[§ 66] |
introduz. alla scienza sociale |
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mosse a Socrate sono false formalmente e nel particolare, sono poi vere nella sostanza e in generale. Così delle accuse mosse da Aristofane nelle Nubi, nessuna letteralmente è neanche lontanamente vera; eppure il concetto generale che le Nubi dovevano far nascere nella mente di chi le udiva, cioè che l’opera di Socrate fosse in ultima analisi contraria ai sentimenti religiosi ed ai sentimenti morali, è pienamente giustificata. Similmente, dell’accusa che a morte trasse Socrate, è falso che «non riputasse dèi quelli che la città reputa tali»; falsissimo poi che egli «corrompesse i giovani»1, nel senso dato al vocabolo corrompere dagli accusatori; verissimo per altro che, con quel suo disputare di tutto e con tutti, egli inconsapevolmente insidiava la credenza degli dèi della città e corrompeva i giovani; nel senso che affievoliva in essi la fede necessaria al bene operare in pro della città. Inoltre, la circostanza che più onora Socrate, e che in astratto pare accrescere molto i meriti suoi, cioè il non avere tolto egli danari per insegnare, è appunto quella che faceva il suo insegnamento massimamente dannoso alla città. Infatti i sofisti, che grave prezzo richiedevano all’opera loro, non potevano avere che scarsi ascoltatori, i quali erano per la massima parte dell’aristocrazia intellettuale: onde a pochi scalzavano le credenze patrie, e anche a parte di questi i sofisti potevano fare più bene che male, per essere tali loro discepoli apparecchiati ad usare della ragione; invece Socrate investiva l’artigiano, l’uomo che dalle cure giornaliere della vita materiale era posto nell’impossibilità di seguire con frutto lunghi,
- ↑ Diog. Laer.; II, 40: «... ἀδικεῖ δὲ καὶ τοὺς νέους διαφθείρων».