Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo VII/Libro II/Capo I
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LIBRO SECONDO
Scienze.
Capo I.
Studi sacri.
Stato della teologia al principio di questo secolo.
I. Se mai vi ebbe alcun secolo in cui alla Chiesa di Dio facesse d’uopo di dotti e ingegnosi teologi, esso fu quello di cui scriviamo. Quasi al tempo medesimo dalA’Allemagna, dagli Svizzeri, dalla Francia, dalla Boemia, dalla Polonia sorser potenti nimici a combatterla e a rinnovare in parte gli antichi errori, in parte a divolgarne de’ nuovi. Il primo a dar fiato alla tromba e a levar lo stendardo della ribellione, fu Martino Lutero; e a lui tenne dietro una schiera innumerabile di novatori, altri seguaci di esso, altri emuli e nemici, ma tutti concordi nel muover guerra alla Chiesa, e singolarmente nello scuoter il giogo della Sede apostolica, e nel contrastare il primato al romano pontefice. Di là dall’Alpi fu il principal teatro di questa memorabil rivoluzione, e ivi ancor si trovarono sostenitori valorosi della Chiesa cattolica e de’ suoi dogmi. Ma non meno che altrove conveniva opporsi in Italia al rovinoso torrente che
LIBRO SECONDO ^o3
essii ancor minacciava 7 e facea mestieri a’ pontefici di avere intorno al lor fianco intrepidi
combattenti, per rispinger gli assalti che da
ogni parte movevano contro la cattedra di s
Pietro. Or avvenne per comun danno, che allora
appunto)' Italia non fosse troppo feconda di
tai teologi, quali a que’ tempi si convenivano.
La teologia scolastica, che da S. Anselmo, da
Pier Lombardo, da S. Tommaso e da primi loro
discepoli era stata saggiamente impiegata a ridurre quasi in sistema le verità della cattolica
religione, ed era stata da essi maneggiata con
tal ordine e con tal chiarezza che dovea servir di modello a’ secoli susseguenti, era venuta
successivamente degenerando dalla sua prima
lodevole istituzione. A un raziocinio giusto e
preciso erano succedute fredde ed inutili speculazioni j mille barbari e strani vocaboli l aveano sfigurata e renduta non intelligibile a que’
medesimi che n eran maestri. L’erudizione sacra, non che la profana, la cognizion delle lingue, la critica e qualunque altro corredo di elegante letteratura n era stato sbandito come cosa
indegna del santuario, e credevasi che alla veneranda oscurità de misteri dovesse andare congiunta l’oscurità, o, a dir meglio, la barbarie
dello stile e l’inviluppo di un mal digerito discorso. Alcuni pochissimi, e sopra tutti Paolo
Cortese da noi mentovato nel secolo precedente, avean cercato di ricondurre la teologia
all’antica sua gravità, togliendola dalla rozzezza
fra cui gli Scolastici l avean sepolta. Ma il loro
esempio non avea avuti seguaci. Coloro che
bramavano di rendersi illustri col loro ingegno, 4°4 LIBRO
yeggendo i grandi ili quell'età intenti principalmente a promuovere e ad avvivare la poesia e
gli altri studi dell amena letteratura, ad essi sol
si volgevano \ e la teologia si rimaneva per lo
più confinata ne chiostri, e vendicavasi del disprezzo che per essa mostravano i begli spiriti,
col disprezzare a vicenda IVrudiziou loro e la
loro eleganza. Per altra parte molti de novatori
eran uomini non sol dotati di acuto ingegno,
ma ancor di diverse pregevoli cognizioni; e
dello studio da essi fatto nelle lingue ebraica
e greca, nell esame delle opere de SS. Padri,
nè monumenti della profana e dell ecclesiastica
storia si abusavano ad accreditare le ree loro
opinioni. I teologi cattolici, non avvezzi per lo
più ad uscire dagli angusti confini delle scolastiche sottigliezze, gridavano ad alta voce all errore j c sinché altro da essi non si chiedeva
che di mostrar la fallacia degli argomenti de
loro nimici, uscivano trionfanti dalla battaglia.
Ma se venivano loro opposte ragioni tratte da
altri fonti a cui non aveano attinto, qualunque
partito essi prendessero, o di rispondere, odi
tacere, la zuffa riusciva troppo ineguale, e il
successo era loro comunemente poco onorevole. Conobbesi allora, che a combattere le recenti
eresie era necessario il fornirsi di alcune armi
medesime di cui valevansi i novatori j e i teologi presero a esercitarsi nello studio delle lingue straniere, a consultare l’antichità e la storia, a discerner le opere vere dei SS. Padri dalle
supposte, e a rendersi in tal maniera capaci di
sostener con fermezza e di ribattere con valore
gli sforzi dell'eresia. Quindi allorchè radunossi SECONDO ^o5
il gran concilio di Trento, si videro in quella illustre assemblea I aliti dottissimi uomini, dall ingegno e dal sapere de quali la cattolica religione
fu gloriosamente difesa, e riportò un solenne
trionfo su’suoi nimici; e poscia ancora i dogmi
in quel sinodo confermati, furono con nuove
opere difesi sempre più chiaramente, e scoperti
venner gl inganni e le frodi di coloro che combattevanli. L’ Italia ebbe in ciò non piccola
parte e noi dobbiam qui ricercare di quelli
che in ciò ottennero maggior nome. Vasto è il
campo che qui ci si offre a trascorrere, e ci
convien perciò tra l’infinito numero di scrittori teologi che potremmo schierare innanzi,
trattenerci solo su’ più famosi. Lasciamo dunque
in disparte coloro che, seguendo l’antico metodo, non ci diedero che poco vantaggiosi comenti sul Maestro delle Sentenze, o su altri de’
primi padri della scolastica teologia. Le opere
loro sono omai del tutto dimenticale 5 e insicm
con esse può giacer nella polvere il nome de’
loro autori. Noi direm solo di quelli che più
utilmente si volsero ad oppugnare le allor sorgenti eresie', e per amor di chiarezza li divideremo in tre epoche, parlando dapprima di
alcuni pochi che prima del concilio di Trento
in ciò si occuparono', poscia di quelli che nel
concilio medesimo fecero luminosa comparsa;
e di quelli per ultimo che dopo esso intrapresero nuovi combattimenti a difesa della cattolica Fede.
II. L’Ordine agostiniano ch’ebbe la sventura
di nutrir per più anni nel chiostro il primo autore delle nuove eresie di questo secolo, ebbe
11.
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Luiritt. 4oC> LIBRO
ancora la gloria di esser tra’ primi a dare alla
Chiesa dotti e valorosi apologisti de’ sagri suoi
dogmi. E il primo di essi fu Ambrogio Fiandino napoletano, vescovo lamocense e suffraganeo di Mantova, e a questa dignità sollevato
nell an 1517 (Ossinger. li ibi. August. p. 341).
Egli era stato prima maestro de’ conti Landi
in Piacenza nel i5o3 (Elssìus Encomiasi Angus tiri. p. 46, 47)? ed erasi esercitato con somma
lode nell’apostolica predicazione e se ne hanno
in fatti alle stampe i Sermoni in lingua latina per
rAvvento e per la Quaresima. Ei fu in Mantova
uno de più forti avversarj del Pomponazzo,
di cui diremo nel capo seguente, e contro di
lui pubblicò un libro sull" Immortalità dell’anima, stampato in Mantova nel 1519. E innoltre un’ apologia pro Alexandro Aphrodisaeo de
fato contra Petrum Pomponatium, scritta nello
stesso anno, se ne conserva nella libreria degli Agostiniani di Mantova, oltre la copia che
ne rammenta il P. Ossinger come esistente in
Ventimiglia. Anzi, come avverte il ch
P. Giacinto della Torre lettore agostiniano, alla
cui gentilezza ed erudizione, come ne’ precedenti volumi, così in questo ancora mi protesto debitore delle notizie concernenti gli scrittori di quest’Ordine, in altre opere ancora non
lascia il Fiandino passare occasione alcuna di
mordere il Pomponazzo, cui chiama per ludibrio Peponatium senem de li rum, hominem maledi cimi, patriae vituperium, ec. Più giusta e
più ragionevole fu la guerra da lui mossa a
Lutero, contro cui tre opere scrisse, benchè
niuna di esse abbia veduta la luce. La prima è SECONDO 407
l'Apologià per la santa Messa e pel Sacerdozio,
da lui scritta nel 1520, che conservasi e in
Ventimiglia e in Mantova. La seconda, sconosciuta agli autori delle Biblioteche agostiniane,
e che conservasi nella real biblioteca di Parma,
ha per titolo: Examen vanitatis duodecim articulorum Martini Lutheri, opera di cui il
dottissimo P. Placiaudi in una breve sua ms.
Disertazione sopra essa loda altamente la profonda dottrina, la molta erudizione e la forza
di raziocinio con cui è distesa. La terza ed ultima, che trovasi in Ventimiglia, è intitolata:
Conflictationes de vera et Catholica Fide, ed egli
finì di scriverla a’ 14 di marzo del 1531, cioè
pochi mesi innanzi alla morte, da cui fu preso
in Mantova a1 di settembre dell’anno stesso,
contandone egli 69 di età. Di altre
opere da lui composte si veggano gli scrittori
delle Biblioteche di quell’Ordine, e alcune altre
da essi taciute ne annovera Vincenzo Barsi carmelitano nella lettera premessa alle Prediche
per l’Avvento del Fiandino (*). Il secondo scrit(*) Alcune altre notizie intorno ad Ambrogio Fiandino si leggono nella Storia ms. della Congregazione
medesima del P. Fulgenzio Alghisi, che conservasi nel
convento di s Croce della Congregazione agostiniana di Lombardia in Casale di Monferrato. Da essa
raccogliesi che Ambrogio, essendo già vescovo lamocense e suffraganeo di Mantova l’an 1528, volle ed
ottenne di essere aggregato alla suddetta Congregazione
nel capitolo tenuto in ('.Calvatone terra del Cremonese.
e ch egli quasi per gratitudine formò una bella libreria
nel convento di S. Agnese di Mantova, a cui pure fece
dono di tutte le sue opere. In essa ancora si afferma
che il duca di Mantova Federigo Gonzaga inviollo suo 4°8 LIBRO
tor di questo Ordine contro Lutero fu Andrea,Bauria ferrarese, la cui opera intitolata Deferì*
soriani Apostolicae Potestatis contra. Martinum
Lutherum si dice da tutti stampata in Ferrara
nel 1521, benchè il soprallodato P. della Torre
ne abbia una edizione fatta in Milano nel 1523,
la quale forse fu una ristampa. Nella lettera dedicatoria al cardinale Marco Cornaro scritta da
Ferrara nel detto an 1521, ch è stata pubblicata ancora dal Lami (Cat Bibl. riccardinale.
p. G4) > il qual forse l ha creduta inedita,
racconta il Bauria, ch essendosi egli accinto
a predicare e a declamar contro i vizii, alcuni avevan renduto sospetto il suo zelo al pontef Leon X, il quale perciò aveagli imposto
silenzio ch’egli per provare la purità della sua
fede prese a scriver quest opera, e già aveano
cominciata la stampa, quando il pontefice di
lui non fidandosi, vietò agli stampatori il continuarla. La morte del papa, accaduta appunto
in quell anno, tolse probabilmente ogni ostacolo, e potè il Bauria pubblicar la sua opera,
la qual ci mostra di fatti ch egli era costantcambasciatore a Roma a complimentare il nuovo ponlefìcc Clemente Vii. Nel medesimo convento di Santa
Croce conservasi un codice ras. del Fiandino col titolo:
Comi lexfus Parme nidi*, et in hunc librurn Comenlaria
digesta, et annotationibns digressionibusque illustrata,
ac Illustrissimo Federigo Gonzagac Marchioni Bozzoli
d rata per Reverendi ss. S. T. Doctorem ac Fpìscopum
Cam oce n seni, et Suffraganeum Man tuonimi A nihrosium
Parthennpeum; il qual codice per la eleganza crn cui
è scritto, per gli ornamenti della legatura. e per 1 arme
Gonzaga aggiuntavi, sembra quel desso che fu dall’autore olierto ai suo mecenate. SECONDO
niente attaccato a’ dogmi della cattolica religione (*). Alquanto più tardi levossi contro gli
errori di Lutero Pietro Aurelio Sanuto patrizio
veneto e religioso dello stesso Ordine, morto
in Venezia nel 1553, di cui si posson vedergli elogi con cui gli scrittori di que’ tempi n
esaltano la probità e il sapere, presso il P. Ossinger (l. c. p. 792), il qual riferisce l’opera
da lui pubblicata nell’an 1543 e intitolata:
Recens Lutheranarum assertionum oppugnatio.
L’ultimo tra gli scrittori Agostiniani che impugnarono Lutero, fu Girolamo Negri, nato in
Fossano nel Piemonte nel 14f)(3, e reudutosi
religioso nel 1514 Molto di questo zelante teologo ragiona il P. Calvi nelle sue Memorie storiche della Congregazione di Lombardia, dalle
quali raccogliesi il zelo con cui egli predicò per
più anni contro gli eretici nelle valli di Lucerna
(*) 11 Baiiria tri stato prima della Congrega* ione
agostiniani rii Lombardia; e benché da essa fosse poscia passato all" Ordine, nvea ottenuto per Breve di
Leon X nel i*»!») rii avere stanza nel convento di
S. Andrea in Ferrara, che era della detta Congregarione. Questa si oppose all’esecuzione del Breve, il
quale di f.tto fu livocato; e perchè dovettersi in questa occasione produrre i motivi pe’ quali il Bautta avea
fatto l'accennalo passaggio, ed essi non erano a lui
mollo onorevoli, da ciò forse nacque la diffidenza che
ne mostrò Leon X. De’ documenti ili queste vicende
del Bauria ha copia il P. lettor Verani da ine più volte
rammentato con lode. Dopo il Bauria levossi c< litro
Lutero un altro religioso agostiniano. cioè Anselmo
Botturnio vicentino, che nel ¡fai pubblicò in Venerili
un libro della Cattolica Dottrina delle Indulgenze. Di
esso ragiona il P. AngiolgabrieUo da S. Maria (Scria,
cirro'. I. /’•, ec.). 4io I.ILRO
c di Angrogua, il fruito che uè trasse nella conversion di molti di essi, e singolarmente di un
celebre lor predicante; l’odio che contro di lui
perciò concepirono gli eretici stessi, e la vendetta che ne fecero, spargendo contro di lui
medesimo sospetti (d'incerta fede, per modo
che nel 1556 per ordin di Roma fu sospeso
dall esercizio di predicare e di disputare; l’impegno de’ più dotti uomini del Piemonte per
comprovare l’innocenza del Negri, e per mostrare lo scandalo che con tal sentenza si era
dato ai’ Cattolici, e l'occasion di trionfo porta
agli eretici; finalmente la solenne dichiarazione
fatta in Roma nel seguente anno 1557 dell'innocenza del Negri, il quale d’indi in poi continuò ad esercitare il suo zelo, e si rendette
assai accetto al duca Emanuel Filiberto, ed
ebbe nella sua Religione ragguardevoli dignità (<i).
Non tutti gli errori di Lutero prese egli ad impugnare, ma quelli soltanto sull Eucarestia, sul
sagrificio della santa Messa e sull' adorazione di
Cristo; e l’opera da lui pubblicata in Torino
nel 1554 è una delle più forti e delle più dotte
confutazioni di quegli errori; perciocchè astenendosi dalle sottigliezze scolastiche per cui i
novatori insultavano continuamente i Cattolici,
tratta con profondità di dottrina non meno che
con forza di raziocinio le dibattute quistioni, e
rende con ciò più glorioso il trionfo della verità
(a) Lo stesso P. dalla Torre, ora arcivescovo di Sassari, ha pubblicato un bell' Elogio del Negri, iu cui
con molla erudizione rischiara tutto ciò che a lui appartiene (Piemontesi ili. t. 3, p. 11 *>).
/ SECONDO 4 * *
o della religione. Un’ altra opera inedita del
Negri si conserva in Torino presso il sig. co
Felice Durando di Villa eruditissimo raccoglitore
di tutto ciò che appartiene alla letteratura del
Piemonte, la quale può sperare d’ essere un
giorno da lui felicemente illustrata. Essa è intitolata Aaron, sive de Institutione Pontificis Cristiani; ed è scritta con erudizione insieme e
con libertà, affin di additare gli abusi introdotti
nel clero, e di proporne i rimedii. Egli la scrisse
l’an 1543, e la dedicò a monsignor Giani batista Provana vescovo di Nizza, il quale con
sua lettera de’ 5 di marzo del 1545, ch è annessa all'opera stessa, la commendò altamente,
e si mostrò determinato a farla uscire alla luce.
Ma forse la celebrazione allor cominciata del
concilio di Trento gliene fece deporre il pensiero, perchè non sembrasse ch ei volesse con
quell opera prevenire i decreti di quella grande
adunanza.
III. Io ho annoverati di seguito questi teologi dell’Ordine agostiniano, per far conoscere
che se da questa sorgente uscì il veleno dell’eresia, ne uscì ancora opportunamente l’antidoto ad impedirne, come meglio potevasi, i
rei effetti. Altri frattanto si erano già sollevati
contro Lutero, e tra’ primi che in Italia presero farmi, uno fu Silvestro Mozzolini domenicano, detto comunemente Silvestro da Prierio, perchè natio di un luogo di questo nome
nella provincia del Mondovì. Le cattedre e gli
onorevoli impieghi da lui sostenuti, e quello
fra gli altri di vicario generale della sua Congregazione, e la fama acquistatasi col suo 4lJ unno
capere e colle sue opere, il condussero nel 1515
alla carica di maestro del sacro Palazzo, ch
egli esercitò fino al 1523 in cui finì di vivere.
Or questi, appena giunsero a Roma le prime
conclusioni da Lutero insegnate e proposte contro le indulgenze, si accinse a combatterle, e
dedicò un Dialogo da lui contro esse composto
a Leon X. Se ne cita comunemente, come fosse
la prima, l’edizion (fatta in Roma nel 1520. Ma
l’operetta di Silvestro dovette uscire alla luce
qualche tempo prima, e probabilmente fin
dal 1517. Perciocchè nella prima Raccolta delle
Opere di Lutero, pubblicata in Vittemberga
nel 1520, che abbiamo in questa biblioteca
Estense, in cui si contengono tutte le opere
che dal 1517 fino a quell'anno erano state
scritte o da Lutero medesimo, o contro di lui,
quella di Silvestro e la risposta fattagli da Lutero son tra le prime. Erasmo afferma (Epist.
t. 1 j ep. 910) che il libro di Silvestro piacque
sì poco al pontefice stesso, che questi gl’impose silenzio: Respondit Sylvester Prieras tam
feliciter, ut ipse Pontifex indixerit illi silentium. Il detto di Erasmo però sembrerà forse
sospetto a coloro che hanno di lui poco favorevole opinione. Ma che l'opera del Prierio non
fosse allora troppo opportuna, si narra ancora
da uno de’ più forti sostenitori dell’apostolica
Sede, cioè dal cardinale Sforza Pallavicino, il
quale, dopo aver lodate quelle che contro le
proposizioni di Lutero pubblicò l’Eckio in Allemagna, Non così giovò, dice (Stor. del Conc.
di Trento, l. 1, c. 6), una breve Scrittura,
onde furono rigettate in Roma, ove tosto giunse SECONDO 4 * 3
notizia di queste turbazioni suscitate in Germania. Ivi Silvestro da Prierio Maestro del
Sacro Palazzo, e generale Inquisitore, valentissimo nella Teologia specialmente Morale,
come ne suoi volumi si scorge, rifiutolle in un
Discorsetto dedicato al Pontefice. Ma il discorso, quant era acconcio in mostrar l’ equivoco
delle ragioni apparenti apportate da Lutero,
tanto era asciutto per convincere con ragioni
opposte la falsità delle sue proposizioni, condannandole più d una volta per eretiche, e non
valendosi quasi d altro luogo contro di esse,
che dell' autorità Pontificia. Onde questa Scrittura da un lato irritò Lutero, per vedersi altamente ingiuriato dagli emuli, a quali la superbia umana non vuol mai darsi per vinta;
dall altro lato gli fece credere, che senza impugnare la podestà del Papa non potea fuggire
questa vergogna, e che con impugnarla non
gli resterebbe altra difficoltà notabile da superare. Alcuni altri opuscoli stampò poscia Silvestro sullo stesso argomento, il che sembra
smentire l’asserzione di Erasmo, cioè che il
papa gli imponesse silenzio. Ma di essi, e di
molte altre opere di diverse materie da lui composte parlano a lungo i PP. Quetif ed Echard
(Script. Ord. Praed. t. 2, p. 55, ec.); nè io
credo o utile o necessario il dirne più oltre (a).
(a) Tra’ primi a sorgere contro Lutero dee anche annoverarsi il P. Isidoro Isolani domenicano, che fin dal
cominciare dell' eresia prese ad impugnarla. come si
può vedere dalle notizie che ce ne ha date V Argel iti
(Bibl. Script, mediol. t. 1, pars 2, p. 7 44) • ‘1 quale
delle opere dell Isolani le ha date assai più copiose c 4; \ Liirno
IV. Dietro al Prierio più altri lerarous» eoiv*
tro Lutero, e fra essi Ambrogio Catarino domenicano, cbe Tanno 1020 pubblicò in Firenze
dalle stampe de Giunti cinque libri contro di
esso, dedicati all imp Carlo V, della qual
bella e rara edizione ha copia questa biblioteca
Estense. Ma come egli visse fino al concilio di
Trento, e in esso diede pruova del suo sapere,
ci riserbiamo a dir di lui fra non molto. Qui
deesi far distinta menzione di alcuni che inviati in Allemagna col carattere di legati della
Sede apostolica, non sol co’ maneggi, ma co’
loro scritti ancora si adoperarono ad estinguere
il fatale gravissimo incendio. Il primo a ciò destinato fu il cardinale Tommaso da Vio dell’ Ordine de’ Predicatori dal nome della sua patria
detto il cardinale Gaetano. Nato a’ 20 di febbraio del 1469, e entrato nell’Ordin suddetto
nel 1484, vi diede tosto rare pruove d’ingegno, singolarmente in una solenne disputa da
lui sostenuta innanzi al Capitolo generale del
suo Ordine in Ferrara nel 14i>'l 7 m CU1 ebbe
a suo avversario non meno che ammiratore il
celebre Giovanni Pico della.Mirandola. Dopo
più esatte di quelle che se ne hanno presso i PP. Que*
tif ed Echord. Tra esse vuoisi osservare quella sul cullo
di S. Giuseppe; del quale argomento fu forse egli il
primo a trattare espressamente. 1 suddetti scrittori pensano eh’ei finisse ui vivere circa il i5aa. Ma i documenti «lei convento delle Grazie di Milano esaminati
dal P. M. Monti, da me altrove lodato, ci mostrano
ch’ei ne era priore anche a'22 di aprile del i5atì,ina
eli ei dovette morir poco appresso, poiché in una nota
de’religiosi figli di quel convento, fatta a’9 di luglio
dell’ anno stesso, ei non è nominato. avere in molte università d Italia insegnato
pubblicamente con somma lode, fu nel 1508
eletto a general maestro dell’Ordine. L'adoperarsi ch’ei fece affin d’impedire e di sciogliere
il concilio unito in Pisa ncU'anno i5i2 contro
il pontef Giulio II, fece che questo pensasse
a sollevarlo all’onor della porpora j ma prevenuto della morte, lasciò a Leon X il pensier
di premiarlo, e questi in fatti nel 1517 il dichiarò cardinale, e Panilo seguente inviollo legato a Cesare per la tanto allora promessa
guerra contro de Turchi. Avea già il Gaetano
dati saggi del suo valore nell’opporsi a Lutero
con un libro sopra le Indulgenze, composto e
pubblicato fin dal 1517 (V. Raynaldi, Annal,
eccl. ad h. an. 76), ed ei perciò fu a ragione creduto opportuno o ad abbattere, o a
convincere i fautori e i seguaci dell’eresia. Il
cardinale però credette che non convenisse al
carattere di legato l’entrare in disputa con Lutero; si abboccò più volte con lui) tentò ogni
mezzo per indurlo a una sincera ritrattazione,
nè ommise quello delle minacce, con cui parve
ad alcuni, avvezzi a misurarle cose dell'esito,
ch’ei precipitasse l’affare. Disperata ormai la conversion di Lutero, passò alla dieta di Francfort
nel 1519, e contribuì non poco all’elezione di
Carlo V. Tornato poscia in Italia, non potè mai
ottenere il possesso dell’arcivescovado di Palermo a lui conferito da Leon X, e fu invece
fatto vescovo di Gaeta. Nel sacco di Roma
del 1527;, caduto in man de nemici, dovette
ricomperare la libertà collo sborso di cinquemila
scudi, e ritirarsi a Gaeta, affin di raccogliere, 4/6 LIBRO
vivendo parcamente, il denaro da rendere agli
amici che gliel avean prestato. Tornato poscia a Roma nel 1530, ivi finì di vivere a’ 9
di agosto del 1534, in età di 66 anni
Delle opere da lui composte ci han dato un
esatto catalogo i padri Quetif ed Echard, che
ne hanno ancor rischiarate le principali epoche
della vita (l. c. p. 14, ec.). A quattro classi
si posson quelle ridurre; alle filosofiche, che
nulla ci offrono, per cui debba farsene più distinta menzione; ai’ Comenti sulla Somma di
S. Tommaso, ne’ quali sembra ad alcuni ch'egli talvolta abbia oscurato anzi colla barbarie
scolastica, che rischiarato il testo di quel profondo teologo; a molti opuscoli teologici, fra’
quali ne ha non pochi contro le recenti eresie;
e finalmente a" cinque tomi di Comenti sopra
la sacra Scrittura. Questi ultimi furono all’autore cagione di gravi disgusti. Ambrogio Catarino, uomo d’ingegno acuto, ma fei vido oltre
modo e amante della contesa, giudicò i Comenti del Gaetano pericolosi per le nuove e
non più udite opinioni che in essi ei sosteneva, e si adoperò, parlando non men che scrivendo, perchè fossero condennati. Le difese
che più anni dopo la morte del Gaetano furono presentate all’università di Parigi, ci mostrano che prima di morire ei seppe e vide
faccuse del suo avversario; e le sue apologie
congiunte al credito di cui godeva, fecero che
il Catarino fosse allora costretto a non menar
gran rumore. Ma poichè il cardinale fu morto,
il Catarino pubblicò sei libri contro i detti Comenti, e gli offerse alla università di Parigi, la SljCOM DO ^ 1 ^
quale con suo decreto de’ 9 d’agosto ilei i544
rondeiinò i (.’Comenti del Gaetano, affermando
che vi si contenevano proposizioni false ed ampie, ed alcune ancora eretiche. Di questo decreto ci ha dato un transunto Riccardo Simon
(Crit, de la Bibl. des Aut. eccl t. 1, p. 644)>
c l’originale ne è stato pubblicato da monsig du Plessis d’Argenti c (Colteci. Jiulicior.
de novis Error. t. 2, p. 14 *)- Due anni appresso
il priore de’ Domenicani in Parigi presentò all'università un libro che in sua difesa avea già
scritto il Gaetano, in cui rispondeva alle accuse a lui date, or negando di aver sostenute
alcune opinioni, ora spiegando in miglior senso
le sue parole nè io trovo che in questa contesa si andasse più oltre. E veramente diede
il Gaetano qualche occasione alle accuse che
gli furono apposte; sì per alcune nuove opinioni da lui seguite, sì perchè nulla sapendo,
come egli stesso confessa, della lingua ebraica,
volle nondimeno tenersi stretto al senso letterale, e valendosi di altri, faceva loro recare in
latino di parola in parola il testo originale,
nulla curandosi che la versione riuscisse oscurissima e intelligibile intorno al qual metodo
è degno d’essere letto ciò che osserva il sopraccitato Simon (Hist crit du V. Testam.
l. 2, c. 20), che saggiamente si astiene e dal
rigettare del tutto e dall’ approvare troppo ampiamente le idee di questo interprete. E deesi
anche avvertire che molte delle opinioni sostenute dal Gaetano che allora per la lor novità
parvero scandalose, ora da’ migliori critici sono
senza alcuna difficoltà ricevute. Fra le altre
Tuuuoscm, Voi X. 27 4*8 LI URO
cose per cui il Catarino dà al Gaetano la taccia
di eretico, una si è perchè avea mostrato di
credere che il Dionigi areopagita, di cui si
parla negli Vi li degli Apostoli, sia diverso dall’autore dell!!'opere al primo attribuite j il che
se non si può affermare che da un eretico,
troppo scarso oggi sarebbe il numero de Cattolici. Per ciò che appartiene a’ libri da lui
scritti contro Lutero, egli ebbe la sorte di avere
a lodatore di essi lo stesso Erasmo. Questi in
una sua lettera del 1521, Nuper exiit, dice
(Epist. t. 1, ep. 587), liber 7'Jioniue Cari!. Cajetani in totum abstinens a personis, a convil iis omnibus temperans, nudis argumentis, et
anctorurn Usti mori iis rem agens non minore
cura quam ingenio. Hujusmodi volebam vel
sexcentos scribi adversus Lutherum, qui rem
illustrant non excitant. tumultum. E in un’altra del 1532 loda altamente alcuni altri opuscoli
teologici del Gaetano singolarmente per la precisione e per la modestia con cui erano scritti
(t. 2, ep. 1216). Anzi abbiamo una lettera da
lui scritta al Gaetano medesimo, che avealo
dolcemente ammonito a correggere alcune cose
nelle sue opere, e la risposta di Erasmo ci
scuopre quanto ei lo stimasse (ib. ep. 1227).
E nondimeno lo stesso Erasmo in un’ altra lettera del suddetto an 1521 ci dipinge il Gaetano come uom furioso e superbo! Quid Cajetano Cardinale superbius aut furiosius (ib. in
Append. ep. 317)? Come si possono conciliare
tai sentimenti, è assai malagevole l'indovinarlo.
E forse quest ultima lettera, che non trovasi
nelle antiche edizioni d Erasmo, e che prima SECONDO
d’ogni altro è stata pubblicata dal Gudio, è
alterata, o supposta. Certo è che il Gaetano fu
avuto in istima di dottissimo uomo; e, per
tacer di mille altre, ne abbiam la pruova in
due lettere piene di encomii e di lodi a lui
scritte dal Cardinal Sadoleto (Sadol. Epist fami l. t 1, p. 3o4, ed. Rom.).
V. Al Cardinal Gaetano succedette nella legazion d’Allemagna contro Lutero Girolamo
Aleandro, natio della Motta, terra sui confini
della Marca Trivigiana verso il Friuli. Di lui,
oltre gli autori di que’ tempi, hanno scritto di
fresco con somma esattezza il co. Mazzucchelli
(Scritt, it. t. 1, par. 1, p. 408, ec.), e assai
più lungamente il sig. Giangiuseppe Liruti (Notizie de’ Letter. del Friuli, t. 1, p. 456, 506),
i quali hanno esaminata minutamente ogni
epoca della vita di esso, e io posso perciò spedirmene in breve, accennando ciò ch’essi narrano stesamente. Essi hanno con certi argomenti provato ch’ei nacque a 13 di febbraio
del 1480, e han rigettate le imposture con cui
i Protestanti cercarono di oscurarne la nascita.
Ne’ primi anni della sua gioventù sotto diversi
maestri nella Motta, in Venezia, in Pordenone,
in Padova attese agli studi, e non v’ebbe genere di essi, che non fosse da lui coltivato
felicemente, ajutandolo in ciò una prodigiosa
memoria, per cui non vi era cosa da lui letta
o appresa una volta, che non gli rimanesse
immobilmente scolpita in mente. La lingua greca, l’ ebraica, la caldaica, e l altre orientali,
la teologia, la filosofia, la matematica, la musica, la poesia, l eloquenza furono il principale 4ao LIBRO
oggetto della sua applicazione. Il soggiorno
d’alcuni anni in Venezia, gli fece contrarre
amicizia con Aldo Manuzio e con Erasmo che
ivi allora trovavasi, e con cui l’Aleandro ebbe
per qualche tempo comune e la mensa ed il
letto. E il Manuzio a lui, ancor giovane di
anni, dedicò nel 1502 l Iliade e l'Odissea
d’Omero, esaltando con somme lodi nelle lettere ad esse premesse l'ingegno, lo studio,
la cognizion delle lingue e la moltiplice erudizione dell Aleandro non meno, che l’eleganza
con cui scriveva così in prosa, come in versi
nella lingua latina. L’an 1508, passato in
Francia, fu dal re Luigi XII destinato professore di belle lettere e di lingua greca in Parigi
coll annuo stipendio di 500 scudi d oro; e
tra’ molti illustri scolari vi ebbe il celebre Vatablo. La peste il costrinse dopo qualche anno
a lasciare Parigi e a cam.i'-if sovente dimora,
finchè stabilitosi presso il vescovo di Liegi
Erardo dalla Marca, da cui ebbe alcuni beneficj
ecclesiastici, e da lui inviato nel 1517 al pontef Leon X, questi, che ne conosceva il raro
valore, ottenutolo dal vescovo, il ritenne presso
di sè, e datolo prima per segretario al cardinale
Giulio de Medici che fu poi Clemente VIII, il
fece poscia nel 1519 bibliotecario della Vaticana.
Al principio dell’anno seguente insieme con Marino Caracciolo fu spedito nuncio in Germania;
e all’Aleandro principalmente fu dato l’incarico
di usar d'ogni mezzo per estinguere il fuoco
della’ eresia. Nel che quanto caldamente egli si
adoperasse fino ad ottenere la promulgazione del
bando imperiale contro Lutero, si può vedere SECONDO ^21
nella Slorìa del Cardinal Pallavicino (l. i, c. uò).
Il zelo dell’ Aleandro sembrò eccessivo e trasportato ad alcuni, e principalmente ad Erasmo,
e ne venne quindi la nimicizia che quegli gli
dichiarò, e le ingiuriose espressioni con cui ne
scrisse, benchè poscia di nuovo con lui si riunisse. Morto frattanto Leon X, e succedutogli
Adriano VI, l’Aleandro con lui venne in Italia.
Clemente VII gli conferì nel 1524 l arcivescovado di Brindisi, e inviollo suo nuncio al re
Francesco I, che allora era coll esercito in
Italia, e con cui VAleandro trovossi a grande
pericolo nella famosa battaglia di Pavia, nè
senza sborso di molto denaro potè camparne
la libertà e la vita. Io non mi stenderò a narrare minutamente le altre legazioni che a lui
furono affidate e da Clemente VII e da Paolo III,
il quale fra le altre cose lo aggiunse a" quattro
cardinali, Contarini, Caraffa, Sadoleto e Polo,
che formavano la congregazione destinata alla
riforma della Chiesa. Credevasi che nel 1536 ei
dovesse aver l’onor della porpora; e bellissima
e piena di encomii per l Aleandro è la lettera
che il Sadoleto scrisse a Paolo, modestamente
dolendosi che un sì grand' uomo non avesse
avuto il premio tanto da lui meritato (l. c
t. 2, p. 458). Ebbelo finalmente nel 1538, e
Paolo compensò il ritardo coll aggiunta di un
nuovo onore, destinandolo uno dei presidenti
al concilio, che allora era stato intimato in Vicenza. Ma differitosi questo ad altro tempo,
fu l Aleandro di nuovo inviato in Allemagna,
donde tornato a Roma, mentre aspetta la convocazione del concilio, finì di vivere a1 3i di 423 LIBRO
gennaio del i54a. Ei lasciò per legato la sua
biblioteca a’ Canonici del monastero di s
Maria dell Orto, che poi seco loro la ti asportarono a S Giorgio in Alga, ma or più
non se ne vede vestigio. Poco e ciò che dell Aleandro si ha alle stampe, cioè alcune lettere, alcune Poesie, un Lessico greco, e qualche
altra operetta ad ammaestramento in questa
lingua. Più pregevoli assai sono le Lettere e
le Memorie inedite di esso che si conservano
nella Vaticana ed altrove; la maggior parte
delle quali appartengono alle cose da lui operate contro de’ novatori, e gli argomenti di
cui valevasi a impugnare le loro opinioni e a
scoprire le loro frodi; delle quali, e di altre
opere dell Aleandro, che or son perite, veggansi i due scrittori al principio accennati,
presso i quali più altre notizie si troveranno
intorno a questo grand' uomo da me per amor
di brevità tralasciate.
Vi. Io lascio in disparte le legazioni del cardinale Lorenzo Campeggi, e del vescovo di Feltre di lui fratello, perchè di essi parlerem nel
trattare degli studi legali; e quelle di alcuni altri che o non hanno diritto ad entrare in questa Storia, o debbono ad altro luogo essere
rammentati. Io passo ancor sotto silenzio alcuni altri teologi che sul principio delle nascenti eresie ad esse si opposero, come Cristoforo Marcello patrizio veneto e arcivescovo
di Corfù, fatto prigione dagli Spagnuoli nel
sacco di Roma, condotto a Gaeta, ed ivi ucciso cogli strazii e colla fame, il quale l an 1521 pubblicò in Firenze due libri contro SECONDO 4^3
Lutero, oltre più altre opere di diverso argomento, come si può vedere presso Apostolo
Zeno che di lui ragiona a lungo, e spone ancor
la contesa ch egli ebbe con Paride de Grassi
cerimoniere di Leon X e vescovo di Pesaro
pel Cerimonial pontificio pubblicato in Venezia
nel 1511> (/)iss. voss. t 2, p. 1 or>, ee.); Tommaso Illirico natio di Osimo, dell’Ordine de Minori, di cui uscì alle stampe in Torino nel ioa.j
un1 opera intitolata Clypeus Ecclesiae Catholicae contro gli errori di Lutero, della quale il
Dupin ci ha dato l estratto (Il ibi. des Aut. eccl,
t. 14 p. 132, Paris 1703); Girolamo Perbuono
alessandrino marchese d'incisa e signore d’Ovilie, il quale benchè non fosse di profession
teologo, in una’opera nondimeno di varia erudizione, a cui da un de suoi feudi diede il titolo
di Oviliarum Opus, stampata insieme con
quattro libri di sue lettere in Milano nel 1533,
molto scrisse contro Lutero (V. Argelati, Bibl.
Script. medioL t. 2, pars 2. p. 2142): Giaramaria \ errati carmelitano, di patria ferrarese,
morto in Ferrara a 20 di luglio del 1563, benemerito di quel convento del suo Ordine pel
rifabbricarvi ch' ei fece e accrescer di molto
la biblioteca, e autor di più opere contro gli
eretici, che si hanno alle stampe, e per le
quali ei meritò di essere altamente lodato con
una sua lettera da Luigi Groto, detto il Cieco
d’Adria (Lett, p. 20, Ven. 1601); Vincenzo
Giaccaro che quattro opuscoli pubblicò nel 1537
contro lo stesso Lutero; Lodovico Oriano e
più altri; e mi ristringo a parlare di un solo
il cui zelo e sapere nel difendere la cattolica 424 LIBRO
religione fu tanto più ammirabile e degno di
lode, quanto meno sembrava doversi ciò aspettare da un uomo della condizione di cui egli
era. Parlo di Alberto Pio signor di Carpi uno
de’ più dotti uomini di questo secolo, la cui
memoria merita di essere illustrata più che non
è stato fatto finora. Tra le Opere di Auberto
Mireo io veggo citarsi la Vita di Alberto Pio,
stampata in Anversa nel 1622. Ma egli ragiona
di Alberto arciduca d'Austria, morto Fanno
innanzi nelle Fiandre. Del nostro Alberto niuno,
ch'io sappia, ha scritta la Vita, e io mi studierò perciò di farlo, come meglio mi sia possibile, in mezzo all oscurità in cui siamo fino
al presente rimasti (a). Kra egli figlio di Leonello signor di Carpi e di più altre castella, e
di una sorella del celebre Giovanni Pico, e insiem con Leonello suo fratello avea comune il
suddetto dominio con Giberto ed altri fratelli
figliuoli di Marco, di un altro ramo della stessa
famiglia. La divisione del fautori là cagionò la divisione degli animi, e questa giunse tant'oltre,
che dal 14f)4 f*no >5oo il dominio de Pii
fu un sanguinoso teatro di guerre civili. L Imp Massimiliano fu favorevole or all uno
or all altro partito; e dall'ornatissimo sig
avv Eustachio Cabassi carpigiano mi è
stata comunicata una lunga lettera latina, da
(a) Nella Biblioteca modenese lio poscia svolte più
ampiamente tutte le vicende di questo celebre principe
degno di miglior sorte, e ho proccurato di tesserne una
compita apologia, e insieme di rischiarar meglio lutto
ciò che agli studi da esso fatti e promossi appartiene
(t. 4» p- •‘»fL cc)‘ SF.C0NOO 4^5
Alberto a lui scritta nel i di maggio del «497?
in rui gli rammenta le favorevoli promesse a
sè fatte, e si duole che, cambiando improvvisamente pensieri e massime, abbia trasferito
tutto il dominio nel suo rivale Giberto; e in fatti
egli ottenne che l editto di Cesare non avesse
effetto. Ercole I, duca di Ferrara, si adoperò
molto egli ancora ad estinguer tali discordie,
e più volte venuto a Carpi, indusse i Pii a
deporre le armi e a riunirsi in pace. Ma breve
fu sempre la forzata loro concordia; finchè
nel detto anno 1500 Giberto, per vendicarsi
di Alberto, cedette tutte le sue ragioni sul principato di Carpi al duca di Ferrara, da cui ebbe
in contraccambio Sassolo, Fiorano, Montezibbio e più altre castella (V. Murat. Antich.
Est par. 2, c. 10). In tal maniera videsi Alberto a fianchi un potente sovrano che avea
con lui comune il dominio di Carpi, e delle
altre terre che ne dipendevano; e venne tosto
in timore che Ercole, e poi Alfonso che gli
succedette, non si risolvesse a non voler compagno in quel principato. Conveniva dunque,
attese le tenui sue forze, procacciarsi qualche
ben forte appoggio, con cui sostenersi, ove
venisse assalito. Parevagli che il più opportuno
fosse quello di Cesare; e maneggiato l’affare coll imp Massimiliano, ottenne che questi
con autorità imperiale, cassata la cessione fatta
già da Giberto al duca di Ferrara. investisse
di quel principato lui solo, del che trovasi ancora nell archivio de Pii il decreto di Cesare
segnato in Trento a 14 di giugno del 1509,
e ciò diede occasione a discordie c a guerre 42Ì> libro
tra Alberto e il duca. Circa questo tempo medesimo abbracciò Alberto il partito francese:
il che però non era contrario alla sua fedeltà
verso Cesare, poichè le due corone erano in amistà e in alleanza, In fatti lo veggiamo nel 1510
alla corte di Luigi XII re di Francia Per qual
motivo ei vi si fosse recato, io non trovo chi
ce ne abbia lasciata memoria. Solo sappiamo
che al) principio del detto anno ei fu in somma
fretta spedito da quel re a Roma per dissuadere il pontef Giulio II dal riunirsi in pace
co Veneziani; ma ci giunse ad affar già conchiuso. Di questa ambasciata ragiona non solo
il Guicciardini, che in questa occasione dice
Alberto persona di grande spirito e destrezza
(l. 8), ma ancor Paolo Cortese, che parlando
de cavalli destinati a correr le poste, e del
gran viaggio che con essi si fa in brevissimo
tempo, dice: Qualibus (equis) est his quatriduanis intercalariis feriis homo philosophus,
et re rum trac taf ione praestans} Albertus Pius
equitando usus, quo Ludovici Regis Gallorum
nomine Senatum (cioè il papa a i cardinali)
ob scorando rogaret, ne re proeli nata cum Venetis factionem iniret novam, quae esset aut
quatuorw'ra/us foedus diremptura, aut Italiae
excitatura funus. E in margine aggiugne: Albertus Pius Carpensis anno 1510 in quatuor
temporibus Februarii (De Cardinal. l. 2, p. 74)•
Il Muratori, sull' autorità del Guicciardini, aggiugne che Alberto in quell'occasione, mancando
di fede al re Luigi che aveagli ordinato di distogliere il papa dal muover guerra al duca
di Ferrara, non cessò in vece di stimolarlo e SECOXDO 4^7
d* irritarlo contro di esso, e che indi venne la
fiera guerra che Giulio mosse ad Alfonso (l. cit.
c. ii). A dir vero però, il Guicciardini ci narra
ciò sol come cosa di cui corse allor voce e
fu da molti creduta: Fu oltre a questo dubitazione ed opinione di molti, la quale in progresso di tempo si aumentò, che Alberto Pio
Ambasciadore del Re di Francia, non procedendo sinceramente nella sua legazione, attendesse a concitare il Pontefice contro al Duca
di Ferrara, ec. E poco appresso: Ma qual che
di questo sia la verità, ec. (l. 12). Non par
dunque abbastanza fondato il rimprovero che
si fa ad Alberto di aver tradito il re di Francia, e d essersi mostrato ingrato ad Alfonso,
dal cui padre era stato molto beneficato; e cotai
voci popolari non debbon credersi così di leggeri, poichè una troppo frequente sperienza ci
mostra quanto spesso esse sian false. È certo
però, che in quel tempo Alberto, lasciato il partito francese, si volse a quello di Cesare, di che
rende egli stesso ragione nel Dialogo di Rafaello
Brandolino, intitolato Leo, ove questo scrittore
così lo induce a parlare: Quodqiiinn animadverterem, feci, quod gravi ss irnis quandoque pelaci
tempcstatibus nantae far ere solent, qui mutata
velificatione diverso tamen flatu in tutissimum
se portum recipiunt: posthabitis Gallorum negotiis, quorum auctoritatem jam inclinare perspiciebam, Germanis adhaesi; nec me initi hactenus consilii poenituit (p. 84)- Ei fu lungamente
in Roma col carattere di ambasciadore di Cesare presso il pontef Leon X, che lo ebbe singolarmente caro; e tra le lettere che a nome 428 LIBRO
di lui scrisse il Bembo, una ne abbiamo dei’ 16
di gennaio del 151 4 a magistrati di Parma e
di Reggio, in cui raccomandando ad essi Paola
Gonzaga, ne poi la fra gli altri motivi, qui
soror est Alberti Pii, quem scis apud me Maximiliani Rom. Imperatori designati Legatum
agere', doctissimi praestantissimique viri quemque ipse unice diligo (Dpi st. Leon. X nomine,
I. ti, cp. 3\)j v dallo stesso pontefice egli ebbe
in dono i castelli di S. Felice nel Modem se, c
di Meldola e di Sarsina nella Romagna, e il
governo di Bertinoro. Frattanto nelle ostinate
guerre che in que’ tempi travagliatoli f Rafia,
Carpi fu più volte espugnato or dagli uni or
dagli altri, e Alberto più volte ne fu cacciato
coll armi, più volte colle medesime ne riacquistò il dominio, intorno a che veggasi il Guicciardini che tutti questi successi descrive minutamente. Morto nel i52i LeonX. Alberto gittossi
di nuovo nel partito della Francia, senza però
abbandonar del tutto quello di Cesare. Ma mentre egli vuol soddisfare ad amendue i partiti,
si rendette ad amendue sospetto. Ed è da udirsi
lo stesso Alberto, il quale in una sua lettera
scritta da Carpi a’ 25 di aprile del 1522 a monsig Giammatteo Giberti, descrive l’incertezza
in cui si ritrova, e fa una forte apologia della
sua condotta. Aveagli, come sembra, scritto
il Giberti clic fimperadore sdegnato contro di
lui, perchè pareva che favorisse i Francesi,
minacciava di togliergli Carpi; e Alberto, dopo
avergli rendute grazie di questo benchè spiacevole avviso, così descrive la pericolosa situazione in cui allora egli era, e si difende SECONDO 4'-ì9
contro F accuse appostegli: Sono in disdetta et
disgrazia grande de Francesi, nè aspetto altro, che la total ruina vincendo loro; et in
odio della Cesarea Maestà et del suo Consiglio.
