Paradossi: cioè sententie fuori del comun parere/Secondo libro de Paradossi

Secondo libro de Paradossi

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Dedica libro secondo
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IL SECON

DO LIBRO DE

PARADOSSI.

CHE MEGLIO SIA NA

scere ne luoghi piccioli che nelle

populose città.

PARADOSSO.    XV.


II
O NON DUBIto punto Signor mio, ne mai dubitarò, che à molti stranissimo non paia, che meglio sia il nascere ne luoghi humili, che ne celebri et populati, ove la nobilta si vedde maggiore, et l'arti, si mechaniche, come liberali, in molto maggior pregio fioriscono, ma io fermamente conosco (oppongamisi pur chi vuole) esserci grandissimo vantagio, et havere ogn'uno più tosto da disiderare di nascere ne bassi luoghi che nelle ricche et potenti città, conciosia, ch'ogni [p. 52v modifica]

IL SECONDO LIBRO

ciolo segno di virtu et ogni minima umbra di valore, che in noi sia, con piu facilita ne faccia gratiosamente risplendere, et ovunque n'andiamo come stelle chiari apparire, la onde estrema fatica usare, et molta industria adoperare ci fora mestieri, se ne dominii celebri, nascendo, bramassimo essere di chiara fama, oltre che sempre maggior numero de valent'huomini partorito n'hanno i luoghi bassi et agietti che le alte et superbe citta, ove il piu delle le volte, regnano ire, micidii, furti, tradimenti et seditioni. Coos in prima, isola dell'Arcipellago, et di veruna grandezza ne partori lo divinissimo Hippocrate, li cui aforismi, se fussero bene intesi, in tanta miseria infermando, languire non ci converebbe, ne dette di piu l'ingenoso imitatore di natura Appelle, insieme con Filite, poeta arguto, vago, et numeroso. Datirso (il scita) nacque in un picciol luogho, Geloncio, famoso capitano nacque nella picciola isola di Mileto, in una villa di Campania nacque (secondo il parer de molti) Scipione Severo nacque in un castelluzzo di Numidia, Traiano nacque vicino a' Gades c'hora si chiama Calize, Titto (il Palestrino) nacque in'humil borgo, una villuzza di Velitri ci dette il buono Augusto, da Arpino havemo havuto Mario domatore de Cimbri, col facondo M.Tullio, una picciola anchora, et forse mal fronzuta selva, ci dette Remo con Romulo, da cui fu Roma si felicemente

dificata, et qual tento di sovvertire sin da fon [p. 53r modifica]damenti, Catilina, in quella & nato, & longamente nudrito, da Priene ci appari Biante, uno de sette savi della Gretia, da Stagira venne Aristotele, scrittore pel giuditio de molti, piu d’ognaltro polito, acuto, et artifitioso, Anacarsi usci d’un picciol borgo di Scithia, Samo ne dette il savio Pitagora et l’acuto Democrito fu Abderita, Teofrasto (il divino) fu di Lesbo, Gaio d’Antio, et Vespesiano nacque in un picciol borgo reatino. Un cotal discorso potrei similmente fare, delle cose moderne (se io volessi) ma perche so che elle sono a ciascuno bastevolmente note, volentieri le tacero et seguiro di raccontare in parte, le commodita che soliti siamo di ripportare nascendo ne borghi o ne castelli, ove ogni minima rendita par grande gli difitii quantunque men che mediocri, sono giudicati alti et superbi, siamo ragionevolmente piu alieni dalle pompe, et dannose ambitioni, et molti altri utilissimi beneficii ne riportiamo, che al presente fora troppo di raccontarli tutti. Per tanto, niuno si dolga giamai dell’esser nato in piccol giro de mura, poi che si spesso et ne passati, et ne moderni tempi, d’humilissimi borghi apparite ci sono lampadi di vera gloria degne veramente ch’ogni penna ne scrivi et ogni lingua senza pausa ne favelli. [p. 53v modifica]

IL SECONDO LIBRO

CHE MEGLIO SIA HABI/

tare nell'humili case, che ne

gran palagi.

PARADOSSO XVI.

Iuno dubito mai che le case piccciole con minor spesa non si frabricassero, et in minor spatio di tempo fabricate molto piu utilmente non si godessero S'e anchora sempre creduto, che dentro vi fusse maggior proportione, et per conseguente, piu vaghe et vistose appariscero, sono meno soggette alle insidie de ladroni, ne anche parmi che per la bassezza loro, possano si agevolmente essere dalle celesti saette percosse, et oltre che meglio si habitano, meglio anchora, et con minor spesa si adornano, L'huomo per quelle e iscusato di far feste, et di albergare principi per la stretezza della casa il che, non e gia di poca importanza, conciosia che dovunque principe alcun vada, come la tempesta vi lasci sempre il segno, sviando servidori, rompendo le vasella et anche spesso con la potenza et losenghe, corrumpendo le donne dell'albergo. Si che sovente mi maraviglio di alcuni folli et senza giuditio, li quali si ramaricano di non potere habitare ne gran palagi, et stremamente

gli rincresce d'albergare sotto gli humili [p. 54r modifica]

DE PARADOSSI. 54

et bassi tetti (come se l'anima nostra piena di vera nobilita et d'infiniti privilegi da Iddio dotata, tra il sangue et la feccia in summa stretezza non habitasse?) ma lasciamo andar questo, Chiara cosa e che chiunque considerasse che in brieve spatio di tempo si havesse ò vogliamo, ò no, da intrare in una picciola buca, sosterebbe pacientemente ogni stretto et disagiato albergo. Non possono gli angusti luoghi impedire che l'animo nostro di si nobil origine, liberamente non scorra per tutte le ampiezze del paradiso, et d'altri ameni luoghi. Per la casa bassa liberi siamo anchora da molta invidia, et da moltissimi duri incommodi, quai patir sogliono i posseditori di quelle. Io mi ricordo che nel tempo che Francesi occuparno l'infelice stato di Milano, et prigion ne menarno Massimiliano (il Sforza) haver udito spesso con accerbe rampogne, maledire il fondatore d'una bella et ampia casa, perciòche, aloggiandovi sempre dentro qualche honorato signore, era sforzata la vicinanza di sentirne gravi incommodi, spargendosi la gran famiglia (si come e di costume) per ogni intorno. Se anche aviene che la casa grande per fuoco o per altro accidente cada et rovini, menor giattura vi si fa et piu tosto si ridifica, si che io non so certo a che proposito si dilettino et gloriansi tanto gli huomini di quelle cose, donde ad essi lode alcuna non ne risulti, ma

tutta sia dell'architetto, il quale, con molto ma [p. 54v modifica]

