Il Magno Palazzo del Cardinale di Trento
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ALL’ILLUSTRISSIMO E REVERENDISSIMO SUO SIGNORE IL CARDINALE DI TRENTO . ANDREA MATTHIOLI SANESE OFFERISCE IL DEBITO SERVITIO .
Di tutto’l mondo sara il mio Poema,
Per celebrare il Sol, da cui discese
4Il raggio, c’ha formato il nobil thema:
Il cui dolce calor mio cuore accese
A dichiarar un tanto bel problema,
Qual di vago splendor tal luce rende,
8Che per fama, e per gloria al Cielo ascende.
Cantero dunque le pompe, e’l thesauro,
La gran magnificenza, e l’ornamento,
La nobiltade, la politia, e’lauro,
12C’hoggi fan grande il bel nome di Trento,
Le sette Verghe d’or, la Palma, e’l Lauro,
Di cui sonora tuba in aria sento,
Ch’un superbo Edificio in se raccoglie,
16Ch’a tutti gli altri il maggior nome toglie.
Porge Giove la gratia dal tuo petto,
E fa di quella in me nascer un fonte,
Manda a svegliare il mio freddo intelletto
20Le dotte Nimphe del sacrato monte,
Purga di quel ch’io dico ogni difetto,
E cingemi d’Allor la debil fronte,
Accioch’io possa con le mie parole
24Fermare il corso al mio lucente Sole.
Ma che m’accade più invocar li Dei,
Le Muse di Parnaso, o de Helicona
Facendo si dolce ombra ai versi mei
28Il rosso manto, e la diva corona,
Di cui splende il mio Sir fra i Semidei,
Se bene a pochi il Ciel tal gratie dona,
Di quindi trarrò io immortal gloria,
32Essendo tutta in sua laude l’historia.
Piacciavi adunque Illustrissimo Sire
Prestare al voto mio gratia, e favore;
Accio ch’io possa vostre laudi dire,
36E le virtu celebrar, e l’honore,
Perche dal vero io non mi vo partire,
Per adularvi benigno Signore,
Che volendo andar’io con tal malitia
40Sarebbe un darvi affanno, e non letitia.
Ma perch’un cor gentil mai non disprezza
Il don, benche tal volta infimo sia;
Sprezzar dunque non po vostra grandezza
44Il rozzo mio cantar, la Musa mia:
Che s’in quella non è tanta prontezza
Ch’al parangon di ciascun’altra stia,
Non resta che la lingua, e’l spirto, e’l core,
48Infiammati non sian del vostro amore.
Prendete adunque lieto il picciol dono,
Che quanto donar posso vi presento,
Gia del vostro splendor scaldato sono,
52Da cui la Musa mia svegliata sento,
E di mia Lira accordato ha gia’l sono,
In cui rimbomba ogni pietoso accento.
Parmi la mente mia in tutto accesa
56A dar principio all’eccellente impresa.
Per fuggir dell’Italia i grandi errori,
C’hanno alla gloria sua tarpate l’ale,
L’insidie, gli odij, le guerre, i furori
60Origine, e principio d’ogni male,
Mi tolsi del Toscan mio nido fuori,
Ben ch’io credessi non trovarne un tale,
Per non veder di quell, ogni bel loco,
64Girsen in preda, & in ruina al foco.
E così uscito del mio bel giardino,
Fatto horrida spelonca a me, e nido,
A guisa di disposto pellegrino
68Passando Italia del suo mal mi rido:
E pur un giorno dopo assai camino,
M’accorsi ch’era in su l’ameno lido
Del Benaco gentil, dove a mio spasso
72Alquanto ricreai mio corpo lasso.
Veggonsi intorno intorno alle chiar’onde
Dell’Hesperide gli horti in gran vaghezza,
Dove ogn’amenità dentro s’asconde,
76Da generar ne i cuori ogni allegrezza:
Tanta temperie d’aria il ciel v’infonde,
Ch’i frutti son di mirabil dolcezza:
Ne dir saprei de i refraganti odori,
80Che spiran da gli ameni, e vaghi fiori.
Quivi giardin di cedri, e di limoni
Vaghi son piu, che mai fesse Natura,
D’aranci, e frutti dilicati, e buoni
84Piantati, ch’ il dolce aer ben matura.
Producan l’acque i pregiati Carpioni,
Et altri nobil pesci oltra misura.
I monti, Olivi, Pini, Allori e Mirti
88Più vaghi assai, che qui non saprei dirti.
Credo che quivi il suo cieco fanciullo
Gia mandasse Ciprigna a nutricare,
Dove ogn’amenità, ogni trastullo,
92Ogni delitia, ogni piacere appare,
Quindi l’origin sua hebbe Catullo,
Dove potè poetando cantare,
Perche se il verso suo sonoro chiuse,
96Il potè far, che nacque infra le Muse.
Mentre che si passeggia in su l’harena;
Dove batte con l’onde’l chiaro lago,
Si sente un querelar di Philomena,
100Che mai udissi un concento si vago:
Di tal dolcezza è la lor voce piena,
Che placarebbe ogni Tigre, ogni Drago.
Dunque dirò, senza arrossirne in viso,
104Che sia delle delitie un Paradiso.
Fatta ogni forza mia dal piacer viva,
Alla fin pur un giorno il lago varco,
E scorgo poco avanti dalla riva
108Un castel, che di forma sembra un Arco:
E perche Phebo’l suo corso finiva;
Non che fuss’io di gran fatica carco,
Disposi quivi quietarmi un poco,
112Che molto mi piaceva’l sito, e’l loco.
Raccolto e visto fui con grande amore
Da un virtuoso, e pellegrino ingegno,
Che di quel bel castel era signore,
116Dotto, prudente, magnanimo, e degno.
Ridotto era in costui ogni splendore
Del ceppo illustre, o sia antico legno,
Onde la nobil casa gia discese,
120Che tien lo scettro in man del bel paese.
Piu d’una volta la mia fantasia
Gli raccontai, come a persona degna,
E che fuggivo dalla patria mia,
124Per esser sempre a me stata matregna.
E volendo egli mettermi in la via;
Che fedelmente all’amico s’insegna,
Disse, se brami far quel che sia’l meglio
128Segue senza timore il mio conseglio.
Andratene sicuro alla cittade,
Dove Nettunno gia tenne il suo Regno,
C’hora in memoria di sua Deitade
132Il nome del Tridente tien per segno:
E per che veggio in te regnar bontade,
Quivi riusciratti ogni disegno,
Dove scarco d’affanni, in somma pace,
136Lieto conseguirai quel che ti piace.
Come la Nimpha, che va inanzi al sole,
Gli ombrosi monti a’mbiancar cominciava,
Dato l’orecchio alle saggie parole,
140Il di seguente il viaggio pigliava.
Ben che lasciare il mio Signor mi duole,
Che cognoscevo che molto m’amava.
Prendo licentia al fin dal Signor saggio,
144E lieto mi dispongo al mio viaggio.
Esser non po (dicea) se il Dio Marino
Nella citta la Regal sedia havea,
Che non sia quivi un florido giardino
148Fatto alle Nimphe, à Theti, e a Galatea,
Quando per l’ampio fiume ivi vicino
Dal mar ciascuna in terra discendea,
Con tal pensier mi trovo alla cittade
152Nell’hor, ch’Apollo nella Spagna cade.
Gioioso dentro entrai nel bel contorno
Cinto di mura, e d’un bel fiume vivo,
Vo riguardando’l tutto attorno attorno,
156E, di si bel paese mi stupivo.
Di ricchi Tempij, & edifitij adorno
E’ il degno luogo assai piu, ch’io non scrivo.
Cinto d’ameni monti in pian risiede,
160Ne pensaria tal sito chi nol vede.
Larghe le strade son con gran misura
Di vivi sassi tutte fabricate.
Le case son di pietre, o di pittura
164Dentro, & di fuor communemente ornate.
D’una commoda altezza son le mura,
Tutte d’un sesto dritte ritirate.
Un rivo d’acqua ogni contrada fende,
168Che tutta la cittade amena rende.
Una ampia piazza nel mezo risiede,
Ove’l Tempio di Dio s’honora, e cole;
E per quel che si dice, e che si crede,
172Di Nettunno gia fu, ne credo fole
Sien, perche sculto anchor di fuor si vede
Un marmo, che dimostra, che tal prole
Fusse ivi culta, per le propinque acque,
176Onde di Trento il nome eccelso nacque.
Di questo luogo i nobil cittadini
Nelle scienze eccellenti si fanno:
Per ch’ingegni sublimi, e pellegrini
180Allor dal ciel s’influiscano, e danno.
Son piu castelli alla citta vicini,
Ove Baroni, e Cavalieri stanno
Del sacro Imperio, e tutto’l bel paese
184Risplender fan di magnanime imprese.
Però s’io forestiero era in quel loco,
Grata mi si mostrò molto la gente.
Di questo’l cor mi gioiva non poco,
188Dando quiete all’affannata mente.
Hor quivi dimorando infesta, e’n gioco,
Mi ritrovavo fuor del foco ardente
Della superba Italia, ch’ogn’hor veggio
192Andar per colpa sua di male in peggio.
Ero quì gia stato alquanti mesi
Del freddo verno & vaga primavera.
Et venendo la state in ver compresi,
196Che l’aria mi sarebbe alquanto altiera:
Di fuor per questo un giorno’l camin presi
Verso una valle ch’ivi propinqua era
Per addolcir del Cane, e del Leone
200L’horribil vampo, e l’ardente stagione.
Mentre che caminando ero fra via,
Ecco una Diva in mia presentia appare,
E se ben sola intrepida ne gia.
204Ne mai vidi io il più pesato andare,
Sembrava gran gravezza, e leggiadria
Ne i gesti, ne i sembianti, e nel guardare:
Però facevo nel mio cuor contesa,
208Se fusse, o no dal ciel Palla discesa.
Era l’aspetto suo venusto, e degno,
Quanto mai far potesse la Natura.
Dava’l parlar di sapienza segno,
212Perch’ogni sua parola ben misura.
Donna parea da governar un Regno,
Modesta, accorta, & di bella statura,
Di ricche veste ornata, sotto un velo,
216Ch’in terra mi parea scesa dal Cielo.
Non prima havevo visto una donzella,
Ch’inanzi caminando alquanto andava:
Pero dissi che sola andava quella,
220Che tanta gratia, e prudenza mostrava.
Scorsemi al fine, e con cenni m’appella,
Ond’io m’accosto, ch’altro non bramava.
Pervengo tutto lieto in sua presenza,
224Porgo’l saluto, e fogli riverenza.
Figliuol (disse) s’il dir non t’è sospetto,
E se del mio parlar non senti doglia,
Dimmi dove ne vai cosi soletto.
228Non per ch’i tuoi secreti intender voglia,
Per che commette troppo gran difetto,
Chi vuol ch’ogni concetto si gli scioglia.
Ma sol teco parlo io per tor l’affanno,
232Che il caldo Sole, e’l caminar ne danno.
Gentil signora (allhor gli risposi io)
Della citta propinqua son partito
Per rinfrescare alquanto’l corpo mio
236In qualche ameno, & dilettoso sito.
Spero trovar qua drento un aer pio,
Perc’ho cosi nella città sentito,
Tutto per questo son di gioia pieno,
240Pur che gli habitator grati me sieno.
Rispose, figliuol mio non dubitare,
Ch’a tutti gli habitanti sarai grato,
E se in mia compagnia vorrai restare,
244Farò che da ciascun sarai pregiato.
Quivi in la valle, dove voi andare,
In governo darotti un bello stato.
E quando ti fia noto il mio lignaggio,
248Volentier restarai, se sarai saggio.
Ben che madonna, risposi, non sia
Degno di tal proferta che mi fate;
Pur vi do in preda la servitu mia,
252Quando di quella voi vi contentiate:
Et ella a me, figliuol segue la via,
Poi che dal ciel tal gratie ti son date,
Che con dolce fatica io ti prometto
256Al fin conseguirai il tuo concetto.
Come saremo al mio bel giardino gionti,
A lungo narrarotti le mie imprese,
Talhor andando per gli ameni monti
260Ogni secreto ti farò palese.
Il tempo hor non ne da ch’io ti racconti
Quel, di cui ti saro poi più cortese:
Perche ti mostrero d’haver la palma
264Da rivocar dal fiume Lethe un’alma.
Dell’herbe, delle piante, & animali,
Dirotti la virtude, e’l gran valore.
L’arte ti mostrero de i Minerali,
268Donde la falsa Archimia è tratta fuore,
Ch’a permutar le cose naturali
Ci vuol l’ingegno del sommo fattore:
Benche i Sophisti alcune volte dieno
272Per ver quel, che del falso è tutto pieno.
Ver’è che par, che la Philosophia
Conceda l’arte, e l’affermi per vera,
Ma persa a nostri tempi n’è la via,
276Ne si truova chi n’habbia l’arte intera,
E chi ne vuol saper qualche bugia,
Si metta pur con gli Archimisti in schiera,
Per che ciascun ch’a cotal cosa attende,
280Cio che compra d’altrui caro ti vende.
Lasciar da parte l’Archimia conviene
A color, ch’a tal arte sono intenti,
Perche per tutto son le carte piene
284Di sophistichi, e falsi documenti.
A me di questo saper s’appartiene
Separar l’un dall’altro gli elementi,
E in breve corpo gran virtu racorre,
288Benche pochi di ciò sappin disporre.
Ma perche questo il luogo non mi pare
Da raccontar tanta alta fantasia,
Il resto meglio ti potrò mostrare,
Quando piu otio concesso mi sia. 292
Allhor risposi, Madonna ei mi pare,
Che debbia esser con voi la sorte mia.
E perche mi intendiate in un sol motto,
Ho qualche vetro lambiccando rotto. 296
Come sentì da me questo la dama
Allegra tutta nel fronte si mostra,
Dicendomi figliuol potrai gran fama
Ancho acquistar nell'Academia nostra: 300
Ma perche l'hora al viaggio ne chiama,
Che gia Phebo ne monti tien la giostra,
Vorrei che fussem nell’amena valle,
Nanzi che ne voltasse anch’ei le spalle. 304
Il vostro eccelso nome, & honorato,
Risposi prima almen detto mi sia,
Di poi ogni silentio sia serbato
Nel caminar che farem per la via. 308
Et ella a me, se cotesto t'è grato
Ecco tel dico, mi chiamo Iatria:
Et accioche ben sappi i gesti mei,
Madre mi truovo di diversi Dei. 312
Dopo tal dire un silentio fu posto,
E solo a caminar ciascuno attende,
Fin ch’arivammo ad un fiume nascosto,
Che fra due monti i duri sassi fende: 316
Quivi d’andare avanti ognun disposto
Soavemente per la valle ascende,
Fertil del tutto, ANANIA nominata,
Ch’essermi poi dovea diletta e grata. 320
Zephir per l'aria soave spirava,
E gia de i monti l'ombre erano al piano,
E’l Sol, che pria sanza ordine scaldava,
Per l'aura dolce si rendeva humano; 324
Quando la donna, che forte m’amava,
Mi pose al collo la sua destra mano
Dicendo figliuol mio hor ti conforta;
Che del mio bel palazzo è qui le porta. 328
Del bel Dificio il superbo ornamento
In mille carte non ti saprei dire:
Perche ciascun ch’impetra intrarvi drento
Per le mirabil cose fa stupire. 332
E mentre ch’ero a rimirarlo intento
Disse la diva ei ti convien venire
Meco in un luogo di questo piu degno,
Dove convienti porre ogn’arte, e ingegno. 336
Cosi passammo in un vago giardino,
Dove sol verdi olive eran piantate.
Di quindi intrammo in un Tempio vicino,
Dove risplenden l'anime beate. 340
Dicato il luoqo era al culto divino,
Per che rare virtu dal ciel donate
Sono a color che alla divina sede
Han poca riverenza, e manco fede. 344
Poscia che del bel Tempio fummo usciti,
In una anticha stanza entrar mi fece
Adorna, e piena di libri infiniti
Di lettere latine, arabe, e grece, 348
Quivi mi disse i tuoi pensieri uniti
Tutti saran dipoi, che l'humil prece
Al Tempio fatta harai con riverenza,
Che cosi ben s’impara ogni scienza. 352
Del vitto, e del vestito non pensare,
Per che tutto da me te sia parato.
N’un altro albergo mi fe poi passare.
Di musici instrumenti tutto ornato, 356
E disse, allhor che dal troppo studiare
Sara l'ingegno tuo punto turbato,
Hor co’l Liuto, hor con la Lira amena
Farai la mente tua chiara, e serena. 360
Indi passammo in un altro bel loco
Pien di fornelli di varia maniera,
Dove hor con grande, & hor con picciol foco
Di lambiccar si truova l’arte vera. 364
Fu questa a me gioia, diletto, e gioco,
Perche tal cosa hormai nuova non m’era,
E parvemi ch’il ciel m’havesse dato
Quel, che da lungo tempo havea bramato. 368
Accortasi la Donna, che nel cuore
Per questo portava io gaudio, e diletto,
Disse figliuol di qui nasce l’honore
A chi ne viene artefice perfetto. 372
Questa è la via piu dritta, e la migliore,
Et ogn’altro camino è manco netto:
Credermi puoi che solo in questa parte,
Stanno i secreti di nostra degna arte. 376
Quest’e il servigio sol, che da te chieggio,
Questa sia l’opra tua, e’l tuo lavoro,
Se constante sarai, come hor ti veggio,
Non ti mancara mai argento, & oro. 380
Per questa via s’ascende a magior seggio:
E il vero esempio ne mostran coloro,
Di cui tant’alte son state le prove,
Che son posti per Dei appresso a Giove. 384
Madonna (risposi io) questo servitio
Pien di diletto, e di virtu mi pare.
Parmi che sia un nobile esercitio
A chi n’habbia diletto d’imparare. 388
Non manchero di fare il mio uffitio,
Pur ch’io ne possa alcun frutto portare.
Cognosco ch’a tal degna disciplina
Lo stinto naturale, e’l ciel m’inclina. 392
Mostrossi al mio parlar tutta contenta,
E condussemi seco in sala a cena:
Pareva solo a carezzarmi intenta,
Però ligato fui con sua cathena. 396
Ma poiche di cenar la voglia spenta
Fu di ciascun di noi, tutta serena
Mostrandomi la fronte, io riverenza
Gli fo, e per dormir prendo licenza. 400
Ma non si tosto la bianca Aurora
Manifestava il gia presente giorno,
Parendomi che propia fusse lhora
Mi rivestij senza far piu soggiorno. 404
Poscia pel bel giardin me n’andai fuora,
Per far al Tempio il debito ritorno,
Dove al fin sodisfatto al mio concetto
Nell’ampia libraria intrai soletto. 408
Quivi gli antichi Philosophi tutti
Scorsi raccolti in venerando choro,
Da i quai si coglie i veri e degni frutti,
Che riportar ne fan le gemme, e l’oro, 412
I principi piu oltre eran ridutti
Che piu chiari ch’il sol fatto han costoro
I qual mirando havea si gran diletto,
Ch’il cor mene rideva e l’intelletto. 416
Quivi la Diva veniva sovente
A visitarmi con allegra faccia.
E per piu consolarmi un dì la mente,
Seco in un monte mi condusse a caccia, 420
In tanto fassi un cervo a noi presente,
Del qual feroci can seguien la traccia,
Un de di astanti a quel prende la mira,
E col forte archo un strale al cervo tira. 424
Investì drittamente l’animale,
Ma poco’l colpo quel fuggendo cura.
In questo un can gagliardo’l cervo assale,
Però ciascun di seguirlo procura: 428
Mentre seguito anch’io ritruovo’l strale
Di sangue tinto, nell’ampia verdura,
Dollo alla Diva mia poi che l’ho colto,
Qual sorridendo mi guardò nel volto. 432
Poi disse il Cervo ch’è da noi partito
Sa di questa herba la forza, e’l valore,
Alla qual s’accostò sendo ferito,
E cosi la saetta andata è fuore: 436
Però di sua virtu resta avertito,
Perche in piu cose ti fara honore,
Dittamo bianco è detto, e molto vale
Contra’l venen pestifero, e mortale. 440
Quell’altra è la mirabil Gentiana
Amara al gusto, s’è ben poi amena,
Rimedio grande alla natura humana.
Quest’è’l Narciso, e quella è la Verbena, 444
Che della testa le ferite sana,
E’l calor delle febri al basso mena,
Ne i lustri anticamente celebrata,
E pero sacra da tutti è chiamata. 448
La Mandragola è quivi, che i volgari
Pensan che nasca con humana forma,
Come per ver creduto è da gl’ignari,
De i quai si truova innumerabil torma. 452
Le contrafanno i truffatori avari
Per ingannar qualche donna che dorma.