Quo igitur me vertam nisi ad tutissimum portum
testimonii propriae conscientiae et innocentiae?
Mi ritruovo in queste angustie solo per essere
stato troppo obbediente, amorevole et fedele
servitor di quella santa et gloriosa memoria di
Leone, per causa della quale i Francesi m inimicano, quantunque fedelissimamente gli abbia
serviti; di che te testem appello. Sono in odio
dei Cesari ani, per haver sinceramente negoziato
pei Francesi, ne’ cui negozii m intruse pur
(quella santa memoria, me reclamante et contradicente, di che pure te testem appello. Et
havendogli abbandonati, pur mi revocò sforzandomi a ritornar da Napoli, et quei Signori dicono, ch'io stesso mi offersi a' servi ti i di Francia. Il che quanto sia vero, voi. il sapete, se
la Maestà del Re per tre volte mandò ad instarmi, et tamen io non volsi mai accettare
le condizioni, se non dappoichè il Papa mi
sforzò importunato pur da Francia per lettere
del Revendissimo S. Maria in Portico, et per
haver collocato l Illustrissimo Sig. Duca d Urbino pure a quei servitii; et tuttavia non vuolsi
mai ratificare il contratto, manco accettare denari, nè pigliar l ordine di S. Michele, nè far
la compagnia delle genti d armi a me assignata;
segni certo di veramente star implicato a gran
forza in quei serviti i, li quali subito abbandonai fatta la dichiarazione della nimicizia di
N. S. et della Maestà Cesarea con Francia, 4^0 LIBIIO
partendomi da Roma con animo (d attendere a
riposarmi, purchè l'infermità me l’ havesse concesso. Se di poi mai mi son intromesso a favore de F rancesi, voi il sapete, et ni off ero
a portarne ogni supplicio Che. ancor quei
Signori dicano, haver lettele intere e Ite, che dichiarano ch io ho cercato et proposto la ruina
loro; et che abbiano lettere, esser può, //ia //mV» #
«o« g/Vì, ec. (Lettere di Principi, t. 1, p. 85,
1564). Così prosiegue a lungo scusandosi
e difendendo la sua innocenza; e in sì gran
lontananza di tempi è troppo malagevole il
definire se più forti sien le accuse, ovver le
difese. Questa lettera però ci mostra che l'imperadore era già sdegnato con lui, prima ch'egli apertamente si dichiarasse in favor de Francesi, e che solo, poichè vide disperatele cose,
gittossi Alberto nelle lor braccia. Ma inutilmente; perchè spogliato da Carlo V del suo dominio, benchè per qualche tempo gli riuscisse
di ricuperarlo coll ajuto de’ Francesi, fu finalmente costretto a deporne ogni speranza, e il
vide nel 1527 conferito ad Alfonso duca di Ferrara. Un altro tradimento rinfaccia il Guicciardini ad Alberto (l. 15), cioè che nel 1523 essendo egli per la Chiesa governatore di Reggio
e di Rubiera, cercasse segretamente di farsene
signore, nel che forse sarebbe riuscito, se la
destrezza del Guicciardini medesimo non avesse
scoperti gli occulti disegni, e fatto in modo che
Alberto fosse costretto ad uscire da quelle piazze. Ma non potrebbe egli forse temersi che il
Guicciardini per lodare il suo accorgimento,
prestasse ad Alberto disegni e pensieri che mai SECONDO
non ebbe? o che qui ancora avvenisse ciò che
sovente veggiamo, che, ove si tratta di un infelice, ogni cosa gli si volga a delitto? Certo
è che Alberto Pio presso i più saggi di quell’età fu avuto in conto d’uomo non solo dotto, ma ancor virtuoso, e vaglia per tutti la testimonianza del Sadoleto che scrivendo nel 1528
al cardinale Giovanni Salviati, lo prega di recare
i suoi saluti ad Alberto, homini, dice (Epist.
famil. t 1, p. 225), omnibus ingenii, et virtutis ornamentis praedito. E in altra lettera scritta
al medesimo Alberto nel 1530, con cui gli manda
il suo Comento sul Salmo XCIII, lo esorta a sofferir con costanza così le sue avversità, come
i dolori della podagra che aspramente il travagliavano, e a cercarne il sollievo nella sua
stessa virtù (ib. p. 344)Ma la virtù non gli
fu scudo bastante contro l iniqua fortuna. Da
alcune lettere del Castiglione (Castigl. Lett. t. 2,
p. 106, 113) e del Bembo (Bembo, Op, t 3,
p. 217) raccogliesi che nel 1526 erasi conceputa speranza che Carlo V, placato a favor di
Alberto, fosse per rendergli il principato. Ma
la speranza fu vota d’effetto. Ei trovossi in
Roma nel sacco del 1527, e fu con Clemente VII
rinchiuso in Castel S. Angelo. Quindi, come si
trae da una lettera di Erasmo (t 2, ep. 995),
fu dal pontefice inviato in suo nome al re di
Francia, e accolto amorevolmente da quel sovrano grande estimatore dei’ dotti, e mantenuto
a quella corte, ivi finì di vivere, avendo tre
giorni innanzi alla morte vestito l abito di s
Francesco, nel gennaio del 1531, in età di cinquantanni, come si afferma nella lapida che 433 LIBRO
ne Iti posta al sepolcro nella chiesa de' Minori
Riformati, e ch è riferita dal Maggi (Mem. di
Carpi, p. 110). Alcuni ne differisco!] la morte
al 1535, ingannati dall'iscrizione medesima, in
cui si legge scolpito quest'anno, perchè allora
gli fu innalzato il sepolcro ma ch’ei fosse già
morto quattro anni prima, si raccoglie, oltre
più altre prove, dalla stessa opera di Alberto
eontro <li Lrasmo, innan/.i alla cui prima edizione fatta in Parigi nel 1531 si ha un epigramma sulla morte di esso. Anzi io credo che
nella lapida stessa, qual si riporta dal Maggi,
sia corso errore riguardo all’ età di Alberto j
perciocché dalle memorie di questa illustre famiglia compilate dal sopraccennato sig. avv Cabassi, e da lui gentilmente comunicatemi, si raccoglie che Leonello padre di Alberto
morì nel i4~7* quando morì Leonello, Alberto avea due anni di età non compiti. Così
chiaramente afferma Lodovico Ariosto in un
suo componimento indirizzato al medesimo Alberto:
F.&linclo genitore tuo, cum sola relicta est,
Et formosa, et adhuc vel in ipso flore puella,
Te puero nondum bimo
Ariost. Carm., Ven. 1553, p. 274
ove FAriosto parla della madre di Alberto,
ch’era sorella del celebre Giovanni Pico, e si
rimaritò con Ridolfo Gonzaga, ucciso poi nella
battaglia del Taro. Era dunque Alberto nato
circa l'anno ¡47^, c perciò contava oltre a
55 anni, quando morì. S£ COS1IO 433
VII. Abbiamo sinora considerato Alberto nel
suo carattere di principe e d’uomo adoperato
ne’ pubblici affari. Or ci rimane a mirarlo come
uom di lettere, e dopo aver veduto a quali
vicende ei fosse soggetto, non si potrà a meno
di non ammirare come in mezzo ad esse ei
sapesse coltivarle tanto felicemente. Egli avea
fatti i primi suoi studi in Ferrara. Il Calcagnini, in una sua lettera ad Erasmo il quale dolevasi che Alberto ne suoi famigliari ragionamenti lo mordesse di continuo, rammenta il
tempo in cui avealo avuto a compagno, e descrive famabil carattere che sempre in lui avea
scorto: Quod de Pio Carpensi significasti, non
minus ingratum fuit quani novi un. Est omnino
cum homine mihi longa et vclns con sue tu do
ex eo usque tempore, quo ille juvenis, ego admodum puer, Petreto mantuano Philosopho
primi nominis operam dabamus, lune l)iidectica profitenti. Eo principe nihil humanius,
nihil modestius agnovi, tantumque aberat, ne
bene merentibus obtrectaret, ut multo saepius
vir bonus dissimilissimis. idest indignis, faveret
(Erasm. Epist. t. 1, p. 750). Il Papa dopo li annovera Alberto tra gli alunni dell'università di
Padova, e dice ch egli stesso, in una sua lettera al cardinale Francesco Cornaro vescovo di
Brescia, afferma di aver in quella città quasi
interamente passati gli anni suoi giovanili (Hist
Gymn. patav. t. 2, p. 38). Ma ei non ci dice
ov esista tal lettera, e per cercarne ch'io abbia
fatto, non ne ho trovata contezza. La maggior
parte però degli anni suoi giovanili passò or
Thuuoschi, Voi. X. 28 434 LIBRO
in Ferrara, ove due lettere del Bembo ci mostrano ch’egli era nel 1498 (l. 2 Famil epist. 18,
19), ora in Carpi, ov egli chiamò molti de’ più
dotti uomini di quel tempo per esser da essi
istruito. Aldo Manuzio fu quegli a cui singolarmente ei si diede a discepolo. Questi era in
Carpi nel 1485, come raccogliamo da una sua
lettera al Poliziano (Polit. Epist l. 7, ep. 7),
quando Alberto era ancora fanciullo; ed ivi
probabilmente si trattenne più anni. In fatti a
lui scrivendo, ei si gloria d averlo educato fin
dalla infanzia; quem a teneris, ut ajunt, ungili culi s educavi, instituique (Nuncupat. Arist.
de Phys. Audit.). Oltre il Manuzio più altri
eruditi teneasi Alberto in casa o a maestri, o
a compagni de suoi studi, e fra essi il Supulveda nell’Apologia di Alberto annovera Trifone
da Costantinopoli, Marco Musuro, il Pomponazzo, Giovanni Montedoca spagnuolo, Andrea
Barro, Graziano da Brescia francescano e un
certo Valerio agostiniano (Sepulved. Op. p. 602,
ed. Colon. 1602) {a). E quanto al Pomponazzo,
Battista Luigi da Ravenna agostiniano, dedicando ad Alberto i Comenti di Paolo Veneto
su’ libri d'Aristotele della Generazione, stampati in Venezia nell’an 1498, e rammentando
i professori delle belle arti, ch’ egli onorava
della sua protezione, dice che Alberto avealo
l'atto venir da Padova a Carpi, per profittar
(a) Questi debb' essere quel V alerio da Bologna, di
rui parla il co. Mazzucchelli, e ne indica una azione
scenica in versi intitolati] Afisterio dell huniana Rrtìenlione, stampata in \ enezia nel ìfcy (Scritt. bassan. t. a,
¡>ar. 3, p. »479). SECO.XDO 435
con più agio delle lezioni di quel filosofo. In
his Petrum Mantuanum philosophum nostra
tempestate clarissimum, quem, Portium Catch
nern imitatus, ex florentissima Patavina Academia, in qua publice ille diu summa nominis
celebritate professus est, accersivisti ut per
ocium ei operam dares. Il celebre Jacopo Berengario da Carpi, dedicando ad Alberto la sua
Anatomia, ricorda i giorni in cui sotto la direzione di Aldo con lui coltivava gli studi più
ameni, e dice che in casa dello stesso Alberto
e insieme con lui intraprese egli quello delPaiiatomia, cominciando dall’ uccidere un porco
e dall’esaminarne tutte le parti. Con qual ardore Alberto ancor giovinetto si applicasse ad
ogni sorta di lettere, lo abbiamo, oltre più
altre pruove, nella lettera dedicatoria con cui
Aldo nel i4{)5 gli offre il primo tomo della
magnifica sua edizione di Aristotele. In essa egli
lo dice splendido mecenate di tutti i dotti, e
suo singolarmente; accenna Pavidità clic avea
di adunar libri greci, imitando in ciò il famoso
Pico della Mirandola suo zio materno; mostra
quanto da sì lieti principi! si potea sperare,
poichè in lui ancor giovinetto si scorgeva vivace ingegno e grande eloquenza; ed avea gran
copia di libri latini, greci ed ebraici con molta
spesa da lui raccolti, e si teneva in casa dottissimi precettori da lui con ampio stipendio
invitati. Somigliante è l’elogio che ne fa Federigo Asolano, dedicando ad Alberto nel 1525
il secondo tomo dell’Opere di Galeno. Nè pago
di ciò, avea egli formato il disegno di fissare in
Carpi il Manuzio, di assegnargli ampie rendite, 436 LIBRO
c uno de suoi castelli, di cui avesse con lui
comune il dominio, talchè Aldo aprendo in
Carpi una magnifica stamperia e una pubblica
accademia, vi si vedessero felicemente fiorire
le scienze tutte. Ecco come ne parla il medesimo Aldo, dedicando ad Alberto nel 1497
Opere fisiche d Aristotele: Nam non modo assidue adjuvas proviciam nostram opibus tuis,
sed agros quoque fertilissimos amplissimosque
te mi hi donaturum palam dicis; imo oppidum
amoenum ex tuis ita meum futurum polli ceris,
ut in eo acque ac tu jubere possimi quodfacis ut bonorum librorum et latine et grucce
coni modius faciliusque a me fiat omnibus copia, constituaturque edam Academia, in qua
relicta barbarie bonis literìs boriisi file artibus
studeatur. Sì belle speranze e sì gloriosi disegni
andarono a voto per le sinistre vicende di Alberto. La stampa nondimeno fu poco dopo introdotta in Carpi, e il primo libro che vi si
pubblicasse, fu il Comento di f Paolo scrittore Minor Osservante sopra il primo libro delle
Sentenze, stampato ivi da Benedetto Dolcibello
nel 1506. Frattanto Alberto, anche in mezzo
delle sue sventure, non lasciava d'impiegar nello
studjo quanto di tempo rimaneagli libero da'
pubblici affari. Giovane di leggiadre fattezze,
di alta statura, di maestoso sembiante, come
si afferma e dal Sepulveda (l. c. p. (60) e dal
Giovio (in Elog.): seppe nondimeno tenersi lungi
da quegli scogli a cui la sua condizione e la
sua gioventù poteva inclinarlo; e i soli piaceri
a cui fu sensibile, furon que’ dello studio e
delle belle arti. La filosofa c I’ eloquenza, SECONDO
l'amena letteratura, e poscia ne’ più maturi suoi
anni la teologia, l' occuparono intieramente; e
perchè gran parte del giorno dovea egli spendere comunemente in altre cure, nelle ore notturne cercava ad esse il sollievo degli amati
suoi studi (Fulgos. Dict. et Fact, memorab). l. 8, c. 7). Anche allor quando era travagliato dalla
podagra, da cui dolori cominciò ad essere molestato in età di quarantanni, il più dolce ristoro che gli si potesse recare, era o il leggergli qualche libro, o l’introdurre a lui uomini
dotti co’ quali si potesse trattener disputando;
e non potendo scrivere per se stesso, godeva
almeno di dettare ad altri i suoi pensieri (Sepulv. l. c. p. 604). Era in questi suoi studi
ajutato da una profonda memoria, da un vivacissimo ingegno e da una naturale facondia,
per cui parlando piaceva e persuadeva ad un
tempo (Jov. l. c.). Le belle arti ancora furono
coltivate e protette da Alberto, ed ei ne fece
raccogliere il frutto a Carpi, ove per opera di
lui s’intraprese la fabbrica di quel duomo, che
fu molto bello, dice il Va sii ri (T'ite de' Pittori, ec. t. 3, ed. Fir. 1771, p. 327), e secondo
le regole ili ì ifruvio con suo ordine fabbricato, e quella ancora della chiesa di S. Niccolò; e di amendue diede il disegno Baldassarre Peruzzi, architetto a que’ tempi famoso,
chiamato perciò a Carpi da Alberto, ed egli
provvide ancora al decoro di quella chiesa,
ottenendo che vi fosse rimessa la collegiata,
già da più anni addietro venuta meno. Ma fra
tutti gli studi a cui Alberto si volse, la teologia fu quella che più negli ultimi anni gli 438 LIBRO
piacque, e la sola di cui ci abbia lasciato un
bel monumento nell’ opera di cui ora passiamo
a dire.
Vili. Al primo sorgere dell’eresia di Lutero,
e al cominciar della guerra da lui mossa alla
Chiesa, gli occhi di tutti stavan rivolti ad Erasmo, avuto a que’ tempi in fama d’uomo dottissimo, per vedere a qual partito egli piegasse.
Erasmo, uomo di molto ingegno e di erudizione assai vasta, ma più versato negli studi
della letteratura, che in que’ della religione,
avea già allor pubblicate più opere, in alcuna
delle quali parlava con gran disprezzo de’preti,
de’ monaci, di alcuni riti ecclesiastici, e di altre cose spettanti al pubblico culto. A Lutero
e a’seguaci di esso parve gran sorte l’aver loro
favorevole un sì grand’ uomo, e valevansi perciò sovente dell’autorità di Erasmo, come s
egli seguisse le lor medesime opinioni. Egli
protestava continuamente d’esser ben lungi da
ciò, e si dichiarava fermamente congiunto alla
Chiesa romana. Ma richiesto a impugnar la
penna contro Lutero, per qualche tempo se ne
astenne; benchè poscia vi si condusse, pubblicando più opere contro di esso. Io credo,
a dir vero, che Erasmo fosse sinceramente
cattolico, ma che la troppa sua libertà di scrivere e di pensare, congiunta al suo non troppo
profondo sapere in teologia, il facesse cader
più volte in errori, de’ quali al certo vi ha gran
numero nelle sue opere: errori però men gravi
allora, e in certa maniera degni di scusa, perchè e grandi erano veramente gli abusi, ed era
difficile il discernere i giusti confini, e molte
- SECONDO 43y
cose non erano state ancor dalla Chiesa ultimamente decise, come poi si fece nel concilio di Trento. Ma checchessia dell’animo di Erasmo, è certo che le opere di esso diedero qualche ansa alle sorgenti eresie, e che perciò gli uomini pii ne rimasero scandalizzati. Molti nondimeno pensavano che con un uomo di tal valore convenisse usare moderazione e dolcezza j e perciò veggiamo che Leon X, Clemente VII e il cardinale Sadoleto e più altri gli scrisser lettere piene di elogi, affine di tenerlo fermo nella sua Fede, e di condurlo destramente a deporre quelle opinioni che il rendevan sospetto. Altri al contrario credevano che convenisse levarsi apertamente contro di esso, confutarne gli errori ed additare a’ Fedeli gli scogli a cui seguendolo avrebbono urtato. Fra questi fu Alberto, di cui venne detto ad Erasmo che in Roma andava palesemente sparlando di lui in tutte le adunanze, e dicendo ch’ei non era nè teologo, nè filosofo, nè uom profondo in veruna sorta di scienze. Erasmo ne fece doglianze scrivendo a Celio Calcagnini a’ 13 di maggio del 1515 (Erasm. Epist. t. 1, ep. 742)? e *1 Caleagnini risposegli con quella lettera che abbiam poc’anzi accennata, in cui scrive che il carattere a sè ben noto di Alberto non gli permette di creder ciò che ad Erasmo era stato narrato. Questi però volle scriverne allo stesso Alberto, cui avea già veduto in Venezia al principio del secolo; e con sua lettera de’ i o d’ottobre dello stesso anno amichevolmente gli espose ciò che veniagli riferito, chiedendogli se ciò fosse vero, 44° LIBRO e adduvendo insieme ciò che poteva in sua difesa. Alberto risposegli con una lunga lettera, o anzi con un ampio trattato segnato a’ 15 di maggio del 1526, in cui dopo averlo assicurato ch’egli lungi dal morderlo avea sempre di lui parlato con gran rispetto, lodandone l ingegno e il sapere, confessa d’aver detto e di credere ch’ egli abbia data qualche occasione alle recenti eresie, e prende perciò ad esaminare molte delle opinioni di Erasmo, mostrando quanto esse siano somiglianti, o forse anche le stesse con quelle di Lutero, nel che però (’egli si astiene dal pungere, o dall’ assalir con ingiurie il suo avversario. Amendue queste lettere si leggono innanzi all opera di Alberto, di cui fra poco diremo. Ricevette Erasmo la lettera di Alberto, e si apparecchiava a rispondergli; quando udita la nuova del sacco di Roma, nè sapendo che avvenuto fosse di Alberto, stette per qualche tempo sospeso. Gli venne poi detto ch’egli erasi trasportato a Parigi, e scrissegli allora a’ 23 di dicembre del 1528, scusandosi del lungo indugio in rispondere, e pregandolo insieme a non pubblicare, come avea udito che Alberto pensava di fare, la lunga lettera scrittagli, finchè egli non gli avesse mandata la risposta che andava stendendo {Erasm. Epistt. i.-ep.ygfi). Ma Alberto giunto a Parigi, fece ivi pubblicar colle stampe e la prima lettera di Erasmo e la sua voluminosa risposta. Erasmo gli replicò con altra sua lunga lettera de 13 di febbraio del 1529, la quale pure si ha alle stampe insieme colle postille ad essa aggiunte da Alberto. In essa aurora ci SECONDO parla con rispetto del suo avversario ma non con ugual rispetto ne parla in altre lettere scritte al tempo stesso a diversi amici (ih. cp. ioi<), ioa4? ii3a, iitj5), co’ quali si duole di Alberto, ne disprezza gli argomenti, e dice ch egli ha prestato all'opera il suo nome, ma che veramente ella è in gran parte fatica del Supulveda ch’ei mantenevasi in casa, della qual voce sparsa fa menzione anche Ortensio Landi. Che dirò dell opera del Sig. Alberto Pio contra del buono Erasmo? Non fu detto, come apparve in luce, citerà fatica (d alcuni suoi creati? pur si sapeva da ognuno, elìcgli era un armario et un fonte di varia dottrina (Paradossi, l. 2, parad. 23). Alberto frattanto, veggendo crescere la materia della contesa, prese a stendere un’ opera più diffusa, in cui esaminando tutte le opere e tutte le opinioni di Erasmo, le confuta ampiamente, e confuta quelle insiem di Lutero e degli altri novatori (di que tempi. L’opera di Alberto nulla ha della barbarie scolastica ma è scritta con erudizione, con forza e non senza eleganza, benchè talvolta nelle risposte non veggasi quella precisione e quell’ ordine che si converrebbe, e alcune opinioni ancora da lui sostenute sieno or rigettate comunemente. Mentre si stampava quest’opera, morì Alberto, ed essa fu poi pubblicata in Parigi nello stesso anno 1531 col titolo: Alberti Pii Carporum Comitis Illustrissimi et viri longe doctissimi, praeter praefationem et operis conclusionem, tres et i’¡giriti libn in locos lucubrationum variarum D). Erasmi Roterodami, quos censet ab co rerognnscrndos IX. Congrrpjtione pie* paratori! al concilio di Trento: teologi die I «o nipote ro. 44 2 LIBRO et retracUuiilos. Erasmo non volle lasciar senza risposta il suo avversario che non potea replicargli, e pubblicò una breve apologia, ma assai ingiuriosa ad Alberto, tacciandolo di mala fede nel riferire i suoi detti, e d ignoranza nell intenderli e nel confutarli. Ma invece di Alberto levossi contro di Erasmo il suddetto Giovanni Genesio Sepulveda da Cordova, e diede alla luce un'Apologia assai forte contro rii Era smo, e in difesa di Alberto, ove fra le altre cose, avendo Erasmo affermato che Alberto erasi giovato dell opera del Sepulveda nello scrivere contro di lui, egli gli mostra clic in lutto il tempo che Alberto avea impiegato in Parigi scrivendo contro di lui, egli era sempre stato in Italia. Così ebbe (fine questa contesa, che forse non andò più oltre per la morte di Erasmo avvenuta nel i53fi. IX. Mentre in tal maniera andavano alcuni occupandosi nel combattere contro de novatori, il pontef Paolo III, lasciati in disparte i pensieri di guerra, ne quali poco felicemente si erano avviluppati i suoi predecessori, e tutto rivolto a conservare intatto il deposito della Fede, e a difender la Chiesa dagli assalti degli eretici, pensava alla grand’opera del concilio generale che pareva il più efficace mezzo ad ottenere un tal fine. Quindi nel 1536 nominò dieci uomini per sapere non meno che per probità e per prudenza chiarissimi, i quali unendosi insieme formassero la congregazione, come fu detta, preparatoria al concilio. Questa cominciò a radunarsi dopo la metà di ottobre del detto anno, come ha provato fera diissimo SECONDO 443 monsig. Giannagostino Gradenigo vescovo di Ceneda nella bella sua Vita del cardinale Gregorio Cortese (p. 29); e nel marzo dell’anno seguente aveano essi già soddisfatto a’ comandi di Paolo. Que’ che composer questa celebre adunanza, furono i cardinali Gaspare Contarini e Giampietro Caraffa che fu poi Paolo IV, e innoltre Jacopo Sadoleto vescovo di Carpentras, Rinaldo Polo, Federigo Fregoso arcivescovo di Salerno, Girolamo Aleandro arcivescovo di Brindisi, Giammateo Giberti vescovo di Verona, D. Gregorio Cortese abate benedettino e Tommaso Badia domenicano maestro del sacro palazzo. Ma prima di osservare qual fosse il frutto della loro assemblea, ci convien dare di essi più distinta contezza. Del Caraffa però si è già detto nel parlar dei' pontefici; dell'Aleandro si è ragionato poc’ anzi; del Fregoso ci riserbiamo a trattare ove si farà menzione di quelli che coltivarono le lingue straniere. Il Polo non appartiene all’ Italia, a cui nondimeno ei fu debitore in gran parte della profonda dottrina di cui fu adorno, essendosi egli in età giovanile recato agli studi in Padova, e avendo ivi fatta lunga dimora. Rimane dunque a dire degli altri cinque, e primieramente del Cardinal Contarmi. X. Due Vite abbiamo di questo veramente grand uomo, scritte ambedue da due scrittori contemporanei, cioè da monsig. Lodovico Beccadelli che gli fu famigliare, e da monsig. della Casa, e amendue inserite dal cardinale Querini nella sua Raccolta delle lettere del Cardinal Polo 444 * MORO (¿3, Diafr. p. y-, ec.). A me dunque basterà il dirne qui brevemente, e sol quanto vaglia a farne conoscere il raro merito.:Nato in Venezia a 16 di ottobre del i j83 da Luigi Contarini e da Polissena Malipiera di lui moglie, ebbe la sorte di avere prima in patria, e poi in Padova, alcuni de' più dotti maestri che ivi allor tenessero scuola -, e fra essi Giorgio Valla, Marcantonio Sabellico, Marco Musuro e Pietro Pomponazzo. Con tali guide, aggiuntavi ancor l’ amicizia che in Padova egli contrasse con Andrea Navagero, con Marcantonio e con Battista dalla Torre, con Girolamo Fracastoro, con Battista Egnazio, ei fece i più felici progressi nella lingua greca e latina, nclfeloquenza, nella filosofia e nella matematica. A quali studi egli aggiunse ancor quelli della giurisprudenza e della teologia, e quello della lingua ebraica, per Cui egli vien lodato in una sua lettera da Lucillo Filalteo, ossia da Lucillo Maggi bresciano (Philalt Epist. p. 109). Nel 1521 inviato dalla Repubblica ambasciadore a Carlo V, trattennesi alla corte con lui, e il seguì in più viaggi per oltre a quattro anni, nel qual tempo avvenne che trovandosi egli in Siviglia iielf anno i522 quando la nave Vittoria tornò gloriosa dal giro di tutto il mondo, ed avendo i marinai osservato che mentre essi, tenuto un esattissimo conto del loro viaggio, credeano di esservi giunti a' 7 di settembre, eranvi veramente giunti agli 8, non vi ebbe in tutta la Spagna chi sapesse darne ragione, trattone il Contarini che colle regole astronomiche spiego SECONDO ^5 felicemente l’arcano (*). Tornato a Venezia, tu poscia adoperato dalla Repubblica in ditlicili affari e in diverse altre onorevoli ambasciate. E il nome del Contarmi divenne presto un de’ più celebri di cui si vantasse Venezia. Il suddetto Lucilio Maggi, scrivendo al medesimo Contarmi nel i52^, dopo averne lodata altamente la probità, il sapere, la prudenza, c dopo aver rammentati gli onori a lui conferiti dalla Repubblica, così continua: Ego illiul mirari solco. ijucmadmoduni tot tantisque urbis occupationibus distrìctus. in Theologia, in studiis non levissimanun artium tam erudite, toni sollicite verseris... Sileo audienùani domi, colloquia amico rum, nego ti a domestica, opera denique jamiUaria, ad quac nisi diritta tua mcns simul incumbere perdiligenter poteste pracscrtini cum hacc omnia Jere inter se disjuncta admodwnque diversa videantur (ib. p. 5). Mentre il Contarmi era in tal modo oggetto di ammirazione alla Repubblica tutta, Paolo 111, sollecito d’innalzare alla porpora tali uomini che fossero di ornamento e di sostegni alla Chiesa di Dio, a’ 21 di maggio del i535 il dichiarò (*) Al sig. ab Lampillas sembra improbabile (par. 2, t. 1, p. 187) ciò che io qui narro del ("Contarini, cioè che ei solo sapesse in Ispagna spiegare come la nave \ ittoriu tosse tornata dal lungo suo viaggio un giorno più tardi di quel che creduto aveano i piloti, e dice che erano molti allora in Ispagna capaci di sciogliere questo nodo. Qui dunque abbiam da una parte Pier Martire d Anghiera, ch era allora in Ispagna, e clic all'erma che uiun si trovò che sapesse darne ragione, e l ab. Lampillas che afferma ch eranvi allora molti 446 LltUìO cardinale5 e ne giunse al Contarini la nuova del tutto inaspettata, (neutre Uova vasi al gran Consiglio. Trasferitosi dunque a Roma, dopo essere intervenuto alla congregazione della riforma, del cui esito direm tra poco, fu dal saggio pontefice avuto sempre in quel conto di cui era meritevole, e il Contarini gli corrispose con dirli liberamente ciò che sentisse intorno allo stato e a’ bisogni della Chiesa e al Contarini si dovette fra le altre cose fooor della porpora conferito da Paolo all’Alea.idro, al Cortese, al Bembo e ad altri dottissimi uomini. Invitato nel 1541 alla Dieta di Ratisbona, vi sostenne l’autorità della Sede apostolica, e al tempo medesimo coll innocenza de suoi costumi e colla dolcezza delle sue maniere si rendette caro a’ Protestanti medesimi, fino a cader perciò in qualche sospetto presso coloro che altro rimedio non avrebbon voluto usare che il ferro e il fuoco. Ma dalle calunnie con cui e allora e poscia si è cercato da alcuni di oscurare il nome del Contarini, lo hanno con molta forza difeso e gli scrittori della sua Vita e il cardinale Querini (l. c p. 111, ec.). E Paolo III era uom troppo saggio per creder a delatori invidiosi. In fatti tornato il Contarini dall’ Allemagna, egli lo onorò della legazione di Bologna, ove poscia finì di vivere l anno seguente 1542 a’ 24 d’agosto, pianto da tutti, onorato con solennissime esequie e con orazion funebre recitata dal celebre Romolo Amaseo, e altamente lodato da tutti gli scrittori di quei tempi, fra’ quali il Sadoleto con breve elogio, ma che equivale a molti: Is occidit vir, dice I SECONDO /.A; (Epist. Farnil. t 3; p. 4oi), quo nec meli arem, nec integri ore tu, ncque onmi laiule et viri ut e praestantioreru, nec nostra, nec superi or tollerai aetas. XI. E veramente se tutti gli altri pregi, che pur furono grandissimi nel Contai ini, non favesserò renduto illustre, basterebbe a renderlo immortale la vasta e moltiplice erudizione di cui in mezzo a tanti e sì gravi affari ei seppe fornirsi. La filosofia e la matematica furon gli studi nei quali principalmente egli impiegò gli anni suoi giovanili. E in essi si avanzò tant oltre, che, come narra il Beccadelli, Lodovico Boccadiferro bolognese, che nella filosofia era allor creduto un oracolo, solea dire di non aver conosciuto filosofo più di lui ingegnoso e profondo, sicchè innanzi a lui parevagli di essere uno scolaro. Ei ce ne ha lasciato il frutto in alcune sue opere, come nel Trattato contro il Pomponazzo suo precettore che sosteneva essersi da Aristotele creduta mortale l'anima umana; trattato che il Pomponazzo credette meritevol di risposta, nel far la quale ei non potè non esaltare con grandissime lodi il suo avversario. Alla filosofia pure appartengono i cinque libri degli Elementi, i sette che abbracciano il compendio della prima filosofia, ossia della metafisica, e un opuscolo intorno al sillogismo, opere tutte, è vero, che si appoggiano in gran parte a principii or rigettati, e che sanno alquanto della scolastica rozzezza, benchè assai meno che altre scritte al tempo medesimo; ma opere nondimeno, dalle quali vedesi che il Contarini sarebbe stato eccellente filosofo, 44# LIDllO se avesse avute migliori guide. Più pregevoli sono due altri opuscoli, uno in cui propone al Fracastoro alcune difficoltà sul trattato da lui composto intorno agli omocentrici, e a cui il Fracastoro risponde mostrando grande stima del Contarini, l altro a Genesio Sepulveda intorno alla misura dell’ anno; perciocchè in essi ei si mostra versato ne’ buoni studi della matematica e dell astronomia. La politica ancora fu da lui illustrata co’ cinque celebri libri de Magistrati e della Repubblica de’ Veneziani, i quali si posson considerare come il primo modello di tanti altri libri che col titolo di Repubbliche sono poscia usciti alla luce; intorno alla qual opera son da vedersi le riflessioni del ch. Foscarini (Letter. venez. p. 3a(J). Dappoiché egli fu arrolato tra i cardinali, tutto si volse agli studi teologici, che prima ancora però erano stati da lui coltivati. E molte sono le opere che in questo genere ci ha lasciate, cioè quattro libri De Sacramenti, due de’ doveri del Vescovo, le Annotazioni sulle Lettere di S. Paolo, un Catechismo, ch è in somma il formulario di Fede proposto a sottoscrivere a’ letterati modenesi, come si è detto parlando dell accademie, un Compendio storico de più famosi Concilii, alcuni trattati contro gli errori di Lutero, e la sposizione del salmo Ad televari. Tutte queste opere, dopo essere state in gran parte separatamente stampate, furon poi unite insieme e pubblicate in Parigi nel 1571, e poscia in Venezia nel 1589. Lo stile del Con tari ni, benché non sia elegantissimo, è assai più colto di quello della maggior SECONDO 449 parte de’ teologi di quel tempo; e vedesi nelle opere di esso un uomo d’ ingegno facile e chiaro, che si solleva talvolta sopra i comun pregiudizii, che cerca la verità e si allontana da chi gli sembra ad essa contrario, chiunque egli sia; che non avvolge la religione tra le triche scolastiche, ma ne parla con quella semplice gravità che sì ben le conviene, degno perciò della stima in cui l’ ebbero non solo tutti i Cattolici, ma i Protestanti medesimi, fra’ quali Jacopo Sturmio, come narrasi dal Beccadelli, giunse a dire che se tra’ consiglieri del papa cinque o sei fossero stati uguali al Contarini, si sarebbe potuto prestar fede alle lor decisioni. XII. Nulla men celebre fu a que’ tempi il nome di Jacopo Sadoleto, di cui ha scritta elegantemente la Vita Antonio Fiordibello modenese egli ancora, e famigliare del Sadoleto. Essa è stata più volte stampata, e ultimamente innanzi alle Lettere del medesimo Sadoleto, illustrata con erudite annotazioni dal ch. ab Vincenzo Alessandro Costanzi; e qui ancora perciò non avremo ad affaticarci lungamente per rintracciarne le più esatte notizie. Jacopo nacque di quel Giovanni Sadoleto celebre giureconsulto, di cui si è detto a suo luogo (t. 6, par. 2, p. 568). Ei venne a luce in Modena a’ 12 di luglio del < 477j e mandalo agli studi nell’università di Ferrara, vi ebbe fra gli altri a maestro Niccolò Leoniceno. L’eloquenza, la poesia, le lingue greca e latina, e la filosofia erano il principale oggetto degli studi di Jacopo, che fino da’ primi anni TlllABOSCHl, Voi X. 29 45o LIBRO mostrò ad essi inclinazion sì l’elice, che il padre, il qual pur lo avrebbe voluto seguace della sua carriera, dovette permettergli di secondare il natural suo talento. Passato a Roma a tempi di Alessandro VI, trovò nel cardinale Oliviero Caraffa uno splendido protettore che sel raccolse in casa e l’ebbe sempre carissimo, enei famoso Scipione Carteromaco un eccellente maestro, sotto cui fece sempre più lieti progressi, aiutato in ciò ancora da tanti coltissimi uomini ed eleganti scrittori ch'erano allora in Roma, le cui adunanze con quanto piacere si frequentassero dal Sadoleto, l’abbiamo udito da lui medesimo nel trattare delle accademie. Leon X, saggio discernitore del merito, appena fu eletto pontefice, scelse tosto a suoi segretarii il Sadoleto e il Bembo; e al primo qualche tempo appresso diede il vescovado di Carpentras. Men favorevoli al Sadoleto furono i tempi di Adriano VI, che per poco non rimirava come idolatri gli imitatori di Cicerone. Ed egli ebbe ancora il dolore di vedersi calunniosamente accusato di aver falsificato un Breve (Lettere de Principi, t. 1, p. 101). Ritirossi egli dunque nell’aprile dell’an 1523 nel suo vescovado. Nella qual occasione scrivendo Girolamo Negro a Marcantonio Micheli, Pur il nostro amantissimo Mons. Sadoleto, dice (ivi, p. 97), se ne va con sommo dispiacer di tutta questa Corte. Et credo, che se in questi tempi si servasse Vusanza antica di mutar le vesti per mestizia, egli non troveria forse manco di ventimila uomini. che lo fariano,.sì come trovò Marco Tullio. Pare ad ogni huomo da bene, che la bontà SECONDO 451 et la virtù (di Roma se ne vada con sua signoria, et in vero è così. Clemente VII, appena eletto pontefice, il volle tosto al medesimo impiego in cui già era stato presso Leone, e il Sadoleto tornato a Roma, videsi da quel pontefice onorato e stimato singolarmente. Ma non era uguale alla stima la deferenza del papa a’ consigli del Sadoleto, il qual veggendolo esporsi a manifesta rovina, si sforzava di tenerlo lontano dall'imminente pericolo, finchè veggendo che il pontefice erasi omai tanto innoltrato, che più non v’era luogo a consiglio, chiesto ed ottenuto il congedo, venti giorni soli prima del sacco di Roma partissene, e fece ritorno alla sua Chiesa. Così egli fuggì la vista di quell’orribil tragedia, ma non potè ugualmente fuggirne i danni, sì perchè molti de’ suoi famigliari ed amici ivi rimasti furono di ogni cosa spogliati, sì perchè quanto egli avea lasciato in Roma tutto divenne preda de furiosi nimici; e i suoi libri, cioè quanto egli avea di più caro, dopo essere usciti felicemente dalle lor mani, furon nondimeno per altra avventura dispersi, come altrove si è detto. A. queste sue sventure ei cercò un dolce sollievo negli amati suoi studi, a quali tutto diedesi in Carpentras, e nel pastorale suo zelo a bene di quella Chiesa, ov’ei frenò l ingordigia e l usure degli Ebrei, e sollevò que’ popoli dal duro giogo che altri loro imponeva; e benchè poco ricco, fu sempre liberal padre de’poveri e consolator degli afflitti, e provvide a giovani di quella citià con sua non piccola spesa di opportuni maestri, de’ quali prima erano sprovveduti (V. ejus Efiist. 