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[§ 27-28] introduz. alla scienza sociale 55

mette in bocca di Cotta (De nat. deor., III, 34 et passim); ma nel caso (I α 2), la proposizione, essendo non sperimentale, sfugge ad ogni verificazione sperimentale, onde il ragionamento diventa tanto forte che solo vi si può opporre un non liquet, non mai confutarlo, provando il contrario.

28. I ragionamenti del genere (I β), e specialmente quelli (I β 1), conducono ad evidenti sofismi. In sostanza, tolti i veli metafisici, l’asserire che l’individuo consegue il proprio vantaggio coll’operare secondo le norme morali torna ad asserire che la virtù è sempre premiata ed il vizio sempre punito, il che è manifestamente falso. Il mezzo usato abitualmente, da Platone1 in poi, sta nel sostituire alle sensazioni piacevoli o spiacevoli che prova un uomo, delle astrazioni che si definiscono in modo da farle dipendere dall’operare moralmente; onde poi si ragiona in circolo: se la felicità è la conseguenza


    impunito chi, spergiurando, a lui aveva fatto danno. Sext. Emp.; Adversus physicos, p. 502; Schol. in Aristoph., Nub., 830.

  1. Civitas, I, p. 353, 354: «Soc: Non è giustizia dell’animo la virtù; ingiustizia, il vizio? Tras: Sta bene. Soc. Dunque l’anima giusta e l’uomo giusto vivranno bene; l’uomo ingiusto, male. Tras. Appare secondo il detto tuo. Soc. Ma chi bene vive è beato e felice; segue il contrario per chi non vive bene. Tras. Chè? Soc. Il giusto dunque è felice; l’ingiusto infelice. — Ὁ μὲν δίκαιος ἅρα εὐδαίμων, ὁ δ’ ἄδικος ἄθλιος.». Torna poi a parafrasare ciò III, p. 444, 445.
    Cosa pensasse precisamente Socrate veramente non sappiamo; ma il Socrate di Senofonte, pone quasi sempre come identici il bene e l’utile, il male e il nocivo. Chi fa ciò discorre contro ai fatti; e quindi per provare la sua asserzione non può ricorrere ad altro che a sofismi.