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[§ 18] | introduz. alla scienza sociale | 47 |
sebbene un poco meno incomprensibile) per giungere alla conoscenza del sommo Bene e del Vero.
Nell’epoca moderna quei concetti si modificarono, forse più nella forma che nella sostanza, ma in ogni modo accostandosi un poco più alla realtà, e si ebbe la teoria della morale evoluzionista; ma non perciò venne abbandonato il concetto di una morale tipo, soltanto essa fu cacciata alla fine dell’evoluzione, di cui segna il termine, sia in modo assoluto, sia temporaneamente. S’intende che quella morale tipo, scelta e fatta proprio dall’autore che la propugna, è migliore di tutte quelle che la precedettero. Ciò si può, volendo, dimostrare col sussidio di un’altra bellissima e, ai giorni nostri, potentissima entità metafisica denominata Progresso; la quale ci affida che ogni termine dell’evoluzione segna uno stato migliore di quello dato dal termine precedente; e che, per certe sue virtù occulte, ma non perciò meno efficaci, vieta che quello stato possa diventare peggiore.
In realtà, e lasciando da parte quei discorsi vani od inconcludenti, tale morale tipo altro non è se non il prodotto dei sentimenti dell’uomo che la fa propria, sentimenti per la massima parte attinti nella società in cui vive quell’uomo, e per una minima parte suoi esclusivamente; ai quali dànno forma i sentimenti, e che lievemente modifica il ragionamento; ed essa non ha altro valore se non quello di manifestazione di quei sentimenti e di quel ragionamento.
Ma il suo autore non l’intende davvero così. Egli ha accolto quella morale spinto dal sentimento, e si pone il problema: come dimostrarla coll’esperienza e la logica? Così necessariamente incorre in pure logomachie, poichè quel problema è, per indole propria, insolubile.