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136 introduz. alla scienza sociale [§ 116-117]


116. La leggenda narrata da Dionigi d’Alicarnasso è tipo di molti fenomeni storici posteriori. Servio Tullio, coi comizi centuriati, ingannò la plebe e ad essa tolse il governo della cosa pubblica. «Stimavano tutti eguale parte avere nel governo della città, perchè ciascun uomo, nella sua centuria, era richiesto del proprio parere; ma s’ingannavano; poichè uno solo era il suffragio della centuria, sia che fosse costituita di pochi o di molti cittadini»1; ed inoltre perchè i poveri erano chiamati ultimi, e solo quando non fosse stato decisivo il suffragio delle prime centurie.

Cicerone ci dice che la libertà sta nel dare facoltà al popolo di onestamente confidarsi nei buoni2; il che è propriamente il principio che il reggimento rappresentativo moderno sperava di concretare. Ma nè in Roma, nè negli Stati moderni, i fatti seguirono come erano desiderati; ed il popolo volle più e meglio che la semplice facoltà di eleggere gli ottimati che lo dovevano governare.

117. La storia ci fa conoscere che le classi governanti hanno sempre procurato di parlare al popolo il linguaggio che stimavano non il più vero,


  1. Ant. Rom., IV, 21: Υπελὰμβανον μὲν γὰρ ἅπαντες ἰτον ἔκειν τῆς πολιτεὶας μέρος, κατ’ ᾶνδρα διερωτώμενοι τὰς γνώμας εν τοῖς ἰδίοις ἒκαστοι λόχοις ἐξηπατῶντο ὁὲ τῷ μιαν εῖναι ψῆφον ὃλου τοῦ λόχου τοῦ τε ὀλίγους ἔχοντος ἐν αὐτῷ πολίτας καὶ τοῦ πάνυ πολλοὺς.
  2. E perciò voleva che il popolano mostrasse la tessera del voto e l’offrisse all’ottimo cittadino. De leg. III, 17: «habent sane populus tabellam, quasi vindicem libertatis, dummodo haec optimo cuique et gravissimo civi ostendatur, altroque offeratur; uti in eo sit ipso libertas, in quo populo potestas honeste bonis gratificandi datur».