Ma la vera virtu, ch’in lei s’appoggia,
E' che co’l sonno i vigilanti alloggia. 456
Ecco l’Ellebbor bianco, e’l negro anchora,
Che sol nell'odorar ne fanno oltraggio,
Posson venir qua su gli stolti ognhora,
Senza piu far d’Anticira il viaggio. 460
L’una, e l’altr’herba il magisterio honora,
Quando son preparate di vantaggio.
Del Satiro è quest'altra la radice,
Che fa Vener nei vecchi esser felice. 464
Quel picciol giglio, ch’anchor quivi è nato,
Nella mia lingua Martagon l’appello,
Molto da gli archimisti adoperato,
Per far star lor sophistichi al martello. 468
Quel ch’e fiorito in su l'orlo del prato
E' il velenoso, e protervo Napello,
Il quale habbiam spesse volte veduto,
Mandar via per le poste un’alma a Pluto. 472
Ecco’l pepe de i monti, che i villani
Tengon per santa, e nobil medicina:
Ma quando oltre a misura sono i grani,
Spesso a Charonte qualchun ne camina. 476
Quest'altra tien per radice due mani,
Il cui liquor la quartana declina.
Quell’altra è la Carlina hirsuta, e rude,
Ch’al Sol si sparge, alla pioggia si chiude. 480
L’altra è la virtuosa Tormentilla,
Che le ferite in le bevande sana.
Ecco la poco usata Pulsatilla,
Ch’al curar de la Peste non è vana. 484
L’abeto è quel, ch’il chiaro olio distilla
Fin che discende al basso in terra piana,
Che ne gli offesi teschi ha gran valore,
Ridotto al foco in piu sottil liquore. 488
Larice è l’altro, ch’appresso gli viene,
Da cui nasce un liquor molto lodato,
Che mirabil virtu capisce, e tiene,
Da me piu volte con honor provato. 492
Da le scorze di questo d’humor piene
Nasce il nobile Agarico, e pregiato,
E però molti scritto’l falso n’hanno,
Perche per frutto dell’Abeto il danno. 496
Dall’herbe trasportati a passo a passo
In su la cima del bel monte andamo,
Dove un cristallin fonte esce d’un sasso,
Che d’un gran faggio adombra un verde ramo. 500
Di quindi tutto’l pian scorgevo al basso.
Mentre ch'all’ombra ci riposavamo,
E disegnalo allhor col mio pennello,
Per un paese ameno, e molto bello. 504
Fertil si vede al basso una campagna,
Che molti frutti a gli habitanti rende,
Ch’un chiaro fiume orna, rinfresca, e bagna,
Mentre che mormorando al corso scende: 508
Vedendomi a ciò intento la compagna,
Ch’accortamente i miei pensieri attende,
Disse di quinci pur veder ne lice
Di questo bel paese ogni pendice. 512
Cinti qua dentro siam d’ameni monti,
Formati per fortezza da Natura,
Tal che guardati certi passi, e ponti
Teniam noi delle guerre poca cura. 516
Gli habitatori al difender son pronti,
Perc’huomin tutti son senza paura.
E la bella campagna quivi al piano,
Rende cioche bisogna al vitto humano. 520
Carni eccellenti habbiamo in queste bande
Domestiche, e selvaggie, d’ogni sorte.
Di biade moltitudin troppo grande,
Quando non son di quindi a gli altri porte. 524
Diversi cibi, e varie altre vivande,
Come haver visto puoi nella mia Corte.
Vin d’ogni sorte, tanto al gusto grati,
Quanto mai ne i di miei habbia gustati. 528
Quel bel Torrente di questi monti esce,
D’un vivo fonte cristallino, e chiaro.
Producon l’acque un infinito pesce
Fra tutti gli altri piu gentile, e raro. 532
Ogni bel frutto a noi qua dentro cresce,
Ch’al nutrimento nostro teniam charo.
Luogo proprio da starsi in gran quiete
A chi del mondo non ha troppa sete. 536
In questi monti sono assai Miniere,
Donde si cava un pretioso argento.
Fassici il ferro, come puoi sapere,
Ch’a gli habitanti è di molto momento. 540
Molte altre cose da darsi piacere
Dì tempo in tempo si trovan qua drento:
Vero è che nell’inverno alquanto è greve
Il tempo per il ghiaccio, e per la neve. 544
Ecci alcun monte ove la neve cova
Tutto’l tempo dell’anno, e mai si parte,
U limpido cristallo si ritruova
Congelato di ghiaccio con grande arte. 548
Ma che direm d’una altra cosa nuova,
Qual forse non hai visto in altra parte:
Nelle cime de i monti son piu laghi,
Pieni di nobil Pesce, ameni, e vaghi. 552
Al basso havem belle caccie campestri
Di veloci Leprette, e Volpi anchora.
E qui ne i monti, e luoghi piu alpestri
Orsi, Cervi, e Cignal troviamo ogn’hora, 556
E Capricorni, e le Capre silvestri,
Ch’a tempo vengan de lor sassi fuora.
E spesso drieto a gli animai piu fieri,
Si son veduti andar Lupi cervieri. 560
Augelli anchor haviam certo divini,
Da prender con Sparvieri, e con Falconi,
Cotorni, Quaglie, Starne, e Francolini,
Anatre, Gru, e semplici Aironi. 564
Per tutti questi monti qui vicini,
Si trovan Galli, come gran Pavoni,
Tordi, Merli, Taine, & altri assai,
Come col tempo ogn’hor veder potrai. 568
Molto habitata è questa valle bella,
Quant'altra c’habbia visto in molti regni,
Piena di grosse ville, e di castella,
Dove habitan Baroni eccelsi e degni, 572
Che con lor pompe molto adornan quella:
Però convien che con lor ti mantengni,
Perche come tua opra haran gustato,
Sarai da loro cordialmente amato. 576
Anzi per ver presagio hai da sapere
Ch’a servir un di loro il ciel t’inclina,
Dal qual non picciol dote debbi havere,
Se ben sia tua virtu qui pellegrina. 580
Sta pur tu fido, e poscia non temere,
Fuggir non po quel ch’il ciel ti distina.
Aspetta il tempo, e pesa ogni tuo moto,
Se conseguire al fin ne brami il voto. 584
Mentre che tutto’l luogo intorno intorno
Ne dilettava dal monte guardare;
Ecco ch’un de compagni suona’l corno,
Dando segnal ch’al pian debbiam tornare, 588
Perche se n’era quasi andato’l giorno
Nel nostro dolce, e grato favellare:
Però lasciando’l fonte, a passo a passo,
Dal monte in breve giu calammo al basso. 592
Raccolti insieme erano i cacciatori,
Che per tutto quel monte havean trascorso,
Dove in su lherba fra piu vaghi fiori,
Giaceva in terra morto un feroce Orso, 596
C’haveva il proprio giorno a due Pastori
Stracciato un Tor con le grife, e col morso.
Grande tant’era, e grosso oltra misura,
Che cosi morto mi fece paura. 600
Ma perche il Sol nell'occaso mirava,
Fu forza di lasciar l'opra imperfetta:
Onde la guida, ch’appresso mi stava,
Disse, da che la caccia ti diletta, 604
Tutt’hor, che il studio la tua mente grava,
Mene verrò con te quinci soletta,
Dove horin questa hor in quell’altra parte
L'intrinseco aprirotti di nostra arte. 608
Poi comandò che si sonasse il corno,
Per richiamare i valorosi cani:
Ch’avidi anchor di caccia in quel contorno
Givan cercando luoghi alpestri, e strani. 612
Al bel palazzo al fin femmo ritorno,
Ch'andati eravam sempre a giunte mani,
La Diva, & io, per il viaggio ogn'hora,
E molti gran secreti disse allhora. 616
Giunti al Palazzo incontra si ci fenno
Cinque mature donne in un drapello,
Che dimostravan gran prudenza, e senno,
Tirate di bellezza col pennello: 620
Tutte alla Diva mia la destra denno,
Con uno affetto molto allegro, e bello,
Di ricchi vestimenti adorne in tutto,
Ch’eran di lor virtu parte del frutto. 624
Poscia la Diva mia fra loro entrata
In una stanza andò di gran valore:
Et essendovi dentro alquanto stata,
Tutta gioiosa ritornò di fuore 628
Per veder se la cena era ordinata,
Da poter fare alle compagne honore:
Et io, che il nome lor bramava udire,
Prego la Diva che me’l voglia aprire. 632
Onde ella a me, accioche piu non stia
Intento con la mente a questa cura,
L’una di loro è la Geometria,
Che d’ogni cosa insegna la misura: 636
L’altra, che mena seco in compagnia
E' la polita, e magna Architettura,
Ch’infra lor tanto forte amicitia hanno,
Che l'una senza l'altra mai non stanno. 640
La sottil Prospettiva è con costoro,
Che la grande arte sua mostra lontano:
Costei tien le due altre al suo lavoro,
Accioche il tempo non si spenda in vano, 644
Pittura si domanda una di loro,
Ch’inganna l'occhio col pennello in mano.
L’ultima d’ogni pietra forte, e dura
Del natural scolpisce ogni figura. 648
Come hebbe detto fe parar la cena,
E dispose al servir molte persone:
Poscia di gaudio, e d’allegrezza piena
Fece venir le pregiate matrone, 652
Al primo luogo la piu degna mena,
E tutte l'altre per ordin dispone:
Fammi quivi sedere, e siede anch’ella,
Che certo era di tutte la piu bella. 656
I primi cibi, che fur presentati,
Indusseno un silentio al bel convito:
Perch'al gusto parean si dolci, e grati,
Che quasi era’l parlar perso e smarito, 660
Pur, essendosi queti alquanto stati
Gl’animi lor, fe la Diva uno invito,
Alla maggior con un vezzoso inchino
D’una coppa d’un dolce, e grato vino. 664
Rispose l’invitata, io mi ramento,
Che gia dell’invitar non v’harei intesa:
Ma l'ho imparato in la citta di Trento,
Dove habbiam fatto una superba impresa. 668
Però nel dolce invito io vi consento,
Perche l’amor con questo si palesa,
E molto a me questo costume affassi,
Pur che di lungo il segno non si passi. 672
Replicò la mia Diva inver vorrei
Di questa impresa haver piena notitia.
Senza tardar (rispose allhor costei)
Vene farò quanto potro dovitia. 676
Un Paradiso habbiam fatto alli Dei,
E ne parlo con voi senza malitia,
Perche chi la degn’opra mira, e vede,
Ch’un altra tal ne sia non pensa, o crede. 680
Il Signor della terra giusto, e degno
Un Palazzo divino ha fatto fare,
Composto di misura, arte e disegno,
Quant’altro al mondo si possa trovare. 684
Per suscitar la virtu d’ogni ingegno
Ha fatto’l bel difitio fabricare,
E se tal cosa non seguiva a sorte,
Sarien molte virtù disperse, e morte. 688
Eran chiuse per noi tutte le vie
Da far nostre virtu piu note al mondo,
Peste, tumulti, guerre, e charistie
Tenean sommersi i virtuosi al fondo. 692
Quasi in ruina eran le lodi mie,
C’hor esser veggio in stato assai giocondo.
Quest’altre tutte anchor senza negotio,
Sepolte, e perse si stavan nell’otio. 696
Molti altri ingegni eccelsi, e pellegrini
In diverfe virtu fondati, e dotti,
Eran venuti poveri, e meschini,
Abietti, vilipesi, e mal condotti, 700
E tante alla miseria eran vicini,
Ch’i panni indosso havean stracciati, e rotti,
Come dett’ho, per carestia, e guerra,
Eran tutte lor arti andate a terra. 704
Havendo a questo l'occhio l'alto Sire,
In cui somma prudenza Giove pose,
Deliberò di voler soccorrire
All’occulte virtu perse, & ascose, 708
Fecene tutte inanzi a se venire,
E’l suo pensier caritevol n'espose,
Che per tirar virtu dal precipitio,
Far fabricar volea’l degno edifitio. 712
Demmogli in breve noi fatto il modello,
E subito si messe all’opra mano,
E per ornar d’ogni bellezza quello,
Vi fè venire ogni ingegno soprano, 716
Dove all’ombra del suo sacro cappello,
Ogni virtu si rinverdì pian piano,
Perch'ogni ingegno grande, e pellegrino
Trovò di rose, e viole un giardino. 720
Di tanto frutto a virtuosi è stato,
Che tratto n’hanno assai argento, & oro,
Ciascun contento se n’è ritrovato
Con dolce premio d’ogni suo lavoro. 724
Con noi s’è tanto liberal mostrato,
C’haviam proposto in mezo al nostro choro
Scolpirne un simulacro, senza fallo,
D’un honorato, e signoril metallo. 728
Nella degna città poco dimora,
Perch’il Re de i Romani in tutto l'ama,
Però la Corte sua seguita ogn’hora,
Perche di quindi ha tratto immortal fama. 732
Ogni virtu suo chiaro nome honora,
Perche esaltar virtu s’ingegna, e brama,
Saggio, accorto, prudente, giusto, e pio
Tant'è, che mai un tal non n’ho vist’io. 736
L’ingegno divin suo l’ha sempre alzato
Ci giorno in giorno in maggior signoria:
Bench’era prima nobilmente nato,
Quant’altro Caualier ch’al mondo sia, 740
Signor dal popul suo fatto, e chiamato,
Per haver di tai huomin carestia,
Però’l sommo Pastor per esser tale,
L’ha fatto degnamente Cardinale. 744
Il bel Palazzo in eterna memoria,
Come t’ho detto ha fatto fabricare,
Che delle cose belle tien la gloria,
Come a ch’il mira chiaramente appare. 748
Ma non vene farò piu lunga historia,
Che vi potrete dentro ogn’hor andare.
Restarete, vedendo quel c’ho detto,
Stupida tutta pel troppo diletto. 752
In questo dolce, e bel confabulare
La cena si finì con gran diletto.
Fece la Diva mia poscia sonare
Un istrumento musico perfetto. 756
Alquanto cosi sterno a sollazzare,
E di poi tutte se ne giro al letto.
E’l seguente mattin, per quant’intesi,
Andorno di buon’hora in lor paesi. 760
Promessen però in breve far ritorno
A rivederne in questo luogo bello,
Perche di certo al partirsi affermorno
Voler far quivi un superbo castello. 764
L’origin sua il Signor di fama adorno
Anticamente havea tratto da quello,
Però per fare alla sua prole honore,
Illstrar la volea di quel splendore. 768
Nel cuor tutto m'accesi di vedere,
Per l’ampie laudi l’eccelso edifitio:
Perche per altri non si po sapere
Quel, di che l’occhio da matur giuditio. 772
Dico alla Diva mia c’harei piacere,
Vacare alquanto dal mio dotto uffitio,
E c’hauer non potrei maggior sollazzo,
Che vedere il pomposo, e bel palazzzo. 776
Non sol piacque alla Dama il mio disio
Anzi esortommi a farlo inmantenente.
Però sol solo alla citta m'invio,
Come l'alba appari’l giorno seguente: 780
Ove trovato un grande amico mio
Raccolto fui da lui allegramente,
Dissigli’l mio pensiero, & ei allhora
Quanto piu puo m'accarezza, & honora. 784
Hor io; che nell'intrar per ogni via
Magni apparati havevo visto fare,
Prego’l compagno che piacer gli sia
Volermi ben di tal cosa informare. 788
Et ei ch’in tutto alla volonta mia
Pensa per aggradirmi sodiffare,
Rispose ogn’un si prepara, & assetta
Per far honore al Re, c’hoggi s’aspetta. 792
Io dico’l nostro Re, Re de i Romani,
Ch’in Ongaria, e’n la Boemia ha’l regno,
Quel c’ha tenuto in piè de i ver christiani
La catholica Fe con l’alto ingegno, 796
E sempre ha spinto i pensier falsi, e vani
Del protervo LUTHER, con tanto sdegno,
Quanto dir possa, altrimenti la sede
Di Roma haria voltato al cielo il piede. 800
Porta al nostro Signor tanto egli amore,
Che seco viene a ricrearsi alquanto,
Con la Regina, a cui d’ogni splendore
L'honorate virtu fatt’hanno’l manto, 804
Però si gli fara tutto l’honore
Che far potrassi, e che merita un tanto
Re, la cui fama tutto’l mondo move
A darne’l grido in ciel su fin a Giove. 808
Mentre che pien di gioia, e di piacere
Scoltavo dal compagno l’opre degne,
Veggio venir di fanti tre bandiere
Di colorite, e di superbe insegne. 812
Tutte in una livrea eran le schiere,
Con armi in tutto a gli habiti condegne,
E sotto all’ordinanza de i tamburi,
Givano i fanti leggiadri, e sicuri. 816
Fermomi in sulla strada per notare
Questa bella ordinanza in ogni parte,
Dicendo alla mia guida, c’ha da fare
Quiesto fiorito, e bel popol di Marte? 820
Et egli ame. Hoggi ha d’accompagnare
La Regia maesta, però si parte
Hora per girgli incontra alquanto fuore
Della cittade, insieme col Signore. 824
Quel che dinanzi con provida mano,
Il bel caval maneggiando percuote
Di questa fantaria è’l Capitano,
E di sorella al Principe nipote, 828
Che gia co’l forte popolo Alemano,
Nel Barco di Pavia dolenti note
Fece sentir co’l gran furor Todesco
All’opulento e magno Re Francesco. 832
Passò la gente, e noi fino alla porta
Seguimmo appo l’armata fantaria,
A cui di dietro faceva la scorta
Una gentile, e nobil Baronia, 836
Signori, e Cavalier, la gente accorta
Tutta era dico che drieto seguia,
E nel habito suo degno, e decoro
Andava il Cardinale in mezo alloro. 840
Di diverse castella eran Signori
Costor, che stan co’l Principe adunati,
I qual seguivan poi tutti i maggiori
Della Città, di nobil veste ornati. 844
Hor cosi della terra usciron fuori,
In un drappel tutti stretti, e serrati,
Che non poco allegrò la mente mia
Tanta magnificenza, e leggiadria. 848
Ma prima fu il Madruzzo Decano
Dal Cardinal mandato ambasciadore:
A cui pose natura in seno e'n mano
Ogni gratia, ogni ingegno, ogni valore. 852
Se gentilezza al mondo in corpo humano
Luce, in costui dimostra ogni splendore,
Non sol da rincontrare un tal Re degno
Ma d’esser fatto Re d’ogni gran Regno. 856
Hor mentre il tergo alla Città volgea
La schiera de i Signor magni, & egregi,
Miro la porta, onde intrar si dovea,
D'imprese adorna, d’or, festoni, e fregi, 860
Che nei raggi del Sol tutta splendea,
Come le gemme di notabil pregi,
Con alcuni epitaffi arguti, e degni,
Composti da sublimi, & alti ingegni. 864
Poi ch’ebbi visto’l superbo apparato,
Per la città ce ne venimmo a spasso
Fin dove un' Arco triomphal piantato
Con grand’arte era sopra un nobil passo: 868
Tutto perfetto era da ciascun lato
Con superbe colonne, che di sasso
Mostran’esser scolpite a chi le mira,
Tanto’l colore un ver marmo ritira. 872
Era sopra quest’arco triomphale
Un’Aquila commessa di scoltura,
Che nell’aprir delle magnanime ale
Ombrava all’arco le superbe mura. 876
Questo feroce augel sempre immortale
Sara, perc’ha di lui Giove la cura,
E di già n’han provato i fieri artigli,
L’Affrica, e’l Indie, e gli aurati gigli. 880
Con ogni ingegno, e perfette misure
Era’l dificio dall'antico tolto.
Capivan gl’intermedi assai figure,
Che tutta la degn’opra ornavan molto, 884
Nelle cornici eran varie scolture,
E’l basamento in tal modo raccolto
Era, che rassembrava in molte cose
Gli archi, che Roma già di marmo pose. 888
Quivi deliberai prender il loco,
Per veder del gran Re e la magna intrata.
