisione, e fu tempo in cui tutte quelle classi erano indistinte e costituivano un insieme pressochè omogeneo. Esso non hanno precisa corrispondenza oggettiva e sono solo un prodotto della nostra mente; perciò è vano di ricercare, ad esempio, cosa sia oggettivamente la morale, o la giustizia. Eppure gli uomini in ogni tempo hanno ragionato come se morale e giustizia avessero esistenza propria, a ciò tratti dalla tendenza, che in essi è fortissima, di dare carattere oggettivo ai fatti soggettivi, e dal bisogno prepotente di ricoprire con una vernice logica le relazioni dei loro sentimenti. Simile origine hanno la maggior parte delle dispute teologiche, nonchè il concetto veramente mostruoso di una religione scientifica.

Morale e giustizia furono prima sottoposte alla divinità, ma poi sorsero a vita indipendente, e si volle persino, invertendo i termini, sottoporre lo stesso onnipossente alle loro leggi9. Il quale [p. 49 modifica]fenomeno è manifestazione dell’ondeggiare che fa la fede nella mente dell’uomo. Quando essa è strapotente, a tutto sovrasta il concetto della divinità; quando s’indebolisce, cede prima a concetti metafisici, come sono quelli accennati (§ 48), e poi a concetti sperimentali. Il movimento non ha luogo sempre per un verso, ma bensì segna larghe oscillazioni. Già Platone muoveva lite agli Dei dell’Olimpo in nome di astrazioni metafisiche; ci fu poscia un ritorno della fede, seguito da altre oscillazioni; sinchè nell’epoca moderna abbiamo teologi pei quali la credenza in Dio è diventata solo credenza nella «solidarietà», e la religione dileguasi in un nebuloso umanitarismo. Costoro credono di ragionare scientificamente perchè hanno quasi vuotato di ogni concetto di religione positiva il loro discorso, e non s’avvedono che essendo questo pure privo di ogni concetto sperimentale, rimangono solo parole vuote di senso, atte a null’altro che a suscitare in certi uomini, pel mero suono, sentimenti indefiniti, imprecisi, quali si hanno nel dormiveglia. Se si paragona qualche vita di santi scritta nel medio evo a quei vani discorsi, si vede che in questi come in quella egualmente mancano i concetti sperimentali, ma almeno quella s’intende, mentre questi sono incomprensibili. [p. 50 modifica]

20. Le ricerche che possono utilmente instituirsi su quei sentimenti sono rivolte a conoscere quale ne è l’indole, l’origine, la storia; in quali relazioni stanno fra di loro e con altri fatti sociali; le relazioni che possono avere coll’utilità dell’individuo e della specie (§ 6).

Anche occupandosi di tali ricerche, è ben difficile che gli uomini procedano in modo interamente sereno e scientifico; a ciò si oppone il profondo commovimento dell’animo che da esse ricevono. Solitamente chi ragiona dei sentimenti ora accennati ne fa due classi, e pone nella prima quelli in cui consente, che sono detti veri e buoni; nell’altra, quelli da cui dissente, che sono detti falsi e cattivi: e quell’opinione informa ogni suo giudizio, impronta ogni sua ricerca. In Europa, dal medio evo sino verso il secolo XVIII, non era lecito di discorrere delle religioni che non fossero la cristiana, se non come di funesti errori; ora è sorta una religione umanitaria-democratica, e questa sola è vera e buona; le altre, compresa la cristiana, sono false e perniciose. Chi manifesta tali concetti si figura ingenuamente essere scientificamente molto al di sopra di coloro che, per il passato, la medesima intolleranza diversamente usavano10.

Da tale menda non vanno esenti molti fra i moderni che hanno studiata l’evoluzione di quei sentimenti, poichè essi hanno una fede alla quale più [p. 51 modifica]meno sottomettono i fatti, e vogliono dimostrare che l’evoluzione si compie nel senso da loro desiderato e propugnato. Non ostante i loro lavori hanno assai giovato alla scienza, principalmente pei fatti raccolti, ordinati, illustrati, ed anche perchè quel genere di studii ha finito col far nascere l’abitudine di considerare, almeno in piccola parte, oggettivamente tali sentimenti. In ogni modo, l’evoluzione o la storia di quei sentimenti è quanto in sociologia vi è più noto — o forse meglio direbbesi: meno ignoto — onde, poichè qui disponiamo di poco spazio, sarà la parte sulla quale meno ci fermeremo, volgendoci di preferenza ad altre parti meno note; e queste neppure possiamo trattare di proposito, ma esamineremo alcuni casi particolari che ci porgeranno esempi dalle teorie generali.

21. Sulla relazione tra i sentimenti religiosi ed i sentimenti morali si contende da molto tempo, e le due opinioni estreme sono: 1.° che la morale è un’appendice della religione; 2.° che invece la morale sta da sè: onde sorge la dottrina detta della «morale indipendente».

Giova tosto notare che in tale contesa vi è un dietro-scena. Chi difende la prima opinione vuole dimostrare l’utilità della religione, come creatrice della morale; chi difende la seconda opinione mira a mostrare l’inutilità della religione; o, per dire meglio, di una certa religione, che a lui non piace. Lasciamo per ora stare tale considerazione; ed esaminando il problema intrinsecamente, vedremo che è mal posto, poichè riunisce in uno due problemi diversi e che, come ora osserveremo, possono avere diversa soluzione. Occorre cioè, in questo come in ogni altro caso simile, distinguere le [p. 52 modifica]relazioni logiche che a noi può piacere di creare tra i sentimenti, e le relazioni di fatto che tra essi esistono; ossia come al solito, distinguere le relazioni soggettive dalle oggettive.

22. Supponiamo che un uomo abbia certi sentimenti A, B, C..; se per sussistere insieme fosse necessario che tra di essi esistesse un nesso logico, i due problemi ora distinti si ridurrebbero ad uno. Ecco perchè solitamente si fa tale riduzione. È comune opinione, o implicita od esplicita, che gli uomini sono guidati solo dalla ragione, e che perciò tutti i loro sentimenti sono logicamente congiunti; ma tale opinione è falsa e smentita da infiniti fatti, che ci portano nella direzione dell’altro estremo, al quale per altro sarebbe pure errore il giungere: cioè ci portano a ritenere che solitamente l’uomo è guidato esclusivamente dai sentimenti anzichè dalla ragione. Quei sentimenti hanno origine dall’indole dell’uomo combinata colle circostanze tutte in cui ha vissuto, e non ci è lecito affermare a priori che tra di essi vi sia un legame logico. Tra la forma del becco del fagiano e la qualità del suo cibo corre una relazione logica; ma questa non esiste, o almeno è ignota, tra quella forma del becco ed il colore delle penne del maschio.

23. Il problema posto al § 21 si bipartisce quindi nel modo seguente: 1.° supposto che (badisi a tale premessa) si voglia dimostrare logicamente che l’uomo deve seguire certe norme morali, quale è il ragionamento che nella forma appare più rigoroso? 2.° I sentimenti religiosi, o per restringere un poco il problema forse troppo lato, i sentimenti determinati da una religione positiva con un Dio personale, sentimenti che diremo A, sono essi sempre, o solitamente, accompagnati in un individuo dai [p. 53 modifica]sentimenti morali B; ossia: A trovasi sempre, o solitamente, con B; oppure B sta da solo, o solitamente senza A?

Il primo problema fa parte di quelli che segnammo con (α) al § 6; il secondo di quelli che segnammo con (β).

24. Occupiamoci del primo problema. Di solito il ragionamento mira ad indurre l’uomo a compiere una certa cosa A che per sè medesima non è piacevole, o non è sufficientemente piacevole perchè l’uomo sia tratto direttamente a farla. In generale del resto A indica non solo l’opera attiva ma anche l’astensione da certa altra cosa.

25. Tra gli infiniti ragionamenti che si fanno sul primo problema, gioverà considerare quelli che si partiscono nelle seguenti classi: (I) Si dimostra che A, in ultima analisi, torna vantaggioso all’uomo: (I α) perchè un essere sovrannaturale, od anche solo una legge naturale o sovrannaturale (buddismo), premia chi fa A, castiga chi non fa A, sia (I α 1) in questa vita, sia (I α 2) in altra; oppure (I β) perchè, per virtù propria A finisce col tornare vantaggiosa; (I β 1) all’individuo, oppure (I β 2) alla specie. (II) Si dimostra che A è conseguenza di qualche principio, per solito metafisico, di qualche precetto, ammesso a priori, di qualche altro sentimento morale. Per esempio: (II α) A concorda con ciò che vuole la natura; oppure, per parecchi autori moderni, coll’evoluzione, colla dottrina della «solidarietà», ecc.; (II β) A è conseguenza del precetto che dobbiamo operare per avvicinarci alla perfezione; che dobbiamo «procacciare la felicità dell’uman genere, o meglio di tutti gli esseri sensibili»11; o dobbiamo fare tutto ciò che può migliorare e glorificare l’umanità; o che «dobbiamo operare per modo tale che la norma del nostro volere possa prendere la forma di un principio di legislazione universale» (Kant), ecc. [p. 54 modifica]

26. I ragionamenti (I α) sono i più logici, e tra essi migliori sono gli (I α 2). Quando Ulisse, per dimostrare che gli ospiti debbono essere ben trattati, dice che vengono da Zeus12, adopera un argomento che, ove sia ammessa la premessa, riesce perfettamente logico. Può solo rifiutarlo chi, come il Ciclope, si crede pari in forze a Zeus; ma chi sa di essere da meno non ha scampo: e giova notare che viene battuto colle proprie armi, poichè per egoismo rifiuta aiuto all’ospite, e per egoismo deve temere la strapotente forza di Zeus.

27. Il nesso logico è fortissimo; vediamo la premessa che sta nell’affermazione che Zeus vendica i forestieri. Nel caso (I α 1) questa proposizione può essere verificata sperimentalmente (I, 36), e quindi facilmente viene distrutta dalle osservazioni di qualche Diagora13, o da quelle che Cicerone [p. 55 modifica]mette in bocca di Cotta (De nat. deor., III, 34 et passim); ma nel caso (I α 2), la proposizione, essendo non sperimentale, sfugge ad ogni verificazione sperimentale, onde il ragionamento diventa tanto forte che solo vi si può opporre un non liquet, non mai confutarlo, provando il contrario.

28. I ragionamenti del genere (I β), e specialmente quelli (I β 1), conducono ad evidenti sofismi. In sostanza, tolti i veli metafisici, l’asserire che l’individuo consegue il proprio vantaggio coll’operare secondo le norme morali torna ad asserire che la virtù è sempre premiata ed il vizio sempre punito, il che è manifestamente falso. Il mezzo usato abitualmente, da Platone14 in poi, sta nel sostituire alle sensazioni piacevoli o spiacevoli che prova un uomo, delle astrazioni che si definiscono in modo da farle dipendere dall’operare moralmente; onde poi si ragiona in circolo: se la felicità è la conseguenza [p. 56 modifica]dell’operare moralmente, non c’è alcuna difficoltà per concludere che l’operare moralmente dà la felicità.

29. L’origine di quegli errori sta nel non volere intendere che la sensazione piacevole, o spiacevole, è fatto primitivo, che non può essere dedotto col ragionamento. Quando un uomo prova una sensazione, è assurdo volergli dimostrare che ne prova un’altra. Se un uomo si sente infelice, è cosa sommamente ridicola volergli dimostrare che è felice, o viceversa.

Pare impossibile che un uomo d’ingegno come era lo Spencer abbia potuto incappare in così grossolano errore; ma già tutto il suo trattato sulla morale non è degno della sua mente, e così meglio appare il vizio del metodo seguìto. Egli nel § 79 della Morale evoluzionista, ci vuole dimostrare che «le azioni fatte per giovare altrui procacciano a noi piacere, perchè fanno contenti coloro che sono a noi d’intorno». Qui c’è una petizione di principio. O un uomo prova piacere nel vedere altri contenti, ed in tal caso è proprio inutile dimostrargli che si procurerà un piacere facendo altri contenti; sarebbe come se si dicesse: «A voi piace il vino: dunque, per procurarvi piacere, bevete vino». O quell’uomo non prova alcun piacere nel vedere altri contenti, ed in tal caso non è per niente vero che, beneficando altrui, farà lieto sè stesso. Sarebbe come se dicessimo: «A voi non piace il vino; ma, se vi piacesse e ne beveste, sareste contento; dunque bevetene e sarete contento».

Al § 80, lo Spencer ci vuol dimostrare che «colui il quale si adopera per recare piacere ad altri sente maggiormente i propri piaceri che non colui [p. 57 modifica]il quale di questi esclusivamente si cura». Ed anche qui ragioniamo in circolo; cioè poniamo come premessa ciò appunto che vogliamo dimostrare. È proprio strana la pretesa dello Spencer di volerti logicamente dimostrare che tu senti ciò che tu non senti! Ecco un uomo che mangia un pollo, gli si vuole dimostrare che proverebbe maggiore piacere mangiandone solo mezzo e dandone mezzo al vicino. Egli risponde: «Proprio no; ho anche provato e vi assicuro che provo maggiore piacere mangiando intero il mio pollo che dandone metà al vicino». Potete dargli del malvagio, ingiuriarlo finchè volete, ma non potete dimostrargli colla logica che egli non prova quella sensazione. Un uomo è solo ed unico giudice in ciò che a lui piace, o non piace; e se, per esempio, c’è un uomo a cui non piacciono gli spinaci, è il colmo del ridicolo e dell’assurdo il volergli dimostrare, come si dimostra il teorema di Pitagora, che a lui piacciono. Gli si può bensì dimostrare che, col patire una certa sensazione spiacevole, egli se ne procurerà altra piacevole; che, per esempio, mangiando ogni giorno spinaci, risanerà da una certa malattia; ma egli rimane sempre il solo ed unico giudice per sapere se il compenso esiste o no tra quel piacere e quel dispiacere, e nessuno può dimostrargli colla logica che quel compenso esiste, se egli sente che non esiste.

Non ragioniamo qui dei fenomeni detti di suggestione, i quali nulla hanno a che fare colle dimostrazioni logiche.

30. Nei ragionamenti del genere (I β 2) è generalmente sottintesa una premessa, ed il ragionamento completo sarebbe: «L’individuo deve fare [p. 58 modifica]tutto ciò che giova alla specie; A giova alla specie, dunque l’individuo deve fare A». Quella premessa per solito si tace, perchè difficilmente si troverebbe chi consentisse nell’affermazione che, senza alcuna restrizione, l’individuo deve fare tutto ciò che giova alla specie; e l’introdurre restrizioni ci costringe a risolvere un problema difficile, poichè l’utilità dell’individuo e l’utilità della specie sono quantità eterogenee e che malamente si possono paragonare. La selezione opera sacrificando l’individuo alla specie (VII, 99). Accade spessissimo che il bene, l’utile dell’individuo sono in assoluto contrasto con certe circostanze che sono pure favorevoli alla specie. Sta bene che l’individuo non può esistere se non esiste la specie, e viceversa; onde, se si distrugge la specie, sono distrutti gli individui, e viceversa; ma non basta ciò per identificare il bene dell’individuo e quello della specie: un individuo può campare ed essere felice procacciando il danno di tutti gli altri individui che compongono la specie. I ragionamenti del genere sopra accennato sono generalmente manchevoli dal lato della logica.

31. I ragionamenti della classe (II), come del resto anche quelli della classe (I), si potrebbero considerare sotto due aspetti. Si potrebbe cioè intendere che il principio al quale si vogliono congiungere i sentimenti morali è semplicemente il tipo dei sentimenti esistenti. Similmente esistono infiniti cristalli che tutti si possono dedurre dal sistema cubico. Ma gli autori dei ragionamenti (II) non l’intendono per solito in quel modo; e, se l’intendessero, riescirebbe loro impossibile il dimostrare che tutti i sentimenti morali esistenti e che hanno esistito si possono dedurre dal principio che propugnano. Non si vede come da uno stesso [p. 59 modifica]principio si potrebbe dedurre il precetto, il quale pure è stato di molti popoli, «essere doveroso vendicarsi del nemico», od anche solo il precetto greco, «odia chi ti odia, ama fortemente chi ti ama»15; e l’altro «perdona ai nemici; ama il prossimo tuo come te stesso.» Gli autori vogliono in generale dare il tipo non già dei sentimenti che hanno esistito, ma di quelli che dovrebbero esistere. Da ciò nasce il secondo aspetto sotto il quale ci appaiono quei ragionamenti, i quali sono volti non già a descrivere ciò che è, bensì a prescrivere ciò che dovrebbe essere; ed è in quel modo che ad essi viene meno il valore logico.

Herbert Spencer si toglie d’impaccio chiamando pro-morale gli usi e costumi che l’osservazione ci insegna esistere, od avere esistito; e serba il nome di morale per un certo che di assoluto che dovrebbe esistere. Ma egli non dimostra, e non può dimostrare, la proposizione dove entra quel dovrebbe. Egli biasima le morali a priori, come la morale cristiana; ma in sostanza la sua morale è tanto a priori quanto quelle da lui riprovate, ed egli stesso è costretto di riconoscere che l’osservazione non ci dà che la pro-morale.

Per esempio, egli è persuaso che la guerra è immorale. Tale proposizione può soddisfare i suoi sentimenti e quelli di altri uomini, ma non si può dimostrare scientificamente, e nessuno può dire se la guerra sparirà mai dalla terra. La ripugnanza dello Spencer per la guerra e per i sentimenti bellicosi è meramente soggettiva; egli, seguendo una via solita per gli uomini, ne fa un principio oggettivo, e con quello giudica la morale dei diversi [p. 60 modifica]popoli. Egli non si avvede che per tale modo imita l’uomo religioso, pel quale ogni religione che non sia la propria, è falsa. Lo Spencer ha semplicemente la religione della pace; e tale religione vale nè più ne meno dell’islamismo, del buddismo, o di altra qualsiasi simile religione.

Lo Spencer percorre metà del cammino seguendo i modi del ragionamento scientifico; ma poi abbandona quel cammino, sospinto dalla forza prepotente che induce gli uomini a dare valore oggettivo a fatti soggettivi, e si reca nel dominio della fede, ove poi ognora più s’addentra.

32. In vero, in casi simili, il principio del quale usano gli autori non è per nulla maggiormente evidente delle conclusioni alle quali vogliono giungere; onde si finisce col provare una cosa incerta deducendola da cosa maggiormente incerta. Lasciamo stare se cosa alcuna è secondo la natura16, il fine dell’uomo, o qualche altra simile imaginaria entità, o anche secondo l’evoluzione, od altra simile astrazione; poichè quando anche la cosa si potesse chiaramente conoscere, il che non accade, non perciò seguirebbe la conclusione che quella cosa da un individuo determinato debba essere compiuta; e volgiamoci subito ai ragionamenti (II β) dove pare esserci minore lacune.

33. Essi hanno un comune difetto, dal punto di vista della logica, ed è di avere le premesse mancanti di precisione e di un corrispondente senso reale. Ciò, sulle prime non si scorge, perchè quelle premesse si confanno a certi nostri sentimenti, ma quando si esaminano più da vicino, quanto più si [p. 61 modifica]cerca che senso possono avere, tanto meno diventano intelligibili.

34. Togliamo per esempio una frase tra le meno peggiori, cioè quella del Mill. Tralasciamo l’ultima parte, la quale riguarda gli esseri sensibili, e che ci vieterebbe di cibarci di carni e di pesce, e persino di camminare, per timore di schiacciare qualche insetto, e consideriamola sotto la forma più ragionevole, che è quella del procacciare la felicità dell’uman genere. Quei termini ingannano, paiono chiari, e non sono. «L’uman genere» non è un individuo che abbia sensazioni semplici di felicità od infelicità, ma è composto di individui che hanno tali sensazioni. La data definizione suppone implicitamente: 1.° che si sappia cosa è precisamente quell’uman genere, se comprende solo gli individui che vivono in un dato momento, o quelli che vissero e quelli che vivranno; 2.° che le condizioni della felicità di ciascun individuo di una data collettività non siano contradditorie, altrimenti il problema di assicurare la felicità di quella collettività sarebbe del genere del problema di descrivere un triangolo quadrato; 3.° che le quantità di felicità di cui gode ogni individuo sono omogenee, in modo da potersi sommare, altrimenti non si sa proprio come si potrebbe conoscere tale somma di felicità di cui gode la collettività; e se quella somma è ignota, manca ogni criterio per sapere se, in date circostanze, la collettività è più felice che in altre.