IL SECONDO LIBRO

gistero et ornamento l'edificò, dove anchora che qualche, parte ci havessero, non e pero cosa piena di vanita cercare sua gloria dalle insensate pietre dalla tenace et ardente calce, dalli incrostati marmi, et da corruttibili travi? Et non piu tosto da be studi, dall'honeste arti, et dalle imprese gloriosamente fatte? Picciola in vero, fu la casa di Evandro, ne fu però di minor istima che si fussero l'altre reali stanze, anzi meritò d'albergare il famosissimo Hercole, in humil casa nacque Cesare, ne per cio le fu impedita ò mozza la strada alla vera virtu et finalmente al summo imperio. Consideriamo un poco in qual guisa habitasse già Scipione domatore dell'ostinata Affrica, quando per suo diporto et per sgravarsi da piu molesti pensieri, alle volte villeggiava, in qual maniera habitasse Diogene huomo veramente filosofo, di cui non fu mai per alcun secolo il piu saldo et costante petto, come habitasse angustamente il divoto Hilarione ne deserti orientali, la cui cella (come afferma santo Gerolamo) havea assai piu sembianza di sepolchro, che di humana habitatione, Galba anchora hebbe una casa si piena di fessure, et talmente da molti lati scoperta, che essendogli richiesto il tabarro et il mantello in prestanza, iscusossi non poterglilo prestare, havendo per quel giorno da rimanersi in casa, ispetialmente, veggendo poco lontano una dirotta pioggia. Giulio Druso

Publicola hebbe similmente casa talmente aperta, [p. 55r modifica]

DE PARADOSSI 55

et alla rovina inchinata, che quasi da chiunque stava di fuori, ogni sua domestica attione poteva esser veduta. Veramente che parmi desiderio piu d'ogni altro pazzo et ambitioso il volere habitare ne palagi, et havere à schifo l'humili case, quasi che possino meglio alla repentina morte, alle sciagure strane, et alle molte infirmità contrastare, ditemi voi delle storie studiosi? quando Tullo Hostilio fu dal ciel percosso non era egli nel suo real palazzo? similmente quando Tarquino Prisco fu ucciso non s'era egli ridotto nelle sue reali camere? il medesimo si potrebbe pur affermare di molti signori nelle proprie habitationi per vari accidenti morti, ma ditemi, puote in alcun modo riparare al duca d'Urbino il palazzo con tanta industria et ornamenti edificato che egli non fusse ne suoi tempi un'essempio di calamita? il palazzo di Trento struttura veramente senza paragone et si pretiosamente guernito non ha già impedito che chi lo fece dificare, non sottogiacesse anche à tutte le fortune che soggiacere sogliono li altri mortali, il palazzo del Doria opra degna di Dedalo architetto fallo forse essere più contento che si fuffe prima che tal fabrica incominciasse? che giovorno à Lucullo et à Metello i lor superbi edifitii? che giovò à Caligula et à Nerone l'haver case di tal ampiezza che abracciassero tutta la città? Stolto riputiamo adunque qualunque

si sdegna le povere case habitare et con [p. 55v modifica]

IL SECONDO LIBRO

tanto ardore cerca d'aloggiare sotto gli alti tetti ove il piu delle volte (anzi quasi sempre) habita la miseria, il tradimento vi alloggia et la fraude con l'homicidio vi fanno suo perpetuo nido, et chi non mel crede, faciane l'isperienza che bugiardo non mi trovera giamai. Considrisi un poco diligentemente et senza fallo troverassi a grandi calamita et angoscie essere sottoposti i gran palazzi, e dove si mesce piu sovente il veneno? certo ne palazzi, ove si accende piu tosto il fuoco et piu tardi si spegne? ne palazzi, ove piu spesso si apiccano le zuffe et fannosi gli homicidii? certo che ne palazzi. Fuggiamoli adunque con quella prestezza che fuggir dovremo gli alberghi de pessimi dimonii et l'humilissime stanze abracciamo, senza essere molto ubrigati a Diogene Rodiotto, a Callia, ad Epimacho, a Filone, ad Hiperbio, o ad Eurialo architetti cotanto celebrati. Imitiamo l'opere di Doxio figliuolo di Celio, il quale, primo humilmente à imitatione delle rondinelle edifico sue case, sovengaci di edificare le nostre habitationi, come huomini mortali, et non come se mai non havessimo a morire, et havere d'habitare un giorno stanze fatte di miglior ragione,

che con mortale et caduca mano. [p. 56r modifica]

DE PARADOSSI. 46

CHE MALA COSA NON

sia l'esser ferito et battuto.

PARADOSSO. XVII.

On so veramente donde si nasca che noi habbiamo e corpi nostri, si teneri et dilicati, et gli animi poi assai piu che diaspro duri, et piu che pietra insensibili, ne vego in alcun modo per che siano da temere tanto le stoccate, conciosia, che le corazze passar possino, ma non gia gli animi forti offendere, o molestare et niuno sia mai se non da se stesso veramente offeso. In vero, quelle sono le percosse che fortemente dogliono, et acerbamente gli animi nostri tormentano. Ridomi adunque io meritamente spesse fiate di alcuni, li quali si maravigliano et dolorosamente piangono, se l'amico, o il parente loro, per molte ferite muoia, ne avertiscono, che una sola sia la mortale, percioche non possono cadere in un corpo molte piaghe mortali, se una ve n'e, sara di necessita che l'altre siano o leggieri o almeno non sieno cagion di morte. Ventitre ferite hebbe Cesare, ma sol una vene fu cagione ch'egli i suoi giorni terminasse, ma Dio volesse che a molti, insieme, con e membri debilitati et mozzi fusse anchora indebilita la

superbia, et refredato l'orgoglio. Canta il Pro/ [p. 56v modifica]