Ove essendo cosi restato un poco,
La voce si levò tra la brigata, 892
Ch’il Re veniva, onde letiia e gioco
Ne faceva la gente sviscerata
Della gran casa d’Austria, c’hoggi sola
Dall’uno all’altro poi per fama vola. 896
Intanto arrivan tre gran Cavalieri
Armati, e quel di mezo è’l Capitano
Della guardia del Re, quale è d’Arcieri,
Cosi chiamati nel modo Alemano. 900
Havean costor bellissimi destrieri,
Da maneggiarsi nel monte, e nel piano,
Di fornimenti si bene addobbati
Che di Signor parean, non di soldati. 904
Nelle lor armi in bene acconcia schiera,
Di tutti l'ordinanza’l passo move,
Sotto una degna e pregiata bandiera,
Ove risplende il bello augel di Giove 908
In campo d’or dico un’Aquila nera,
C’ha fatte, e fa tante lodevol prove,
Qual par che voli infino appress’al Sole,
Per esaltar l’imperial sua prole. 912
Per fino al ciel giva fendendo l’aria
L'acuto suon delle clamanti tube,
Tal che lor voce al turbine contraria
Disgregava ogni densa, e folta nube: 916
Onde cavalli assai con voce varia
Scotean la testa, e le pendenti giube:
Ch’ogni destrier nutrito in la militia
Piglia da questo suon cuore, e letitia. 920
Appo la schiera il sacrosanto Clero
Con la procession venia parato,
Qual per sua guida, e fidato nocchiero
Eletto haveva’l Re magno, e pregiato. 924
Poscia a caval seguiva un Cavaliero
Dal capo al piè tutto di bianco armato,
Qual mentre al sacro Re fa fida scorta,
Il nudo brando per giustitia porta. 928
Intanto ecco venire un Baldacchino,
Da Cavalieri, e Signor sostentato,
Fatto d’un vago, e degno cremusino,
Di fregi d’oro attorno attorno ornato, 932
Copriva’l sacro Re magno, e divino,
A cui giva di pari al stanco lato
La magnanima, degna, e pellegrina,
Formosa, saggia, e prudente Regina. 936
Nasceva quindi un lume, uno splendore,
Un’aria dolce, una gioia, un diletto,
Che raddolciva altrui gli spirti, e’l cuore,
E facea lieto ogni turbato petto. 940
Fama, ingegno, saper, gloria, e valore
Copriva’l vago, e degno drappelletto,
Ch’adir le lodi lor com’è ragione,
Bisognarebbe un Curtio un Cicerone. 944
Appresso a questi numi almi, e decori
Con superbe collane, e vestimenti
Givan a piè Baron, Conti, e Signori,
Ch'al servitio Regale erano intenti: 948
Di quelli eran costor, che giron fuori
Col Cardinale, e con l'armate genti,
Che poi ch’il Re hebber trovato in via
A piè gli fecer dentro compagnia. 952
Accanto al Re a piedi al destro fianco
Del Cardinale il caro nipote era
D’un bel velluto, e d’un broccato bianco
Vestito a quarti in modo di livriera. 956
Dell’eta sua non s’è piu visto unquanco
Persona più prudente, e piu sincera,
Da governar ogni stato, ogni Regno
Co’l pesato giuditio, e magno ingegno. 960
Poscia seguiva le due chiare stelle,
Il magnanimo, e degno Cardinale,
Qual tanto honora, e riverisce quelle,
Che far vorrebbe il lor nome immortale. 964
Venivan dopo quel le Damigelle,
A cui la face, l’arco, e l'aureo strale
Di Cupido ne gli occhi, e ne i sembianti
Posto era a lacerar gli affitti amanti. 968
Dinanzi precedeva al bel drappello
Di queste dame il Veneto Oratore,
Dell’alta gesta di casa Capello
Detto, prudente, e degno d’ogni honore. 972
In tanto ecco apparire un Mongibello
Di soldati, che prima andaron fuore,
Perche sparando agli archibusi il piombo
Faceano infino al ciel gire il rimbombo. 976
Come scarcato hebbe la fantaria
Comincion dal Castello a fulminare
Tanti mortari, e tanta artigliaria,
C’harian fatto ogni esercito tremare, 980
Si gran romor nell’aria si sentia,
Ch’un huom con l'altro non potea parlare
Che fusse inteso, hor caminando in tanto
Arivò’l magno Re al Tempio santo. 984
Come smontati in terra de i destrieri
Furno i due soli al bel Tempio divino;
Stracciato in pezzi fu da gli staffieri
Per lor Regalia il ricco Baldacchino. 988
La guardia in piazza facevan gli Arcieri,
Ove era corso il popul Tridentino,
Come gia corse il Romano all'inditio
De i triomphi d’Emilio, e di Fabritio. 992
Fatte le preci a caval rimontorno,
Andando tutti nell'ordin di prima,
Per fin ch’al magno Palazzo arivorno
Luogo d’un Re di tanta gloria, stima: 996
Ma perche gia la fine era del giorno,
Non mi curai di seguitare in cima
Per lhonorate scale, accio ch’intero
N’havesse l’altro giorno’l mio pensiero. 1000
Gia s’era Apollo dopo’l monte ascoso,
E vestito havea’l Cielo altro colore:
Però’l compagno al notturno riposo
Allegro m’invitò con grande amore, 1004
Passò la notte, e levomi gioioso:
E mentre vengo di camera fuore
Truovo’l compagno fido in sulla porta
Parato a farmi come suol la scorta. 1008
Quivi tenendomi egli per la mano,
Per la bella città mi mena, e scorge,
E gia’l Palazzo vedevo lontano,
Che d’un soaue colle in alto sorge. 1012
Hor mentre che cosi giuam pian piano,
Una ampia piazza alla vista si porge,
Donde’l bel magistero appien si vede,
Ch’ogni altro di beltade in vero eccede. 1016
Fondato, e posto è l'edificio bello
Nel miglior sito che sia in quel paese.
Tutta si scorge la città da quello,
Come conviensi a cosi fatte imprese, 1020
Legato insieme è col nobil castello,
Dove son della terra le difese,
E quel che più l’adorna di bellezza
E' ch’è posto di fuor tutto in fortezza. 1024
Grosse le mura son come bastioni,
Ridotte alla moderna con grand’arte,
Compartite da forti torrioni
Fatti di pietra viva in ogni parte. 1028
Han di fortezza tutte le ragioni,
Che dar potesse il bellicoso Marte,
Dentro dal muro al Palazzo è vicino
Un molto ameno e florido giardino. 1032
Quivi nasce con arte e gran misura
Il fondamento superbo, e decoro,
Di pietre a diamanti è la scoltura,
Che seggio fanno al mirabil lavoro. 1036
Seguita in grande arcata poi l’altura,
Da pensarvi entro speso un gran thesoro:
Che sol le pietre in ornamento messe,
Non penso mai ch’alcun stimar potesse. 1040
L’animo a veder dentro mi trasporta,
Per contentar del desiderio il cuore.
Tanto, ch' intrammo alla superba porta,
Che del vecchio Castello è la maggiore: 1044
Perche di quindi (disse la mia scorta,)
S’andava al luogo del magno splendore,
Acciò chi passa all’edificio bello
Noti ben prima l’antico castello. 1048
Antico già, hor tutto rinovato
Dal magnanimo, e degno Cardinale,
E d’ edificij in tal modo ampliato,
Ch'il nome suo faran sempre immortale. 1052
Ogni luogo di quel molto addobbato
Viddi salendo le fondate scale,
Di pitture, tarsie, festoni, e fregi
Di gran vaghezza e di notabil pregi. 1056
Cosi per una porta a nuova foggia
Scolpita in marmo, al Palazzo trapasso
Per una bella, e molto amena loggia,
Tutta composta d’intagliato sasso: 1060
A cui nel fine ampiamente s’appoggia
La porta principal, dove’l mio passo
Fermai per rimirar gli sculti marmi,
Le basi, i fregi, le cornici e l'armi. 1064
Tutt’hor d'andar di volonta piu m’empio:
Ma pur al fin pel castel dentro gimo,
E nell'intrar trovammo’l santo Tempio,
Di cui meritamente e il luogo primo. 1068
Guardando quel d'ogni beltade esempio
Di gran valore il considero, estimo.
A figure di marmo è fabricato
Per man d'uno scultor nell'arte nato. 1072
Nel mezo del coperchio è il grande Iddio
Vivo cavato di mezascoltura,
Che per quant'esser può’l discorso mio,
Divina veramente è la figura. 1076
Mostra all'aspetto esser clemente, e pio,
Tutto adornato di santita pura,
Cinta è sua Maestà d’un nobil Choro
Di leggiadri angioletti ornati d’oro. 1080
Sonvi scolpiti gli Apostoli santi
Di biancho marmo, in aspetto decori,
I quattro Vangelisti in quattro canti
1084Pur di scoltura son, non di colori.
Appresso a questi seggono altretanti
In nostra legge eccellenti dottori,
Che mossi da benigno e santo zelo
1088Mostrato n’han la via d’andare al Cielo.
Honora gl'intermedi un lavor degno,
D’oro e d’azzurro in arabesco pinto,
E di basso rilievo è’l bel disegno
1092Da cui attorno attorno’l Tempio è cinto,
Ch’a considerar sol con quant’ingegno
Sia fatto, resta ognun nel pensier vinto,
Che chi nell’opra fiso guardar vole,
1096S’abbaglia proprio come fa nel Sole.
Di prospettiva, e tarsia un bel choro
Attorno cinge il devoto Sacello,
A cui ricchi velluti, e panni d’oro
1100Fan l’honorato, e superbo mantello.
Splende sopra l’altare un gran thesoro
D’argentarie, che molto adornan quello:
Nella cui luce ogni fier occhio cede,
1104Di che far ne poss’io debita fede.
Di mirabil scoltura in quest'altare
La Regina del Cielo è collocata,
Che tutta nella mente intenta pare
1108A soccorrer ogn'anima beata,
Tanta modestia nel bel viso appare
Che dagli angeli in ciel par fabricata,
Col destro braccio sostien la figura
1112Del Redentor dell'humana natura.
Il Protettor della cittade anchora,
Della medesima opra a destra siede,
Sua santa madre la sinistra honora,
1116Ch'ivi menò da Roma il degno herede.
Cosi venimmo del bel tempio fuora
Fatto in honor di nostra santa fede,
E per il primo luogo, ove ero stato,
1120Rimasi stupefatto, & ammirato.
Dinnanzi al Tempio molti antichi Dei
Come privi di quel si stan raccolti.
Però voltando all’opra gli occhi mei
1124Nel risplender dell'or restorno involti,
Tutto sopra di me mirando stei
I vivi gesti dal natural tolti.
Tanto propinqua l'opra al vero appare,
1128Che occhio, che miri non si po satiare.
Cibele madre a ciascun di costoro
Di quest’ordine osserva’l primo loco,
Ornan la testa, tre corone d'oro
1132Di varie gioie adornate non poco:
E come madre del superno choro
Ha seco l’urna dell’ardente foco
Di cui è tanto vivo lo splendore,
1136Che par che renda agli astanti calore.
Seguita Apollo, & ha tutto adornato
Dell'honorate frondi’l bel crin d’oro
Qual ha la Lira in disparte lasciato,
1140E preso altro istrumento piu sonoro,
Tiene un Salterio alla sua destra allato:
Perche non sempre si segue un lavoro,
E par che di Peneo la figlia brami
1144Col canto rivocar da i verdi rami.
Costui di Medicina l’inventore
Scrivon gli antichi nel sacro quaderno.
Costui al tempo vibra i giorni, e l’hore,
1148E distingue la state, dall’inverno.
Dona a i Poeti il Pegaseo liquore
Prima che vadin dall’alvo materno.
Illustra il mondo coll’immortal luce,
1152E della terra ogni frutto produce.
Appresso a quel la Diva giovinetta,
Ch’al fonte al cacciator le corna pose,
Si vede allegra dimorar soletta,
1156Fra i bianchi fiori, e le vermiglie rose.
Un bianco veltro non lungi s'assetta
Che mai Natura il più bel non compose.
Per ferir Cervi, Lupi, Orsi e Cignali,
1160Appresso ha l’arco, il carcasso e gli strali.
Non indi lunge in viva faccia appare
Quel ch’è nuntio di Giove in ogni impresa,
Dà l’eloquentia a chi non sa parlare,
1164Ne la volonta sua mai viene intesa,
Però chi no’l conosce il lassi andare,
Se qual Argo non vol sentirne offesa.
Alato ha’l capo, e le veloci piante,
1168E tutto par nel bel corpo prestante.
Segue Minerva il bell’ordin divino
D’ogni eloquenza piena, e d’intelletto.
Et orna l’ampio fronte, e pellegrino
1172D’un rilucente, e ben composto elmetto.
Il fiero scudo alla destra ha vicino,
E di ferro ha munito il corpo, e’l petto.
Veste costei sol di piastra, e di maglia,
1176Che par ch’aspetti viva la battaglia.
Appresso è Giove in uno trono aurato
Col foco in man per fulminar saette,
Che spesso dal superno, & alto stato
1180Per punire i mortali a furia mette:
Che se non sempre’l giorno del peccato,
Col tempo fa piu gravi le vendette,
E seco ha quivi appresso alla sua sede
1184L’augel che a Troia rapì Ganimede.
O Aquila felice, & immortale,
Poi che su fin nel Ciel fra i sacri Dei,
Spandi ampiamente le tue felici ale,
1188E tanto grata al sommo Giove sei.
Felice augurio al tuo corso fatale
Accrescer possin tanto i versi miei,
Che color, ch’al tuo Giove son ribelli,
1192Superi, come fai tutti gli augelli.
Non troppo lunge, ne molto in disparte
Piena di venustà Giunone appare,
Qual’è tirata con tal gratia, & arte,
1196Che viva più che finta all’occhio pare:
E par che quasi voglia in altra parte
Far da i Pavoni il suo carro tirare,
Quali han le piume finte in tal maniera,
1200Che vederne la ruota ognuno spera.
Seguita appresso’l fiero Marte armato,
Che a ch'il riguarda mette gran terrore,
Qual è tanto ben pinto, e ben tirato,
1204Ch’in lui sol si discerne ogni furore:
Ne crederebbe alcun ch’un tal soldato
Nelle catene sue tenesse Amore,
Quando beffato in la fallace rete
1208Smorzò con Venere l’amorosa sete.
Vedesi anchora in un’altro drapello,
Della pittura il sublime inventore,
Che per virtu del suo divin pennello
1212Quivi tien tra gli Dei non poco honore,
Coperto d’un cucullo è il vecchierello
Per moderare all’occhio lo splendore,
E tanto all’opra sua attento posa,
1216Che par ch’abbia posposto ogn'altra cosa.
In altra parte il buon Bacco si vede
Da pampini, e racemi tutto avvinto,
A cui chi presta piu del dover fede
1220Spesso dal suo liquor si trova tinto,
E tal volar con lui al Ciel si crede,
Che si ritruova in mezo al labirinto,
Come ne mostra 1’allegro Sileno,
1224Quando casca dell’asin sopra’l fieno.
Con torvo aspetto, e con il ciglio hirsuto,
Pien di scompiglio, & infernal ruina
Si vede dell’inferno escir fuor Pluto,
1228Per ingannar la bella Proserpina:
E par che voglia Cerbero in aiuto
Nel far della donzella la rapina,
Perc'ha d’haverla nel cuor tanta sete,
1232Che mai non pensa farla passar Lethe.
Ma perche con costui poco m’annido,
Per altro rimirar 1’occhio apparecchio,
E veggio intanto Ciprigna, e Cupido,
1236Più chiari, e rilucenti ch’uno specchio:
Quivi tra rose, e fior par faccin nido,
Dove piu vaghi augelli empian l’orecchio,
Non sol da far di lor gli huomini ardenti,
1240Ma Lupi, Orsi, Leon, Tigri e Serpenti.
Mentre che non mi sazio di mirare,
In altra parte l’occhio mi risponde,
E veggio col Tridente in mezo al mare
1244Nettuno solazzar con le salse onde:
Da due Delphini’l carro fa tirare
Per le belle acque placide, e gioconde,
E par ch’aspetti a maritimi balli
1248Nimphe di perle ornate e di coralli.
Nell’altro quadro piu divin c’humano,
Cerere scorsi in ornata pittura,
Che con ghirlanda di maturo grano
1252Orna il bel fronte, e la diva figura,
E vaghe spighe tien raccolte in mano,
Perche de terren frutti è sua la cura,
E quando vede’l mondo haverne inopia,
1256Per soccorrerlo vuota il Cornucopia.
Il fabro, che gli strali a Giove dedica,
Seguita appresso all’ardente fucina,
Ne maraviglia è se Vener si medica
1260Le fiamme con piu degna medicina,
Per c'ha costui una faccia maledica
Da minacciar sol folgori, e ruina,
Tal che, chi fiso l’opra non procura,
1264Pensa sia vivo, & ha di lui paura.
Intorno intorno son piu divin spirti,
Con archi in mano, e con aurati strali,
Nutriti in Cipro fra gli ameni Mirti,
1268Che danno al vento le ben composte ali,
Le lor prontezze mai non saprei dirti,
Perche son piu divine che mortali.
E per piu adornar quel divin Choro,
1272Chi tien la palma in mano, e chi l’alloro.
Nel mezo la felice arme è locata,
Ch’honorata ghirlanda in cerchio serra
Del rosso diadema incoronata,
1276Che mostra esser d’un Cardin della terra,
E da vaghi Angeletti è sostentata,
Che, chi ben mira come ogn'uno afferra
I legami di quella, giura, e crede
1280Che volin vivi nell’eterna sede.
Mentre che rimirando era rapito
L’animo tutto a contemplar tal cosa;
Mi parve ivi in disparte haver sentito
1284Un, che biasmava l'opra gloriosa,
Mostrossi esser però poco avvertito
Nel contemplar la pittura famosa,
Ond’io lieve m’accosto a quel che morde
1288Mostrando ambe l’orecchie al suo dir sorde.
Con un parlar molto arrogante, e fiero
Dannava in tutto l'eccelsa pittura,
Dicendo meglio starebbe un san Piero,
1292Un Paulo, un Giovanni in queste mura:
Ma cosi fa chi non drizza’l pensiero
A dar ad ogni impresa la misura.
Mostrarebbe a gli entranti un chiaro specchio,
1296Se fusse pinto un testamento vecchio.
Notai dover costui esser mordace,
Però la lingua a rimorderlo sciolsi,
Dicendoli s’a te tal cosa piace,
Non però cosi l'opra biasmar vuolsi. 1300
Troppo mi pari nel mal dire audace,
Però conviemmi riscaldarti i polsi,
Porgi l'orrecchio, e ricognosci’l vero,
Ch’il tuo giuditio in ciò troppo è leggiero. 1304
Credo che sappi, che l'antica Roma
Hebbe nel militare huomini eletti,
Che con le lor virtu posen la soma
A molti regni, e se gli fer suggetti, 1308
Cinta di poi d’allor la magna chioma
Ne i lor triomphi inanzi al carro abietti
Menorno i Re e per fare al popol segno,
C’haveano oppresso, espugnato il lor regno. 1312
Nanzi adunque ch'il figlio di Maria
Prendesse per salvarne carne humana,
Eran gli huomin del mondo in gran follia,
Giove adorando, Venere, e Diana: 1316
Ma poi che partorì la Vergin pia,
Ogni lor forza è diventata vana.
Di che se cerchi haverne un vero essempio,
Fede à Roma ne fa di Pace il tempio. 1320
Vinti tutti da Christo fur costoro
Nel nascer suo, e doppo’l duro legno
Ha per suo carro il Tempio alto, e decoro,
Dove triompha d’ogni eccelso Regno, 1324
Però messi costor dinanzi al choro
Son per mostrar della vittoria il segno,
E per chiarirne come ver christiani,
Che finti fur costor bugiardi, e vani. 1328
Meglio dentro sta Pier, Giovanni, e Marco,
Girolamo, Gregorio, & Agustino.
Hor se col mio parlar troppo t'incarco
Rispondi, se’l tuo ingegno è pellegrino. 1332
Guardommi fiso, e nel parlar fu parco,
E come vinto prese altro camino,
Che ricognobbe essere stato vitio
A voler far senza ragion giuditio. 1336
Passammo quindi nell’ampio Cortile
Con ogni sua misura fabricato.
Se loco visto fu mai signorile,
Questo per ver dire puossi essere stato: 1340
Ne possibil saria che con mio stile
Fusse a bastanza del tutto lodato,
Che mentre l’occhio giro attondo attondo,
Nell’intelletto me stesso confondo. 1344
Mentre che mi stupivo nel mirare,
Alzai gli occhi alle supreme mura.
In tanto un fregio alla mia vista appare,
1348Ch’azzurro ha’l campo e biancha ha la pittura,
Dove si vede il fiero battagliare
Di color, che di fama han sol la cura,
Che chi ben guarda i militanti gesti,
1352Forza è che alla bella opra attento resti.
Marco Curio quivi è quel gran Romano,
Che de Sanniti disprezza i thesori,
Perche brama piu tosto havere in mano
1356Color, che sene chiaman possessori.