35. 1.° Per dire il vero, coloro che discorrono dell’uman genere sogliono invece intendere la propria nazione o, come caso estremo, la propria razza; e i moralissimi popoli civili hanno distrutto e seguitano a distruggere, senza il minimo scrupolo, i popoli selvaggi o barbari. Lasciamo pure stare [p. 62 modifica]ciò, e poniamo che per umano genere s’intenda tutti gli uomini; rimangono sempre gravissimi quesiti, cioè: quando la felicità degli uomini viventi trovasi in contrasto con quella degli uomini nascituri, a quale devesi dare la prevalenza? Quando, come spesso accade, la felicità degli individui presenti trovasi in contrasto colla prosperità della specie; questa deve cedere a quella, o viceversa? Notiamo che l’incivilimento europeo è frutto di infinite guerre e della larghissima distruzione dei deboli compiuta dai forti; con quelle sofferenze si è comprata la prosperità presente; ciò è bene o è male? Il principio che abbiamo posto non vale per risolvere il quesito.

36. 2.° Supponiamo una collettività costituita da un lupo e da un agnello: la felicità del lupo sta nel mangiare l’agnello, quella dell’agnello, nel non esser mangiato. Come facciamo a render felice quella collettività? Nell’umano genere, ci sono popoli bellicosi e popoli imbelli; la felicità dei primi sta nel conquistare i secondi, e la felicità di questi, nel non essere conquistati. Occorre ricorrere a qualche altro principio, ed eliminare, per esempio, la felicità dei popoli bellicosi; sentenziarla meno degna di quella dei popoli imbelli, che si considererà sola. Ma in tal caso quel bel principio, che era stato instituito apposta per sciogliere i problemi morali, all’atto pratico si mette da parte, e non serve più a niente.

La felicità dei romani stava nel distruggere Cartagine; la felicità dei cartaginesi, forse nel distruggere Roma, per fermo, nel non avere distrutta la città loro. Come farai a procacciare la felicità dei romani e dei cartaginesi?

37. 3.° Potrebbesi rispondere: la felicità totale, [p. 63 modifica]ove i romani non distruggessero Cartagine, nè i cartaginesi Roma, sarebbe maggiore che ove una di quelle città fosse distrutta. Tale asserzione è campata per aria e non può essere sussidiata dalla menoma prova. Come si fa a paragonare quelle sensazioni piacevoli, o spiacevoli, e a sommarle? Ma per spingere, sino all’estremo le concessioni, supponiamo che ciò si possa fare, e poniamoci, per esempio, il problema di ricercare se la schiavitù è morale o no. Se vi sono molti padroni e pochi schiavi, può darsi che le sensazioni piacevoli dei padroni abbiano una somma (?) maggiore delle sensazioni spiacevoli degli schiavi; e viceversa se vi sono pochi padroni e molti schiavi. Ma tale soluzione non sarebbe certamente accettata, nel primo caso, da coloro che vogliono usare il principio del maggiore benessere del genere umano. Per sapere se il furto è, o non è, morale, dobbiamo noi paragonare i sentimenti spiacevoli del derubato, ai sentimenti piacevoli del ladro, e ricercare quali hanno maggiore intensità?

38. Per poter usare il principio del Mill si è tratti a doverlo combinare implicitamente od esplicitamente con qualche altro; per esempio, coi principii della classe di cui è tipo il principio del Kant. Ma anche qui le difficoltà, che in sulle prime paiono tolte, risorgono appena si voglia ragionare un poco rigorosamente. Un principio di legislazione propriamente universale non può avere valore in una società, come quella degli uomini, costituita da individui diversi per sesso, per età, per qualità fisiche ed intellettuali, ecc.; e se quel principio s’intende soggetto a restrizioni, che tengano conto di tali ed altre simile circostanze, il problema principale diventa quello di conoscere quali di tali [p. 64 modifica]restrizioni occorre accogliere e quali respingere; e le premesse che avevamo poste diventano perfettamente inutili.

Le disposizioni che si leggono in Gaio, De condicione hominum, I, § 9, 10, 1117 hanno, o non hanno, il carattere di «un principio di legislazione universale?». Se sì, la schiavitù è giustificata; se no, non è nemmeno lecito fissare che certi uomini, per esempio eletti dal popolo e deputati a certi uffici, debbono comandare ed altri ubbidire. Formalmente, queste e quelle disposizioni sono identiche, e differiscono solo per l’indole e il modo delle restrizioni.

39. È notevole come in tale materia il sentimento ha tanto impero sugli uomini, da far perdere ai più l’uso della retta ragione. Per esempio ora, in Francia, molti uomini, che del resto paiono ragionevoli, ammirano le parole vuote di senso della celebre Déclaration des Droits de l’homme. Il primo paragrafo ha qualche relazione col principio di una legislazione universale. Ci si dice che: «Gli uomini nascono e rimangono liberi e eguali nei diritti; le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull’utilità comune»18. Lasciamo stare che quella libertà e quell’eguaglianza significano [p. 65 modifica]semplicemente che gli uomini nascono e rimangono liberi, eccetto nelle cose in cui sono soggetti; ed eguali in tutto, eccetto nelle cose in cui sono diseguali; cioè meno che nulla; e fermiamoci solo sulla proposizione che le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull’utilità comune. Ciò ci giova ben poco per risolvere i quesiti dell’ordinamento sociale, e rimuove solo la difficoltà, che ora sta nel determinare quell’utilità comune. Basta leggere Aristotile per vedere come la schiavitù si possa difendere sostenendo che è d’utilità comune19; ed analoga difesa si può fare della feudalità, tanto odiata dai rivoluzionari che composero quella bella Déclaration. I presenti giacobini francesi ritengono giustificata dall’utilità comune la distinzione che fanno fra cittadini appartenenti ad ordini religiosi cristiani, e cittadini appartenenti a loggie massoniche; ma gli ateniesi ritenevano egualmente fondata sull’utilità comune la distinzione che facevano tra l’uomo barbaro e il cittadino ateniese.

In sostanza, tutti quei ragionamenti pseudo-scientifici sono meno chiari ed hanno minor valore della massima cristiana che dice: ama il prossimo tuo come te stesso. Del resto tale massima appare in diverse epoche, e presso popoli assolutamente diversi, e trovasi anche nel Lun-Yu cinese20. [p. 66 modifica]

40. I ragionamenti metafisici di cui ci siamo occupati non hanno alcun valore oggettivo, perchè investigano cose che non esistono. Sono del genere di quelli che si facessero per sapere se Eros fu prima col Caos, la Terra ed il Tartaro, o se è figlio di Afrodite. Ricercare come sta ciò intrinsecamente, è cosa vana; possiamo solo ricercare come lo concepirono i greci; i cui pensamenti sono per noi fatti, di cui si può tessere la storia.

Molti sono i sistemi di morale che ebbero ed hanno corso, nè per lungo contendere dei loro fautori alcuno di essi ha acquistato decisa prevalenza sugli altri, onde è rimasta pendente la quistione quale sia il migliore e ancora pende; come pei tre anelli di cui ragiona il Boccaccio in una sua novella; nè potrebbe essere altrimenti, poichè manca ogni criterio sperimentale o scientifico per decidere tale quistione.

L’unico contenuto sperimentale o scientifico di quei sistemi sta nel fatto che certi uomini provarono certi sentimenti, ed in quel modo li espressero.

41. Sotto analogo aspetto abbiamo, nei precedenti paragrafi, considerato i pensamenti degli uomini riguardo a certe astrazioni; ma altre ricerche più utili di queste rimangono da compiersi. Possiamo investigare l’indole di quei sentimenti, e quali relazioni ci sono realmente tra essi, trascurando quelle imaginarie e che gli uomini si figurano esistere. Poscia, possiamo anche vedere come ed in qual [p. 67 modifica]modo le relazioni reali si sono trasformate in relazioni imaginarie. E con ciò ci volgiamo a considerare i problemi (β) (γ) (δ) del § 6.

42. Da prima vediamo se quei sentimenti hanno una qualche esistenza oggettiva, indipendente dalla varietà delle menti umane, oppure se essi sono subordinati a tale varietà. È facile vedere che solo la seconda ipotesi è da accogliersi. Anche quando i sentimenti che riguardano la religione, la morale, l’amor patrio, ecc., hanno espressioni letteralmente e formalmente comuni per molti uomini, sono da essi variamente intesi. Il Socrate di Platone (§ 65) e l’uomo superstizioso di Teofrasto avevano la stessa religione; ma l’intendevano certo in modo ben diverso21. E, senza ricorrere alla storia, chi vuole esempi, guardi intorno a sè e ne troverà quanti desidera. Quando dunque noi discorriamo, poniamo il caso, dell’amor di patria, noi accenniamo ad una classe astratta di sentimenti, costituita da singoli sentimenti esistenti in vari individui; e quella classe non ha esistenza oggettiva, più di quella che l’abbia la classe dei mammiferi, costituita da singoli animali, che soli esistono [p. 68 modifica]realmente. Per gli uomini che costituiscono una nazione quei singoli sentimenti, se in parte sono diversi, hanno puro alcunchè di comune.

43. Anche i sentimenti appartenenti a classi diverse ci appaiono come non interamente indipendenti. Quella dipendenza non è generalmente logica, come erroneamente se la figurano i più degli uomini, ma nasce dallo avere quei sentimenti cagioni remote e comuni; onde propriamente a noi si dimostrano come rami nascenti da un medesimo tronco.

Principalmente la dipendenza appare tra azioni dello stesso genere: onde le azioni non-logiche sono insieme favorite e depresse; e del pari le logiche. Chi spesso cede ad una specie di sentimenti, più facilmente poi cederà ad altre specie; chi è uso a adoperare spesso il ragionamento in certi casi, più facilmente lo userà in altri.

44. Ove noi, come faremo per la ricchezza (VII, 11), disponessimo gli uomini in strati secondo le loro qualità d’intelletto e di carattere, ponendo negli strati superiori coloro che hanno entrambe quelle qualità al massimo grado, e negli strati inferiori coloro che posseggono solo in lieve grado una di quelle qualità od entrambe, vedremmo poscia che i vari sentimenti sono tanto meno dipendenti quanto più si sale negli strati superiori; tanto più dipendenti, quanto più si scende negli strati inferiori. E se vogliamo ancora fare uso del paragone già adoperato diremo che negli strati superiori i rami sono bene distinti e separati, mentre negli strati inferiori sono confusi.

Per tal modo la società umana presenta nello spazio una figura analoga (non già identica) a quella che presenta nel tempo; poichè è ben noto che nei tempi primitivi i vari sentimenti, ora pienamente [p. 69 modifica]disgiunti, costituivano come una massa omogenea (§ 81 nota).

45. Non le sole qualità dell’intelletto e del carattere operano nel senso esposto; ma altre molte circostanze hanno quell’effetto. Fra le principali c’è il genere di occupazione degli uomini. Coloro che governano, dal piccolo al grande, da una società industriale privata allo Stato, hanno sentimenti generalmente più separati ed indipendenti che non li abbiano i governati; e ciò accade perchè quelli debbono necessariamente, più di questi, aver vedute larghe; ed appunto vedendo le cose più dall’alto, colla pratica, acquistano concetti che mancano a coloro che hanno occupazioni in un campo più ristretto22.

46. Questa nuova classificazione coincide in parte colla precedente, e in parte pure coincide colla classificazione che si fa disponendo gli uomini secondo la ricchezza23; ma in parte pure tali classi differiscono. Da prima si può notare che vi sono negli strati superiori elementi che decadono, e negli strati inferiori vi sono elementi che sorgono. Poscia vi sono uomini che appartengono all’aristocrazia intellettuale e che non usano le loro facoltà [p. 70 modifica]per procacciarsi beni materiali, ma che si volgono all’arte, alla letteratura, alle scienze; ci sono gli oziosi, gli inetti, coloro che consumano mente e vigore negli sports, ecc. Infine, circostanze svariatissime possono collocare diversamente nella gerarchia sociale uomini che abbiano eguali le qualità intellettuali e del carattere.

47. Notisi, ed è nuova analogia con quanto accade nel tempo (§ 81 nota), che la facoltà di astrazione va crescendo dal basso in alto; onde solo negli strati superiori appaiono i principii generali che compendiano i diversi generi di azioni; e coll’apparire di quei principii si manifestano le contraddizioni che tra essi possono esistere, e che più facilmente sfuggono tra i casi concreti da cui sono astratti quei principii.

48. La mente umana è così fatta, che nei tempi di viva fede non scorge contraddizione alcuna tra i suoi pensamenti riguardanti la religione e gli altri pensamenti che riguardano la morale o i fatti sperimentali; e quei vari pensamenti, sebbene talvolta assolutamente opposti, possono coesistere nella stessa mente. Ma, quando scema la fede, oppure quando, come ad esempio passando dagli strati inferiori ai superiori in una stessa società, divengono maggiormente indipendenti i vari generi di sentimenti (§ 19), quella coesistenza diventa spiacevole, dolorosa, e l’uomo mira a scansarla, procurando di togliere le contraddizioni, che solo allora scorge.

Nella mente degli antichi elleni capivano, senza contrasto alcuno, le scandalose avventure dei loro dèi e principii di morale discretamente elevati. In una stessa mente stavano, senza cozzare, la credenza che Kronos avesse, con dentata falce, tagliati i [p. 71 modifica]genitali del padre Urano24, e la credenza che era inviso agli dèi l’uomo il quale insultasse il vecchio padre25. Ai tempi invece di Platone, grave era divenuto il dissidio; ed una delle credenze stava per espellere l’altra. Platone non vuole che si figuri Zeus congiungentesi, ad insaputa dei genitori, colla sorella Era; nè che «crediamo o lasciamo asserire che Teseo, figlio di Poseidon, e Piriteo, figlio di Zeus, abbiano tentato il ratto di Persefone, nè che alcun altro figlio degli dèi, alcun altro eroe, sia stato reo delle empietà e dei delitti che narrano i poeti». Col progredire del tempo crebbe la smania di interpretare artificialmente le antiche credenze e ad esse mutare senso; mentre, come bene osserva il Grote, «la dottrina che si suppone essere stata simbolicamente espressa nei miti greci e posteriormente annebbiata, vi fu in realtà messa per la prima volta dall’imaginazione non consapevole d’interpreti più moderni. Era una delle vie che seguivano gli uomini colti per sfuggire alla necessità di accettare letteralmente gli antichi miti, per giungere a qualche nuova forma di credenza meglio rispondente al concetto che avevano degli dèi».

Similmente i cristiani nel medio-evo non vedevano, e non potevano vedere, tra i racconti della Bibbia e la morale quei dissidi che con tanta malizia misero in luce i filosofi del secolo XVIII26.

49. Il dissidio ora notato non è che un caso particolare di un fatto molto più generale. Gli uomini dei popoli barbari, e gli uomini del volgo presso i [p. 72 modifica]popoli inciviliti, hanno ben altro da fare che studiare i proprii sentimenti. Se qualche filosofo segue la massima: «conosci te stesso», il maggior numero degli uomini non se ne cura. Inoltre l’uomo il quale ha certi concetti, prova certi sentimenti, non bada generalmente più che tanto a metterli in relazione l’uno coll’altro; e quando pure, col progredire del tempo, pochi uomini, tratti dall’abito di ragionare, si danno di ciò pensiero, si accontentano facilmente di una relazione qualsiasi che sorge dalla loro fantasia. Così, presso certi popoli, tutto ciò che l’uomo deve fare è comandato da Dio, e quel comando è il nesso che fissa la relazione tra fatti interamente diversi; chi maggiormente specula cava fuori un qualche nesso metafisico; ed infine solo un ristrettissimo numero di uomini, e solo quando l’incivilimento è molto progredito, procura di ricercare i nessi sperimentali di quei fatti.

Se ciò solitamente non s’intende, segue perchè si cade nell’errore notato al § 9. Si suppone, cioè, che quei fatti siano conseguenza logica di un principio; e quindi appare stranissimo che possano essere in vicendevole contraddizione; si suppone che l’uomo operi mosso da quelle deduzioni logiche, e quindi non si concepisce come i vari suoi atti possano, in parte, non essere posti in relazioni mutue. [p. 73 modifica]

50. Vinto da quei preconcetti, l’uomo procura sempre di ristabilire tra i fatti quelle relazioni logiche che egli si figura dover necessariamente esistere, e che solo per grossolano errore e gravissima ignoranza hanno potuto occultarsi.

Esempio notevolissimo di tale operare sono i tentativi fatti per conciliare la fede colla ragione; la religione colla scienza, l’esperienza, la storia.

Giova notare cho sinora non si è verificato caso alcuno in cui quei tentativi abbiano sortito prospero successo; anzi si può porre come norma generale che una fede qualsiasi, quanto più procura di conciliarsi colla scienza, tanto più rapidamente decade27; ed è naturale, poichè basta aprire un poco gli occhi per vedere che mai nessuno è diventato religioso in virtù di una dimostrazione del genere di quella di un teorema di geometria.

Similmente poco o nessun valore pratico hanno le religioni metafisiche, perchè mancanti delle qualità necessarie per operare sulla ragione e sui sensi del volgo.

L’esercito della salute, usando mezzi confacenti a coloro ai quali si rivolge, ha efficacia sociale molto maggiore di quella delle più sottili e dotte disquisizioni metafisiche.

Coloro i quali vogliono introdurre nella religione cristiana la critica storica della Bibbia, non intendono quale divergenza assoluta ci sia tra la scienza e la religione, tra la ragione e la fede, e come corrispondano a diversi bisogni dell’uomo. I [p. 74 modifica]libri sacri di qualsiasi religione traggono il proprio valore non già dalla precisione storica, bensì dai sentimenti che possono destare in chi li legge; e l’uomo che, oppresso dal dolore, chiede i soccorsi religiosi, desidera non già una dotta dissertazione storica, della quale non capirebbe nulla, bensì parole di conforto e di speranza. La religione, come la stanno ora riducendo certi teologi umanitari, diventa un semplice giuocattolo per uso di metafisici e di letterati.

Se poniamo mente alle nostre società nell’epoca presente vedremo che quel bisogno di conciliazione tra i sentimenti religiosi ed altri non esiste che negli strati superiori; e questi, per poter fare accettare le loro elucubrazioni agli strati inferiori, sono costretti di presentarle sotto tutt’altra luce; cioè sotto quella di una conciliazione della fede cogli interessi materiali, a cui, ed è naturale, gli strati inferiori principalmente attendono. Per tale modo vediamo, ad esempio, avere origine e crescere la dottrina dei democristiani.

Gli operai sindacati chiedono di essere considerati almeno come eguali ai borghesi, in virtù del principio che tutti gli uomini sono eguali; ma poi mandano a spasso quel bel principio, ritenendosi come molto superiori agli operai non sindacati ed ai Krumiri. Quando i marinai del porto di Marsiglia scioperarono, ritenevano che il governo avrebbe offesa la libertà dello sciopero se li avesse sostituiti coi marinai delle navi da guerra; quando poi i capitani e gli ufficiali della marina mercantile scioperarono alla loro volta, i marinai chiedevano che il governo mandasse a dirigere le navi gli ufficiali della marina da guerra; e della libertà dello sciopero si dimenticarono interamente. Similmente un [p. 75 modifica]Bocimano diceva ad un viaggiatore: «Quando si rapisce la mia donna, si fa una cattiva azione, quando rapisco la donna di un altro, faccio una buona azione».

Negli strati inferiori socialisti non si scorge contraddizione fra gli opposti ragionamenti degli operai sindacati e dei marinai marsigliesi; e, se appena si scorge, è cosa di cui nessuno si dà pensiero. Solo i capi vedono la contraddizione, e tosto la tolgono con sottile casuistica, e può anche darsi che, nel fare ciò, qualcuno di essi sia in buona fede.

Gli «intellettuali» che in Francia ferocemente accusarono il procedere dei tribunali militari, in un celebre processo, e delle loro querimonie empirono il mondo, sentono senza il menomo sdegno il procuratore generale Bulot asserire che vi è una ragione di Stato davanti alla quale il giudice deve inchinarsi sotto pena di essere destituito28. E, non [p. 76 modifica]ostante le parole tanto chiare del Bulot, che ha persino esplicitamente nominato il fatto del Principe, c’è chi crede che la repubblica è esente da tale menda, che è propria della monarchia.