IL SECONDO LIBRO

feta, HUMILIASTI SUPERBUM SICUT VULNERATUM, hai humiliato il superbo, come humiliato si vede l'impiagato et ben battuto. Io per me, tutte le volte ch'io vego alcuno a cui sia mozzo il naso, tagliata la fronte o sfregiate le guancie, non considro giamai la ferita, ma si ben la cagione perche alcuno ferito sia. Viddi gia nella faccia di alcuni valorosi cavaglieri non so che fregi, li quali, perche procedevano da honesta radice, mi pareva di vedere tanti rubini, o tanti diamanti, cosi anche, n'ho veduto molti feriti per dishonesta cagione, et parevami vedere una brutta imagine, et un'horrido spettacolo. Viddi gli anni passati un prelato con la guancia d'un gran colpo offesa, domandai della cagione et fummi da piu d'un paio detto esser cio avenuto per haver defraudato il servidore della pattouita mercede, all'hora si, ch'io giudicai quella ferita brutta, et hehbi della santa Chiesa gran piata, che introdotti fossero nel seno di quella: huomini di tal conditione, ma di questo non parlero piu per hora, perche sarebbe un'uscir del Paradosso, et voler (come dice l'antico proverbio) cittare la vecchia comedia, so bene io quel che nell'animo mi viene di dire. M. Sergio combattendo virilmente, perde l'una delle mani, et immantinente un'altra sene fabrico di ferro, et fune piu, ne meno valoroso gueriere. Sempre fu da dotti et diligenti huomini osservato, che dove la fortuna ha piu di licentia il spoliare [p. 57r modifica]spoliare et percuotere, ivi anchora havere sempre la virtu maggior travaglio. Vego io avenire a gli huomini, come avenire suole, alle cose aromattiche, le quali, quanto piu son peste et battute, tanto piu soave odore di se porgono, E chi è che non vega è travagliati et percossi dare inditio aperto della grandezza dell'animo, della fortezza, et della costanza? Confessiamo adunque che mala cosa non sia l'essere ferito, ma guardian ci (se volemo essere tenuti savi) da quelle ferite che per noi stessi ci facciamo, et da que colpi che noi, con le nostre malvagie operationi causiamo, quelle sono veramente le piaghe, alle quali, non vale empiastro, ne giova molto liquore.

NON È COSA BIASMEVO//

le ne odiosa l'esser bastardo.

PARADOSSO. XVIII.


E nascono i bastardi d'amor piu ardente, da volunta più conforme, da maggior unione de spiriti et spesse volte sieno è lor parti con ingegnosi stratagemi, et amorosi inganni conceputi, (cosa che de legittimi rade volte aviene) perchè diremo noi essere da spregiare i bastardi? perchè gli giudicaremo indegni dell'heredita paterne? perchè gli privaremo noi [p. 57v modifica] della successione de stati, et de splendidi tittoli à stati convenevoli, à me certo paiono molto più schifevoli et nel conversare noiosi, i legittimi, gli quali, il più delle volte ci nascono quasi al dispetto della natura, senza amore, senza sapore, sol per virtu della corporal unione, niuna amorosa intentione traponendosi, ne tramettendosi alcun'atto di benivoglienza, donde penso io avenga che siano anche per la maggior parte stupidi et intronati anzi che no, et i bastardi vegansi di acuto ingegno, et de sottilissimi avedimenti dotati, et essere da alta felicità quasi perpetuamente accompagnati, et veramente par che Iddio habbi di lor spetialissima cura volendo che come a cosa divina se gli difichino le case, con è loro sagrati tempii, et poche horrevoli citta hormai si trovino, ove non sieno gli hospitali de bastardelli, di modo che non senza ragione, et a Padova et in altri luoghi, simili hospitali, chiamansi le case d'iddio, sono adunque come agnoli, poi che nella casa d'Iddio albergano. Io per me (non so però come l'intendano gli altri) vego quasi tutte le cose bastarde esser et più belle et migliori ò frutti, ò cavalli, o qualunque altra cosa. Consideriamo in prima la spetie mulina, chi la può con ragione biasmare? non soffrono e muli patientissimamente tutti e stratii non sono di minor cibo? non fono più atti al portare de gravi pesi? non hanno l'andare piu [p. 58r modifica]

DE PARADOSSI 58

commodo et di maggior suavita? il che quanto piu tosto fu da reverendissimi prelati conosciuto, li quali fuggono volentieri il disagio per l'amore d'Iddio incontanente abandonarno il legittimo cavallo, et al bastardo mulo s'attennero, ma vediamo anchora piu minutamente di quanta eccellentia siano e bastardi et facciamo principio da Salomone, il quale (si come a molti piace) non fu legittimo, non pero nacque mai il piu savio, ne il piu prudente. Furono bastardi Romulo et Remo, Ismaele, Hercole, Perfes, Raimiro Re d'Aragoni signor sopra ogn'altro di que tempi virtuoso, il re Arturo, Alessandro (il magno,) Iugurta, Clodoveo re de Franchi non men santo che nell'armi possente. Constantino Re de Romani, Mercurio Trismegisto, et anche a piu moderni tempi veduti si sono con gran scorno de legittimi bastardi d'alto intelletto, et di generoso spirito, e qual fu Clemente VII. negarassi mai che egli non fusse d'un ingegno elevato, d'un maturo giuditio, d'un chiaro discorso et d'una gravita mirabile? non fu il duca Borso vero padre delle cortesie? e qual si vede a nostri tempi che in essere benigno et liberale meritamente comparare segli possi? Deh volesse Iddio per refrigerio et ornamento de l'afflitta Italia che chi successe al stato, fusse anchora sempre succeduto alla liberalita et alla cortesia, accioche la gloria Italiana mai per alcun tempo si vedesse venir meno. Che diremo


H ii
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IL SECONDO LIBRO

del signor Gioanni Sforza, gia signor di Pesaro? non era egli d'infinita bontà? non era egli ornato d'una mirabil gentilezza? che diremo di Alessandro duca di Firenze? chi è che à lui (siami detto con buona gratia de suoi aversari) pareggiar si potesse in acutezza d'ingegno, in velocita de bei discorsi, in tenacita di memoria et in altri doni dalla benignita del cielo à quella nobil anima conceduti, et al presente qual è un'Alessandro Vitello?negarassi da alcuno invidioso ch'egli non sia pieno di mirabil valore? O quanti litterati hannoci anchora dato i furtivi abracciamenti, detteronci primieramente Pietro Lombardo che per commum consentimento è detto il gran maestro delle sententie con dui fratelli, di pari dottrina et di pari pieta ornati, ma discendiamo (sel vi piace) à tempi piu moderni, hannoci dato un Iasone del Maino ch'era veramente un'armario di leggi et civili et canoniche, questo fu certamente la gloria della città nostra, questo il splendore di sua casa (anzi il sostegno) havendoli co suoi Paragrafi acquistato si belle et ampie faculta, hannoci dato un'Erasmo di Roterodamo et per opra d'un valente abbate ce lo dettero, et pur su comun giuditio de buoni, che Erasmo fusse Teologo molto pio, et Retorico piu che mediocremente facondo, la cui lodata industria, non solo risvegliò le buone lettere in

Alemagna, in Barbantia, et in Inghilterra, che [p. 59r modifica]