Sembra all’aspetto un semplice villano,
Perche non fa di politia i colori,
E se ben l'orator l’adora, e prega;
1360Per conservar la patria non si piega.
Segue Traian, quel magno Imperadore,
Ch'il pianto ascolta della vedovella,
E per punir del suo figlio l’errore
1364Ne priva se, e dallo in cambio a quella.
Meritamente adunque il gran dottore
Lo rivocò dalla Tartarea cella,
Benche si lamentasse a Giove Pluto
1368D’havergli contrafatto allo statuto.
Occupa del bel fregio il quarto loco
La gran Città, che sopra’l Xanto siede,
Dentro in ogni edifitio acceso’l foco
1372Nell'oscur della notte chiar si vede.
Discernesi’l caval, ch'infesta, e’n gioco
Menato fu da chi l’error non crede.
Uscir si vede Enea fuor d’una porta,
1376Che il vecchio padre in su gli homeri porta.
Appresso è pinto il saggio Salomone,
Ch’alle due meretrici fa giustitia:
Onde soluta al fin la questione
1380Possiede l’una il figlio con letitia.
Nell’altro quadro è’l feroce Sansone,
Ch’al basso pon la Philistea nequitia,
E con tal forza stirpa’l duro sasso,
1384Che di tutti i nimici fa fracasso.
Piu oltre sta la vestal verginella,
Che col cribro pien d’acqua al tempio corre,
Però crederei io che in cielo anch’ella
1388Fra le beate si potesse porre.
Copre una vesta tanto sottil quella,
Che sotto ogni bel membro si discorre.
Non versa’l crìbro l’acqua, onde palesa
1392Non haver fatto alla sua legge offesa.
Segue’l Pastore, & ha rapita Helena,
E con essa del mar solca ogni costa,
Evvi la vedovella, ch’alla cena
Per ingannare’l nimico s’accosta, 1396
Poscia la testa a quel di sonno piena
Tronca, e nel sacco se la porta ascosta.
Gioiosa se ne torna alla sua terra,
Perche sa certo haver vinta la guerra. 1400
Marco Curtio a cavallo anchor si vede,
Armato per andar nel precipitio,
Che liberar la sua patria si crede,
E fargli Giove e tutto’l Ciel propitio. 1404
Leva’l saggio cavallo in alto’l piede,
Che par, che del Signor sappia il giuditio,
Qual per lasciar di se memoria eterna,
Nel mezzo salta all’horribil caverna. 1408
Arde non lunge Scevola la mano,
Per esser l’homicidio in fallo andato.
Par che si doglia al magno Re Toscano
Non haver tratto fuor del petto’l fiato. 1412
Con un'aspetto proprio da Romano
Purga nel foco il commesso peccato,
Nota’l Re la costanza, e gli perdona,
E dell’assedio l’impresa abbandona. 1416
L’ultimo luogo del bel fregio tiene
Una battaglia Hebrea, ch’altri via caccia,
Mentre che il vecchio Capitan sostiene
1420Levate al ciel l’antiche, e debil braccia:
Ma come quelle in alto non mantiene,
Vince’l nimico, e’l campo Hebreo discaccia.
Onde i figliuol, che di vittoria han zelo,
1424Sostengon lor le braccia in alto al Cielo.
Dividono’l bel fregio con misura,
Et hornan la degn’opra in ogni parte
Di duro bronzo teste di scoltura,
1428Tratte dal natural con sublime arte:
Tal ch’ogni quadro di questa pittura
Fra testa, e testa in ordin si comparte;
E chi quest'opra ben riguarda, e vede
1432Ch’Apelle quivi fusse stato crede.
Al dirimpetto in due facce del muro
Quattro armi, due per banda al pari stanno,
Tirate a color fini, & oro puro,
1436Ch’all’Aquile hoggi’l nome immortal danno,
Perche col suo consiglio alto, e maturo
Da tutto’l mondo gia temer si fanno.
Dell’uno e l’altro Re Roman l’insegne
1440Dan differenti l‘alte Aquile e degne.
Supera ogni vaghezza una fontana,
Ch’un bel pezzo di marmo in vaso chiude,
Dove di bronzo si vede Diana
1444Con le sue Nimphe per bagnarsi nude.
Lascia quivi Atteon la forma humana,
E fassi un cervo salvatico, e rude,
E par che quasi’l suo infortunio plori
1448Essendo hor privo dei regali honori.
Sostien quest’opra una colonna bella,
Tutta di bronzo, d’un sottil lavoro,
Sopra la qual sta in piedi una donzella,
1452Che si converte in verdeggiante alloro:
Phebo d’allato sta, ch'abbraccia quella,
Che perder non vorria tanto thesoro,
Mette nel querelarsi ogni sua forza,
1456Per rivocarla dall’verde scorza.
In mezzo al vaso la colonna siede,
A cui quattro gran larve il seggio fanno,
Sopra le qual con grande arte si vede
1460Quattro fanciulli star, che l’acqua danno.
Fan del superbo vaso’l fermo piede
Quattro Delphin, ch'avviluppati stanno
Di bianco marmo, e tutto’l bel Cortile
1464Orna questo bel fonte e signorile.
Di simil marmo vi son due Leoni,
Ch’a gustar le chiar’acque stanno affronte,
Et appoggian le griffe, e fieri ugnoni
1468All’orlo dell’ameno, e vago fonte.
Han di scoltura tutte le ragioni,
Tal che porgan terror col torvo fronte
A chiunche che quivi a tor dell’acqua viene,
1472Tanto del vivo la lor forma tiene.
Sopra’l bel fonte va di lungo un fregio,
Qual penso dalle man di Phidia uscisse,
Si bene il Volterran nell’arte egregio
1476Haverlo di sua man fatto mi disse.
Teste varie di bronzo di gran pregio
Son con molta arte alla bell’opra fisse,
Taccione il nome, benche vi sia posto,
1480Perche veder piu oltre ero disposto.
Sopra colonne di pietra durissima
Di mille intagli fabbricate, e cinte,
In volta gira una loggia dignissima,
1484Con le sue circostanze ben distinte,
E se non è di gran larghezza amplissima,
Le belle historie, che quivi son pinte,
E molto ornate di colori, e d’oro,
1488Fanno assembrarla ad un celeste choro.
Di bianco marmo, d’oro ornato molto
Son quattro teste di magna scoltura.
La prima al padre di Philippo ha tolto
1492I vivi gesti, e la propria figura.
Nell’altra è’l figlio da li Dei raccolto
Mentre ch’haveva di Spagna la cura.
L’ultime son dell’uno, e l’altro Herede,
1496Ch’hoggi tengan di Dio la legge in piede.
Son queste regal teste insieme accolte
Sopra l’alte colonne, ch’ivi stanno
Per sostentar della loggia le volte,
1500E gran presenza a tutto il luogo danno.
Sono in quattro ghirlande dentro involte,
Che non poco ornamento a quelle fanno,
Fuggemi l’occhio via dal bianco sasso,
1504E fermo in mezo della loggia il passo.
Quivi dall’una banda si discerne
La nobil vedovella alta, e preclara,
Che col favor delle gratie superne
1508A vincer con ingegno, & arte impara,
Che dando bere al protervo Holoferne,
Dormire’l fa con la bevanda amara:
Onde accostata al Capitan robusto
1512Gli tronca’l torvo teschio via dal busto.
Appresso a questa si vede Verginio
Del sangue di sua figlia maculato:
Onde fu quindi’l superbo dominio
1516Del Decio reggimento annichilato,
Appresso è quella, in cui’l fiero Tarquinio
Commesse a forza’l nefando peccato,
Che poi dello stupro plora, e langue,
1520Si tra dal cuor con un pugnale il sangue.
Le tre Grazie non lunge son da quella,
Che mostran nudo l’eburneo seno,
Ne l’una piu che l’altra è vaga, e bella,
1524Tant’hanno uguale il bel volto sereno.
Vedesi appresso alla stanca mammella
Dar col serpente il mortifer veleno
La lasciva Regina in mesta voglia
1528Da far della sua pena a ciascun doglia.
Vedesi appresso’l feroce Sansone
A Dalida posar la testa in petto,
E fra piu fiori, in altra regione
1532Psiche, che dorme in un amen boschetto:
Cupido v’è ch’amirarla si pone,
Che punto ha’l cuor del suo proprio diletto,
E par che tema di non la svegliare,
1536Tanto leggiero all’opra intento pare.
In altri quadri con celesti accenti
Da Gioveni, e donzelle in compagnia
Suonar si veggan Musici strumenti,
1540Da pensar quindi una dolce armonia.
Attorno attorno ai nobil pavimenti
Mostrat’hal buon pittor l’arte qual sia
Di finger nudi corpi in vivi gesti,
1544Se ben dice qualchun non sono honesti.
L’arte del buon pittor degna si vede
Nel saper ben formare un corpo ignudo.
Non fa dell’eccellenza vera fede
1548Il vestir chi di gonna, e chi di scudo.
Hor s’io calco a qualcuno addosso’l piede
Taccia, ch’il ver dell’arte gli concludo.
Facil cosa è sopra una bella vesta
1552Accomodar qualche leggiadra testa.
S’honesta ben non parve la pittura,
Come si richiedeva al luogo degno,
Lo fe il pittor per mostrar che natura
1556Ben sapeva imitar con suo disegno.
Ma perche d’honestà poi ebbe cura
Il tutto ritrattò con grand'ingegno,
E dimostrò che col divin pennello
1560Fare, e disfar sapea qualcosa anch’ello.
Di sopra in una parte il Sole è pinto,
E riluce ch’ogni occhio è superato:
E mostra d’ogni cura esser discinto,
Perche al figliolo il bel carro ha lasciato. 1564
Evi la Luna in un altro procinto
Al dirimpetto in un fiorito prato,
Che mostra con tal grazia il sacro petto,
Che ogniun resta allacciato al suo conspetto. 1568
Vedesi anchor la vaga Primavera,
Ch'una leggiadra Nimpha par sembrare,
C’ha molti fior raccolti in una schiera,
E vaghe ghirlandette ne vuol fare. 1572
Tanta giocondita tien la sua cera
Che fa di se ciascuno innamorare.
Volan d’intorno allei canori augelli
Fra fior cantando, fioriti arboscelli. 1576
Non troppo a lei vien la state lontano,
Che Ceres rassomiglia alla figura.
Maturi frutti, e fior porta ella in mano,
E vaga fra le biade, e la verdura 1580
Ne da costei, e tolle il dolce grano,
Di cui gli agricoltori han tanta cura:
E tanto ardita, e prudente si mostra
Ch’invita ogn'uno all’amorosa giostra. 1584
D’uve mature a pampini adornato,
Dall’altra banda è l’Autunno anchora.
Costui con Bacco ha comune il suo stato,
1588Ne l’un dall’altro mai lontan dimora.
Sequita un vecchio dal sinistro lato
Ch’alle piante il bel manto discolora
Rappresenta egli il Verno freddo, e greve,
1592Fra nebbia, pioggia, vento, ghiaccio e neve.
Veggonsi in mezzo i cavalli del Sole
Formati, e finti per man di Natura,
E sopra’l carro Phetonte che vuole
1596Pigliar di guidar quello egli la cura:
Ne par pentirsi delle sue parole,
Che non gli ha fatto Scorpio anchor paura,
E però lieto in sul carro risiede,
1600Perche la sua ruina anchor non vede.
Molti si maraviglian che il pittore
Sol tre cavalli al bel carro ponesse,
E riprendere il voglian dell’errore
1604Che la Favola ben non intendesse:
Perche non san ch’un ne restò di fuore
Disciolto, quando il carro al corso messe:
Che come vidde a quel pigliare’l corso
1608Fuggì, che si gli ruppe in bocca’l morso.
Nacque di qui ch’il giovanetto ardito
Non tenne fermo al ver camino’l piede.
Si che non sia’l pittor dunque schernito,
1612Che cosi fa piu di dottrina fede.
Rimiro intanto nell’ultimo sito
E veggione portar via Ganimede
Dal magno augel su nel celeste Choro,
1616Per dar a Giove ber col vaso d’oro.
I fregi ch’ornan l’ampia loggia diva
Sono con sottigliezza fabricati,
Però l’animo mio gia si stupiva
1620Dell’or, di che per tutto sono ornati.
Hor mentre che di quindi mi partiva,
Mi venner gli occhi allo spazzo abbassati,
Qual di commesso a bianchi marmi e rossi
1624A ciascun pavimento agguagliar puossi.
Di misti marmi a Balausti è cinto
Tutto’l contorno di tal luogo degno,
Ch’ornan mirabilmente il bel procinto,
1628Perche tutto è con nobil arte, e ingegno
Stato dagli scultori a fil distinto,
E ritirato a perfetto disegno,
Si che rassembra un lucente gioiello
1632Legato in oro fin quel luogo bello.
Sotto questa ampia loggia il Re sedeva
Colla casta Regina in alto alquanto:
Il cui bel seggio in ornamento haveva
Di fiorito broccato un ampio manto, 1636
E d’un bel cremisin ch’in fiamme ardeva
Era l’ombrella appesa al muro a canto
Che ricopriva i due lucenti lumi,
I Semidei, i venerandi numi. 1640
Quivi i due Soli, le due chiare stelle
Per veder festeggiar s'eran locati.
Sedeano in basso le lor Damigelle
Vestite di velluti, e di broccati, 1644
Che per ballar venute eran'anch’elle,
E veder altri giochi all’occhio grati,
Ch’a riguardarle una, per una in viso
Veri Angeli parean del Paradiso. 1648
Tutte le gentil donne, e le Signore
Di piu lontane, e propinque Castella,
Ch’eran venute a far debito honore
All’illustre Regina, intorno a quella 1652
Erano adorne da tanto splendore,
Ch’era una cosa a veder troppo bella.
Le lor catene d’oro, e le lucenti
Gioie facean stupir tutte le genti. 1656
A queste in un drappello eran vicine
Una appo l’altra con bello ordin messe
Della Citta più gentil Cittadine,
1660Di nobil veste ben ornate anch’esse,
Accorte nel ballare, e pellegrine,
Da cui l’honor del ballo al fin processe:
Perch’ogni gran ballata ardua, e scura
1664Ballon col tempo, e temprata misura.
Dall’altra banda eran tutti i Magnati
Della Corte del Re, e del paese,
Di gran catene d’or tutti addobbati,
1668Di ricche vesti, e di ciascuno arnese.
Drento piu Cortigiani erano intrati,
Che le fiamme, c’havean ne i cuori accese,
Smorzaron piu con l’affettato ballo,
1672Che non fa’l fuoco il liquido cristallo.
Levata in alto, & alquanto in disparte
Sopra la testa di tutte le genti
D’una perfetta Musica era l’arte,
1676Di ben temprati, e di dolci stromenti:
Fra quali hor questa, & hor quell’altra parte
Mostrava’l bel de i suoi sonori accenti:
Alle cui note per molti intervalli
1680Fur fatti vaghi, e dilettevol balli.
Fra l'altre usciron fuor due ballarine
Di lunge assai venute per ballare,
Tanto veloci, & al saltar latine,
Che fecer certo ogn’un maravigliare 1684
Due ruote d’un molin le pellegrine
Sembravan nel lor lungo volteggiare,
Ch’in questo l'arte havean si presta e varia,
Che parean star sempre levate in aria. 1688
Ferno intermedio alcuni atteggiatori
Piu destri in aria che s’havessen l'ali.
Questi dinanzi al Re fra i gran Signori
Salti facean schiavoneschi, e mortali, 1692
Parea c’havessen tutte l'ossa fuori.
E piu veloci al corso che li strali,
Agili nel saltare, e piu leggieri
Ch’al volare i Falconi, e gli Sparvieri. 1696
Venner dopo costor molti Buffoni
Di varie lingue perfetti maestri,
Con certi motti assai capresti, e buoni.
Ne i lor linguaggi a risponder piu destri 1700
Ch’a mangiar la cagliata, e maccaroni
Non sono i Pecorari aspri, e silvestri
Quando han dato alla mandra il dolce strame,
E che in su l'herba si cavan la fame. 1704
I piu dolci proverbi, i piu forbiti
In lingua hor Bergamasca, hora Schiavona
Che mai sentisi in commedie, o in conviti
1708Dicean costor con gratia tanto buona;
Hor biasimando le mogli, hor i mariti,
Che crepava del riso ogni persona.
Tal che piu lodi al ben dir di costoro
1712Fur date al fin dal venerando choro.
Non mi sarei mai satio di mirare
Le nuove cose, ch’ivi eran presenti:
Se quel, da cui mi facevo guidare,
1716Non raffrenava i miei pensieri ardenti:
Qual mi fe cenno ch’io douessi andare,
Che poco impaccio mi darian le genti
A finir di vedere’l bel difitio,
1720Ch'il star piu quivi saria stato vitio.
Levando intanto quindi ambe le piante
Per intrar nella stanza ivi vicina
Portia scorsi io, che pel fedel amante
1724Il foco prende all’ardente fucina,
Pronta si mostra intrepida e costante
Nel prender la tremenda medicina,
Inghiottisce ella gli ardenti carboni
1728Piu che se fussen cibi eletti e buoni.
Mentre che passo, appress’al destro fianco
Veggio un ritratto di vago colore,
Ch’aperto ha’l petto verso’l lato stanco,
1732E quindi mostra il purissimo cuore.
Un altro è poi ch’un tal non vidi unquanco,
A cui un fiero serpe dà dolore.
Quest’è dell’Avarizia ingorda e frale
1736L’altro d’una nimica sua mortale.
Miro s’altro vedessi intorno intorno,
Prima ch’io entrassi nella stanza bella.
E veggio sopra l’uscio un’Alicorno
1740Fatto prigion d’una casta donzella.
Abbassa mansueto’l fiero corno,
E dassi tutto in preda in grembo a quella.
L’orgoglio sol virginità gli smorza,
1744Tant’ha con l’animal virtude, e forza.
Dentro poscia passai tutto giocondo
Dove fa seggio un forte Torrione,
Il luogo tutto in figura è ritondo,
1748Tirato a sesto con molta ragione,
Et è tutto addobbato attondo attondo
Quanto dall’alto al basso s’interpone
Di certi vaghi, e ben fatti corami,
1752Ornati d’oro a fiori, a foglie, e rami.
In una parte un letto era parato
Di mirabil bellezza, e leggiadria,
Fatto d’un bel tessuto d’un broccato,
1756Che cambia all’occhio’l color tuttavia;
Di rami, frondi, e nodi è campeggiato,
Ch’un tal non credo in tutta l’arte sia,
E’l ciel di sopra è del proprio lavoro,
1760Con honorate frangie di fin’oro.
Del Principe l’imprese di ricami
In vari luoghi all’opra inserte stanno.
D’oro, e d’argento vi son dritti rami,
1764Ch’insieme avvolti le colonne fanno,
Che tengan dritti gli aurati stami,
Et all’impresa molto ben s’affanno:
Perche in su queste si ferma’l cubile
1768Magno, ricco, superbo, e signorile.
Di rilucente acciaio appresso al letto
Stava una nobil sedia aperta in piede,
D’un vago cremisin fra molti eletto
1772Tutta guernita, dove su si siede.
Pender di sopra un notabil quadretto
Tutto d’argento smaltato si vede,
Dove è la verginella in atto pio,
1776In cui s’incarna il gran verbo di Dio.
E‘ più che neve candida la volta,
Che di basso rilievo in tondo gira,
Fatta con arte, e con fatica molta,
1780Come comprende chi la nota, e mira.
Tutta quest’opra è dall’antico tolta,
Se bene alla moderna hor si ritira:
Dove fra rose, e fregi di scoltura
1784Son molte historie di nobil pittura.
Cesar si vede in mezo del Senato
In vivi gesti sue sentenze dire,
Per occupar per se il publico stato,
1788E far al basso i Senator venire.
Di verde Alloro il capo ha circondato,
E come Imperador fassi ubidire,
Pargli che il suo valor, virtude, e ingegno
1792Il faccin piu che tutti gli altri degno.
Un notturno triompho di pittura
Si scorge anchor dell’alto Imperadore,
Ove è finta una notte ombrosa, e scura,
1796Che d’eccellenza commenda’l pittore:
Perche mostra la mano esser matura
Nel saper col pennel dare’l colore.
Nel fiammeggiar di splendidi facelle
1800Si veggan tutte queste cose belle.