Altri «intellettuali» credono, in buona fede, che solo i cattolici insidiano la «libertà di pensiero»; onde, per conseguire quella libertà, approvano senza restrizione alcuna le persecuzioni contro ai cattolici, e sono ammiratori del Combes. E neppure quando questi esprime in modo chiarissimo che mira ad istituire una nuova ed unica fede, [p. 77 modifica]intollerante quanto altre mai29, non s’avvedono della contraddizione in cui cadono.

L’anti-alcoolismo in parecchi paesi forestieri è diventato una religione ed ha feroci settari; parecchi di questi hanno anche la religione del materialismo od altra analoga, per cui sono fieramente avversi ai cattolici e deridono il precetto per il magro. E, se si dice loro che alla fin fine imporre a un uomo di mangiare di magro in certi giorni è prescrizione dello stesso genere, sebbene meno molesta, di quella che a quell’uomo vieta di gustare una minima quantità di bevande alcooliche, credono di togliere la contraddizione dicendo che le loro prescrizioni hanno l’approvazione della benemerita, democratica, progressiva e sacrosanta «scienza»; il che vuol dire semplicemente che ci sono certi medici che, tra le tante cose più o meno ragionevoli che asseriscono, pongono anche questa; e quei settari, dimenticano o fingono di dimenticare, o non s’avvedono, che la loro «scienza» ora appunto viene proprio in sussidio delle prescrizioni cattoliche, facendo vedere che il mangiare di magro giova ad evitare certe malattie30. Esempi simili ci sono a dovizia per [p. 78 modifica]tutti i generi di settari fanatici, in tutti i tempi e in tutti i paesi.

Herbert Spencer nota «l’assoluta contraddizione esistente in tutta Europa tra i codici che regolano la condotta, e che si accomodano ora ai bisogni dell’amicizia all’interno, ora a quelli dell’inimicizia al di fuori»31; ma, per conciliare quegli opposti precetti, prende una via spiccia: espelle senza altro gli ultimi, in nome della sua morale, e non gli viene in monte che essi possono essere tanto utili, anzi indispensabili, quanto i primi.

51. Vi sono circostanze le quali favoriscono lo svilupparsi dei sentimenti di vario genere; ve ne sono altre che ad essi sono contrarie. Per tal modo appare manifesta una delle principali qualità di dipendenza di quei sentimenti, la quale sta nell’avere essi comune origine. Di tal genere è propriamente, in gran parte, la dipendenza tra i sentimenti religiosi e i sentimenti morali, come già notammo in generale al § 43; onde accade spesso che sono insieme favoriti, insieme depressi; e più precisamente devesi dire ciò di tutti i sentimenti affini32. Similmente, in un prato, la pioggia fa crescere varie specie di graminacee: la siccità prolungata è ad esse contraria; per tal modo sono legati i sentimenti notati e non già perchè una specie direttamente dipende da altre (§ 70).

52. Ciò non vuol dire che presso tutti i popoli debbansi trovare tutti i sentimenti, e che tutti, in [p. 79 modifica]egual grado, crescano in intensità o decrescano. Vuol solo dire che quei sentimenti che, per infinite cagioni, si ritrovano presso un popolo, soggiacciono a certe circostanze che operano su di essi. Per esempio, un popolo può avere certi sentimenti A, B, C..., e un altro i sentimenti B, C..., e mancare del sentimento A. Ove mutino certe circostanze, i sentimenti del primo popolo diventeranno A', B', C'..., mutando d’intensità, ma non in egual grado; e similmente accadrà pei sentimenti dell’altro popolo.

53. Non solo differiscono quei sentimenti fra i vari popoli, ma nello stesso popolo variano secondo gli individui; e le circostanze che operano su quei sentimenti hanno effetti diversi secondo gli individui. Per coloro in cui è maggiore l’indipendenza dei sentimenti può facilmente una qualità di questi essere favorita separatamente; per coloro in cui è minore tale indipendenza, i vari sentimenti sono insieme favoriti o depressi. Perciò facilmente, negli strati superiori, si possono trovare persone mancanti di un genere di sentimenti ed aventi gli altri in grado elevato33.

54. Se gli uomini vivessero interamente [p. 80 modifica]separati, potrebbero avere sentimenti religiosi, morali, di amor patrio, ecc., interamente diversi; ma gli uomini vivono in società e quindi in uno stato più o meno di comunismo riguardo a quei sentimenti. I patrimoni materiali possono essere separati interamente; i patrimoni dei sentimenti o dell’intelletto sono, in parte almeno, comuni.

55. I mutamenti nei sentimenti di una classe sociale operano per produrre altri mutamenti nei sentimenti delle altre classi. Il movimento può essere più o meno rapido; talvolta anche assai lento. Per solito i sentimenti sono insidiati ed affievoliti dal ragionamento, nelle classi superiori; ed è solo indirettamente che, in seguito, quel movimento si estende alle classi inferiori. In esse muta spesso carattere e forma; onde il ragionamento scettico delle classi superiori può mutarsi in una fede, nelle classi inferiori. Viceversa i sentimenti delle classi inferiori operano sulla mente delle classi superiori, che li trasformano in ragionamenti pseudo-scientifici34.

56. Gli antichi spartani avevano in grado eminente le virtù dell’amor patrio; sembra anche che fossero discretamente religiosi; ma non egualmente morali35. Del resto ciò potrebbesi in qualche modo dire del maggior numero degli elleni: ed è cosa quindi tanto più notevole, e che maggiormente conferma la proposizione generale che abbiamo esposta, [p. 81 modifica]il vedere che, mutando le circostanze, si affievolirono insieme tutti quei sentimenti, tanto quelli che per il passato erano vivi, come quelli che erano deboli.

57. In Atene possiamo, mercè le produzioni letterarie, seguire la decadenza dei sentimenti religiosi, nelle classi alte intellettualmente, dai tempi di Eschilo, passando da Euripide, sino ai tempi dei cinici, degli epicurei e degli scettici. Le classi inferiori resistevano all’irreligione e solo gradatamente seguivano l’esempio che loro veniva dall’alto; e di quella resistenza sono testimoni moltissimi fatti, tra i quali basti ricordare le condanne di Diagora, di Socrate, ed altre simili. Un fenomeno analogo aveva luogo a Roma, ai tempi di Cicerone, mentre, per altro, la resistenza delle classi popolari era solo passiva; ma divenne attiva e si propagò alle classi superiori, quando acquistarono credito i culti orientali e in ultimo vinse il cristianesimo, che perseguitò i filosofi. Altre reazioni di quel genere si ebbero quando sorsero gli ordini mendicanti; poi, quando l’irreligione delle classi colte, specialmente delle latine, venne ripudiata dalla grande reazione religiosa del protestantismo; e da capo, in Francia, quando l’irreligione delle classi alte ebbe termine colla rivoluzione del 1789; la quale, con molto senno il de Tocqueville osserva essere stata una rivoluzione religiosa; tale religione essendo quella umanitaria e dei giacobini.

58. Si osservi che in tutti quei casi, ed in altri simili che si potrebbero recare, la reazione religiosa è accompagnata da una reazione morale36. Tutti [p. 82 modifica]quei fenomeni si possono descrivere in uno stesso modo: l’uso della ragione affievolisce nelle classi superiori i sentimenti religiosi e ad un tempo quei morali; qualche volta anche quelli di amor patrio, onde appaiono i cosmopoliti; ed in generale si può dire che perdono forza molti dei sentimenti non-razionali. Il movimento poco a poco si estende alle classi inferiori; poscia in esse cagiona una reazione, rifioriscono in quelle classi i sentimenti religiosi e i sentimenti morali, spesso anche i sentimenti di amor patrio. Questo movimento, che così è nato [p. 83 modifica]nelle classi inferiori, invade poco a poco le classi superiori, in cui tornano ad avere vigore sentimenti religiosi. E poi da capo quei nuovi sentimenti si affievoliscono come si erano affievoliti gli antichi. Principiasi così un nuovo ciclo simile a quello già descritto. Per tal modo hanno luogo assai generalmente le variazioni ritmiche che già da tempo furono osservate nell’intensità dei sentimenti religiosi37.

59. Badisi che discorriamo di sentimenti, e che non si debbono confondere colla forma che quei sentimenti possono assumere. Spesso accade che la reazione popolare, mentre rinvigorisce, esalta, i sentimenti religiosi, dà ad essi nuova forma; onde non torna l’antico fervore religioso, ma ne sorge uno nuovo. E pongasi altresì mente di non confondere i sentimenti religiosi col culto; questi possono decadere e quello fiorire. Nemmeno si creda che i sentimenti religiosi abbiano necessariamente per oggetto un dio personale; basti l’esempio del buddismo per toglierci da così grave errore; sotto i nostri occhi poi abbiamo il socialismo, che è diventato propriamente una religione (§ 85 nota).

60. Se le classi superiori potessero e volessero tenere per sè il frutto dei loro ragionamenti, quel seguito di azioni e di reazioni sarebbe forse meno frequente e meno intenso. Ma, per le circostanze stesse del vivere sociale, riesce difficile che le classi superiori possano ciò fare, e neanche fanno quel poco che possono; perchè, oltre a coloro che la propria classe tradiscono per procacciarsi illeciti guadagni, altri individui, materialmente onesti, appartenenti alle classi superiori, sono sospinti dalla [p. 84 modifica]smania di far partecipi le classi inferiori dei loro ragionamenti; ed inoltre a loro fa velo l’invidia e l’odio che risentono per le antiche dottrine attinenti al sentimento, le quali, con gravissimo errore, vogliono giudicare tenendo solo conto dell’intrinseca logica; onde, ignorandone interamente l’alto valore sociale, le reputano inconcludenti e vane superstizioni, dimostrando così una stoltizia che a loro pare saviezza.

61. Per tal modo operando, e sin dove conseguono lo scopo, che è generalmente di affievolire certe forme del sentimento religioso nelle classi inferiori, ottengono anche l’altro scopo, a cui certo non mirano, di affievolire altresì in esse i sentimenti morali; e quando poi, trascorrendo oltre, vedono nascere la reazione di sentimenti religiosi sotto l’usata o sotto la nuova forma, ne viene pervasa, offesa, vinta, la loro ragione; ed in conclusione riescono dove mai avrebbero voluto andare.

62. In Atene, la resistenza delle classi inferiori non si mutò in una reazione che invadesse le classi superiori; il che probabilmente accadde perchè il fenomeno fu disturbato dalla conquista romana. Tale coesistenza, per un certo tempo, di una classe superiore, nella quale dominava la ragione, e di una classe inferiore, in cui dominava il sentimento, è non ultima tra le ragioni dello straordinario incivilimento di Atene in quel tempo38.

63. Già intorno a Pericle si adunavano persone che liberamente ragionavano intorno alle credenze popolari, ed il conversare loro in casa d’Aspasia, fa [p. 85 modifica]tornare in mente i salotti francesi alla vigilia della rivoluzione; nell’un caso e nell’altro la filosofa graziosamente mescevavi al mal costume39. Le accuse contro Aspasia ed Anassagora possono avere avuto per origine l’odio politico contro Pericle; ma la forma, cioè l’essere state quelle accuse di empietà, deve pure avere avuto qualche fondamento nei fatti: il che del resto è manifesto per Anassagora. Dall’usare con questo filosofo, secondo Plutarco (Pericles, 6), Pericle trasse il bene di conoscere la vanità delle superstizioni popolari circa ai prodigi. Ed in Anassagora già veniva meno, insieme alla religione, l’amore della patria40; sinché poi Diogene, precursore dei nostri internazionalisti, si dichiarò apertamente cosmopolita41. [p. 86 modifica]

64. L'irreligione, dai discorsi dei filosofi e dalle produzioni della scena, spargevasi nel popolo, ma non senza resistenza. Euripide principiava il suo dramma, intitolato Melanippe, dicendo: «Zeus, chiunque sia, giacchè di lui so solo il nome»; ma tanto ne fu offeso il pubblico, che egli dovette mutare quel verso42. Nei suoi drammi vi sono molti passi diretti contro la religione, almeno come era volgarmente intesa; ed egli pone pure in dubbio i fondamenti della morale43.

65. Notevolissimo è il caso di Socrate. Egli era rispettosissimo delle credenze religiose popolari, moralissimo, ossequente alle patrie leggi sino a soffrire la morte per non sottrarvisi: eppure, l’opera sua fu diretta involontariamente a distruggere la religione, la morale, l’amor patrio; e ciò perchè colla sua dialettica, collo spingere gli uomini ad indagare colla ragione le cagioni di quei sentimenti, li scalzava dalle radici. Abbiamo così un esempio caratteristico della teoria generale espressa nel paragrafo 43.

66. Per tal modo si hanno conseguenze in apparenza paradossali; cioè si vede che mentre le accuse [p. 87 modifica]mosse a Socrate sono false formalmente e nel particolare, sono poi vere nella sostanza e in generale. Così delle accuse mosse da Aristofane nelle Nubi, nessuna letteralmente è neanche lontanamente vera; eppure il concetto generale che le Nubi dovevano far nascere nella mente di chi le udiva, cioè che l’opera di Socrate fosse in ultima analisi contraria ai sentimenti religiosi ed ai sentimenti morali, è pienamente giustificata. Similmente, dell’accusa che a morte trasse Socrate, è falso che «non riputasse dèi quelli che la città reputa tali»; falsissimo poi che egli «corrompesse i giovani»44, nel senso dato al vocabolo corrompere dagli accusatori; verissimo per altro che, con quel suo disputare di tutto e con tutti, egli inconsapevolmente insidiava la credenza degli dèi della città e corrompeva i giovani; nel senso che affievoliva in essi la fede necessaria al bene operare in pro della città. Inoltre, la circostanza che più onora Socrate, e che in astratto pare accrescere molto i meriti suoi, cioè il non avere tolto egli danari per insegnare, è appunto quella che faceva il suo insegnamento massimamente dannoso alla città. Infatti i sofisti, che grave prezzo richiedevano all’opera loro, non potevano avere che scarsi ascoltatori, i quali erano per la massima parte dell’aristocrazia intellettuale: onde a pochi scalzavano le credenze patrie, e anche a parte di questi i sofisti potevano fare più bene che male, per essere tali loro discepoli apparecchiati ad usare della ragione; invece Socrate investiva l’artigiano, l’uomo che dalle cure giornaliere della vita materiale era posto nell’impossibilità di seguire con frutto lunghi, [p. 88 modifica]sottili ed astrusi ragionamenti; ed a lui toglieva la fede, senza potervi in nessun modo sostituirvi utili frutti della ragione.

67. Tale opera insidiosa e nefasta era vivamente sentita dai contemporanei, che istintivamente intendevano quanto danno potesse recare; onde, per essa, ebbe Socrate nemici tanto nella parte oligardica, come nella democratica; i Trenta gli proibirono espressamente di discorrere coi giovani45; i democratici lo condannarono a morte.

68. Ma, come bene osserva lo Zeller (Philosophie der Griechen, Bd. II, 2 A., p. 193), il male era generale e non restringevasi all’insegnamento di Socrate; «tutti gli uomini colti del suo tempo avevano ricevuto l’insegnamento di una critica indipendente, distruggitrice della fede e della morale tradizionali». Aristofane stesso, che vuole ricondurre i contemporanei alle idee antiche, «è tutto pieno dei concetti del suo tempo».

69. Occorre di non dimenticare una circostanza di non gran momento per la storia di quel tempo, ma che acquista valore per l’analogia che fa scorgere con altri fenomeni posteriori; ed è che, mentre le antiche credenze si affievolivano, le pratiche dei [p. 89 modifica]Misteri si espandevano molto. Così si vede un lieve cenno di un genere diverso di resistenza, che ebbe parte principale in altri fenomeni cioè si vede apparire la resistenza dei sentimenti religiosi manifestantesi sotto nuova forma (§ 59).

70. Rimane da vedere come i sentimenti etici e di amor patrio scemassero di intensità insieme ai sentimenti religiosi; e badisi che discorriamo solo di sentimenti attinenti a religioni positive e non di quelli attinenti a religioni metafisiche, le quali, per la loro indole, sono seguite solo di un numero ristrettissimo di uomini (§ 50).

Se paragoniamo i tempi di Maratona ai tempi di Socrate, divergono i pareri. C’è chi, come il Grote, nega che i costumi fossero decaduti, e c’è chi, come lo Zeller, ritiene invece che fossero peggiorati; ma quando ci spingiamo più oltre, sino ad esempio ai tempi di Demetrio Poliorcete, la decadenza dei costumi è manifesta e da nessuno negata46. Ciò basta per la proposizione generale, che afferma che i sentimenti religiosi, etici, di amor patrio, spesso [p. 90 modifica]insieme decrescono, o crescono; mentre il sapere se la decadenza ha avuto luogo sino dai tempi di Socrate preme solo per stabilire con quale velocità il moto nato nelle classi superiori si è propagato alle inferiori.

71. Se noi potessimo prestar fede ai paragoni fatti dai contemporanei tra i costumi antichi e quelli del tempo loro, dovremmo concludere che sino dai tempi di Socrate, e anche prima, i costumi erano assai decaduti; ma quei paragoni, neanche quando sono fatti da uomini come Tucidide (III, 82, 83), non hanno alcun valore, perchè era generale presso gli scrittori antichi il pregiudizio che il presente fosse peggiore del passato47.

Dobbiamo quindi rigettare interamente questa facile ma fallace conferma della nostra proposizione generale, e cercare in altro modo se con essa i fatti concordano.

72. Ciò si ottiene ricorrendo alla storia; ed è troppo grande il contrasto tra gli eroi di Salamina e gli inetti cortigiani di Demetrio Poliorcete, e vi sono troppo altri simili fatti, perchè cada il menomo dubbio in proposito.

73. Aggiungasi che il sospetto il quale investe i paragoni fra il passato e il presente, non ha luogo [p. 91 modifica]pel paragone di fatti egualmente presenti; ed abbiamo su ciò la pregevolissima testimonianza di Polibio. Egli osserva48 che «l’eccesso di religione, stimato vizio presso altri popoli, è ciò che mantiene la repubblica romana. La religione è esaltata e ha straordinaria potenza in ogni privato negozio. Di ciò molti stupiranno: ma io stimo che da essi sia fatto per via della moltitudine49. Se fosse possibile comporre una repubblica tutta di savi, forse tale ordinamento non sarebbe necessario... Quindi a me pare che gli antichi tali opinioni circa agli dèi ed alle pene dell’inferno non a caso nè temerariamente presso il volgo hanno introdotte, mentre molto più temerariamente e dissennatamente sono state dai moderni rigettate50. Onde, pur tacendo di altro, coloro che presso i Greci trattano la pubblica pecunia, se ad essi si affidi un solo talento, quando anche abbiano dieci mallevadori, dieci sigilli ed il doppio di testimoni non serbano fede: mentre presso i romani coloro che nelle magistrature e nelle legazioni molta pecunia trattano, a cagione solo del giuramento, serbano la fede». Ma presto, ai tempi di Sallustio e di Cicerone, diventarono i romani ciò che erano i Greci ai tempi di Polibio. [p. 92 modifica]

74. In ciò che dice Polibio due cose sono da osservare, cioè: 1.° i fatti, e ad essi non vi è alcun ragionevole motivo di non prestare fede; 2.° l’interpretazione; la quale cade nel solito errore di istituire tra i sentimenti religiosi ed i sentimenti morali una relazione di causa ad effetti, mentre vi ha solo una relazione di dipendenza da comuni origini e cagioni (II, 43).

75. (§ 6, γ) Ricerchiamo come abbiano origine e si mantengano quei sentimenti, e perciò consideriamo un problema più generale, cioè quello di sapere come e perchè esistono nella società umana certi fatti A, B, C..., sieno essi sentimenti, istituzioni, costumi, od altre simili cose.

76. Or non sono molti anni è stata data del problema una soluzione che, se si potesse accettare, sarebbe perfetta e porrebbe ad un tratto la sociologia nella categoria delle scienze più progredite. Tale soluzione si ottenne estendendo ai fatti sociali la teoria del Darwin, per spiegare la forma degli esseri viventi; ed è certo che vi è similitudine tra i due casi. Seguendo tale via, diremo dunque che i sentimenti, le istituzioni, i costumi di una data società sono quelli che meglio si confanno alle circostanze in cui quella società trovasi; che vi è infine un adattamento perfetto fra quelli e queste.