DE PARADOSSI 59

anche divinamente racconcio infiniti depravati autori, et ha finalmente ripieno et ornato co suoi belli componimenti tutte le librarie c'hoggidi si vegono per Europa, hannoci dato un Christoforo Longolio di Maligna, adoperandosi in tal beneficio un vertuoso Episcopo, non si poteva meritamente dir che il Longolio oltra la cognitione delle imperiali leggi fusse un moderno Cicerone? non ci dettero anche un Celio Calcagnino huomo se per civilita de costumi et per profonda intelligenza di tutte le gravi discipline, singolare ornamento et splendore della citta di Ferrara? Potrei far anchora una longa narratione di sante et virtuose donne, le quali, nacquero anch'esse senza licentia, ma per essere brieve (si come d'essere sempre disidro) pretermettero di farlo. Veramente chiunque vive con innocentia seguendo la strada dell'honore, et caminando per la via della virtu, si puo mai dire che sia mal nato, conciosia, che colui che lo genero senza suo consentimento, non gli habbi potuto imprimere nell'animo le brutte macchie di sua incontinentia, ma pò ben però ciascun bastardo santamente vivendo, sepelire il nome de dishonesti suoi maggiori. Et chi è colui di sano discorso che non volesse piu tosto essere d'impudico padre honesto figlio, che di honesto nascendo, esser poi dishonesto figliuolo reputato? (si come veggiamo troppo sovente avenire.) Il bastardo non ha comesso


H iii
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IL SECONDO LIBRO

fallo contra le sante leggi, esso non è punto in colpa, ma furono quelli da quai discese, che alle giuste leggi, da sfrenata lussuria traportati, contravennero, oltre che lo nascere illegitimamente ò in qualunque altra maniera che alle grandezze del mondo contradica, fu spesso cagione di farci divenire humili, affabili, et mansueti. Non ci dovrebbe gia per certo tanto dispiacere l'esser bastardi di poi che à Giesu nostro Signore di cui imaginare non si pò cosa piu alta, ne delle brutezze piu schifa, non dispiacque che nella santissima sua generatione vi si annoverassero le meretrici si come chiaramente appare in santo Matteo di sua maiesta fedele et diligente segretario, qui mi potrei diffundere nelle lodi delle meretrici, di cui il bastardo è vero frutto, ma perche sovviemmi d'haverlo altre fiate à contemplatione de miei amici copiosamente fatto, con assai prolissa oratione, lasciarò

di parlare piu oltre, et faro fine al Paradosso mio. [p. 60r modifica]

MEGLIO È D'ESSERE IN

pregione, che in liberta.

PARADOSSO.  XIX.


II
O non ho mai potuto per alcun tempo indur l'animo mio à credere che dannosa cosa sia l'essere posto in pregione, havendone a centinaia conosciuti che morendo sospirarno di buon cuore la pregione per dura et aspra che si fusse, intendendo finalmente che tutte le cose ben chiuse, et ben legate siano sempre con maggior cura et diligentia conservate che non sono le sciolte et libere, le quali, sono espofte al puro arbitrio di chi ha volunta d'offendere altrui. Deh quante volte la desiderata liberta in gravissimo danno si rivolse di chi troppo ardentemente la desidero. Per il che, non posso io contenermi di non maravigliarmi stremamente vegendo questa parola, Pregione, et Pregioniero, essere agli orecchi nostri, come una spina pungente et a cuori de mortali si molesta et dispiacevole che tremare, impallidire, et alle volte spasimare ci faccia. Et chi e in questa vita che nel vero pregionier non sia et libero si possa mai dire se non quando ei muore? Per ciò gridava (mi penso io) l'Apostolo Paulo, [p. 60v modifica] chi mi liberarà di questo mortal carcere? e che fai tu che la pregione, della quale tanto ti lagni, non sia un'util custodia et una secura guardia? n'ho veduto à miei giorni molti, li quali, mentre son stati prigioni, sono sempre stati securi dalli insulti de lor nimici, et usciti (come essi vanamente pensavano) alla liberta, furono incontanente da gli aversari miserabilmente uccisi. So io per cosa certa che à niuno da mai ricappito la prigione che anche non lo restitusca, benche hora al cielo come avenne de molti giusti et santi huomini, et hora alla gloria del mondo, si come di Mario al consolato di Cesare al summo imperio, di Castruccio Castraccani alla signoria della patria sua, d'il Re Mattias, il quale, essendo stato dal Re Ladislao, Re d'Ungaria impregionato, dalla pregione alla corona venne, Luigi anchora il duodecimo dal la pregione apena uscito, ne havendo anchora piena liberta di gir dove li piacesse non guari di tempo vi s'interpose che fu creato Re di Francia, et a tempi piu freschi usciti sono della pregione alcuni più gloriosi che non vi entrarno. Lasciarò il dir delle cose antiche, percioche essendo rimote dalla cognitione nostra ,elle ci dano minor delettatione, et noi altresi minor credenza siamo soliti di havergli. Io so che non fu mai il valore di Gerolamo Morono si ben noto à signori imperiali mentre visse in liberta, come fu mentre stette nelle lor forze distenuto, et il Marchese di Meregnano [p. 61r modifica]

DE PARADOSSI 61

per la prigione divenne gli anni passati piu illustre nel cospetto di Cesare che prima non era, quantunque del suo ingegno et ardire fatto havesse gia piu d'un paragone. Io non asegno pero che le prigioni, i ceppi, et le catene non possano in qualche parte impedire le nostre buone attioni, ma negarò bene che impedir possano i santi et giusti pensieri, i nobili concetti, et gli alti discorsi, li quali, mal grado di chi gli faccia ostacolo, non solo possono haver adito nelle stinche di Firenze, nel forno di Moncia et nel sasso di Lucca, ma potrebbono anchora saglire in sulla croce di Teodoro Cireneo, entrare nel toro di Falaride et penetrare nell' aspro dolio di Attilio Regolo. Essendo prigion del Doria il buono signor Ascanio Colonna non rimase già egli però impedito di operare con la sua rara prudentia, in servigio del suo signore, et fare che il prefato Doria senza molto indugiare di capitai nemico divenisse affettionato servidore di Cesare, donde poi facilmente si puotero de molti disegni colorire. Per le prigioni s'astengono gli huomini da infiniti peccati, gli occhi loro non vegono spettacoli che li anoiano, o la carnal concupiscenza destino, ne odono gli orecchi si frequentemente ambasciate moleste, o voci d'Iddio biastemiatrici viveno piu temperatamente, sono piu securi et a tempi di guerra, et a tempi di peste, non hanno da pagare tasse, tributi, o pigion di casa,

sono privati delle male conversationi che guidar [p. 61v modifica]