Dall'altra banda il traditor d’Egitto
Gli manda di Pompeo la degna testa,
E benche fuor se ne dimostri afflitto,
Dentro forse non è la mente mesta: 1804
Perche non sempre in la fronte descritto
Si porta quel che dentro nel cuor resta,
Che benche s’habbia il cuor puro, e sincero
Forza è tal hor dissimulare il vero. 1808
D’onde la volta in alto il giro prende
Di picciol forma son piu Cavalieri,
Ch'ogn'un di se la fama a Roma rende
Per haverla difesa volentieri. 1812
Hor quinci, hor quindi l’occhio si distende
Per dar all’intelletto piu piaceri:
Ma tanto e l’or, che nel luogo riluce,
Che vi s’abbaglia l’una, e l’altra luce. 1816
Porgo d'una finestra 'l capo fuore
Dove alla faccia un giardin si presenta:
Quindi veniva un tanto ameno odore,
Che non credo ch’un tal mai piu ne senta. 1820
Havean produtto i verdi aranci 'l fiore,
Onde alla stanza il grato odor s’avventa,
E' d’habitar questo luogo elegante,
Quando dal Cancro il Sol volge le piante. 1824
Di quindi in una stanza oltre passai,
Che per il freddo Verno il caldo tiene,
Dove son di scoltura opre, che mai
Fien di laudarle le mie voglie piene. 1828
Par che sempre del Sol vi sieno i rai,
Tanta luce dall'or risurge, e viene,
Phidia, il gran Prasitele, e 'l magno Apelle
Non ferno in vita lor cose piu belle. 1832
Nella volta di sopra il Cielo è finto,
Qual mostra de i Pianeti ogni figura.
Tutto d'azzurro il circuito è tinto,
E son di marmo i Pianeti in scoltura. 1836
Ciascuno è nel suo Ciel per se distinto,
E collocato con mirabil cura.
Tratta dal naturale è l'opra degna,
Ch'a giudicare a gli Astrologi insegna. 1840
Nelle faccie del mur del luogo bello
Di bronzo sculti con gran maestria
Molti Astrologi sono in un drappello,
Che contemplan del Ciel l'alta armonia. 1844
Sembran del tutto esser intenti a quello,
Tanto ferma quivi han la fantasia,
Perche certo quest'arte liberale
Senza grande eccellenza poco vale. 1848
Mentre ch’era occupata la mia mente
In contemplare in ogni banda il tutto,
Scorsi di dur metallo il gran Parente,
Che gustar volse il gia vietato frutto. 1852
La prima madre nostra ivi è presente,
Che par che cerchi appresso allhuom ridutto.
Et è questa bella opra di scoltura,
Di naturale, e compita statura. 1856
Intorno allor piu vaghi fanciullini
Dell’uno, e l’altro sesso stanno honesti,
Ch’agli angelici spiriti, e divini
Si possan degnamente agguagliar questi. 1860
Son tanto al vivo scolpiti vicini,
Che non si potrien fare in miglior gesti:
E locata è questa opra in alto alquanto,
Acciò ben si contempli in ogni canto. 1864
Alle piante di questi tre facciate
Del medesimo bronzo 'l seggio fanno,
E son le faccie a figure intagliate,
Tal che molta presenza all’opra danno. 1868
E per punir delle cose vetate
Color che al gran mandato fallato hanno,
Si vede un Angel con turbato viso,
Scacciargli del terrestre Paradiso. 1872
Evvi nell'altra faccia 'l gran dragone,
Che s’avviluppa al gia vetato ramo,
E seduce la donna con ragione,
Che sembra l’esca in cui ascoso è l'amo. 1876
Oltre è Cain, ch’Abel morto ripone,
E sprezza appresso ’l celeste richiamo,
Perche l'invidia, l’orgoglio, e ’l rancore
Gli han circondato, e incrudelito 'l core. 1880
Post'è questa degn'opra in questo loco,
Perche un temprato caldo spira, e manda.
Accendevisi dentro a tempo il fuoco,
Perche è concava tutta in ogni banda, 1884
Scaldandosi ’l metallo a poco a poco
Convien dolce calor per tutto spanda,
Cosi serve nel verno a i giorni brevi
Quando spirano i venti, e son le nevi. 1888
Passo piu oltre in una stanza bella
Che mostra all’occhio gran magnificenza.
Miro, riguardo, e ben contemplo quella,
Dove suol dare ’l Principe audienza, 1892
Pur in candida volta è fatta anch’ella,
Di bianchi intagli con gran diligenza,
E con grande arte, in alcuni intervalli
Son di rilievo superbi metalli. 1896
Intorno intorno i gran Progenitori
Armati stanno in natural figura,
C’hanno all’Aquila dato i grandi honori,
E in man del mondo 'l governo e la cura. 1900
Costor son Duchi, Re ed Imperadori,
Ch’adornan quivi le splendide mura,
E 'l Principe dell’opra anchor si vede
Dal natural, che in ampia parte siede. 1904
Nel mezo della volta è la fortuna
Ch’in vivi gesti al bel drappello applaude
Rimira 'l chor senza doppiezza alcuna
Quasi dicendo non temer di fraude, 1908
Ch’oltra quanti ne stan sotto la Luna,
Esalterò l’eccellente tua laude
E tanto fatta gliè la Dea divota
Ch’alloro ha dato in governo la ruota. 1912
Sopra una porta intanto l’occhio giro,
Onde di luogo in luogo entro si varca,
E ’l gran Duca di marmo intanto miro,
Ch’il mar rosso passò senz’altra barca. 1916
Poscia quindi all’incontro mi ritiro,
Et veggo quel, che gia fe la grand’arca:
A cui far si dovria eterno honore
Per il caro don del soave liquore. 1920
Ornan le faccie, ove non è pittura
Quattro tapezzarie polite, e belle,
Ne piu vivi color mai fe Natura,
Quale han gli stami che contessan quelle. 1924
Viva dentro vi pare ogni figura,
Come se fusse 'l disegno d’Appelle,
Tal che quasi io mi ci perdevo sopra,
Tanto fiso restavo a guardar l’opra. 1928
Niobe ornata di regal corona
Nel primo pezzo superba si vede
Sprezzare i sacrifici di Latona,
Perche maggior di lei esser si crede: 1932
E gia del regno suo ogni persona
Sospinge al culto suo, chiama, e richiede,
E tanto insuperbisce di sua prole,
Che Cintia vilipende, e sprezza 'l Sole. 1936
Nel secondo è l’orgogliosa Regina,
Che i sacrifici a se fa celebrare,
Profana in tutto la legge divina,
E fassi come Dea in terra adorare. 1940
Nel terzo luogo si vede in ruina
Ogni sua pompa, e gloria al basso andare,
Perche Giove non vuol, che di terra
Si faccia contra 'l Ciel lite, ne guerra. 1944
Apollo, e Cintia con gli acuti strali
Nel quarto estinguan la superba prole,
Fulminano i pensier superbi, e frali,
L’arroganza crudel, l’empie parole, 1948
Come spesso a color, che son bestiali,
E fuor d’ogni ragione avvenir suole.
Onde esser questo po lucido essempio
A chiunche hoggi di Dio disprezza 'l tempio. 1952
Una Camera a questa appresso viene
Non manco bella dell’altra, c’ho detta,
Ch’una ghirlanda in mez'al palco tiene,
Che molto all’occhio a mirarla diletta, 1956
E chi quest’opra considera bene
Vede una prospettiva ivi perfetta,
Che vi son gesti di piu fanciullini,
Che non paian vivi, ma divini. 1960
Dall’una banda in mirabil bellezza
La Giustizia risplende oltra misura.
La Temperanza in non manco vaghezza
Mostra nell’altro luogo sua figura. 1964
Nel terzo sta la robusta Fortezza,
Di cui un fier Leon prende la cura.
E pinta è nella quarta residenza,
La dotta, saggia, & inclita Prudenza. 1968
Cinge la stanza un virtuoso Choro,
Di sette donne honorate, e preclare,
C’han sette huomini anchora appresso alloro,
C’han quelle celebrate, e fatte chiare. 1972
Nel primo luogo è il saggio Apollodoro,
Che nol potria Natura meglio fare,
Grammatica appo lui segue da parte,
Che la porta è dell’imparare ogn'arte. 1976
Seguita Gorgia, quel grande oratore,
Simile a cui non ne fu altro al mondo,
Rethorica seco ha con suo colore,
Onde nasce il bel dir, grave, e facondo. 1980
Segue Chrisippo, ch’ogni ascoso errore
Prova, tanto è sottil, saggio e profondo,
Dialettica il segue, che senza essa
Ogni scienza nuda si confessa. 1984
Non molto lunge Pittagora siede,
Che par rapito al suo philosofare:
L’Aritmetica ha seco, a cui si crede
L’arte eccellente del ver calcolare. 1988
Appresso è pinto 'l nobile Archimede,
Ch’a diverse misure intento pare,
Segue Geometria con sua misura,
Che di metire ogni cosa ha la cura. 1992
Intento al ciel Beroso in altra parte
I Pianeti contempla, e i segni anchora.
Vien con la Sphera l'Astronomica arte,
Che del futur predice il punto, e l’hora. 1996
Di color finto è Pan quivi in disparte,
Che seco ha la sua Fistola sonora,
Musica ’l segue, e tutti i suoi strumenti,
Al cui sonar si stuppiscan le genti. 2000
Dove dal mur la volta in alto sale,
Fra l’uno, e l’altro di tutti costoro,
D’un bel basso rilievo spandan l'ale
Aquile invitte quattordici d’oro, 2004
Che la lor fama han fatta hoggi immortale,
E sostentan col dorso i signor loro,
Ch’accolti in vago cerchio ivi son pinti,
Tratti dal natural veri e non finti. 2008
Giulio Cesare è il primo il gran Romano:
Il cui nome fin hor ne gli altri dura.
Seguita appresso il magno Ottaviano,
Ch’ebbe di tutto 'l mondo in man la cura. 2012
Tiberio è il terzo, e si dimostra vano
A chi riguarda fiso sua figura.
Caligola oltre è poi tanto ben fatto,
Che par che vivo sia, non contrafatto. 2016
Claudio appo questi al bell’ordin si pone,
Che querelarsi par della consorte.
Più inanzi è pinto il protervo Nerone,
Che tenne aperte a crudelta le porte. 2020
Galba vien dopo, e il suo nimico Othone,
E ’l bon Vitellio di costor men forte,
Qual di Vespesian si lagna, plora,
Ch’ivi dapresso la bella opra honora. 2024
E' presso a questi il fier Domitiano,
Che fu di Christo gran persecutore:
Seguita Nerva, e ’l clemente Traiano,
Di tutti questi lucido splendore. 2028
L’ultimo luogo è del divo Adriano,
C’hoggi fa con sua mole a Roma honore.
Tutta la stanza cinge il bel drappello,
Ch’ogni occhio allegra, che si specchia in quello. 2032
In faccia fabricato evvi un camino:
La cui bellezza non posso narrare,
L’intaglio è tutto di paragon fino,
Lustro, ch’al viso un chiaro specchio appare. 2036
Negra è la pietra piu ch’un Saracino,
E piu ch'alcun non si potria pensare,
Che quando 'l foco gli rende la luce,
Come una gioia oriental riluce. 2040
In altra Banda una lettiera siede,
Che di fin oro in piu luoghi risplende.
Ogni cantone un’Aquila possiede,
2044Che le dorate piume al vento stende.
Le grife d'un Leon formano il piede
Dell'opra, ove ’l bel letto si distende.
Di raso paonazzo, e bianco argento,
2048E il cortinaggio, e tutto 'l pavimento.
Intorno intorno di mirabil arte
Son le tapezarie accommodate:
A cui ghirlanda fanno in ogni parte
2052Le sette verghe in Unità legate.
Di varie cose l'opra si comparte,
Percbe vi son piu virtu celebrate.
Del Principe l'impresa ha tal virtude,
2056Ch'insieme ogni gran lite unisce, e chiude.
Musica v’ha la fistola, e la Cetra,
Numeri, l'Arimmetico, e tabelle,
La squadra, il sesto, e 'l piombo il Geometra,
2060E la Sphera l'Astrologo, e le stelle.
Havvi Cupido l'arco, e la pharetra,
Gli acuti strali, il dardo, e le facelle.
E primavera in diversi colori,
2064Arbori, frondi, foglie, rose, e fiori.
I fregi, gl'intermedi, e gli ornamenti,
Cornici, intagli, e contrafatti marmi,
I color fini, l'oro, i guarnimenti,
2068Le belle imprese, e le magnifìche armi;
Ch'ornan per tutto i ricchi pavimenti,
Non ti saprei narrare in mille carmi:
Ne dico de gli spazzi dilicati,
2072Di varie pietre composti, e intagliati.
Poscia piu oltre un'altro luogo occorre,
Dove vien la famiglia tutta a mensa:
Dall’una banda è scolpita una Torre,
2076Che nel Verno un calor dolce dispensa.
In tanto l'occhio alla volta discorre,
Che sempre 'l cuore a nuove cose pensa,
E benche in tutto sia l'opra perfetta
2080Veder di nuovo qualche cosa aspetta.
In mezo sta del Principe l'impresa,
Che son legate sette Verghe d'oro:
Un breve il bel problema chiar palesa,
2084Ch'unito stringe il pulito lavoro.
Tutta la volta da quelle è compresa,
Tanto dilatan quivi i rami loro,
Pareami rimirando il lor splendore,
2088Sentir gli spirti unirsi appresso al cuore.
Poste da parte son per i cantoni
L’armi illustri del Principe, e divine,
Di bianchi ornate, e di rossi Leoni,
2092E d’Aquile eccellenti e pellegrine.
Son coronate di celesti doni,
Ch’ornano al suo Signore il sacro crine,
E secondo che dice ogni persona,
2096Presagio dan de la terza corona.
Nei capitelli, ove posan le volte,
Statue antiche in pittura son finte,
C’han molte membra via troncate, e tolte:
2100Perche dal natural son state pinte,
Bench'alcune persone ignare, e stolte
Vorrien fussen di quindi via sospinte,
Perch'al suo dire all’occhio non diletta
2104Il rimirar una cosa imperfetta.
Vadano dunque a Roma questi tali,
A cui questi secreti non son noti,
E mirin bene gli archi trionphali,
2108Hoggi frammenti de gli inculti Gothi;
E discerner potran senza gli occhiali
Si sono stati i pittori idioti,
E vedran quante braccia, e quante teste
2112Manchino a quelle, a cui s’assembran queste.
Quivi 'l saggio pittor quel ch’ha trovato
D’antichi essempi ha voluto mostrare,
E ’l bel lavoro imperfetto ha lasciato,
2116Perche l’antico ha voluto imitare,
Perdoni adunque Iddio il suo peccato
A chi tal opra non ben fatta pare,
E tu pittor, che la degna opra festi,
2120Perdona l’ignoranza anchora a questi.
Pinte in le faccie son piu favolette;
Che benche molto trite a ciascun sieno,
Han non dimen le sentenze perfette,
2124E di moralita l’intento pieno,
Ne son da me per al presente dette,
Perche me le riserbo ascose in seno.
In questo luogo si finisce, e serra
2128Il circuito tutto appresso a terra.
Esco di quindi, e pe 'l cortil trapasso
Per salir alto nella Regia sala,
E fermo 'l piede ove di nobil sasso
2132E' con grand’arte intagliata una scala:
Piu colonnette affise a passo a passo
Tengano un cornicion, che gli fa l'ala,
Di miste pietre è tal lavoro adorno,
2136Che paian fatte, e lavorate al torno.
Nel salir l’ampia porta s’appresenta,
Sopra la qual del Cielo è la Regina,
Ch’in braccio 'l Redentor nostro sostenta:
2140A cui il Cardinal s’humilia, e inchina,
Il divo Protettor lieto il presenta,
E fanne un dono alla bontà divina:
Ond’egli affiso in atto humile, e pio,
2144Fervente adora 'l gran verbo di Dio.
Della mirabil sala l’alta impresa
Par che la porta nel fronte dimostri,
Nel modo, che il venir del Sol palesa
2148La candida Alba ne i cospetti nostri,
Però feci io meco stesso contesa
Se potesse rimar con varij inchiostri
La maesta di quella, il gran decoro,
2152Gli intagli, i marmi, i color fini, e l’oro.
La porta s’apre & ecco il tron di Giove,
Ch’in un tratto confonde gli occhi miei,
Per fermo tenni allhor che non altrove,
2156Ch'ivi habitassen gia gli eterni Dei,
Non bastarieno a dir l'imprese nuove
Mille Anphioni, e risonanti Orphei,
Confusi in me reston nel grato aspetto
2160La luce, la raggione, e l’intelletto.
Pur insieme raccolti i debil sensi
Per voler la degna opra contemplare,
Le luci in alto a rimirar sospensi
2164Al Ciel, che di piu Soli ornato pare.
Tant’or nell’ornamento ivi contiensi,
Ch’impedisce la luce nel mirare
Non altrimenti ch'impedir la suole
2168Il raggio, a chi nel Sol pur guardar vuole.
Da superbe cornici vien compresa
In ventiquattro quadri l’opra degna,
De quali assai del Principe l’impresa
2172Mostran scolpita, assai mostran l'insegna.
Pensar non si potria con quanta spesa
Al fin d’una tanta opra si pervegna,
Che sol gli intagli, gli arabeschi, e i fregi.
2176Son pe'l molt’or d’inestimabil pregi.
Sotto al dorato palco una pittura
Nasce, ch'all’ampia sala fa ghirlanda,
Che rimbellisce le candide mura
2180Tanta vaghezza a tutto il luogo manda
Tirata è tutta con tal arte, e cura,
Che l’opra istessa a vagheggiar comanda,
Perche in diversi modi e 'n vari effetti
2184Si veggan triomphar piu fanciulletti.
Tolto hanno alcuni i dorati bastoni,
E fatto d'essi un carro con grand'arte,
Qual carico di fiori, e di festoni
2188Tiran con festa in quella e'n questa parte.
Altri con bianchi, e con rossi Leoni,
Scherzan ridendo, e giocando in disparte.
Altri s'han fatto a gli homeri una salma,
2192Di laur verde, e triomphante palma.
Altri hanno al collo, & alle braccia avvinte
Ben collegate piu lettere d’oro,
Altri in man l’hanno, altri le tengan cinte,
2196Tal che ciascun ne porta di costoro,
Queste nell'ordin suo poste, e distinte
Fan del Principe il nome alto, e decoro,
Onde connesse nel lor propio accento,
2200Dican BERNARDO CARDINAL di Trento.
Nella principal faccia al destro lato
La regal mensa il nobil luogo ingombra,
Sopra alla qual appresso è di broccato
2204Un anmpio Ciel, che la gran mensa adombra:
Questo d'armi, e d'imprese è ricamato,
A cui stan sotto i commensali all'ombra,
Si che a guardarli al nobil pranzo assisi,
2208Paian alme beate a i campi Elisi.
Del medesmo broccato in fin a terra
Per lungo al muro un ricco panno scende,
Ch’in ogni banda il mur candido afferra,
2212E non poca honoranza al luogo rende,
Un bel procinto in quadro il tutto serra,
E v’entra solo chi al servitio attende,
E par ch’ ambrosia, e nettar giu dal Cielo
2216Piova alla mensa del dorato Velo.
Dalla sinistra banda in fin al fregio
Di grado in grado una credenza ascende,
Che pe'l molt’or d’inestimabil pregio,
2220Negli occhi un foco di splendor t’accende,
Fatto è per man d’un fabro in l’arte egregio
Quanto di vasi d’or vi si distende,
Honorerebbe questa al suo valore
2224Un Papa, un Re, un magno Imperadore.
I tersi vasi d’or d’ogni grandezza,
Ch’usar si suol passan di lungo il segno,
Et ornan la superba lor vaghezza
2228Sotto gli intagli di non poco ingegno,
Simil credenza, e di tanta ricchezza
Non viddi unquanco, in alcun stato o regno,
Che a riguardar di tant’oro il colore
2232Rallegra, e infiamma ogni agghiacciato core.
Un’altra pur lungo al sinistro corno
V'è di cristalli nitidi, e gentili,
Ben ricamati d’oro intorno intorno,
2236Di fregi, groppi, e rabeschi sottili,
Ch’a riguardarvi il vin da loro adorno
Saltellar sopra a dorati monili,
Sforza altrui a gustar del bel liquore,
2240Che volentier s’annida appresso al cuore.
Piu innanzi v’è la terza, e qui l’ingegno
Si po del grande artefice esaltare,
Di questa i vasi son d’un puro legno,
2244Che nelle macchie un ver porfido pare,
L’opra tersa, e sottil, l’alto disegno,
La vil materia all'or fa comparare,
Perch'è si ben tirata senza fallo,
2248Quanto a Muran si tiri ogni cristallo.