45a MERO la,®..98, ec.), e si adoperò con somma sollecitudine a tener lungi da essi il veleno delle nuove eresie, caro perciò ad essi che il rimiravan qual padre, e caro non meno a tutta la Francia e al re Francesco I, che gli fece le più ampie proferte, se avesse voluto seguirlo. Un tal vescovo era troppo necessario al bene della Chiesa romana; e perciò Paolo III nell'autunno del 1536 chiamollo a Roma, e il nominò uno de membri della mentovata congregazione. Poichè in essa egli ebbe soddisfatto a ciò che da lui richiedevasi, pensava di far ritorno alla sua Chiesa, quando nel dicembre dell anno stesso 1536 ei fu sollevato all’onor della porpora. La nuova sua dignità accrebbe in lui l’ardente suo zelo a ben della Chiesa, e ne diè pruove sovente ne’ liberi avvisi dati al pontefice, qualunque volta ei pensò di doverlo o consigliare, o ammonire; e Paolo III, lungi dall’offendersi della libertà del Sadoleto, lo ebbe sempre carissimo, e seco il volle fra le altre cose nel viaggio che fece a Nizza nel 1538. La vicinanza della sua Chiesa lo indusse allora a chieder licenza al pontefice di ritornar ad essa per qualche tempo; e vi si trattenne più ancora che non pensava, cioè fino al 1542 nel qual tempo richiamato a Roma, fu poi dal pontefice inviato col carattere di legato al re di Francia, per indurlo a far la pace con Cesare. E il Sadoleto ottenne, quanto era da sè, il fine della sua ambasciata. La quale però fu inutile, perchè il legato mandato a Cesare non fu ugualmente felice. Tornato a Carpentras, vi passò tutto il verno seguente; e venuto poscia di SECONDO /¡53 nuovo a Roma, seguì il pontefice, allor quando nel 1543 andò ad abboccarsi con Carlo V in Busseto. Fu questo l’ ultimo viaggio del Sadoleto, che restituitosi a Roma, ivi fini divivere a’ 18 di ottobre del 1547 Tutto ciò da me brevemente accennato, si può vedere steso più a lungo nella Vita del Fiordibello. Egli parla ancora delle molte virtù e de rari pregi di questo grand’uomo; ma ancorchè nulla ce n’avesse egli detto, basta legger le opere del Sadoleto, per sentirsi naturalmente portato ad amarlo. Così egli in esse ci scuopre un’indole dolce e un cuore sommamente sensibile, un animo nobile e lontano da ogni privato interesse, una soda pietà, ma nimica di ogni superstizione, un ardentissimo zelo, ma congiunto a una’amabile soavità. La lettera da lui scritta al senato e al popolo di Ginevra (t 3, p. 74) è un tal monumento di eloquenza insieme e di zelo veramente paterno, ch’io non so se altro ve n’abbia dopo i tempi di S. Giovanni Grisostomo, che ad esso si possa paragonare. Leggasi ancor quella allo Sturmio (ib. p. j o4 Lj c si vegga come questo grand’uomo sa dolcemente correggere que’ che traviano dal buon sentiero, e sa congiunger la forza nel confutare i loro errori alla dolcezza nell' invitargli a un salutare ravvedimento. E io credo che se molti avesse allora avuti la Chiesa a lui somiglianti, minore sarebbe stato il danno da lei sofferto. Il sig ab Costanzi ha aggiunti alla Vita del Sadoleto gli elogi che di lui han fatto molti scrittori. Parecchi altri se ne potrebbono accennare; ma basti l’indicar quello che ce ne ha lasciato 4^4 LIBRO Giampierio Valeriano nel dedicargli il libro XXI de suoi Geroglifici, che è un breve ma eloquente panegirico del sapere, dello studio, della virtù del Sadoleto allora ancor giovane. Ma dopo aver rappresentato il Sadoleto nel suo carattere di vescovo e di cardinale, passiamo omai a esaminarne Perudizione e il sapere. XIII. Lo studio da lui fatto negli anni suoi giovanili sui' buoni autori, e l'esempio di tanti eleganti scrittori clferano allora in Roma, il rendette uno de’ più colti nello scrivere latinamente. Così nelle lettere da lui scritte a nome dei’pontefici Leone Clemente VII e Paolo III, come nelle sue famigliari, vedesi un felice imitatore dello stile di Cicerone, se non che ei non è sempre uguale a se stesso. Nella poesia latina ancora acquistossi gran nome, e alcuni suoi poemetti, come quello della statua di Laocoonte, e quello intitolato Curzio, e alcuni altri stampati più volte e inseriti nel IV tomo delle sue Opere dell’ edizion di Verona, ci mostrano che s egli avesse seguito a coltivar quegli studi, avrebbe potuto uguagliarsi a più leggiadri poeti. Nè egli fu pago di essere colto scrittore. Non vi ebbe ramo di erudizione, ch’egli non abbracciasse. E in due delle sue opere singolarmente ei ci ha fatto conoscere quanto ampiamente avesse stese le sue cognizioni; cioè in quella De liberis instituendis, e ne’ due libri De Laudibus Philosophiae. Nella prima ei tratta sì saggiamente tutto ciò che appartiene alla morale e alla letteraria educazion de’ figliuoli, e dà sì opportuni precetti, e discorre con tal proprietà di tutte le arti e di tutte le scienze SECONDO 455 nelle quali un giovane si debbe istruire, che questo solo trattato, benchè scritto già son due secoli e mezzo, è a mio credere forse migliore di tanti Saggi e di tanti Metodi per la pubblica e per la privata educazione scritti in questo nostro secolo, in cui s'insultano, come barbari, i nostri maggiori. Più pregevole è ancora l’altra da cui scritta a imitazione di quella che composta avea Cicerone, e che ora è smarrita; nel primo libro della quale egli introduce il celebre Fedro Inghirami ad accusare come dannosa e inutile la filosofia; nel secondo egli prende a difenderla; e, o la difenda, o l accusi, si mostra sì ampiamente versato in ogni parte di essa, e tratta con tale eleganza un sì difficile argomento, che non può leggersi se non con piacere non ordinario; opera degna perciò del magnifico elogio che ne fa il Bembo dicendo: Equidem ab illis Augusti temporibus, quae profecto maxime omnium summis et praestantibus ingeniis claruerunt, nullum legi scriptum, ut mihi quidem videtur, appositius, splendidius, nullum melius, nullum Ciceroniano mori, sty lo, facundiae denique vicinius (l. 5 Fornii, cp. ai). Bello è ancora il trattato che ha per titolo: Philosophicae consolationes et meditationes in adversis. Ma lasciando questa e alcune altre operette, e quelle ancora de Gloria ch’egli avea intrapreso a scrivere, ma non pare che la finisse (ib. t. 2, p. 319 J, veniamo a dire delle opere teologiche del Sadoleto che più propriamente appartengono a questo luogo. Avea egli scritti due trattati, uno del Peccato originale, l’altro che nel 1544 non era ancora 456 LIBRO finito, del Purgatorio, de1 quali egli ragiona in una sua lettera al Cardinal Cortese (E pisi t. 3, p. 35(}). Ma di essi nulla ci è pervenuto). Lo stesso è avvenuto di un opera, intorno a cui egli occupavasi negli ultimi anni di sua vita, e ch egli ora intitola De Substructione, ora De Aedificatione Ecclesiae, e di un altra De Republica Christiana, il cui proemio è stato pubblicato dal ch. sig. ab Lazzeri (Miscell Coll. rom. t. 1, p. 608). Alcune omelie, e la spiegazione di qualche salmo, e qualche altro opuscolo sacro del Sadoleto si hanno tra le altre sue opere. Ma fra tutte le sacre è celebre il suo Comento sull' Epistola di S. Paolo a’ Romani, sì per le lodi con cui fu da molti esaltato, sì pe disgusti di cui al suo autor fu cagione. Parve ch Erasmo fosse presago della tempesta j perciocché scrivendo a’ 18 di agosto del 1535 a Damiano Goes, In eamdem, dic egli dell Epistola di S. Paolo ai Romani (Epist. t. 2, ep. 1284), tres libros edidit, exim i uni hujus aetatis decus Jacobus Sadoletus admirabili sermonis nitore et copia plane Ciceroniana; nec deest affectus Episcopo Chris turno digmis. Fieri non potest, quin tale opus a tali viro profectum bonorum omnium sufjfragiis appiohe tur; vereor tamen, ne apud complures ipse phraseos nitor nonnihil hebetet aculeos ad pietatem. E poichè ebbe udito ciò che ora soggiugneremo: De Commentariis Jacobi Sadoleti, scrisse allo stesso (ib. ep. 13()2), mihi tale quiddam praesagiebat animus. Admonui illum litteris, (quantum licuit tantum admonere Praesulem. Insumpsit in hoc opus immensos laborvs. SECONDO Audio nec a Sorbonicis probari. In fatti egli ebbe il dispiacere di vedere nominatamente proibita quella sua opera, nella quale parve ad alcuni che si accostasse all errore de Semipelagiani intorno alla grazia 5 e gli fu ancora imputato a fallo il distaccarsi in parte dalle opinioni di S. Agostino. Le lettere ch egli scrisse su questo argomento a Federigo Fregoso (t. 2, p. 148, i(rì) e al Contarini (ib. p. 342), ci mostrano quali ragioni l avessero indotto a pensare in tal modo, e ci scuoprono quanto egli fosse sommesso e docile alle decisioni della Chiesa, la cui dottrina non era per anche allora così rischiarata, come fu dopo il concilio di Trento. Ma la proibizione del suo Comento fu pel Sadoleto un colpo che fieramente il percosse; e più ancora, perchè l’autore ne fu il Badia suo concittadino e maestro del sacro palazzo: Le censure, scriveva egli a Gianfrancesco Bini a’ 20 d'agosto del 1535 (ib. p. 298), non mi son dispiaciute, et chiunque scriverà contra di me. per dimostrarmi la mia ignoranzia, non mi offenderà nè vorrei, che quel Lippomano fosse dissuaso di essequire quanto ha cominciato, et vi priego, che operiate, che non sia impedito. Ma la proibizione de' libri mi è doluta fin a morte, fatta così nominatim, et in specie, et incivilmente, della quale nissuno mi ha scritto, come voi pensate; ma ne è stato tanto che dire a Lione, in Avignone, et in tutte le parti circonvicine, che in vita mia non mi trovai sì mal contento giammai: et quasi non poteva alzare il viso, parendo a tutti, che ciò fosse avvenuto non per opera d un solo. ma 458 LIBRO per giudizio pubblico della Corte Romana...: Che se l Maestro non voleva, che il libro si pubblicasse, bastava assai generai pnnbizionef e lo poteva far con modo gentile et honorevole se egli è tale, qual voi mi dite. A me è stato forza, per ovviare a tanta infamia, mandar le censure et le risposte a Lione, non perchè si stampino, ma perchè si vedano; et scrivere a qualche huomo da bene là con lamentarmi delfatto del Maestro, ec. Il Sadoleto inviò il suo Comento alla Facoltà teologica dell’università di Parigi, perchè ella colla sua approvazione riparasse l’ingiuria della condanna fattane dal maestro del sacro palazzo. Ma essa ancora nominati avendo due teologi a esaminarlo, questi segnarono qualche proposizione; e la Facoltà ordinò che si scrivesse al Sadoleto, per ottenerne lo schiarimento (V. Du Plessis, Collect. Judicior. t. 1 ad calc. p. 8). Il Sadoleto frattanto avendo mandata al pontefice un' apologia del suo Comento, ed essendosi in questo affare frapposto il cardinale Contarini, il libro del Sadoleto fu dichiarato cattolico, e permessane la lettura. Credo vostra Magnificenza, scrivea Girolamo Negri famigliare del Contarini a Marcantonio Micheli a’ 6 di dicembre del 1535 (Lettere di Principi, t 3, p. i ih), ed. Ven. 1577); intendesse già il travaglio li fu dato (al Sadoleto) dal Maestro del S. Palazzo sopra li Comentari suoi de l Epistola di S. Paolo alli Romani, accusandolo de here.sìa, et vetando li libri non fosser venduti. Il Vescovo mandò qui al Papa una bella apologia; et era attaccata una grossa scaramuzza con questo Frate suo SECONDO /¡5() conterraneo. Sopravvenuto il Reverendiss. nostro si ha interposto, et fatta la pace con grande honor del V'¿scovo, li libri sono stati approbati et relassati. Il Sadoleto in questa occasione ancora fece conoscere la piacevol sua indole e la sua cristiana moderazione; perciocchè scrivendo a Paolo suo nipote, il qual forse avea cercato di scusar la condotta del maestro del sacro palazzo, mostrossi prontissimo a cancellare dall’animo qualunque risentimento: Ac de Magistro quidem laetor, et eum illum non esse, quem jueramus su spienti, et de. omnibus controversiis inter nos conventum esse, quem jam diligere, incipio tuo in primis testimonio adductus. Proinde etsi stigmata adhuc in fronte gerimus ejus dedecoris, quod mihi ab illo vel per illum inustum est, facile tamen et libenter obliviscimur pristini doloris, atque ad fraternam benevolentiam animum nostrum convertimus (t. 2 Epist. p. 322). Io ho voluto riferir per disteso la storia di questa controversia, perchè poco ne parlan gli scrittori della Vita del Sadoleto; ed essa giova a scoprirci sempre più chiaramente le belle doti di questo grand’ uomo, uno de’ più rari ornamenti e della città in cui nacque, e del secolo in cui visse (a). XIV. Mi si permetta qui di congiungere col Sadoleto alcuni suoi parenti che ne imitarono * felicemente gli esempi, e un suo concittadino 1 u I (a) Del cardinale Jacopo Sadoleto, e così pure degli altri qui nominati della stessa famiglia, e di Antonio l'iordihello, si è più ampiamente trattato nella Biblioteca modenese (t. 4, p. 4^4 * t. 2, p. 288). 4Go LIBRO e insicm famigliare ch’ebbe per lui riverenza ed amore al par di figlio. Tra i fratelli ch’egli ebbe, Giulio più degli altri imitollo nel coltivare felicemente gli studi. Jacopo nel 1517 gli ottenne un canonicato nella chiesa de’ ss Lorenzo e Damaso, e abbiamo una leggiadrissima lettera italiana scritta in questa occasione da Giulio a Latino Giovenale (Sadol. Op. t. 2, p. 254, ed. Veron.). Ma poco tempo egli visse, sorpreso da immatura morte in età di soli 26 anni nel 1523, come raccogliam da una lettera di Girolamo Negri, in cui dice che Jacopo pensava, di scrivere un libro a consolazion di se stesso per questa morte (Lettere de Principi, t. 1, p. 97). L iscrizion con cui Jacopo ne onorò il sepolcro, e ch è riferita dall ab Costanzi (post Vit. Sadol. p. 108), lo dice giovane nelle greche e nelle latine lettere versatissimo, e ornato di erudizione sì grande e di sì rari costumi, che non poteasi ammirare nè lodare abbastanza. Abbiamo innoltre veduto altrove di quanto prodigiosa memoria ei fosse dotato (t. 6, par. 2, p. 569). Più celebre ancora fu Paolo, figliuol di un cugino del cardinale, ma da lui amato non altrimente che figlio. Ei nacque in Modena nel 1508, e fu dapprima scolaro in Ferrara di Giglio Gregorio Giraldi (Sadol. De Uberor. iris Ut. I. 3, Op. ed. Ver on. p. 122), e mandato poscia a Jacopo, stette con lui quasi continuamente; ed ebbe la sorte di essere formato agli studi non meno che alle virtù sotto la scorta di un tanto uomo; nel che ei corrispose sì bene all’aspettazione e alle premure del zio, che questi nel 1534 ottenne 4 SECONDO /¡(jl ila CIcMiicnle VII ili averlo a suo coadiutore nella chiesa di Carpentras, e il vide poi ancora da Paolo III fatto rettore, ossia governatore del Contado Venassino. Le virtù, delle quali, a somiglianza del zio, era egli adorno, gli conciliaron l’amore e l’estimazion di que’ popoli e il suo sapere e l’eleganza sua nello scriver latino gli ottennero quella de’ più eruditi uomini di quel tempo. Dopo la morte del zio, trattennesi in Carpentras sino al 1552, nel qual anno chiamato a Roma da Giulio III, fu fatto segretario delle Lettere ai’ principi. Morto questo pontefice, Paolo fece ritorno alla sua chiesa di Carpentras, ed ivi continuò a vivere fino alla morte, cioè fino al 1569. Le Lettere, altre italiane, altre latine, da lui scritte, che and a van prima disperse in varie raccolte, e che sono l'unico monumento rimastoci di esso, oltre qualche poesia latina, sono state congiuntamente date alla luce dall’ab. Costanzi, che vi ha premessa la Vita di Paolo da me compendiosamente accennata (Append.\ ad Epist. J. Sadol. p. 122, ec.). Nelle latine lo stile è elegante e colto, e vi si scorgono le tracce del cardinale che gli fu per lungo tempo maestro e guida, in modo però, che il discepolo è alquanto lungi dal suo maestro. Tre nipoti innoltre ebbe il Sadoleto da Margarita sua sorella, maritata a Giambattista Sacrati nobile ferrarese, Jacopo, Paolo e Filippo, dei quali Jacopo sottentrò a Paolo Sadoleto nella chiesa di Carpentras; Paolo fu canonico in Ferrara, carissimo al cardinale suo zio che ne parla spesso con lode, e imitatore anch’ egli dell’ eleganza 4^3 > LIBRO (li esso nello scriver latino, come ci fanno fede, oltre alcuni Comenti su’ libri sacri, le sue Lettere famigliari più volte stampate. Non deesi finalmente disgiungere dal cardinale Sadoleto Antonio Fi oidi bel lo, nato in Modena di onorata famiglia, che con lui visse molti anni, e gli fu intimo confidente. Il Sadoleto ne conobbe il felice ingegno all’occasione delforazion funebre di Clemente VII, che recitar gli fece nella sua chiesa di Carpentras, e che fu da esso composta in pochissimi giorni. Quindi ei prese a coltivare con diligenza un sì ben disposto terreno, e permisegli ancora l andarsene a Padova per qualche tempo, ove il Bembo n’ebbe sì grande stima, che volle a lui confidare il suo figlio Torquato (Bembo, Lett, famil, t. 3, l. 2, Op. t. 3, 198, 299). Pietro Vettori ancora avea sì gran concetto del Fiordibello, che volle ch’ egli esaminasse i suoi Comenti su Cicerone; e avendogli Antonio lodati assai, il Vettori ne fu oltre modo lieto: Cur enim, gli scriveva egli nel 1537 (Epist. l. 1, p. 9), facile credam te falli posse, summi ingenii atque optimi judicii juvenem, in ea praecipue re, quam egregie calles, et in qua tantum profecisti, ut istius aetatis parem habeas neminem, majores autem aut nullos, aut certe paucos? Dopo la morte del suo cardinale si unì a Paolo Sadoleto per pubblicarne le Lettere; e ne scrisse ancora la Vita, come si è detto. Fu poscia segretario prima del cardinale Marcello Crescenzi, poscia, lui morto, del Polo, con cui ancora tragittò in Inghilterra. Tornato in Italia, da Paolo IV fu nel 1558 fatto vescovo di Lavello nel SECONDO y03 regno di Napoli. Tre anni appresso tornato a Roma, fu segretario delle lettere latine di Pio IV e di S. PioV, e quindi fanno i568 già avanzato in età, ritiratosi in patria, ivi visse in un tranquillo riposo fino all'anno 15*j4? nc‘l qual anno venuto a morte ebbe sepolcro nella chiesa di s Margarita. La Vita poc’anzi accennata, diverse lettere che sono state raccolte dal suddetto ab. Costanzi, il quale ancora ne ha scritta stesamente la Vita (ad calc. Epist. pontificiar. J. Sadol.), alcune orazioni c un libro dell’autorità della Chiesa, che vanno aggiunte alle opere del Sadoleto nell’edizion di Verona, sono le pruove rimasteci del sapere e dell’ eleganza del Fiordibello, ch è certamente uno de’ più colti scrittori latini di questo secolo. Ma torniamo omai a coloro de’ quali fu composta la già mentovata congregazione. XV. Intorno a Giammatteo Giberti, ch è il terzo di cui dobbiam ragionare, tre città si contrastan l'onore di annoverarlo tra loro, Palermo ove nacque, Genova, onde era natìo di nobile e antica famiglia Franco suo padre, e Verona che lo ebbe a vescovo; e Taver egli avuto natali illegittimi, nonché oscurare, sembra aggiugnere nuovo splendore a’ rari pregi onde fu adorno. Passato a Roma in età di dodici anni, vi si fece presto conoscere giovane di sommo ingegno, e di amabile indole e d innocenti costumi; nè il merito di esso fu sconosciuto a Leon X, che lo amò e gli fu liberale di onori. Par che a que’ tempi per volere del padre fosse costretto a lasciare gli ameni studj, de’ quali molto si compiaceva, e ad entrare 464 LIBRO al servigio ili qualche gran personaggio. Perciocchè il Vida nella sua Poetica, secondo il bel codice del sig. baron Vernazza da me altre volte lodato, ha questo passo intorno al Giberti, che manca nell’ edizioni dell opera stessa, e dovrebbe inserirsi dopo il verso 301 del libro primo. Pieri Jes, qua ninni vobis invidit honorem, Heu quantum sors laeva decus, cimi vostra reliquit Sacra puer quondam vestris Gibertus ab aris Ereptus, jam tum ingentes qui pectore curas Conci perei, doiiunoque in inugnis rebus adesset. Ah quotiens sacros lachrymans reminiscitur amnes Infelix juvenis, saltus, secretaque vatum Secum neper nemoi a, et fontes suspirat amatos, Pana ubi cornigerum, et Faunos audire canentes Assuetus, Dryadumque ultro spectare choreas! Quam vellet mecum gelido sub Tu sculo iniquatn Pauperiemquc pati, et ventos perferre nivales! Fata vetant, durusque parens, dominique potentes. Illum Pierides, illum tu pulcher Apollo, \ ester bouor vobis, si vestra et maner curae, Siati te sub Helicone, sub aerio Parnaso, Et juvenem ingratis tam sanctum exolvite curis. Clemente VII, appena eletto pontefice, lo nominò a suo Datario, e lo inviò in suo nome al re di Francia e ad altri principi dell’Europa (V. Sadol. epist. pontif. p. 128, ec.), e nel 1{ 1’ filesse vescovo di Verona. Continuò nondimeno il Giberti il suo soggiorno in Roma, carissimo a Clemente che volentieri ne seguiva i consigli. E pare che per opera del Giberti, assai favorevole al partito francese, a questo ancora si appigliasse il pontefice con tanto suo danno. E il Giberti medesimo ne portò la pena; perciocchè dato dal papa per un degli ostaggi, SECONDO 405 ebbe a soffrire patimenti gravissimi, e si vide minacciato più volte di obbrobriosa morte. Queste vicende gli fecer prendere la risoluzione di abbandonare la corte, e di ritirarsi alla sua Chiesa, ov’egli poi visse fino al 1543, se non che il comando di Paolo III lo costrinse talvolta a tornare a Roma. Pochi vescovi ha avuti la Chiesa, che a lui si possano paragonare e Verona divenne per opera del Giberti un vero modello dell’ ecclesiastica disciplina. Le ammirabili costituzioni da lui promulgate pel regolamento del clero e di tutto ciò che concerne il culto divino, gli abusi da lui sradicati, le limosine copiosamente profuse a sollievo de’ poveri, il renderono sì celebre, che S. Carlo Borromeo sugli esempi del Giberti singolarmente prese a formarsi, e teneane appesa la immagine alle pareti della sua stanza, perchè la veduta di un sì gran vescovo lo eccitasse di continuo a seguirne le tracce. La corte del Giberti, come afferma monsig della Casa (Galateo), era ripiena di costumati uomini e di scienziati, e vi fu tra gli altri per lungo tempo il Flaminio, che ivi probabilmente apprese ad essere il più elegante insieme ed il più casto poeta del suo secolo. Una magnifica stamperia di caratteri greci fece egli a sue proprie spese aprire nel suo palazzo, e da essa furon pubblicate più Opere de SS. Padri, e principalmente la bella edizione della Sposizione di S. Giovanni Grisostomo sulle Pistole di S. Paolo 5 e perchè l edizioni fossero più esatte, tenevasi il Giberti in casa parecchi copisti greci da lui stipendiati. Quindi il Sadoleto, scrivendo a lui stesso Tikaboschi, JEol. X. 3o 46(5 lii.ro nel 1531, Ego, gli dice (t. 1 p. 447;), iis proximis mensibus audivi, impressos esse tua impensa et opera optimos auctores Graecos, quorum in sacris literis interpretandis egregia doctrina est et auctòritas; quo nuntio valde sane laetatus sum, animumquc tuiun p ristia uni rccognovi propensum ad bene merendum de artibus optimis. Ei sarebbe stato sollevato all’onor della porpora, che per tanti titoli gli era dovuto, se il difetto de suoi natali non glicl’avesse impedito. Ma la gloria si ottiene col meritar gli onori, non col conseguirgli. Io non fo che accennare le virtù del Giberti, perchè gli eruditissimi fratelli Ballerini ne hanno con singolare esattezza scritta la Vita, premettendola alle Opere di questo gran vescovo. Nulla in esse abbiamo di teologico, e son per lo più costituzioni e leggi da lui pubblicate a bene della sua Chiesa, che furon poscia in gran parte adottate da altri vescovi, e singolarmente dal sopraddetto S. Carlo. Gli editori vi hanno aggiunte le orazioni funebri in onor di lui recitate, e il libro scritto da Pierfrancesco Zini, e intitolato Boni Pastoris exemplum, ove per darci l’idea di un vero vescovo, espone il metodo con cui il Giberti governava la sua Ghie-, sa. Se ne hanno ancor molte lettere italiane sparse nelle diverse raccolte che in quel secolo furono pubblicate. XVI. Io dirò ancor brevemente del Cardinal o Gregorio Cortese, perchè la Vita di esso è stata di fresco pienamente illustrata dal defunto mons Giannagostino Gradenigo vescovo di Cene da; ed ella si vede in fronte all’edizione SECONDO 467 di lulte l’Opere del cardinale fatta in Padova nel 1774 Per opera di questo ornatissimo sig marchese Giambattista Cortese (¿1). Egli ebbe comune la patria col Sadoleto. ma nacque sei anni dopo di lui, cioè l’an 1483, da Alberto Cortese e da Sigismondo della Molza, ed ebbe al battesimo il nome di Giannandrea, da lui cambiato in quel di Gregorio quando entrò nel chiostro. Fatti i suoi studi in Bologna, e parte in Padova, fu per qualche tempo alla corte del cardinale Giovanni de Medici, che fu poi Leon X; ma l’amor dello studio, e le infermità da cui in Roma fu travagliato, lo ricondussero alla patria, ove nel 1504 fu eletto rettore della chiesa parrocchial d’Albareto ju.spatronato della sua nobil famiglia, canonico della cattedral di Modena e vicario generale di questa diocesi. Tre anni appresso entrò nella Congregazion cassinense nel monastero di S. Benedetto di Polirone presso Mantova; donde nel 1515 volendo Agostino Grimaldi vescovo di Grasse introdurre quei religiosi nel monastero di Lerins in Provenza, il Cortese, un de’trascelti a tal fine, colà trasportossi, e in quel solitario ritiro tutto s'immerse negli amati suoi studi. Il monastero di Lerins per opera del Cortese divenne tosto famoso non solo in Francia, ma ancora in Italia, e molti uomini dotti vi si conducevano da lontani paesi per vedere un luogo sì caro alle scienze e alle lettere, e per godere della erudita conversazion di Gregorio. Costretto da (a) Yeggasi anche intorno al ourdiuul. Cortese la Biblioteca luodeuese (u a, p. 178). 468 LIBRO nuove ili le imi là a venire in Italia, fu qualche tempo in Genova, in Roma, in Modena; quindi tornato a Lerins, fu priore, e poscia nel 1524 abate di quel monastero, che alla destrezza e al credito di cui godeva il Cortese, dovette il sostenersi nella caduta del vescovo Grimaldi, a cui il re Francesco I confiscò tutte le rendite. Altri monasteri del suo Ordine, cioè que' di S. Pietro di Modena, di S. Pietro di Perugia di s Giorgio Maggiore di Venezia, di Praglia, e di Polirone, gli furono confidati; e così nel governo di essi, come nella carica impostagli di visitatore diede luminose pruove non men del suo zelo per la regolare osservanza, che del suo impegno nel promuover tra’ suoi il coltivamento de’ buoni studi. Per opera del cardinale Contarini, come questi racconta in una sua lettera al Polo (Poli Epist. t. 1 ì p. 465), fu chiamato a Roma nel 1536 per intervenire alla congregazione, de' cui membri or ragioniamo, e fu poi nel 1540 destinato ad accompagnare al colloquio di Vormazia il vescovo Campeggi. Monsig Gradenigo inclina a pensare ch ei veramente vi andasse; ma quel colloquio ebbe principio a’ 25 di novembre del detto anno (Pallav. Stor. del Conc, di Trento, /. 4» c- 12)> e il Cortese era in Italia e nell ottobre e nel dicembre dell’anno stesso, come da alcune letda lui scritte è manifesto (Op. t. 1, p. 139, ec.); onde par certo che le sue infermità da lui addotte al pontefice per iscusarsi da un tal viaggio (ib. p. 140) glielo impedissero veramente. Già da gran tempo le virtù e il saper del Cortese avean destata f aspettazione di vederlo \ SFCONDO ^(jk) ascritto tra i cardinali; e due di questi, a cui pochi erano pari in quell’augusto collegio, il Contarini e il Sadoleto, si adoperarono con grande impegno presso il pontef Paolo III, perchè lo desse loro collega. Il Contarini parlando al papa, Padre Santo, gli disse (Beccade Hi, flta del Contar. § 13), io l ho in tal conto, che per servizio di questa santa Sede io mi trarrei il cappello di capo per riporlo sopra di lui, parendomi, che molto meglio di me possa servire in questo grado. E il Sadoleto scrivendo allo stesso pontefice, e pregandolo a conferirgli l’onor della porpora, così gli dice (t. 2, ep. 386. p. 388): Is autem est Gregorius Cortesius Abbas, de quo nemo est profecto, qui nesciat, quaecumque in magno et bono Sacerdote postulanda sunt, omnia in eo ejeceU lenter inesse, ingenium, consilium, eloquentiam, doctrinam, et quae. his quoque laudabiliora sunt, quoniam Christianis moribus sunt propria, pietatem praeterea, confinen fin ni, rcligionem. Fu dunque Gregorio a 2 di giugno del 1542 fatto cardinale, e a 6 di novembre dell’anno stesso vescovo d’Urbino. D'allora in poi il pontefice il volle sempre al suo fianco, e il cardinale Cortese seguillo ne diversi viaggi che per l'Italia egli fece nel 1543, e giovò a lui non meno che alla Chiesa cattolica co’ suoi consigli e coll’ esempio delle sue rare virtù fino al 1548, nel qual anno a 21 di settembre finì di vivere. X^ II. A formare un giusto carattere del cardinale Cortese, mi converrebbe a questo luogo ripetere ciò che ho detto poc anzi del Sadoleto. giacchè la scambievole e stretta loro amicizia} xvn. Sur oprrt r iuj nlrgjnu nrllu jfn» arr. 47° LIBRO più assai che dalla comune lor patria, ebbe origine dalla somiglianza dell indole, delle virtù, degli studi; e la stessa dolcezza di tratto, la chiarezza e la precision medesima delle idee, la stessa vasta estensione di sapere, la stessa sincera pietà per ultimo, e il medesimo ardente zelo per la Chiesa di Dio fecero rimirare amendue questi cardinali come due delle più ferme colonne che avesse in quei’ tempi si torbidi la Religione. Ma noi non diremo che degli studi. I sacri formarono la principal sua occupazione, poichè ebbe abbracciato lo stato monastico. L’edizione fatta in Venezia nel 1538 del Testamento nuovo corretto sui greci esemplari, crede fondatamente monsig Gradenigo che si debba al Cortese. Egli avea ancor preso a raccogliere, mentre si ritrovava in Lerins, le Opere de’ SS. Eucherio ed llario; ma delle fatiche in ciò da lui sostenute non ci è rimasta che la memoria. Alcune opere de’ SS. Padri greci e latini furon da lui recate in lingua o latina o italiana. Parecchi trattati teologici scrisse egli ancora contro feresie de’ suoi tempi; ma un sol di essi ci è giunto, cioè quello ch’ei pubblicò diviso in due libri, e dedicato ad Adriano VI, contro Ulrico Velenio, a provar che S. Pietro era veramente stato in Roma. Questo solo trattato bastar potrebbe a farci rimirare il Cortese come un de’ più dotti e de' più eleganti scrittori di questo secolo; perciocchè in esso ei si mostra versatissimo nella lettura de’ SS. Padri e degli altri scrittori sacri e profani, nello studio della storia e della cronologia, e tratta il suo argomento con forza di ragionamento insieme e SECONDO ^7• con eleganza di siile, senza la menoma ombra di barbarie scolastica. Egli anzi si dichiara mal soddisfatto di quelli che fin allora avean combattuti gli eretici, perchè aveano comunemente usate, più che le ragioni, le villanie: Illud quoque, dic’egli nel proemio al detto trattato, magnopere ut silerem, hortabatur, quod inter eos, qui hac tcnu s haec trac tarimi, non tam ex empii s rationibusque actum est, quam conviciis et male die tis; nec Christiana pietate, sed (quod quidam dixit) canina facundia; ut mihi in aniin um induxisse videantur, ira demum se victores in causa futuros, si in maledicendo fuissent Nec jurgiis modo, sed, quod dictu nefas est, jocis et scomatis libros referserunt. Enimvero qui veritatis indagandae studio scribunt, mites modestoque se ipsos exhibent, Christi exemplo, qui cum ipsa esset veritas, in se ipso quoque mansuetudinem praedicavit, tanlumque ab flit, ut ultro maledixerit, ut etiam, quod Petrus ait maledicenti non mina retur. Questo trattato insiem colle lettere latine del cardinale Cortese fu stampato in Venezia per opera di Ersilia Cortese del Monte nipote (del cardinale, della quale diremo altrove; ma l edizione ne riuscì oltre modo scorretta. Esso fu poi separatamente stampato l’an 1770 in Roma, e illustrato con note dal già lodato abate Cosi anzi, e di nuovo è stato inserito nella Raccolta delle Opere del medesimo cardinale mentovata poc’anzi. In essa veggonsi, oltre ciò, alcune lettere italiane del Cortese non mai pub• hlicate, e altri monumenti inediti che a lui appartengono, alcune poesie latine dello stesso, 473 Liuno nelle quali perù ei non è ugualmente felice che nella prosa; e il racconto del metuorabil sao cheggiamento di Genova accaduto nel 1522, operetta finora inedita e tratta da un codice della biblioteca del re di Francia, e scritta con tale eleganza e con tale facondia, che’io non so se in tutti i moderni scrittori vi abbia cosa che più di questa si accosti al grave e maestoso stile di Tito Livio. Questa lode medesima deesi alle Lettere latine del cardinale, le quali vedute, prima che fosser date alla stampa, dal Bembo, così ne scrisse al Fregoso: Le epistole del Reverendiss. Don Gregorio mi sono piaciute grandemente, ed hanno superata la opinione, ch' io aveva ben grande e bene onorevole della sua eleganza. Nè sarà uom, che giudichi non leggendo il loro titolo, ch elle siano di Monaco, e per dir più chiaro, di Frate. Nella quale cosa egli merita intanto maggior laude, che delet maculam jam per tot saecula inustam illi hominum generi, di non sapere scrivere elegantemente. Queste sono non solamente Latine, e piene della condizione e candor di quelli buoni secoli, che poco tuttavia durò, e sono oltre a ciò gravi e sante, il che anco le fa più belle e più care (Op. t. 3, p. 41 Finalmente una grand’opera, non sappiamo di qual argomento, in 36 libri divisa avea intrapresa il Cortese, di cui egli parla in una sua lettera (Op. t. 2,p. 58); ma non par ch’egli l'andasse continuando; di che, e di altre opere da lui scritte, ma infelicemente smarrite, veggasi la più volte citata Vita. SECONDO 4~3 XVIII. Modenese ancora fu l ultimo de nominati da Paolo III a formare la mentovata congregazione, cioè Tommaso Badia domenicano. Ma altre notizie di lui non abbiamo, fuorchè quelle che ci han date i PP. Quetif ed Echard (Script Ord. Praed. t. 2, p. 132), e il co. Mazzucchelli (Scritt. it. t. 2, par. 1, p 24), e gli altri più antichi scrittori da lor citati (a). Da esse raccogliesi ch’ei nacque circa il 1483, e che Clemente VII lo sollevò alla dignità di maestro del sacro palazzo, e abbiam poc’anzi accennata la contesa ch’egli ebbe, mentre era in quella carica, col Sadoleto; che da Paolo III fu inviato al colloquio di Vormazia, del quale diede relazione al cardinale Polo con una sua lettera pubblicata dal cardinale Querini (Diatr. ad vol 3 Epist Poli, p. 260); che tornato a Roma, fu dallo stesso pontefice eletto cardinale a’ 2 di giugno l’an 1542, e che nella stessa città finì di vivere a' 6 di settembre del 1547 Io posso a ciò aggiugnere l’elogio che ce ne ha lasciato ne' suoi Annali mss di Modena. che si conservano in questa biblioteca Estense, Alessandro Tassoni il vecchio, in cui si esprimono le singolari virtù delle quali ei fu adorno: Et de dicto mense cioè nel settembre del detto anno) obiit Cardinalis Civis Mutinensis Thomas de la Batia homo doctissimus et probus, Magister Theologus, qui nolebatfieri Cardinalis, sed coactus a Paulo Pontifice noluit Episcopatum Urbi ni, nec aliud (a) Più ampio notizie del cardinal Badia si son poi date nella Biblioteca modenese (t. i, p. tip). 47 4 i inno benejicium, sai solimi vicini necessaria. Questo scrittor medesimo altrove lo dice l'r. Thonmm de Abbatiis, vulgo di quelli dall' Abbadia, fil. qu. Alberrini de la Batia (ad ann. i5 ju). Di lui non abbiamo alle stampe che la lettera poc'anzi indicata. I detti scrittori però ne accennano alcune altre da lui composte, che non han veduta la luce. Egli ebbe ancor parte nella scrittura che fu distesa dalla congregazione di cui era membro, e della quale passiamo ora a parlare. XJX. I nove dottissimi uomini che la coni. ponevano, e a" quali da Paolo III era stato ingiunto di suggerire i più opportuni e i più efficaci rimedii ai' mali da cui era travagliata la Chiesa, veggendo che i novatori prende* ano a pretesto della lor ribellione molti gravi abusi che nella Chiesa medesima si erano introdotti, e che continuamente gridavano alla riforma, benchè al tempo stesso scotessero il giogo delle leggi divine ed umane, pensarono che dovesse il pontefice intraprendere una rigorosa riforma, e toglier gli abusi e gli scandali così dalla sua corte, come da tutte le chiese cattoliche. A tal fine scorrendo essi col lor pensiero su varii capi, a'quali sembrava che la riforma fosse più necessaria, distesero una scrittura che fu intitolata Consilium de lec tori un Cardinalium et aliorum Praelatorum de emendanda. Ecclesia S. D. N. D. Paulo III, ipso jubente, conscriptum et exhibitum; e fu stampata in Roma nel 1538. Ma il successo del lor disegno non fu tanto felice, quanto retta era stata la loro intenzione. 1 Protestanti SECONDO 4^5 reggendo che la Chiesa romana riconosceva che vi erano abusi da riformare, ne menaron trionfo; come se i Cattolici venisser con ciò a confermare le accuse che lor venivano date; e non riflettevano che da questi abusi medesimi nasceva la più valida apologia della Chiesa romana. Perciocchè nè tali abusi appartenevano al dogma, o alla natura delle ecclesiastiche leggi; e per togliergli, altro non si faceva che rimettere in vigore le antiche costituzioni per lungo tempo mal osservate. Ma ciò non ostante credette Paolo III che quella scrittura non dovesse rendersi troppo pubblica, benchè al tempo medesimo ponesse mano a riformare in gran parte gli abusi in essa indicati, come poscia felicemente si compiè nel concilio di Trento. Intorno a ciò, e alle calunnie che all’occasione di quella scrittura apposero i novatori alla Chiesa romana, è degna di esser letta una lettera del cardinale Querini a Giangiorgio Schelhornio, in cui confuta di passo in passo quella che questi avegli scritta su tale argomento (Epist. dec. 5, ep. 4). Frattanto veggendosi chiaramente che ad abbattere l’eresie non era abbastanza efficace la progettata riforma, si prese la deliberazione di raccogliere un concilio generale. Nel primo capo del precedente libro si è già da noi accennata la storia di quella sì memorabile adunanza; nè giova il dirne più oltre. Sarebbe anzi qui luogo opportuno a parlar di coloro tra gl’ Italiani che in essa dierono pruove del lor sapere; ma a ciò solo richiederebbesi un ampio volume, e io debbo qui più che altrove cercar di restringermi entro XX. Cardinali che ad «no preiitdcroBO. 47® LI DUO giusti confini. Sceghereiu dunque alcuni nomi più illustri, e lascerem che degli altri si veggan le opportune notizie nella Storia dello stesso Concilio. XX. Voglionsi prima d1ogni altro indicar quelli che dai' pontefici furono destinati a presiedere a quella sì illustre assemblea; la quale scelta basta essa sola per qualunque elogio più luminoso. Molti esse furono ne’ molti anni che durò il concilio, nè noi dobbiam qui parlare di tutti. Il Monte e il Cervini, che furono presidenti a tempi di Paolo III, gli furono poi successori co nomi di Giulio III e di Marcello II,e di essi si è già detto altrove. Il Polo che fu loro compagno, e l’Osio che fu a’ tempi di Pio IV, non appartengono all’Italia, benchè il secondo potrebbe da noi annoverarsi tra' nostri, se fosse vero ch’ei nascesse bensì in Cracovia, ma di padre «'olà trasferitosi da Milano. Così si afferma dall Argelati (Bibl. Script, mediol t 1, pars 2, p. 732, ec.). Ma come io non veggo qual pruova ne arrechi, così su ciò non ardisco di stabilir con certezza altra cosa, se non che egli dovette i suoi primi avanzamenti negli studi all’ università di Padova, ove stette per più anni scolaro del celebre Lazzaro Buonamici, e a quella di Bologna, ove attese agli studi legali. Del Cardinal Erct>!<* Gonzaga, che presiedette al concilio sotto l'io IN, si è detto nel ragionar del favor de Gonzaghi verso le lettere. Alcuni altri, come il cardinale Pietro Paolo Parisio, che fu destinato a quel luminoso impiego da Paolo III. benchè poi fosse altrove impiegalo, il Cardinal Sebastiano Pigliini SECONDO 4 "7 reggiano e il Cardinal Marcello Cresceuzi, che furono presidenti a tempi di Giulio HI, il Cardinal Simonella milanese, che fu allo stesso fine trascelto da Pio IV, dovettero il lor nome e la loro esaltazione agli studi legali singolarmente, e di alcuni di essi diremo a luogo più opportuno. Il cardinale Marco Sitico d'Altaemps e il cardinale Bernardo Navagero, che al tempo del medesimo Pio IV furon legati al concilio, erano stati occupati ne’ pubblici affari, e la destrezza e prudenza loro singolarmente li fece trascegliere a un tale incarico, benchè il Navagero fu uomo assai colto, e per la sua eloquenza principalmente famoso, e pel favore da lui prestato agli uomini dotti, de’ quali la sua casa sembrava il centro (V.Jul. Castellan. Epist. p. 13), e se ne può vedere la Vita elegantemente scritta dal cardinale Agostino Valerio che nella chiesa di Verona gli fu successore; e noi ancora ne parleremo di nuovo, ove tratteremo de più eloquenti oratori. Del vescovo Luigi Lippomano, che fu collega dei’ cardinali Crescenzi e Righini, direm tra poco trattando degli scrittori di storia ecclesiastica. Qui dunque ci ristringeremo a due soli, cioè a’ cardinali Giovanni. Morone e Girolamo Seripando, che insieme presiederono a quella grande adunanza a’ tempi di Pio IV. XXL J1 Cardinal Morone non ha finora avuto la sorte di trovare scrittore che diligentemente, come a un tanto uomo si conveniva, ne stendesse la Vita, giacchè io non so qual sia quella che l’Ai gelati attribuisce (l. c. t 2, pars 1, p. 974) a Lodovico Giacobelli. Il primo che ne XXI. Flugio il.'! cardimi Giuvaulii Mutoli«. 4:3 L1BHO abbia trattato con qualche esattezza, è stato Giovanni Frickio (Scnelhuni A ¡noeti, litter. L i1, P- '*3:j ec')y a cui però più altre cose si debbon aggiugnere. Egli ebbe a padre Girolamo Morone gran cancelliere dello Stato di Milano, e celebre pe suoi maneggi e per le sue vicende al principio del secolo xvi. Da lui e da Amabilia Fissiraga di lui moglie nacque Giovanni in Milano a’ 25 di gennaio del 1 Joy. Molti affermano ch’ei fece i suoi studj nell’università di Padova, e ne recano in pruova una lettera da lui scritta al cardinale Polo, in cui dicono che ciò da lui stesso si narra. Tra le lettere del Morone al Polo, inserite ne cinque tomi dati alla luce dal cardinale Querini, a me non è avvenuto di ritrovar tal notizia. Molto meno io so su qual fondamento abbia il Muratori asserito (Marat, l 'ita del Castelv. p. 13) che il Morone fanciullo fu allevato in Modena, che qui attese agli studi, e che insiem col padre fu ascritto a questa cittadinanza, del che anzi mi viene affermato non esservi negli archivii di questa città monumento veruno (’). Ovunque egli studiasse, giunse presto ad ottenere tal nome, che il pontef Clemente VII a 7 di aprile del 1529, contando il Morone soli ventanni di età, il dichiarò vescovo di Modena (Ughell. It. sacra, t. 2 in Episc. Mutin.), alla (*) Ho poi trovati monumenti sicuri «.lei passar che fece il Morone in Modena qualche parte della sua Ijiiciulle/.za, e della cittadinanza che più tardi qui ebbe. Del che si è parlato nella Biblioteca modenese (l. 3, p. 3oi, ec.) dove più stesamente si è esaminato tutto ciò che a lui appartiene. SECO MIO 471) ,|ual elezione è probabile che avesse gran parte la riconciliazione due anni prima avvenuta dell’imp Carlo V con Girolamo di lui patire, cb’cgli avea l’atto chiuder prigione per sospetti contro di lui concepiti, e il desiderio del papa di tener sì amico l’imperadore, il cui sdegno avea già provato con troppo suo danno. Non potè però il Morone venir sì presto al possesso della sua Chiesa; perciocchè Alfonso duca di Ferrara avrebbe voluto quel vescovado per Ippolito suo nipote arcivescovo di Milano. Finalmente nel 1533, avendo il Morone promesso di pagare ad Ippolito 400 scudi d’oro di annua pensione, gli fu permesso di entrare al possesso; e venuto a Modena, celebrò la sua prima Messa in questa cattedrale a’ 25 di marzo. Di questa notizia siam debitori agli Annali mss di Alessandro Tassoni da noi più volte citati: Et dicto anno (cioè nel 1533) venit Joannes Moronus juvenis Mediolanensis Episcopus Mutinensis ad Episcopatum suum, (quem Alphonsus Estensis diu occupaverat qui invicem convenerunt ut Episcopatus daret 400 aureos Hippolito Estensi Archiepiscopo Mediolani quotannis nomine pensionis, quasi invito Pontifice. Et die 25 Martii dictus Episcopus dixit suani primani Mi ssa in in Ecclesia Cathedrali Mutinae cum Indulgenti a plenaria. Nel tempo ch’egli, nominato già vescovo, non poteva ancora esercitare il suo impiego, fu dal pontefice inviato in Francia per indurre quel re alla pace. Ciò ricavasi da una lettera di Girolamo Perbuono, da noi già nominato, scritta al Morone: Joanni Morono electo Mutinensi, 4^0 LIBRO ¡uveiti uni ex paucis ingenioso ac prudenti (Epist. l. 4), nella quale con lui si rallegra di questa legazione affidatagli. Essa non ha data, ma certo fu scritta prima del 1533, nel qual anno stampossi l’opera del Perbuono. Poichè venne alla sua Chiesa, benchè dovesse starne più volte di nuovo e per lungo tempo assente, se le mostrò nondimeno vero pastore e: padre e Modena vide a’ tempi di questo gran vescovo fondato il seminario de' chierici, e un luogo pio per l’educazione di più giovinetti, detto di S. Bernardino, introdotti nella città i Gesuiti, e celebrati diversi sinodi (Ughell, et Vedriani, Stor. di Mod. t. 2. p. 544.ee.). Cassai più avrebbe operato a vantaggio di questa sua Chiesa il Morone, se il suo sapere e la sua rara prudenza non l avessero per comando dei' romani pontefici chiamato sovente altrove. Nel 1536 fu da Paolo III destinato nuncio ordinario a Ferdinando re ile’ H orna ni, e gli fu ingiunto principalmente d intimare il general concilio da celebrarsi (Pallav. Stor. del Conc. di Ti'ento, t. 4 ì c. 1). Destinato nel 1540 a intervenire alla Dieta di Spira, e questa per cagion della peste radunatasi in vece in Hagenau, dice il Frickio che il Morone ricusò di portarvisi, perchè avea comando dal papa d’intervenirvi soltanto, ov ella si tenesse a Spira. Ma le lettere del Morone stampate fra quelle del Polo ci mostrano chiaramente ch’ egli era in Hagenau nel tempo della Dieta (Poli Epist. t. 3, Diatr. p. 262, ec.); e il Pallavicino, citato dal Frickio, afferma ciò del cardinale Cervini legato, non già del nuncio Morone (Pallai. SECONDO /\fi I /. cit. c. 11). Sulla fine del 154 * richiamato in Ualia, lii | >oco appresso, cioè al principio dell'anno seguente, di nuovo inviato a un’altra J lieta in Spira (ib. c. 16, 17)5 e a lui si dovei le che finalmente si accettasse il disegno di radunare il concilio in Trento. Il Morone era già di ritorno in Italia, e trovavasi in Modena a’ 21 di maggio del 1542, come ci mostrano alcune sue lettere tra quelle del Polo, nelle quali egli tratta dell’eresia che cominciava a serpeggiare in questa città, e dà a vedere il suo zelo, efficace bensì, ma insiem piacevole e dolce nell estirparla j e già abbiam veduto con quanto felice successo egli in ciò si adoperasse. Nell’anno stesso a’ 2 di giugno ei fu annoverato tra’ cardinali e destinato presidente al concilio -, pruova luminosissima del merito di questo grand’uomo, che in età di soli 33 anni fu destinato a presiedere a una delle più autorevoli adunanze che mai si vedesse nella Chiesa di Dio. Differitosi frattanto per nuovi impedimenti il concilio, il Morone di Trento, ove già si era recato, fu inviato da Paolo a (Carlo V per rappresentargli il gravissimo danno recato alla Chiesa coi' decreti della nuova Dieta di Spira del 1544 Tornato in Italia, fu nell'anno istesso, come raccogliam da una lettera a lui scritta dal Sadoleto (Sadol. Epist t. 3, ep. 412, p. 371), destinato alla legazion di Bologna, che gli fu poi tolta nel 1548 (Pallav. l. 11, c. 2) pe’sospetti che di lui mostrarono i Francesi, come d uomo e per nascita e per gratitudine troppo attaccato a Cesare. Per qual Tikaboschi, Voi X. 3i 4$2 LIBRO motivo, cjiiuiido si raccolse il concilio, non vi presiedesse il Moroni, non trovo chi l dica, nè è si facile a indovinarlo. Certo è che ei fu sempre carissimo e a Paolo III e a Marcello II e a Giulio III, dal (qual ultimo pontefice fu chiamato a Roma nel 1550 per consultare con lui sulla tanto richiesta Riforma (ib. c. 11), e fu di nuovo nel 1553 inviato alla Dieta di Augusta, ove però appena giunto, e udita la nuova della morte di Giulio, dovette tosto far ritorno in Italia (ib. l. 13, c. 1). Avea egli frattanto nel 1550 rinunziato il vescovado di Modena a Egidio Foscarari domenicano, di cui diremo in questo capo medesimo, e nel detto anno 1553, fatto vescovo di Novara, pubblicò alcuni decreti per la riforma di quella Chiesa (Ughell. Ital. sacra, t. 4 in Episc. Novar.). XXII. Avea finallora il Morone goduti tranquillamente i premii e gli onori al raro suo merito giustamente dovuti. Ma sotto il pontificato di Paolo IV cambiossi scena; e questo uomo, sì celebre per tante fatiche a difesa della Religion sostenute, si vide trattato come uno de’ più pericolosi nimici della medesima. Era Paolo IV uomo d’incorrotta giustizia, di ardente zelo, d’innocenti costumi. Ma la soverchia severità, l’indole sospettosa, l’età avanzata, il predominio che ne avean preso i nipoti, faceano che gli paresse di essere continuamente fra lacci ed inciampi; e alterando gli umori, e con essi la fantasia, lo conducevan sovente a tali risoluzioni, ch’ egli stesso avrebbe in altro tempo disapprovate. L’ esempio del A ergerio che, dopo aver sostenute più nunziature, avea SECONDO 4^3 vergognosamente abbracciato il partito dell’eresia, gli facea temere una somigliante caduta in più altri j e ogni menomo indizio ch’ ei ne vedesse o paressegli di vedere, avea presso di lui forza di evidentissima prova. Prima ancora ch’ei fosse eletto pontefice, avea conceputi sospetti contro il Morone, e gli si era mostrato nimico. E nondimeno il Morone tanto fu lungi dal risentirsene che, comunque altri gli predicesse ciò che avvenne, egli stesso si adoperò caldamente, perchè il Caraffa fosse innalzato sulla cattedra di S. Pietro. Il Morone adunque per comando di Paolo fu l’an 1557 arrestato e condotto prigione in Castel S. Angelo; ove indi a non molto furono per lo stesso motivo chiusi Egidio Foscarari domenicano vescovo di Modena, e Tommaso San Felice vescovo della Cava, e Luigi Priuli vescovo eletto di Brescia (*). Lo stesso cardinale Polo sì benemerito della Chiesa, citato a Roma fino dall Inghilterra, non avrebbe forse fuggito il medesimo trattamento, se a tal pericolo non l avesse sottratto la morte. Tutti questi, se se ne tragga il vescovo della Cava che nel concilio (*) Luigi Priuli eletto vescovo di Brescia non fu da Paolo IV chiuso in Castel S. Angelo. Il papa aunullò bensì F elezione di esso al detto vescovado; lua egli era allora in Inghilterra con Polo, e vi stette firn» alla morte di esso accaduta nel novembre del 1.558. Passò poi in Francia, ove era sulla fin del dicembre del 155c), e pensava di tornare la primavera seguente in Italia, nel qual tempo era già tuorlo il suddetto pontefice. Veggansi su ciò le Lettere del Cardinal Polo pubblicate dal Cardinal Qucrini (t. 5). 