IL SECONDO LIBRO

sogliono altrui à mille disordini, ivi si acquista anchora humilta et patientia. Ho io veduto molte volte essere da buoni padri procurato che i lor malvagi figliuoli fussero posti in prigione perche si domassero, et dalle consuete malvagità s'astenessero, et veramente vedevoli poi uscire si mansueti et ben disciplinati che parevami venire dall'Academia di Socrate, ò da qualche altro santo coleggio ne guari è che detto mi furono cose maravigliose della compuntione che mostra havere de suoi peccati il Protonotario recalcato di modo che santo Hilarione ò santo Pacomio non si crede che stessero in si continua contemplatione delle cose celesti, come egli tuttavia stassi. Il signor Palavicino Vesconte essendo per non so che sospetto in possanza del duca Francesco, si dette tutto al studio della Santa Bibia, et talmente vi fu (mentre durò quella cattività) assiduo, che hoggidi pochi di questi frati bacchalari si trovano, che lo superino, cosa che per avanti, forse fatto non havea, anchora che d'un buono vescovato, et d'una miglior badia havesse longamente goduto, odo similmente che monsignor de Rossi vescovo di Pavia, poi che entro nella prigione essersi dato tutto al spirito di maniera, ch'egli pare doventato un Teatino, il Galateo dovento nella pregione un santarello et fermamente credo, che niuno de suoi frati, sia nel paradiso piu di lui vicino a santo Francesco,

Pietro Fatinello cittadin Luchese essendo vis [p. 62r modifica]

DE PARADOSSI. 6l

suto molti anni senza mai confessarsi et senza riconoscere Iddio per suo maggiore, subito entrato nella pregione si confesso et humil divenne piu che agnello, il simile ha fatto Rinier Gentil mentre è stato nella santa pregione sempre ha rivolto sozzopra le divine scritture et è morto come un santo, ben che in liberta vivesse come buon peccadore. O casa adunque filosofica? ò Academia singolare? ove le virtu morali tanto ben si apprendono, ove la perfetion Christiana tanto ben s'insegna, o casa gloriosa et triunfante, nella quale, non si sdegno di entrare il fattore, et redentore del mondo et dove si sente spirare sempre un fiato di bonta et di virtu. Certo chiunque ben avertisce, trovera piu sembianza di morte et maggior similitudine d'inferno ne reali palazzi che nelle pegioni, ove piu santamente si vive che ne monisteri de frati osservantissimi, nelle pregioni di rado si biastemia, di rado si giuoca anzi fannosi del continuo religiosissimi voti et porgonsi a Dio giorno et notte devotissime preghiere, o vita dolce et piena di riposo, quanto maggior consolatione si truova in te, che nelle corti de principi in quella spetialmente del gran Re de Franchi ove non scorgo da qualunque lato mi volga se non travaglio et inquietudine, veramente che mentre vi fui, l'acque, i venti, et il fuoco parvermi assai piu stabili et quieti di quella corte. Poi che adunque la pregione porta seco tanti commodi, quanti ve n'ho [p. 62v modifica] dimostrato, niuno habbi à male ne increscagli d'entrarvi, anzi Iddio ne ringratii, come del piu singolare benefitio che ricever potesse.

ESSER MIGLIOR LA

guerra, che la pace.

PARADOSSO. XX


Olti hanno (non e anchora gran tempo) fuor di modo tracorso nelle lodi della pace, tra quali vi fu Romulo Amaseo precettor mio sempre honorato, et Claudio Tolomei cittadino Sanese huomo nel vero non men dotto, che facondo benche l'uno con Latina, et l'altro con Toscana favella, et io tal qual mi sono (che certo a quelli paregiarmi ne voglio, ne debbo) constantissimamente affermo essersi amendua di gran longa ingannati, ne attendero per hora a rifiutare i lor più solidi argomenti, ma sol adduro quelle poche cose che in disfavor della pace,et in favore della discordia mi verranno per la memoria. Dico adunque per la pace spegner si incontanente la disciplina militare, per la quale li imperii, le provincie et gran giuridittioni si acquistano et acquistare longamete si mantengono,dalla guerra nacque gia si [p. 63r modifica]

spatioso campo a Retorici di parlare di Maratone, di Salamina, di Termopili, di Platea, et di Leutra, per la guerra divenne immortale Coclite, et li Detii furono tenuti quasi divini, per la guerra li G. et P. Scipioni insieme con M. Marcello sono dalli istorici a piena voce lodati, il che non avenne mai si largamente ad alcun togato pel mezo della pace, anzi veggiamo tutte le statoue delli antichi quasi vestire d'habito militare, non era già lecito appresso di alcune nobili nationi, cingersi d'altro che di un vil canape, fin che amazato non havesse almeno un'huomo, appresso li Cartaginesi fu già costume di donare del publico a lor cittadini, tante anella, quante erano le battaglie, alle quali ritrovati si fussero, ad altri anchora non fu lecito pigliar moglie sin che buona pezza guereggiato non havesse, ma perchè piglio io si dal la longa li essempii volendo mostrar la dignità della guerra? non e sofficiente dimostratione che ne la religione Christiana nati vi sieno tanti ordini militari, che la santa Chiesa con l'arme diffendino? et chi li saprebbe nominare tutti? sonovi li Gerosolimitani, quelli di santo Iacoppo, di santo Lazaro, li teutonici, quelli di Christo in Portugallo, et altri tanti tutti amici di guerra, et nati per mantenerla, dala quale germogliarno sempre cose stupende, la onde vedesi esser la pace cosa insolente, superba, orgogliosa, negligente, ociosa, corrutrice delli alti et nobili intelletti, come chiaramente in. G. [p. 63v modifica]

Mario apparve il quale nella guerra niuno hebbe superiore in bontà et in valore, e nella pace non vi fu di lui ne il più tristo, ne il più dannoso. La pace spegne cio che di meglio nell'huomo si ritrova, et la peggior parte di quello nudrisce et mantiene, ma ditemi voi che havete in odio la guerra, sono altro gli odii, le nemicitie, et seditoni che instrumenti cui spesso usa la natura à far sue buone et lodevoli operationi per salute dell'universo? per la qual cosa,penso io non senza misterio fusse da Romani chiamata la guerra BELLUM, et veramente che bella dir si deve quantunque gli effeminati et ociosi de nostri tempi aspramente ci contraditchino, ò quanti virtuosi esserciti agevolmente distrusse, non dirò la pace, ma una sol tregua che suole essere anche di virtu molto inferiore, recò ella sempre alle citta inique leggi mantenendo segreti odii, et aperta tirannide, et tuttavia facendo è costumi nostri più molli et più lascivi. Lego nelle divine scritture haver il signor nostro detto à suoi discepoli chi non ha spada venda la veste et comprisela, et esso istesso dice d'esser venuto à porre il fuoco in terra et voler ch'egli arda chiamandosi per nome proprio fuoco consumante, lego similmente nelle più sante lettere che egli era pietra di scandalo et di contradittione et amador della discordia et meritamente l'amava essendo primogenita della natura, madre del cielo, et genitrice delk'universo. Quante guerre fu [p. 64r modifica]