Per tor dal fuoco ricompensa 'l Verno
Piu nanzi è posto un superbo camino,
D’un biancho, e duro marmo, ch'in eterno
2252Fara 'l scultor per sua belta divino,
Non bastaria di gran carte un quinterno
A lodar quest'ingegno pellegrino,
Che quivi in parte, e nel grand’Organ poi,
2256Immortal fatto s’è qua giù fra noi.
Fan due Satir le sponde al Camin degno,
Che per il fuoco dentro al mur s’accoglie,
A tutta l’opra fan questi il sostegno,
2260Ch’è di corazze, un Tropheo, e di spoglie,
Scolpite in marmo con tal arte, e'ngegno,
Ch’infinita presenza in se raccoglie:
Quivi per sostentar le legna ardenti
2264Son di scolpito bronzo i suoi strumenti.
Fuor d’ampia porta in su l’altra facciata
E' fabbricata una nobil loggetta,
Donde vien la Città signoreggiata,
2268Che dentro al bel contorno sta ristretta.
Quindi un bel contentarsi d'una occhiata
Si po cavar, perche molto diletta
Veder dall’alto d’una tal Cittade
2272I giardin, gli edifici, e le contrade.
Porge alle luci un piacer, un diletto
Il fiume, ch’indi veloce trapassa.
Il mirar questa vigna, e quel boschetto
2276Fan, ch’ogni fantasia si fugge e cassa,
Ridene 'l cuor, godene l’intelletto,
Che per gli occhi il piacer dentro a lor passa,
Quai come han contemplato ogni confino,
2280Han sempre da vagar nel bel giardino.
Certo non è cervel si travagliato,
Che giri gli occhi intorno a i dolci colli,
Vagheggi la Città da ciascun lato,
2284Si specchi in l’acque cristalline e molli,
Miri 'l giardin di fiori, e frutti ornato,
Del cui splendor mai son gli occhi satolli,
Che non purghi la mente, l’alma, e 'l cuore
2288Da travaglio, pensier, noia, e dolore.
Dentro per far la bella sala adorna,
Appesi al mur son molti feston d’oro,
C’han di piu Cervi le vivaci corna
2292Con varie imprese fisse in mezo alloro,
Il che non poco rimbellisce, & orna
Tutta la sala, e’l superbo lavoro,
Senza che magni quadri in ogni parte
2296Son da non dirne in mille, e mille carte.
Nella faccia da basso è un'ampia porta
Fatta di pietra con sottil ragione,
Ch’in una magna camera trasporta
2300Messa in un tondo, e forte Torrione,
Quivi dentro passai con la mia scorta,
E con molte altre honorate persone,
Che nel girar qua gli occhi, e la le ciglia
2304Stupivan meco insieme a maraviglia.
Ornan di quel bel cerchio il terso muro
Sette gran pezzi di tapezzaria,
Non d’altro che di seta, e d’oro puro,
2308Tessuti in Fiandra con gran maestria.
Evvi ogni bel color tal chiaro, qual scuro,
Ch’in tutta la natura al mondo sia,
Ch'assai via piu fan questo lavor bello,
2312Ch’ogni pittor non faria co'l pennello.
De i gran gesti di Christo è questa historia
Dache nacque, e patì su'l santo legno.
O quanta laude merta, o quanta gloria,
2316L’artefice, che fe si bel disegno,
Ch'a lasciar doppo se tanta memoria
(Habbilo hormai chi ’l vuole havere a sdegno)
Vince di lodi ogn'eccelso pittore,
2320Nell’unir con le fila ogni colore.
S’alle pitture del gran Raffaello
Non manca altro, che 'l fiato per parlare,
Se Titian con suo degno pennello
2324Uomini vivi di color sa fare,
Se Michelangiol col suo dur martello
Combatte con l’anticho, e’l vuol passare;
Costui, che qui tessè di seta, e d’oro,
2328Non è da manco certo di costoro.
Chi mira i gesti de i protervi Hebrei,
C'habbi di prospettiva qualche lume,
Chi ’l superbo guardar de i Farisei
2332Veri nimici d’ogni buon costume
Ch’i falsi testimoni, iniqui, e rei,
Ingiuriar troppo ’l venerando Nume,
Chi Anna, Caifa, Giuda, e Pilato,
2336Vede che non gli manca altro, ch’il fiato.
Sopra questi nel mur con gran splendore
Cinquant’otto Armi sono ogn’una equale,
Di Conti, e Cavalier, ch'al gran signore
2340Fer compagnia nel farsi CARDINALE,
Quando da FERDINANDO ambasciadore
Mandato fu al suo fratel carnale,
Che da CLEMENTE per divin misterio
2344Incoronato fu del magno Imperio.
Fatto il Palco è come quel della Sala,
Con certi Roson d’or di gran misura,
Intagli, e fregi assai vi son per gala,
2348Tutti adornati di tersa pittura,
Quindi dal mezo una catena cala,
Che sostien di rilievo una figura,
Ch’è fin al corpo una dama splendente,
2352E tutto ’l resto un feroce Serpente.
Questo mezo divin, mezo infernale
Mostro, di fiamme si circonda, & orna.
Ha in su le spalle due contraffatte ale,
2356Che d’un bel Dain gia furno le corna.
Sopra un bel mondo spherico, & equale
Si posa tutta la donzella adorna:
Intorno a cui a sostentar doppieri
2360Son vari rami d’or per candelieri.
Posto è in disparte un ricchissimo letto
Sopra una magna, e signoril lettiera,
Tutta intagliata con ordin perfetto,
2364Messa ad azurro, & or con gran maniera,
Di cremisin un damaschino eletto
Fa il cortinaggio a tutta l’opra intera,
D’or degnamente tutto ricamato,
2368D’armi, di fregi, e d’altre imprese ornato.
Quindi non lunge in un'altro confino
Una tavola tonda è fabricata,
Ch’a broccato, e velluto cremisino
2372Commesso insieme è coperta, & ornata:
Pel Verno da la banda sta il camino
D’un opra da non poco esser laudata,
E tutto il resto delle nobil mura
2376E' pien di quadri di degna pittura.
Contento c’hebbi ambe le luci, e'l cuore
Del magno, ricco, e nobil ornamento,
Venni di nuovo in sulla sala fuore,
2380E fin all’altra faccia m’appresento:
Dove per una porta di valore
In una amena stanza intrammo drento
Di vari legni, e venosi commessa,
2384Della qual l’opra si loda ella istessa.
Cornici, intagli, colonnette, e fregi,
Tarsia, commesso, rilievo, e scoltura,
Fatti non senza inestimabil pregi,
2388Dell’ampia stanza ricopran le mura:
D’argento, d’oro, e di colori egregi
Sono illustrati con mirahil cura
D’armi, Aquile, Leoni, e verghe d’oro,
2392Vittrice Palma, & verdeggiante Alloro.
L’opra, che sopra'l bel Palco decora,
Del medesmo legname è fabricata,
Dal quale una donzella pende anchora,
2396Che da magna catena è sostentata:
Vengan le corna d’un gran cervo fuora
Dal tergo di costei, ch’alla brigata
Di notte luce fan, che sono elette
2400A sostentar vaghi lumi, e torcette.
A capo del bel sito un Baldacchino
Sopra una mensa in aria sta levato,
D’un bel velluto negro terso, e fino,
2404E raso bruno a scacchier lavorato:
Dal quale scende all’infimo confino
Un cortinaggio al luogo accomodato,
Di quel proprio velluto, e raso ancora
2408Che l’ampia mensa degnamente honora.
Del medesimo drappo è'l bel mantile,
Che per tapeto alla mensa si pone:
Cio che quivi è tutto ha del Signorile,
2412Fatto con bello ingegno, e con ragione.
Puossi nel verno qui fare un'Aprile,
Un Maggio, un Giugno, un Luglio ogni stagione.
Perche togliendo & aggiungendo'l foco,
2416Si tempra, e stempra alle stagioni il loco.
Vedesi fabricata a tale effetto
Di figoline pietre un'ampia torre:
Qual come ha drento del fuoco'l suggetto,
2420Fa che per tutto il luogo il caldo corre,
E piu, e men (come di sopra ho detto)
A compiacenza altrui se ne po torre,
Luce'l Dificio via piu, ch’uno specchio,
2424D’historie pien del testamento vecchio.
Tutti i gran gesti de i giudici Hebrei,
Che dopo Iosuè tennero il regno,
A rimirar con gran solazzo stei,
2428Tanto mi piacque il figolin disegno.
Togliendo poscia d’indi gliocchi miei,
Che quivi quasi havea lasciati in pegno,
Presi a mirare un magistero egregio,
2432Ch’a tutto il luogo fa pittura, e fregio.
Vedesi'l magno Iddio nel primo loco,
Che l’indigesto, e gran Chaos disserra,
E gli Elementi tutti a poco poco
2436Unisce, e tira da confusa guerra.
All’acqua il fredo dà, e’l caldo al fuoco,
L’humido all’aria, & il secco alla terra,
Separa l’un dall’altro, e poi gli accoppia,
2440Perch’ha dato a ciascun qualita doppia;.
Lega l’aria co'l fuoco, pel calore,
Ch’oltre l’humidita essa possiede.
L’acqua con l’aria aggiugne con l’humore,
2444Ch’in dote oltra il suo frigido gli diede.
La terra unisce all’acqua con l’horrore,
Del frigido, ch’in lei piu regna, e siede,
Fa questa al fuoco co'l secco amicabile,
2448Per far del tutto un nodo inseparabile.
Di nulla haver creato tutti i Cieli
Si vede, e posto in ciascuno un Pianeta,
Quali haver fatti pij e qual crudeli,
2452Per lor effetti creder non si vieta.
Post’è nel primo de i superni hosteli
Cintia nell’andar suo veloce e queta,
Ch’humido, e freddo a i miseri mortali
2456Manda da suoi ghiacciati, e freddi strali.
La luce che ne dà da Phebo piglia,
Che per se stessa, è difettosa, e scura.
Quanto ei più lascia a i suoi destrier la briglia,
2460Cresce in essa la luce, e la figura,
E scema per contrario, e s’assottiglia
Quanto ei più si gli appressa, e fassi scura,
Però quando esso si congiunge a quella,
2464Perde tutto ’l splendor, che la fa bella.
Ha nel secondo Mercurio la sede,
Instabil piu, che d’ogni mare l’onde.
Hoggi d’ogni favor ti fa la fede,
2468E doman ti ruina, e ti sconfonde,
D’eloquenza, e d’astutia ogn’altro eccede.
E tal virtu ne i nostri corpi infonde,
Quando ’l signor dell’Horoscopo ’l mira,
2472E ’l principal suggetto da lui tira.
Della terza benigna, e chiara sphera
Ha'l reggimento Vener, e'l bastone:
Humida, e fredda è sua natura intera,
2476Se ben i corpi a caldo amor dispone.
Dota i suggetti suoi con gran maniera
Di lasciva bllezza, e gli compone
Di van pensieri, & è placida molto
2480A ciò che mira col benigno volto.
Nel quarto luogo la sua chioma d’oro
D’immensa luce il chiaro Apollo stende,
Che di ciascun Pianeta il proprio choro
2484Di lume, di splendor, di raggi accende,
A noi la vita dà, gemme, e thesoro,
E d'ogni giorno la luce ne rende,
E mentre'l carro hor quinci, hor quindi sprona,
2488Ogni bel frutto ci produce, e dona.
Di fuoco calda, e secca è sua natura,
Come’l Solstitio ardente al Giugno prova:
Perch'essend’egli in la suprema altura,
2492Dove all’ultimo passo il Cancro cova,
N’infuoca, angustia, e scalda oltra misura,
Se bene al maturar le biade giova.
Non passa ’l corso, che fa notte, e giorno,
2496Il tropico di Cancro, e Capricorno.
La quinta Sphera, che più alto sale,
A Marte ha dato il superno fattore,
Ch’alla Tempesta, al fulgore infernale
2500Impera, al foco, alla rabbia, al furore,
Urta, fraccassa, spezza, rompe, assale,
Questo Pianeta, amazza, e fa romore,
Acconcia, guasta, innalza, abbassa, e preme,
2504Si scalda, infuria, incrudelisce, e freme.
Nel sesto cielo ha'l gran Giove il suo regno
Per porre a Marte, & a Saturno'l freno:
Perche è tanto benivol, tanto degno,
2508Ch’all’un la furia, & all’altro'l veleno
Tempra, altrimenti passarieno'l segno,
Onde convien, che piu in cervello stieno,
Ch'a temprar la malicia, che li muove,
2512Niente manco vi volea ch'un Giove.
Ha'l settimo orbe a Saturno assegnato
Iddio per farlo piu da noi lontano,
Ch’essendo piu vicin questo ostinato
2516In tutto spegnerebbe'l seme humano:
Ver è che l’huomo fa savio, e sensato,
Ma troppo ha del crudele, e del villano,
Del dur, dell’austero, e del bestiale,
2520Autor d’ogni improperio, e d’ogni male.
Sopra a Saturno nell’ottava sphera
A tutte l’altre stelle il ciel si dona,
Come si vede nella chiara sera,
2524Quando i cavalli a gli Indi Apollo sprona.
Quivi affissa è l’una, e l’altra orsa fiera,
Capo dell’una e l’altra fredda Zona,
Che da Giove tirate in cielo a volo
2528L'artico ferno, e l'antartico polo.
Scende dall’una all’altra il gran Dragone,
Che per il ciel si storcie, e si distende.
Hercol v’è con la spoglia del Leone,
2532Che tutto luce fra piu stelle, e splende.
Dall’alto cerchio del Settentrione,
Cepheo le braccia fin'al Cancro stende,
E presso al Carro, ove Boote dimora,
2536V’è'l Serpentario, e la Corona anchora.
Cassiopea in la sua degna sede
Post'è, dove ancho Andromeda riluce.
Dritto Erittonio star si vede in piede,
2540Che fu del carro l'inventore, e’l duce.
L’aquila v’è, che rapì Gannimede,
E’l fiume, che del Po l’acque produce,
Il Cigno, il Lepre, e’l Caval pegaseo,
2544Le Vergilie, il Triangolo, e Perseo.
Una gran Nave, & Orîone armato
Fan di piu stelle il magno cielo adorno,
Il gran Pesce, e’l Delfin dall’altro lato
2548Son d’altre stelle cinti intorno intorno.
Sacrario sempre a i naviganti ingrato,
E la Lira fra l’uno, e l’altro corno.
Il Centauro con volto, oscuro e torvo
2552L’Hidra con l’Orna, e’l nigricante Corvo.
Cosi finto hanno i piacevol Poeti
Tutte le stelle dell’ottavo trono.
Quivi'l Zodiaco è, onde i Pianeti
2556A far il corso lor costretti sono,
Ben che voltando del cielo i secreti
Color, che n’hanno il don perfetto, e buono,
Provan pel moto dell’ottava sphera,
2560Ch'il gran cerchio de i segni in quel non era.
Dannogli adunque un'altra regione
Finta in un piu superno, & alto choro:
Dove risplende il lanoso Montone,
2564E'l furibondo, e collerico Toro,
Gemini, Cancro, e’l superbo Leone,
Vergine, Libra, e Scorpio appresso alloro,
Saggittario e’l gran Capro, e quel che mesce,
2568D’un vaso in l'altro, e l’acquatico Pesce.
Per lungo al bel Zodiaco trapassa
Fra tutti i segni l’Eclittica via,
Che spesso Cintia della luce cassa,
2572S’avien che quella all’opposito sia
Del biondo Apollo: perché la gran massa
S’interpon della Terra, ove gia pria
Mandava i raggi suoi l’immenso duce
2576Ch’a Cintia danno, e levan via la luce.
Questa linea anchor fa privo'l Sole
D’ogni lume, ogni raggio, ogni facella,
Quando facendo'l corso, che far sole,
2580Si congiugne con Cintia in mezo a quella,
Perch’essa s’interpon con sua gran mole
Fra’l Sole e noi, tal che la faccia bella
Di Phebo, fa parerci horrida, e scura:
2584Ch’a chi non sa fatt'ha spesso paura.
In mezo alla ritonda, e magna sphera
Dell’Equinotto il gran cerchio si pone,
Che tanto'l giorno fa quanto la sera,
2588Quando Phebo per quel fa la stagione:
Quest'è nell’Autunno, e Primavera,
Quando per Libra passa, e pel Montone,
Ma gli altri cerchi, ch'il Solstitio fanno,
2592In mezo al Cancro, e'l Capricorno stanno.
Cosi composto il Cielo il gran motore
Di pura terra l’huom ben plasma, e forma:
Ma prima ha fatto'l di, la notte, e l’hore,
2596Che mai non perdan dellor corso l’orma.
Crea ogni pianta, ogni frutto, ogni fiore,
Gli animai bruti in infinita torma,
Gli augelli, i metalli, i pesci, i fiumi,
2600Diversi di natura, e di costumi.
Nell’altro quadro della gran pittura
Amazza Apollo il serpente Phitone,
Qual dopo l’acque produsse Natura
2604Dall’annegate, e putride persone.
La faccia della Terra horrida, e scura,
Quivi si mostra in ogni regione.
Par vivo il mostro da gli acuti strali
2608Trafitto, al voltolarsi, e sbatter l’ali.
Nel terzo luogo le veloci piante
La figlia di Peneo alzando fugge,
Phebo la segue come un stral volante,
2612Che per lei si consuma, e si distrugge:
Ma quella, ch’odia il sitibondo amante,
Co'l casto cuore a Diana confugge,
E in quel che di fuggir piu’l vigor perde,
2616Un Laur fassi amenissimo, e verde.
Giove, e Calisto insieme affronte affronte
Al quarto luogo stanno in un bel prato,
E dove versa in piu rampolli un fonte,
2620Cerca ciascun di lor quel che gli è grato.
Piu oltre giace il misero Phetonte
Dall’alto Carro in terra traboccato,
C'havendo messa la Terra a mal porto,
2624Fu dal gran Giove fulminato, e morto.
Nel sesto luogo la semplice Dama
Tutta di purita risplende adorna,
Ch'a se’l bianco giovenco alletta, e chiama,
2628E di fior vaghi gli orna ambe le corna.
Non sa costei dell’ordinata trama,
Ma sen’accorge poi ch’ei non ritorna
Dalle salse onde, anzi pigliando'l corso
2632La porta in Candia sopra'l bianco dorso.
Piu inanzi spoglia al bellicoso Marte
Cupido la Celata, e’l Corsaletto,
Per farlo con la madre ire in disparte,
2636Ch’ivi l’aspetta all’adultero letto.
Conosce Phebo la lor lasciva arte,
Et ammonisce il fabbro del difetto,
Qual per turbarli la dolce quiete,
2640Si vede fabricar la sottil rete.
Mentre con gli occhi piu inanzi camino
Veggio nel mezo al regno di Plutone,
Per fare in furia andar la misera Ino,
2644Dal Ciel discesa la magna Giunone.
Hor mentre miro l’horribil confino,
Scorgo alla ruota il meschino Isione,
Sisipho al monte con l’eterno sasso,
2648Squalido, macilento, afflitto, e lasso.
Tisiphone, Megera, Aletto han nome
Le tre furie infernali, i tre tormenti,
Che quivi son con le tremende chiome
2652D'aspidi velenosi, e di serpenti.
Immaginar non mi sapevo come
Star potesse la Dea con l'insolenti
A parlamento, e mi risolsi allhora,
2656Ch’al Ciel suggetto sia l'inferno anchora.
Del tenebroso, e spaventevol regno
Cerber per guardia si vede alla porta,
E l’arruffato vecchio ha carco il legno
2660D’ombre diverse ch’oltre al fiume porta,
E come passa della riva'l segno
La gran torma dell’alme al mondò morta,
Di quello ogni memoria ammorza, e cassa,
2664Tal che mai piu nissun Lethe ripassa.
Evvi il gran Titio, e l’ingordo Avoltore,
Ch'il fegato gli stirpa, svelle, e frange,
Non manca'l cibo mai, cresce il dolore,
2668Per cui si plora, si contorce, e piange.
Tantalo i frutti vede, hanne l’odore,
Ma gustar non ne po, si crucia, & ange
Per la gran fame, & ha tal dura sorte,
2672Pe'l dato cibo alla celeste corte.
Le Belide piu oltre appresso a quello
Cercan di por l'infinite onde al fine
Col perforato, e fallace crivello,
2676Cosa impossibil certo alle meschine.
Non tanto fuoco, e fumo è in Mongibello,
Quanto si vede in l’infernal fucine,
L’aria tutta è caliginosa, e nera,
2680Per cui vagano l’ombre afflitte a schiera.
Lascio l’Inferno, e via le luci passo
Al resto, ch’orna la nobil pittura.