77. La soluzione così ottenuta parve verificata dai fatti; il che seguì per esservi effettivamente in essa una parte di verità, che appunto è quella che trovasi nell’analoga teoria per le forme dei viventi, e che fu messa in luce dai neo-darwiniani. Noi dobbiamo cioè ammettere che la selezione opera solo per distruggere le forme peggiori che troppo si allontanano da quelle adattate alle circostanze in cui trovansi i viventi, o le società; essa non [p. 93 modifica]determina quindi precisamente le forme, ma solo certi limiti che quelle forme non possono varcare.

Così è certo che un popolo bellicoso non può avere sentimenti assolutamente vili, istituzioni eccessivamente pacifiche, costumi imbelli; ma al di qua di quei limiti i suoi sentimenti, le sue istituzioni, i suoi costumi possono variare moltissimo e quindi sono determinati da altre circostanze, che non sono la selezione.

78. I popoli già alquanto inciviliti hanno istituzioni tanto meno severe pei debitori, quanta maggiore abbondanza posseggono di capitali mobiliari. Questo fatto, considerato superficialmente, pare confermare interamente la teoria del § 76, e si può dire: tanto meno capitali mobiliari possiede un popolo, tanto più sono preziosi, tanto maggiore è il bisogno di conservarli e di aumentarli: quindi tanto più rigidi debbono essere gli ordinamenti diretti a tale scopo.

Tale ragionamento è in parte vero, ma anche in parte falso. È vero, in quanto che i popoli che hanno pochissima ricchezza, se non hanno ordinamenti che valgano ad impedirne la distruzione, presto cadono nella barbarie. È falso, in quanto che quegli ordinamenti non seguono precisamente il corso dell’aumento della ricchezza; onde non divengono sempre meno rigidi man mano che questa cresce; ma può accadere che per un poco di tempo rimangano costanti, o anche che divengano più rigidi, mentre cresce la ricchezza. La corrispondenza tra i due fenomeni non è perfetta, ma solo grossolanamente approssimata.

Giova anche notare che tale corrispondenza tra i due fenomeni non è conseguita solo per mezzo della selezione. In una società in cui scarseggiano [p. 94 modifica]i capitali mobiliari, ogni distruzione che di essi viene fatta cagiona gravi sofferenze, e quindi direttamente dà origine a sentimenti pei quali seguono provvedimenti diretti ad impedire simili distruzioni; e ciò, non già in virtù di un ragionamento logico, ma in modo analogo a quello per cui, non solo l’uomo, ma ben anche l’animale, è tratto ad allontanare da sè cosa che ad esso procaccia dolore.

79. Una società in cui ogni individuo odiasse il suo simile, non potrebbe evidentemente sussistere e si discioglierebbe. Vi è dunque un certo minimo di benevolenza verso il proprio simile, necessario perchè si mantenga la società. Vi è altresì un altro minimo, superiore al precedente, necessario perchè i componenti la società, prestandosi mutua assistenza, possano resistere all’urto di altre società. Al disopra di quel minimo possono variare più o meno i sentimenti di benevolenza.

80. Altra soluzione molto semplice, e del genere della precedente, si ha ammettendo che i sentimenti morali, religiosi, ed altri, sono quelli che più giovano alla classe sociale che domina.

Tale soluzione ha un poco di vero, ma proporzionalmente meno che la precedente, e maggior parte d’errore. I precetti morali sono spesso volti ad assodare il potere della classe dominante, spessissimo a temperarlo51.

81. Tra i fatti che determinano le massime morali generali, è certo principale l’istinto di socialità. Perchè tale istinto esista in certi animali, ed in altri no, ci è oscuro; onde per ora dobbiamo assumerlo come fatto primitivo oltre al quale non risaliamo. [p. 95 modifica]

Pare probabile che per la morale come pel diritto52 quell’istinto si sia manifestato da prima in fatti disgiunti, che poi furono congiunti e compendiati per mezzo di massime morali, le quali per tal modo appaiono come il risultamento dell’esperienza. Ed, in un certo senso, si può pure così considerare la sanzione di un dio data a quelle massime, poichè chi non le osservava dimostravasi privo dei sentimenti necessari nelle circostanze del vivere sociale in cui trovavasi, per cui, tosto o tardi, ne poteva portare la pena, e non era interamente finzione che, ad esempio, Zeus vendicasse i supplicanti.

Si suole ragionare come se le massime morali avessero origine esclusivamente da coloro a cui impongono certe norme di fare, o di non fare, ma in realtà esse hanno altresì origine da coloro che ne ritraggono qualche vantaggio. Chi desidera che altri faccia cosa alcuna in suo pro, ben di rado esprime schiettamente tale desiderio; egli stima miglior consiglio di dargli forma di un concetto generale o di una massima morale. Ciò si vede [p. 96 modifica]ottimamente ai giorni nostri, ponendo mente alla nuova morale della solidarietà.

82. A cagione del fatto che i problemi sociali sono essenzialmente quantitativi, mentre noi ne esprimiamo qualitativamente la soluzione, segue che vi sono massime morali letteralmente contrarie e che in sostanza mirano a reprimere deviazioni eccessive per un verso e pel verso opposto, portandoci al punto che quantitativamente stimasi migliore. Così alla massima: ama il prossimo tuo come te stesso, fa riscontro l’altra, che «carità bene ordinata principia da sè stessa»53. In una società vi sono massime favorevoli alla classe dominante, ma ve ne sono pure altre che ad essa sono contrarie54; nelle società ove più crudele è l’usura, si hanno massime morali maggiormente ad essa contrarie. In tutti quei casi ciò che gli uomini stimano un male sociale viene corretto da certi fatti, i quali poi sono compendiati sotto forma di massime o precetti. Similmente hanno origine le massime o precetti che valgono per certe classi sociali, per certe caste, per collettività personali, ecc.

Ciò che, giustamente o no, viene reputato di danno ad una collettività, più o meno ristretta, è vietato da un precetto della morale particolare di quella collettività; ciò che ad essa è reputato utile viene similmente imposto. Nascono poi fenomeni [p. 97 modifica]d’interponimento tra queste varie morali e tra esse e la morale generale.

83. Vana ricerca è quella di alcuni che indagano se i sentimenti morali abbiano origine individuale o sociale. L’uomo che non vive in società è un essere straordinario, a noi pressochè, o meglio interamente ignoto; e la società disgiunta dagli individui è astrazione che a nulla di reale corrisponde55. Quindi, ogni sentimento che negli uomini viventi in società si osserva, sotto un certo aspetto è individuale, sotto un altro aspetto è sociale. La metafisica sociale che costituisce il substrato di simili ricerche è semplicemente metafisica socialista, ed è diretta e favorire certe dottrine a priori.

84. Più assai dell’origine dei sentimenti premerebbe di conoscere come presentemente sorgono, si mutano, si dileguano. Infine, il conoscere come nelle società primitive sono nati certi sentimenti appaga solo la curiosità (I, 33), e poco più è utile: similmente il conoscere i confini del mare, nelle remote epoche geologiche, poco o nulla giova al navigante, a cui preme di conoscere quei mari come ora sono. Disgraziatamente ben poco sappiamo della storia naturale dei sentimenti al presente.

85. (§ 6, γ). Sotto i nostri occhi, in Francia, ove più progredisce la democrazia, sono accaduti mutamenti notevoli nella seconda metà del secolo XIX. I sentimenti religiosi paiono avere aumentato di intensità; ma in parte hanno mutato forma, ed una nuova religione giacobina-socialista ha conseguito vita rigogliosa56. [p. 98 modifica]

Si possono notare i seguenti mutamenti nei sentimenti morali. 1.° Un aumento generale di pietà morbosa, a cui si dà il nome di umanitarismo. 2.° Più specialmente un sentimento di pietà e anche di benevolenza pei malfattori, mentre cresce l’indifferenza pei mali del galantuomo offeso da quei malfattori. 3.° Un aumento notevole di indulgenza e di approvazione per il mal costume femminile.

I fatti che stanno in relazione con quei mutamenti sono i seguenti: 1.° L’aumento di ricchezza del paese, il che permette di sciuparne una parte per l’umanitarismo e per l’indulgenza pei malfattori. 2.° La maggior partecipazione che hanno le classi povere al governo. 3.° Il decadere della borghesia. 4.° Lo stato di pace non interrotto per trentaquattro anni. [p. 99 modifica]

Le relazioni dipendenti dal primo fatto appartengono al genere notato ai § 76-79. Quelle dipendenti dal secondo fatto sono del genere notato al § 80.

Infine il movimento ha principiato nelle classi intellettualmente elevate, si è manifestato nella letteratura, e poi è sceso nelle classi inferiori, ed ha preso forme pratiche.

86. I sentimenti di biasimo per i malfattori, specialmente per i ladri, sono certamente molto affievoliti; ed oggi sono ritenuti buoni giudici coloro che, con poca scienza e nessuna coscienza, cupidi solo di malsana popolarità, proteggono i malfattori e sono rigidi ed aspri solo contro i galantuomini; il quale concetto difficilmente avrebbe capito nella mente del maggior numero dei francesi che vivevano, per esempio, nell’anno 1860; sebbene già fin da quel tempo avesse fatto capolino nella letteratura; ma pareva cosa che dovesse rimanere sempre nella finzione romanzesca.

Egualmente pel mal costume. Può darsi che ne fatti esso non sia maggiore ora di ciò che fosse un cinquanta anni fa; ma la teoria è certamente mutata.

Ed anche tale mutamento venne dalla parte intellettuale della società, e apparve dapprima sotto forma esclusivamente letteraria; la quale da molti era accettata come semplice svago della mente, senza credere che potesse un giorno aver parte nella morale sociale.

Poscia questi e quei mutamenti divennero arma dei partiti sovversivi del presente ordine sociale, trassero aiuto dalle dottrine socialiste, e ad esse ne porsero; mentre erano accolti da una borghesia decadente, avida di godimenti perversi, come spesso accade per gli esseri degenerati. [p. 100 modifica]

Il diritto positivo seguì solo in ritardo quell’evoluzione della morale; onde certi giudici, cupidi delle volgari lodi e anche desiderosi di ingraziarsi i nuovi governanti, apertamente mostrano di disprezzare il codice e le leggi, e vanno in cerca dei considerandi delle loro sentenze nei romanzi della Sand e nei Miserabili di Vittor Ugo.

87. Il minor biasimo per chi ruba ha forse qualche relazione col progredire delle teorie contrarie alla proprietà individuale; ma tale relazione non è punto sicura; invece appare molto più chiara quella colla democrazia e col suffragio universale57. Occorre qui notare che, anche se i delinquenti fossero proporzionalmente in egual numero nelle classi superiori e in quelle inferiori, seguirebbero tuttavia effetti diversi secondo che il potere piega più da quella o da questa parte.

Nelle classi superiori si mira a mantenere le leggi o le norme del costume, mentre si trasgrediscono; nelle classi inferiori si mira a mutare quelle stesse leggi e norme; e ciò accade perchè il potente si pone sopra alla legge ed al costume, il debole vi è sottoposto.

I casi in cui, ora in Francia, i deputati debbono salvare piccoli delinquenti loro elettori dalle conseguenze del mal fare sono giunti a sì gran numero, che hanno finito col dar luogo a massime generali, che costituiscono una legislazione non ancora scritta, parallela e diversa dalla legislazione scritta; ed i giudici desiderosi di non essere maltrattati dal governo, o di acquistare grazia [p. 101 modifica]presso di esso, seguono quella, non questa. In realtà, non si procede più per molti e molti delitti, che pure sarebbero ancora puniti dalle leggi (IX, § 32 e seg.). I magistrati scherzano allegramente sull’adulterio. «Perchè volete proseguire nell’arringa? — diceva uno di quei giudici all’avvocato che trattava la causa — Tanto voi conoscete la tariffa del tribunale; sono venticinque franchi, e basta». Tale è pure la tariffa degli altri giudici francesi; anzi colui che, coll’essere benevole ai malviventi, si è acquistato il nome di buon giudice, fa soltanto pagare per l’adulterio la tenue ammenda di un franco; e lieto gode di questa nuova offesa alla legge, all’ordinamento della famiglia, al buon costume.

Parecchie di quelle prostitute, tanto care a certi giudici, si fanno pagare di più; e sono ben maggiormente punite quelle povere donne che, dopo di avere appartenuto ad una congregazione religiosa, sono accusate di fingere di non appartenervi più; e, tra le prove, si pone quella del mantenere il voto di castità.

Il crescere della democrazia ha dato vigore al sentimento di eguaglianza tra i due sessi; ma è probabile che maggiormente ha operato il non esservi più state guerre; poichè è in queste che principalmente appare la superiorità dell’uomo. Quel sentimento poi di eguaglianza ha portato alla teoria di un’unica morale sessuale per l’uomo e per la donna; la quale da pochi sognatori è intesa nel senso che l’uomo deve essere maggiormente casto; ma dai più, che badano al concreto, è intesa nel senso che per la donna la castità è semplicemente un’anticaglia.

C’è persino uno scrittore che ha rivendicato per [p. 102 modifica]la donna «il diritto all’immoralità». — Il modo di vivere delle ragazze, divenuto ognora più libero, non pone certo ostacolo all’unione irregolare dei sessi; sebbene ciò sia negato da molti che vedono le cose come le desiderano e come impone la fede loro nel «progresso», e non come sono in realtà e come le sanno i ginecologhi, di cui le libere e moderne ragazze sono ottime clienti.

La facilità degli aborti in alcune grandi città moderne fa tornare in mente Roma descritta da Giovenale; ed il pubblico sente senza disapprovare e senza essere disgustato una commedia che, dandone la colpa alla «società», giustifica indirettamente il procurato aborto.

In relazione con tutti i fenomeni notati sta la decadenza della borghesia; la quale decadenza non è altro che un caso particolare di un fatto molto più generale; cioè della circolazione delle parti elette della popolazione.

88. L’esempio della Francia ha un’azione sui sentimenti di popoli, come per esempio l’italiano, che ha con quel paese molte e frequenti relazioni personali ed intellettuali; onde appare una nuova cagione di mutamenti nei sentimenti, cioè l’imitazione.

Nè tale imitazione ha solo luogo tra popolo e popolo, bensì anche tra le varie classi sociali, e tra i vari individui che le compongono; perciò un movimento, nato in un punto qualsiasi di una società, si estende per imitazione; e seguita ad estendersi ove trovi circostanze favorevoli; oppure si spegne se le trova contrarie.

All’imitazione fa riscontro l’opposizione58. Quando [p. 103 modifica]una dottrina è generalmente accolta, sorge per l’appunto chi l’oppugna. A molti uomini, sentendo ripetere sempre una cosa, viene voglia di affermare il contrario. Una teoria troppo spinta per un verso, fa nascere necessariamente una teoria troppo spinta pel verso opposto. Le teorie dell’umanitarismo e dell’eguaglianza degli uomini, hanno per contrappeso necessario le teorie egoiste del superuomo del Nietzsche. Nel medio evo le streghe erano una produzione dell’esaltazione religiosa.

89. (§ 6 δ). Vediamo come le relazioni oggettive ora studiate si trasformino in relazioni soggettive. In generale si osservano le seguenti uniformità: Fig. 4

1.° Vi è una doppia trasformazione. Una relazione oggettiva reale A si trasforma, senza che l’uomo ne sia consapevole, in una relazione soggettiva B. Poscia, essendovi nell’uomo tendenza a trasformare le relazioni soggettive in relazioni oggettive, la relazione B viene trasformata in altra relazione oggettiva C, diversa da A e generalmente immaginaria. 2.° L’uomo tende sempre a dare valore assoluto a ciò che è contingente. Tale tendenza viene in parte appagata dalla trasformazione del fatto contingente B nel fatto immaginario C, molto meno contingente, od anche assoluto. 3.° L’uomo ha tendenza di stabilire una relazione logica tra vari fatti che egli sente essere [p. 104 modifica]dipendenti, senza capire bene come e perchè. Inoltre tale relazione logica è di solito quella di causa ad effetto. Se si eccettua la meccanica e le scienze affini, le relazioni di mutua dipendenza sono pochissimo usate. 4.° L’uomo è mosso da interessi particolari, e principalmente da sentimenti, mentre si figura e fa credere ad altri che è mosso da interessi generali.

Frequentissimo è il caso in cui A (fig. 4), è un interesse particolare che, senza esserne l’uomo consapevole, si trasforma in B; e poi B si trasforma in un interesse generale C, che è immaginario. Accade anche spesso che la trasformazione A B principia coll’avere luogo consapevolmente, cioè l’uomo sa di essere guidato da un interesse particolare, e poi, poco alla volta, lo dimentica, e alla relazione A B sostituisce la relazione C B; cioè crede di essere mosso da un interesse generale.

Spieghiamo meglio questo cose con un esempio. A figura sentimenti di socialità e certe relazioni di utile per l’individuo e la specie; B figura sentimenti di benevolenza verso l’ospite; C figura la spiegazione che di quei sentimenti si dà, dicendo che l’ospite viene da Zeus. Altro esempio: A figura i sentimenti di cupidigia dell’uomo povero; B è il sentimento che il ricco deve dare al povero; C è il principio della «solidarietà» tra gli uomini.

90. Occorre aggiungere che la credenza nella causa immaginaria C è a sua volta un fatto psichico, e quindi trovasi tra i fatti reali del genere di A, i quali danno origine a B. Si ha così un seguito di azioni e di reazioni. Ciò si vede bene nel linguaggio.

I fatti della fonetica o della sintassi non hanno certo avuto origine da certe regole grammaticali [p. 105 modifica]preesistenti; ma al contrario queste sono state tratte da quelli. Per altro, quando tale operazione è stata compiuta, l’esistenza di tali regole ha operato, a sua volta, sui fatti della fonetica e della sintassi. Similmente pei fatti del diritto. Sebbene ci sia ancora chi ad essi assegni cagioni immaginarie, come ad esempio, dando ad essi per origine un certo «senso giuridico», si principia ora ad intendere che, all’opposto, dai fatti del diritto trassero origine le norme astratte (§ 80), e, se vuolsi, anche quel senso giuridico; ma, quando poi quelle norme e quel senso ci furono, divennero fatti come qualsiasi altro, e quindi operarono come tali per determinare le azioni umane. Anzi, in questo caso particolare, tale opera divenne presto principalissima e prevalente, poichè quelle norme vennero imposte colla forza.

91. Quando per C si prende il principio, che è morale tutto ciò che può assumersi come norma generale delle azioni umane (ed altro simile principio), si verificano tutte le uniformità del § 89. 1.° I sentimenti morali che si vogliono per tale modo spiegare nascono da certi altri fatti oggettivi A, come già vedemmo. 2.° Il principio posto è assoluto; non c’è restrizione nè di luogo nè di tempo; vale per il negro più decaduto e per l’europeo più incivilito, per l’uomo preistorico e per l’uomo moderno; la relazione C B diventa del genere di un teorema di geometria, che vale in ogni luogo e tempo. I metafisici non scorgono l’assurdo di tale conseguenza. 3.° La relazione tra quel bel principio della norma generale delle azioni umane e la conseguenza B che se ne vuole trarre, è logica almeno in apparenza, e per quanto lo consente l’indole di quel principio, che non ha contenuto reale (§ 38). Inoltre quella è relazione tra una [p. 106 modifica]causa C e un effetto B. 4.° Quel ragionamento è usato principalmente per chiedere altrui di consentire a qualche sacrificio, o per ottenere che la podestà pubblica a lui lo imponga. Se si dicesse: «datemi tale cosa, perchè a me fa comodo», da pochi si sarebbe seguìti; giova invece dire: «datemi tale cosa, perchè ciò giova a tutti», e così si hanno alleati. Notisi che con quel tutti non si comprende solitamente l’uomo a cui si toglie la roba; ma spesso figura il maggior numero; e basta ciò, perchè, in quei ragionamenti pseudo-scientifici, non si veda l’incongruenza dell’espressione.

Gli operai scioperanti combattono i padroni delle officine ed accoppano i compagni che vogliono lavorare in nome della «solidarietà». È evidentissimo che tale solidarietà ben si può intendere tra gli scioperanti, ma non tra questi e i padroni e i «Krumiri». Ma i teorici discorrono invece della solidarietà tra tutti gli uomini; e poscia estendono le proposizioni ottenute a quell’altra solidarietà, che meglio potrebbesi dire consorteria. La solidarietà è sempre ottima per ricevere, non è mai buona per dare. L’operaio che guadagna dieci lire al giorno stima che, in nome della solidarietà, il ricco a lui deve far parte delle sue sostanze; ma troverebbe ridicolo che a lui si chiedesse, in nome di quella stessa solidarietà, di far parte del suo guadagno a chi ha di salario una lira o poco più al giorno.