DE PARADOSSI. 64

rono per comandamento d'Iddio fatte ne tempi antichi? quanti micidii? quanta strage? et quante ricche spoglie volle gia che da suoi nemici si riportassero. Legansi le sacre istorie del vechio testamento et vedrassi apertamente piu conflitti, et maggiori distruggimenti essersi fatti per commandamento d'Iddio che in qualunque altro volume da Pagani scritto, crederemo noi che se Mose tanto d'Iddio familiare amico, non havesse del certo saputo, che l'amazzare et virilmente combattere fusse cosa a sua maiesta sopra modo grata, ch'egli rivolto havesse quella sua dolce et piacevol natura a si gran spargimenti di sangue, che non contento d'haver amazzato l'Egittio il qual faceva villania al suo Hebreo, che di piu in un giorno tre mila huomini uccise, gran strage ne fe Abraamo, molto maggiore Iosue, Sansone, et Giuda Macabeo. Fu si grata l'uccisione degli huomini a David che non potendone piu con le proprie mani amazzare, verso il fine della vita sua commando al figliuolo Salomone che senza fallo amazzasse Ioab et Semei, ne solamente in terra avenne che per commandamento d'Iddio si guerreggiasse che in cielo anchora Michele co suoi agnoli fece contra del dragone aspro conflitto, non si chiamo il signor nostro l'Iddio delli eserciti? di qui penso io senza fallo avenuto sia, che tante belle et proprie similitudini dalle cose militari, nelle divine traportate si sono

et noi malaccorti negaremo non esser mi[p. 64v modifica]

IL SECONDO LIBRO

glior la guerra che la pace? la qual si vede haver certissimo testimonio che à Iddio sommamente piaccia, ne tanto si conosce per gli essempii del vecchio testamento, quanto per il nuovo, conciosia che andando una fiata li soldati per dimandar à santo Gioanni qual strada havessero da tenere per conseguire salute? esso gli disse siate contenti de vostri stipendii, et non fate violentia ad alcuno, se la disciplina Christiana non havesse tenuto cara la militia, gli havrebbe detto lasciate questa arte, fatevi romiti, attendete alla mercatantia, et altre simili cose? ma gli disse contentative delle vostre prouisioni, non fate estorsioni, non fate violentia ad alcuno, che l’arte militare non vi po impedire la salvezza, anzi per questa via molti se ne sono iti al cielo, cosi parmi volesse dir Gioanni (se io non sono iniquo interprete,) Produce veramente la guerra infiniti beni, ma quando mai altro non operasse, non doma ella facilmente l’orgoglio de ricchi huomini? si fa, et meglio di qualunque altra cosa, et chi non mel crede vada nel Piemonte, vada in Milano et vedra molti superbi capi maravigliosamente humiliati, non rafrena l’insolentia del rozzo contadino? non ci smorba ella de tristi, de ociosi, et de ladroncelli? Mi soviene che partendomi questa state passata ta da Parigi per andare a vedere le divine opere che in Fontana belleo uscivano dal peregrino ingegno di messere Sebastiano Serglio, et temendo

io di [p. 65r modifica]

DE PARADOSSI 65

io di gir soletto per si folti boschi, fui con questa ragione da paesani rincorato c'hora non era da temere, concio fusse cosa che li ladroni iti se ne fussero alla guerra, che s’era gia incominciata contra de malvagi Borgognoni, ditemi anchora non fa la guerra gli intelletti nostri acuti et svegliati? non rende i corpi robusti, agili, et ben pacienti ne gli incommodi, o quanta dolcezza vi doveano sentire i Cimbri, poi che sempre cantando vi andavano, quanta il fiero Annibale? quanta l'inquieto Marcello? quanta il virtuoso Scipione? quanta il coraggioso Camillo? quanta l'ambitioso Alessandro et altri simili. Per mia fe chiunque non sapesse che cosa fusse ordine facilmente l'imparerebbe veggendo un'essercito ben instrutto, et chi non sapesse che cosa fusse accortezza, che cosa fusse ubidienza inviolabile, diligentia incredibile, una somma vigilantia, et una prontezza ineffabile non sol de mani, ma de cuori, venesse ad un ben ordinato essercito, ivi poco tempo dimorasse, ivi con qualche attentione contemplasse, et sarebbene incontanente chiaro. Dicciamo adunque tutti insieme animosamente, esser miglior la guerra che la pace, non la biasmiamo piu come siamo soliti di fare, ma lodandola piu tosto et a piena voce essaltandola, ringratiamo Iddio c'habbi posto nel cuore a nostri Principi di non lasciarcene mai mancare.


I
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IL SECONDO LIBRO

NON ESSER DA DOLERSI SE

la moglie si muoia, et troppo stoltamen

te far chiunque la piagne.

PARADOSSO. XXI.

Orrei detto fusse con buona gratia delle donne, l'inimicitia delle quali, fugo piu che il fuoco, et schivo piu che la peste, che il perder moglie sia come perdere la rogna, l'asma, la febre, o l'anguinaglia, perdita veramente da ralegrarsi piu tosto che da tristarsi. Certo qualunque si ramarica di cotal giattura vorrei considerasse se quando moglie prese, saggia et buona trovolla o pur malvagia et iniqua? se buona la ritruovo, perche non spera animosamente poter con la medesima agevolezza trovarne, un'altra simigliante? ma se con sua industria di cattiva buona la ridusse, perche non ne riduce egli un'altra di nuovo, che assai maggior lode et gloria ne riportera? Mi ramento d'haver letto che essendo pregato M.Tullio da suoi amici a ripigliar donna, poi che Terentia (la perfida) scordatosi lo fervente amore molti anni dal marito portatole, congiunta si fu di matrimonial copula con Salustio suo mortal nemico, rispondesse

non potere et alla moglie, et alli studi della ve [p. 66r modifica]