Quivi Andromeda veggio avvinta al sasso,
2684Che sembra un vero essempio di Natura,
E’l marin mostro gia vicino al passo
Per voler d’inghiottirla prender cura:
Ma l’alato Perseo, che brama quella,
Doma il gran mostro, e salva la donzella.
Vedesi in l’altro quadro in che maniera
Nacque’l corallo da secchi arbuscelli,
Che tocchi alquanto dalla testa altiera
2692In duro sasso si conversen quelli.
Quivi in sul lito è di Nimphe una schiera,
Che seco al mar ne portano i piu belli.
Del mostro lava all’onde il crudel sangue
2696Perseo, e scioglie Andromeda che langue.
Della degna opra adorna un bel cantone
La semplicetta, e vaga Proserpina,
Che mentre coglie i fiori, ecco Plutone
2700Tutto infiammato, e pronto alla rapina
Dagli di piglio, e'nsul carro la pone,
E via con essa all’Inferno camina,
Ceres la cerca, e sa come l’ha persa
2704Dalla Nimpha, ch’in stagno s’è conversa.
Alquanto avanti è pinto il bel duello
D’Apollo, e Marsia sfidati a sonare.
Resta al fin superato il pastorello,
2708Ch’al paragon non po con Phebo stare,
Qual gia gli ha messo in un braccio'l coltello,
E cosi vivo lo vuol scorticare:
Perche era stato innanzi il lor giudicio,
2712Che chi perdeva havesse il suo supplicio.
Piu oltre è Pan co'l rustico strumento,
Ch’havendo dato alle Nimphe piacere,
Pensa passar della Lira il concento,
2716E piu d’Apollo si pensa sapere,
Ma'l saggio Iddio, col suo celeste accento
Supera il rude, e fallo al fin tacere,
Et accio che ciascun del giuoco rida,
2720D’un Asin pon le grandi orecchie a Mida.
Acis, e Galathea, insieme al loco
Ultimo, di questa opra avvinti stanno,
Ch’a chi gli mira un'amoroso foco
2724Nel cuore i gesti loro accender fanno.
Piu nanzi è Poliphemo, ch’ancho'l gioco
Non sa di questi, e non vede'l suo danno,
Ma sotto un antro si raccoglie, e chiude,
2728Sonando una sampogna fioca, e rude.
Gia era stanca l’una, e l’altra luce,
Ma non gia satia anchor di rimirare,
Quando colui, che m’era scorta e duce,
Mi fe in un'altro paradiso andare,
Che d’un vivo rosato, & or riluce
Che troppo allegra l’occhio al primo entrare,
Una camera è questa, e tanto bella
Ch’ogni grande huom s’honoraria di quella.
Quel che di sopra il pavimento copre
D’azurro, e d’oro, è lavorato, e pinto,
E di diverse imprese, e di degne opre,
2740In vari quadri il lavor è distinto,
Di sotto un'ampio fregio si gli scuopre,
Ch’ornato d’or circonda il bel procinto,
Piu teste antiche affisse stanno al cerchio,
2744Che sostengan levato il bel coperchio.
Dall’alto fregio fin giu nel terreno
Di fin scarlatto, è addobbato'l muro,
Ch’intorno intorno di ricami è pieno,
2748Con varie imprese d’or battuto, e puro:
Quivi dove i pensier ripone il seno
Per far nel sonno il cuor dormir sicuro
D'una fina rossezza splende il letto,
2752Del ricamato scarlatto c’ho detto.
Piu regal sedie in questa, e quella parte
Son di velluto cremisin precinte,
Che rimbellisce, campeggia, e comparte
2756Un bel ricamo d’oro, a cui avvinte
Son varie imprese, fatte con grande arte,
Di ricche frange d’or per tutto cinte,
Tal che cioche dentro è nel bel ritratto,
2760Di cremisino è coperto, e scarlatto.
Quindi per bene acconcia porticella
In un divoto oratorio si scende,
D’onde la ricca, e divota Capella
2764Si vede, e chiunche al sacrificio attende
Cosi star puossi in l’oratoria cella
A veder messa: perche s’ode, e intende
Cio che si legge, e senza esser mai visto
2768Si po nel sacrificio adorar CHRISTO.
Visto tal cose, in sulla magna Sala
Tornammo per vedere un bel cantone,
Ch’al gran Dificio fa da banda un’ala
2772Posta da gli architetti con ragione
Hor come in capo alla maestra scala
Fummo arrivati della gran magione,
Mi posi a rimirar lo stanco corno,
2776S’in tutto fosse come'l resto adorno.
Cosi levata una ricca portiera
Passammo dentro alla stanza divina,
Dove esser po la State, e Primavera,
2780Quando in terra è la nieve e la pruina,
Fansi quivi le stanze in tal maniera,
Perch’è la regione al Pol vicina:
Però con arte, e con certa misura
2784Qui si resiste a sua fredda natura.
Il degno vaso onde nasce’l calore
Tutt’è d’antiche historie figurato,
Di quel gran Capitan, quel gran Signore
2788A cui’l gran Moise lasciò lo stato.
Veggansi i Philistei tutti in terrore
Tremar di lui, che tanto a Dio fu grato,
Ch’all'efficaci, e sue sante parole,
2792In mez'al Ciel fermo'l suo corso'l Sole.
Un quadro, che ricuopre un cremisino
In vece di tapeto, in parte è messo,
A cui di terso argento un panno fino
2796Fa’l sopracielo in un quadro commesso,
Dal quale scende allo spazzo vicino
Un cortinaggio, pur fatto anchor d’esso
Panno, ricco d’argento, e di ricami
2800Di nobil seta, & aurati stami.
Evvi in un quadro il gran Re de Romani,
Di cui'l ritratto al vivo s’avvicina:
Rincontra al quale in vivi gesti humani
2804Pinta di sua statura è la Regina.
Gli accostumati figli alti, e soprani
Mostra un’altra opra eccelsa, e pelegrina.
Le nobil figlie con mirabil arte
2808Ha vive un'altro quadro ivi in disparte.
Intorno intorno d’un pregiato legno
E' ricoperto il forte muro, e cinto.
D’intagli, e di cornici è il lavor degno
2812Ben compartito, commesso e distinto;
Del Ciel di sopra a Rosoni è il disegno,
Che dalloro splendor vien l’occhio vinto.
Sonvi armi, fregi, intagli & altre imprese,
2816A cui'l pittor fu di molto or cortese.
Poscia un scarlatto ricamato d’oro,
Ch’all’altra stanza fa portiera, e velo
Levato, intrammo al piu giocondo choro,
2820Ch’habbin creato le virtu del Cielo:
Quivi soave odor, luce, e thesoro,
Una temperie infra’l calore, e’l gielo
Si vede, e sente, tal ch'i campi Elisi
2824Non penso ch’habbin simil paradisi.
Non è si travagliato, e mesto core,
Animo pien di noia, afflitto, e infranto,
Ch’intrando quivi infra tanto splendore
2828Non diponga i sospir, l’angoscie, e’l pianto:
Luogo quivi non trova alcun dolore,
Ch’intrando si converte in gioia, e in canto:
E s’io l’ardisse dir, direi ch'il loco
2832Per hospitio alli Dei non saria poco.
Un glorioso letto era parato,
Dove piu’l sito un tal seggio richiede,
Coperto fin a terra d’un broccato,
2836Che di bellezza ciascun altro eccede,
Il ciel di sopra in bel quadro tirato,
E’l cortinaggio ch’intorno si vede,
Con cioche spetta al magnifico thoro,
2840Tutto era del medesmo panno d’oro.
Son le colonne a sostentar parate
Da rubicondi, e candidi Leoni,
Col forte dorso rette, e sostentate,
2844Scolpite a fiori, a fogliami, a festoni,
E riccamente per tutto dorate,
Qual fan l’impresa in cima de bastoni
In unita legati, che fan loco
2848A quattro vasi d’or, ch’ardan di foco.
Il palco, che ricopre il nobil sito,
Di rose d’or come fa’l sol risplende,
E d’intagliati fregi è compartito,
2852Quanto per ciascun verso si comprende,
In vari luoghi in questo, & in quel sito,
Il rosso Diadema ampio si stende,
A far dolce ombra alle felici insegne,
2856Di questa, e di maggior corona degne.
Sotto un dorato, e vago Cornicione,
Ch’alla camera illustre fa ghirlanda,
Un ricco fregio con molta ragione
2860Pinto cinge la stanza in ogni banda.
L’or, che piu imprese v’adorna, e compone,
Agli occhi di chi mira un splendor manda,
Che prima ti confonde, e poi la luce
2864Chiara via piu che prima ti produce.
Il cortinaggio, che fa’l guarnimento
Dal fregio fin all’infimo confino,
E' dun broccato di splendente Argento,
2868E d’un velluto, e nobil cremisino,
Di quest’intorn’intorno’l muro è cento,
Tal ch’ogni ingegno eccelso, e pellegrino
Haria troppo da dir del luogo degno,
2872Non ch’io col debil mio, e freddo ingegno.
La sedia, che d’Apollo il carro adorno
Fa, quando splende per ogni hemisperio,
Non credo a quelle, che son qui d’intorno
2876Toglia la luce, la gloria, e l’imperio,
Di lungo mi saria mancato’l giorno,
Se d’ogni ricco, e sottil magisterio
Havess’io visto l’opre, ch’in un fascio
2880Compresi insieme, e però dirne lascio.
Lo spazzo, ch’a calcare a piedi è messo,
E' di terra Maiolica incassato
Quadro, per quadro, e tanto ben commesso
2884Che par tutto d’un pezzo tragittato:
D’armi e d’imprese è la pittura d’esso,
E di vivi color ben campeggiato
E', tutto il resto, e quel ch’il fa piu degno
2888E', la pittura, e’l suo matur disegno.
Levato poscia un velluto, ch’ascosa
Tenea la porta, che piu drento mena,
Intrammo in una stanza gloriosa,
2892Ch’anch’lla al freddo l’orgoglio raffrena,
L’edifitio parato a far tal cosa
E' una Torre, di gran storie piena
Del gran Moise, e di sua gente eletta,
2896Ch’oltre misura a riguardar diletta.
D’un bel velluto negro un sopracielo
Sopra una nobil mensa appeso pende,
Ch’un magno panno del medesmo pelo
2900Per lungo al mur fino a terra distende:
Fassi di questo a commensali un velo,
E maesta non poca al luogo rende,
Perch’è fornito di dorate imprese,
2904Piu ch’io non so nel narrartel cortese.
Una lettiera a mille intagli finta
Nel piu ampio canton s’ha’l sito eletto,
D’un cortinaggio attorn’attorno cinta,
2908D’un nobil cremisin degno, e perfetto,
L’opra è di raso in pavonazzo tinta,
E del medesmo è ricoperto il letto,
Pien di ricami assai d’oro, e d’argento,
2912Che splender fanno il ricco guarnimento.
Di color verde in un velluto bello
D’un gran ricamo infra piu rose, e fiori
Nato si vede il grande Emanuello,
2916Ch'è Re dei Re, e Signor de i Signori,
La Regina del Cielo, e’l vecchierello,
L’asino, il Bue, le Pecore, i Pastori,
E gli Angelletti, ch’al misterio stanno,
2920Che sien vivi a chi mira parer fanno.
D’un bel tapeto un mirabil quadretto
Di seta, e d’or piu nanzi alquanto è posto,
Che mostra vivo il discepolo eletto,
2924A cui non fu di Dio’l secreto ascosto,
Quando alla cena in su’l sacrato petto
Dormì, perche gli fusse il tutto esposto.
L’angel gli parla, di cui bocca scrisse
2928La sottil, e profonda Apocalisse.
Coperto è’l mur del luogo in ogni lato
D’un odorifer, terso, e nobil legno,
D’armi, e festoni, a vaghe frondi ornato,
2932E polite tarsie di bel disegno:
Di questo il Palco anch’egli è fabricato,
Dove son poste a compartito segno
Rose, arabeschi, imprese, intagli, e fregi,
2936Coperti d’or da piu pittori egregi.
Oltre al narrato, e nobil fornimento
Han le camere tutte al servir loro
Baccini, e vasi di splendente argento
2940Smaltato d’armi, e ben ornato d’oro:
Pettin d’avorio in le lor casse drento,
Con acque tolte dal superno Choro,
Che nel lavar le man con esse e’l viso,
2944Par che s’apra all’odore un paradiso.
Di Renso molti signoril mantili
Per ordin sono in vari luoghi appesi,
Con frange d’oro, e ricami sottili,
2948E piu profumi in varie parti accesi,
Savonetti d’odor, scelti, e gentili,
E piu tapeti qua e la distesi:
Specchi di varie foggie, e candelieri
2952D’argento a sostentar bianchi doppieri.
Un numer grande farieno i cuscini
Ch’ornano i letti, e gli aurati seggi,
Di damaschi, broccati, e cremisini,
2956Corami d’oro, & altri panni egregi,
Coperti di scarlatti vaghi, e fini,
Non so qual numer gli scanni pareggi,
Con tanti altri ornamenti in ogni parte,
2960Che dir non ne potrei in mille carte.
O quanti quadri di nobil pittura
Son quinci, e quindi per tutto distesi.
O quanti bronzi, e marmi di scoltura,
2964Son sopra porte, e cornicioni appesi.
O quante per la notte ombrosa e scura
Lampade son con vaghi lumi accesi,
Chio non ti scrivo, perche l’alte imprese
2968Nel guardar questo mi fer discortese.
Quante finestre ha’l bel Palazzo attorno
Da tersi vetri son serrate, e cinte,
Accioche vi risplenda’l chiaro giorno,
2972E le stanze non sien dal vento vinte,
Piu imprese involte con ghirlande attorno
Nel chiaro vetro son con arte pinte:
E chi la state vuol dolce aura, o vento
2976S’aprano, e serran tutte in un momento.
Hor perche Phebo spronava i destrieri
Verso la Spagna, e’l dì veniva manco,
Dir non ti posso gli ornamenti intieri,
2980Simili a cui gia non fur visti unquanco,
Che da parte lasciai mal volentieri:
Perche giammai sarei rimaso stanco
Di rimirarli in questo, & in quel corno,
2984Se non m’havesse abbandonato’l giorno.
Però si volse a me la guida mia,
Accio piu nanzi accelerassi il piede,
Fin che s’arriva per propinqua via
2988Dove una magna, & ampia sala siede:
Quivi ha da farsi una gran libraria,
Di ciò ch’ogni scienza vole, e chiede,
Accio ch’i gentil spirti habbin tal dono,
2992Ch’in tutto alle scienze dati sono.
Ver è che i libri ancor non v’eran messi,
Ma che in breve vi fussen si sperava,
Che d’onde a tor s’havesse’l numer d’essi
2996Alquanto in dubbio fino allhor si stava:
Ch’aragunar tanti, e tanti processi;
D’onde d’ogni scienza il buon si cava,
Bisogna sien di tal maniera eletti,
3000Che sien purgati da tutti i difetti.
Accio che quando un testo non s’intende
Di tutti gli altri, che son triviali,
Per l’interprete falso, o ch’altre mende
3004Fan che non sieno i sentimenti uguali,
Come ben spesso accade a chiunque attende
A far le lodi sue sempre immortali,
Quivi si possa a man salva venire,
3008Accio che possa il vero in luce uscire.
Ogni ornamento della Sala bella
Nel fiammeggiar dell’or tutto s’accende,
E nella prima faccia in capo a quella
3012La Regina del Ciel degna risplende,
Quella dico io, che de mari è la stella,
E ch’a salvare il gregge umano attende,
Et ha nel grembo verginale, e pio
3016CHRISTO GIESU figliuol del magno Iddio.
Ghirlanda fan, d’amor divino ardenti
Intorno intorno più spirti divini,
Che nel suonar de i celesti strumenti,
3020Et adorar GIESU con dolci inchini,
Fanno stupir le vagabonde genti,
Che piu calcato non han tal confini;
Anzi d’amor divin porgano un zelo
3024Simil a quel che si fruisce in Cielo.
Quivi dal ver ritratto è’l Cardinale
Che genuflesso adora’l gran Messia,
Che sott’all’ombra dell’angelich’ale
3028Par che fatto divin fra gli altri sia
Dunque divino in Ciel, fra noi immortale
Il magnanimo suo gran nome fia:
Perche questo nell’uno, e l’altro stato
3032Le virtù proprie, e la bonta gli han dato.
Quel che del Vescovado il titol tiene,
Ch’in Ciel fra piu beati hoggi riluce,
Con le sue sante man di gloria piene
3036Presenta al magno Iddio’l Tridentin Duce
E par che con parole liete, e serene
Voglia pregar l’immensa, e chiara luce
Ch’al suo Vicario, e Tridentin Signore
3040Voglia appagar della sua grazia’l core.
Nel resto della faccia al destro lato
Sotto un bel padiglione è’l gran Pastore,
Ch’in la Teologia fatto beato,
3044E nella Chiesa il principal Dottore,
Dall’altra banda è’l facondo Barbato,
C’ha posto nella legge ogni splendore:
Che mentre i vecchi testi, e nuovi espone
3048Tien alla guarda il suo fido Leone.
Al dirincontro è pinto in l’altra parte
Il venerando, e profondo Heremita
C’ha compilate tante, e tante carte
3052Ove si vede scienza infinita
Non lunge è’l quarto anchor, dalla cui arte
E' di Theologia gran parte uscita:
Delle cui lode infra’l popul Christiano
3056Hoggi splende, e gioisce il gran Milano.
Nell’indorato Palco, ricco, e bello,
Che riluce in la sala come un sole,
Di Ssemidei si discerne un drappello
3060Nutriti, e nati in le celesti schuole,
Che con le tempre del divin martello,
E con pensate, e prudenti parole,
Dotati dal splendor dell’alto stato
3064N’han le scienze chiare dimostrato.
Ciascun per se d’ampio quadro precinto
Ornato d’oro, e di vago colore
In vivi gesti è lineato, e pinto
3068Per man d’un degno, e d’un sottil pittore,
O Dosso Tridentino, ecco’l procinto,
Che portar te n’ha fatto via l’honore,
Ch’in ver della pittura è questa l’opra,
3072Che va con l’eccellenza all’altre sopra.
Quando ch’io mi specchiai nell’opra bella,
Che cuopre della sala ogni confino,
Mi riccordai della magna Cappella,
3076Opra di Michelagnol Fiorentino:
E trascorse la mente infino a quella,
Ch’il Chigio fe gia far nel suo giardino
A Raphaello, e comparando’l tutto,
3080M’è parso il tuo si buon come il lor frutto.
Al primo aspetto mi venne Platone,
Ch’alla Philosophia tre parti diede,
E la descrisse con tanta ragione,
3084Ch’infusagli dal Ciel fusse si crede,
Tutto contemplativo’l gran vecchione,
A chi’l rimira un silenzio richiede,
E par con gesti accenni all’intelletto
3088Di voler esplicar qualche bel detto.
A parte era Demostene il facondo,
Che nell’aspetto mi messe terrore:
Di cui non s’è trovato ancho’l secondo,
3092C’habbia quanto egli nell’orar valore.
Piu nanzi è lo splendor di tutto’l mondo,
Che scelse fuor dei naturali il fiore,
Aristotil dico io, c’hoggi si vede
3096Tener fra gli altri l’imperio, e la sede.
Mentre stupivo a rimirar tal cose
In Socrate m’affronto ivi in pittura,
Che degnamente l’Etica compose,
3100E dichiarolla con mirabil cura.
Appresso a lui quel ch’il bel nome pose
Alla Philosophia con gran misura,
E che pensò ch’un alma a cui mancasse
3104Il corpo suo, d’un in l’altro vagasse.
Miro piu inanzi, e veggio’l gran vecchione,
Che fiorir fece il nome a Medicina,
E con grand’arte, e perfetta ragione
3108Dilucidò la scienza divina.
Galeno a parte i suoi precetti espone,
Et ogni setta Empirica ruina,
E con vive ragioni alte, e preclare
3112Fa della gran scienza un ampio mare.
Piu nanzi è pinto il sottil Euclide,
Ch’a geometrizzar par tutto intento,
E sopra un libro in piu parti divide
3116Quadrati, e cerchi co’l proprio strumento.
Boetio appo costui gioioso ride
Compilando di Musica ogni accento.
Parmenide ancho v’è, e mostra come
3120Al Silogismo dè il principio, e’l nome.
Evvi il gran Tolomeo ch’in man la sphera
Tien contemplando de i gran Cieli il moto
Per dar di quelli a noi notitia vera,
3124E farne’l mondo in ogni parte noto.