La «democrazia» degli Stati Uniti d’America ha per principio l’eguaglianza degli uomini; ed è perciò che in quel paese civile si linciano negri ed italiani, si vieta l’immigrazione cinese, e si muoverebbe guerra alla Cina, se a loro americani fosse vietato di andarci: si respinse dal sacro suolo una coppia italiana perchè non unita in legittimo matrimonio, [p. 107 modifica]mentre gli abitanti del Nuovo continente vengono in Europa a fare vedere ben altre prove di mal costume. I socialisti australiani vogliono giovare ai «deboli ed agli umili», e la viltà borghese li seconda ma, nel 1904, essendo accaduto che un missionario fosse assassinato dagli indigeni, gli australiani fecero una spedizione che distrusse senza pietà alcuna molti e molti di quei miseri, anche innocentissimi. I socialisti francesi smaniano per la pace, stimano delitto la guerra, ma è solo quella contro lo straniero: poichè apertamente predicano lo sterminio dei borghesi. Intanto feriscono i «gendarmes»; a Brest, nel luglio 1904, misero un laccio al collo di uno di questi e lo volevano strangolare; ne ferirono tredici con sassi. Ad Armentières incendiarono opifici e saccheggiarono case private e banche: a Marsiglia, per tutto il 1904, furono continui gli scioperi con violenze di ogni genere: nei dipartimenti del mezzodì, gli scioperi agricoli divennero vere sommosse. Ma tutto ciò non turbò i sogni dei borghesi, che sono rapiti in estasi per l’imminente avvento di una «nuova e migliore umanità».

92. Occorre badare che, con quella pseudo-logica che spesso serve per stabilire le relazioni C B, l’eguaglianza di M ad N non ha punto per conseguenza l’egualianza di N ad M, come accadrebbe colla logica ordinaria. Per esempio, nelle democrazie moderne il povero deve godere gli stessi diritti dell’uomo agiato, perchè tutti gli uomini sono eguali; ma invece non sono più eguali, se si chiede per l’uomo agiato gli stessi diritti che pel povero. Gli operai hanno ora fòri speciali speciali e privilegiati, cioè quelli dei probi viri, che in certi paesi dànno sempre torto al padrone o al borghese, e [p. 108 modifica]sempre ragione all’operaio59. Se un borghese o un padrone incendiasse la casa di un operaio, sarebbe certamente condannato alla pena sancita dalle leggi per tale delitto; invece gli scioperanti francesi e i loro amici poterono incendiare e saccheggiare le case dei padroni, e dei borghesi, senza che il governo ardisse adoperare contro di essi la forza pubblica. In Italia gli avvocati socialisti ed i loro amici si tolgono licenza di usare contro ai magistrati violenze ed ingiurie che, venendo da altri, sarebbero certamente represse. Nel luglio 1904, a Cluses, ci fu uno sciopero di operai orologieri. Per riprendere gli operai al lavoro, uno dei padroni chiese che pagassero i vetri che avevano rotto al principio dello sciopero. Della strana pretesa furono indignatissimi gli operai; e ciò si capisce, poichè ognuno tutela il proprio interesse; ma ne furono pure indignatissimi i borghesi umanitari; e si capirebbe meno, se non si ponesse mente di che razza spregievole e decaduta sieno costoro. Il proverbio: «chi rompe paga», vale evidentemente solo per il borghese, non per l’operaio, e meno che mai per l’amatissimo e reverendissimo operaio scioperante. L’opificio fu assediato, il bambino di uno dei proprietari fu colpito da un sasso, nelle braccia della madre; i proprietari, per difendersi, spararono sugli aggressori. L’opificio venne saccheggiato ed incendiato; e la forza armata che lo circondava nulla fece per opporvisi. Pochi fra i saccheggiatori ed incendiarii, scelti anche fra i meno colpevoli, furono inquisiti. Ma poichè minacciavasi lo sciopero generale, se fossero stati arrestati, aspettarono il giudizio a piede libero; invece i padroni che si erano [p. 109 modifica]difesi subirono il carcere preventivo; furono poi condannati60; i saccheggiatori ed incendiarii, assolti.

Sul finire del 1903, fu approvata dal parlamento francese un’amnistia per tutti i delitti degli scioperanti o connessi agli scioperi. Mentre si stava discutendo quell’amnistia, ci furono a Parigi individui, i quali, fatti sicuri dell’impunità, saccheggiarono botteghe. Due di essi furono tratti davanti al tribunale, che dichiarò che per essi valeva l’amnistia, onde più non fu data noia agli altri. Se un bottegaio avesse saccheggiato la casa di uno di quei malfattori, sarebbe stato certamente condannato dai tribunali. Eppure, c’è gente che, in perfetta buona fede, crede tale reggimento essere quello dell’eguaglianza dei cittadini, e che spasima di gioia pensando quanto sia superiore agli antichi reggimenti, nei quali eranvi cittadini privilegiati.

93. Accade anche che chi vuole far credere essere mosso da un interesse generale invece che da un interesse particolare, non è di buona fede. Tra i sofismi usitatissimi quando si vuol colpire particolarmente una certa cosa E, fingendo di stabilire invece un provvedimento generale, è da notarsi il seguente. La cosa E ha certi caratteri M, N, P,.....; se ne scieglie uno, per esempio M, che, in apparenza, valga a distinguere questa cosa da altre, e si afferma che il provvedimento è generale e diretto contro M. Le antiche repubbliche fecero spesso leggi che parevano generali e che, in sostanza, miravano a colpire pochi individui, o anche un solo. [p. 110 modifica]

Sparta, al principio della guerra del Peloponneso, mandò legati ad Atene, chiedendo che «gli ateniesi espiassero il sacrilegio fatto alla dea»61. Era una perifrasi per chiedere loro che scacciassero Pericle, discendente dal lato della madre dagli Alcmeonidi, reputati rei di tale sacrilegio.

Il sofisma diviene anche più manifestò quando M si trova pure in altra cosa F, per la quale non vale il provvedimento fatto contro E, dicesi, a cagione di M. Per esempio, ora in Francia, volendosi vietare alle congregazioni religiose di insegnare, ci fu chi asserì che il divieto mirava solo a togliere che coloro che non erano coniugati, potessero insegnare. Ma è pure manifesto che, se i maschi appartenenti alle congregazioni non hanno moglie, e le femmine non hanno marito, è pure vero che non tutti i celibi appartengono alle congregazioni; onde, se si volevano colpire, era necessario farlo direttamente e non attraverso alla congregazione.

94. Un medesimo concetto può esprimersi in varie lingue; e nella stessa lingua, può esprimersi in vari modi. Una stessa contesa che pochi secoli fa avrebbe preso forma teologica, oggi prenderebbe forma socialista. Quando si sente dire nel gergo moderno che una legge è «largamente umana», occorre tradurre e dire che favorisce gli infigardi e le birbe, a scapito degli attivi e degli onesti. Chi volesse esprimere che un uomo a lui pare degno di biasimo, usando il linguaggio dei secoli di mezzo, direbbe che è un eretico scomunicato; usando il linguaggio dei giacobini sul finire del secolo XVIII, che è un aristocratico; usando il linguaggio dei [p. 111 modifica]giacobini moderni, che è un reazionario62. Sono questi semplicemente modi diversi di esprimere la stessa cosa.

Più generalmente, si può osservare che, nella società, un fenomeno, che rimane sostanzialmente lo stesso, assume col volgere del tempo forme diverse e spesso assai differenti; ossia si ha la permanenza di uno stesso fenomeno sotto varie forme63.

95. Quanto precede ci fa vedere che vi è una parte di verità nell’osservazione di G. Sorel che ciò che concerne la patria e la tradizione ha il [p. 112 modifica]carattere mitico64 e che «i miti sono necessari per esporre in modo preciso le conclusioni di una filosofia sociale che non vuole ingannare se stessa...»65. Infatti, ogni qualvolta noi vogliamo procurare di intendere ciò che hanno pensato o che pensano certi uomini, occorre conoscere la lingua e i modi coi quali esprimevano i loro pensieri. Il Grote, per esempio, ha con somma evidenza fatto vedere che non possiamo intendere la storia degli antichi elleni, se non procuriamo di fare nostri, quanto è possibile, i miti che costituivano l’ambiente intellettuale in cui essi vivevano.

Similmente chi vuole operare attivamente sugli uomini deve parlare la lingua che usano, ed adoperare forme che a loro sieno accette, e quindi, generalmente, usare il linguaggio dei miti.

96. Ma la teoria del Sorel è incompleta; perchè, oltre a quei fenomeni soggettivi, ve ne sono pure di oggettivi, e non si può proibire ad altri di occuparsene. Il suo errore viene dal precetto che egli pone, che cioè «la sociologia deve avere sino dai principii un andamento schiettamente soggettivo, che sappia ciò che vuol fare e che subordini tutte le sue ricerche al genere di soluzioni che vuol difendere»66. Ciò può ben essere opera di propaganda, ma non è scienza. Non contendiamo sui termini; abbia pure quella cosa il nome che si vuole; come si può vietare ad uno di indagare quali fatti oggettivi ci sono sotto quei fatti soggettivi, o anche solo di ricercare le uniformità che presentano quei modi di considerare i fatti soggettivi? [p. 113 modifica]

Il Sorel stesso ci dà un esempio dei due generi di considerazioni che comporta un fatto soggettivo. Egli dice che «è probabile che Marx aveva presentato la concezione della catastrofe [la distruzione della borghesia operata dalla concentrazione della ricchezza] come un mito che illustra chiaramente la lotta di classe e la rivoluzione sociale»67.

Il Marx può avere avuto il concetto che a lui meglio piaceva; ma a noi sarà pure lecito indagare se quella catastrofe ha avuto luogo, o non ha avuto luogo, entro i limiti di tempo ad essa assegnati. Non si concepisce come e perchè sarebbe vietato agli uomini di occuparsi di tal fatto oggettivo.

Inoltre, se il Marx intendeva discorrere per via di miti, sarebbe stato bene che ce lo facesse noto prima che gli eventi smentissero le previsioni; altrimenti il mestiere del profeta diventa troppo facile. Uno fa una profezia; se è verificata dai fatti, si ammira la perspicacia del suo autore; se è smentita, si dice che è un mito.

97. (§ 6 ε). Sinora le nostre indagini sono state volte a fatti che seguivano, a movimenti che possiamo dire reali, per distinguerli da altri ipotetici che diremo virtuali (III, 22).

L’argomento non è esaurito dallo studio del come certi fatti seguono: rimane un problema di gran momento; cioè di sapere se uno dei fatti che stanno in relazione fosse, per ipotesi, modificato, quali mutamenti proverebbero gli altri. E tale problema è preparazione necessaria per sciogliere un secondo problema, che indaga quali sono le circostanze che procacciano il massimo utile alla società, [p. 114 modifica]a parte della società, ad un individuo determinato, quando, naturalmente, si definisca prima cosa s’intende per quell’utile.

98. Quei problemi si pongono per tutte le azioni dell’uomo, e quindi anche per quelle che sono oggetto della politica. Essi, in pratica, sono di maggior momento di tutti gli altri; anzi, sempre sotto l’aspetto pratico, sono i soli che premono, ed ogni altro studio è utile solo come preparazione ad essi. Ma sono altresì i più difficili; li troveremo in economia politica, e per quella materia potremo avere soluzioni almeno approssimate. Invece, per quanto ha attinenza alle azioni che dipendono dai sentimenti e dalla politica, non esistono soluzioni, nemmeno grossolanamente approssimate, di quei problemi; ed in tale differenza sta la ragione principale per cui l’economia politica è più progredita di altri rami delle scienze sociali.

99. Fondamento di ogni ragionamento nella presente materia è il problema seguente: Quali effetti sui sentimenti avranno certi dati provvedimenti? Non solo non siamo menomamente in grado di risolvere, in generale, teoricamente quel problema; ma ci mancano persino le soluzioni pratiche, che sogliono nella storia delle conoscenze umane precedere le teoriche, ed essere spesso la materia da cui queste si traggono. Anche gli uomini di Stato di maggiore ingegno errano quasi sempre quando cercano quelle soluzioni. Basti su ciò l’esempio del Bismark. Egli voleva sciogliere il problema seguente: Quali provvedimenti possono affievolire i sentimenti dai quali traggono forza il partito cattolico e il partito socialista? Credette di avere trovata la soluzione coi provvedimenti del Kulturkampf e delle leggi eccezionali contro ai socialisti. [p. 115 modifica]I fatti dimostrarono che era caduto in grandissimo errore. Gli effetti che seguirono furono proprio l’opposto di quelli ai quali mirava: il partito cattolico domina nel Reichstag; il partito socialista prospera ognor più, e ad ogni elezione crescono i numeri di voti che raccoglie. Non solo i provvedimenti del Bismark non hanno impedito ciò, ma anzi hanno molto giovato a che seguissero tali fatti68.

100. Le difficoltà che si oppongono a costituire una teoria in tale materia sono in parte oggettive, in parte soggettive.

Tra le difficoltà oggettive noteremo le seguenti:

1.° I fenomeni avvengono molto lentamente, e non presentano quindi quella frequenza necessaria per potere, con prove e riprove, costituire una teoria. Tutte le scienze sono straordinariamente progredite, eppure, nella materia di cui ci occupiamo, quanto di meglio abbiamo sta ancora nelle opere di Aristotile e del Machiavelli. Fra le tante ragioni di tale fatto, non è ultima quella che quei due autori vissero in tempi in cui i mutamenti politici erano rapidi, molteplici nello spazio, frequenti nel tempo; onde Aristotile, dalle molte repubbliche greche, il Machiavelli, dai molti Stati italiani, ebbero materia abbondantissima per i loro studii.

Poniamo che esperimenti, simili a quello ora [p. 116 modifica]riferito del Bismark, fossero stati molti e compiuti in pochi anni; noi ora, paragonandoli insieme, ricercando ciò che potevano avere di comune e ciò che potevano avere di diverso, finiremmo forse collo scoprire qualche uniformità, che sarebbe un principio di teoria. Invece ci è toccato aspettare sinora per vedere un altro simile esperimento; quello cioè della battaglia che dànno presentemente i giacobini francesi ai cattolici. Se sortirà effetto simile a quello conseguito dal Kulturkampf germanico, avremo un indizio di uniformità. Ma quanto è lieve un indizio tratto da due soli fatti!

2.° I fenomeni attinenti al sentimento non si possono misurare con precisione: quindi ci fa difetto il sussidio della statistica, tanto utile in economia politica. L’asserzione che certi sentimenti si affievoliscono, o rinvigoriscono, è sempre un poco arbitraria, e dipende sempre alquanto dall’indole dell’autore che per tale modo giudica gli eventi.
3.° I fenonemi sono molto più rari e complessi di quelli studiati dall’economia politica; e sono la risultante di molte più cause, o, meglio, sono in mutua relazione con molti più altri.
4.° La qualità loro di essere spessissimo non-logici (§ 3), ci toglie di poterli porre in vicendevole relazione mediante deduzioni logiche; il che invece si può fare in economia politica. Aggiunge difficoltà il fatto che gli uomini sogliono dare alle loro azioni motivi logici non reali.
5.° È difficilissimo di conoscere precisamente i sentimenti altrui e persino i proprii; onde la materia che dovrebbe essere fondamento della teoria è sempre alquanto incerta. Per esempio, al § 99 abbiamo recato come prova che i sentimenti [p. 117 modifica]socialisti avevano acquistato vigore in Germania, il fatto che aumentava il numero dei voti che raccoglieva il partito socialista. In ciò vi è solo un indizio, che ha bisogno di essere avvalorato da altri; perchè molti di quei voti non sono di socialisti, bensì di radicali, di liberali, di malcontenti.

101. Diciamo ora delle difficoltà soggettive.

1.° Gli autori non cercano quasi mai quale è la verità, ma cercano argomenti per difendere ciò che già credono essere la verità, e che è per loro articolo di fede. Ricerche di quel genere sono sempre, almeno in parte, sterili. E non solo gli autori seguono quella via perchè involontariamente soggiacciono alle passioni; ma la percorrono per deliberato volere; nè si ritengono dal biasimare acerbamente chi si rifiuta di ciò fare. Quante sciocche ed insulse accuse furono mai fatte al Machiavelli! Tale difficoltà esiste pure per l’economia politica; e similmente le difficoltà che ora noteremo sono comuni all’economia politica ed alla sociologia. La maggior parte degli economisti studiano ed espongono la materia loro avendo in mente di giungere ad una determinata meta.
2.° Infiniti sono i pregiudizi e i concetti a priori dipendenti dalla religione, dalla morale, dall’amor patrio, ecc., che tolgono di ragionare scientificamente delle materie sociali. I giacobini, ad esempio, credono sul serio che «i re e i preti» sono la cagione di ogni male dell’umanità69, e vedono tutta la storia attraverso quegli occhiali affumicati. Molti di loro si figurano che Socrate sia stato vittima dei «preti»; mentre, proprio i preti, nulla hanno avuto che fare nella condanna di Socrate. [p. 118 modifica]Per molti socialisti, ogni guaio, piccolo o grande, che possa toccare all’uomo è sicura conseguenza del «capitalismo». Il Roosevelt è persuaso che il popolo americano è immensamente superiore ad ogni altro popolo, e quindi non si accorge quanto ridicolo sia il citare il Washington per farci sapere che «il modo più sicuro di avere la pace è di preparare la guerra» (American Ideals, cap. VIII; e quel capitolo ha per titolo: Un precetto dimenticato del Washington!!). Veramente noi miseri europei credevamo che, un poco prima del Washington, certi abitanti di un paesucolo chiamato Lazio avessero, nel loro idioma, detto: si vis pacem, con quello che segue: ma si vede che eravamo in errore, e che i latini devono avere copiato il Washington e ripetuto cosa da lui prima detta.

Altre difficoltà di quel genere si possono vedere nell’Introduzione alla scienza sociale di Herbert Spencer.

Pari difficoltà si incontrano nello studio dell’economia politica. Gli economisti «etici», con grande prosopopea, discorrono a caso di ciò che non intendono. Altri, per ricoprire tale ignoranza, si gonfia le gote, e tronfio come un pavone fa sapere al pubblico che segue «il metodo storico». Altri discorre del «metodo matematico», e lo giudica, lo condanna, lo distrugge; ma ne ha tanta conoscenza quanto un ateniese contemporaneo di Pericle poteva averne della lingua cinese.

3.° La difficoltà soggettiva indicata al N. 5 del § 100 sta in relazione con una difficoltà soggettiva analoga; cioè a noi riesce difficilissimo di non giudicare le azioni altrui coi sentimenti nostri. Nella storia è solo da poco tempo che si è inteso che, per avere un chiaro concetto dei fatti di un dato popolo [p. 119 modifica]e di un dato tempo, occorreva procacciare, per quanto è possibile, di vederli coi sentimenti e le idee di un uomo di quel popolo e di quel tempo. E si è così scoperto che ci sono cose che, pure avendo lo stesso nome, sono essenzialmente diverse, nei luoghi e nei tempi diversi in cui furono osservate. I giacobini francesi della prima rivoluzione credevano, e parte dei loro presenti successori credono, essere la repubblica francese simile e pressochè eguale alla repubblica romana o alla repubblica ateniese.
4.° Solo la fede sprona vivamente gli uomini ad operare: perciò non è punto desiderabile, pel bene della società, che i più, o anche solo molti di essi, trattino scientificamente le materie sociali. Quindi abbiamo un contrasto tra le condizioni per operare e quelle per sapere70. E da ciò ricavasi nuovo argomento (§ 60) che fa vedere quanto sia poco savia l’opera di coloro che vogliono a tutti indistintamente, senza discernimento, estendere il sapere. Ben è vero che il male che potrebbero recare [p. 120 modifica]è corretto, in qualche parte, dal fatto che ciò che essi chiamano sapere è semplicemente una qualità particolare di fede settaria; onde, piuttosto che i mali dello scetticismo, sono da considerarsi quelli che da tale fede hanno origine.
5.° Il contrasto tra le condizioni per operare e quelle per sapere appare anche in ciò, che, per operare, noi seguiamo senza altre certe norme del costume e della morale; nè veramente sarebbe possibile fare diversamente, non fosse altro perchè mancherebbero tempo e mezzi per risalire sino alle origini, in ciascun caso particolare, e farne la teoria completa; invece, per conoscere le relazioni delle cose, per sapere, occorre appunto discutere quei principii stessi.