DE PARADOSSI 66

ra sapienza insiememente attendere. Non e in effetto cosa piu dura al mondo da sofferire, che ritrovarsi il letto occupato a quelli spetialmente che amano i dolci et riposati sonni, et nell'animo loro vanno sempre rivolgendo alti et nobili pensieri una sol cosa ci e, la quale ad alcuno per aventura parerebbe degna di poterci trar dagli occhi amarissime lagrime et questa si e quando si ritrovano savie, pudiche, et di lor mariti amorevoli, et io dico starsi all'hora la quiete della casa in maggior pericolo conciosia che cotali donne ardino sempre di gelosie, et sospitioni maggiori che non fanno quelle che triste sono tenute, la onde parmi di necessita sia che la casa per infinita discordia, et molto disparer alla fine cada et rovini. Mitione Terentiano disse gia, Et quello che si reputa fortunata cosa mai non hebbi moglie. Poi che adunque col prenderla perduto se ha fortuna tanto disiderata, non e ben fatto che si agevolmente con la morte si ricuperi? Non è certamente da lagnarsene. contradichi pur chi vuole. Cremete anchora appresso di Terentio in tal maniera parla, Presi donna et nacquermi figliuoli, qual sorte di miseria non vi viddi io? grande in effetto è la disgratia di qualunque piglia moglie, conciosia che se à nobile si abatte, convengagli sofferire l'alterezza et stremo orgoglio, che suol esser congiunto con la moderna nobilta, et se in saggia donna incappa, rade volte acade, che ignuda senza dote non li sia data, oltre che con


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IL SECONDO LIBRO

la sua sapienza si persuade d'esser atta a dar leggi ad ogni gran Republica, ma fate che ricca sia, voi vedrete che del continuo gli rinfacciara la dote, et veragli a noia col raccontargli le longhe genealogie de suoi parenti, mostrandoli l'arme, l'imprese, et i cimieri di cornovaglia. Io non so qual sorte di consolatione n'arrechin le moglie per che l'habbiamo a piangere quando le vanno a miglior vita, conciosia che pigliando noi bella donna per moglie, gran pena sofferir convenga per guardarla accio che di scorno cagion non sia, et pigliandola brutta, non si possi longo spatio di tempo interporre, che sforzati non siamo di separar camera, et partir letto. O che pena vedersi del continuo davanti a gli occhi certi volti tartareschi, certi occhi biechi, con nasi schiacciati et non potervi rimediar salvo con e divortii, pigliamola festante et lieta, et trovaremola ad ogni altra cosa haver il capo fuori che al governo della casa, pigliamola sofficiente et buona massaia, vedrassi tanto soperba che serva alcuna non potra pacientemente sofferirla, et chi è c'horamai non sappia esser le moglie di tal conditione, che se in casa si chiudono mai farse fine, di udirle querelare, et dir, se io mi havessi creduto di haver à star sempre rinchiusa, mi sarei fatta monaca, ò mi harei fatta murare, lasciamola andar scorrendo ovunque piu li piace, io vi so dir che daremo che dir alle brigate, et

faremo per ogni lato buccinare di noi ,mostriamo [p. 67r modifica]

DE PARADOSSI 67

li torbido viso, et subito d'ira et di sdegno tutta avampera, lasciamo che al suo arbitrio spenda et delle faculta disponga, io ti so dir che presto con sue peregrine foggie, con lisciamenti, et con ricami, ti ridurà al verde, governi l’huomo, et non permetta che a suo arbitrio spenda, o che gli furera la borsa, o che terra mano col mezaiuolo a rubbar qualche staio di grano, o matassa di lino, ho conosciuto la moglie d’un medico, la qual stava attenta quando il marito si traheva le anella di dito per lavarsi le mani, et furavagli sempre, per potersene ne ne suoi maggiori diletti prevalere, il marito, ch’era alquanto bue, et di vista corta, vi stava saldo per non poter far altro, dando sempre la colpa a chi meno la meritava, ma seguitiamo narrando la dolce vita che si mena con questi diavoli, con queste furie infernali, le quali, ti intorbidano quanto di consolatione porger ti possano o la sorte, o l'industria tua. Se il marito stassi del continuo in casa si duole amaramente che geloso, che sospettoso sia, et che fede non habbi alla gran lealta sua, se alle volte per sue bisogne, o per altro rispetto si absenta fa querela che mal consorte sia, et che punto non l'ami. Vestila honoratamente, le catene non la potrebbono tenere in casa, vuol ritrovarsi a tutte le feste, vuol esser presente a tutti e banchetti, dove se non la lasci gir quanti cancheri, quanti gavoccioli ti disidra, se ti dimostri verso della moglie troppo amorevole la ti tiene in poco conto, non ti stima


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IL SECONDO LIBRO

anzi pensa subito di tiranneggiarti, non vezeggiandola poi di continuo, vive in sospetto che in altro fuoco non ardi, et cosi sempre borbotta, sempre rimprocchia, e' che vollero dir e' poeti di Megera, ne di Aletto? certo che maggior inferno imaginar non si può di cotal stato et noi goffi vogliamo piangere s'ella si muore, piangiamo piu tosto quando elle ci entrano in casa tenendo per cosa certa che il fuoco ci entri. Dicono e grammatici che la moglie fu detta uxor ab ungendo, quasi volessero dire Onsor, perche quando entravano nelle case de lor mariti, ungevano le porte et e gangheri, à dimostrar che cagion sieno di far uscire molto piu agevolmente la casa fuor delle porte, ma lasciamo da canto le Etimologie et seguittiamo il fatto nostro. Ricordomi d'haver letto, che Pomponio Attico havesse per sue lettere pregato il buon M.Tullio dispor volesse Quinto suo fratello à pigliar mogliere, il quale nulla in cio operando, rispose ad Attico le formate parole, Egli niega potersi ritrovare cosa veruna piu dolce del libero letticiuolo et certo non si po dir il contrario, anzi parmi che sin ne tempi antichi fusse tra savi, delle moglie una tal upinione, il che facilmente appare per l'oratione di Metello Numidico esortando e Romani con ogni sua industria à pigliar moglie. Debbo io seguitare narrando le molte angoscie che à mariti porgono? non, che sarebbe un

ripettere cose troppo note, et chi e che non sappia [p. 68r modifica]

DE PARADOSSI 68

le calamita nelle quali riducono gli infetici mariti non solamente con e falsi parti, ma con la naturale ostinatione, con le bugie, et anche spesso dando hor col ferro, et hora col veneno morte à miseri consorti, aggiungiamoli l'importuna loquacità con infinite altre imperfettioni, odiose et strane, non sol al sofferirle, ma anche al mentovarle, moglie ah? parmi alle volte nome all'orecchie piu dolce, et piu grato al cuore a dir orso, drago, lupo, tigri, pantera, et griffone, Fu gia invitato Pitagora di gir alle nozze d'un suo amico, negò egli prontamente di voler andar a tali essequie. pensandosi per certo che il prender donna, fusse un morir et un sepelirsi, ne mi pare che irragionevol discorso fusse. Come possibile che con le femine lieti et contenti viviamo mai, essendo tra noi di si diversa natura? Et pur siamo si pazzi che si dolemo che la moglie si muoia, non intendo percio di totalmente escludere, che delle buone non se ne trovino, ma diro ben tre et quatro volte beato, chi se gli abatte, rare essendo quelle che triste et scelerate non sieno. Piu d'un paio ne so io, le quali, temendo di non rimaner spogliate de beni del marito, finsero d'esser gravide, armandosi de coscinetti et poi al maturo tempo del partorire trovarno una creatura dell'hospitale et dettero ad intendere al bufalaccio marito che quel parto fusse stato da lui generato. Un'altra anchora ne so, la quale, temendo di non partorir femina (come poi