434 LIBRO di Trento avea data qualche occasione a crederlo uomo di fede non abbastanza sicura, era il prelati celebri nella Chiesa per le loro virtù non meno che pel loro sapere; nè si può di leggeri congetturare come divenisser sospetti a Paolo; ma è probabile che la dolcezza da loro usata nel trattar cogli eretici, co’ quali essi credevano doversi procedere da padre amorevole, non da giudice rigoroso, li facesse comparir rei innanzi a un pontefice ch era persuaso che quelle piaghe non si potesser curare che col ferro e col fuoco. (Gli articoli di accusa contro il Morone furono stampali fatino i558 con alcuni scolii che dal Frickio si attribuiscono al Verge rio e si credono stampati in Tubinga; ed essi sono stati di nuovo dati alla luce dal medesimo Frickio dopo la Vita del cardinale. In essi veggiam fatto reo il Morone di avere e insegnate e fatte insegnar da altri molte delle opinioni proprie de Protestanti, e il veggiamo insieme accusato di aver accolti e favoriti gli eretici; il che io credo che fosse l origine di tutta questa tragedia. I processi fatti al Morone scopriron tosto la sua innocenza, e Paolo IV gli offerse di trarlo dalla sua carcere. Ma egli, che alla libertà antiponeva il buon nome, non volle uscirne, finchè la sua innocenza non fosse dichiarata solennemente (Raynald. Ann. eccl. ad an. 1557;). Così traendosi in lungo l affare, morì frattanto il pontefice: e il Morone ottenne allora d intervenire al conclave in cui fu eletto Pio IV. Quindi ripigliato Tesarne, fu dichiarata ingiusta la cattura del cardinale, ed egli non solo innocente, SECONDO 4^" ma lonlanissimo da qualunque sospetto in materia di fede (Pallav. l. 14, c. 15). Nè di ciò pago il nuovo pontefice » per dargli un giusto compenso della sofferta ingiuria, dopo la morte del cardinale Gonzaga, il destinò presidente al concilio di Trento, che per la destrezza e pel senno singolarmente di questo grand' uomo ebbe poi felicissimo compimento. Frattanto avea egli rinunziato nel 1560 il vescovado di Novara a Giannantonio Serbelloni vescovo di Foligno (Ughcl. I. cit.). Morto poi il Foscarari nel 1564, tornò il Morone, secondo il diritto già riserbatosi, al vescovado di Modena, cui poscia cedette di nuovo a Sisto de Vicedomini domenicano nel 1571 (id. t. 2 in Episc. Mut.; Vedriani, Stor, di Mod. t. 2, p. 575), ed ebbe successivamente diversi di quei vescovadi poprii de’ vescovi cardinali, cioè di Pales trina, di Frascati, di Porto e di Ostia. XXIII. La stima che il Morone nel corso di tanti anni e nel maneggio di tanti affari avea ottenuta, il fece credere a molti degnissimo di salire sulla cattedra di S. Pietro, e reggere quella Chiesa per cui avea egli sostenute tante fatiche, e perciò dopo la morte di l’io IV non fu molto lungi dall esservi sollevato. Ma eletto in vece Pio V, il Morone continuò a starsene in Roma, e a giovare coll opere e col consiglio alla Chiesa. A lui dovettesi principalmente la fondazione del collegio germanico, di cui e fu egli il primo a risvegliare le idee nell animo di S. Ignazio, e giovò poi molto a stabilirlo più y¡86 LIBRO fermamente a tempi di Gregorio XTII (V. Cor dar. Ifist. Coll, gorman. I. i. 2). Questo pontefice bramoso di por fine una volta alle civili discordie da cui Genova era miseramente sconvolta, vi mandò nel 1575 il Morone, il quale sì destramente adoperossi insieme con Matteo Senarega e co ministri dell imperadore e del re di Spagna, che stabilita una nuova forma di governo, di cui vuolsi che foss'egli principalmente l'autore, quella città cominciò finalmente a viver tranquilla (V. TI man,1.(01). Dallo stesso pontefice fu inviato Tanno seguente all’imp Massimiliano II affin di placarlo co’ Palatini polacchi che dopo avere a lui destinato il loro regno, aveanlo poscia conferito a Stefano Battori, e gli fu ancora 01 dinato di passare nelle Fiandre, per rimettere in quelle provincie la tranquillità e la pace; nel che però l’altrui colpa non gli permise di riuscire all’intento; nella qual occasione passando per Dilinga, e veggendo la povertà del collegio che ivi aveano i Gesuiti, promise di sovvenirlo con 200 annui scudi, finchè vivesse (V. Pogian. Epist. t. 3, p. 238). Tornato a Roma, ivi finì i suoi giorni nel primo di dicembre del 1580, ed ebbe sepolcro nella chiesa della Minerva, e si può veder presso molti l’iscrizione ond’esso fu ornato. Ma più assai di qualunque iscrizione ne renderanno gloriosa a’ posteri la memoria le grandi cose da lui operate e sofferte a vantaggio della Chiesa, e le rare virtù di cui fu in ogni tempo modello ed esempio. Le continue fatiche perciò da lui sostenute non gli permisero di lasciarci molli SECONDO 48/ monumenti del suo sapere. Alcune lettere latine a Federigo Nausea vescovo di Vienna (Epist miscell ad Feder. Naus. p. 271, 298, ec.) e una al cardinale Cortese (Cortes. Op. t. 2, p. 182), parecchie italiane tra quelle del cardinale Polo, e qualche altra sparsa in altre raccolte, un’ orazion da lui detta nel concilio di Trento, che leggesi nella edizion de Concilii, e un’altra a Ferdinando re de’ Romani (Orationes Procerum, Friburgi 1543), le costituzioni da lui promulgate nel sinodo tenuto in Modena nel 1565,e le leggi pel governo di Genova, sono le sole cose di lui rimasteci. Alcuni aggiungono ch’ ei ripurgò le Opere di S. Girolamo dagli errori di cui aveale macchiate Erasmo; ma di ciò non ritrovo nè certa pruova, nè più distinta notizia. XXIV. Anche dal cardinale Seripando non v’ha finora chi abbia scritta la Vita con quella esattezza che a un tanto uomo si conveniva; perciocchè poco è ciò che ne han detto il P. Felice Milensi agostiniano innanzi a Comenti del Seripando sulle Lettere di S. Paolo, e gli scrittori delle Biblioteche del suo Ordine e del regno di Napoli, de’ primi fra’ quali il più recente è il P. Gianfelice Ossinger (Bibl. August Ingolstad. 1768,fol. p. 836), dei’ secondi il sig Giambernardino Tafuri (Scritt. del Regno di Nap. t. 3, par. 2, p. 193, ec.). A ciò clfessi, e gli autori da loro citati, ne dicono, procurerò io di aggiugnere alcune altre notizie che sempre più faccian conoscere il raro merito di questo dottissimo cardinale. Ferdinando Seripando e Luigia, o, come altri la dicono. Isabella Galeotta, amendue di assai nobil famiglia, 488 turno gli furono genitori; ed ei nacque in Troia a 6 di maggio del i /j<j3, ed ebbe al battesimo il nome di Troiano, che cambiò poscia in quel di Girolamo, allor quando entrò nell'Ordine 'di s. Agostino, ov ebbe la sorte di esser trascelto a suo segretario dal celebre cardinale Egidio da Viterbo, Io nol seguirò nè nel corso de diversi suoi studi, dai quali vedrem tra poco quanto frutto ei traesse, nè nell esercizio deU’aposto lica predicazione che il rendette celebre per tutta Italia, nè nelle cospicue cariche che nel suo Ordine gli furono affidate, finchè nel 1539 ne fu eletto generale. Ma non vuolsi tacere un' onorevole testimonianza che di lui ci lasciò uno scrittor di que tempi, cioè il celebre Ortensio Landi, a cui niuno, ch’io sappia, ha finor posto mente. Ne' due suoi capricciosi Dialoghi, l' uno contro, l’altro a favore di Cicerone, stampati in Milano senza nome di autore nel 1534 e intitolati il primo Cicero relegatus, il secondo Cicero revocatus, egli introduce fra gli altri Girolamo Seripando con Antonio di lui fratello: Aderat in primis Hieronynius Set ipandus una cum amantissimo fra tre Antonio Seripando, in quibus omnia sunt, quae aut fortuna hominibus, aut natura largitur (p. 2); e ci fa vedere quanto egli fosse stimatore e seguace di Cicerone, facendolo disputare contro chi parlavane con disprezzo: Hic cum dicendi Jìnemfecisset Aphriranns, Seripandus, qui solitus erat Ciceronem semper in sinu gestare, illum passim pleno ore dilaudare visus est graviter commotus, totusque rubore perfusus; Nae, tu, inquit, Aphricane, ec. (p. 5). Parlando poscia SECONDO 489 degl1 imitatori ili Cicerone, nomina il Seri pan do fra gli altri, e raimnenlu non so quali cento questioni da lui scritte: Quod si legeritis centum illas quaestiones, quas Hieronymus Seri panda s conscripsit, di erre tis opinino non ab homi ne auopiarn, sed ab angelica mente conscriptas. Illas mihi inspiciendi copiam fecit Neapoli illius disciplinae mirificus aemulator Hieremia Landus, quo nomine me illi obstrictum, non solum confiteor, sed etiam gaudeo (p. 22). Questi dialoghi si suppongon tenuti poco innanzi al tempo in cui vennero a luce; e certo dopo il 1529, perciocchè in essi si nomina il Morone come già vescovo (p. i5)j ed è perciò probabile che il Seripando, venuto a Milano per predicarvi, si facesse ivi conoscere ed ammirare. Mentre era generale del suo Ordine, intervenne al concilio di Trento, e vi fece ammirare non meno la sua destrezza nel conciliar la discordia insorta intorno al modo con cui intitolar quel concilio (Pallav. Stor. del Conc. di Trento l. 6, c. 6), che il suo sapere nel disputare eruditamente che fece su molte delle proposte quistioni (ivi c. 9; l. 7, c. 9, 19 j l. 9, c. 8). Dopo aver per dodici anni sostenuta la carica di generale, la dimise spontaneamente nel 1551, e ritirossi a vivere fra gli amati suoi studi a Posilipo. Ma poco gli fu permesso il godere di quel dolce ritiro. L'an 1553, volendo i Napoletani inviare uno in lor nome all imp Carlo V, scelsero il Seripando, che da lui era stato udito più anni prima predicare in Napoli con sommo applauso. Cesare non solo lo accolse con molto onore, ma a lui ancor 49° libro destinò la sede arcivescovile di Salerno allora vacante; e il Seripando che avea già rifiutato il vescovado dell'Aquila, non potè questa volta sottrarsi al peso. Tornato dunque in Italia, e preso nel 155.| il possesso della sua Chiesa, colla celebrazione del sinodo, colla riformazione del clero, col ristoramento delle fabbriche e de sacri arredi, compiè verso di essa i doveri di saggio e zelante pastore. Nel i5(5i a’ 2G di febbraio fu da Pio IV' onorato della sacra porpora, e nel tempo ch ei trattennesi in Roma, fu un di quelli che con più fervore si adoperarono perchè si aprisse dal papa una magnifica Stamperia, e fosse chiamato a presiedervi Paolo Manuzio (V. Pogian. Epist. t. 1, p. 328, 330, 333; Miscell Coll. rom. t. 2, p. 3i-), di clic altrove si è detto. Pochi giorni appresso fu dallo stesso pontefice nomin ilo tra1 presidenti al concilio che allor dovea riaprirsi; ed egli nell andare a Trento, passando per Bologna, ebbe l onore e la sorte di riunire in pace i due celebri letterati, il Sigonio e il Robortello, che già da gran tempo si combattevano furiosamente fon l1 altro (V. Pogian. Epist t. 2, p. 317). Di ciò ch’egli operasse nel proseguir quel concilio, ognun può vederne il racconto nelle Storie di esso. Aggiugnerò solamente ch’ei fu uno de destinati a formarne i decreti e i canoni; ove vuolsi avvertire che il ch. P. Lagomarsini ha dimostrato esser falso (ib. t 3,^99) ciò che alcuni affermano, cioè che i detti decreti e canoni, quanto allo stile, fosser opera di Paolo Manuzio. Mentre il cardinale Seripando promuoveva felicemente un' opera sì vantaggiosa SECONDO 49* alla Chiesa, fu sorpreso in Trento da mortal malattia. Il suddetto P. Lagomarsini ha pubblicate più lettere scritte in quel tempo dagli altri due legati, i cardinali Osio e Simonetta, al cardinale Borromeo, che sono un grande elogio di questo loro collega: Egli si è questa mattina, scrivevan essi a’ 15 di marzo del 1563, comunicato un altra volta, et ha presa l’ estrema unzione, et se ne sta aspettando l' hora, che Dio lo chiami, con tanta quiete d animo, ch’ è quasi incredibile a chi nol vede. Nella persona sua fa la Santità di N. S. una grandissima perdita, che così facilmente non se ne potrà ristaurare, et siam costretti a dolercene con esso lei gravissimamente, et a raccomandarle con tutto l animo questa povera famiglia sua, che ora restando senza patrone, il quale per haver poco, poco le ha potuto dare, et lontana tante et tante miglia da casa sua, ha bisogno di esser dalla cortesia di Sua Beatitudine sovvenuta (ib. p. 280). Egli morì in fatti a" 17 di marzo; e Egidio Marchesini domenicano ne recitò l orazion funebre, che stampata allora è stata poi inserita dal P. Ossinger nella sua Biblioteca. XXV. Gli onori a cui col suo sapere e co suoi studi pervenne il cardinale Seripando, potrebbon provarci abbastanza ch ei fu uno de più illustri teologi di questo secolo. Nè ei fu solamente teologo, ma ogni altra sorta di sacra e di umana letteratura abbracciò con successo; e fu un dei pochi che sapessero abbellire ed ornare la stessa teologia, sicchè ella potesse piacere anche a’ nimici delle scolastiche sottigliezze. Quindi il Poggiano, in una lettera a lui /|92 LIMO scritta, fra le altre lodi con cui lungamente lo esalta, quella gli attribuisce singolarmente di aver congiunta a una profonda dottrina una rara eleganza: Is enim es, qui, cum esset illa macula horum, temporum die am an hominum? horrido cuidam et incondito doctrinae generi deditorum, omnem contemnercjlorem et commoditatem orationis, summa eruditione parem copulasti eh'ganti am, e/ studia humanitatis ab aliis di scerpi a, atquc divulsa ratione et e cere itatione conjunxisti: quare, ut vitae ac religionis!, sic mentis et orationis tuae excellens ista perfectio est admirabilis (t. 2, p. 317). Avea in fatti il Seripando coltivati gli studi dell eloquenza, della filosofia, delle lingue greca ed ebraica, ed abbiam poc’anzi veduto quanto grande ammiratore ei fosse di Cicerone. Molte e di genere tra lor diverse sono le opere da lui composte, il catalogo delle quali si può vedere presso i sopraccitati scrittori. Molte di esse e singolarmente parecchi trattati teologici son rimasti inediti, e si conservano nella libreria di s Giovanni di Carbonara in Napoli del suo Ordine, da lui arricchita di molti e scelti libri. Alle stampe ne abbiamo i Comenti sulle Lettere di S. Paolo a' Romani e a’ Galati colla risposta ad alcune quistioni sulle medesime; le Prediche italiane sul Simbolo degli Apostoli, che sono veramente omelie scritte semplicemente ad istruzione del popolo; una Orazion funebre latina nella morte di Carlo V; un opuscolo dell'Arte di oratore, e le nuove Costituzioni del suo Ordine, aggiuntovi un compendio storico delle cose più memorabili in esso SECONDO j()3 avvenute. A ciò debbonsi aggiungere diverse lettere del Seripando, che dal P.Lagomarsini sono state qua e là inserite ne’ quattro tomi delle Lettere del Poggiano da lui pubblicate. Che cosa fossero le cento Quistioni che abbiam udite poc anzi lodarsi tanto da Ortensio Landi, non saprei congetturarlo. Tra le opere mss. del Seripando trovo accennate Quaestiones 67 adversus haereses hujus temporis; ma oltrecchè il numero è diverso, parmi difficile che il Landi volesse esaltar cotanto un opera di tale argomento. XXVI. De’ vescovi e de’ teologi che intervennero al concilio, alcuni dovranno da noi rammentarsi a luogo più opportuno, come Cornelio Musso. Girolamo Vida, Antonio Minturno, Daniello Barbaro, Giannantonio Volpi e più altri; altri, benché fossero uomini dotti, non ci han però lasciate tali opere che abbiano loro ottenuto luogo tra’ più illustri teologi. Ristringiamoci dunque ad alcuni dei quali è rimasta più chiara fama. Tra essi un de’ più"celebri fu Ambrogio Catarino domenicano. Egli era sanese di patria, e fu detto nel secolo Lancellotto Politi. Solo in età di 30 anni, e dopo avere non solo presa la laurea nelle leggi in Siena, ma sostenutane ancora ivi la cattedra, dopo aver viaggiato per l’Italia e per la Francia, e dopo essere stato avvocato concistoriale alla corte di Leon X, entrò nell’Ordine de’ Predicatori l’an 1517, e cambiò non solo il nome proprio, ma il cognome ancora, prendendo quelli di Ambrogio Catarino per la divozion sua verso S. Ambrogio e s Catarina da Siena. Diedesi 4y4 libro allora agli studi teologici, e per meglio istruirsene passò in Francia nel 1532, e vi si trattenne circa dieci anni. Tornato indi in Italia, fu inviato al concilio di Trento, ov egli ebbe campo a spiegar largamente non solo il suo vasto sapere, ma ancora la sua indole bellicosa; perciocchè gravi contese vi ebbe per diverse opinioni con altri teologi dell’ Or din suo, come con Bartolommeo Caranza, con Domenico Soto, con Bartolommeo Spina maestro dei sani y palazzo; e le contese non si ristettero in semplici dispute a bocca, ma si fecer pubbliche con più libri stampati dagli uni contro gli altri, in alcuni dei quali non vedesi (quella saggia moderazione che al luogo, al tempo e all argomento si conveniva; e di questo suo talento nel battagliare avea egli già data pruova ne’ libri scritti contro del Gaetano, come al principio di questo capo si è detto. L’an 1553 il pontef Giulio III che avea avuto il Catarino ancor secolare a suo maestro in legge, e che dal vescovado di Minori conferitogli da Paolo III nel 1557 avealo due anni prima trasferito all’arcivescovado di Conza, chiamollo a Roma; ed era comune opinione ch’ei dovesse ricever l’onor della porpora; ma nel viaggio sorpreso in Napoli da mortal malattia, ivi finì di vivere agli 8 di novembre del detto an 1553; le quali circostanze della vita di questo dotto teologo si posson vedere più ampiamente distese e con opportuni monumenti provate dai’ padri Quetif ed Echard (Script. Ord. Praed. t 2, p. 144, ec.); presso i quali ancora si troverà un esatto catalogo di tutte l’ opere teologiche SECONDO.{l¿5 in grandissimo numero da lui composte, e delle diverse loro edizioni, Io non voglio annoiare i lettori col parlare di ciascheduna; e mi basterà il dare una breve idea di esse, e del metodo del loro autore. Il cardinale Pallavicino ne ha fatto in poche parole il vero carattere, dicendolo uomo di somma riputazione ne suoi anni di minore nelle sue opere, forse non favorito in esse dall universale estimazione altrui, perchè egli in esse meno stimò l universale opinione altrui: ma nelle contese cogli Eretici, e nelle J'unziotii del Concilio non fu egli inferiore (d applauso a veruno de coetanei o de colleghi (Stor. del Conc. di Trento, l. 13, c. 8). E veramente sarebbe degno di maggior lode il Politi, se alla vivacità dell’ingegno e all estension del sapere avesse congiunta una uguale moderazione nel proporre le sue opinioni e nell impugnare le altrui; che in tal maniera nè egli avrebbe sostenute tali sentenze che gli furono a ragione rimproverate, e per cui qualche sua opera è stata registrata nell Indice, nè‘col levarsi con troppo ardore contro gli altri, avrebbe costretti molti a impiegare in contese inutili quelle fatiche che meglio sarebbono state rivolte a difendere la Chiesa contro gli eretici. Ei nondimeno fu un de primi a prender farmi contra Lutero, e fin dal 1520 pubblicò in Firenze un libro contro di esso, indirizzandolo all' imp Carlo V. Egli scrisse ancora contro gli errori dell" apostata Ochino; ma i PP. Quetif ed Echard debbono aver preso errore, affermando da lui stampato in Roma nel i53.i il libro intitolato Speculum Haereticorum contra XX VII. F^utin Foujrdii. Ì[)C) 11 mto tìemardinitm O chini ini, perciocché 1’ Ocliino non apostatò che nel i5.^2. Collo stesso zelo che contro gli eretici, ei si rivolse contro la memoria, le dottrine e le profezie del suo correligioso Girolamo Savonarola, di cui per altro con lessa egli stesso ch era stato dapprima ammiratore e divoto. Ma qui ancora ei trovò chi caldamente gli si oppose, cioè il p Tommaso Neri religioso dell’Ordine stesso (V. Zeno, Note al Fontan. t. 2, p. 1 S\, ec.), e più di fresco ha risposto al Politi l eruditissimo sig. Giannandrea Barotti Difesa degli Scritt ferrar, par. 2, cens. 8). XXVU. Meo f, »condo di opere, ma più regolato e più saggio fu l’ingegno di un altro teologo domenicano, cioè di Egidio Foscarari, nato di antica ed illustre famiglia in Bologna a' 27 di gennaio del 1512. Entrato ancor giovinetto ueirOrdin de’ Predicatori, pel felice progresso in tutti gli studi e pel costante esercizio delle più belle virtù, salì presto a tal fama, che dopo aver sostenute più cattedre e retti molti conventi dell’ordin suo, fu da Paolo III nel 1546 chiamato a Roma e fatto maestro del sacro palazzo. Quattro anni appresso per la rinuncia del cardinale Morone fu eletto vescovo di Modena, c fanno i55i inviato al concilio di Trento. Poichè questo venne sospeso nell anno seguente, tornato il Foscarari a Modena, governò questa Chiesa per varii anni con fama di santissimo e zelantissimo pastore. Oltre l accrescimento della fabbrica del vescovado (V. Ughell. Ital. sacra, t. 2 in Episc. Muti ri.), ei fu liberalissimo sovvenitore de’ poveri; e il SECONDO 497 celebre arcivescovo di Braga Bartolommeo de Martiri, che ne fu testimonio, non potè non istupire altamente che un vescovo che appena avea mille ducati di entrata, potesse esser sì prodigo nelle limosine (V. Script. Ord Praed. t. 2, p. 185). A ciò aggiunse e la erezion del Monte di pietà, che si dovette al zelo del Foscarari, e la fondazion da lui fatta di un ricovero per le donne di rea vita. Tante e sì rare virtù il rendean l’oggetto dell amore e della venerazion del suo gregge ma non bastarono a sottrarlo ai morsi della calunnia e dell'invidia. A 21 di gennaio dell an 1558 fu egli ancora per ordine di Paolo IV chiuso in Castel S. Angelo pe’ sospetti da noi poc anzi accennati; e benchè il pontefice poco appresso avvedutosi di essere stato ingannato, gli offrisse la libertà, ei ricusolla dapprima, finchè non fosse dichiarato innocente (a). Fu nondimeno tratto di carcere a 18 di agosto dello stesso anno; e ne fu poscia sotto Pio IV riconosciuta e dichiarata pubblicamente la totale innocenza. Così tornato alla sua Chiesa, e ricevutovi quasi in trionfo, dovette poscia partirne presto di nuovo per recarsi nel 1561 al ripigliato concilio j e delle cose da lui ivi operate si posson veder le Storie di quella grande adunanza. Qui basti il dire che ed egli fu uno de’ trascelti a formare i Canoni (V. Pogiani, (a) Alcuni bei documenti intorno «Ila piigionia del Fosca rari si posson vedere presso il co. Fantuzzi (Senti. btiLfgn. t. 3, p. 347, cc.), a cui mi son l’alto un dovere di comunicarli. Tin Attoscai, Voi. X. libro Epist. I. 3, ¡). yy),e, poiché fu finito il! concilio, egli l’u uno dei deputati a stendere il Catechismo romano, e a riformare il Messale e il Breviario; nel che ebbe a compagni Leonardo Marini genovese domenicano arcivescovo di Lanciano, di cui parlano ampiamente i pp Quetif ed Le hard (l. cit. />. 228/, Francesco Foreiro portoghese dello stesso Ordine, e Muzio Calini arcivescovo di Zara. di cui ora diremo. Poichè questi ebbero soddisfatto a ciò ch era da essi richiesto, fu dato l incarico a Giulio Poggiano natìo di Suna nella diocesi di Novara sul Lago Maggiore, scrittore elegantissimo, di cui il più volte citato P. Lagomarsini ha date alla luce in quattro tomi le Lettere e le Orazioni illustrate con ampie note; fu, dissi, al Poggiano e ad alcuni altri dato l incarico di rivedere il Catechismo, in ciò che apparteneva alla latinità. Intorno a che veggansi il citato P. Lagomarsini, che comentando la lettera del vescovo Graziati i sulla Vita del Poggiano da lui premessa alle Opere di questo colto scrittore, ha esaminato e rischiarato con singolar diligenza questo punto di storia Mentre il Foscarari dispone vasi a far rit uno alla sua Chiesa, fu sorpreso dalla morte in Roma a 23 di dicembre del 1564, contandone egli soli 53 di età. Trattane la parte ch egli ebbe nello stendere il Catechismo (n), e (a) Ella è opinione adottata da molti, e anche dal ch. ab. Denina (k'iccndta dt lUi Leltrr. f. 1, p. 1 ()/>, ed. di Berlin), che il Catechismo romano fosse messo in buon latino da Paolo Mannaio. Apostolo Zeno mea SECONDO 499 nel riformare il Breviario e il Messale, non si ha di esso opera alcuna alle stampe; e deesi correggere l errore de’ PP. Quetif ed Echard, che sembrano a lui attribuire l’ Ordine de giudizii nel Foro ecclesiastico, che fu opera di un altro Egidio Foscarari professor di canoni nel secolo XIII, da noi mentovato a suo luogo y t. 4, P- 4^5). XXvJlI. Più altri teologi ebbe al concilio di Trento l'Ordine de’ Predicatori, de’ quali troppo lungo sarebbe il favellare distintamente. Fra essi furono Francesco Romei e Vincenzo Giustiniani generali dell’Ordine, e il primo di essi autore di molte opere teologiche (Script. Ord. Praed. t. 2, p. 125, 164); Pietro Bertano nato nel 1501 in Nonantola nel territorio di Modena, vescovo di Fano, adoperato dai’ papi in molte e difficili legazioni, e fatto Cardinal nel 1551, il quale nelle adunanze del sinodo fece più volte conoscere il suo profondo sapere, e morì poscia in Roma nel 1558 (ib. p. i(56; Mazzucch. Scritt. ital t. 2, par. 2, p. 1031), di cui ci ha lasciata memoria nei’ suoi Annali mss. Alessandro Tassoni il vecchio (ad ann. 1551) cugino del cardinale, perchè figliuoli amendue di due sorelle, Alessandro di Polissena, il cardinale di Bianca figlie di Giovanni Calori (a)) Jacopo Nachianti » già avvertito (Note ni Furtìnn. t. 2, p. 43'-*) che '1 Manuzio insieme col Poggiano e coll* Amaiteo nc avean solo ripiugiito e corretto lo stile. Ma il suddetto Padre Lagumnrsini lia dimostrato ebe it Manuzio non altra parte ebbe nel Catechismo, che quella di stamparlo. («) Del cardinale Vertano più copiose notizie si posson vedere nella Biblioteca modenese ((. i, p.; l. G, p. 3i). 5oO LI URO fiorentino fatto vescovo di Chioggia nel *->44; e inolio nel 1569) (Script Ord. Praed. l. c. p. 202), il quale nel concilio di Trento mostrò il suo sapere non meno che la docile sommissione nel ritrattare qualche opinione troppo liberamente proposta (V. Pallav. Stor. l. 6, c. 14), e di cui abbiamo più opere rammentate da1 PP. Quelif ed Echard, da’ quali però si ommette la Sposizione del salmo Qui habitat stampata dal Giolito in Venezia nel 1551 j Girolamo Vielmi veneziano vescovo prima di Argo nel Peloponneso; poscia di Città nuova nell’ Istria, e morto nel 1582. fra le cui varie opere è pregevole singolarmente quella de D. Thomae Aquinatis doctrina et scriptis più volte stampata (Script Ord. Praed. t. 1, pars 2, p. 264); Bartolommeo Spina maestro del sacro palazzo, che, benchè non intervenisse al concilio, fu nondimeno tra’ destinati in Roma a rispondere alle quistioni che da’ que’ Padri venivan proposte, e di cui si hanno alle stampe non poche opere (ib. p. 126). Gli altri Ordini religiosi ancora ebbero a quella grande assemblea parecchi de’ lor teologi che vi diedero pruove del profondo loro sapere. Ma a me non è possibile il ragionare, benchè brevemente, di tutti. Perciò ancora io non farò che accennare alcuni altri cardinali e prelati, dalla presenza de’ quali fu onorato quel sinodo, e che potrebbono somministrare ampio argomento alla storia, se a più altri oggetti non si dovesse ella rivolgere; come Marcantonio Colonna arcivescovo di Taranto, e poi cardinale, che per la vasta sua erudizione ne" teologici non meno SECONDO 5oi che ne’ filosofici studi, pel favore di cui fu sempre liberale verso gli uomini dotti, per la destrezza nel maneggio de’ difficilissimi affari che gli furono confidati, per la liberalità verso de’ poveri, ottenne sì alta stima, che fu dappresso ad essere innalzato alla cattedra di S. Pietro (V. Ciacon. in Pio IV)) Francesco Abondio Castiglione milanese vescovo di Bobbio e poi cardinale, e morto in età di soli 45 anni nel 1568, uomo e nella sacra e nella profana letteratura dottissimo, ma di cui io non so come si affermi dall’ Argelati che fu da Gregorio XIII destinato a correggere il corpo del Diritto canonico (lì ibi. Script, mediol. t. 1, pars 2, p. 358), mentre questo pontefice non fu eletto che quattro anni dopo la morte del cardinale Pier Francesco e Guido Ferrei i, zio e nipote, amendue vescovi di Vercelli lor patria, amendue fatti cardinali da Pio IV, morti, il primo nel 1566, il secondo nel 1585 (Ciacon. l. c.) Ughell. Ital. sacra in Episc. Vercell.), e celebri amendue per le dignità e gli impieghi con molto onor sostenuti, e pel loro amore pe’ buoni studi, e il secondo singolarmente, a cui abbiamo due lettere di Pier Vettori, una scritta a 29 di ottobre delfaimo 1068, in cui lo ringrazia perchè insieme col cardinale Alessandro Crivelli si era degnato di divertire in una sua villa, l’altra a' 4 di febbraio dell"anno seguente, in cui n esalta con somme lodi la vastissima erudizione e la singoiar Facili ti» nello scriver greco e latino (Victor. Epist. l. 7, p. i5G. i6o)j Girolamo Ragazzoni vescovo di Nazianzo e coadiutore di Famagosta, indi vescovo di Muxio 0*lini. 5oa uduo Bergamo e nunzio in Francia (Ughell. in. Episc. Bergom.), di cui abbiamo ancora un Comento sulle Epistole famigliari di Cicerone, stampato in Venezia nel 1555, e alcune Orazioni; Marco Vigerio vescovo di Sinigaglia, rammentato più volte con lode dal cardinale Pallavicino (l. 8, c. 4j <). c. j5)j Filippo Archinto prima senator di Milano, e da Carlo V onorato di cospicue cariche, poscia governator di Roma per Paolo III, e vicario dello stesso pontefice e di Giulio III, vescovo di Borgo S. Sepolcro, indi di Saluzzo, e finalmente arcivescovo di Milano, di cui ha scritta lungamente la Vita Giampietro Giussani. Questi e più altri, che potrei similmente venir nominando, io passo sotto silenzio; e fra l grandissimo numero di quelli fra gl'italiani che intervennero al concilio, mi ristringo a parlare ancor di due soli vescovi, cioè di Muzio Cali ni arcivescovo di Zara, e d’Isidoro Clario monaco casinese e vescovo di Foligno. XXIX. Poco era ciò che del Calini sapevasi; e il primo a rischiararne in qualche modo la memoria è stato il più volte citato P. Lagomarsini (Praef. ad Pogian. Epist. p. 21, ec.). Egli era bresciano della nobil famiglia di questo nome, e in età giovanile fu al seguito di Luigi Cornaro che fu poi cardinale, e con lui navigò all’isola di Cipri. Così raccogliesi da una lettera senza data di Paolo Manuzio a Francesco Luisini, in cui del Calini così gli scrive: Calinum puto non nosti. qui clarissimum picene ni /¡loysium Corncìium, singularis viri Jo. Comclii fiìium, in Crprimi insula ni scculus, I SECONDO 5o3 tertinm jam annitrii abest. Sed mihi hoc velim credas affirmanti. ea bona que magister tnus A ristateles larulabilia esse dicit, omnia fere in illo adolescente aut esse jam, aut brevi, ut ego auguror, futura (l. 1, ep. 10). Il Cornaro fu preso per modo dalle virtù del Calini, che a lui rinunciò il suo arcivescovado di Zara, e con tal carattere egli intervenne al concilio di Trento, ove la stima che di lui avean que' Padri, il fece sceglier più volte ad arringare pubblicamente. Quattro delle orazioni da lui tenute in quel sinodo, e una lettera da lui scritta, si posson leggere presso il P. Lagomarsini, il quale avverte ancora che presso il sig. cardinale Lodovico Galini, conserva vansi tuttora due tomi di Lettere italiane di Muzio, altre scritte in tempo del sinodo, altre in altre occasioni, e alcune a nome del cardinale Cornaro, e una ancora se ne ha nella libreria Nani in Venezia (Cod. Libr. Nani, p. 127). Ei fu uno, come si è detto, de’ deputati a comporre il Catechismo romano, e a riformare il Breviario e il Messale, ed egli ebbe ancora la cura di formar l Indice de libri proibiti. In premio di queste sue fatiche ei fu promosso fanno i566 dalf arcivescovado di Zara al vescovado di Terni, e abbiamola lettera che Paolo Manuzio gli scrisse, congratulandosi di tal promozione (l. 7, ep. 26), insieme coll elegante risposta fat tagli dal Calino (Epist. cl Viror. ed. Ven.. 1568, p. 155). Ei nol tenne che circa tre anni, e morendo nel 1570, lasciò al suo gregge dolce ed onorata memoria del suo amore, della sua generosa beneficenza a pro de" poveri, e di tutte le più bolle 5o4 LIBRO virtù, coinè ci mostra una lettera di Lancillotto Gubernari canonico di Terni, pubblicata dallo stesso P. Lagomarsini. XXX. Più celebre è il nome del Clario, perchè più gran fama egli ha ottenuta colle dotte sue opere. E nondimeno non si è fino a nostri tempi saputo di qual famiglia egli fosse; perciocchè il cognome di Clario non è di famiglia, ma di patria, essendo egli nato in Chiari nel territorio di Brescia l’an 1495. Il sig can Lodovico Ricci da una lettera del can Lodovico Alessandrini amico del Clario da lui trovata nell’archivio della collegiata di Chiari, e insieme con alcune lettere del Clario stesso da lui data in luce (Calog. N. Racc. d Opti se. L 4* p■ 217), ha raccolto ch’ei chiamavasi al secolo Taddeo Cucchi. Entrato nell’Ordine di S. Benedetto nel monastero di S. Giovanni di Parma nel 1517, si avanzò tanto negli studi delle lingue ebraica, greca e latina, della teologia e della sacra Scrittura, che fu rimirato come uno de’ più dotti uomini del suo tempo. In Parma continuò per più anni il suo soggiorno e i suoi studi. Ma egli insieme cogli altri monaci dovette nel 1529) esser soggetto a qualche sinistra vicenda; e pare che con alcuni altri fosse costretto a partire da Parma: Scio te, scriv egli a Francesco Bellincini gentiluom modenese pretore in quella città, e uomo assai celebre nelle leggi (Epist. p. 243), posteaquam in exilium acti sumus, qua te animadverti esse erga nos benevolenza et pietà te, iniquo animo tulisse discessum nostrum, atque adeo fugam potius et relegationem; id quod viris omnibus SECONDO 5o5 Louis video daluisse, praesertim cum nulla privata cujusquam nostrum culpa acciderit. Forse fu ciò effetto delle frequenti rivoluzioni che di que’tempi, a cagion delle guerre, accadevano in Italia. La suddetta lettera però è scritta da Torchiara, luogo del Parmigiano, ov era allora una casa del suo monastero, e ove egli solea ritirarsi sovente a coltivare più tranquillamente i suoi studi; il che ci mostra che non fu quello un vero esilio, ma più probabilmente Feffetto di qualche sventura che gli costrinse a lasciar la città e a ritirarsi alla campagna. Ove si stesse il Clario fino al 1537, non vi ha monumento che ce lo indichi, ed è verisimile che o tornasse a Parma, o si rimanesse in Torchiara. Nel detto anno ei passò ad esser priore in questo monastero di Modena. E perchè penso, scriveva in detto anno il P. ab Cortese, poi cardinale, al cardinale Contarini (Op. t. 1, p. 119), V. S. Reverendissima avrà grato intendere nuove del nostro P. D. Isidoro, la saprà, come essendo esso già da molti anni affezionato alli genii ed ingegni Modenesi, ora si è ridutto ad abitare con loro, fatto Priore di quel M011 asterio, dove per la bella e grata conversazione non dubito sarà consolatissimo. Del Clario fa menzione il Cortese in altra lettera scritta da S. Benedetto di Mantova a' 2.\ di aprile del 1540: Il nostro Ven. P. D. Isidoro al presente si ritrova qua per conto del Capitolo, et ha portata con sè una Orazione al mio giudizio bellissima, il stato della quale è, con qual modo si debbono usare le ricchezze; la quale avendo fatta stampare, ne mando una qui alligata (ivi, 5uG LIBRO p. 129). Quest«! Orazione è stata ristampata di nuovo, e unita alle Lettere del Clario dal P. ab Bacchini (Mutuine y 1700, 4°)> hisieme colf Esortazione alla concordia da lui indirizzata agli Eretici. Fu poscia il Clario eletto abate nel monastero di Pontida nella diocesi di Bergamo, indi di quello di s Maria di Cesena, e finalmente nel 1547 fatto vescovo di Foligno, la qual Chiesa egli resse felicemente, e ne promosse i vantaggi col celebrar quattro sinodi e col fomentare gli studi, radunando perciò un’accademia d’uomini dotti nel suo vescovado; ed ivi finì di vivere a 28 di maggio del i555 (a). Intervenne al concilio di Trento come abate, e poi come vescovo; ed ivi ebbe ampio campo a darvi saggio del suo sapere. E.l era egli veramente uomo dottissimo, come ben ci mostrano le molte opere da lui composte. Oltre le due mentovate poc’anzi, oltre più tomi di Omelie, di Prediche, di Orazioni diverse, delle quali si può vedere un esatto catalogo presso il P. Armellini (Bibl. bened. casin, pars 2, p. 49? cc*)j d quale ancora ragiona a lungo delle cristiane e religiose virtù di cui egli diede rarissimi esempii, egli è celebre principalmente per la correzion da lui fatta della Version volgata della sacra Scrittura, confrontandone il Testamento Vecchio cogli originali (a) Qurst‘opoc.1 por sicura, p rollò appogq:at«! n!l iicririon sepolcrali; del Ciano. Ma certo vi è c«nso errore, peroni» nell’avviso dello stampatore, premesso all'edition della Rifili.! del i’ÍV’ si parla eli lui oorac di uomo vivente: Illustrata ai Isidoro Clario uunc Episcopo Fulgía utc. SECONDO fio 7 ebraici, e il Nuovo co’ greci, e facendo in tal modo quasi una nuova versione, a cui aggiunse ancora brevi dichiarazioni a spiegare i passi oscuri. La prima edizione che ne fu fatta in Venezia nel 1542, sollevò qualche rumore contro il Clario, perchè parve ch'ei ragionasse con disprezzo della Volgata; ed essa fu perciò posta tra libri proibiti. Ma l autore avendola riveduta e corretta, ne fu poscia, dopo la morte di esso, nel j5(x| fatta pure in Venezia una nuova edizione, troncatane la prefazione e i prolegomeni, e per tal modo permessa ne fu la lettura (a). Un’altra taccia presso alcuni più grave di quella che nasce dalla proibizione di un (a) Non è esatto ciò che qui si dice del Gai io. Cr litro la prima edizione l'alta nel 1542 non par che. si movessero difficoltà, ma solo contro la seconda pubblicata nel 1557 con molte aggiunte dall’autor medesimo inserite. Fu allora che si eccitò il rumore, e la Biblia del Clario fu proibita, e quindi nasce la gran rarità della prima, e quella torse ala lie maggiore della seconda. Nel i 5G.