Vegganvisi dipinti in forma vera
Alberto Magno, con Thomaso, e Scoto,
E’l Cordubese, e ciascuno a sua voglia
3128Par, che Aristotil s’interpreti, e toglia.
Viddivi’l magno, e pio Giustiniano
Ch’il Codico, e’l Digesto esaminava:
L’elegante orator Quintiliano,
3132Che l’opre sue con la penna limava.
Evvi’l facondo, e dotto Prisciano,
Ch’il greco tutto, e’l latin ruminava,
E Plinio anchor, che fra gli altri si gloria,
3136Della sua naturale e dotta historia.
Evvi annotato il magno Cicerone,
Che d’eloquenza ogn’alto ingegno abbomba,
Che del suo glorioso, e bel sermone
3140Per tutto’l mondo fa sonar la tromba
Tal, che si sente in ogni regione,
Che de i suoi gesti, e lode Echo rimbomba,
Fattosi al fin fra tutti gli altri degno
3144Di tener d’eloquenza il scettro, e’l regno.
Vedevisi’l poeta Mantovano,
Che tien della degna arte il primo honore:
A cui non è’l dolce Ovidio lontano,
3148Ch’è della Poesia lo specchio, e’l fiore.
Scorgevisi piu inanzi il gran Lucano
Che d’Affrica canto’l sito, e’l furore:
Horatio anchor, che con piu versi, e carte
3152Notò di Poesia la nobil arte.
Cosi finisce il superbo lavoro
Del magnifico Palco, & eccellente,
Dove de i Semidei risplende il Choro,
3156Che luce dall’Occaso all’Oriente:
In vintiquattro quadri messi in oro
Son (se ben dai alla pittura mente)
Posti per dare alle virtu memoria,
3160Onde risulta ogni fama, ogni gloria.
Hor havendo al mirar preso gran cura,
Per richieder cosi le cose belle,
Gimmo in un luogo corso d’ampie mura,
3164Ove per tutto è dell’opra d’Apelle.
Poscia nel fine una Torre sicura
Parata per ricever le donzelle
Della magna Regina ritrovammo
3168Aperta, e per veder dentro passammo.
I degni alberghi, i nobil paviglioni,
Le ricche Cuccie, i superbi ornamenti,
I cortinaggi, l’imprese, i festoni,
3172I ricami di seta, e d’oro ardenti,
L’Aquile altiere, i feroci Leoni,
I verdi Allori, e le Palme vincenti
In un tratto mi fer tanto splendore,
3176Che m'avvamporno gli occhi, i sensi, e'l core.
Ma mi giovò che piu celesti odori
Di Muschio, d'Ambra, acqua Nampha, e Zibetto,
Che di piu profumiere uscivan fuori,
3180Mi circondorno, e raddolcirno'l petto,
E piu ghirlande di vezzosi fiori,
Che giacean strate sopra ciascun letto,
Altrimenti nel gir del bel procinto,
3184Restavo dalla luce offeso, e vinto.
Le pitture eccellenti in ogni banda
Non mancan quivi di perfetto ingegno,
Ne fregi degni, che faccin ghirlanda
3188Sotto al dorato palco unico, e degno.
Tanti ornamenti in ciascheduna banda
Son, ch’al supremo, e celestial regno
Fanno assembrar questo rimoto loco,
3192Da consolare ogni ingegno non poco.
Dissi allhora infra me quando l’ancille,
A cui parato è’l remoto gioiello,
Quivi saran tutte liete, e tranquille,
3196Non fia del Ciel questo loco men bello,
Ne risplendan lassu tante faville,
Di quante mi pensai risplender quello:
Perche i lor lieti, & angelici visi,
3200Facean per tutto cieli, e paradisi.
Cosi uscendo ambi di quindi fuore
Al socio dimandai, chi fusse quello,
C’havesse cura di tanto splendore,
3204E di tenere ornato’l bel gioiello,
Et ei rispose un gran ricamatore,
Attende all’edifitio eccelso, e bello,
Del cui gentil ingegno è’l bel lavoro,
3208De i ricami, c’hai visti in seta & oro.
Mirabil arte, e pelegrino ingegno
Questo spirto gentil capisce, e tiene,
Che come hai visto di divin disegno
3212Son tutte l’opre sue ornate, e piene:
Però‘l suo Sir, che lo conosce degno,
Provision gli dona, e l’intertiene,
Et hagli dato cura, e largo impero,
3216Di mantenere’l divin magistero.
Allhor gli dimandai di che paese
Fusse costui tanto in tal arte eletto.
Et egli a me, di patria è Veronese,
3220Francesco da ciascun per nome detto,
Piacevol molto, gentile, e cortese,
De i virtuosi camera, e ricetto,
Degno per sua virtude, e gentilezza,
3224Di molte lodi, & immortal chiarezza.
Quando io sentii della patria’l tenore
E di Francesco’l nome a me diletto,
Mi sentij raddolcir gli spirti, e’l core,
3228Et empirmi di gaudio, e gioia’l petto:
Perche mi ricordai d’un mio maggiore
Amico, di tal patria, e nome detto,
Che nel vago giardin di mia Iatria
3232Mi fe ne miei colloqui compagnia.
Nella casa de i Danti, ove Parnaso
Alloggia con sue muse ogni stagione,
Nacque il facondo, & eloquente vaso,
3236Essempio ver del terso Cicerone,
Da me trovato per gran sorte a caso
Nell’intrar dell’Anania regione,
Ove con la virtu, ch’in lui contiensi,
3240M’ha piu volte appagato il cuore, e i sensi.
Poscia passando per il corso fuori
Domando, avido anchor di piu sapere,
Chi sieno stati i valenti pittori,
3244C’han tante cose finte in piu maniere,
Perche gia degni d’immortali honori
Son, come all’opre lor si po vedere:
Che veramente i lor pennelli altieri,
3248Fanno i concetti loro apparir veri.
Rispose egli da’l Dosso, e’l Romanino
In fuor, ch’al carro tolse un caval fuore,
Tutto il rest’è di Marcel Fogolino
3252Maestro ver d’unire ogni colore,
Che come al paragon sta l’oro fino,
Cosi con tutti è stato’l gran pittore:
Onde restato al fin con la vittoria
3256S’ha acquistato immortal lodi, e gloria.
Delli scultori il nobil Volterrano
V'è stato certo in tal materia degno,
Che maggior parte ha fatto con sua mano
3260Della scoltura, e co’l matur disegno:
Giostrato ha seco il gentil Padovano,
Che quasi dell’antico ha tocco’l segno,
E se vederne’l ver te ne diletta,
3264Gli sculti marmi’l mostran del Ciurletta.
Restava anchora a vedere il giardino,
E Phebo al monte havea gia ’l carro doro,
Però di quindi prendemmo ’l camino,
3268Lasciando per le Dame il nobil choro.
E per certo traverso più vicino
Scendemmo nel Cortil magno, e decoro,
Onde la strada piu maestra, e corta
3272Si prende, ch’al giardin conduce, e porta.
A tal servitio una commoda scala,
Che nel basso trapassa, è fabricata,
Che sotto all’altra, che ascende alla sala,
3276Di ben composte pietre è collocata.
Per questa in una stanza giu si cala
Tirata in volta, e molto bene ornata
D’honorevol pittura, e prospettiva
3280Tratta dal naturale, e forma viva.
Quindi per una porta ampia, e superba
Si va nel vago, & ameno giardino,
Che copia grande in se capisce, e serba
3284Di vaghi fior, ch’ornano ogni confino:
Quivi si truova ogni odorifer’ herba,
Da cui rispira un tal odor divino,
Ch’a chiunche drento va il nobil vapore
3288Appaga, & empie di dolcezza il core.
Scolpito in bianco marmo un fonte vago
Nel mezo del giardino in alto sorge,
Che faria d’acqua un copioso lago,
3292Tanta ne gitta in vari luoghi, e porge.
Nel suo piu alto una eccellente imago
Del dio Nettuno scolpita si scorge,
Che da marine conche in piu rampolli
3296Distilla l’acque cristalline, e molli.
E' levato da terra il vaso degno
Quanto ricerca una commoda altezza,
Scolpito in tondo con sottil disegno,
3300Di gran capacita, d’ampia larghezza.
Il piè, che sotto è posto a far sostegno,
Sopra tre magni gradi fa fermezza,
Per cui si sale a tor delle chiare onde,
3304Che il marin nume nel bel vaso infonde.
Siede egli sopra una molto eccellente
Colonna, che del vaso in alto mira,
E nella destra ha l’acuto Tridente,
3308Con cui raffrena al mar l’orgoglio, e l’ira.
Quivi tante acque dal vicin torrente
Chiare conduce al suo volere, e tira,
Che quando asciuga Apollo il bel giardino,
3312Irrigar se ne puote ogni confino.
Il vago fonte un nobil pavimento
Di vaghe pietre in ampio cerchio serra:
Dove incassato un numer grande è drento
3316Di metalliche canne ascose in terra:
Dalle qual con grande arte in un momento,
Secondo s’apre un istrumento, e serra,
Saltan con furia l’acque all’improviso,
3320C’hanno a piu dame gia bagnato il viso.
Di vasi figolini, ove herbe, e fiori
Piantati son, si vede un numer grande,
Da poter far di diversi colori
3324Ne tempi suoi amorose ghirlande:
L’amenità de i refragranti odori,
Che per tutto’l giardin Zephiro spande,
E tal, ch’ogni affannato, e tristo core
3328Spogliarebbe d’affanno, e di dolore.
La Maiorana, & altre herbe odorifere
In varie forme per piu vasi crescano.
Intessansi in augelli, & altre cifare,
3332Che dall’ingegno, e non da natura escano,
Altre varie herbe assai vi son fruttifere,
Che in eccellenti cibi al fin riescano,
E molte anchor, ch’a Medicina porgano
3336Le virtu loro, in vari luoghi sorgano.
Sonvi alcune capanne accommodate,
Ch’usar molto si soglion ne i giardini,
Che fan dolce ombra nella calda State,
3340D’hedera ricoperte, e gielsomini,
Altre di Matriselva son serrate,
Di Lupoli altre, altre di Balsamini,
Altre d’altre herbe versatili, e belle,
3344Che fanno vari fiori, e campanelle.
Gli Allori, i Mirti, gli Aranci, i Limoni,
I Cedri, i Pruni, i Giuggioli, i Granati,
Et altri frutti dilicati, e buoni
3348Per tutto son con grand’arte piantati:
Alle cui ombre stan vaghi Pavoni
Per cosa rara dall’India portati,
Che fra l’herbette, e i fior bianchi, e vermigli
3352Menano a schiera i piccolin lor figli.
Lo Spigo, la Lavanda, e le Viole,
Le Rose varie, i Garofani eletti,
E ciascun fior, ch’in prezzo haver si suole
3356Fan pe’l vago giardin mille boschetti.
Parano intorno intorno al muro’l Sole,
Sopra le strade verdeggianti tetti
Di nobil Viti, che ne i caldi mesi
3360Tengan di Bacco i vaghi frutti appesi.
Sotto una loggia in disparte locata
Si vede un magisterio di Natura
Di certa grotta in bel modo formata
3364D’un tufo, ch’una pietra salda, e dura
Sembra, e perch’è da chiare onde bagnata
Tutta è coperta d’herbe, e di verdura
Di quella, ch’in opache, e fredde valli,
3368Nasce fra sassi, e liquidi cristalli.
Quivi fra scogli il gentil giardiniere
Ha fabricato un forte castelletto,
Del qual vien fuore a spiegate bandiere
3368D’armati fanti un vago drappelletto:
Che gran galantaria mostra a vedere
In ordinanza’l battaglione stretto,
Qual vien dall’acqua mosso a passo a passo
3372Nel voltar d’una ruota sotto al sasso.
Fra certe vallicelle in piu confini,
La bella piaggia è d’edifici piena,
Fra i quai si vede ingegnosi mulini,
3376E l’acqua; che le ruote volge e mena,
Quanto alla grotta piu tu t’avvicini,
Tanto piu ti si mostra esser amena,
Tal ch’il mormorio dolce è’l grato aspetto
3380Di sonno empie agli astanti il viso e’l petto.
Se cinquantasette anni in altro lato
Dormì’l buon Epimenide in quiete,
Quivi non penso fusse anco svegliato,
3388Tanto di sonno gli haria fatto sete
Quel mormorar dell’acque, ch’è si grato,
Che tende a gli occhi un’invisibil rete,
Qual come alle palpebre alquanto attiensi,
3392Sopisce l’intelletto, il core, e i sensi.
Havendo hor visto il superbo giardino
Passammo via per una porta bella
Fin che arrivammo ove d’ogni buon vino
3396Ha’l sito suo l’amenissima cella,
Ch’in piu rampolli il bel liquor divino
Per questa botte distilla, e per quella
Di modo, c’havendo io quel giorno’l core
3400Scaldato gli amorzai ogni calore.
Dinanzi alla cantina è posto affronte
Un Refettorio eccellente, e decoro:
Ove discende d’un propinquo monte
3404Con sottil arte, e pregiato lavoro
Un chiaro, fresco, ameno, e nobil fonte
Da guazzar i cristalli, e vasi d’oro,
In cui’l dolce liquor si tira, e mesce
3408Quando spumante dalle gran botti esce.
Sopra una grossa botte e smisurata
Un Bacco in capo della porta è posto,
Che con un gran boccale ogni brigata
3412Par che ridendo inviti a ber del mosto.
La gran Cantina è per forza cavata
In un dur sasso sotto terra ascosto,
Dove; quando la state il Sol dà impaccio,
3416Piu freddo è il vin che bianca neve, o ghiaccio.
Lunga è la stanza quanto un occhio mira
Dove stanno i gran vasi di vin pieni:
Da cui un tanto odor risorge, e spira,
3420Che par ch’ogni cuor mesto rassereni.
Sforza’l bel loco ogn’un che v’entra e tira
A dover ber dei suoi liquori ameni:
Che ne i cristalli ogn’un per se distinto
3424Sembran Topazio, Rubino, e Iacinto.
Hor, perch’il Sol girato haveva intorno
Tutto il nostro hemisperio, e Cintia bella
Gia ne mostrava l’uno, e l’altro corno,
3428E lucer si vedea gia qualche stella,
Uscimmo fuor dell’ameno contorno
Per ritornare a nostra antica cella,
Con tanta gioia, e con tanto diletto,
3432Ch’il cor ne giubilava dentro al petto.
Cosi essendo sulla piazza uscito,
Ove risiede l’edificio bello,
Ecco ch’il popol tutto s’era unito,
3436E congregato intorno a un gran castello
Di legname ben posto, e compartito,
E molto ornato d’opra di pennello:
Intorno alqual con nobil arte, e cura
3440Era una historia di degna scoltura.
Il castello era Sodoma ben finta,
E la scoltura di Loth il successo:
Che; dovendo dal fuoco esser estinta
3444L’impudente città, pe’l brutto eccesso,
D’obedienza havendo l’alma cinta,
Fa’l vecchiarel quel che Dio gli ha commesso.
L’Angelo il guida, onde ei con sua consorte,
3448E con due figlie esce fuor delle porte.
Fatta di poi una massa di sale
Si vede la sua moglie di scoltura,
Sopra la terra un demonio infernale,
3452Ch’a tutto’l popol faceva paura.
Gia mai non viddi il piu stranio animale,
E la più brutta, & horribil figura,
Che minacciava alla città meschina
3456Fiamma, destrution, fuoco e ruina.
Deliberai anch’io quivi restare
Alquanto per veder questo artifitio,
Ch’allor allhor si doveva abbrusciare
3460Per la sentenza del divin giuditio.
Intanto alle finestre il Re appare,
Onde ben si scorgeva l’edifitio:
Perch’era in lui di veder desiderio
3464De i fuochi lavorati il magisterio.
Mez’hora fu dopo l’Avemaria,
Quando fu’l segno largamente dato,
Allhor sparò infinita artigliaria,
3468Ch’era piantata all’incontra in un prato,
Che parve uno squadron di fantaria
Nel fatto d’arme al primo assalto intrato,
Tanto piu, ch’in piu luoghi bassi, e scuri
3472Si sentivan sonar mille Tamburi.
Intanto il tremebondo Farfarello
Sputò per bocca una saetta al basso:
Qual messe’l fuoco nel finto castello
3476Con tanta furia, ruina, e fracasso,
Ch’in un momento tutto accese quello,
Ch’a veder fu solennissimo spasso,
Gir dieci mila raggi in aria a volo
3480A toccar fino all’Orsa, al freddo Polo.
Delle Trombe di fuoco artifitiato
Gran numer v’era, e vari altri strumenti,
Ch’intorn’intorno accesi in ciascun lato
3484Sputavan fuor le grosse palle ardenti:
Qual nel cascar fra’l popol congregato
Facean per tutto sparir via le genti,
Ne men rumor facean, ch’artigliaria
3488Ch’a qualche terra la battaglia dia.
Le faville ch’uscìan dalle girelle,
E’l folgorar de i raggi, e dei soffioni,
Givan volando su fin alle stelle,
3492Fendendo l’aria, e le sue regioni.
Un infinito numer di facelle
Erano accese in diversi cantoni
D’un tal liquor temprate in ciascun loco,
3496Che tutta notte acceso viste’l foco.
Tutte le Torri, e Merli della mura
Piene eran di facelle, e di lumiere,
Che giorno chiar la notte ombrosa e scura
3500Per il grande splendor facien parere,
Da certi scogli d’infinita altura
Fuor della terra si vedean cadere
Nello scur della notte fiamme ardenti,
3504Qual menavan per l’aria a volo i venti.
Tal che ciascun, che vidde il bel Castello
Arder di foco, e folgorar saette,
Penso che fusse nulla Mongibello,
3508O Etna, quando al Ciel le fiamme mette,
Ne credo tal fusse il vero flagello,
Ch'a Sodoma il tonante eccelso dette,
Non facendo io pero al Ciel ingiuria,
3512Qual fu del finto il furor, e la furia.
Finito'l fuoco ogn'un prese la via,
Ch'eran di notte sonate due hore.
Però seguitando io la scorta mia,
3516Mi fe la sera al suo albergo honore.
La mattina per tempo a mia Iatria
Me ne tornai pien di tanto stupore,
Ch'allei volendo'l sucesso narrare
3520Ero confuso, e no'l sapevo fare.
Cosi fin hor Signor mio Illustrissimo
Restato sommi nella valle amena,
Dove dì gentilezza un mare amplissimo
3524La nobil casa vostra adduce, e mena:
Per la cui gloria il gran Monarcba altissimo
L’ha nel vostro cospetto hoggi ripiena
D'una si degna, e honorevol Prole,
3528Che fra noi splende, come in Cielo il Sole.
E che sia ’l ver chi ben rimira attento
Vede di nostra legge in voi ’l ridutto
Per haver voi con vostre virtu spento
3532Il foco cbe gia 'l Tebro harebbe asciutto.
Cessa per voi d'ogni heresia 'l spavento
Tal che gia Roma n'ha sentito 'l frutto.
In voi si vede certo ogni grandezza,
3536Ogni virtu ch'il Cielo e'l mondo apprezza.
Chiar si conosce a guardarvi la fronte
Ch'in voi d'ogni virtu regna una pianta.
Appresso al vostro cuor nasce 'l gran fonte
3540Ch'irrigal piede a nostra legge santa
Cardin, Colonna, Seggio, Scala, e Ponte
Sete dove Heresia la fede schianta.
Fermando in voi ogni virtu sua sede
3544Vi fate scudo a nostra santa fede.
Chi ben rimîra i vostri eccelsi gesti
Vi trova una equita matura, e santa
Chi le saggie parole, e gli atti honesti,
3548Di divin zelo ogni florida pianta,
Chi i benefitij guarda a voi richiesti,
Non trovò mai pieta, ne speme tanta:
E però manifesto in voi si vede
3552Speranza, Charita, Giustitia, e Fede.
Tal che stupir di voi vedendo 'l mondo
Stupisce anchor la mia silvestre Musa:
E però s'il dir suo non è facondo
3556Secondo la materia, a voi si scusa.
E pur hor alla fin vede ch’il pondo
Dell’opra, d’ignoranza il stilo accusa:
Perche bisognarebbe a dire il vero
3560Un Petrarca, un Vergilio, un greco Homero.
REGISTRO.
A B C D E F G H I K L M N O P Q R S T V.
Tutti sono duerni eccetto T ch'è terno
STAMPATA IN VENETIA
per Francesco Marcolini da Forlì, appresso alla Chiesa della TERNETA, Nell’Anno del Signore. M D X X X I X.
Il mese di Luglio.
CON GRATIA, E PRIVILEGIO.