Ad esempio, in un popolo bellicoso, i costumi sono favorevoli ai sentimenti guerrieri; ammesso che il popolo rimanga bellicoso, è utile ad esso che, almeno entro certi limiti, le opere degli individui vadano d’accordo con quei sentimenti; sta dunque bene, sempre entro quei limiti, il giudicare che una data opera è nociva per ciò solo che contrasta con quei sentimenti. Ma tale conclusione non sussiste più, ove si indaghi se giovi a quel popolo l’essere bellicoso o pacifico.

Similmente, dove esiste la proprietà privata, esistono sentimenti che sono urtati dalle offese a quella proprietà; e, sinchè si stimi utile di mantenerla, è logico di condannare gli atti che contrastino con quei sentimenti; i quali, per tale modo, sono valida misura di ciò che è bene o male in quella società. Ma cessano di essere tali, ove invece si ponga in forse se giovi conservare, o distruggere, la proprietà privata. Opporre ai socialisti, come usavano parecchi autori della prima metà del secolo XIX, [p. 121 modifica]che sono malfattori, perchè vogliono distruggere la proprietà privata, è propriamente un ragionare in circolo, e prendere per giudice l’accusato. Simile errore sarebbe il voler giudicare le teorie dell’amore libero coi sentimenti di castità, di decenza, di pudore.

In una società ordinata in un certo modo, e dove esistono certi sentimenti A, si può ragionevolmente ritenere che una cosa B contraria a quei sentimenti possa essere nociva; ma, poichè l’esperienza ci fa conoscere che vi sono società ordinate in modo diverso, in una di queste possono esistere certi sentimenti C, favorevoli a B, e B può essere utile a tale società. Quindi, allorchè si propone B, per passare dal primo ordinamento al secondo, non si può più obbiettare che B è contrario ai sentimenti A che si trovano nel primo ordinamento.

Notisi poi, che l’universale consenso degli uomini, quando, per dannata ipotesi, si potesse conoscere, non vale a mutare quella conclusione; persino se si trascura la considerazione che l’universale consenso dell’oggi può non essere stato quello di ieri, nè rimanere quello di domani.

6.° Per persuadere alcuno in materia di scienza, occorre esporre fatti quanto più è possibile certi, e porli in relazione logica colle conseguenze che se ne vogliono trarre. Per persuadere alcuno in materia di sentimenti, e di tale genere sono quasi tutti i ragionamenti che si fanno sulla società e le istituzioni umane, occorre esporre fatti capaci di muovere i sentimenti, onde da questi sia suggerita la conclusione che se ne vuole trarre. È manifesto che quei due modi di ragionare sono interamente diversi.

Ecco un esempio. Il Brunetière, rispondendo a [p. 122 modifica]Réné Bazin, nella seduta del 29 aprile 1904, dell’Académie Française, principia col dimostrare che l’arte deve essere umana: «Nous pouvons, tout nous invite à croire que, si nous n’existions pas, les planètes n’en décriraient pas moins leurs orbites à travers l’espace; et il ne paraît pas probable que, si nous disparaissions quelque jour de la surface du globe, la nature et la vie dussent s’anéantir et disparaître avec nous. Mais qu’est-ce que l’art en dehors de l’homme? A quoi répondrait-il? Et quelle en serait seulement la matière? L’art n’a proprement d’existence et de réalité que pour l’homme et par l’homme.... C’est pourquoi la première condition de l’art est d’être humain, même avant que d’être de l’art». Notisi che qui umano vuole semplicemente dire pertinente, appartenente, all’uomo; e con quel significato, la proposizione enunciata è incontestabile. Ma, appena dimostrata la sua proposizione in un senso, tosto il Brunetière l’usa in un altro; e con un giuoco di bussolotti, umano si muta in umanitario, il che non è punto la stessa cosa, «Les naturalistes avaient fini par l’entendre (la proposizione nel senso sopra indicato)... ils se sont rendus compte que le roman naturaliste, libéré de ses anciennes contraintes, ne pouvait manquer de tendre tôt ou tard au roman social». Ecco il nuovo significato che fa capolino. «En se jetant dans le peuple, selon le mot de La Bruyère, il était donc inévitable que le naturalisme fit des découvertes...» Ed ecco che sociale toglie un significato particolare, appartenente a certe classi sociali; proseguendo, quel significato diventa ognora più particolare, e l’arte umana diventa non solo l’arte umanitaria, ma anche umanitaria nel senso che piace al Brunetière: [p. 123 modifica]«Vous vous êtes rendu compte que la curiosité du plaisir ou de la souffrance des autres n’etait que de l’indiscrétion et même de la perversité si nous n’y cherchions pas des raisons et des moyens de nouer ou de resserrer les liens de la solidarité qui nous attachent à eux». Pare che i miseri borghesi non sieno uomini, e che quindi ciò che ad essi pertiene non sia umano. Chiede il Brunetière se, nei romanzi del Bazin, si è badato che «c’était à - peine si l’on voyait passer, a l’arrière - plan et à peine esquissés quelques héros bourgeois. Mais les vrais, ceux que vous aimez, les préférés de votre cœur et de votre talent.... sont tous du peuple et du vrai peuple, celui qui travaille de ses mains, cultivateurs, ouvriers d’usine.... C’est dans le cercle étroit de leur profession que vous avez eufermé le drame de leur existence. Ou ne voit pas même paraître, dans la Terre qui meurt, le propriétaire de la ferme que les Lumineau font valoir....». Se si fosse veduto comparire, il romanzo non sarebbe più stato umano; il proprietario non è un uomo. Filialmente, esclama liricamente il nostro autore, rivolgendosi al Bazin: «je ne sache guère, dans la littérature contemporaine, d’œuvre moins aristocratique et moins bourgeoise, plus populaire que la votre. Pas un des maîtres du théatre ou du roman contemporain ne s’est penché plus complaisamment vera les humbles avec une curiosité plus inquiète ou plus passionnée de leurs maux»71. [p. 124 modifica]

In sostanza il ragionamento del nostro autore si compendia così: L’arte deve occuparsi di cose appartenenti all’uomo, essere umana; dunque deve occuparsi solo del popolo, degli operai, avere per scopo la solidarietà, essere umanitaria.

Logicamente questo ragionamento è assurdo; eppure venno favorevolmente accolto ed applaudito dai buoni borghesi che l’ascoltavano; il che seguì semplicemente perchè essi non badarono al ragionamento; badarono alle parole, che stuzzicavano gradevolmente certi loro sentimenti. Quella brava gente crede che, col prostrarsi dinanzi al volgo, col farsene umilmente lodatrice, tornerà al potere; ed inoltre ad essa viene meno ogni civile energia, onde, per provare sensazioni piacevoli, basta che senta qualche produzione letterariamente discreta, ove sieno incastrati i termini di: popolo, operai, piccoli e umili, umano, solidarietà, ecc.

Presso molti popoli, il ragionamento su cose sociali si ferma al punto ove appare che certi fatti sono, o non sono, accettati dai sentimenti religiosi. Presentemente, presso i popoli civili, quel punto trovasi [p. 125 modifica]quando appare che i fatti concordano, o non concordano, coi sentimenti umanitari: e non viene in mente, come dovrebbesi fare scientificamente, di esaminare quegli stessi sentimenti.

Per esempio, Herbert Spencer ha sentimenti assolutamente contrari alla guerra; quindi allorchè ha condotto il ragionamento sino a quel punto in cui mostra che certi fatti urtano quei sentimenti, non c’è, per lui, da aggiungere altro, e quei fatti sono condannati72. Altri autori si fermano al punto in cui possono dimostrare che qualche cosa è contraria all’«eguaglianza degli uomini»; e non viene loro in mente che tale eguaglianza può benissimo essere contestata.

102. La società umana non è omogenea, essa è costituita da elementi che differiscono più o meno, [p. 126 modifica]non solo per caratteri evidentissimi, come il sesso, l’età, la forza fisica, la salute, ecc,; ma anche per caratteri meno facilmente osservabili, ma non meno importanti, come sarebbero le qualità intellettuali, morali, l’attività, il coraggio, ecc.

L’asserzione che gli uomini sono oggettivamente eguali è talmente assurda, che non merita neppure di essere confutata. Invece, il concetto soggettivo dell’eguaglianza degli uomini è un fatto di gran momento, e che opera potentemente per determinare i mutamenti che subisce la società.

103. Allo stesso modo che in una società si distinguono ricchi e poveri, sebbene le entrate crescono insensibilmente dalla più bassa alla più alta, si può distinguere in una società la parte eletta o aristocratica, nel senso etimologico (ἄριστος - migliore), e una parte volgare; ma occorre sempre tenere presente che si passa dall’una all’altra per gradi insensibili.

Il concetto di quella parte eletta è subordinato alle qualità che in essa si ricercano. Vi può essere un’aristocrazia di santi, come un’aristocrazia di briganti; un’aristocrazia di scienzati, un’aristocrazia di furbi, ecc. Ove poi si considerino quel complesso di qualità che favoriscono il prosperare e il dominare in una società, si ha ciò che diremo semplicemente aristocrazia o parte eletta.

Tale parte esiste veramente in ogni società, e la governa, anche quando apparentemente il reggimento è quello della più larga democrazia.

Per una legge di gran momento e che veramente è cagione principale di molti fatti sociali e storici, quelle aristocrazie non durano, ma si rinnovano continuamente; ed ha luogo, per tal modo, un fenomeno [p. 127 modifica]a cui si può dare il nome di circolazione delle aristocrazie73.

Su tutto ciò dovremo tornare discorrendo della popolazione; qui ci basta di avere rammentato compendiosamente quei fatti, di cui ci dobbiamo valere nelle considerazioni seguenti.

104. Supponiamo che esista una società composta di una collettività A dominante e di una collettività B soggetta, le quali sieno decisamente avversarie.

Potranno entrambe manifestarsi precisamente come sono. Più spesso accadrà che la parte dominante A si vorrà manifestare come operante pel comun bene, poichè così spera di attenuare l’opposizione di B; mentre la parte soggetta B rivendicherà schiettamente i vantaggi che vuol conseguire.

Fatti simili si osservano quando le due parti sono di nazionalità diverse; per esempio per gli inglesi e gli irlandesi, per i russi ed i polacchi.

Ma il fenomeno diventa molto più complesso in una società di nazionalità omogenea, o, ciò che torna allo stesso, creduta tale dai suoi componenti.

Da prima, in quella società, tra le due parti avversarie A e B, s’interpone una parte C, che partecipa dell’una e dell’altra e che può volgersi ora da questo, ora da quel lato. Poscia, la parte A si divide in due; una delle quali, che diremo A α, ha ancora quanto basta di forza e di energia per volere difendere il proprio dominio; l’altra, che diremo A β, si compone di individui decaduti, fiacchi [p. 128 modifica]di mente e di volere, umanitari, come diconsi ai giorni nostri. Similmente la parte B si divide in due: una delle quali, che diremo B α, costituisce la nuova aristocrazia che sorge, e che accoglie pure molti elementi di A, che, per cupidigia o ambizione, tradiscono la propria classe e si fanno a capitanare gli avversari; l’altra, che diremo B β, si compone del solito volgo, che costituisce la maggior parte delle società umane74.

105. Oggettivamente la contesa sta unicamente in ciò che i B α vogliono sostituirsi agli A α; tutto il resto è subordinato ed accessorio.

In tale guerra, i capitani, cioè gli A α e i B α, hanno bisogno di soldati, e ciascuno mira a procurarsene come meglio può.

Gli A α seguitano a voler dare ad intendere che operano pel comun bene; ma nel caso presente quest’arma diventa a doppio taglio. Infatti se, da un lato, giova ancora ad ammorzare la resistenza dei B β, dall’altra infiacchisce pure l’energia degli A β, i quali scambiano per verità ciò che non è che finzione, e che solo come finzione può essere utile. A lungo andare può seguire che i B β credano ognora meno a quelle parole degli A α, e invece gli A β ognora più le tolgano come norma di condotta reale; ed in tal caso l’arte usata dagli A α si volge contro di loro, e finisce col fare loro più male che bene. Ciò ora si verifica, in qualche paese, nelle relazioni tra la borghesia e la parte popolare75. [p. 129 modifica]

106. In quanto ai B α, essi sogliono apparire come i difensori dei B β, e, meglio ancora, come i difensori di provvedimenti i quali sono per giovare a tutti i cittadini. Per tal modo la contesa, che è oggettivamente del dominio tra gli A α e i B α, toglie soggettivamente la forma di una contesa per la libertà, la giustizia, il diritto, l’eguaglianza, o per altre simili cose; e sotto quella veste è di solito registrata dalla storia.

I vantaggi di tale modo di operare sono specialmente che i B α tirano dalla loro non solo i B β, ma parte dei C, e anche la maggior parte degli A β.

Ponete che la nuova aristocrazia che sorge manifestasse schiettamente e semplicemente il suo intendimento, che è quello di soppiantare l’antica; nessuno le verrebbe in aiuto, e sarebbe vinta prima di avere combattuto. Invoce, non fa palese di volere cosa alcuna per sè, ben sapendo che, senza chiederla preventivamente, la conseguirà insieme colla vittoria; asserisce che muove guerra solo per ottenere l’eguaglianza tra i B e gli A, in generale. In grazia di tale finzione, acquista il favore, o almeno la benevola neutralità della parte intermedia C, che non avrebbe voluto favorire fini particolari in pro della nuova aristocrazia; poscia, non solo ha dalla sua la maggior parte del popolo, ma altresì ottiene il favore della parte decaduta dell’antica aristocrazia, che volentieri si culla al suono di sì dolce canzone. Conviene notare che quella parte, sebbene decaduta, è sempre superiore al volgo: gli A β sono superiori ai B β; ed inoltre hanno i denari occorrenti per lo spese della guerra. Sta di fatto che quasi tutte le rivoluzioni sono state opera non già del volgo, bensì dell’aristocrazia e specialmente [p. 130 modifica]della parte dell’aristocrazia decaduta; ciò si vede nella storia principiando dai tempi di Pericle, e giù giù sino ai tempi della prima rivoluzione francese; ed oggi stesso vediamo che parte della borghesia aiuta validamente il socialismo, di cui del rimanente sono borghesi quasi tutti i capi. Le aristocrazie finiscono di solito col suicidio.

Quanto ora dicemmo è solo il compendio di moltissimi fatti, e non ha altro valore se non quello stesso dei detti fatti. Ma per esporli ci manca qui lo spazio, onde siamo costretti di rimandare il lettore ai Systèmes, ove in parte sono notati.

Si vede ora quanto sia grande soggettivamente il valore del concetto dell’uguaglianza degli uomini, che oggettivamente è nullo. Esso è il mezzo comunemente usato, specialmente ai tempi nostri, per torre di mezzo un’aristocrazia e sostituirla con un’altra.

107. Occorre notare che la parte decaduta dell’aristocrazia, cioè gli A β, è quella che propriamente è ingannata e riesce dove non voleva andare. Il volgo, cioè i B β, finisce spesso col guadagnare qualche cosa, sia mentre dura la battaglia, sia quando accade ad esso di mutare padroni; la parte eletta dell’antica aristocrazia, cioè gli A α, non è ingannata, soggiace alla forza; la nuova aristocrazia che sorge consegue vittoria.

L’opera degli umanitari del secolo XVIII, in Francia, preparò le stragi del Terrore; l’opera dei liberali della prima metà del secolo XIX preparò l’oppressione demagogica di cui già si vede l’albore.

Coloro che chiedevano l’eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge non prevedevano certo i nuovi privilegi di cui ora godono le classi popolari; sui [p. 131 modifica]sono tolte le antiche giurisdizioni speciali, ed ora se ne è instituita una nuova, cioè quella dei probiviri, in pro degli operai76. Coloro che chiedevano la libertà dello sciopero non si figuravano di conseguire la libertà, per gli scioperanti, di accoppare gli operai che vogliono seguitare a lavorare, e di incendiare impunemente gli opifici. Coloro che chiedevano eguaglianza dei tributi in pro dei poveri, non si figuravano di ottenere l’imposta progressiva in danno degli agiati, e di far capo ad un ordinamento in cui i tributi sono votati da coloro che non li pagano; onde si sente sfacciatamente fare il ragionamento seguente: «Il tributo A colpisce solo gli agiati e servirà a fare spese di cui godranno solo i meno agiati: dunque sarà approvato sicuramente dalla maggioranza degli elettori».

108. Le teorie economiche e sociali usate dai contendenti nelle battaglie sociali debbono essere giudicate non già pel loro valore oggettivo, ma bensì principalmente per la qualità che possono avere di suscitare emozioni. Perciò giova poco o nulla ogni confutazione scientifica che di esse si possa fare, sia pure quanto si vuole oggettivamente esatta.

C’è di più. Gli uomini, quando a loro giovi, possono prestare fede a una teoria di cui conoscono poco più che il nome; il che del rimanente è fenomeno generale in tutte le religioni. La maggior parte dei socialisti marxisti non hanno lette le opere del Marx. In casi particolari se ne può avere certa prova. Per esempio, prima che quelle opere fossero tradotte in francese e in italiano, è certissimo che i socialisti francesi ed italiani che non sanno il tedesco [p. 132 modifica]non le potevano avere lette. Le ultime parti del Capitale del Marx furono tradotte in francese proprio quando il marxismo principiava a declinare in Francia.

Tutte le discussioni scientifiche pro e contro il libero cambio hanno operato poco o niente circa al mettere in pratica il libero cambio o la protezione.

Gli uomini sono mossi dal sentimento e dal tornaconto, ma piace a loro fingersi mossi dalla ragione: perciò cercano, e trovano sempre, una teoria che, a posteriori, dia una qualche vernice logica a quelle loro azioni. Ove tale teoria si potesse scientificamente annientare, si otterrebbe solo che un’altra si sostituisse ad essa, per lo scopo richiesto; una vernice nuova sarebbe usata invece dell’antica, ma le azioni non muterebbero.

È dunque principalmente sul sentimento e sul tornaconto che si può operare per muovere gli uomini e spingerli per la desiderata via. Poco ancora si sa della teoria di simili fenomeni, nè ci possiamo più oltre dilungare su tale materia.

109. L’eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge per molti è un dogma; ed in tal caso sfugge alla critica sperimentale. Ma, se ne vogliamo discorrere scientificamente, vedremo tosto che non è punto evidente a priori che tale eguaglianza debba essere di vantaggio alla società; anzi, considerando l’eterogeneità della società stessa, il contrario pare più probabile.

Se nelle società moderne tale eguaglianza ha tolto il posto degli statuti personali delle società antiche, ciò può essere accaduto perchè i mali cagionati dall’eguaglianza sono minori di quelli che avrebbero origine dall’offesa che gli statuti [p. 133 modifica]personali recherebbero al sentimento di eguaglianza esistente negli uomini moderni.

Del rimanente quell’eguaglianza è spesso finzione. Ogni giorno sono concessi nuovi privilegi agli operai, i quali così conseguono uno statuto personale di non piccolo utile per loro. Come già osservammo, l’essere, l’operaio eguale al borghese non ha punto per conseguenza, colla logica del sentimento, che il borghese sia eguale all’operaio.

110. L’eterogeneità della società ha per conseguenza che le norme di condotta, le credenze, la morale, debbono essere, almeno in parte, diverse per le diverse parti della società, affine di conseguire il massimo vantaggio per la società. In realtà così segue più o meno nelle nostre società; ed è solo per finzione che si discorre di un’unica morale. I governi, per esempio, hanno concetti dell’onestà diversi di quelli che valgono pei privati. Basti ricordare lo spionaggio a cui ricorrono per carpirsi vicendevolmente de’ segreti della difesa militare77; le falsificazioni delle monete, sostituite oggi dalle emissioni di carta-moneta, ed altri simili fatti.

Giova anche notare che tra i privati troviamo le varie «morali professionali», le quali in qualche parte, grande o piccola, differiscono tra loro.