| videsi uscirne una nuova edizione. Ma essa, se esattamente si esamini, è non solo conforme a quella d. 1 i55y, ma è la stessissima; e il sol cambiamento che vi è fatto, si è, che ne è stato cambiato il frontespizio, e ne sono stati tolti i tre primi fogli della prefazione e de" prolegomeni; perciocchè in quello dicevasi quorum alterum (cioè il Test imonio Vecchio) ad Hebraicam, alterum (cioè il Nuovo) ad Graecam vtritatem emenda:uni al diligentissime, colle quali parole pareva che si volesse censurar la Volgata. E con questi soli cambiamenti ordinati, come è verosimile, da’deputati del concilio di Titolo, tu Bihlia del Clario fa permessa. Di queste riflessioni e di alcune altre sullo stesso argomento, che per brevità tralascio, io son tenuto all’erudizione e alla gentilezza del p D. Andrea Mazza abate casincse. 5o8 LlBllO libro, vien data al Clario, cioè quella di plagiario, affermando ch’egli si è in gran parte giovato delle Annotazioni di Sebastiano Munstero Protestante assai dotto, che qualche anno prima le avea pubblicate. Ma benchè sia vero che alcune delle note del Clario sembran tratte da quelle del suddetto scrittore, molte altre però son del tutto diverse, e si debbono interamente allo studio e all’erudizione di questo dottissimo monaco. Questi inoltre confessa modestamente di aver fatt’uso delle fatiche di altri interpreti della sacra Scrittura. E così, a dir vero, dee fare ogni uom saggio; perciocchè ove altri han già detto bene, non è egli meglio attenersi al lor sentimento, che esporsi staccondosene al pericolo di errare? Che s’ei non nomina espressamente il Munstero, ciò dee attribuirsi a un giusto riguardo che il Clario ebbe a’ tempi ne’ quali scriveva, perciocchè il citare un autor Protestante sarebbe stato un imperdonabil delitto, e avrebbe esposto il Clario a gran rischio di esser creduto uomo di non ben certa fede. Più cose intorno a ciò potranno vedersi presso quelli scrittori che trattano a lungo degl' interpreti biblici, come presso Sisto sanese, il Simon, il le Long e il Calmet. XXXI. Chiudiam la serie de’ personaggi che illustrarono col lor sapere il concilio di Trento, col ragionare di uno il quale, comunque appena v’ intervenisse personalmente, ebbe però gran parte nel promuoverne la continuazione, nel toglier gli ostacoli ad esso frapposti, e nell’ottenerne l accettazion da’ sovrani. Parlo del cardinale Gianfrancesco Commendone, uno SECONDO 5oy de’ più grandi uomini di questo secolo, di cui benchè non abbiamo opere che ci faccian pruova de’ suoi talenti e de’ suoi progressi nelle lettere e nelle scienze, sappi a m però, che’esse furono da lui coltivate felicemente; ed egli il diede a conoscere fra le altre cose in una cotal sua viva e robusta eloquenza, per cui credevasi che niuno potesse andargli del pari nel ragionare all’improvviso e innanzi a’ cospicui personaggi di qualunque più grave argomento. La \ ila che con molta eleganza ne ha scritta in latino Antonio Maria Graziani vescovo d’Amelia, e il molto che di lui ci raccontano tutti gli scrittori di quei' tempi, fa che sia inutile il dirne qui lungamente. Era egli nato in Venezia nel 1524 da Antonio Commendone oriundo da Bergamo, uomo versato nella medicina non solo, ma anche nell’amena letteratura, come si trae da una lettera a lui scritta da Bartolommeo Ricci, in cui si rallegra con esso del frutto maraviglioso che dagli studi fin d’allora raccoglieva il suo Gianfrancesco giovinetto di 13 anni (Riccii Op. t. 2, p: 403). Venuto a Roma nel 1550, si fece conoscere al pontef Giulio III con alcuni ingegnosi Epigrammi da lui composti sulla villa dello stesso pontefice' e questi, ravvisatone il raro talento e l’ottima indole, il nominò suo cameriere, ed esortatolo a coltivare ancora i più gravi studi, cominciò a valersene nel maneggio di alcuni affari. Il cardinale Dandino, destinato legato a Cesare nel 1553, il volle seco, ed egli cominciò a dar saggio della singolar sua destrezza nel difficile incarico che dal cardinale gli fu affidato \ 5»0 LIBRO di penetrare segretamente nell" Inghilterra per riconoscervi lo stato della Religione, e ciò ch’ella avesse a sperare dalla nuova reina Maria. D1allora in poi il Commendone fu continuamente occupato in nunziature e in legazioni 5 e appena vi ebbe parte d’Europa, a cui egli non fosse spedito. Se ne può vedere la serie presso il Graziani, che troppo lungi mi condurrebbe il darne pure un compendio. Paolo IV al! principio del suo pontificato il dichiarò vescovo di Zante e di Cefalo ni a 5 e il Poggiano scrivendo circa il tempo medesimo a Guglielmo Prusinoschio vescovo d’Olmutz, Nemo est, gli dice (Epist. t. 1, p. 201), mea quidem sententia, credo item tua, qui Commendono Episcopo ulla animi vel ingenii laude anteponi possit: nemo rursum propensior ad amandos eos, in quibus aliquod virtutis aut doctrinae lumen eluceat Hos ille homines, tute scis, comprehendit amicitia, tuetur obsequio, non eis onorifico testimonio, non diligenti commendatione deest, sed provehitur interdum amore, ut, quae vere de se narrare possit, ea praedicet de amicis. Di questo favore, di cui il Commendone onorava gli uomini dotti, parla ancora il Graziani, e fra quelli che da lui furono perciò amati e distinti, nomina Annibal Caro, Guglielmo Sirleto, Ottavio Pantagato, Jacopo Marmitta, Basilio Zanchi, Paolo Manuzio e il suddetto Poggiano (l. 1, c. 5). Tra le Lettere del Caro in fatti molte ne ha al Commendone, ed una fra le altre in cui leggiadramente descrive i tanti e sì lunghi viaggi per servigio della Chiesa da lui intrapresi (t. 2, letter. 165). Pio IV SECONDO 5 1 1 nel marzo del i565 il dichiarò cardinale, mentr’egli era nunzio in Polonia; e quanto alta stima avesse di lui il re Sigismondo Augusto, il dichiaran più lettere di quel sovrano, pubblicate dal P. Lagomarsini (Pogian. Epist t. 4, p. 20, ec.). Pio V non fece minor conto delle virtù e de’ talenti del Commendone, e lo adoperò egli pure in legazioni e in affari di grande importanza. Ma Gregorio XIII parve mal prevenuto contro di lui; e il Commendone sotto questo per altro sì saggio e sì virtuoso pontefice non solo visse dimenticato, ma fu ancora esposto a vessazioni e a molestie, finchè ritiratosi a Padova, ivi morì, come credesi, di rammarico a’ 25 di dicembre del 1584 Questo è un di que’ punti di storia che probabilmente non saran mai rischiarati abbastanza; perciocchè gli scrittori di que’ tempi ne parlano diversamente. Gli amici e i famigliari del Commendone ne incolpano il pontefice e il cardinale Farnese, da cui si vuole,che Gregorio si lasciasse condurre, come si può vedere presso il Graziani, che a lungo espone tali vicende del suo padrone, e cel rappresenta come ingiustamente preso di mira ed oppresso. Al contrario, i seguaci e gli ammiratori di Gregorio XIII ci destan qualche sospetto intorno al procedere del Commendone, e cel rappresentano come cagione a se stesso delle sue traversie, A 25 di Dicembre, dice il P. Maffei (Ann. di Gregor XIII, ì. i3, il. 12), in Padova finì i suoi giorni Gianfrancesco Commendone creatura di Pio IV', e Cardinale come di molti meriti, così di gran fama, e anco più memorabile, se avesse, 512 LIBRO come pochi, saputo o trattando i pubblici affari sfuggire l invidia, ed attemperarsi alla comune capacità delle genti, ovvero escluso da' negozii e dalla segreta comunicazione del Principe accomodarsi ad onorato recesso ed a sicura quiete. Tra queste discordi testimonianze come possiam noi. dopo ormai due secoli, definire a cui debbasi maggior fede? Ciò che possiam dire più verisimilmente. si è che, poichè e Gregorio XIII e il cardinale Commendone furono al certo due de’più grand uomini di quella età, avvenisse ad essi ciò che altre volte veggiamo, cioè che le relazioni e i discorsi d’uomini d’ingegno torbido e sedizioso, i quali mai non mancano alle corti, gittasser tra essi que’ semi di dissensione che non avrebbero germogliato, se ognuno avesse seguito i movimenti del proprio cuore e l’indole sua naturale. Nulla abbiamo alle stampe di questo gran cardinale, trattane qualche poesia latina tra quelle degli accademici Occulti (*)? de’quali ei fu protettore, e alcune lettere che qua e là ne ha inserite il P. Lagomarsini nelle sue Note a quelle di Giulio Poggiano, oltre moltissime altre che si conservano manoscritte. Nella copiosa e sceltissima raccolta di codici mss della libreria di S. Salvadore in Bologna conservasi un Discorso sopra la Corte di Roma del Commendone. {*) Nelle Poesie Ialine degli accademici Occulti non trovatisi versi del Cardinal Commendone, ma solo parecchi componimenti m lode di esso. SECONDO 5l3 XXXII. Benché nel concilio di Trento tulle le recenti eresie venissero abbattute per modo, che ad uom saggio non poteva rimaner più alcun dubbio intorno alla Fede cui doveva professare, i lor seguaci ciò non ostante, com era per lo più avvenuto ne’ tempi addietro, si rimasero in esse fissamente ostinati. Fu dunque necessario a' teologi cattolici il continuare a combattere contro de’ novatori, o per ridurli, se avesser voluto aprir gli occhi, sulla via della salute, o per tener lungi da loro errori coloro che corresser pericolo di rimanere sedotti. Molte in fatti furon le opere dopo il concilio date alla luce a tal fine, cui troppo lungo sarebbe il voler numerare distintamente. Un Compendio latino d’istituzioni cattoliche pubblicò nel 1565, insieme con alcuni altri trattati, il cardinale Clemente Dolera da Moneglia, già generale dell’Ordine de’Minori osservanti; e Paolo Manuzio, dalle cui stampe esso uscì, dedicandolo all’autor medesimo, n esalta con somme lodi il sapere. Del P. Antonio Possevino gesuita, che molti trattati scrisse a impugnazion degli eretici, ci riserbiamo a dire a luogo più opportuno. Una Somma di tutte le antiche e recenti Eresie fu pubblicata in Firenze nel 1581 da Sebastiano Medici. Si mone Maiolo, autore dell’opera intitolata Dies Caniculares, diè ancora in luce nel 1585 in Roma un’opera in difesa delle sacre immagini, al culto delle quali movevan guerra i Protestanti. Lelio Giordani nel 15^2 di volgo un libro in difesa dell’autorità del romano pontefice. Ma lasciando in disparte questi e più altri teologi, di due soli scelgo qui Tiraboschi, Voi X. 33 5 I \ LIBRO a parlare; imo de' quali fu il primo a darci un corpo intero di controversie; l’altro, benchè secolare, fu nondimeno uno de’ più zelanti difensori che avesse la Fede cattolica, e si rivolse contro parecchi apostati della medesima. XX\llI. 11 primo è il cardinale Roberto Bellarmino, di cui però io non parlerò che assai brevemente; perciocchè molti egli ha avuti scrittori della sua Vita, il cui catalogo si può vedere presso il co. Mazzucchelli (Scritt ital. t. 2, p. 641) che ce ne ha dato egli pure un ristretto compendio. Nato in Montepulciano da Vincenzo Bellarmino e da Cinzia Cervini, sorella di Marcello II, a’ 4 di ottobre del 1542, ed entrato in età di 18 anni nella Compagnia di Gesù, colla felicità del raro suo ingegno, e colla continua applicazione agli studi, si avanzò presto tant" oltre e ottenne tal fama, che in età di soli 27 anni fu inviato a Lovanio, affin di combattere e dal pergamo e dalla cattedra contro de’ novatori. Fu egli il primo della sua Religione che in quella città leggesse pubblicamente la teologia; e il sapere del Bellarmino fu ancora più applaudito, perchè era congiunto colla cognizione della lingua greca, da lui appresa in Italia, e dell’ebraica, di cui in Lovanio fu egli solo maestro a se stesso, e potè poi stenderne la Gramatica con nuovo e facilissimo metodo. Tornato dopo sette anni in Italia, fu adoperato da’ suoi superiori nel leggere le Controversie, e in diversi governi, e da’ pontefici Sisto V, Gregorio XIV e Clemente VIII onorato (di ragguardevoli impieghi, e dal primo tra essi mandato in Francia SECO>DO 5 J 5 in compagnia del cardinale Enrico Gaetano legato. Clemente Vili u ò di marzo del 1598 il nominò cardinale con quel magnifico elogio: Hunc eligimus, quia ei non habet parem Ecclesia Dei quoad doctrinam. Eletto poscia arcivescovo di Capoa nel i(jo2, resse con sommo zelo per circa quattro anni la Chiesa a lui affidata, finchè richiamato da Paolo V a Roma, la rinunciò, senza pur ritenersi, come il pontefice gli permetteva, pensione alcuna (*). Finalmente in età di presso a 80’anni diè fine a’ suoi giorni nella casa del noviziato del suo Ordine in Roma a’ 18 di settembre del 1621, lasciando incerto se più ei fosse degno di ammirazione e di lode pel rarissimo ingegno di cui fu dotato, o per l’eroiche virtù di ogni genere di cui fu adorno, e delle quali si posson vedere autentiche pruove e nelle testimonianze di quattordici cardinali con lui vissuti, pubblicate dal P. Bartoli al fin della Vita di esso, e negli Atti della causa della Beatificazione del medesimo, che si hanno alle stampe. Ma la (*) Una particolarità drgna ili non essere dimenticata intorno al Cardinal Bellarmino ci viene indicata in una lettera scritta da Roma a’7 di luglio del 1607 da Pellegrino Berta echi al cardia d Alessandro d'Este, che si conserva in questo ducale archivio, in cui dopo aver narrata la morte del cardiuul Baronio, H Card. Britanni no, dice, e andato a star nella Casa fabbricala per Baronia, et ha preso Consunto di finire il ue i3 tomo degli Annali. Il tomo xu perii dovea essere aliarli quasi interamente compito dal Baronio, poiché esso venne a luce l’anno medesimo, e couvien dire che il Bellanmuo, impedito di altre occupazioni, non potesse attendere alla continuatone che gli era stata addossata. I •r> I G LIBRO santità del Bellarmino non è l’oggetto di questa Storia e io debbo sol ricercare ciò che appartiene al pregio delle opere da lui date alla luce. Io lascerò che ognun ne consulti il luogo ed esatto catalogo che ce ne ha dato il co. Mazzucchelli, e, fra’l grandissimo numero di esse, di due sole parlerò brevemente, cioè delle Controversie e del libro degli Scrittori Ecclesiastici. E quanto alle Controversie, io non riferirò gli elogi che ne hanno fatto i migliori tra gli scrittori cattolici, e che si potrebbon creder dettati o dallo spirito di partito, o da un ardente zelo per la Religione. I sentimenti degli scrittori Protestanti sono in questo argomento un assai più autorevole pruova. Le Controversie del Bellarmino parvero loro la più possente macchina che mai si fosse contro di essi rivolta e crederono perciò di dover raddoppiare le difese e le forze, per rispingere un sì terribile assalto. Fino a ventidue scrittori Protestanti annovera il co Mazzucchelli, che presero a impugnare direttamente le Controversie del Bellarmino, oltre un numero assai maggiore di libri scritti contro alcuni particolari trattati; e così degli uni come degli altri potrebbe ancora accrescersi di molto la serie. Nè paghi di ciò, qualche cattedra fondarono essi, il cui professore dovesse di proposito confutare questo sì temuto scrittore (Bartoli, Vita, l. 1, c. 13). Le ingiurie e le villanie di cui alcuni il caricarono ne’loro scritti, sono esse pure argomento della disperazione a cui gli condusse. Altri però tra essi, più sinceramente parlando, riconobbero in lui il più valido difensore che fin allora avesse SECONDO 5i7 avuto la Chiesa, Vir erat, dice tra essi Riccardo Monlacuto (Praef. ad Apparat, sect 56), haud inficior, admirandae industriae, doctrinae, lectionis stupendae Bellarminus, qui, ut primis, ita solus immanem illam molem, et immensum chaos controversiarum stupenda ìngenii dra.trri felicitate, artificio singulari excoluit, in ordinem redegit confusum prius, accurata diligentia et multorum annorum studio eleganter expolivit; praeripuit ille palmam secuturis omnibus, et sibi desponsatam, vel destinatam cuicumque laudem abstulit. Nam ab illo qui tractant hodie controversias, ut ab Homero Poetae, sua omnia fere mutuantur. Ma più che il giudizio di un teologo, benchè Protestante, è degno d osservazione quello di uno de’ più ingegnosi insieme e de’ più liberi scrittori che mai sien vissuti, cioè del Bayle, il quale confessa (Dict. art. Bellarm.) che il Bellarmino è la miglior penna del suo tempo in genere di controversia, che non v ha Gesuita che più di lui abbia fatto onore al suo Ordine, che non v ha autore che abbia meglio di lui sostenuta la causa della Chiesa romana in generale, e quella in particolare di l papa, che i Protestanti V ha ri ben conosciuto, perciocchè per.40 o 50 anni non vi è stato teologo valoroso tra essi, che a soggetto delle sue Controversie non abbia scelto il Bellarmino. E veramente nelle opere del Bellarmino si ravvisa un uomo d’ingegno sommamente nitido e chiaro, nimico delle scolastiche sottigliezze, dotato di vastissima erudizione,forte e stringente nelle sue pruove, ma insiem modesto e lontano dall insultare i suoi avversarii. In vece di abusare 5l8 LIBRO del raziocinio, per involgere i suoi lettori e se stesso in inestricabili labirinti, ei si vale comunemente dell autorità delle Scritture e de’ Padri, della tradizion della Chiesa, dell opinion de Dottori: e questi argomenti si veggon da lui proposti con ordine e con metodo che eccita l attenzione. S'egli ha seguite alcune opinioni, sulle quali i Cattolici si astengono ora dal disputare, egli è stato ancora il primo tra essi a non promuoverle fino a quel segno a cui altri poco cautamente si eran lasciati condurre. Ma io non debbo, nè è di quest’opera l'esaminare minutamente le sentenze da lui sostenute. Piccola di mole, ma di assai pregevol! lavoro, è l altra opera del Bellarmino, cioè quella degli Scrittori Ecclesiastici. Dopo gli antichi era stato il primo il Tritemio ad accingersi a tal intrapresa. Ma chi confronta l’opera di esso con quella del Bellarmino, vi scorge quella diversità ch è tra un faticoso compilatore e uno scrittor giudizioso. Il libro del Bellarmino è disteso con erudizione e con critica, e riguardo a molte opere è stato egli il primo o a giudicarle supposte, o a dubitarne. Veggasi com’egli parla delle narrazioni di Procoro, di Lino, di Abdia, delle Costituzioni e de’ Canoni apostolici, delle Lettere di S. Clemente papa, e di altri simili libri; e vi si ammirerà com’egli sappia discernere il vero dal falso, e ciò spesso senza aver chi gli serva di guida. Che se in più cose egli ancora è caduto in errore, non è a stupirne poichè la critica che allora cominciava, per così dire, ad essere conosciuta, non poteva sì presto farsi perfetta. Ed SECONDO 5 UJ è ancora più a stupire che il Bellarmino potesse giunger in ciò tant’ oltre, perchè ei compose quel libro mentre in età ancor giovanile trovavasi in Fiandra, ed era faticosamente occupato nel leggere insiem dalla cattedra e nel predicare dal pergamo. XXXIV. Diverso genere di battaglie intraprese contro gli eretici Girolamo Muzio cortigiano insieme e teologo, ed uno degli uomini più laboriosi che in questo secolo fiorissero, ma poco felice nel ritrarre da’ suoi studi quel frutto che parea loro doversi. Appena vi ha scrittore che di lui ci ragioni. Apostolo Zeno avea disegnato di scriverne stesamente la Vita (Note al Fon fan. t. 1, p. 42; Letter, t. 3, p. 33), e già erasi in essa molto avanzato, ma la morte non gli permise di compierla. Da ciò ch egli sparsamente ne ha detto nelle sue Note al Fontanini, e nelle sue Lettere, e dalle opere stesse del Muzio e da molte lettere inedite del medesimo, io raccoglierò le più importanti notizie intorno a questo valoroso scrittore, detto a ragione martello degli eretici de’ suoi tempi. Cristoforo Nuzio oriondo da Udine, ma nato in Giustinopoli, ossia Capo d Istria, ove Giovanni di lui genitore trasportata avea la famiglia, fu il padre di Girolamo che nacque in Padova ai 12 di marzo del i4i)6, e cambiò poscia per vezzo d antichità il suo cognome di Nuzio in quello di Muzio (Note al Fontan. p. 40; Lett al Fontan. p. 139; Zeno, Lett. t. 3, p, 44) Rafaello Regio, Battista Egnazio e Vettor Fan sto gli furono maestri (Muzio, dedica delle sue Lettere, ed. ven. 1551). In età di diciott1 ami 5ao, LIBRO mortogli il padre, trovassi in assai povero stato e con numerosa famiglia; e dovette per sostenerla entrar nelle corti, e servir or un principe, or l altro; del che, parlando egli stesso (Lett. p. 190, ed. fir. 1590), si duole che gli sia sempre convenuto guadagnare, il pane servendo hor negli armati eserciti, et alle Corti de Papi, hor d Imperadori, di Re, et d altri Principi, hor dall uno et hora dall’ altro capo d Italia, hora in Francia, hora nella A Ile magna alta, et hor nella bassa. Il primo a cui egli ebbe l onor di servire, fu, come sembra, fimperadore Massimiliano I. Perciocchè egli scrivendo al gran duca Francesco I dice di se medesimo: vissi già un tempo alla Corte di Massimiliano Imperadore di gloriosa memoria, bisavolo della Serenissima sua Consorte (ivi, p. 218). Ciò dovette avvenire prima del 1519, nel principio del qual anno Massimiliano finì di vivere; ma per quanto tempo e in qual carattere fosse il Muzio a quella corte, non ho lumi a deciderlo. Nel detto anno 1519 ei trovavasi in Capo d’Istria sua patria, ed ivi si strinse in amicizia con Marcantonio Amulio, poi cardinale, com egli stesso gli ricorda, offerendogli i suoi Avvertimenti morali. Ma poi non sappiamo precisamente ov egli passasse i suoi giorni tra ’1 i52o e ’1 i53o. Egli ci dice solo generalmente: Fra in Padova, in Vinegia, in Capodistria, in Dalmazia, et in Allemagna vissi infino all'età di 30 anni, appresso conversai in Lombardia, in Piemonte, in Francia, et in Fiandra (Battaglie, p. Z.\, ed. ven. 1582). Sappiamo ancora, benchè se SECONDO 5^1 nc ignori l’anno, ch’ ei fu onorato da Leon X. del titolo di cavaliere Zeno, Lett, al Fontan. p. 19C) (*), e die fin dal 1524 viaggiò in Francia (Zeno, Lett. t. 3, p. 46), e che in Francia fu parimente con Giulio Camillo, cioè circa il 1530 (ivi, p. 206). Egli servì ancor qualche tempo al duca di Ferrara, ove conosciuta la celebre Tullia d Aragona, divenne uno de più fervidi amatori della medesima e la celebrò colle sue rime (Muzio, Lett. p. 197). Il qual amore però egli ci assicura, che, come da virtù era nato, così per virtù si disciolse: l'irta ad amarvi m indusse; virtù mi tenne lungamente nella dolcissima vostra conversazione, et virtù me ne fece ritrarre, che così conveniva alvostro et al mio honore (Avvert, morali, p. 146, ed. ven. 1574). Egli aggiugne che il duca di Ferrara inviollo a Milano, e forse fu in quella’occasione medesima che dopo aver in Milano passati più mesi, trasferissi poscia a Roma: A Milano dunque, dice egli (fiu zio, Lett p. 27), ho io Jnlto il s'orno e la primavera, et parte della state, et poi nuovi fastidi mi hanno balestrato a Roma, là dos'c venendo ho cavalcato per soli ardentissimi, et ci sono arrivato negli ultimi giorni di Luglio, al tempo che questo aere è pestilenziosissimo. La lettera non ha data 5 ma il Muzio racconta ivi la destinazione di Pier Paolo Vergerio a nunzio di Allemagna, la tragica morte allora avvenuta di Aurelio fratello (*) La Bolla con cui Leon X eresse i cavalieri «li S. Pietro, è segnata XIIJ Cai. slugusti an. i5ao, e vedesi in essa tra' cavalieri nominato il Muzio. 5ua libro di Pier Paolo, e del Sanga segretario del pontefice, morti amendue di veleno, il qual fatto accadde nell’agosto del 1532 (V. Bonamici de cl. Pontif. Epist Script, p. 227, ed 1770). In quest’anno adunque fu il Muzio a Roma, e vi fu la prima volta, come dalla stessa lettera si raccoglie. Fu poscia per parecchi anni al servigio del! marchese del Vasto; e da lui nel 1542 fu mandato a risedere presso il duca di Savoia, che allor trovavasi in Nizza (Lettere, p. 45); e abbiam veduto altrove il viaggio che col marchese fece in Piemonte nel 1543. Con lui ancora fu in Allemagna nel 1545 (ivi, p. 117). Dopo la morte del marchese, avvenuta nel i54(>, passò alla corte di D. Ferrante Gonzaga. Così raccogliam da una lettera a lui scritta da Pietro Aretino nell’anno stesso, in cui di ciò con esso lui si congratula Aret. Lett. l. 4, p 26). E assai più chiara pruova io ne ho in moltissime lettere del Muzio al medesimo D. Ferrante, tratte dagli originali che se ne conservano nell’archivio di Guastalla, delle quali per gentilezza del più volte lodato P. Affò io ho copia. La prima di esse ci mostra che il Muzio dopo tanti anni di fatiche e di servitù era ancora povero: Siccome io fui figliuolo di povero padre, gli scrive egli a’ 10 di agosto nel 1546, così sempre sono stato figliastro della fortuna, che non mi truovo al mondo altra entrata che quella, la quale mi dà la servitù mia. Et già sono passati diciotto mesi, che non ho tocca provisione se non di tre; là onde mi trovo aggravato di debiti, et a piedi, e mi convien vivere del sussidio degli amici. Nell’ottobre dello SECONDO 5a3 stesso anno fu da lui mandato a Firenze ed a Siena, per trattare d" introdurre in questa seconda città una guardia imperiale; e su ciò si raggirano molte delle accennate lettere del Muzio, che si scuopre in esse uom saggio e di molta prudenza, e sincero e fedel servidor del suo padrone. Nell’aprile del 15.^7 fu per comando di D. Ferrante a Genova: e tornossene tosto in Toscana pel suddetto affare, che ivi il tenne occupato quasi tutto quell anno. Nel gennaio del 1548 il troviamo in Venezia, colà mandato da D. Ferrante per conoscere se nulla si avea a temere dalle disposizioni di quella Repubblica. Altre lettere da lui scritte a don. Ferrante cel mostrano in Brusselles nel marzo e nel giugno del 1549 Tornato nell anno stesso in Italia, fu da esso mandato nel novembre a Roma j e pare che il principal motivo di questa spedizione fosse la premura di avere in Roma chi scrivesse minutamenre le vicende del conclave che allora si stava tenendo, e che terminossi poscia a 7 di febbraio del 1550 coll elezione di Giulio III. In fatti moltissime sono le lettere, e minutissime le relazioni che nello stesso archivio conservansi, scritte in quell occasione dal Muzio a D. Ferrante. Nell anno stesso fu due volte a Venezia, ed ivi era ancora nel finir del dicembre e nel maggio del 1551, d'onde tornato a Milano, e rispedito a Venezia, ebbe nel viaggio in Mantova una grave malattia, da cui a grande stento campò. Giunto a Venezia, scrisse a D. Ferrante a 6 di febbraio del 1552 una lettera, la qual sola basta a scoprire la sincera pietà del Muzio. Io non ne \ 1 M LIBRO recherò, poichè ella ancora è inedita, che il principio; Da tre anni in qua (il che è dappoi, che si sono cominciati a pubblicare de miei scritti catholici) da diverse persone religiose, dotte et spirituali, sono stato più volte confortato et ammonito, che mi debba ritirare, et dare al servigio di Dio questo poco di tempo, che m avvanza, rivolgendomi tutto agli studi sacri, et gagliardamente combattendo per l honore di quel Signore, il quale è morto per me. Siegue indi a narrare ch’ egli avea per lungo tempo chiuso l’orecchio a tali inviti, ma che nell'ultima malattia avea fermata risoluzione di darsi veramente tutto agli studi sacri e alle cose di Religione; e chiede perciò rispettosamente il suo congedo a D. Ferrante. Evvi ancor la risposta a lui fatta dal medesimo D. Ferrante, dalla quale raccogliesi che questi, benchè con dispiacere, ascoltò le preghiere del Muzio, e che solo il pregò ad andar prima a trovarlo in Milano. Ed egli in fatti vi si recò, e lasciossi indurre da D. Ferrante a continuare a servirlo; e due volte fu da lui in quell' anno rispedito a Venezia, come ci mostrano altre lettere da lui scrittegli. Le ultime lettere del Muzio a d Ferrante sono scritte da Pesaro nel luglio e nell’agosto del 1556, ma par ch’egli ivi allor fosse a nome del medesimo D. Ferrante; ed è probabile che dopo la morte di esso, accaduta l’ anno seguente, ei si fissasse alla corte d’Urbino (*), ove (*) Ho creduto che il Muzio fino alla morte di d Ferrante Gonzaga, avvenuta nel 1557, continuasse a servirlo. Ma una delle molte lettere inedite d'Ippolito SECONDO 5^5 fu dato aio al giovine principe e poi duca Francesco li, nato nel i5f9, al quale egli poscia indirizzò il suo trattato Del Principe giovinetto. ('apilupi al medesimo J). Ferrante, delle quali io ho copia, mi ha fatto conoscere che fin dal i 553 il Muzio era al servizio del duca d: Urbino. La lettera è scritta da Roma Fultimo di settembre del detto anno, e in essa così dice il Capiluppi: Il Mutio fin qui in Roma, quando il Sig". Duca di Urbino ci fu, come servitor suo, et poi gia quindici dì fa ci è ritornato mandato da S. E. a S. Santità, et essendo egli venuto a casa mia a vedermi, gli domandai quel che faceva col Sig Duca, et come lo trattava. Egli mi rispose, che lo trattava bene; che gli dava quattrocento scudi l’ anno, i quali gli soprabbondavano, perchè in quel paese era bonissimo mercato; et che haveva poca fatica, perchè, il Sig. Duca gli haveva ordinato che attendesse a suoi studi, et che non si curava che comparisse, se non quando a lui piaceva, Appresso mi disse, che la Signora Duchessa il vedeva volentieri, et che faceva in gran parte vita con lei. Hora il detto Muzio non è qui. Questo è. tutto quello, ch’io posso dirne a V. E. Questa lettera ci (fa vedere che'il Muzio, dopo avere probabilmente ottenuto il suo congedo da d). Ferrante, non seppe poi resistere agl’inviti del duca d’Urbino, e che le lettere da me accennate, ch’ egli scrisse da Pesaro a D. Ferrante nel 1556, debbono intendersi di qualche commissione di cui questi avesselo incaricato, non di servigio formale, che il Muzio allor gli prestasse. In questo ducale archivio di Modena ho trovata una lettera del Muzio a D. Francesco da Este scritta da Pesaro a 14 di dicembre dell’an 1563, in cui dice di aver avuta una lettera stampata contro di lui da Ferrante Averoldo intorno al duello, ma ch’egli voleva prima rispondere all’Attendolo e al Susio, da’ quali pure era stato impugnato. Rispose poi nondimeno all’Averollo, e nello stesso archivio conservasi copia di una rarissima operetta del Muzio stampata in Pesaro nel 1564 ch è di sole otto pagine, col titolo: Risposta 5^6 - LIBRO E io credo clic in ciò abbia preso errore il Zeno, clic il fa maestro di Guidubaldo li, nato nel 1514 (Note al Fontan. t. 2, p. 258). Infatti molti monumenti cel mostrano a quella </<•/ Muzio Just inopoltiano al Sig. Fernando Averoldo il figlio, con un discorso intorno a tutte le cose passate da lui col Sig. ¡Vicolo Ch irrogato. Ivi pure ho veduta una canzone stampata del Muzio nell elezione di Pio V, che comincia: Benedetto il Signor Dio d Isdraele. Non vi è luogo di stampa, ma l’esservi sottoscritto Julius Episcopus Pisauriensis ci mostra che fu essa stampata in Pesaro. E in questa città continuò ancora il Muzio a soggiornare per alcuni anni. Oltre le lettere inedite di questo scrittore, da me già indicate, io ne ho parecchie originali da lui scritte a Francesco Bolognetti, le quali per lo più si rivolgono intorno al Costante poema del Bolognetti, che questi gli avea mandato a rivedere e a correggere; ma ci danno insieme diverse non dispregevoli notizie. In una di esse, elicè scritta da Urbino a 14 di settembre del i?tj(>, il Muzio gli dice che avea già egli pensato di prendere per argomento d un poema eroico la Historia della ricuperation de Hierusalem fatta da qui Ila bella ragunanza de Cavalieri Gottifredo Bolioni et ab ri, ec., ma che ora ne avea del tutto dimesso il pensiero. E perchè il Bolognetti dovette scrivergli che su quell’ argomento medesimo avea preso allora a fare un poema Torquato Tasso, il Muzio a" • j di ottobre dell’anno stessi così gli risponde: Che il Tasso giovane habbia tolta quella impresa, io non ne sapeva nulla. Egli ha buono spirito et buono stilo. Se le altre parti risponderanno, ha preso suggetto da farsi onore. Un’altra ci mostra l’ epoca e il motivo per cui fu il Muzio chiamato a Roma: Io sono stato chiamato a Roma per ordine di Sua Santità, scriv’ egli da Pesaro il 1 d aprile del 1567, per riformare gli stabilimenti della Religione de’ Cavalieri di S. Lazzaro. Da esse ancora raccogliesi che nel 1 ^71 si trattenne per più mesi in Venezia, alfiu di pubblicare aLuiie sue opere. SECONDO 0:27 corle verso questo tempo, e fra le altre una lettera inedita da lui scritta a D. Cesare Gonzaga da Ferrara ai 27 di ottobre del 1563, in cui gli manda il suo libro contro il Susio sopra il! duello e dice che il dì seguente dovea tornarsene a Pesaro. Dalla corte d’ Urbino passò a Roma; ed è probabile che ciò accadesse verso il 1567; perciocchè nel i5(>9 egli scrive in una sua lettera a Domenico Veniero: già da tre anni in qua la benignità di N. S. (Pio V) mi trattiene con onesta provvisione, senza aggravarmi di cosa alcuna, acciocché io possa attendere allo scrivere (Lettere cattol. p. 245). Anzi prima ancora ch ei fosse papa, avea dato al Muzio l incarico di rispondere ad un libro venuto da Inghilterra, e intitolato Apologia anglicana, come egli racconta nel proemio alla sua Varchina. Ma la morte di quel santo pontefice, avvenuta nel 1572, tolse al Muzio il suo protettore insieme e la sua pensione; ed ei trovossi di nuovo in quella povertà a cui il servigio de’ principi non Pavea sottratto. Gran disgrazia è stata la mia, scriv egli al duca di Savoia Emanuel Filiberto (Lettere, p. 206), in cinquantaquattro anni di servitù non haver potuto acquistare cinquantaquattro quattrini di entrata ferma. Quindi siegue dicendo d aver altre volte, ma inutilmente, cercato di venire a’ servigi di quella corte; e ne fa or nuove istanze, rappresentando però al duca che la sua età di 77’anni compiti (dal che t.raesi che questa lettera fu scritta nel 1573 è bisognosa di più agi, e la sua povertà richiede maggior soccorso. Non sembra però, ch’egli ottenesse il suo intento, 5li8 LIBRO e parecchie sue lettere cel mostrano in Roma nel 1574 (ivi, p. 2 27,.ec.). Pare ch ei fosse allora a servigi del cardinale Ferdinando de Medici (V. Zeno, Note al Fontan. L ijp./\i, 4J)Finì di vivere nel 1576, in età di 81 anni, alla Panereta villa tra Firenze e Siena, in casa di Lodovico Capponi, che colà avealo amorevolmente invitato (ivi). E il Zeno congettura che concorresse ad affrettargli la morte una lettera piena di sentimento e di sdegno scrittagli dal cardinale Ferdinando dei Medici da Roma a’ 28 dicembre del 1575, ch'ei dice aver veduta manoscritta (Lett. t. 3, p. 47)- Avea egli presa a sua moglie circa il 1550 una certa Adriana damigella d onore di Vittoria Farnese duchessa d’Urbino (ivi, t. 3, p. 44) > ma essa non ebbe figli. Ben ne ebbe in età giovanile due naturali, detti Cristoforo e Pietro Paolo, ai’ quali poscia, pel fanatismo allora sì usato, cambiò i nomi, dando al primo quello di Giulio Cesare, al secondo quello di Paolo Emilio (ivi,p. 40). Il primo gli sopravvisse, e fu egli ancor uomo di qualche letteratura. Convien dire che i Protestanti dal Muzio impugnati ignorassero questi due figli a lui nati da donna non sua; che certo non avrebbon lasciato di menarne rumore. E veramente ei sarebbe stato più lodevole assai, se al difendere coi suoi scritti la Religione cattolica avesse congiunto l onorarla co suoi costumi, ne quali per altro ella è questa l unica grave macchia che possa notarsi; ed è probabile che questa fosse effetto di qualche passion giovanile; perciocchè egli ne primi suoi anni, come osserva il Zeno (Leti. SECONDO 52J) al Fontan. p. 98), sostenne alcune opinioni non sane, e pubblicò alcuni componimenti non molto degni di lode; difetti che egli poi riparò degnamente con tanti libri da lui pubblicati in difesa della cattolica Religione. XXXV. Un lungo catalogo dovremmo qui tessere, se tutte volessimo qui riferire le opere da lui composte. Lettere, Poesie, Storie sacre e profane, Trattati morali, e altri libri di diverso argomento ci ha egli lasciati. Ma qui noi dobbiamo dire di quelle soltanto che a questo capo appartengono. Non prese egli a scrivere controversie e trattati compiti contro gli eretici, e forse non avea quella profondità di sapere nella teologia, ch era a ciò necessaria. Ei fu pago di pubblicare alcuni opuscoli, i quali venissero a scoprire gl’ inganni e le frodi con cui i novatori seducevan gl incauti, e a confermare con ciò i Cattolici nella lor Fede. Ei prese singolarmente di mira alcuni Italiani che, avendo abbandonata la loro Religione, cercavano coi loro libri di spargere i loro errori in Italia. E perchè molti de libri suddetti erano scritti, perchè ne fosse più universal la lettura, in lingua italiana, di questa usò egli ancora comunemente. Il primo, contro cui egli si volse, fu Pier Paolo Vergerio, e contro lui pubblicò nel 1550 le Vergeriane, aggiuntovi il Discorso Se convenga radunar Concilio, e il Trattato della Comunione de’Laici, e delle mogli de’ Cherici. Dopo il Vergerio, ei prese a combatter l" Ochino colle Mentite Ochiniane stampate nel 1551. Più lunga battaglia egli ebbe con Francesco Betti romano, che Tiuaboschi, Voi X. 34 l 53o LIBRO avendo stampata una lettera al marchese di Pescara, in cui reudevagli conto della sua fuga e del gittarsi che avea fatto tra Protestanti, il Muzio gli fece una forte risposta, e la diè alle stampe nel 1558; ed avendo il Betti fatta una lunga confutazione della risposta del Muzio, questi le contrappose le Malizie Bettine stampate in Pesaro nel 1565. Nove anni tardò il Betti a far nuova risposta al Muzio, e solo nel 1574 pubblicò le sue Difese, quando il Muzio era omai troppo vecchio per rientrare in battaglia. Nè solo contro gli apostati italiani, ma contro gli oltramontani ancora impugnò il Muzio la penna, cioè contro il Bulengero da lui confutato col libro a cui diede il titolo di Bulengero riprovato, e contro il Vireto, a cui oppose la Difesa della Messa, de Santi e del Papato contro le bestemmie di Vireto. Più altre opere finalmente furon da lui pubblicate contro gli eretici, come l Antidoto cristiano, le Lettere cattoliche, l’Eretico infuriato, la Cattolica Disciplina dei principi, i Tre Testimonii fedeli, la Risposta a Proteo e la Selva odorifera che contien molti de trattati già indicati, e alcune altre, fra quali la risposta alfApologia anglicana. Di queste opere teologiche del Muzio si può vedere il catalogo nella Biblioteca dellTIaym (L 2, p. 619, ec. ed. Mil. 1773), e in quella del Fonini colle Note di Apostolo Zeno (t. 2, p. 443), il qual ultimo scrittore osserva il grave abbaglio preso da compilatori del Catalogo della Biblioteca del re di Francia, ove il Muzio in vece del Betti è annoverato tra gli scrittori eretici. Anche in latino scrisse il Muzio un SECONDO 53I picciol trattato De romana Ecclesia stampato la prima volta in Pesaro nel 1563 (Lett. al Fontan. p, In tutte queste opere il Muzio non è un profondo teologo, ma un robusto ed accorto guerriero, che sa usar saggiamente quell armi che la buona causa gli somministra, scuopre le imposture e gl’inganni de’ suoi avversarii, gl insiegue e gl incalza con forza, e avvalora le ragioni e gli argomenti coll arte e coll eloquenza. E io credo perciò, che non poco giovassero cotali libri a prevenire singolarmente il rozzo ed incauto volgo, sicchè non si lasciasse sedurre dal fascino delle nuove opinioni. XXXVI. E veramente facea d’uopo all'Italia di un possente riparo che sostenesse l impeto del torrente ond’ era essa ancor minacciata. Appena l’errore cominciò a serpeggiare di là dall’Alpi, che cercò tosto di aprirsi la via in queste nostre provincie; e malgrado le diligenze e le cautele de’ saggi pastori, vi penetrò e vi ebbe per qualche tempo sostenitori e seguaci, Io mi lusingo di non far cosa ingrata a chi legge, se prenderò qui a esaminare come e per quai mezzi penetrasse l’ eresia in Italia; e chi fosser quelli tra’ nostri che sedotti dapprima, divennero poi seduttori, e non potendo in Italia gittar ferme radici passarono oltremonti, e co loro libri sostennero e promossero i nuovi errori. Io so che l’Italia non dee di essi gloriarsi. Ma finalmente molti di essi furon uomini di non mediocre ingegno; e benchè troppo mal ne abusassero, i lor nomi non debbon esser dimenticati in una Storia in cui le buone ugualmente che le ree vicende della 53ii Limo