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[§ 33-35] | introduz. alla scienza sociale | 61 |
cerca che senso possono avere, tanto meno diventano intelligibili.
34. Togliamo per esempio una frase tra le meno peggiori, cioè quella del Mill. Tralasciamo l’ultima parte, la quale riguarda gli esseri sensibili, e che ci vieterebbe di cibarci di carni e di pesce, e persino di camminare, per timore di schiacciare qualche insetto, e consideriamola sotto la forma più ragionevole, che è quella del procacciare la felicità dell’uman genere. Quei termini ingannano, paiono chiari, e non sono. «L’uman genere» non è un individuo che abbia sensazioni semplici di felicità od infelicità, ma è composto di individui che hanno tali sensazioni. La data definizione suppone implicitamente: 1.° che si sappia cosa è precisamente quell’uman genere, se comprende solo gli individui che vivono in un dato momento, o quelli che vissero e quelli che vivranno; 2.° che le condizioni della felicità di ciascun individuo di una data collettività non siano contradditorie, altrimenti il problema di assicurare la felicità di quella collettività sarebbe del genere del problema di descrivere un triangolo quadrato; 3.° che le quantità di felicità di cui gode ogni individuo sono omogenee, in modo da potersi sommare, altrimenti non si sa proprio come si potrebbe conoscere tale somma di felicità di cui gode la collettività; e se quella somma è ignota, manca ogni criterio per sapere se, in date circostanze, la collettività è più felice che in altre.
35. 1.° Per dire il vero, coloro che discorrono dell’uman genere sogliono invece intendere la propria nazione o, come caso estremo, la propria razza; e i moralissimi popoli civili hanno distrutto e seguitano a distruggere, senza il minimo scrupolo, i popoli selvaggi o barbari. Lasciamo pure stare