Tali differenze non tolgono che quelle varie morali possano avere pure una parte comune. Il problema, come tutti i problemi della sociologia è essenzialmente quantitativo. [p. 134 modifica]

111. Se le varie classi delle società umane fossero materialmente separate, come sono quelle di certi insetti (termiti), potrebbero, senza troppo cozzare, sussistere quelle varie morali. Ma invece le classi delle società umane sono mescolate in ogni modo; ed inoltre esiste negli uomini dei nostri tempi un sentimento potentissimo di uguaglianza, il quale malamente, e non senza gravissimi danni, potrebbe essere offeso. Perciò occorre che le morali sostanzialmente diverse abbiano apparenza di non essere tali.

Aggiungasi che difficilmente una classe di uomini può a lungo fingere sentimenti che non ha; onde occorre che quelle morali diverse sieno reputate eguali da coloro stessi che le seguono. A ciò provvede in parte la casuistica, che è stata di tutti i tempi e di tutti i popoli. Si pone un principio generale, in cui tutti consentono, e poi si stabiliscono opportune eccezioni, per virtù delle quali quel principio rimane solo generale in apparenza. Tutti i cristiani, nel medioevo, ammettevano riverenti ed ossequiosi il precetto divino del perdono delle ingiurie; ma i nobili feudali aspramente procuravano di vendicare le ricevute ingiurie. Ai tempi nostri tutti si dichiarano fedeli seguaci dell’uguaglianza degli uomini; ma ciò non toglie menomamente che gli operai ottengano ogni giorno nuovi privilegi.

112. I mezzi che valgono a separare le morali sono imperfettissimi: onde accade che quelle morali effettivamente si mescolano, e che, per tal modo, ci allontaniamo dalle condizioni che possono fare prospera la società.

113. Le classi inferiori hanno bisogno di una morale umanitaria, la quale poi vale anche a [p. 135 modifica]lenire le loro sofferenze. Se le classi superiori l’accolgono solo formalmente, poco o nessun male segue; ma invece, se la fanno sostanzialmente propria, alla società sovrastano gravissimi guai. Per il passato, fu notato molte volte che i popoli hanno bisogno di essere governati da una mano di ferro in un guanto di velluto. La giustizia deve essere rigida e parere clemente. Il buon chirurgo con pietose parole conforta l’ammalato, mentre con mano sicura, e che pietà non trattiene, ne taglia le membra.

114. In una società più ristretta, cioè in quella dei socialisti dei tempi nostri, vediamo i capi e in generale i più colti socialisti avere credenze alquanto diverse di quelle che dal volgo sono accolte. Mentre questo sogna una futura età dell’oro, che sorgerà col «collettivismo», quelli, ammaestrati anche dalla pratica del governo della loro società, o di pubbliche amministrazioni, hanno minor fede nella panacea del collettivismo, e di preferenza si volgono a riforme più prossime. Appunto tale diversità di fede riesce utile alla parte socialista, avendo ognuno la fede che meglio si confà all’indole propria e all’attività che deve usare.

115. La diversità d’indole degli uomini, congiunta all’opportunità di soddisfare in qualche modo il sentimento che li vuole eguali, ha fatto sì che nelle democrazie si è procurato di dare l’apparenza del potere al popolo, e la sostanza del potere ad una parte eletta; e fin ora hanno prosperato solo le democrazie ove ciò si è potuto conseguire; ma tale equilibrio è instabile e, dopo molti mutamenti, mette per solito capo a qualche radicale sconvolgimento. [p. 136 modifica]

116. La leggenda narrata da Dionigi d’Alicarnasso è tipo di molti fenomeni storici posteriori. Servio Tullio, coi comizi centuriati, ingannò la plebe e ad essa tolse il governo della cosa pubblica. «Stimavano tutti eguale parte avere nel governo della città, perchè ciascun uomo, nella sua centuria, era richiesto del proprio parere; ma s’ingannavano; poichè uno solo era il suffragio della centuria, sia che fosse costituita di pochi o di molti cittadini»78; ed inoltre perchè i poveri erano chiamati ultimi, e solo quando non fosse stato decisivo il suffragio delle prime centurie.

Cicerone ci dice che la libertà sta nel dare facoltà al popolo di onestamente confidarsi nei buoni79; il che è propriamente il principio che il reggimento rappresentativo moderno sperava di concretare. Ma nè in Roma, nè negli Stati moderni, i fatti seguirono come erano desiderati; ed il popolo volle più e meglio che la semplice facoltà di eleggere gli ottimati che lo dovevano governare.

117. La storia ci fa conoscere che le classi governanti hanno sempre procurato di parlare al popolo il linguaggio che stimavano non il più vero, [p. 137 modifica]ma il più conveniente allo scopo a cui miravano80. E ciò seguita anche nelle democrazie più progredite, come è la francese; onde si ha un nuovo e notevole esempio della persistenza, sotto varie forme, degli stessi fenomeni sociali.

118. Per motivi, che è ora inutile di ricercare, la classe governante francese si divide in due parti che diremo A e B. Gli A, per debellare i B, chiamarono in aiuto i socialisti, ma col fermo intendimento di non concedere che poco o niente al popolo, pascendolo di fumo e pagando lautamente solo i capi che desideravano avere al proprio servizio. E, perchè quell’operare troppo chiaro non si vedesse, per distrarre l’attenzione dai propri artifizi, imaginarono la campagna anticlericale; e con quell’esca cattivarono parecchi ingenui, ai quali, con poca fatica, aggiunsero i molti umanitari, scarsi di energia e di intelligenza. Onde, per concludere, in Francia, vi sono ora «capitalisti» che si fanno ricchi e potenti, adoperando i socialisti81. [p. 138 modifica]

119. Quanto più si scende negli strati sociali, tanto più appare il misoneismo, e tanto più gli uomini sono ripugnanti ad ogni altra considerazione che non sia quella dell’utile diretto ed immediato. Di ciò si valsero in Roma, ed anche presso i popoli moderni, le classi superiori per governare. Ma poco può durare tale ordinamento; poichè le classi inferiori finiscono coll’intendere meglio il proprio tornaconto, e si volgono contro coloro che ne hanno sfruttato l’ignoranza. [p. 139 modifica]

120. Il fenomeno si può studiare bene nell’Inghilterra moderna. Il partito Tory contribuì a fare allargare ognora più il suffragio, scavando così sempre più profondamente gli strati che ad esso servivano per avere il governo, e ricompensando gli alleati con provvedimenti che bene si dissero di «socialismo Tory». Ma ora i Whigs, che pel passato difesero i principii liberali, entrano in concorrenza coi Tory, per conseguire grazia e merito appo la plebe; e perciò ricercano l’alleanza dei socialisti, [p. 140 modifica]e si spingono oltre assai al melifluo ed umanitario socialismo Tory. I due partiti fanno a gara nel prostrarsi umilmente ai piedi dell’uomo dell’infima plebe, e ognuno di essi procaccia di superare l’altro nell’adulazione. Questa, persino nelle minuzie, appare. Quando si preparano le elezioni, i candidati non si vergognano di mandare le donne e le figlie, loro a mendicare suffragi, e a porgere la mano e le labbra a gente sudicia e male educata. I quali atti, quando sono nuovi ed inaspettati, cattivano l’uomo del volgo, sorpreso da tanta benevolenza anzi da tanto amore; ma poi, rinnovandosi, finiscono col muovere la nausea di chi troppo chiaro vede l’interessata lusinga.

121. Quando uno strato ha inteso che le classi elevate vogliono solo sfruttarlo, queste classi scendono più giù, per trovare altri seguaci; ma è manifesto che per tale via sorgerà pure giorno in cui non si potrà proseguire, poichè verrà meno la materia. Quando il suffragio si sarà dato a tutti gli uomini, compresi i mentecatti e i delinquenti, quando si sarà esteso alle donne, e, se vuolsi, anche ai bimbi, sarà pure necessario fermarsi; nè si potrà scendere ancora, essendo impossibile, se non di dare il suffragio agli animali, almeno di farlo da loro esprimere.

122. In Germania, il suffragio universale fu instituito in parte per combattere la borghesia liberale; il fenomeno è dunque simile a quello seguìto in Inghilterra; e similmente pure furono promulgate molte leggi sociali, nella speranza di togliere seguaci al partito socialista; ma questo disegno fallì interamente, ed il popolo vide troppo bene il giuoco che a lui si voleva fare. Ora le classi elevate principiano a dolersi di avere il suffragio universale [p. 141 modifica]e studiano le vie che potrebbero seguire per tornare indietro82.

123. Quando principiò l’evoluzione democratica che si svolse nel secolo XIX e che accenna a compiersi nel XX, parecchi pensatori videro chiaramente quale ne doveva essere la meta; ma le loro previsioni sono dimenticate, ora appunto che stanno compiendosi, e che finalmente l’uomo appartenente agli ultimi strati sociali intenderà e recherà nel concreto l’osservazione logica che «se l’espressione arbitraria della mia volontà è il principio dell’ordine legale, il mio godimento può essere anche il principio della ripartizione della ricchezza»83.

Ma a quel termine della presente evoluzione non si fermerà la storia; e, se il futuro non sarà interamente diverso dal passato, alla presente farà seguito altra evoluzione in senso contrario.

Note

  1. Cours d’Economie politique, I, § 225, Lausanne, 1896, 1897.
  2. Naturalmente ciò non è inteso dai molti economisti che discorrono del «metodo matematico», senza averne il menomo concetto. Hanno imaginato ogni sorta di motivi pei quali, secondo loro, si usa quel mostro incognito a cui dànno nome di «metodo matematico», ma non hanno mai posto mente a questo; neppure dopo che fu esplicitamente indicato, come è, nel vol. I del Cours d’Economie politique, pubblicato nel 1896 a Lausanne.
  3. Les systèmes socialistes, I, pag. 15
  4. Les systèmes socialistes, I, pag. 22
  5. Les systèmes socialistes, I, pag. 178, 27.
  6. Les systèmes socialistes, II, pag. 71 e seg.
  7. De div., I, 5: «Ego enim sic existimo: si sint ea genera divinandi vera, de quibus accepimus, quaeque colimus, esse deos; vicissimque, si dii sint, esse, qui divinent».
  8. Apolog., 22: «Habent de incolatu aëris, et de vicinia siderum, et de commercio nubium coelestes sapere paraturas, ut et pluvias quas jam sentiunt, repromittant».
  9. Ai tempi nostri tale opinione è generale. Già, il Montesquieu, Lettres persanes, LXXXIII: «S’il y a un Dieu, mon cher Rhédi, il faut nécéssairement qu’il soit juste; car s’il ne l’était pas, il serait le plus mauvais et le plus imparfait de tous les êtres. La justice est un rapport de convenance qui se trouve réellement entre deux choses: ce rappert est toujours le même, quelque être qui le considère, soit que ce soit Dieu, soit que ce soit un ange, ou enfin que ce soit un homme».
    Notisi da prima la contraddizione. L’onnipossente ha creato, colle cose, quel «rapport de convenance» che hanno tra loro; e poi trovasi costretto a sottoporsi a quel «rapport de convenance».
    Poscia si osservi il solito errore che sta nel dare valore oggettivo a ciò che non ha che valore soggettivo. Quella relazione di convenienza non esiste che nella mente umana. Tale errore spiega, ed in parte toglie, la contraddizione accennata.
  10. Alfred de Musset; L’Espoir en Dieu:

    «Sous les rois absolus, je trouve un Dieu despote;
       On nous parle aujourd’hui d’un Dieu républicain».

    Oggi poi ci discorrono di un Dio socialista; o ci sono dei cristiani che nel Cristo ammirano solo un precursore del Jaurès.
  11. John Stuart Mill, Logica, VI, 12, § 7.
  12. Odyss., VI, 207, 208.

                        πρὸς γὰρ Διός εἰσιν ἅπαντες
    ξεῖνοί τε πτωχοί τε.

    «Giacchè da Zeus vengono tutti i forestieri e i mendicanti».
    Al Ciclope (IX, 270) dice:

    Ζεὺς δ’ ἐπιτιμήτωρ ἱκετάων τε ξείνων τε.

    «Zeus vendica i supplicanti ed i forestieri».
    Il ciclope risponde (IX, 275):

    Οὐ γὰρ Κύκλωπες Διὸς αἰγιόχου ἀλέγουσιν,

    «I ciclopi dell’Egíoco Zeus non si curano».
  13. Come è ben noto costui divenne ateo perchè rimase impunito chi, spergiurando, a lui aveva fatto danno. Sext. Emp.; Adversus physicos, p. 502; Schol. in Aristoph., Nub., 830.
  14. Civitas, I, p. 353, 354: «Soc: Non è giustizia dell’animo la virtù; ingiustizia, il vizio? Tras: Sta bene. Soc. Dunque l’anima giusta e l’uomo giusto vivranno bene; l’uomo ingiusto, male. Tras. Appare secondo il detto tuo. Soc. Ma chi bene vive è beato e felice; segue il contrario per chi non vive bene. Tras. Chè? Soc. Il giusto dunque è felice; l’ingiusto infelice. — Ὁ μὲν δίκαιος ἅρα εὐδαίμων, ὁ δ’ ἄδικος ἄθλιος.». Torna poi a parafrasare ciò III, p. 444, 445.
    Cosa pensasse precisamente Socrate veramente non sappiamo; ma il Socrate di Senofonte, pone quasi sempre come identici il bene e l’utile, il male e il nocivo. Chi fa ciò discorre contro ai fatti; e quindi per provare la sua asserzione non può ricorrere ad altro che a sofismi.
  15. Μισοῦντα μίσει, τὸν φιλοῦνθ’ ὑπερφίλει.
  16. Systèmes socialistes, II, p. 21.
  17. § 9. Et quidem summa divisio de iure personarum haec est, quod omnes homines aut liberi sunt ant servi.
    § 10. Rursus liberorum hominum alii ingenui sunt; alii libertini.
    § 11. Ingenui sunt, qui liberi nati sunt; libertini, qui ex iusta servitute manumissi sunt.
  18. «Les hommes naissent et demeurent libres et égaux en droits; les distinctions sociales ne peuvent être fondées que sur l’utilité commune».
  19. Systèmes socialistes, II, p. 110.
  20. Lun-Yu o colloqui filosofici; Traduzione del Pauthier, I, 4, 15: «La doctrine de notre maître consiste uniquement à avoir la droiture du cœur et à aimer son prochain comme soi-même». Nota poi il traduttore:
    «On croira difficilement que nostre traduction soit exacte; cependant nous ne pensons pas que l’on puisse en faire une plus fidéle».
    Anche nel Mahabharata è detto che si deve trattare altrui come vorremmo essere trattati. E massime più o meno simili si trovano presso molti popoli. Esse risultano da sentimenti di benevolenza verso altrui, e dal bisogno che prova l’uomo debole, per difendersi, di chiedere aiuti ai sentimenti di eguaglianza.
  21. G. Boissier, La relig. rom., I, p. 179, discorrendo dell’apoteosi degli imperatori, dice: «En général, le vulgaire pensait que les Césars, étaient des dieux comme les autres; il leur attribuait la même puissance, et supposait qu’elle se révelait de la même manière, par des apparitions et des songes. Les gens éclairés, au contraire, mettaient une certaine différence entre eux et les autres divinités; c’était pour eux quelque chose comme les héros ou demi-dieux des anciens Grecs. En somme ils ne leur accordaient pas plus de priviléges que les stoïciens n’en attribuaient à leur sage après sa mort».
  22. Avvertasi che governante non vuol dire politicante; anzi l’abito acquistato da chi lungamente ha governato parte grande o piccola dell’attività umana, e l’abito acquistato dal parolaio intrigante, lusingatore di Demos, sono essenzialmente diversi.
  23. Coloro che hanno grandi ricchezze e le amministrano governano una parte notevole dell’attività umana, e quindi contraggono solitamente l’abito dell’ufficio che adempiono. Chi gode solo le ricchezze e le lascia amministrare ad un intendente, non appartiene a tale classe, come il politicante non appartiene alla classe dei governanti.
  24. Hesiod.; Theog, 180.
  25. Hesiod.; Op. et de., 329.
  26. Come è notissimo a tutti. Dante, benchè profondamente cristiano, stima doveroso la vendetta del congiunti. Inf. XXIX, 31-36:

    O Duca mio, la violenta morte
       Che non gli è vendicata ancor, diss’io,
       Per alcun che dell’onta sia consorte,
    Fece lui disdegnoso; ond’ei sen gio
       Senza parlarmi, sì com’io stimo:
       Ed in ciò m’ha e’ fatto a sè pia pio.