letteratura debbun essere es[)OSte sinceramente. Nè io credo che gli Ordini regolari, da cui molti di essi uscirono, debban perciò dolersi di me, come se io riaprissi le loro piaghe; perciocchè, oltre che io non parlo che di cose in gran parte già note, non v’ha uom saggio il qual chiaramente non vegga che se ogni famiglia e ogni comunità, da cui esca qualche membro putrido e guasto, ne fosse perciò infame, appena vi avrebbe al mondo corpo onorato. Il primo, a mio credere, per cui mezzo si cominciassero a spargere in Italia le opere di Lutero, fu un cotal Calvi libraio pavese che andato a Basilea, e avutene dal Frobenio più copie, seco le portò non altrimente che un inestimabil tesoro; e forse ei credette che fossero veramente quelle opere utilissime a Fedeli, e il nome di riforma lo ingannò, come su que principii accadde a più altri: Calvus Bibliopola Papiensis, scrive il Frobenio a Lutero a’ 14 di febbraio del 1519) (V. Gerdesii Specimen Ital. reform. p. 5), vir eruditissimus, et Musis sacer, borioni libellornni parteni in Italiani depor tao it per omnes civitates sparsurus. Neque enim tam sectatur lue rum, quam cupit renascenti pie tati suppctias /erre, et quatenus potest prodesse. Is promisit ab omnibus eruditis in Italia viris Epigrammata se missurum in tui lai idem scripta; usque adeo tibi favet, Christique negotio, quod tanta constantia tam viriliter tamque dextre geris. E questi è quel Francesco Calvi di cui troviam menzion frequente nelle Lettere di Erasmo (Erasm. Epist t. 1, ep. 308, 312, 322; t 2, ep. 1046; Append. SECONDO 533 cp. i38, 283), c a cui tre ne abbiamo del celebre Andrea Alciati (Gudii Epist. p. ec.)» e più altre d’altri uomini dotti, dalle quali raccogliesi che questi era un libraio per sua professione assai erudito, e che spessi e lunghi viaggi imprendeva pel suo traffico. Che ei mantenesse la parola data al Frobenio di sparger in ogni parte i libri di Lutero e di raccogliere epigrammi in lode di esso, ce ne può far pruova un epigramma scritto in Milano nel 1521, in cui grandi elogi si fanno del suddetto Lutero, che vicn riportato dallo Schelhornio (Amoenit hist. eccl. t. 2, p. 624). E in vero si vider presto le opere di lui e de’ primi di lui seguaci sparse per tutta l Italia; e fin dal 1520 e dal 1525 se ne hanno più documenti in Venezia e in Firenze (V. Ger'lcs. I. ciL p. 7, ec.) Si usarono a tal fine i più sottili artifizii perchè il veleno si diffondesse segretamente, senza che si scoprisse la fonte da cui moveva. Così si pubblicarono in lingua italiana i Principi della Teologia di Ippolito da Terra Negra, che sono in somma i luoghi teologici di Melantone (V. Miscell, lipsiens. nova, t. 1, p. 628); così il Catechismo di Calvino senza nome d’autore fu stampato in lingua italiana nel 1545 (ib. p. 636), e Martin Bucero pubblicò i suoi Comenti sui Salmi sotto il finto nome di Arezzo Felino, e così finalmente molti altri libri furon con tali frodi introdotti in Italia. Le guerre dalle quali essa fu travagliata al principio di questo secolo, giovaron non poco ad acquistare alle nuove eresie seguaci nuovi; perciocchè le truppe straniere che le I 534 LIBRO innondavano, essendo in gran parte infette di quegli errori, coi lor discorsi e co’ loro esempii gli propagaron non poco. Più ancor dannoso all" Italia fu il soggiorno che per qualche tempo fece occultamente Calvino sotto il nome di Carlo d’Heppeville alla corte di Ferrara circa il 1535 (Murat. Antich. Esten, t 2, c. 13); poichè non solo ei confermò nell’ errore la duchessa Renata, ma più altri ancora sedusse. In tal modo in poco tempo appena vi ebbe parte d’Italia in cui non si vedessero molti, quai più quai meno, apertamente seguire le opinioni de' novatori. Il Gerdesio, che di ciò ha scritto ampiamente, benchè in molte cose abbia esagerato, e molti Italiani abbia annoverati tra gli eretici, che ne furon ben lungi, come altrove vedremo, ciò non ostante gran copia di documenti ha raccolta, i quali pruovano chiaramente con quale rapidità andasse scorrendo per ogni parte il torrente della’eresia. L’ignoranza delle cose teologiche non lasciava a molti discernere il vero dal falso; il nome tanto vantato di riforma imponeva a non pochi, ma più di ogni cosa piaceva a molti la libertà di pensare, e quella che ne veniva per frutto, di vivere e di operare. Abbiamo altrove veduto quanto si richiedesse a svellere l’eresia che in Modena minacciava di gittar profonde radici; e ciò che di questa città si è detto, potrebbe somigliantemente dirsi di più altre ancora, se questa fosse la Storia non delle lettere, ma delle eresie. Io dirò dunque soltanto di alcuni che lasciatisi infelicemente sedurre, abusarono del loro ingegno a sedurre più altri. / SECONDO 535 XXXVII. Uno de più celebri, e che col.suo esempio trasse seco più altri, fu Pietro Martire Vermigli di patria fiorentino, nato nel 1500. Giosia Simlero ne ha scritta la Vita, e dopo lui ne ha parlato il Chaufepiè (Nouv. Dict. hi star. t. 3, p. 50, ec.), i quali autori però anzi che storici sono panegiristi; e il secondo singolarmente per lodar Pietro Martire cade in un’aperta contradizione; perciocchè, dopo aver detto ch’egli entrò in età di 16 anni tra’ Canonici regolari, e che la regolarità e l amor delle Scienze, che regnava in quell Ordine, a ciò lo indusse, poche linee appresso soggiugne che lo sregolamento era grande in quell Ordine, e che molti tra' principali vi menavano una vita scandalosa. Molti errori potrei io indicare in quel lungo articolo; ma la noia ne sarebbe maggior che il frutto. Pietro Martire nella sua Religione ottenne fama d’uomo assai dotto e prudente, e fu adoperato e nell’ insegnare e nel predicare e nel presiedere alle case di esso. Trovandosi in Napoli, l’amicizia che ivi contrasse con Giovanni Valdes spagnuolo, uno de promotori più zelanti delle nuove opinioni, cominciò a piegarlo in favor delle medesime. Ma comunque se ne avesse qualche sospetto, ei nondimeno seppe sì accortamente dissimulare, che in quel tempo medesimo fu fatto visitator generale dell’Ordine, e poscia priore di S. Frediano in Lucca. In questa città non solo egli più apertamente si dichiarò seguace dell’eresia, ma prese ancora a tenerne quasi pubblica scuola; finchè temendo di essere arrestato, fuggissene in segreto l’an 1542 con Paolo Lacise veronese, ch era ivi 53G LIBRO professor« di lingua latina, e che fu poscia professore di greco in Strasburgo, uomo pel suo sapere in quelle due lingue e nell ebraica ancora assai lodato dal Robortello (Praef. ad A ri st. Poet.), e di cui abbiamo la versione delle Omelie di Giovanni Tzetze, stampata in Basilea nel 1546 Con lui adunque fuggito da Lucca, recossi dapprima a Zurigo, indi a Basilea, e fu finalmente fissato professore di sacre lettere in Strasburgo, ove trattennesi cinque anni e vi menò moglie. Nel 1547 invitato dal famoso Cranmero a trasferirsi nell Inghilterra, vi si recò e vi fu professore in Oxford, finchè i cambiamenti avvenuti nel 1553, dopo la morte del re Edoardo, lo costrinsero ad uscir di quel regno e a tornarsene all’antica sua cattedra di Strasburgo. Passò indi a Zurigo nel 1556, e vi visse fino alla morte, da cui fu preso a' 5 di novembre del 1562. Delle molte opere da lui pubblicate, che sono per lo più trattati e quistioni su diverse materie dommatiche, e comenti sulla sacra Scrittura, ci ha dato un lungo ed esatto catalogo il Chaufepiè nè io getterò il tempo in ripeterlo. Solo non deesi dissimulare che Pietro Martire per detto de Protestanti, comprovato ancora da molti Cattolici, è stato un de più dotti scrittori della lor comunione, dotato di molta erudizione, lontano dall'arroganza e dal furor di Lutero, versato nella lezione delle sacre Scritture e de santi Padri, ed uomo in somma in cui era solo a bramare che avesse presa a difendere e a sostenere una miglior causa. SECONDO 53^ XXXVIII. L’esempio di Pietro Martire fu fatale a molti che con lui erano in Lucca, e ad alcuni singolarmente del suo Ordine, cioè a Celso Martinenghi bresciano e a Girolamo Zanchi bergamasco, i quali vissuti insieme per 16 anni in quell*Ordine, e esercitatisi ne’ medesimi studi, amendue, benchè non al tempo medesimo, tenner dietro al Vermigli. Del Martinenghi sappiamo solo ch’ ei fu pastore della Chiesa italiana in Ginevra, e che ivi finì di vivere; nè so che opera alcuna ce ne sia rimasta. Più celebre è il nome del Zanchi per gli otto tomi di opere teologiche e scritturali che ci ha lasciati, stampati in Ginevra nel 1619 (ri). Sono tra esse due libri di lettere, in una delle quali scritta a Lelio Zanchi (Epist. p. 204) ci dà notizia delle vicende della sua vita e della sua famiglia. Egli era secondo cugino di Basilio e di Grisostomo Zanchi, de quali dovremo parlare in questo tomo medesimo; perciocchè Paolo Zanchi lor padre e Francesco Zanchi (*) padre di Girolamo eran figliuoli di Marsiglio e (a) La Vita di Girolamo Zanchi è stata più recentemente descritta con molta esattezza dal sig. co. cavalier Giambatista Gallizioli patrizio bergamasco, e stampata in Bergamo nel 178?. (*) Francesco Zanchi padre di Girolamo si può anno verar tra gli storici, e ne abbiamo in pruova un opuscolo latino da lui scritto non senza eleganza, e pubblicato di fresco, che ha per titolo: Frani isci Tercntii Zanchii Bergomomatis Commentarius de rebus a Georgio IJrmn preteriate gestii in primo adversus Maximilianum Romanorum Regem bello a Venetis suscepto (Idea della Storia della Valle Lagurina, p. 201, ec.). 538 LIBRO di Cristoforo Zanclii fratelli. Girolamo nacque a 2 di febbraio del 1516 in Alzano, terra assai ragguardevole del Bergamasco, ove Francesco suo padre qualche tempo prima erasi ritirato. Il frequente conversar ch’ egli faceva con Basilio, con Grisostomo e con altri parenti che avea tra’ Canonici regolari, lo determinò a prendere il loro abito, e circa 19 anni visse tra loro. La fuga di Pietro Martire, e poi quella del Martinengo, dei’quali aveva già cominciato a gustar le opinioni, lo indusse a seguir le loro pedate e fuggito dall’Italia prima in Ginevra, poi in Strasburgo, indi in Chiavenna, e finalmente in Heidelberga, visse leggendo comunemente dalla cattedra le sacre lettere fino al i5()o che fu l ultimo di sua vita. Il nunzio Zaccaria Delfino ebbe nel i5(h qualche speranza di ridurlo al seno della cattolica Chiesa, e più volte venne a segrete conferenze con lui. Ma quella difficoltà che un uom celebre nel suo partito pruova nel confessarsi ingannato, ritenne il Zanchi ne"1 suoi errori (Paila vie. Stor. del Conc, di Trento, l. 15, c. 10). Quanta fosse la stima di cui egli godeva tra' Protestanti, si scuopre abbastanza dall" affermare che fece un di essi, cioè Giovanni Sturmio, che se il solo Zanchi si mandasse a disputare contro tutti i teologi radunati nel concilio di Trento, la loro setta sarebbe stata in lui solo abbastanza sicura: De doctrina dicam absque comparatione: vetum hoc solum dico, minime me pro Religionis causa sollicitum fore, si vel solus Zanchius cum Patribus, qui Tridenti sunt, in Concilio colere tur disserere ! SECONDO 53<] (Zancliii Op. t. 7, p. 408). Ciò non ostante, egli ebbe brighe con essi; e le controversie frequenti che tra lui ed altri professori si accesero, lo costrinsero a cambiar sovente soggiorno. Di lui ha parlato più a lungo il Bayle (Dict hist. art. Zanchius). Manuello Tremellio ancora fu un de seguaci di Pietro Martire; ma di lui tratteremo nel parlar de’ coltivatori delle lingue orientali, e qui direm solamente del celebre Ochino, che da’ consigli e dalle esortazioni del medesimo Pietro Martire ebbe alla sua apostasia l’ultima spinta. XXXIX. Bernardino Ochino, così detto o perchè ei fosse della famiglia di questo nome, come affermasi negli Annali de’Cappuccini Bover. Ann. Capucc. ad an. 1 £>34* n. 12), o perchè in Siena nascesse nella contrada detta dell’Oca, come asserisce monsignor Fontauiui (Ri hi. t. 2, p. 445), in età ancor giovanile diede tosto a conoscere la sua incostanza e ’l suo torbido e sedizioso talento. Entrato ne’ Minori osservanti, ne depose tra poco l’abito, e si volse alla medicina, poscia il riprese, e giunse ad esservi definitor generale. Sdegnato indi perchè si vide escluso dalla suprema dignità del suo Ordine, passò nel 1534 a’ Cappuccini, e tra essi due volte, cioè nel 1538 e nel 1541, fu eletto generale (Bover. l. c. et an. 1538, n. 9: 1541, n 2). Questi onori, a cui nella sua Religione fu sollevato, furono un nulla in confronto di quelli ch’ ei ricevette al di fuori da ogni ordine di persone. Applicatosi all’esercizio dell’apostolica predicazione, benchè non fosse uomo dottissimo, avea nondimeno un’arte 540 LIBRO e un’eloquenza sì popolare, che rapiva i cuori di ognuno; e coprendo coll’apparenza di mortificazione e di zelo i gravi suoi vizii, giunse ad esser tenuto ed onorato qual Santo: La. sua età, dice il vescovo Graziani (Vita cardinale. Commend. l. 2, c. 9), l austero suo tenor di vita, il ruvido abito, la lunga barba che scendeagli fin sotto il petto, i cape gli canuti, il volto pallido e smunto, con una certa apparenza d infermità e di debolezza affettata con molta arte, e l opinione sparsa fra tutti della sua santità, lo faceano rimirare come un uomo straordinario.... Non solo il popolo, ma i più grandi signori e i principi sovrani lo riverivano come un Santo, gli andavano incontro, lo ricevevano con tutto l' onore e con tutto l'affetto possibile, e lo accompagnavano nella partenza. E perchè non credasi che in questo racconto vi sia esagerazione, veggiam ciò che ne scrissero alcuni, mentre ei predicava prima della sua apostasia. Il Bembo lo udì in Venezia nella quaresima del 1539; ed ecco com ei ne scrive a’ 23 di febbraio di quell anno stesso alla marchesa di Pescara.... Fr. Bernardino, il quale io ho udito così volentieri tutti questi pochi dì della presente quadragesima, che non posso abbastanza raccontarlo. Confesso non haver mai udito predicar più utilmente, nè più santamente di lui. Nè mi maraviglio, se V.S. l'ama tanto, quanto ella fa. Ragiona molto diversamente e più cristianamente di tutti gli altri, che in pergamo siam saliti a miei giorni, e con più viva carità ed amore, e migliori e più giovevoli cose (Op. t. 3, p. 334). Nè il Bembo lo ammirò SECONDO. 5i| I solamente, ma il prese a direttore della sua coscienza; ed essendogli in quel tempo giunto l avviso che il papa aveva risoluto di farlo cardinale, volle udirne il parer dell Ochino, intorno a che scrivendo alla suddetta marchesa a 15 di marzo, Ragiono con V. Sle dice (ivi, p. 335), come ho ragionato questa mattina col R. P. Frate Bernardino, a cui ho aperto tutto il cuore e pensier mio, come avrei aperto innanzi a Gesù Cristo, a cui stimo lui esser gratissimo e carissimo, nè a me pare aver giammai parlato col più santo uomo di lui. Somiglianti sono gli elogi con cui ne ragiona in un altra lettera alla stessa marchesa de’ 4 di aprile (ivi), e in una al piovano di S. Apostolo, nella cui chiesa predicava l Ochino, pregandolo istantemente ad ordinargli che si astenga da cibi quaresimali, e che mangi carni; altrimenti non avrebbe potuto sostener la fatica della predicazione (ivi p. 504). Che più? Lo stesso Pietro Aretino ne fu commosso; e a’ 21 di aprile dello stesso anno scrisse una lettera al pontef Paolo III, in cui, dopo aver esaltata con somme lodi l’eloquenza di F. Bernardino, gli chiede perdono delle villanie e delle ingiurie che contro la corte romana avea scritte (Lettere, t. 2, p. 67). Così continuò per qualche tempo l Ochino annunciando con grande applauso, e con frutto più altrui che suo, la divina parola in diverse città d’Italia; se la stima che in ciò ottenne, fu tale, che fin dal 1541 ne furono stampate in Venezia alcune prediche (V. Haym, Bibl. t. 2, p. 646). Par nondimeno che fin d allora si cominciasse a temere di lui; 54^ LIBRO perciocché Luca Contile, in una sua lettera scritta da Roma a’ 9 d’agosto del detto anno 1541 la Marchesa di Pescara, scrive (Contile, Lettere y t. 1,p. 24), domandandomi di Fra Bernardino da Siena, io le risposi, che si era partito, e che nella Città di Milano avea lasciato sì buon nome, e sì universal contrizione, che tutti lo stimavano uomo veramente Cristiano. Piaccia a Dio, soggiunse ella, che perseveri E avea in fatti F. Bernardino già cominciato ad imbeversi de’ nuovi errori; e vuolsi che i discorsi da lui tenuti in Napoli quell’ anno stesso con Giovanni Valdes ne fossero la prima origine (Bover. ad an. 1541, n. 6). E cominciò a dar saggio del suo veleno nella seconda quaresima ch’ ei predicò in Venezia nel 1542 ove cel mostra una lettera da lui scritta al suddetto Aretino a’ 25 di marzo del detto anno, in cui lo ringrazia del dono fattogli del suo libro sul Genesi, e sottoscrive Frate Bernardino Scapucino da Siena (Lettere all Aret. t 2, p. 218). Ivi adunque lasciò non occultamente travedere l Ochino le ree opinioni da lui abbracciate, e in qual maniera ne fosse accusato al nuncio, come gli riuscisse di sottrarsi al meritato gastigo, come passato a Verona più apertamente ancora insegnasse dal pergamo l’eresia, e come citato a Roma fosse nel passar per Bologna accolto dal cardinale Contarini ch era ivi legato e infermo, veggasi lungamente esposto e dal citato Boverio (ad an. 1542, n. 6), e dal cardinale Querini, che ribatte ad evidenza l’accusa da alcuni Protestanti data al cardinale Contarini di avere in certa maniera favorita non solo la fuga SECONDO 5q3 dell’Ochino-, ina mostralo ancora di 11011 essere alieno dal seguirne le opinioni Diatr. ad. vol 3 Epist. Poli, c. 9). L’Ochino nell’agosto di quell'anno medesimo 1542 da Bologna passato a Firenze, mentre si stava incerto se dovesse o no andarsene a Roma, avvenutosi ivi in Pier Martire Vermigli, fu da lui esortato a non gittarsi nelle mani della corte romana (V. Muzio, Le Ment. Ochin.); ed egli seguendone il consiglio, due giorni dopo il Vermigli, involatosi segretamente, recossi a Ginevra. XL. Grande fu lo strepito che la caduta dell’Ochino eccitò in tutta l’ItaIia, che lo’avea finallora creduto un de più santi e de’ più zelanti ministri della divina parola. La bella ed eloquente lettera che Claudio Tolommei gli scrisse ai" 20 d’ottobre di quell’anno stesso, amorevolmente rimproverandogli la vergognosa sua apostasia (Tolom. Lett. p. 237, ed. Ven. 1565), ci mostra quanto a tal nuova fosse lo stupore e la sorpresa di tutti. Ma FOchino troppo erasi ormai innoltrato per poterne sperar cambiamento. Cominciò egli tosto a divolgare più libri, e tutti in lingua italiana, a sua discolpa insieme e a conferma de suoi errori; e fin dal 1543 diede alla luce in Basilea cinque volumi di Prediche, e nell’anno stesso indirizzò a magistrati di Siena una lettera parimente stampata, in cui cerca di scusare e di difendere la sua condotta. Ambrogio Catarino e il Muzio lo impugnarono con più libri, e celebri sono singolarmente le Mentite Ochiniane del secondo. Io non farò il catalogo di tutti gli opuscoli dell’ Ochino, che si può vedere nella Biblioteca deli’Havm (f. 2, 544 LIBRO p. <3i6, ec.), ove però ne mancano alcuni; e ne seguirò invece le diverse vicende. Trattenutosi poco tempo in Ginevra, passò ad Augusta, e vi stette fino al 1547, nel qual anno invitato insieme con Pietro Martire dall’arcivescovo Cranmero, passò in Inghilterra, e fu indi costretto a partire insieme con lui nel 1553. Strasburgo, Basilea e Zurigo gli dieder poscia ricovero. Ma avendo egli nel 1563 pubblicati i suoi xxx Dialoghi, che da Sebastiano Castalione furon tradotti in latino e stampati in Basilea, e avendo l’Ochino in uno di essi mostrato di approvare la poligamia, cacciato fu da Zurigo, e poscia ancora da Basilea, ov’erasi ritirato. Teodoro Beza fu il principale autore della presecuzione mossa all'Ochino, il quale, vecchio di circa 76 anni, nel cuor del verno dovette andarsene fino in Polonia a cercarsi un ricovero. Ma ivi ancora non potè averlo sicuro e durevole; perciocchè un editto del re Sigismondo, ad istanza del cardinale Commendone, pubblicato contro tutti gli eretici forestieri, il costrinse a uscire ancor da quel regno. Così da ogni parte cacciato, l’infelice apostata riti rossi nella Moravia, ove, come narra il sopraccitato Graziani ch era allora in Polonia insieme col Commendone, poco appresso morì di peste, e moriron con lui la moglie e due figlie e un figlio che avuto ne avea. Quanto alla moglie però il Beza, in questo punto più degno di fede, afferma (Op. t. 3, p. 190) ch’ella eragli morta prima ch’ei passasse in Polonia. L’Annalista de’ Cappuccini si sforza di persuaderci che l Ochino morì in
SECONDO 5/|5 Ginevra; clic innanzi alla morie ritrailo pubblicamente i suoi errori; e che per questa ritrattazione ei fu dagli eretici stessi ucciso (ad an. 1543,n. 46, ec.). Ma per una parte son sì incerte le pruove ch’egli ne reca, e sì autorevoli per l altra le testimonianze in contrario, che chi non è del tutto sfornito di critica e di buon senso, non può rimaner punto dubbioso. E la sola autorità del Graziani, ancorchè altra non ve ne fosse, basterebbe a render certissimo che l’Ochino morì ostinato nella sua eresia. E al Graziani aggiugnesi il Commendone medesimo che in una sua lettera al cardinale Borromeo de 18 di febbraio del 15(55, pubblicala dal P. Lagomarsini (Pogian. Epist. t. 4, p. 131), dice che uscito dalla Polonia, morì nella Slesia; che così egli scrive, e non nella Moravia, le quali provincie però essendo tra lor confinanti, non è maraviglia che una si prenda per l’altra. L’argomento che potrebbe aver qualche forza a favore dell'opinione dell'Annalista, è il detto del Beza che, parlando dell’Ochino, dice: qui in fine se ostendit esse iniquum hypocritam Imagin. ill. Viror. in P. Martyre). Ma in ciò allude il Beza all’eresia degli An ti trini tari i, che dall’Ochino fu negli ultimi anni abbracciata; ed ecco com’egli altrove ne spiega l’ipocrisia: Scclemtus hypor ri fa Arianpruni clandestinns fitutor, polrganiiae defensor, omnium Christianae Religionis dogmatum irrisor, qui un eo tandem audaciae erupisset, ut sua portenta, in publicum ederet (justo sane Dei judicio ne latere diutius tantum malum Tiuabosciii, Voi. X. 35 546 LIBRO ftessei) delatus cui Magistratura... jussiis est e Tigurinorurn agro Jàcessere. In fatti in imo de’ suoi Dialogi sopraccitati egli con tal forza propone le ragioni degli Aliti t ri ili t ari i, che sembra lor favorevole: e vuolsi che più apertamente si dichiarasse del lor partito in Polonia: Monsignor Illustrissimo Varmiense, scrive il Commendone al Borromeo in altra sua lettera de’ 6 di luglio del 1564 (Pogian. l.c.), ebbe ieri avviso di Posnania, che lì si intendeva per lettere dell' A re hi diacono di Cracovia, come Fra Bernardino Ochino era venuto in Cracovia, et che apertamente si era acòostato a 'Frini larii? et che apportava di più non so che altro dogma di poligamia, ec. E non senza ragione però nella Biblioteca degli Auliti iuitarii, pubblicata dal Sandio, vedesi inserito il nome dell Ochino. XLI. Più strepitosa ancora di quella di un ! frate fu la caduta di un vescovo e di un nuncio apostolico, cioè di Pierpaolo Vergerio (a). (a) 11 celebre e in ogni genere d'erudizione versatissimo co. commendatore Gio. Rinaldo Carli ci ha poi date copiose ed esatte notizie di questo infelice vescovo nel t xv delle sue Opere stampate in Milano. In esse non solo egli esamina con somma diligenza tutte l epoche e tutte le circostanze e le vicende della vita del Vergerio, ma si sforza ancor di difenderlo dalla taccia appostagli di essersi mostrato favorevole alle opinioni de' novatori fino da primi anni, e nel tempo stesso in cui era impiegato dal papa in nunziature; e sostiene che solo circa il 1550 ei si dichiarasse apertamente seguace dell’ eresia, io non entrerò all’ esame di questo punto, di cui ognuno potrà giudicare come meglio gli pare, poichè avrà diligentemente confrontate insieme le difese e le accuse. SECONDO 547 Egli era della stessa famiglia che Tallio Pierpaolo Vergerio, da noi altrove lodato, ed era egli pure natio di Giustinopoli ossia di Capo d’Istria. Attese agli studi legali in Padova, ov ebbe ancora l onor della laurea. E fin d allora ei si mostrò non alieno dalle nuove eresie. Il Gerdesio riferisce una lettera scritta nel 1521 da Venezia da Martino Schenckio a Giorgio da Spalatro segretario, e allora ancor confessore dell’elettore sassone Federigo, da cui si raccoglie la brama che avea il Vergerio di passarsene a Vittemberga, ove l’eresia di Lutero già da qualche anno gittava le sue radici (Gerdes. Specimen Ital. reform. p. 8). Convien dire però, che o il Vergerio cambiasse allor sentimento, o occultasse per tal modo l’animo suo, che non si travedesse ciò ch’ei pensava. L’an 1522 fu in quella università professore dell’arte de’notari (Facciol. Fasti Gymn. patav. pars 3, p. 193). Si volse poscia a trattare le cause nel foro, e in Padova, ove poi ancora fu vicario del podestà, e in Venezia si acquistò nome di orator valente insieme e d’uomo di virtuosi costumi. Voi avete, scriveva il Bembo da Padova ad Angelo Gabrielli avvocatore in Venezia a’ 10 dicembre del 1526 Op. t 3, p. 107), Voi avete da pochi dì in qua avanti a voi molto spesso una gentile e costumata persona, et ornata oltre le leggi, che sua professione sono, dalle buone lettere e da un cortese e virtuoso animo, la quale io amo grandemente per queste cagioni, et sommamente vorrei poterle giovare.... Egli è Oratore, ed attende sopra tutto a piati del vostro Magistrato •VjS UBRO in questo tempo, che M. Maffeo Michele dimorerà a venir Podestà qui, di cui egli fia Vicario. Questi è M. Pietro Paolo Vergerio Justinopolitano, al quale vi prego a voler far buon viso. Il Casa nondimeno, nell’ Invettiva contro di lui poscia scritta, gli rinfaccia fra le altre cose, che nel trattare le cause altra eloquenza ei non usasse che (quella delle ingiurie e delle villanie (Op. t. 4, p. 230, ed. J en. i'-aS): nel che però anche questo scrittore si lasciò forse trasportare alquanto dal caldo con cui distese quella sua invettiva. Un altro assai più grave delitto gli rimprovera il Casa, cioè di aver uccisa con veleno Diana sua moglie, affin di poter poscia aver parte ne benefizii ecclesiastici, e di ciò egli chiama in testimonio la città tutta di Giustinopoli: quotus enim quisque in tua Civitate est, cui certum atque compertum non sit Diana uxorem tuam veneno a te esse sublatam quod obstare illam honoribus Sacerdotiisque, quae tibi tu, homo vanissime, altero fratre tuo fretus, pollicebare, atque animo vorabas ec. (ib. p. 228). Una sì franca asserzione, che dal Casa si ripete ivi più volte, appena sembra lasciarci luogo a dubbio. Nondimeno il Vergerio in una sua lettera all’Aretino {Lett alTArci. t. 1, p. 162), scritta nell’an 1533, si compiace di non aver seguito il consiglio che quegli più volte gli avea dato di menar moglie. Ma forse ei parla qui di seconde nozze. Nel 1530 il Vergerio era ancora in Venezia, come raccogliamo da una lettera che un certo Marco di Niccolò scrive a Pietro Aretino a’ 5 di maggio, avvertendolo che il SECONDO 54(J Vergerio da Venezia lia seri Ilo al pontefice, accusando lui di avere ingiuriosamente parlato del pontefice stesso, perchè non aveagli ancor pagati i 500 scudi promessigli, e lo rimprovera d’ingratitudine, chiamandolo scortese avvocato, poichè ei dovea ricordarsi che Aurelio suo fratello era stato collocato in Roma per raccomandazione fattane dall Aretino al vescovo di Vaison (ivi, p. 60). È falso dunque ciò che il Bayle (Di et. art T'ergcrìus) ed altri affermano, ch ei fosse mandato nuncio in Germania nel 1530. Ben dovette tardar non molto il \ ergerio a trasferirsi a Roma, ove fattosi conoscere al papa, e acquistato nome d’uomo saggio e |)rudente, fu da lui inviato suo nuncio a Ferdinando re de’ Romani. La partenza del Vergerio dovette accadere verso la fine del i53a. Cosi panni che si raccolga da una lettera di Girolamo Muzio da me poc’anzi citata, in cui dice di esser venuto a Roma gli ultimi giorni di luglio; che, mentre egli ivi si tratteneva, era accaduta la tragica morte di Aurelio Vergerio fratello di Pier Paolo, e poeta italiano di qualche nome (Fontan. Note al Zeno, t 1, p. 230) (la quale si è detto che avvenne nell’agosto dell’anno 1532); e che questi era nuncio in Allemagna. Una lettera nondimeno del Vergerio all’Aretino, scritta da Vienna a’ 7 di maggio del i533 (l. dtp. 1G2), sembra che cel rappresenti giunto poc’anzi in quella corte. Paolo III frattanto succeduto a Clemente VII richiamò dall’Allemagna nel 1535 il Vergerio, per essere più esattamente informato dello stato di quelle provincie; e poscia 55o unno vel rispedì, affine singolarmente di sollecitare la convocazione del concilio (Pallav. Stor, del Conc. di Trento, l. 3, c. 18). In quella occasione ei si abboccò con Lutero in Vittemberga, e si può vedere il racconto di quel colloquio presso il cardinale Pallavicino, il quale ribatte la contraria narrazione del Sarpi, in modo (ib.) che anche il Bayle (Dict. art. Verge rius) gli dà a questo luogo la preferenza. Tornato in Italia nel 1536, fu dal pontefice mandato all imp Carlo V in Napoli, e nell’anno stesso fu, in premio del buon servigio da lui renduto alla Chiesa, fatto vescovo della sua patria la), benché nascesse qualche contesa sulla collazione del vescovado, il cui diritto pretendeva per sè il re Ferdinando. Dovete aver inteso, scriv egli all'Aretino (l. c. p. 174) da Roma a 24 di giugno del 1536, che il Papa mi fece Vescovo per viva forza d una Chiesa, della quale Ferdinando pretende aver Juspatronato, et volermela egli dare. Et vedete, che fortuna: converammi haverne due obblighi d una cosa tenue, rispetto alle rendite; che l animo di questi due miei Patroni non è egli così piccolo verso di me (per la bontà), come si è abbattuto a esser la cosa, che m hanno data. Goderommi questa, finchè Dio vorrà, et (a) La chiesa conferita al Vergerio, di cui egli parla nella lettera qui riferita non fu quella di Guislinopoli, su cui Ferdinnndo re d'Ungheria non poteva pretendere diritto alcuno, ma fu la chiesa niodrusieuse nella Croazia, che è di giuspatronalo di quel regno. J)a essa poi fu trasferito nel novembre dell Ordine stesso a quella di Giuslinopoli (V. Furiati JUjrr, sacra, l. 41 p> n^)* FECONDO 551 poi sarà qualche altro accidente. Una volta ella è sposa, che si può repudiar et cambiar. Queste espressioni non sono,a dir vero, troppo degne di un vescovo 5 e il Vergerio cominciava allora o a cambiar sentimenti, o a scoprire i finallora nascosti. Nondimeno egli soggiunge che stava per ritornare in Germania. Ed ei tornovvi di fatto, ma di sua volontà, e anche con dispiacer del pontefice, alle cui orecchie (giunsero i sospetti che la dimora del Vergerio in Allemagna destava contro di lui (Pallav. /. 1 (it. I. c. 12). Due lettere da lui scritte all'Aretino, nel maggio e nel giugno del i53<) 1 (l. cit. p. 175), cel mostrano in Padova, e a’ bagni di Abano. A’ 18 di aprile l’an 1540 era in Ferrara vicino a partire per Francia insieme col cardinale Ippolito d Este: In Franza vado rimorchiato, come si dice a Venezia, dall autorità del Cardinal di Ferrara (ivi,p. 176 Quest). ultima lettera all’Aretino ci mostra sempre più l’animo del Vergerio mal prevenuto contro il pontefice: Io so ciò che è Roma, et ciò che siete voi.... Li miei tre libri volgari portai a Roma, et se ben contenevano materia, che pareva, che a coloro più che agli altri appartenesse. pure a coloro non gli ho voluti dare; gli ho dati al Re di Franza, che è Cristianissimo, et che mostra di voler riconoscere il povero autore, et proverò tosto > se egli lo vuol fare da dovvero. Ho posto in ordine anche un altro Trattato de Episcopis pure in volgare, et anche questo donerò a Sua Maestà. Ei partì pochi giorni appresso col cardinale, e passando pel monastero di S. Benedetto t LiRno di Mantova, o\’era allora il Cortese clic fu poi cardinale, con lui seppe finger sì bene, ch egli scrisse a’ il' aprilo al cardinale Contarini, lodando molto il Vergerio. e pregandolo a ottenergli dal papa la cessazione di una pensione posta sul suo vescovado: Al presente si ritrova con sua Signoria cioè col! cardinale d'Cste) il V'ergerò Episcopo di Capo d Istria, qual mostra un ardentissimo desiderio dell onore del Signor Dio, e penso, che pur debbia fare, qualche frutto. Esso Monsignore di Capo d Istria mi ha fatta molta istanzia, che debbia raccomandarlo a Vostra Signoria per una certa pensione, qual è sopra il suo Vescovado, e desidera esserne liberato; e perchè mi pare giustissima petizione, il raccomando con tutto il cuore a V. S. Reverendi ss. Dice esserli data qualche speranza, che a quello, a cui esso paga, sia dato qualche contraccambio (Cortes. Op. t. 1, p. 129) C). (*) Una lettera scritta da Tommaso Badia allora maestro del sacro palazzo e poi cardinale al cardinale Contarini a’28 di dicembre del 1540 dal colloquio di Vormazia, ov’egli pur si trovava, ci fa conoscere che il Vergerio continuava a fare istanze per esser liberato dalla pensione, ma che il Badia conosceva (fin d allora, ch’ ei macchinava cose poco vantaggiose alla Chiesa: il Vescovo di Capo d Istria ha scritto al Reverendissimo (d Inghilterra ed al Reverendissimo di S. Croce per liberare il suo Vescovato da quella pensione, et hami comandato, che ancora io scriva a V. S. Rever per questo; onde per satisfarlo vi scrivo, che per amor di Dio fate con N. S. buono effetto. Mi ha giurato sopra il petto suo, che levata questa pensione, ovvero data ferma promessa di levarla, SECONDO 553 XLII. Ho voluto stendermi alquanto su questi primi anni della vita del Vergerio ancor cattolico, perchè poco di essi ci dicono tutti quelli che ne ragionano. Dell’ altre cose che a lui appartengono, ci spediremo più brevemente. Intervenne il Vergerio alla fine del 1540 al colloquio di Vormazia, speditovi in suo nome dal re di Francia, e il cardinale Pallavicino dimostra ad evidenza la falsità di ciò che altri affermano, che sotto quella apparenza ei vi assistesse veramente in nome del papa (l. c.). Favoloso è ancora ciò che narra lo Sleidano (Ili st. I. 21), che tornato il Vergerio da quel colloquio a Roma, disegnava il pontefice di onorarlo della porpora; ma che se ne astenne per le accuse che a lui vennero date di favorevole inclinazione verso l’eresie; che il Vergerio di ciò avvertito, ritiratosi al suo vescovado, si accinse per dar pruova della sua fede a scrivere un'opera contro gli eretici; ma che nell' esaminare i loro argomenti, ne sentì la forza per modo, che si determinò a seguirne le opinioni insieme con Giambattista suo fratello vescovo di Pola. Le cose da noi dette poc’anzi pruovano chiaramente che già da molto tempo covava il Vergerio il suo reo disegno, e che il papa era ben lungi dal concedergli un tal onore. Pare che dopo il colloquio di Vormazia si ritirasse (inderà al suo vescovado a governare il suo gregge di vintimila anime. Quando potessi parlare a V. S. li farei intendere, che a costui passano per le mani cose di qualche importunila, et al giudizio min sarebbe espediente fosse tolto da tale impresa. (Quiriti. Diatr. Epist. card. Poli, t. 3, p. 261). 4 r*ci <
- >J t LI11RO
il Vergerio al suo vescoy a do. lei i sospetti della sua fede si fecer sì forti, che accusatone a Roma, egli credette di dover invece recarsi al concilio, e ivi giustifìcarsi. Ed ei vi venne nel febbraio dal i >4l> (F'aflav. I. 6, c. 13). Ma tanto è lungi che ivi egli avesse quelle ridicole dispute che alcuni Protestanti, citati dal Bayle, ne raccontano, che anzi i legati, le cui "lettere sono citate dal Pallavicino, ricusaron di ammetterlo; e solo si adoperarono in favor di esso per modo, che ottennero ch’ei non fosse obbligato ad andarsene a Roma, ma ne fosse rimessa la causa al nuncio e al patriarca di Venezia. Il Vergerio citato a render ragione della sua Fede, andò lungamente tergiversando; e or col negare, or coll interpretar sanamente le proposizioni appostegli, ottenne di prolungar l affare fino al 1548, nel qual anno soltanto gli fu ordinato di non accostarsi più alla sua Chiesa, come si raccoglie da una lettera del Muzio (Vergeriane, p. 1 17). Nè questo solo gastigo avrebbe probabilmente avuto il Vergerio, se con una pronta fuga ei non si fosse sottratto. Ritirossi egli dapprima tra i Grigioni, e fu ministro delle lor chiese nella Valtellina. Ma par che al principio non dichiarasse la sua eresia, perciocchè io ho copia di una lettera da lui scritta da Vicosoprano a 21 di aprile del i5!>o a don Ferrante Gonzaga, il cui originale conservasi nel più volte lodato archivio di Guastalla, nella quale egli così gli dice: Olire di qiu’st/t impresa potrò esser buono nelle cose appartenenti alla Religione per l amicizia, ch'io tengo con que dotti di Lamagna et quando o per eia di SECONDO 555 un Concilio, o per altra si trattasse qualche accordo, et assettamento, V. Eccell. vedrebbe ciò, che saprei fare. E si sottoscrive: Vergerio Vescovo di Capo d Istria. Più degna ancora d’osservazione è un'altra lettera che ivi pure conservasi, da lui scritta al medesimo D. Ferrante da Vilna a'6 di novembre del « 556, quando avea già apertamente abbracciato il partito de Protestanti. Dopo aver trattato di qualche affare di D. Ferrante, con che occasione, dice, io sia qui venuto, voglio anche dirlo. Son stato mandato da alcuni dei Principi dell Impero nel Ducato di Prussia per comporre certe differenze. Havendo dunque bill Palatino (di Vilna) saputo, ch' io v era, ha mandato per me, e m'ha fatto, per sua bontà, un mondo d honori. Egli è fatto de nostri in tutto e per tutto, e ha data fuori in stampa la sua confessione. Torno domani in Prussia, e poi ho da tornar in Polonia, e per quella via andrò al Sig. Duca di Virtemberg. V. Ill. S. adunque vede, che io travaglio, e volentieri: così piace a Dio.... Ben caro mi sarebbe, che questa fosse data a veder all' Ill. Sig. Cardinale (il cardinale Ercole Gonzaga) il quale non cesso di osservare e riverire, con tutto che io dubiti, ch' egli habbia alienato l animo da me, perchè ho lasciato il Vescovato, che sua Ill Signoria mi fece dare,, ec. E si sottoscrive: Servitor Vergerio. Passò poscia di fatto a Tubinga, chiamatovi dal duca di Vittemberga. Ivi nel 1562 abboccossi col nuncio Delfino, che ebbe qualche speranza di ridurlo sul buon sentiero. Ma ben si vide che nel cuor del Vergerio LIBRO più che r amore della verità polca V orgoglio (1 allav. I. ir>, c. io). Ferino dunque ne" suoi orrori, mori in Tuhinga a1 4 di ottobre del i j65; e il Gcrdesio riporta fiscriziou sepolcrale in versi, elio no fu posta al sepolcro [Specimen Ital. re forni p. 34*J« cc.) io non darò il catalogo di tutte l opere, o. a dir meglio, di tutti i libercoli del Vergerio, la maggior parte de quali si posson vedere nella Biblioteca dell Haym (t. 2, 621). Tutti sono scritti in lingua italiana, ed in essi ei non si scuopre nè profondo teologo, nè uomo erudito. La maldicenza con cui cerca di screditare la Religione cattolica e i più illustri seguaci di essa, e una certa popolare eloquenza, sono gli unici pregi di questo scrittore, per cui que libri ebbero allor gran corso, ma per assai breve tempo. Tra1 Protestanti medesimi, benchè molti lo esaltino con somme lodi pel zelo con cui promosse la lor riforma, alcuni nondimeno confessano ch egli era uom non sincero, e nella teologia assai mal istruito Bayle, l. c. nota L.). Ma s’ egli inveì amaramente contro de Cattolici, trovò ancora tra essi chi seppe rispondergli e metterne in chiaro le imposture e le menzogne. Le Mentite Vergeriane e le Lettere cattoliche del Muzio, e rinveniva del Casa, benchè scritta per avventura con soverchio ardore, son tai monumenti che bastano a far conoscere l uom malvagio ch egli era. Contro di lui scrisse ancora Ippolito Chizzuola bresciano canonico lateranese, che lasciatosi dapprima sedurre dalle nascenti eresie, conobbe poi il suo errore, ed emendollo con SECONDO 55^ confutarle dal pergamo, e col rispondere con un suo libro, stampato in Venezia nel i5(Ì2, alle bestemmie e alle maldicenze del Vergerio (V. Fontanini e Zeno, t. 2, p. ec.), oltre qualche altra opera di somigliante argomento da lui pubblicata. Oltre le opere da lui composte in difesa dei' suoi errori, abbiamo molte lettere latine da lui ancor cattolico scritte a Federico Nausea, che si leggono nella raccolta delle lettere ad esso scritte; ed altre italiane ne abbiamo sparse in diverse raccolte. XLUI. 1 quattro eretici or mentovati furono per avventura coloro de’ quali fu maggiore il grido tra’ Protestanti o per le circostanze che ne renderon più memorabile la caduta, o per le opere con cui si sforzarono di sostenere e difendere i loro errori. Molti altri ebbe l’Italia, de’ quali con dolore ella vide l’apostasia, e mal volentieri li rimirò rivolgere a difesa dell’ errore l’ingegno loro e lo studio. Furon tra essi Agostino Mainardi astigiano dell'Ordine di S. Agostino, che rifugiossi a Chiavenna, ed ivi morì nel 1563, dopo aver pubblicati due opuscoli, uno intitolato Della soddisfazione di Cristo, l’altro L'Anatomia della Messa (Gerdes. I. cit p. 300); Giulio Terenziano da Milano dello stesso Ordine, di cui l’Argelati rammenta alcune Prediche stampate in Venezia (BibL Script mediol. t 1, pars 2, p. 753; t 2, pars 2, 1998), e che ivi fatto prigione, fuggissene poscia oltremonti, e pubblicò alcuni altri opuscoli sconosciuti all Argelati, e alcuni di essi sotto il nome di Girolamo Savonese (Gerdes. p. 279); Jacopo Broccardo veneziano, J,0 LIBRO di cui e delle opere da Ita composte paria diligentemente il conte Alazzuccbelli (Senti it. t. ±, par. 4, p. 2121, ec.), e più altre cose ne aggiugne il Gerdesio (p. 180, ec.); Fanuio da 1 acnza dannato a morte pe’ suoi errori in l'ei rara nel 1550 (Gerdes. p, del cui martirio, com" egli dice, si ha alle stampe una Relazione latina di V rauccsco Negri bussane.se, Protestante esso ancora e autore d una tragedia intitolata Il libero arbitrio, intorno al qual autore e ad altre opere di esso ragiona assai esattamente il sig. Giambattista Verci (Scritt bassan. t. 1, p. 60) (a); Gianleone Nardi fiorentino, di cui più che la vita son note alcune opere da lui pubblicate in difesa dell' eresia (Gerdes. p. 305); Alessandro Trissino vicentino. scrittor Protestante, sconosciuto al Gerdesio, e di cui io non trovo menzione alcuna presso altri, il qual da Chiavenna scrisse ai' 20 di luglio del 1570 una lunga lettera al c Leonardo Tiene, stampata due anni appresso, in cui esorta e lui e tutti i suoi concittadini (a) I) Negri è uno di quegli scrittori ili cui ai Quadrio è piaciuto di onorar la sua Valtellina (Diss. sulla Vaiteli, t. 3, p 41 5) Senta recarcene pruovu di sorta alcuna, dice eh’ ei nacque in Lovero luogo di quella provincia, e che fu detto llassanese, poiché ivi tenne pubblica scuola, il che è falsissimo. Leggasi il sopracritato articolo del sig. Verci, e si vedrà a quali autentici monumenti sia appoggiata la comune asserzione ebe il Negri fosse bassanese. Ma non v‘ ha chi non sappia di quanti sogni sia piena quell’opera di quel per altro valoroso scrittore. Mi spiace che il co. Giovio siasi a lui troppo fidato e in questo e in alcuni altri articoli del suo Compendio degli illustri Comaschi. SECONDO. 50CJ fit] abbracciare le nuove opinioni; Alfonso Corrado mantovano, di cui si ha il Comento sull’Apocalissi stampato in Basilea nel 1574, pieno d invettive e di maldicenze contro il romano pontefice (ib. p. 231); Francesco Betti romano da noi mentovato nel parlare del Muzio; Antonio Albizzi fiorentino, di cui si posson vedere più ampie notizie presso il co Mazzucchelli (l. c. t. 1, par. 1, p. 337, ec.) e il Gerdesio (p. 167)) Simone Si moni lucchese (a) che in Ginevra, in Heidelberga, in Lipsia, in Praga, in Polonia or si scoprì luterano, or calvinista, or cattolico, or ateo, e perciò ora stretto in carcere, ora esiliato, e ciò da’ Protestanti medesimi tanto nimici della romana intolleranza (Gerdes. p. 333,- Bayle, Dict; Brucker. Hist Crit. Philos. t. 4, p 286); Jacopo Aconzio da Trento, che visse più anni alla corte della reina Lisabetta, e che, oltre più altre opere, pubblicò otto libri intitolati: De stratagematibus Satanae in Religionis negotio, assai applauditi da’ Protestanti (Gerdes. p. 1 (>5; Mazzucch. Scrit.it. 1, par. 1, p. 110); Mino Celsi sanese, autore del libro Quatenus progredi liceat in haereticis coercendis, di cui però alcuni fanno autore Lelio Soccini, e che fu per più anni correttore della stamperia di Pietro Perna in Basilea (Gerdes. p. 224, Manni, Vita di P. Perna, p. 10); e più altri, il cui catalogo si (a) Di Simone Simoni, e «li lle sue strane vicende, I10 parlato a lungo nella Biblioteca modenese (t. 1, p. 227, ec.; t. 6, p. ove ho anche esaminato s ci Tosse veramente lucchese, o natio di Vagli nella Garfaguana. li URO può vedere presso il più volto olialo Gerdesio Questi però ha posti a lor dispetto tra’ Protestanti alcuni Italiani, i quali se ancora vivessero 7 altamente dorrebbonsi di tale ingiuria j e di alcuni dovrem ragionare altrove, come del cardinale Fregoso, di Marcantonio Flaminio, di Giambattista Folengo, di Jacopo Bont’adio. Alcuni altri, benchè fosser seguaci delle nuovo eresie, non appartegon però a quest’opera, perchè non furono uomini illustri per lettere; ose cultivaron gli studi, non ce ne lasciarono quasi alcun monumento. Fra essi però non dee del tutto passarsi sotto silenzio Pietro Carnesecchi fiorentino, di cui tra gli scrittori Protestanti, oltre il Gerdesio (p. 208), ha lungamente parlato loScholornio (Atnocn. litter. t. 10, p. 1198; Amoen. eccles. t 2, p. 180). Fra’ Cattolici, oltre più altri, di lui ragiona il Laderchi (Annal, eccl. ad an. 1566), il quale però annoverando gli amici del Carnesecchi, tutti unisce in un fascio Vittor Soranzo vescovo di Bergamo, Luigi Priuli, e il Flaminio col Vergerio e coll’Ochino, e tutti indistintamente gli spaccia per luterani, calvinisti e zuingliani. Il Carnesecchi era uomo di raro talento e di maniere assai amabili, e amico perciò fin dal 1533 del Sadoleto, da cui vien detto plenus officii atipie Immani latin adolcscens (Epist. famil, t 2, p. 189) Fu segretario di Clemente VII, da cui (fu avuto in molta stima, e fatto protonotario apostolico. Ma l’amicizia da lui contratta in Napoli con Giovanni Valdes, il fece cadere nell’eresia. Un’eloquente e piissima lettera scritta a lui dal Flaminio in difesa del Sacrificio della SECONDO 56I ^ssa, che si ha tra le opere di esso, e la risposta a lui fatta dal Carnesecchi, ci fan vedere che questi erasi lasciato infelicemente sedurre. Citato perciò a Roma nel 1546 (Casa, lett. 33, 44), seppe difendersi in tal maniera, che fu assoluto. Accusato di nuovo e chiamato giudizio da Paolo IV, fu condennato assente, e per ultimo Pio V, ottenutolo dal gran duca Cosimo, e fattolo condurre a Roma, ivi il condennò all'estremo supplì ciò: uomo lodato molto pel suo sapere dal Mureto (l. 1, ep. i4)? dal Bonfadio (Lettere, p. 29), dal Casa, del Flaminio e da più altri uomini dotti di quell'età, e tanto più degno di compassione, quanto men saggio fu l uso ch’ ei fece de’ suoi talenti (a). XLIV. A me rincresce l andarmi tuttora avvolgendo in sì spiacevole argomento. Ma io non debbo dissimulare che oltre il dare molti seguaci agli errori di Lutero e di Calvino, ebbe l Italia il dolore di produrre gli autori di nuova e ancor peggiore eresia, cioè di quella de’ Socciniani, conforme in gran parte a quella degli antichi Ariani. Lelio Soccini sanese, figliuolo del giovane Mariano Soccini celebre canonista, e nato nel 1525, ne fu il primo autore. Fausto di lui nipote, perchè figliuolo di Alessandro di lui fratello, e nato nel 1539, ne fu veramente il fondatore e padre. Le loro Vite si hanno nella {-7) Delle vicende e della infelice morte del Carnesecchi, seguita a’ 3 di ottobre del i5t>7, ha parlalo di fresco anche d sig. Galluzzi, che ha pubblicati su ciò alcuni (Inora inediti documenti (Storia del Gran Ducalo di Tose. I. 5, c. 4)Tnuuoscm, Voi X. 36 >, M LI Itilo biblioteca degli Antitrinilarii del Saiulio, c innanzi alla raccolta delle opere loro e de’ loro seguaci, intitolata Bibliotheca Fratrum Polonorum, e innoltre di essi ragionano tutti gli scrittori della storia ecclesiastica e delle eresie..Molte notizie cosi de due Soccini, come de’ primari loro discepoli ci ha date il Ba>!c nel suo Dizionario. \ erso il 1 11> cominciò Lelio a tenere alcune assemblee nel territorio di Vicenza, a cui intervenivano oltre a 40 persone, e fra esse Valentino Gentile da Cosenza, e Giampaolo Alciati milanese, e disputandosi di Religione, vi si spargevan de' dubbj singolarmente sul! Mistero della Trinità e sulla Soddisfazione di Cristo. Scoperto il veleno che si andava in esse spargendo, alcuni di quei novatori furono arrestati e condannati a morte, altri si sottrassero colla fuga e si dispersero in diversi paesi Lelio, dopo aver viaggiato più anni, fissatosi in Zurigo, cominciava a spargervi segretamente le sue opinioni. Ma ammonito da Calvino, e più ancora intimorito dal supplicio di Michele Serveto, prese a dissimulare per modo, che, benchè andasse comunicando or agli uni, or agli altri i suoi sentimenti, visse nondimeno tranquillo, e solo ebbe il dolore di veder la sua famiglia dispersa pe’ troppo fondati sospetti di errore in cui essa cadde. Ei morì in età assai giovanile in Zurigo nel 1562 con fama d’uom dotto e assai versato nelle lingue greca ed ebraica e ancor nell’arabica. Fausto imbevuto ne’ primi anni degli errori del zio, e perciò costretto a fuggir dalla patria, dopo la morte di Lelio tornò in Italia, e si contenne in modo, che non dando SECONDO 563 putì sospetto di rea credenza, fu assai caro per più anni al gran duca Cosimo I. Ma finalmente non potendo più oltre dissimulare, fuggissene nel 1574 a Basilea. La Transilvania e la, Polonia furon poscia il soggiorno di Fausto; ma in quest ultimo regno le contese ch’egli ebbe con altri eretici, e le opinioni da lui sostenute, il fecero soggiacere a diverse vicende; ed or si vide esposto al popolare tumulto, strascinato e battuto per le pubbliche vie, mentre frattanto ne veniva saccheggiata la casa, e arsi i libri; or fu costretto ad andar ramingo in diversi paesi, finchè fissatosi in un villaggio presso Cracovia, ivi morì a 3 di marzo del 1604 A me basta accennare tai cose che si posson vedere più ampiamente svolte da’ suddetti scrittori, i quali ancora ragionano delle opere di Lelio inserite nella sopraccitata Bibliotheca Fratrum Polonorum. Il Gentile, nominato poc’anzi, fu come Ariano decapitato in Berna nel i566 (Cfpriani, Di ss. de Morti bus Socinian. c. 5; Bayl, Dict), e di lui si posson vedere più copiose notizie presso gli scrittori della Storia letteraria del regno di Napoli, e singolarmente presso il marchese Spiriti (Scritt. cosent. p. 64). L Alciati sparse dapprima in Ginevra i suoi errori contro la Trinità; rifugiatosi quindi in Polonia, passò finalmente tra1 Turchi, e non si vergognò di abbracciar la loro setta, come con diversi argomenti pruova il Cipriani, ribattendo la contraria autorità del Ruuro scrittoi’ Socciniano (l. cit c. j). Compagno indivisibile delfAlciali fu Giorgio Biandrata natio di Saluzzo, il qual morì, dicesi, soffocato nel suo proprio ->6-j LIBRO letto da un suo nipote da lui nominato erede ^ D^’ eretici scrittori italiani basti il detto fin qui, e ritorniamo omai a coloro che a migliori oggetti rivolsero il loro ingegno. XLV..Molte altre opere teologiche vennero a luce in Italia nel corso di questo secolo, che se non furon rivolte a confutare gli eretici, giovarono nondimeno all’ istruzion dei’ Fedeli. Molte se ne hanno alle stampe di Francesco ('all mi da Diacceto vescovo di Fiesole, detto il vecchio, a distinguerlo da un altro dello stesso nome e cognome, di cui scrisse la Vita Benedetto Varchi. Delle opere del giovane si può vedere il catalogo presso gli scrittori fiorentini, e singolarmente presso il cardinale Salvini (Fasti consol. p. 152, ec.). Più celebre è il nome del cardinale Giangirolamo Albani nobile bergamasco, uomo dapprima illustre pel suo saper nelle leggi, ammogliato e padre di più figliuoli, eletto dalla Repubblica collateral generale, e finalmente dal pontefice S. Pio V, che aveane conosciuta in addietro la probità e la dottrina, nominato cardinale nel 1570, e morto poi in Roma in età di 87 anni nel 1591. Il co Mazzucchelli ha di lui trattato più a lungo (Scritt ital. t i, par. i, p. 273), e ci ha dato il catalogo delle molte opere da lui composte, fra le quali le più pregevoli sono quella J)c Cardinalati/., quella De Potestate Papae et Concilii, e quella De Inimunitatc Ecclesiaruni (a). Pietro (a) 11 cnrdinal Albani fu uno de’ protettori del Tasso, a cui era ben ragionevole che accordasse il suo favore e come ad uomo dotto, e come a suo concittadiuo. SECONDO 565 fonila dell1 Ordine de1 Minori, dal nome della sua patria soprannomato Galatino, e penitenziere di Leon X, oltre più altre opere, il cui catalogo si può vedere presso il Fabrizio (Bibl. fh’d. et inf. Latin, t. 3, p. 4) e presso gli altri scrittori da lui citati, ottenne gran nome singolarmente pe’ suoi dodici libri De Arcanis catholicae veritatis, ne quali prende in particolar maniera a confutar gli Ebrei, e che furono la prima volta stampati in Ortona a mare nel 1518, e poscia più altre volte ristampati. Egli è accusato di essersi giovato molto dclfopera di Forchetto de’ Salvatici, da noi mentovato nella storia del secolo xiv, e di quella di Raimondo Martini intitolata Pugio Fidei. Ma oltrechè molte più cose vi ha egli aggiunte, non avrebbe il Galatino potuto in una tal opera valersi delle fatiche altrui, se non fosse stato egli stesso versato assai in quegli studi, e singolarmente nella lingua ebraica, di cui fa molto uso (*). Parecchi opuscoli, altri alla stampa, L* eruditissimo ab. Serassi ha pubblicate due lettere di ijiiesto cardinale; una al duca «li Ferrara in raccomandazione del Tasso, l’altra al Tasso medesimo (Fila di T. Tasso, p. ‘x'i’j y 277). (*) Di F. Pietro Colonna, e di alcuni altri uomini illustri di Galatina mi ha gentilmente trasmesse da Lecce alcune esatte notizie l'eruditiss sig. D. Baldassar Papadia. Il Colonna nacque di povera e oscura famiglia dopo la metà del secolo xv. ed entrato nell' Ordine de’ Minori, fu presente nel 1480 alla strage de' Cristiani fatta da’Turchi in Otranto, e ne ragiona egli stesso non brevemente (in /.Ipocal. I. \y c. 13). Passato a Roma, oltre lo studio della teologia, si avanzò molto in quel delle lingue greca, ebraica c caldaica, c vuoisi XI VI. Elogio »Iti curtlioal (.11sliclioo Sirici o. n,'| unno nitri inediti, si hanno di Sisto Medici dell* Or- 'l dino de Predicatori, di cui a lungo cd esatta-,» mente ragiona il P. degli Agostini [Scria. wnez. t~ cc.). A1 quali scrittori e alle quali ' opere più altri potrei aggiugnerne. se l' ampiezza dell, argomento non mi vietasse l'andar cercando " minutamente ogni cosa. XJLVr. Chiuderem dunque ciò che appartiene agli studi teologici col dire di due cardinali, che verso la fine di questo secolo in essi con molla lor gloria occuparonsi; cioè del cardinale Guglielmo Sirleto, e del cardinale Agostino Valiero. Del primo niuno ha scritta stesamente la Vita, e sol ne abbiamo l'elogio fattogli dall'Eritreo (Pinacoth. pars 1, p. 268) e le memorie che ne hanno raccolte gli scrittori delle Biblioteche napoletane, e principalmente il Tafuri Scritt, napol. t. 3, par. 3, p. 200), niun de’ quali però ci dà molto esatte contezze di questo celebre cardinale. Era egli natìo di Stilo, terra della Calabria, ed era nato nel 1514 da onesti, ma non molto ricchi genitori. Dopo fatti in Napoli i primi studi, passò a continuarli che della prima fosse anche ivi pubblico professore. Tornò poscia nel regno di Napoli, ed egli era provinciale della provincia di S. Niccolò di Ilari, quando pubblicò la celebre sua opera De Arcanis, ec., come rancogliesi dal Hi e ve od esso diretto da Leon X nel i5i8, die leggesi al fin dell' opera stessa. Egli viveva ancora in età decrepita nell’anno i539, come narra il Wadingo ne’ suoi Annali al detto anno; ed era allora in lloma, ov’ è probabile che non molto appresso morisse. Quindici tomi di olire sue opere mss. lasciò egli al suo convento d1 Aracaeli, che fuion poi trasportati alla > aticaua, ove tuttor si conservano. SECONDO 5ÓT jii Roma, e tanto s1 innoltrò, come narrasi dall'Eritreo, nelle lingue latina, greca ed ebraica, che in tutte parlava non altrimente che se fosser le sue. Nello studio poi delle sagre lettere e de’ SS. Padri si esercitò per maniera, che non credevasi che alcun altro si potesse a lui uguagliare. A questi sì rapidi avanzamenti contribuì molto la rara memoria di cui egli era dotato. Di essa grandi cose ci narra il Graziani nella Vita del Commendone, a cui fu il Sirleto carissimo) ma aggiugne che alla memoria non corrispondeva in tutto l'ingegno: Familiariter usus est, dic"egli del Commendone (l. 1, c. 5), Guglielmo Sirleto, qui ei postea collega in Cardinalatu f'uit, viro cimi innoccntia swnnia, (uni memoria tanta, ut cum omnes omnium artium libros, omnia scripta Graecorum et Latinorum vetera recentiaque incredibili labore perlegisset, eorum non singulas modo sententias: sed verba quoque memoriter recenseret, cum bibliothecae instar de abstrusissimis rebus consuleretur; quod, 1 lisi congestis in unius nòti ti ani tot rerum doctrinis ingenium impar fuisset, memorabiliorem virum aetas nostra non tulisset Ei dovette i principii del suo innalzamento a Marcello II, ch essendo ancor cardinale, sei leu ne più anni in casa (Pollidor. V'ita Marceli II. p. 68), e fatto poscia pontefice lo elesse a segretario de' memoriali (ib. p. 120). Egli istruì ancor nelle lettere Ricciardo ed Erennio Cervini, nipoti di quel pontefice (Lagomars. Note al Pog. t. 1, p. 28) *, e perchè questi, come si è detto, era avidissimo raccoglitore di libri, va leva si del Sirleto principalmente, di cui ben sapeva qual fosse m ciò il valore. Anzi per sè ancora adunò il Sirleto gran copia di codici mss., de quali si valea per le sue versioni e per altre sue opere, delle quali direm fra poco, in quale stima egli fosse, abbastanza raccogliesi dalle lettere di diversi scrittori di que’ tempi. riferite o accennate dal P. Lagomarsini. Ma niuna testimonianza è sì onorevole al Sirleto, quanto quella del cardinale Seripando clic a’ 2^ d’agosto del 1562 scrivendogli dal concilio di Trento in risposta a una lettera che quegli aveagli inviata da Roma su diverse quistioni da quel sinodo agitate, Questa de dicci nove, gli dice, quanto è stata più lunga, tanto maggiormente me aggradata, perchè contiene in sè maggior copia di belle autorità, dalle qualifo questa conclusione, che voi stando costì date qui maggior ajuto et fate maggior servizio, che se vi fossero gionti cinquanta altri Prelati (ib. p. i3u) (a). A ragione però il (a) Mirrila ancora di esser letta In dcd.ca con cui Aldo Manuzio gli offrì l'anno l'ino la sua edizione di Censorino. In essa rammenta primieramente in quanta stima egli fosse presso i Padri del concilio di Trento, i quali allor quando trattavasi! di alcune quistioni di difficile scioglimento, a lui ricorrevano come ad oracolo. Aggiugne ch ei si ricorda che essendo allora fanciullo, veniva talvolta da Paolo suo padre condotto alla sua abitazione, e vedeva egli stesso qual frequente e numeroso concorso a lui si facesse anche dalle più lontane parti del mondo, per conoscere un uomo ch era insieme dottissimo e benefico protettore de’dotti; ericorda finalmente le onorevoli testimonianze di stima che ricevute avea da’ romani pontefici; perciocché P o* lo IV nell eleggerlo protonotario apostolico aveane fatto un magnifico elogio con applauso di tutta Roma; Pio IV, avendolo posto nel collegio de cardinali, soleva diredi ■ SECONDO 50Q pontefice Pio IV a’ 12 di marzo del 1565 il dichiarò cardinale. E poco mancò ch’ei non fosse dopo non molto tempo sollevato alla cattedra di S. Pietro. Perciocchè morto Pio IV, il cardinale Borromeo, veggendo riuscire inutile il primo suo tentativo di far eleggere a papa il cardinale Morone, pose gli occhi sul Sirleto, e molti già avea tratti nel suo partito. Ma il timore che un uomo tutto dato agli studi non fosse troppo opportuno agli affari, ne fece deporre il pensiero (Ciacon. in Pio V). Pio V nel 1566 gli diede il vescovado di S. Marco, e poscia nel 1568 lo trasferì a quello di Squillace nella Calabria, cui cinque anni appresso rinunciò a Marcello suo nipote (Lagomars. l. c. t. 4, p 158). Così libero da ogni altro pensiero, si abbandonò di nuovo agli amati suoi studi, pe’ quali molto ajuto egli ebbe dalla biblioteca Vaticana, di cui ebbe la cura e benchè di sanità assai cagionevole e soggetta a molti e non leggeri incomodi, in essi faticosamente durò fino alla morte, che il tolse al mondo agli 8 di ottobre dell’an 1585. Delle cristiane virtù che ne renderon più illustre il sapere, parla a lungo il sopraccitato Eritreo, e più ancora Giovanni Vaz Motta nell'orazion funebre di esso, che si ha alle stampe. Di un uomo sì dotto poche cose han veduta la luce o per soverchia modestia, o pel timor ch’egli avesse del giudizio aver« onorata quella dignità; Pio V era solito di deferire sovente al sentimento di esso; e Gregorio XIII, allora pontefice, diceva felici que’ giorni in cui poteva essere col Sirleto. 5;° Li Itilo de’ dotti. Mentre ei viveva, ne furono sol pubblicate nell Apparato alla Biblia d Anversa alcune \ al ianti da lui raccolte su' Salmi, e alcune A ite de Santi da lui tradotte dal greco di Simon Metafraste, e inserite nella Raccolta del Lippomano. Ei recò ancora di greco in latino il Menologio de Greci, che fu poi pubblicato da Arrigo Cauisio (Antiqunr. Lecdon. Li). Due orazioni di S. Gregorio Nazianzeno tradusse parimente in latino, che furon poi da Annibal Caro traslatate in lingua italiana, e date alle stampe. Affaticossi egli innoltre nel correggere le opere di S. Girolamo e gli Atti de1 Concili (Lagornars. I. cit. L p. 41)* Fi fu ancora uno de deputati a rivedere il Catechismo romano e a correggere il Breviario (ib. in Notis ad Gratian. Epist. de Poggiano, p. 38, 49)• Alcune altre opere si conservano manoscritte in diverse altre biblioteche, e fra le altre molte lettere, delle quali tre sono state pubblicate dal P. Lagomarsini (ib. p. 25; Pogian. t. 3, p. 297). Di lui per ultimo si può dire ch’ei fu un di que’ dotti che lungi dal cercar fama colla pubblicazione delle opere loro, si occupano unicamente nel migliorare le altrui, e credon con ciò di recare maggior giovamento agli studi. XLVII. Del cardinale Valiero, oltre ciò che ne hanno il Ciaconio, l Ughelli e gli scrittori veronesi, abbiam la Vita diffusamente scritta da Giovanni Ventura alunno di quel seminario poco dopo la morte di esso, e pubblicata negli anni addietro (Calogerà, Racc. d' Opusc. t. 25), e abbiamo innoltre l opuscolo del cardinale medesimo De Cautione adhibenda in edendis libris SECONDO 571 stampalo in Padova nel 1719, in cui ei ragiona de’ diversi suoi studi, e delle opere da sè pubblicate, e di quelle a cui non permise l uscire alla luce. Il Valiero fu uno de’ più rari uomini di questo secolo, o si consideri la moltiplice erudizione di cui fu fornito e la instancabile applicazione alle lettere, o si abbia riguardo al senno, alla probità e a tutte le più belle virtù che in lui si vider risplendere mirabilmente, degno perciò della stima e delle lodi di tutti i buoni, e singolarmente del gran cardinale s Carlo Borromeo che gli fu amicissimo. Bernardo Feliciano, Battista Egnazio e Marziale Rota furono i primi maestri che'egli ebbe in Venezia, e quindi Lazzaro Buonamici, Bernardino Tomitano, Marcantonio Genova e Bassiano Landi in Padova. Ma sopra tutti egli ebbe un’eccellente guida e un vivo stimolo agli studi in Bernardo Navagero suo zio materno, vescovo poi di Verona e cardinale. Sotto la scorta di sì celebri personaggi coltivò Agostino il vivace ingegno che avea ricevuto dalla natura } e in ogni genere di erudizione e di scienza fece progressi sì rapidi, che ottenne l’ammirazione e la stima de’ condiscepoli non meno che de’ precettori. I pubblici impieghi affidatigli dalla Repubblica nol poteron distogliere dagli studi, e assai più che i governi e le’ambascerie, egli ebbe caro l incarico a cui fu destinato di spiegare pubblicamente in Venezia la filosofia morale. Mentre già da tre anni in ciò occupavasi, il Navagero sollevato nel 1560 all’ onor della porpora, seco il condusse a Roma, ove Agostino si strinse in amicizia co’ più dotti uomini che ivi erano, 5/a Lir.no coll Antoniano, col Sirleto, col Pantagato, col Poggiano, e singolarmente col cardinale Borromeo, che lo ammise alla sua illustre assemblea delle Notti vaticane. Quando il Navagero nel 1562 fu destinato a presiedere al concilio di Trento, tornò Agostino alla sua cattedra in Venezia, (finchè nel 1565, per rinuncia del suddetto suo zio, fu eletto vescovo di Verona, mentre pur non contava che 35 anni di età, e abbiamo una bella lettera piena di giusti elogi a lui scritta in questa occasione da Giulio Poggiano (Poggian. Epist t. 4, p. 56). Per lo spazio di quarantun anni ei resse quella Chiesa; e le grandi cose da lui a pro di essa operate, si posson vedere lungamente esposte dal sopraccitato Ventura, per cui la memoria del Vali ero sarà sempre a Veronesi venerabile e dolce. Gregorio XIII a' 12 di dicembre del 1583 il dichiarò cardinale j ed ei non cessò fin all’ultimo di sua vita dal dar nuovi saggi di zelo, di carità, di munificenza, nè dal coltivare, come sempre avea fatto, gli studi, e dal promuovergli coll’esempio, coll’esortazioni e co’ premii. Finì di vivere in Roma a’ 23 di maggio del 1606 in età di 75 anni; e vuolsi che i dispareri tra la sua Repubblica e il pontef Paolo V gli affrettassero per dolore la morte. Delle opere da lui composte un lungo catalogo ci dà il Ventura al fin della Vita, e più lungo ancora è quello che gli editori del citato opuscolo del Valiero vi han premesso, ove il lor numero giunge a 128. Poche però son le stampate in confronto di quelle che o son rimaste inedite, o son perite. Tra le prime abbiamo i SECONDO 5-3 ilue libri De J colf lo rum disciplina, quelli dei’ doveri del vescovo e del cardinale, intitolati il primo Episcopus, da lui composto ad istanza di S. Carlo e a lui dedicato, il secondo Cardinalis, i tre libri De Rethorica ecclesiastica, più volte e anche oltremonti stampati, le Vite del cardinale Navagero suo zio e di S. Carlo, un opuscolo intorno alla benedizione degli Agnus Dei di fresco con erudite note illustrato da monsig Stefano Borgia, ora degnissimo cardinale, e alcuni opuscoli ascetici in lingua italiana. Ma la vasta erudizione del Valiero più ancora si scuopre dalle altre moltissime opere, la maggior parte delle quali non ha veduta la luce. Tra esse veggiamo orazioni, prefazioni, omelie, trattali i:i gran numero, altri di filosofia morale, altri di fisica, altri di politica, altri di eloquenza. Appena vi ha argomento su cui si possa scrivere, e su cui il Valiero non abbia scritto. Degna tra le altre cose d osservazione è una dissertazione in cui egli prendeva a mostrare contro l opinione, a’ que tempi comune fra gli uomini ancor più dotti, che una cometa in que’ giorni comparsa non presagiva cosa alcuna funesta, e un libro contro la barbarie degli Scolastici, e un altro sull’ ordine e sulla connessione delle scienze e dell’arti. Avea anche intrapreso a scrivere una tragedia in versi italiani; ma poi parendogli ch essa non corrispondesse abbastanza all alta idea che di quel genere di poesia si era egli stesso formata, la gittò alle fiamme. Un opuscolo intorno al vantaggio che si può trarre dalla Storia del Regno d’Italia di Carlo Sigonio, è stato pubblicato nell' edizion milanese r‘" 4 unno delie Opere di questo dotto scrittore (t. (ì. />. ìoLij). Molto egli scrisse ancora sulla storia veneta e oltre un compendio di essa, una grand’opera avea egli intrapresa e finita, divisa in diciannove libri, di cui conservavasi copia presso il doge Foscarini (Zeno Note al Fontan. t. 2, p. 68). Egli ce ne dà l’argomento, e ci reca insiem le ragioni, per cui non volle ch ella si pubblicasse, nel citato opuscolo. e io ne recherà qui i due passi in cui ne ragiona, anche per dare un’idea e dello stile e dell'amabile e sincero carattere di questo gran cardinale:.Absolvi, dic’egli (De candone adì db. ^ ec. p. 35, ec.), inter ini fin Cardinalatus mei opus illud, (quod probare videris maxime multarum vigilarum in novemdecim libros distinctum, cui est scopus adulterinae prudentiae regi ibis confatare, prudenti/un ciun piotate con/ungere, e rebus gestis pniescrtim Fenetorum udii tate ni proponerc legentibus, fratris in primis et sororis meae filiis. Eo in opere visus surn ef)udisse ingenii vires, rethorum etiam praecepta ad usum revocasse, pietatem, prudentiam, et gravitatem priscorum Venetorum expressisse non infeliciter. Sed mirabilis res est, et reprehendenda valde: opus tanti laboris dictatum vix legi non consideravi certe, non emendavi, ut debui. Fateor me valde occupatum extitisse negotiis plurimis et gravibus; sed fortasse ab aliis scriptionibus abstinere oportuisset, et illud opus pcrficere. Ingcnium me uni, aut potius lux urie m inei ingenii accusem, qua fit ut novis opusculis excogitandis, et novis foetibus gignendis delecter incredibiliter. ab bis qtuic exeogituvi per/iciendis, SECONDO 5^5 et noeis foetibus expoliendis (quodammodo abhorream. E altrove (ib. p. 56). Nolim in primis edatur ea, quae de rebus Venetis delineata fuerat, historia; nec etiam libri illi, quos ad illos, et sororis etiam meae filios de utilitate capienda ex rebus a Venetis gestis inscripsi. Habeant illos in manibus, legant, ad usum revocent praecepta, quae ab aliis minime tradita sunt: numquam edendum patiantur opus nec satis elaboratum, nec, ut oportuerat, expolitum. Un frammento però di quest opera, pubblicato dal Zeno (l. c), e un altro estratto dalla copia che ne ha la libreria Nani in Venezia (Codd. mss. lat Bibl Nan. p. 68), è scritto con molta eleganza, e maggiore assai che nel passo ora recato; e se tutto il rimanente fosse nel medesimo stile, farebbe al certo cosa assai vantaggiosa alle lettere chi la traesse alla luce. Nella stessa libreria Nani conservansi due altri opuscoli inediti del cardinale Valiero, amendue da lui indirizzati al cardinale Federigo Borromeo, uno intitolato De occupationibus S. R. E. Diacono Cardinali dignis; l altro Qua rat ione t nonendi sint detrahentes Reip. Venetae Clementis VIII Pont tempore, post Ferrari ani in S. Apostolicae Sedis fidcm re ce piani (ib. p. 148 ec il secondo de’ quali è stato dato alla luce dal sig. D. Jacopo Morelli nell’ esatto ed erudito Catalogo che ha pubblicato de codici di quella biblioteca (ib. p. 176). Due lettere italiane per ultimo ne ha pubblicato di fresco il sig. Pierantonio Crevenna nel Catalogo della copiosa e sceltissima sua biblioteca stampato in Amsterdam (t. 3, par. 2, p. 243). 5 76 libro ì XLVUL Noi ci siam finor trattenuti in ra- gionar di coloro che o difesero i dogmi della cattolica Religione contro i loro nemici, o in qualunque alti a maniera gl’illustrarono co’ loro scritti. A questo capo appartengono parimente gli studi biblici. E qui ancora qual numerosa schiera d’interpreti ci si offrirebbe a parlarne, se di tutti far si volesse distinta menzione? Dovrebbe annoverarsi tra’ primi Isidoro Clario; ma di lui già si è ragionato tra’ teologi intervenuti al concilio di Trento. Potrebbe qui pure aver luogo Daniello Barbaro patriarca d’Aquileia, da cui abbiam avuta in latino la Catena di molti Scrittori sopra i primi cinquanta Salmi, e che avea ancora similmente tradotte le altre due parti (Mazzucch. Scritt. ital. t 2, par. 1, p. 252), e Matteo Marini dottissimo nella lingua ebraica; ma di loro dovrem dire a luogo più opportuno. Fra ’l gran numero di altri che si potrebbono annoverare, io ne scelgo, come per saggio, tre soli, Agostino Steuco da Gubbio, Giambattista Folengo e Sisto da Siena. Dello Steuco abbiamo una Vita scritta da d Ambrogio Morando bolognese canonico regolare e generale della Congr di S. Salvadore, ma non molto esatta, Io spero di poterne parlare con maggior fondamento, valendomi delle notizie che intorno allo Steuco mi sono state trasmesse. Fino da molti anni addietro il sig. auditore Francesco Marciarini, e il sig. proposto Rinaldo Reposati, da cui abbiamo poi avute le erudite Memorie della Zecca di Gubbio e delle Geste de’ Duchi d’Urbino, e da cui speriamo di avere la Storia degli IECOKDO Scrittori della stessa città di Gubbio, avean raccolte molte notizie intorno allo Steuco, e inviatele all ab. Pietro Pollidori, perchè se ne valesse nel compilare le Vite de Bibliotecari apostolici. Ma essendo questi morto senza poterne usare, le notizie medesime per gentilezza del soprallodato sig. proposto Reposati, e per opera del dottiss P. ab Trombelli, a me sono state comunicate. Di alcune altre notizie tratte da’ pubblici archivi di Gubbio mi è stato cortese il sig. ab Sebastiano Ranghiasci, a cui ancora perciò mi protesto tenuto. Se noi crediamo al Morandi, lo Steuco nacque in Gubbio di onesti sì, ma tanto poveri genitori, ch ei fu costretto ne primi anni della sua gioventù a guadagnarsi il pane scardassando la lana; e innoltre essendo estremamente deforme, e odiato perciò da tutti, veniva ogni giorno malconcio di calci e di pegni, e costi etto ad uscire di casa, e a dormire a cielo scoperto. Chi crederebbe che in tutto questo racconto non vi sia ombra di vero? Vincenzo Armanni in una delle sue Lettere ha confutata l asserzion del Morando (Lettere, t. 3, p. 308), e sulla fede di molti documenti degli archivii di Gubbio ha mostrato che la famiglia degli Steuchi non sol fu sempre tra quelle de cittadini primarii, ma che ancor quando nacque Agostino, ella era ben fornita di rendite, e unita in parentela con altre delle più onorate famiglie. In fatti da’ monumenti degli archivi di Gubbio raccogliesi che Teseo Steuco (o, come allora dicevasi, Stuchi) avea una vigna presso le mura della città, e parecchi poderi in diversi luoghi del territorio; Tiraboscui, Voi X. 3t LIBRO che Francesco fratello di Teseo era canonico della cattedrale di Gubbio nell anno stesso in cui Agostino si rendè religioso; che Mariotto, altro fratello di Teseo f era console di magistrato e sindaco maggiore e procuratore della Comunità; e che i lor maggiori ancora eran sempre vissuti in assai onorevole grado. Anche la mostruosa deformità che il Morandi gli attribuisce, viene smentita da’ molti ritratti che in Gubbio e altrove conservansi, fatti da' pittori di quei tempi. Così poco convien fidarsi singolarmente degli autori del secolo scorso, in ciò che è fedeltà ed esattezza di storia! Da Teseo Steuchi dunque nacque Agostiuo nei i4i)6, e al battesimo fu detto Guido, il qual nome cambiò egli poscia, quando entrò nella canonica di S. Secondo di Gubbio della Congregazione di S. Salvadore. Ciò accadde nel 1513, come si pruova co’ libri di quella canonica, quando Agostino contava 17, e non 22 anni di età, come narra il Morandi. Questi aggiugne che per 7 anni attese Agostino in quella canonica agli studi con tal fervore, che sorgendo di notte tempo andavasene in chiesa, e al lume della lampana si tratteneva leggendo e studiando. Questo racconto ha l'apparenza di esser degno di fede al pari del precedente. Nondimeno potrebbesi anche credere che, dormendo forse i canonici in un comun dormitorio, lo Steuco avido di studiare, e non potendo ivi far uso del lume, scendesse a tal fine in chiesa. Da Gubbio passò lo Steuco a Venezia; ed egli era ivi fin dal 1525 nella sua canonica di S. Antonio di Castello, ove nel i523 I SECONDO era stata trasportata da Roma la biblioteca Jet Cardinal Domenico Grimaiii, accresciuta poi dal Cardinal Marino di lui nipote. Di questa biblioteca ragiona lo stesso Steuco, dedicando al Cardinal Marino medesimo la sua Ricognizione del Testamento Vecchio: Hoc antan opus jure tuae sa pienti ae dedicatile, qui non solum nobis ad hanc rem praeclarum lumen ostendisti, sed et omni Religioni Christianae incredibilem utilitatem attui isti, rum tu patruusque tuus Dominicus Grimanus et ipse Cardinalis, collectis, ex miserabili naufragio pretiosissimis libris, qui toto orbe terrarum dispersi, vel in tenebris delitescebant, vel proximum eorum ab igne vel alio casu impendebat exitium, magnaque eorum ex omnibus linguis facta caterva, praeclaram, et cui forte nulla secunda sit, toto orbe. Chiistiano Ribliothecam in aeilibus Sancii Antonii Venetiis erexistis. Or che lo Steuco nel 1525 avesse la cura di questa celebre biblioteca, raccogliesi chiaramente da una fra le molte lettere a lui scritte da Celio Calcagnini, nella quale al primo di ottobre del detto anno ei loda lo Steuco come uomo qui omnem philosophiam prefiteatur, qui Mathematica teneat qui Teologica divino quodam animi captu hauserit, qui tres optimates linguas calleat qui nuper magno hominum consensu opulentissimae ac instructissimae bibliothecae praefectus sit (Op. p. 121). Una sì copiosa biblioteca affidata allo Steuco, dovea giovar non poco a’ suoi studi j ed egli tutto in essi immerso, ricusò con fermezza ogni dignità del suo Ordine; di che veggiamo che con lui si 580 LIBRO rallegra il medesimo Calcagnòli (ih. p. 145). Ei nondimeno, come afferma il P. Morando, fu poscia chiamato a regger la canonica di Reggio; e in fatti la lettera da lui scritta a Erasmo in difesa della sua Sposizione de’Salmi xvm c cxxxvm cel mostra in questa città, ed ivi pure cel mostra nel 1533 la lettera con cui dedica a Giulio Pflug quella Sposizione medesima. Nell’anno stesso cel mostra priore di S Secondo in Gubbio una carta de’ 25 di ottobre, che in quella canonica si conserva. Paolo III al principio del 1538 lo elesse vescovo di Kisamo in Candia, e abbiamo una lettera del Calcagnini de" 20 di febbraio del detto anno, in cui con esso lui si rallegra di questo onor conferitogli (ib. p. 192). Nell’anno stesso, poichè l’Aleandro bibliotecario della Vaticana fu annoverato tra'cardinali, Paolo III conferì quell’onorevole impiego allo Steuco (Mazzucch. Scritt ital. t. 1, par. 1, p. 4l9G e può vedere il chirografo di quel pontefice, segnato a’ 27 di ottobre del i.r>38, nella serie de’ bibliotecarii della Vaticana, premessa dagli Assemani al Catalogo de’ MSS della medesima. In esso egli è detto electo Chisamensi; ed è falso perciò, ciò che alcuni affermano, che'ei fosse prima bibliotecario e poi vescovo; e io non trovo pure indicio di ciò che da altri si narra, cioè ch ei risedesse per qualche tempo al suo vescovado. Le malattie di Agostino lo costrinsero a star lungo tempo in riposo a Gubbio sua patria, e perciò Paolo III destinò a farne le veci il cardinale Marcello Cervini; e morto poscia lo Steuco, gliel diè a successore, ma a viva voce, » SCCONUO 58 I t ii Breve uè fu indi spedito da Giulio III, appena fatto pontefice. Tutto ciò raccogliesi dai’ monumenti della Vaticana, citati dal Pollidori (l'ita Marcelli II p. 45): e ci scopre chela morte dello Steuco si è finora per errore fissata nel 1550; poichè essendo egli morto a tempi di Paolo III. ciò dovette accadere al più tardi nel 1549. In fatti Piscrizion sepolcrale postagli in Gubbio, ove ne fu trasportato alcuni anni appresso il cadavero, il dice morto in Venezia nel detto anno i549, *n cinquanlatrè anni. A questa città erasi egli trasferito da Bologna, ove mandato dal pontefice, perchè intervenisse al concilio colà trasportato da Trento nel 1547 era caduto infermo, come narra il Morandi, il quale ancora aggiugne che Paolo III avea in animo di sollevarlo al grado di cardinale 5 e va immaginando, o a dir meglio sognando, alcune ragioni per cui nol fece 5 e ommelte quella che fu forse la sola, cioè che la troppo immatura morte privò lo.Steuco di questo onore. Abbiamo altrove veduto che allo stesso Agostino avea donati i suoi libri Alberto Pio. Ed egli era veramente uom degno dell’amicizia e della stima di tutti i dotti, per la cognizione delle lingue greca ed ebraica, e per la vasta e moltiplice erudizione sacra e profana, di cui era dotato. Agli studi biblici appartengono la Cosmopeia, opera assai erudita, in cui spiega esattamente la creazione del mondo, e colla testimonianza degli autori profani conferma la narrazion di Mosè, il Comento sul Pentateuco, che s’intitola ancora Veteris Testamenti ad hebraicam veritatem reco guido; ' \ 583 LIBRO inoltre il Cemento sui libro di Giobbe, e su’ due citati Salmi, pei quali ei venne a contesa col celebre Erasmo. e le lor lettere su questo argomento vanno per lo più congiunte ai’ Comenti medesimi j e finalmente il Comento sui' primi 50 Salmi, e un erudito trattato intorno alla Volgata. Ma questo non fu il solo studio in cui Agostino occupossi. Oltre tre libri contro le eresie di Lutero, e alcuni opuscoli teologici, ne abbiam più opere di diversi e svariati argomenti. La più voluminosa è quella De perenni Philosophia, divisa in dieci libri, in cui egli valendosi delle immense e laboriose ricerche da sè fatte su quanti autori antichi d’ogni nazione avea rinvenuti, si sforza di dimostrare che i Gentili medesimi avean avuta qualche idea dei Misteri dalla vera Religione; opera che, se fosse corredata da maggior critica troppo difficile ad ottenersi a que’ tempi, sarebbe una delle più celebri che si potessero mostrare, e che nondimeno, qual ella è, ci pruova la grandissima erudizione e l infaticabile studio dell’autore di essa. Ne abbiamo ancora un libro sulla donazione di Costantino contro Lorenzo Valla, in cui, come meglio può, difende l’opinione allora comune 5 un altro sul nome della sua patria, uno sulla navigazione del Tevere, e uno finalmente sul ricondurre in Roma l'acqua vergine, oltre alcuni versi sull’universale giudizio. Intorno alle quali opere, che sono state insieme raccolte e stampate in Venezia nel 1592 e nel 1601 in tre tomi in foglio, si può vedere il catalogo che insiem colla Vita del loro autore ne ha dato il P. Niceron (Mém. des Homm. ill t 3(>). SECONDO 583 XLIX. Di Giambattista Folengo monaco casinese, se volessimo seguire il parere degli scrittori Protestanti, noi avremmo dovuto parlare insieme coll'Ochino, col Zanchi e con altri di tal sorta apostati dalla cattolica Religione. Il Gerdesio lo annovera francamente tra essi (Specimen Ital. reform. p. 253), e in varii passi dell’ opere di questo interprete trova chiaramente espresse le opinioni di Lutero. Ma ciò non ostante il Folengo fu sempre ed è tuttora riconosciuto scrittor cattolico. Egli era nato in Mantova di nobil famiglia, ed era fratello del famoso Teofilo, di cui diremo altrove. L’epoca della sua nascita e del suo ingresso nell’Ordine di S. Benedetto è chiaramente fissata da lui medesimo, ove afferma ch'egli stava scrivendo nel 1542, e che allora avea 52 anni di età, e che già da 36 anni era monaco (Comm. in Ps. 148). Era-adunque il Folengo nato nel 1490 e si era ritirato nel chiostro, nel monastero di S. Benedetto, di Mantova, l’an 1506, e non nel 151 2, come affermasi dal P. Armellini (Bibl. bened. casin, pars 2, p. 24). Fu poscia priore di quel monastero medesimo, e indi abate di S Maria del Pero nella Marca Trivigiana, e soggiornò qualche tempo in Monte Casino. I Comenti su tutti i Salmi di Davide e sulle Epistole canoniche da lui pubblicati il fecero rimirare come uno de’ più dotti interpreti che allor vivessero; e si posson vedere raccolti dal P. Armellini gli elogi con cui ne ragionano Sisto da Siena, il Possevino, il de Thou, il Dupin, il Calmet e molti altri scrittori. Ma queste appunto sono le 584 LIBRO opere nelle quali i Protestanti ravvisano le loro opinioni. In fatti i Comenti sulle Lettere canoniche di S. Pietro e di S. Jacopo e sulla prima di S. Giovanni si veggono ancor registrati tra’ libri proibiti. Que su' Salmi di Davide furono parimente allora vietati; ma poscia, per ordin di Gregorio XIII riveduti e corretti, vider di nuovo la luce in Roma nel 1584; e nella prefazione loro premessa si dice che que Comenti venuti in man degli eretici erano stati da essi guasti e corrotti coll inserirvi le loro ree sentenze; e che perciò esaminatisi gli originali dell’autore, eransi diversi passi corretti secondo il dovere. A ciò potrebbe!