  27. Così è accaduto di una qualità di «protestantismo liberale», che non è nemmeno più un teismo. Un professore di teologia definiva la religione «l’insieme di tutte le solidarietà».
  28. Relazione comunicata ufficialmente alla stampa nella seduta del 24 giugno della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fatto dei certosini.
    Sembat. Vous avez parlé, vous aussi, monsieur le procureur général, de l’intérêt supérieur. Il y a donc une raison d’Etat devant la quelle un magistrat est obligé de s’incliner?
    Bulot. Sous peine d’être révoqué, évidemment (Rires).
    . . . . . . . . . .
    Berthoulat. Comment se fait-il que l’instruction ait continué à marcher, bien que vous n’ayez pas eu le nom que vous déclariez indispensable au président du Conseil
    Bulot. Elle n’a pas continué longtemps et elle a abouti à un non-lieu parce qu’on ne pouvait aller plus loin; je me suis incliné devant la raison d’Etat, le «fait du prince», si vous voulez.
    Se si ammette il «fatto del principe», si può intendere come i magistrati furono tanto indulgenti per gli Humbert, tanto rigorosi per le vittime di quei celebri scrocconi.
    Funck-Brentano, L’affaire du collier, Paris 1901, p. 325: «Et tel était le pouvoir absolu de la monarchie de l’ancien régime... L’honneur de la reine est en jeu, la couronne peut être atteinte. Le roi confie le soin du jugement à un tribunal dont aucun juge n’est à sa nomination; à des magistrats sur lesquels il ne peut rien et ne pourra jamais rien à aucun moment de leur carrière, d’aucune façon; à des magistrats qui, par esprit et par tradition, lui sont hostiles. Ainsi que le montre Bugnot, le procureur du roi lui-même n’est pas, au Parlement, librement choisi par le roi. Mais bien plus, voici même le controleur général, assisté du bibliothécaire du roi... qui combat directement, dans une circonstance aussi grave, les intérêts du roi et de son autoirité. Nul ne s’en étonne. Est-il aujourd’hui un gouvernement, qui ait le cœur de voir fleurir sous ses yeux pareilles libertés?».
    Il governo che tali libertà concedeva, era governo di una classe in decadenza, e cadde; il governo che oggi le toglie è governo di un’aristocrazia che sorge, e prospera. E la borghesia, stupidamente vile, lo aiuta coi propri denari.
  29. Vedasi la nota al § 94.
  30. Nel 1904, all’Accademia di medicina di Parigi il dott. Lucas-Championnière conclude un suo lungo studio dicendo che il cibarsi di carne favorisce malattie intestinali e l’appendicite dopo l’influenza (grippe), e consiglia di cibarsi intermittentemente di vegetali, cioè di mangiare di magro ogni tanto.
    Quando publicammo i Systèmes, lord Salisbury aveva fatto respingere una delle tante leggi assurde dei signori anti-alcoolici; ma quell’uomo di Stato essendosi ritirato, i suoi successori fecero approvare una legge simile. Systèmes socialistes, I, p. 274.
  31. Morale dei diversi popoli, § 115.
  32. Tale fatto sta in lontana ma non trascurabile relazione con quello ben noto che chi è stato spesso addormentato coll’ipnotismo perde ogni facoltà di resistenza e può essere addormentato con un semplice cenno.
  33. Bayle; Pensées diverses... à l’occasion de la comète..., IV édit.; p. 353: «... je remarquerai que ce peu de personnes qui ont fait profession ouverte d’atheisme parmi les anciens, un Diagoras, un Théodore, un Evemère, et quelques autres, n’ont pas vécu d’une manière qui ait fait crier contre le libertinage de leurs mœurs. Je ne vois pas qu’on les accuse de s’être distingués par les dérèglements de leur vie...».
    Tale argomento, spessissimo ripetuto con valore generale (trovasi anche nello Spencer, Fatti e commenti), ha solo il valore ristretto indicato nel testo.
  34. Esempii ce ne sono sinchè si vuole, nell’antichità, nei tempi di mezzo, nell’epoca moderna.
  35. Fustel de Coulanges, Nouv. rech. sur quel. prob. d’hist., p. 92: «Il n’y a pas de ville grecque où l’histoire signale autant de fait de corruption.» E seguita citando molti fatti.
  36. G. Boissier, La relig. rom., II, p. 377, nota come un fatto singolare ciò che invece è la regola. Discorrendo delle società romane nel secolo III dell’êra nostra, dice: «Ce qui rend si remarquables les changements qui s’accomplissent alors dans les opinions religieuses, c’est qu’ils coïncident avec ceux qu’on observe dans la moralité publique».
    Lea, Hist. de l’Inquis., trad. di S. Reinach, I, pagina 126 della trad. (111 dell’orig.), dà un esempio del rinvigorire la morale insieme ai sentimenti religiosi: «Une après-midi qu’il (Gervais de Tilbury) se promenait à cheval dans l’escorte de son archevêque Guillaume, son attention fut appelée sur une jolie fille qui travaillait seule dans une vigne. Il lui fit immédiatement des propositions, mais elle le repoussa en disant que si elle l’écoutait, elle serait irrévocablement damnée. Une vertu si sévére était un indice: manifeste d’hérésie; l’archevêque fit immédiatement conduire la fille en prison comme suspecte de Catharisme.».
    Machiavelli, Disc. sulla pri. dec. di T. L., I, 12, discorrendo dei tempi suoi, dà colpa alla chiesa di Roma dei mali dell’Italia, perchè «per gli esempi rei di quella corte, questa provincia ha perduto ogni divozione ed ogni religione: il che si tira dietro infiniti disordini.... ... Abbiamo dunque con la Chiesa e coi preti noi Italiani questo primo obbligo, d’essere diventati senza religione cattivi...».
  37. Systèmes socialistes, I, p. 39.
  38. Vedasi, in altro senso, ma che è pure analogo, l’esempio di Scipione e dei suoi militi: Systèmes socialistes, I, p. 303.
  39. Plut., Peri., 24, narra che Aspasia allevava meretrici, Ath. XIII, p. 570: Καὶ Ἀσπασία δὲ ἡ Σωκρατικὴ ἐνεπορεύετο πλήθη καλῶν γυναικῶν, καὶ ἐπλήθυνεν ἀπὸ τῶν ταύτης ἑταιρίδων ἡ Ἑλλάς... «Aspasia, la socratica, trafficava in molte belle donne, e da essa fu ripiena di meretrici la Grecia...». Al fatto fecero la frangia i comici, ma nella sostanza non pare dubbio; o almeno ha per sè nè più nè meno probabilità di essere vero che quasi tutti i fatti della storia della Grecia.
    Plut., Peri., 32, narra come da Ermippo fu accusata Aspasia di empietà (ἀσεβεία), ed inoltre di lenocinio, per avere procurato a Pericle donne libere. Anche Fidia fu tacciato di simile lenocinio in favore di Pericle (ibid. 13)
  40. Diog. Laert., II, 6: «Dicendogli uno: Nulla cura, è a te della patria? rispose: A me veramente è in somma cura la patria; e mostrava il cielo».
  41. Diog. Laert.; VI, 63: «Interrogato di dove fosse: Cosmopolita, disse: ἐρωτηθεὶς πόθεν εἴη: Κοσμοπολίτης, ἔφη». Vedi anche Luc., Vitar. auctione. Similmente Epiteto, Aria., Epict. Diss., III, 24; e Antigenide, Philo lud. Dicesi anche di Socrate, ma pare poco probabile.
  42. E disse: «Zeus, come veramente sei chiamato» Plut., Amat., XIII, 4. Vedi anche Luc., Iup. trag., 41; Iustin. Mart., p. 41.
  43. Phen., 504, 525; Io, 1051; ecc. Per altro le parole che egli pone in bocca a Ippolito, dicendo che «la lingua ha giurato, non la mente», e che a lui furono spesso dai contemporanei rimproverate come immoralissime, vogliono veramente significare che la promossa ottenuta con frode e con incanno non è da osservarsi; ed è cosa che, entro certi limiti, si può concedere. Abbiamo in quelle parole un esempio di casuistica. Systèmes socialistes, I, p. 29. Arist., Rhet., I, 15, 29.
  44. Diog. Laer.; II, 40: «... ἀδικεῖ δὲ καὶ τοὺς νέους διαφθείρων».
  45. Xenoph., Mem., I, 2, 36. I Trenta fecero venire in loro presenza Socrate, e questi fingendo di non capire, chiedeva se, quando comperava ad un uomo sotto ai trenta anni, non doveva chiedere il prezzo. {Wl|Q3271893|Caricle}} rispose che bene ciò poteva fare, «ma tu suoli, Socrate, chiedere ciò che ottimamente sai, lascia stare tale interrogare». Proseguendo Crizia, che era un altro dei Trenta, disse, 37: «Conviene, Socrate, che tu lasci stare i calzolai, i legnaioli, i fabbri; perchè sono infastiditi dei tuoi discorsi».
  46. Enorme è la differenza tra gli Ateniesi rifiutanti «la terra e l’acqua» chiesta da Dario, e poscia sostenendo l’urto del potente naviglio persiano a Salamina, e gli Ateniesi vilmente prosternati dinanzi a Demetrio Poliorcete. Essi registrarono costui e Antigono tra i loro dèi salvatori, ed all’arconte da cui denominavansi gli anni sostituirono il sacerdote degli dèi salvatori. Fu consacrato il luogo ove Demetrio scese per la prima volta dal cocchio, e erettovi un altare detto di Demetrio-salvatore. Fu decretato che coloro che mandavansi a Demetrio non fossero chiamati ambasciatori ma Teori, come quelli mandati a Pito e ad Olimpia. Mutarono persino nome ad un mese, intitolandolo a Demetrio. Il resto vedasi in Plutarch., Deme., 10, 11, 12.
  47. Orazio, Carm., III, VI, compendia opinioni ripetute da secoli, dicendo:

    Aetas parentum, pejor avis, tulit
         Nos nequiores, mox daturos
         Progeniem vitiosiorem.

    «I padri nostri erano peggiori degli avi, noi siamo più cattivi dei padri, e lascieremo figli più viziosi di noi».
    Ai tempi nostri è articolo di fede l’opinione direttamente contraria a questa.
  48. VI, 56, 7 e seguenti.
  49. Ἐμοί γε μὴν δοκοῦσι τοῦ πλήθους χάριν τοῦτο πεποιηκέναι.
  50. Con Scipione l’Africano usava un’eletta schiera di amici, tra i quali era Polibio; ed è molto probabile che questi riproduca qui concetti che erano di tale società.
    Posteriormente, Cicerone, De har, resp., 9, fa proprio un concetto che era volgare in Roma osservando che a cagione della religione i romani avevano vinto gli altri popoli: omnes gentes nationesque superarimus
  51. Systèmes socialistes, II, 115.
  52. Vedasi Post, Grundriss der ethnologischen Iurisprudenz; e principalmente sir Henry Sumner Maine, Ancient law. Egli osserva che nella remota antichità greca, le θέμιστες erano sentenze dettate al giudice dalla divinità. «Nelle antiche società, maggiormente che nelle società moderne, si vedeva probabilmente riprodursi frequentemente le stesse circostanze, ed in quei casi simili, le sentenze erano naturalmente simili. In ciò è l’origine dell’uso o norma, che è concetto posteriore a quello delle θέμιστες. Colle nostre idee moderne noi siamo fortemente indotti a credere a priori che il concetto di una norma deve precedere quello di una sentenza giudiziaria... ma pare che non vi sia dubbio che, invece, l’ordine storico dei due concetti è quello testè indicato».
  53. Teognide di Megara dice, 181 182, che «morire val meglio per l’uomo che l’essere povero e vivere afflitto dalla dura povertà»; e poco dopo, 315-318, osserva che molti cattivi sono ricchi e molti buoni, poveri; ed aggiunge: «io non cambierei la mia virtù colla loro ricchezza.
  54. Systemes socialistes, II, p. 115.
  55. L’individuel et le social; rapport au Congrès international de philosophie, Genève, 1904.
  56. Ecco un esempio, fra tanti che si potrebbero recare, del come i più ora intendono la nuova fede. M. Pidoux, La jeunesse socialiste, Lausanne, 15 janvier 1903: «Le socialisme est lui même une religion. C’est la religion par excellence, la religion humaine qui ne croit plus hypocritement à un monde meilleur, mais qui veut que les hommes, solidaires les uns des autres, unissent leurs efforts pour faire de la terre un paradis où l’espèce humaine puisse jouir de la plus grande somme de bonheur possible... Cette religion vaut bien celle qui depuis vingt siècles a planté sa croix sur la terre... Notre religion veut établir entre les hommes l’égalité... Elle est la religion de l’homme, de la science, de la raison... Notre religion fait germer dans les cœurs l’amour du prochain et la haine du mal. Elle fait germer aussi la révolte qui libère et qui console... Elle fait germer la révolte contre la societé où nous vivons, et prépare la transformation de celle-ci sur les bases du collectivisme. Deux religions sont en présence. L’une est la religion de l’égoisme et de l’erreur, l’autre est celle de la solidarité et de la science. Cette dernière sera la religion de l’avenir»
  57. Nell’Australia, i furti d’oro nelle miniere rimangono impuniti, perchè i ladri sono molti, ed hanno, col voto, parte non disprezzabile nel governo.
  58. Sull’imitazione e sull’opposizione si possono vedere i libri del Tarde: Les lois de l’imitation; L’opposition universelle; i quali, per altro, mancano di precisione scientifica in modo veramente straordinario.
    Rammenti il lettore che, per ragione di spazio, dobbiamo appena accennare teorie sulle quali si possono scrivere interi volumi.
  59. Systèmes, I, 136.
  60. Persino il governo del Combes finì col vergognarsene; onde, pochi mesi dopo, fece la grazia a quei tapini.
  61. Thucyd., I, 126: «... ἐκέλευον τοὺς Ἀθηναίους τὸ ἄγος ἐλαύνειν τῆς θεοῦ.
  62. Il corrispondente da Parigi, del Journal de Genève (29 gennaio, 1905), osserva: «Car le mot de clérical a tout aussi bien perdu son sens propre aujourd’hui que celui d’aristocrate sous le comité de Salut public.
  63. Per i molti fatti che si possono citare in sussidio di questa teoria, vedansi Systèmes, e nell’indice di quel libro: Persistance des mêmes phénomènes sociaux. Qui aggiungiamo solo un fatto seguito dopo che quel libro fu pubblicato.
    Nella seduta del Senato francese, del 24 giugno, 1904, il presidente del Consiglio, Combes, difendendo la legge che esclude dall’insegnamento le congregazioni religiose, disse: «Nous croyons qu’il n’est pas chimérique de considérer comme souhaitable et comme praticable de réaliser dans la France contemporaine, ce que l’ancien régime avait si bien réalisé dans la France d’autrefois. Un seul roi, une seule foi: telle était alors la devise. Cette maxime a fait la force de nos gouvernements monarchiques, il faudrait en trouver une qui soit analogue et qui correspoude aux exigences du temps present.»
    Moltissime persone, in Francia, pensano allo stesso modo; ed è notevolissima la persistenza di quello stato intellettuale, dai tempi della revocazione dell’editto di Nantes, per non risalire più oltre, sino ai giorni nostri. Muta la forma, rimane la sostanza.
  64. La ruine du monde antique, p. 213.
  65. Introduction à l’economie moderne, p. 377.
  66. Introduction à l’economie moderne, p. 368.
  67. Introduction à l’economie moderne, p. 377.
  68. In fine, anche oggi, quanto sappiamo di più sicuro su tali argomenti ci è dato dall’osservazione del Machiavelli: «...gli uomini si debbono o vezzeggiare o spegnere, perchè si vendicano delle leggïere offese; delle gravi non possono; sicchè l’offesa che si fa all’uomo deve essere in modo che la non tema la vendetta». Il principe, cap. III.
  69. Systèmes, II, p. 491.
  70. Per esempio il libro del Roosewelt: American Ideals, potrà forse essere utile per spingere ad operare i cittadini degli Stati Uniti, ma, per fermo, nulla aggiunge alle nostre conoscenze, e il suo valore scientifico è molto prossimo a zero.
    L’autore crede che il suo paese sia il primo del mondo «avere il nome di americano è avere il più onorevole di tutti i titoli»: altri crede pure ciò del proprio paese: un inglese può crederlo dell’Inghilterra; un tedesco, della Germania; ecc. Logicamente le due proposizioni seguenti: A è primo rispetto a B; B è primo rispetto a A; sono contradditorie, e non possono sussistere insieme, ma possono bensì sussistere insieme se sono volte solo a spingere gli uomini ad operare.
  71. Per intendere la meta a cui è volto quel discorso, occorre rammentare che vi è spietata concorrenza tra il socialismo cattolico del Brunetière e gli altri socialismi. I seguaci di una qualsiasi di quelle dottrine sogliono procurare di dimostrare che meglio e più dei seguaci delle altre si occupano del bene del popolo. Ognuno cerca di trarre l’acqua al suo mulino, lodando e lusingando Demos.
    Il Brunetière serba pei romanzi a lui graditi, il nome di romanzo sociale, e lo rifiuta ai romanzi degli avversarii; «car je n’appelle de ce nom de «roman social» ni les Mystères de Paris, ni le Compagnon de Tour de France, ni les Misérables». Di rimando poi i socialisti non concedono al Brunetière di dirsi socialista.
    Colui il quale può dirsi «vero socialista», senza che da alcuno gli sia contestato quel titolo, è come l’Araba Fenice.
  72. Nel libro La morale dei diversi popoli, § 127, il nostro autore dice: «si dà il nome di grande allo czar Pietro, a Federigo [di Prussia], a Carlomagno, a Napoleone, non ostante i crudelissimi atti compiuti». E non gli viene in mente che parte almeno di quegli atti possono aver giovato moltissimo all’incivilimento umano. C’è di più; egli biasima lord Wolseley, che è generale nell’esercito inglese, per avere detto ai proprii soldati che essi «debbono credere che i doveri della loro condizione sono i più nobili che possa avere un uomo». Ma come potrebbe esprimersi diversamente un generale? Deve dire ai suoi soldati: «Siete malfattori, perchè combattete; dovreste invece fuggire»?
    Lo Spencer stesso, nei Principii di Sociologia, riconosce che in altri tempi la guerra ha giovato all’incivilimento. Ora sarebbe venuto il tempo che più non giova ma è di danno. Tale proposizione può essere vera — può anche essere falsa — ma certo non ha evidenza tale da potere diventare un assioma che serva a giudicare tutte le azioni degli uomini del nostro tempo.
  73. Veramente sarebbe meglio dire, ma riesce più lungo: circolazione delle parti elette della popolazione.
  74. Propriamente si passa per gradi insensibili dall’una all’altra di tali classi. Occorre rammentare l’osservazione già fatta al § 103.
  75. Systèmes, II, p. 396.
  76. Systèmes, I, p. 136
  77. Nel 1904, molti giornali francesi discorsero, con gran lode e come se fosse una eroina, di certa donna che, essendo al servizio dell’ambasciatore tedesco a Parigi, lo tradiva e consegnava ad agenti del governo francese le carte che essa rubava all’ambasciata.
  78. Ant. Rom., IV, 21: Υπελὰμβανον μὲν γὰρ ἅπαντες ἰτον ἔκειν τῆς πολιτεὶας μέρος, κατ’ ᾶνδρα διερωτώμενοι τὰς γνώμας εν τοῖς ἰδίοις ἒκαστοι λόχοις ἐξηπατῶντο ὁὲ τῷ μιαν εῖναι ψῆφον ὃλου τοῦ λόχου τοῦ τε ὀλίγους ἔχοντος ἐν αὐτῷ πολίτας καὶ τοῦ πάνυ πολλοὺς.
  79. E perciò voleva che il popolano mostrasse la tessera del voto e l’offrisse all’ottimo cittadino. De leg. III, 17: «habent sane populus tabellam, quasi vindicem libertatis, dummodo haec optimo cuique et gravissimo civi ostendatur, altroque offeratur; uti in eo sit ipso libertas, in quo populo potestas honeste bonis gratificandi datur».
  80. Aristotile descrive gli artifizi usati nelle oligarchie, Polit., IV, 10, 6: Ἔστι δ’ ὅσα προφάσεως χάριν ἐν ταῖς πολιτείαις σοφίζονται πρὸς τὸν δῆμον πέντε τὸν ἀριθμόν. «In cinque modi, con pretesti, s’inganna il popolo nelle repubbliche». Ed aggiunge che, nelle democrazie, si usano pure analoghi artifizi.
  81. Vedasi un ottimo articolo di G. Sorel nella Rivista popolare del Colaianni: «L’esperienza della politica anticlericale seguita, con sì grande ostinazione dal governo francese, da due anni, costituisce uno dei fenomeni sociali più importanti che possa studiare il filosofo». L’autore nota la viltà degli avversari del Combes, il che del rimanente, è solo un caso particolare della legge generale delle decadenze delle aristocrazie. «Quando si cominciò ad espellere i frati, si annunziò che vi sarebbe stato una forte resistenza... ma dopo qualche tentativo fatto in Brettagna tutto è passato liscio... Il coraggio degli oppositori non è arrivato sino alla resistenza legale... La Libre parole ha fatto osservare molte volte che il mondo cattolico non ha diminuito le proprie feste e nulla ha cambiato nelle sue relazioni mondane... Urbain Gohier ha, in vigorosi articoli, denunziato ogni sorta di traffici che sarebbero stati praticati dalla Petite république.. e se molti giovani sono divenuti socialisti, non c’è dubbio che ciò è avvenuto perchè essi erano sicuri di fare un buon affare. Sarebbe davvero curioso il sapere i nomi dei capitalisti che hanno dato recentemente tali grosse somme da permettere alla Petite république di trasformarsi e all’Humanité di nascere; non c’è persona, suppongo, che immagini che i capitalisti forniscano del denaro ai giornali socialisti per amore del collettivismo! Non si dà un milione per amor di questo genere, se quelli che lo dànno non sono sicuri di trarne qualche compenso. Il socialismo parlamentare è divenuto un’eccellente intrapresa le cui azioni sono bene apprezzate nel mondo della Borsa».
    L’autore ha un chiaro concetto dei modi coi quali si compie l’evoluzione politica: «Così le quistioni materiali sono nascoste sotto un doppio strato di sentimento, che impediscono agli uomini di accorgersi che nella loro condotta politica si mischia molto più di egoismo e di cattive passioni di quello che essi pensino... In generale la politica è sopratutto dominata dagli interessi di quelli che la fanno e che intendono trarne vantaggio. Gli interessi si coalizzano facilmente, ed è così che, quasi dappertutto, i governi liberali si posano sopra genti che hanno qualche cosa da ottenere o per loro stesse, o pei loro comitati elettorali, o pei gruppi sociali dai quali sollecitano i voti.»
    Il Germain, che fu direttore del Crédit Lyonnais, discorreva accortamente, sino dal 1883, dei politicanti, «de ces hommes qui ne tiennent qu’à une chose: avoir la majorité et disposer du budjet de la France en faveur de leur clientèle.»
    Occorre aggiungere i fatti venuti in luce nell’inchiesta sui Certosini. Quel tale che disse di avere, insieme cogli amici, dato cento mila lire per le elezioni dei candidati governativi, e che soggiungeva che «non si occupava di politica». E quell’altro fatto di cui ragionò lo Aynard, il 12 luglio 1904, alla Camera, dicendo: «... il s’agit de savoir aussi ce que c’est que l’argent du comité Mascuraud, auxiliaire du gouvernement. Il s’agit de savoir qui est ce personnage originai qui tient un admirable comptabilité de ses banquets, surtout de ses banquets, et de ses allées et venues, et qui ne tient aucune comptabilité de l’argent.»
    Ma ciò è nulla, paragonato a ciò che segue agli Stati-Uniti, in occasione delle elezioni.
  82. Il prof. von Jagemann, che per dieci anni fece parte, pel governo badese, del Consiglio federale dell’Impero, e che è ora professore di diritto pubblico all’Università di Heidelberg, ha scritto un’opera pregevole, in cui esamina i mezzi legali che si potrebbero adoperare per sostituire, in Germania, il suffragio ristretto al suffragio universale.
  83. Stahl, Rechtsphilosophie, II, 2, p. 72.