* forse rispondere i Protestanti, che tanto è lungi ch'essi alterassero i sentimenti e il testo original del Folengo, che questi, il qual vide l edizione fatta in Basilea nel 1557, non ne fece doglianza alcuna, e riconobbe qual sua quell’opera. Troppo è difficile a decidersi una tal quistione, se non si prendano nelle mani gli originali del Folengo, e attentamente si esamini ciò ch’ egli abbia scritto. La migliore apologia che far si possa di questo interprete, si è il riflettere che in un tempo in cui ogni leggero sospetto dava occasione a rigorose perquisizioni, il Folengo non fu mai molestato, nè citato a render ragione della sua fede; e che Paolo IV, a cui parvero rei i cardinali Morone e Polo e tanti dottissimi vescovi, non sol non ebbe alcun dubbio intorno al Folengo, ma anzi mandollo visitatore del suo Ordine in Ispagna, come pruova il P. Armellini. Egli morì in Roma a’ 5 di ottobre del 1559. Il suddetto scrittore accenna alcuni 1 I SECONDO 585 nitri opuscoli del Folengo, di cui non giova il far distinta menzione. L. Del terzo degl'interpreti nominati poc’anzi, cioè di Sisto da Siena, appena io ho che aggiugnere a ciò che ci han detto i PP. Quetif ed Echard (Script. Ord. Praed. t 2, p. 206, ec.). Nato da genitori ebrei, e venuto in età ancor giovanile alla fede, entrò poscia nell’Ordine de Minori, e vi esercitò per più anni e con grande applauso il ministero dell evangelica predicazione. Pare ch’ egli fosse per qualche tempo direttor dello spirito di quel pazzo dell’Aretino, quando costui volea sembrare divoto. Perciocchè questo scrivendo a f Sisto da Siena, e ringraziandolo d’una lettera che gli avea inviata, dice di se medesimo che per grado della natura gli è padre per gli anni, e in quanto al merito del Sagramento figliuolo nello spirito (Aret. Lett. l. 4, p. 56). E poco mancò che il confessore non si rendesse più reo del suo penitente. Sisto si lasciò per tal modo avvolgere nelle opinioni de’ novatori, che, fatto prigione, era già stato condennato all’estremo supplicio. Ma f Michele Ghislieri, che fu poi Pio V, scorgendo nel talento di Sisto il gran vantaggio che avrebbe potuto recare alla Chiesa, si adoperò per modo, che il fece ravvedere de suoi errori, e gli ottenne il perdono dal pontef Giulio III. Sisto allora dall'Ordine de Minori passò a quello de’ Predicatori (a), e in (a) 11 convento di Santa Alalia delle Grazie in Milano fu quello a cui fu inviato per opera di F. Michele Ghislieri, che fu poi Pio V, Sisto da Siena, perchè •*>8(5 I.IBRO osso coll’ «issiliiio studio, colle molte opere da sè composte e colle sue religiose virtù cancellò quella macchia che il suo traviamento gli avea cagionata. Ei morì in Genova in età di 49 anni nel 1569. I due suddetti scrittori ci danno il catalogo delle opere di Sisto; quasi tutte inedite. La più famosa tra le stampate è la Bibliotheca sancta, opera di vasta estensione e di rara dottrina, in cui egli di tutti i libri sacri, delle loro vicende, de’ loro autori, dei’ traduttori, degl’ interpreti, de comentatori ragiona a lungo, esamina le loro opinioni, decide del lor merito, prefigge regole per interpretar saggiamente i libri medesimi, rigetta l eresie alle quali cercasi il fondamento su testi non bene intesi, e tutto in somma abbraccia e svolge ciò che appari iene a un sì ampio argomento. Era impossibile che un’opera tale, e in tal tempo intrapresa, non avesse errori. E molti ne ha infatti quella di Sisto, i quali però non tolgono ch’ella sia e di gran lode al suo autore, e di molto vantaggio a chi ne sa usar saggiamente; degna perciò delle diverse edizioni che ne son venute a luce,, fra le qu.ili la migliore è quella di Napoli del 17.4*2 in due tomi in fol, accresciuta di opportune annotazioni dal dotto P. Millante domenicano. Al catalogo delle opere di f Sisto, datoci da’ due mentovati scrittori, si debbono aggiugnere ivi facesse la pruova del nuovo istituto da lui abbracciato -, ed ivi di fatto, dopo sei mesi, a’ i5 di marzo del 1555 fece la solenne sua professione, come raccogtiesi da1 monumenti di quel convento cortesemente indicatimi dal P. M. Vincenzo Maria Monti. SECONDO 587 «lue prediche ili lingua italiana inserite nella Raccolta di diversi pubblicata dal Porcacchi in Venezia nel 1060. LI. Mentre questi e più altri valorosi interpreti si affaticavano nel rischiarare i sensi della sacra Scrittura, alcuni altri occupavansi in recarla nella volgar nostra lingua. Dopo le più antiche versioni del Malerbi e di altri men conosciuti, nel precedente tomo da noi rammentate, il primo che in questo secolo intraprese lo stesso lavoro, fu Antonio Brucioli fiorentino; delle cui diverse vicende per la congiura contro il cardinale Giulio de" Medici, in cui ebbe parte, della fuga che perciò dovette prendere ritirandosi in Francia, del ritornare ch’ei fece a Firenze, per esserne poi di nuovo cacciato per la sua maldicenza e pe’ sospetti di eresia in cui cadde fanno 1529, e del ritirarsi che indi fece a Venezia insieme co’ suoi fratelli di professione stampatori, veggasi il diligente ed esatto articolo datoci dal co Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 2, par. 4, p. 2144)* In Venezia ei pubblicò la sua versione italiana della Bibbia, di cui la prima intera edizione fu nel 1542 dedicata al re di Francia Francesco I, da cui però non sembra che avesse alcun premio. Ecco, scriveva l’Aretino nel 1538 alla marchesa di Pescara (Lett. l. 2, p. 9), il mio compar Bri idolo intitola la Biblia al Re, che è pur Cristianissimo, et in cinque anni non ha avuto risposta. E forse che il libro non era ben tradotto, e ben legato? E forse il niun gradimento che quel sovrano, per altro sì splendido, mostrò del dono del Brucioli, nacque «bìlia -r>S8 LIBllO pubblica disapprovazione con cui vide riceversi quella versione, non solo pel rozzo stile con cui è scritta, ma ancora per le molte eresie di cui egli imbrattò la stessa versione, e più ancora il diffuso comento in sette tomi in foglio che poi diede in luce. Pretese egli di darci una versione fatta sugli originali medesimi j ma come ben dimostra il Simon (Hist, crit du V. Testam. l 2, c. 22; Hist crit. des Versions du N. Testam. c. 4°)r e* mostrò di sapere assai poco la lingua ebraica, e valendosi per lo più della latina version delPagnini, talvolta ancora si fece conoscere poco intendente della latina. Grande fu il rumore che contro di queste fatiche del Brucioli si sollevò in Italia fra gli uomini dotti e fra' pii Cattolici \ ed esse furon tosto solennemente proscritte. Quindi il suddetto Aretino, scrivendo al Brucioli nel 1537 lo esorta a disprezzare il chiacchierare de Frati contro la sua versione (Lett. l. 1, p. 177). Non si legge però, ch'ei fosse personalmente molestato, e continuò a viver tranquillo in Vene7,ia almeno fino al 1554, componendo e pubblicando moltissime opere, e singolarmente traduzioni in lingua italiana di autori greci e latini j di che veggasi il sopraccitato articolo del co Mazzucchelli. Ed era in fatti il Brucioli uom laborioso oltremodo; talchè l'Aretino scrivendogli nel 1 f>421 Non vi basta egli, diceagli (ivi, l. 2, p. 2(>5), haver composti piu volumi, che non avete anni? non vi contentate voi del nome sparso per tutto il Ai ondo (*)? Poco dopo la (*) Pare che il Brucioli »lesse qualche tempo in « skcosdo 58y versione del Brucioli, cioè nel 1538, uscì alla luce in Venezia quella di Sante Marmocchini domenicano natio di S. Cassiano nella diocesi di Firenze; il quale però, come osserva il P. le Long, si prefisse anzi di correggere e migliorare quella del Brucioli, che di darne una nuova. Di lui e di altre opere da lui o ideate o composte parlano i PP. Quetif ed Echard (Script. Ord Praed. t 2, p. 124). Un’ altra versione italiana fu pubblicata in Ginevra nel 1562, la quale in somma è quella stessa del Brucioli, ma quanto allo stile corretta e fatta più elegante; e di essa vuolsi che fosse autore un cotal Filippo Rustici, di cui non si ha alcun’altra notizia (V. Gerdes. Specimen Ital. reform. p. 3 29). Finalmente, per tacere di alcune versioni di libri particolari della sacra Scrittura, e di altre che non han mai veduta la luce, abbiamo due versioni del Testamento nuovo, una di Zaccaria da Firenze domenicano, stampata la prima volta in Venezia nel 1536, l’altra di Massimo Teofilo stampata in Lione nel 1551, la qual seconda dal le Long si annovera tra le versioni de’ Protestanti. L1I. Più saggiamente si adoperarono altri o ad intraprendere nuove versioni latine, o a Ferrara, o che almeno godesse della protezione del duca Alfonso 1; perciocché in questo ducale archivio si conserva una lettera da lui scritta da Venezia a’ 17 di luglio del i538 al duca Ercole li, in cui gli dà avviso di aver tradotta e comenlata tutta la sacra Scrittura, la quale in gran parte è a lui dedicata in memoria delta servitù che già aveva avuta col duca Alfonso di lui padre, che frattanto gli manda la traduzione delle Pistole e degli Evangelii che si leggono tra Tanno. Lli. Altro lati» rbr m'orno alla millantiti!«5<>U LIBRO correggere la Volgata. Sante Pagnini lucchese dell Ordine de Predicatori, di cui dovremo altrove vedere quanto giovasse allo studio della lingua ebraica, si accinse a tradur nuovamente il vecchio e il nuovo Testamento, e la prima edizione, seguita poi da più altre, ne fu fatta in Lione nel 1028 (a). Diversi sono i giudizii che ne han dato gli uomini dotti, de’ quali alcuni l’esaltano come la più fedele ed esatta, altri la riprendono come rozza ed oscura, e talvolta ancor non conforme al senso del testo. I lor sentimenti si posson vedere insieme raccolti dal P. le Long (Bibl. sacra, t. 1, p. 28(1, ee. ed. Paris. 1723), e io desidero che venga fatto ad alcuno di conciliarli felicemente tra loro. Già abbiam parlato di quella che pubblicò il Clario, il quale, anzi che fare una nuova versione, volle correggere e migliorar la Volgata. Alcuni altri libri particolari furon da altri con nuove versioni tradotti e io accennerò solo il Cantico de’ Cantici e il libro di Giobbe nuovamente dal loro originale tradotti in latino da Pietro Quirini, detto al secolo Vincenzo, dottissimo monaco camaldolese, di cui e di altre opere da lui scritte parlano a lungo i PP. Mittarelli e Costadoni (Annal, camald, t 7, p. 431, ec.). Ciò 11011 ostante, desideravasi ancora una più esatta edizione della sacra Scrittura. Fin da’ (a) Prima fieli1 intera versione della sacra Bibbia avea il Bagnini fin da’ tempi di Leon X pubblicata quella del Salterio, aggiuntivi i Conienti de’ Rabbini. Rarissima ne è l’edizione, come si può vedere nel Catalogo della Biblioteca modenese (t. 1, p. 35), c in un opuscolo del P. Contini sull’opera stessa (N. Racc. il' Oputc. t. 3i). SECONDO 5yi tempi di Pio V e di Gregorio XUI si era pensato a pubblicar di nuovo con maggior diligenza la greca Version de’ Settanta. Molti dei' più dotti teologi furono a ciò impiegati, e tra gl’italiani furono i cardinali Sirlelo e Antonio Cai alla, c inoltre Latino Latini, Mariano Vittorio, Antonio Agellio teatino, Roberto Bellarmino e Paolo Comitolo gesuiti, e Fulvio Orsini (Le Long. l. c p. 187, ec.). Per opera di essi e di altri Oltramontani, fra’ quali molto affaticossi singolarmente Pietro Morino francese, usci finalmente in Roma a’ tempi di Sisto V nel 1587 la magnifica edizione della Version de’ LXX. L’anno seguente fu posta in luce nella stessa città la traduzion latina della stessa versione, di cui la principal lode si dee a Flaminio Nobili lucchese, uomo assai dotto, professore di filosofia nell'università di Pisa e autor di più opere filosofiche, ascetiche e morali. di cui, oltre altri scrittori, dice gran lodi il Caro in due lettere a lui scritte (t. 2, lett. 148, 202). Ma la più celebre fu l’edizione della Volgata fatta a’ tempi di Sisto V, e venuta in luce nel i5t)0. 11 Nobili, l’Agellio, Lelio Landi da Sesse teologo del cardinale Caraffa, e poi vescovo di Nardò, il Morino e Angiolo Rocca agostiniano furono quelli che in tal lavoro occuparonsi principalmente e Sisto V volle egli stesso rivederla ed esaminarla minutamente. Ma benchè dottissimi fosser gli uomini in ciò adoperati, e benchè niuna diligenza e niuna fatica da essi si ommettesse, appena nondimeno cominciò questa edizione a correr per le mani de’ dotti, che vi si ravvisarono parecchi errori, e parve 5lJ3 libro ch’ella non abbastanza corrispondesse all’aspettazion conceputane. Perciò il pontefice cercò studiosamente di sopprimerne tutte le copie; dal che è venuta la rarità di questa edizione, l’altissimo prezzo a cui ella suol porsi, e la frode di coloro che, mutando il frontespizio, spacciano per edizione di Sisto la posterior di Clemente. Morto poco tempo appresso quel papa, Gregorio XIV formò una congregazione di molti teologi, fra’ quali, oltre i già nominati in addietro, ebber luogo i cardinali Marcantonio Colonna, Agostino Valiero e Fi lerigo Borromeo, Pietro Ridolfi da Tossignano Minor conventuale, vescovo allora di Sinigaglia, ed altri, i nomi de’ quali si posson vedere nell’ opuscolo del sig. Giambernardino Tafuri, in cui ha pubblicato un frammento degli Atti di questa congregazione (Calogerà, Racc. t 31, p. 155, ec.). E questi, presa di nuovo a esaminar la Volgata, ne diedero finalmente sotto Clemente VIII nel 1592 una nuova edizione. Le quali cose io accenno sol brevemente, perchè notissime a tutti, e in mille libri narrate. Di molti fra que’ teologi mentovati poc’ anzi abbiamo già parlato, o parleremo altrove a luogo più opportuno. Io dirò qui solamente di Antonio Agellio, cherico regolare teatino e natio di Sorrento, di cui, oltre gli scrittori del suo Ordine, ha diligentemente parlato il co. Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 1, par. 1, p. 181) (a). (a) Più esatte ancor son le notizie che di questo scrittore ci ha date il P. d’Afflitto { Mem. degli Scritt, napol. t. 1, p. 133), il quale osserva che Aiello ne fu il vero cognome, benchè egli latinamente si chiamasse Agellio. SECONDO 5^3 Egli ebbe la sorte di avere a suo maestro il celebre Guglielmo Sirleto poi cardinale, che abitando allora nella casa di que’ religiosi instruivali nelle sacre lettere. I felici progressi che sotto sì valoroso maestro fece l’ Agellio nelle lingue orientali, come gli ottenner gran nome tra’ suoi, da’ quali fu impiegato in ragguardevoli cariche, così il fecer trascegliere da’ romani pontefici tra’ deputati alle quattro riferite edizioni, e gli meritarono da Clemente VIII la ricompensa del vescovado di Acerno, conferitogli nel 1593. Undici anni appresso, volendo il pontefice averlo vicino per giovarsi d’un uom sì dotto, l’Agellio rinunciò il vescovado, e tornato a Roma, ivi finì di vivere nel 1608 in età di 76 anni. Il suddetto scrittore ci ha dato il catalogo delle molte opere sì edite che inedite dell’ Agellio, che sono principalmente Comenti su varie parti delle sacra Scrittura, fra quali i più stimati son quelli su' Salmi, e traduzioni dal greco di alcune opere di S. Cirillo e di Proclo patriarca di Costantinopoli. Alle testimonianze a lui onorevoli che il co. Mazzucchelli o riferisce, o accenna, io aggiungerò solo quella di Latino Latini che in una sua lettera del 1586 al cardinale Antonio Perenotto, citata dal P. Lagomarsini (Pogian. Epist. t. 2, p. 274)» così ne dice: Antonius Agellius Neapolitanus Sacerdos ex eorum sodalitio, quos Clericos Regulares vocant, Sanctique Silvestri sacram aedem incolunt... unus ex omnibus, quos noveram, in sacrarum Utterarum studii v, triplici linguarum scienti a praedi tris y ita versatus est, ut inter eos, qui ad Tiraboschi, Voi X. 38 LIBRO SS. Biblici Gratt a restituenda atcjue illusi randa jam ante quinquennium electi sunt, pr'unum locum obtineat. Neque, in ea tantum gravissima curatione munus suum implet, sed et Cyrilli XVII de adoratione in Spiritu libros Latinos fecit, et in Psalmos multa comparavit,, aliquando ad comunem utilitatem publicanda. LUI. La storia ecclesiastica finalmente dee qui aver luogo. Nè io mi tratterrò in ìaiumen* lare alcune Storie particolari, come quelle di Leon X e di Adriano VI scritte dal Giovio, quella di S. Pio V scritta da Girolamo Catena, di cui abbiamo innoltre un tomo di lettere latine e altri opuscoli stampati in Pavia nell’an 1577 col titolo Hieronymi Catenae A endemici. 4J)idtt/i Latina monumenta; e l altra Vita ancor più pregiata dello stesso pontefice scritta dal P. Giannantonio Gabuzio barnabita, la Vita del cardinale Commendone scritta da Antonio Maria Graziani, del qual autore diremo altrove; quelle di monsig. della Casa e de’ cardinali Bembo e Polo scritte da Lodovico Beccadelli nobile bolognese (a), arcivescovo di Ilagusi e celebre per letteratura a’ suoi tempi, autore ancora della Vita del Petrarca e di altre opere inedite; intorno a cui si può consultare il diligente articolo del co. Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 2, (a) Del Beccadelli ha pai luto anche più esatta.acute il co. Fantuzzi (Scritt. bologn t. 2, p. 5, ec.), e ne abbiam poscia avuto un luminoso elogio scritto con eleganza non meno che con esattezza da monsig Alfonso Bonfioli nato Malvezzi, stampato in Bologna nel 1790. SECONDO 5q5 par. 2, p. 576, ec.) j due Storie dello Scisma d’Inghilterra, una di Bernardo Davanzati, che credesi da alcuni una compendiosa traduzion dal latino di Niccolò Sandero (Zeno, Note al Fontan. t. 2. p. 3o 6); l’altra assai più di (l'usa di Girolamo Pollini domenicano, Io lascio parimente in disparte le storie d’alcune Chiese particolari, come le Vite de’ Patriarchi di Aquileia di Antonio Bellone, pubblicate dal Muratori (Script. rer. ital. t. 16, p. 3, ec.), del quale autore parla più a lungo il co. Mazzucchelli (l. c. p. 696); la bell’opera di monsig. Carlo Bascapè barnabita e vescovo di Novara intorno a quella sua Chiesa, intitolata Novaria; il libro del medesimo autore De Metropoli Mediolanensi colle Vite degli Arcivescovi di quella Chiesa, e quella separatamente stampata di S. Carlo Borromeo, oltre più altre opere di questo non men dotto che pio scrittore, degno alunno e imitatore del sopradetto S. Carlo (Mazzucch. l. c. t. 2, par. 1, p. 511) 5 la Storia della Chiesa di Bergamo intitolata de Vinea Bergomensi di Bartolomeo Peregrino 5 le Vite de’ Vescovi di Trento di Giano Pirro Pincio; l'Epitome della Storia de’ Papi del Panvinio il qual celebre uomo si dovrà altrove da noi rammentare •, ed altre opere di somigliante natura, delle quali noi andavamo diligentemente cercando in addietro, quando la scarsezza dell’argomento ci costringeva a non trasandare qualunque ancor più piccolo opuscolo. Or che grandi oggetti ci si offrono da ogni parte, ci è forza l’occuparci solo di essi, per 5l)(5 LIBRO non condurre quest’ opera a una eccessiva lunghezza (*). (*) Fra le Chiese particolari, la cui storia venne in questo secolo illustrata da’dotti scrittori, fu quella di Monreale in Sicilia, della quale sì pubblicò in Roma la Storia sotto il nome di Gianluigi Lello segretario del cardinale Lodovico de Torres arcivescovo di quella città, detto il giovane a distinguerlo da un suo zio che nella stessa dignità avealo preceduto. Essa però è veramente opera del medesimo cardinale, come ci mostrano alcune de Ile moltissime lettere di uomini eruditi ad esso scritte, che in tre tomi unite tuttor si conservano in Roma presso monsig Ferdinando de Torres della stessa famiglia. Questo commercio solo avuto dal cardinale con tanti celebri uomini, tra i quali sono il Baionio, il Bellarraiuo, il l'ossevino, il Cardinal Federigo Borromeo, i vescovi Giovenale Ancina e Antonmaria Graziani, Lorenzo Frizzoli, Berlingero Gessi, Torquato Tasso, l’Eritreo e più altri, basta a mostrarci ch’egli avea diritto ad esser da essi amato e stimato. Il Baronio in fatti nella prefazione alle sue note sul Martirologio romano, stampate nel ij8(>, confessa di aver soggettata quella sua opera all’esame del Torres, che allora non contava che 35 anni, perciocchè egli era nato in Roma nel i55i. ¡Nel i588 fu nominato arcivescovo di Monreale, e nel i6«)G fu annoverato tra’ cardinali. Egli fu di non picciolo giovamento alla sua Chiesa col pastorale suo zelo e con più opere di pietà e di munificenza, che si posson vedere esposte dal l’irro nella sua Sicilia sacra; ma singolarmente colla fondazione del seminario, a cui aggiunse una copiosa e sceltissima libreria, nella quale fra le altre cose conservansi più di sessanta volumi di relazioni, di controversie, di avvisi letterari, altri stampati, altri mss, che da ogni parte egli andava studiosamente adunando. Morì in Roma a’ 9 di luglio del 1609 in eia di cinquant’otto anni, e fu sepolto nella sua chiesa titolare di S. Pancrazio. Delle notizie di questo dotto SECONDO 5 97 LIV. Al primo nascere dell’eresia di Lutero, alcuni dei' seguaci di esso, affine di sedurre più agevolmente gl’ incauti, presero a formare un nuovo corpo di Storia ecclesiastica, nella quale il principal loro scopo era il persuader che la Chiesa romana avea dopo i primi secoli degenerato dalle sue leggi, ed erasi ancora allontanata dall’antica credenza; che ne’ primi tempi i dogmi della fede erano stati que’ medesimi che allor da Lutero si proponevano; che ad essi conveniva perciò ritornare, riformando, dicevan essi, gli abusi nella Chiesa introdotti. In tredici centurie divisero essi la loro opera, quanti furono i secoli che in essa compresero, la quale dal detto titolo, e dal luogo in cui fu composta, fu detta Centuriae. magdeburgenses, ed uscì al pubblico in Basilea in otto tomi dal 1552 al 1574. Questa’opera, appena vide la luce, eccitò il zelo de dotti cattolici; e alcuni di essi si accinsero a confutarla. Il primo ad uscir in campo fu il Muzio che due libri della Storia ecclesiastica opposti alle due prime centurie diede in luce nel 1570, in cui! ribatte e convince molte delle bugie da' centuriatori francamente spacciate, e scuopre le loro frodi. Benchè questi due libri del Muzio abbian più cose degne di lode, essi nondimeno son molto lungi da quella critica e da quella prelato, ch’io per la più parte avrei invano cercatene’ libri stampati, son debitore ni sig. Pietro Pnsipinluni cbe da Roma me le Ita cortesemente trasmesse. Di Ini ancora ci ha date belle notizie il valoroso sig. Annibale Mariotli nella sua opera degli Uditori di Rota perugini (p. 120, ec.). 5y8 libro erudizione che ad opera di tale argomento si conveniva. Forse se n’avvide egli stesso, e perciò non andò più oltre nel suo lavoro. E veramente, benchè questa e alcuni altri libri da’ Cattolici pubblicati mettessero in chiaro le imposture e le calunnie de' Maddeburgesi, bramavasi nondimeno che ad un’opera voluminosa e a una intera Storia ecclesiastica de’ primi tredici secoli un’ altra opera somigliante si contrapponesse, che superando nella sceltezza delle notizie e nella copia de monumenti quella degli avversarii, la spogliasse interamente di quella stima e di quell'autorità che il favor del partito le conciliava. A questa grand’opera fu trascelto Cesare Baronio nato in Sora a’ 31 di ottobre del 1538, e entrato circa il 1560 nella Congregazione, dell Oratorio di S. Filippo Neri, Io non ne scriverò la vita, nè farò menzione delle rare virtù di cui mostrossi adorno, poichè oltre l’esatto articolo che ne abbiamo nel co. Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 2, par. 1, p. 387), e oltre i molti scrittori della Vita di questo gran cardinale, citati dal medesimo autore, una nuova e assai più ampia Vita ne abbiam poscia avuta dal P. Raimondo Alberici della medesima congregazione da lui premessa a’ tre tomi di lettere e di opuscoli del Baronio stampati in Roma. Lasciamo dunque che ognun ne vegga presso essi le più precise notizie, e tratteniamoci soltanto in riflettere al molto che a lui debbe la storia ecclesiastica. Questa era stata finallora oscura ed intralciata per modo, che appena poteva sperarsi di rischiararla. Il iv e il v secolo della Chiesa avea avuti, è vero, parecchi dotti % SECONDO 599 scrittori, da’ quali si potean ritrarre gran lumi, come Eusebio, Sozomeno, Socrate ed altri. Ma le loro Storie erano per lo più ristrette entro certi confini, e non erano esenti dallo spirito di partito che non lasciava prestar fede interamente a lor detti. Conveniva adunque esaminare i loro racconti, confrontarli tra loro, ricercare nell opere di tanti altri scrittori di que’ tempi, onde o confutare le loro narrazioni, o ad esse aggiungere nuova luce. A gravi ed autorevoli storici innoltre eransi frammischiati scrittori favolosi 5 agli Atti veri de’ Martiri molti falsi ed apocrifi; alle opere genuine dei’ santi Padri molte falsamente loro attribuite; e di maturo giudizio faceva bisogno per discernere le buone merci dalle supposte. Venendo poi a’ tempi più bassi, ogni cosa era tenebre ed oscurità. Pochi scrittori, e per lo più privi di critica al pari che d’eleganza, si offrivan per guida; e il seguirli.alla cieca, era lo stesso che darsi in braccio all’errore. La biblioteca Vaticana conservava una sterminata copia di monumenti autentici, di lettere originali, di atti, di decisioni. Ma qual fatica richiedevasi a ricercare fra un’ immensa farragin di carte tuttociò che potesse fare all’intento, e ciò per una storia che tutte dovea abbracciare le parti del mondo, e stendersi a tutti i secoli I Questo fu il gran campo in cui entrò coraggiosamente il Baronio, e in cui si affaticò per lo spazio di circa 40’anni, cioè dal 1568 fino al 1607, in cui a’ 30 di giugno finì di vivere, dopo essere stato nel 1.^96 onorato della porpora da Clemente VIII, e fatto ancor bibliotecario della santa Sede Fruito di 6oO LIBRO sì grande fatica furono i dodici tomi di Annali ecclesiastici da lui dati alla luce, il primo nel 1588, l ultimo nel 1607, oltre i materiali raccolti per tre altri tomi, de quali poi fece uso il continuatore Odorico Rinaldi. In essi ei giunse fino al 1198, cioè fino a que’ tempi ne quali la Storia cominciava ad essere ormai più chiara e più certa. Era egli possibile che un uomo, fosse egli pure il più dotto che mai avesse avuto il mondo, potesse correre un mar sì vasto e sparso di tanti scogli, senza mai inciampare e rompere ad alcuno di essi? Spesso di fatti il Baronio è caduto in errore; ha adottate più favole; ha fatto uso più volte di scritti apocrifi; ha ommesse non poche cose importanti; e ha usato ancor di uno stile non molto colto e più del bisogno diffuso. Ma fra tutti questi difetti quanti pregi dobbiam noi ammirare in questo scrittore! Qual copia di bellissimi monumenti ha egli prima di ogni altro prodotti! Quante favole ricevute finallora e adottate da tutti, ha egli confutate! Quanti intralciatissimi punti di storia ha rischiarati felicemente! Quanto meglio ha ordinata la cronologia, e fcpocbe più memorabili! In qual luce ha posta la costante e per tutti i secoli continuata dottrina della Chiesa romana in ciò che appartiene al dogma! Non è perciò a stupire se i Protestanti, rimirando quest’opera del Baronio come una delle più forti armi contro essi rivolte, in sì gran numero si levaron tosto a combatterla. La serie de’ loro scritti si può vedere presso il co. Mazzucchelli che diligentemente annovera ancora le risposte lor fatte da molti scrittori SECONDO 601 cattolici, e più altri libri venuti a luce altri contro il Baronio, altri a difesa di esso, e le diverse edizioni e l'altissimo applauso con cui gli Annali furono ricevuti. Io accennerò qui solamente due Compendii che appartengono a questo luogo, uno latino, l’altro italiano, il primo del P. Giangabbriello Bisciola modenese della Compagnia di Gesù, che abbracciò i primi dieci secoli, e fu stampato in Venezia nel 1602, l'altro di monsig. Francesco Panigarola vescovo di’Asti, che si ristrinse al primo secolo solamente, e fu stampato in Roma nel 1590. Il P. Bisciola inviò il suo Compendio con sua lettera al Baronio stesso; ed essa è stata di fresco stampata tra quelle del medesimo cardinale (Epist Caes. Baron. t. 2, p. 27) (n). Oltre gli Annali, più altre opere diè alla luce il Baronio, delle quali ci ha dato un esatto catalogo il co. Mazzucchelli, dovendosi loro aggiugnere solamente i tre tomi già mentovati di lettere e di opuscoli. Io farò qui menzione del Martirologio romano, ch’egli emendò e corresse e illustrò con comenti, e fu stampato la prima volta in Roma nel 1586, opera anch’essa che, comunque non priva di errori, ci scuopre nondimeno la vasta erudizion dell’autore, intorno alla quale è degna d’esser letta la dedicatoria del P. Alessandro Politi delle Scuole Pie al pontef Benedetto XIV, premessa alla nuova ristampa con (a) Del Bisciola e ilei suo Compendio degli Ann di del Darouio si posson vedere più e.snlle notizie nella Biblioteca modenese (l. 1, j>. 227, ec.; t. 6 ì p. 34)6oa libro nuovi conienti illustrata da quel dotto religioso, e stampata in Firenze nel 1751 (*). LV. Potrebbe qui farsi ancora onorevol menzione della bell’opera di Agostino Tornielli barnabita sulla Storia del Testamento vecchio; ma ella non fu dal suo autor pubblicata che nel 1610, e perciò ci riserbiamo a parlarne nella storia del secolo susseguente. Qui dunque porrem fine al capo presente con parlare di alcuni scrittori che molto illustrarono la storia ecclesiastica, o col raccoglier le Vite dei’ Santi e col rischiarare le loro geste, o collo scrivere le storie degli Ordini religiosi. Tra’ primi deesi rammentare con lode Luigi Lippomano, vescovo prima di Modone, poi di Verona, e finalmente di Bergamo, adoperato da’ pontefici in più nunziature, presidente al concilio di Trento, e uomo assai dotto nelle lingue straniere, (*) Nel parlare degli Annali del Baronie do vea si ancor far menzione di Federigo Merio nato in Galalina a”1 20 di novembre del i55r di nobil famiglia, che ivi tuttora sussiste. teologo del cardinal Giulio Sanlorio in Roma, maestro negli studi di Pietro Aldobrandino nipote di Clemente Vili, ed indi nel 1602 eletto vescovo di Termoli, e morto ivi nel 1612, dopo aver retta con molto zelo quella Chiesa per lo spazio di dieci anni. Quanto havvi di passi di autori greci tradotti in latino negli Annali ecclesiastici, lutto deesi al protondo sapere del Mezio in quella lingua, come lo stesso Baronio sinceramente confessa, ricolmandolo perciò continuamente di somme lodi. Più altre opere ancora ei tradusse dal greco, e alle ricerche di esso debbomi ancor gli Atti (lei Concilio Vili di Costantinopoli, che si credevan perduti, e che da lui ritrovati, iuron poscia dati alla luce dal gesuita Grelzero. I % SECONDO 6o3 nella storia sacra e nella teologia. Egli è probabilmente quel Lippomano stesso di cui allora ancor giovane fa un bell elogio il Vida sul principio del lib III della Poetica, qual si legge nel codice altre volte citato del sig baron Vernazza, e che manca nell edizioni; dal quale anche raccogliesi che fin da quel tempo ei fu vicino ad essere cardinale, ma che per invidia altrui ne fu escluso: Aspice ut ante alios juvenis Lipomanus in altum Nititur, et bijugi pini jam capita ardua montis Contendit prensare manu; quando omnia Musis Posthabet, atque unum colit almi Heliconis amorem Nec curat, sibi quod fortunae crimine iniquae Abstulerit modo promissos sors invida honores. Cui si purpureo debentia fata dedisscnt Romano« mter pali es fulgere galero, Praesidium Musis magnum, sacrisque Poetis A fibre t, alque suus doctis honor artibus esset. Ma egli poscia, lasciati i poetici studi, tutto si volse a’ sacri. Una catena di antichi Interpreti greci e latini sulla Genesi, sull*Esodo e su alcuni Salmi, fu la prima opera con cui egli diè saggio del suo sapere. Quindi nel 1553 ei pubblicò in lingua italiana La confermazione e stabilimento di tutti i dogmi cattolici, opera per ordin di lui già cominciata in Verona dal can Maffeo Albertini e dall' arcipr Giovanni del Bene, e da lui stesso poi riveduta e oltre al doppio accresciuta (Fontan. Bibl. colle Note del Zeno, t. 2, p. 447)? c l’anno seguente pubblicò pure in lingua italiana l'Esposizione sopra il Simbolo apostolico (ivi, p. 432). Opera di assai più ampio lavoro furon le Vite de’ f><>4 LIBRO Santi, delle quali egli raccolse e pubblicò sette tomi, lasciando apparecchiato ancora l'ottavo, che fu poi pubblicato da Girolamo di lui nipote. Pare che l esercitarsi su questo argomento fosse in particolar modo riserbato a’ Veneziani; poichè già abbiam veduto quanto in ciò si fossero adoperati Pietro Calo, Pietro de’ Natali e Niccolò Malermi. Ma le lor opere, se giovavano alla pietà de’ Fedeli, non bastavano all’istruzione de dotti e alla confusion degli eretici, perchè esse erano per lo più scritte con poca critica, e ingombre di gravi errori. Il Lippomano attinse a fonti migliori, e raccolse le vite da autori contemporanei e gravi, greci e latini, valendosi a tal fine ancora d’altri uomini dotti nel greco, come di Genziano Erveto, di Guglielmo Sirleto e di Pierfrancesco Zino. Quindi quest’opera del Lippomano fu allor ricevuta con molto applauso, lodata dalle più illustri accademie e dallo stesso concilio di Trento, ed ella servì poscia di fondamento a quella del Surio, senza però che questa, benchè posteriore, scemasse il vanto alla prima. Essa vien lodata ancor dal Bollando (Praef. ad Acta SS.) che la dice migliore fra tutte le raccolte finallora venute a luce benchè al perfezionarsi che poi fece la critica, in essa ancora si ravvisassero non pochi errori. Intorno a quest' opera si posson vedere le riflessioni dell’eruditissimo Foscarini (Letterat. venez. p. 357 ec-)> ^ quale aggiugne che nell’argomento medesimo si occuparono Gabbriello Fiamma canonico lateranese e poi vescovo di Chioggia, autore di molte opere in prosa e in versi italiani, e fra le SECONDO C><)5 altre ili tre tomi delle Vite de’Santi, e Giammario Verdizzotti che procurò, ma con successo poco felice, di ripulire l’antica versione italiana delle vite de santi Padri, per tacere di moltissimi altri che o scrisser le Vite particolari di qualche santo, o quelle generalmente dei’ santi di qualche città o provincia. Degna ancora di molta stima è l’opera di Antonio Gallonio della Congregazione dell'Oratorio, pubblicata nel i5i)i, intorno a’tormenti de’Martiri, ove con vastissima erudizione, tratta dagli autori sacri e profani, esamina i diversi generi di crudeltà ritrovati a straziare i Confessori di Cristo, e illustra molti passi degli Atti de’ Martiri. Egli è ancora autore di alcune altre opere, delle quali si può vedere il catalogo presso i compilatori delle ecclesiastiche Biblioteche. Finalmente e in questo e in altri argomenti di ecclesiastica erudizione molto si affaticò Pietro Galesini, natio di Ancona, protonotario apostolico, che visse lungamente presso il s cardinale Carlo Borromeo, a cui fu carissimo per le sue virtù e pel suo sapere, e che finì di vivere circa il 1590. Egli ancora, innanzi al Baronio, pubblicò e illustrò con sue note il Martirologio romano; ma questo lavoro sembrò quasi dimenticato, dappoichè l’opera di quel dottissimo cardinale comparve in luce. Ciò non ostante la traduzione dal greco in latino delle Opere di S. Gregorio Nisseno, l’edizione delle opere di S. Eucherio, di Salviano, di Aimone e di altri antichi scrittori sacri, e moltissime altre opere parte stampate, parte inedite, che diligentemente si annoverano dalfÀrgelati (Bibl. Script. mcdioL «.VI. Scrittori della storia Jrj;li Ordini rdigioai. Goti LIBRO t. 2, pars 2, p. 21 «3), gli làmio aver luogo a ragione tra gli scrittori benemeriti delle scienze sacre. LVT. Alla storia monastica generalmente appartengono l opera di Pietro Ricordati che ha appunto per titolo Storia monastica, e quella di F. Paolo Morigia, intitolata Origine di tutte le Religioni, che scrisse ancora particolarmente la Storia del suo Ordine de’ Gesuati *, ma di niuna di esse si può abbastanza fidare, chi vuol essere di questo argomento esattamente informato. Più pregevoli sono i due tomi della Storia Camaldolese scritti in latino da Agostino fiorentino religioso dello stesso Ordine, in cui si contengono molte erudite ricerche. Di essa e dell'autore della medesima ragionano i dottissimi recenti compilatori degli Annali Camaldolesi i PP. Mittarelli e Costadoni, i quali hanno con essi pienamente illustrata non solo la storia del loro Ordine, ma più altri punti ancora della storia generale sì ecclesiastica che civile. L’ Ordine di S. Francesco ebbe nel suo generale e poi vescovo di Mantova Francesco Gonzaga il primo storico che, lasciate in dispai le le puerili semplicità di cui l ignoranza de secoli trapassati ne avea ingombrata la storia, la scrivesse con quella gravità e con quella esattezza che dee esser propria di ogni saggio scrittore. Di lui abbiam già parlato nel secondo capo del libro primo. Serafino Razzi e Leandro. Alberti illustrarono il loro Ordine de Predicatori col pubblicare le Vite de’ Santi e degli Uomini illustri in esso vissuti. Di più altre opere di Serafino e di quelle ancor di Silvano Razzi SECONDO Ixiy camaldolese, alcune delle quali appartengono alla storia ecclesiastica, si veggano il P. Negri e gli altri scrittori della Storia letteraria di Firenze. Di Leandro Alberti diremo altrove più a lungo. Due egregi storici ebbe l’Ordine agostiniano, uno il celebre Onofrio Panvinio, di cui sarà d’ altro luogo il parlare più stesamente, l’altro Giuseppe Panfilo veronese anch’esso come il Panvinio, e vescovo poscia di Segna, e autor di altre opere che si accennano dal marchese Maffei (Ver. illustr. par. 2, p. 421). Alcuni hanno preteso che il Panfilo si usurpasse l" opera scritta già dal Panvinio, e la spacciasse qual sua. Ma a smentire cotale accusa, basta il riflettere che la Storia del Panvinio fu pubblicata fin dal 1550, e quella del Panfilo solo 1581. Michele Poccianti e Arcangelo Giani scrissero amendue la Storia del loro Ordine de’ Servi di Maria, ma del Giani diremo nel secolo seguente, in cui solo uscirono i grandi Annali dell’ Ordine stesso da lui compilati. Della Vita di S. Ignazio fondatore della Compagnia di Gesù scritta dal P. Maffei, ch è il solo libro appartenente a questo Ordine, di cui si debba qui far menzione, diremo nel parlare delle altre opere di quell’elegante scrittore. L’Ordine de’ Cavalieri di Malta ebbe per ultimo un illustre storico in Jacopo Bosio che da alcuni è detto milanese di patria, da altri natio di Civasso in Piemonte. A me sembra che l’autorità dell’ Eritreo, che dovea averlo conosciuto in Roma, e che il dice milanese (Pinacoth. t 1, p. 232), debba aver molta forza. Di lui parla il co. Mazzucchelli (Scritt ital. t. 1, par. 3, p. 1839, ec.), 608 LIBRO Ì>resso il quale e presso gli altri scrittori da ui citati si potranno trovare, da chi le brami, più distinte notizie di questo storico e delle opere da lui composte. Fra esse la più rinomata è la Storia di Malta, opera in tre gran tomi in folio, che dal principio dell’Ordine giunge fino al 15-ji, e die sarebbe migliore, se alla copia delle notizie aggiugnesse una miglior critica e uno stile men diffuso e verboso. Fine della Parte I del Tomo VII.