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IL SECONDO LIBRO

avenne) conoscendo il marito disideroso di figliuolo maschio, providde che all'hora del partorire, un fanciullo recato le fusse et cosi fatto scacco, la sfortunata fanciulla fu condutta all'hospitale et l'aventurato straniero successe a l'heredita, o quante ne fanno et de quanti scorni sono le traditore cagione? Non e anchora guari che mi fu raccontato da un'huomo degno di somma fede esser avenuto nell'isola de Inghilterra, che essendosi coricata una gentil madonna col suo marito, adormentato ch'egli fu, levossegli dal lato, et andossi a giacere con un suo valletto d'infima conditione, et quasi per l'amor d'Iddio in casa allevato, il marito risvegliato, non sentendosi la cara moglie appresso, penso per qualche natural necessita levata si fusse, ma indugiando troppo a far ritorno, rizossi tutto pien d'affanno, temendo sopragiunto non le fusse qualche sinistro accidente, trovolla doppo longo cercare si strettamente abracciata che appena il vento vi sarebbe entrato, imaginatevi hora da voi, s'egli rimanesse intronato, o s'egli havesse cagion di piangerla morendo? se io volessi per mia fe raccontare sol una minima parte de fastidi, de scherni, degli inganni, et de dishonori ch'esse portano a mariti, crescerebbe il mio picciol volume a maggior grandezza che non crebbero le Decade di T. Livio. Pensaro adunque di por termine al mio Paradosso, essortando ogn'uno

a non pianger mai la moglie, s'ella si muore, buo [p. 69r modifica]

DE PARADOSSI 69

na o rea che ella sia, ma piu tosto a ralegrarsi, che Iddio della sua miseria divenuto pietoso tratto l'habbia da si molesto laberinto.


M E G L I O E' N O N H A V E R

Servidori, che haverne.

PARADOSSO. XXII.

Erto che ben disse colui (chi chi si fusse)quot serui, tot hostes, quanti servidori, tanti nemici habbiamo, sono adunque da nemici assediati gli huomini da molti servidori accompagnati, ne veramente senza ragione nemici li chiamaremo noi, per cio che questi son veramente quelli che rivelano altrui i segreti de padroni, che rubbano le case, et contaminano la domestica pudicitia, se non in altra maniera, almeno co ruffianesimi, et io so quel che dico, ma non mi diffundero in cotal discorso, conciosia che tante cose havrei da dire, che piu difficile mi fora trovarne l'essito, che il principio, et che peggio e poi, che gli conviene per sopragiunta de ricevuti danni largamente pascere, re, honorevolmente vestire, prontamente decidere le lor liti, terminar tosto le controversie, et di

signor doventar spesso giudice et avvocato. Tacero [p. 69v modifica]

IL SECONDO LIBRO

io di dirvi che molti habbino amazzati per picciol sdegno, et tall'hora indutti da picciola mercede i lor signori? mi ricordo communicando io col reverendo signor Cesano di tal soggetto, havermi detto che ne tempi ch'egli stava in Roma, haver veduto amazzare almeno quindici padroni da lor servidori et sol per rubargli. Sempre la seruitu recò piu danno che utile, durissima calamita porto gia a Romani una rebellione servile. Lessi io (non e gran tempo) che Cinna publico per un trombetta, che qualunque servo rifuggito si fusse a lui, sarebbe del tutto libero, il che fatto, incominciarno scordevoli doventati de benefici ricevuti, a scorrere per le case de padroni, rubandoli, svergognandoli, et stranamente contra di loro incrudelendo, ne volendo per ammonitioni cessare da si malvagie opere, per commandamento del medesimo Cinna furono da Galati uccisi, crederemo noi che senza causa scrivesse Platone, l'animo servile non haver in se integrita, ne sincerita? ne doversegli ponto credere, essendo da Giove privato della meta della mente? Trovo che per mitigar la rabbia servile fussero i Siotti primi de tutti gli altri, che instituissero l'uso de servi mercenarii, pensando per aventura di migliorar conditione, havendo i Lacedemoni avanti de gli altri Greci, incominciato di adoperar gli altrui servigi, et in segno di cio quella natione, abondo sopra modo de nomi

servili, come sarebbe di Davo et di Geta, ma cer [p. 70r modifica]

DE PARADOSSI. 70

to che miseri siamo, poi che non sapendo star senza servi ò senza servidori (che quanto alla qualita dell'animo poca differenza vi faccio) siamo a tal conditione condutti, che se il servidore ne chiede licentia siamo tenuti darglila, ne gli la potemo negare. Et se da noi stessi gli la diamo, par che egli habbi giusta cagione di lamentarli di noi dovunque egli vada, oltre che se gli donassimo cio che nel mondo possediamo, et gli mancasse un sol danaio del promesso salario, n'habbiamo fatto nulla, percioche, egli sta sempre con la bocca aperta, et quanto piu si riempie, tanto piu se gli aumenta l'estrema sua ingordigia, la quale, sodisfatta che si ritrova (se pur aviene che ella si sodisfacci mai) subbito fa disegno lasciarti non considerando i tuoi bisogni, ne havendo riguardo alle tue necessita, di qui avenne che alcuni gentil huomini della citta nostra, si sono al tutto privati de servidori, et di qui similmente avenne, che morendo nelle nostre contrade un'huomo di altissimo intelletto dotato, disse al terminar di sua vita, lodato Iddio che pur esco delle mani de servidori, ne anche penso guari sia, che per non haver a far con si mala qualita d'huomini, un gentil cavagliere mio famigliare si fece frate dell'ordine minore, certa cosa e che tu non poi mai esser ben servito, se il servidore non ti serve di buon’animo, conciosia che l'autorita nostra per grande che sia non habbia imperio sopra l'animo

di alcuno. Deh come mi rido io spesse fia/ [p. 70v modifica]

IL SECONDO LIBRO

te de molti che fanno querela dell'esser servidori? à me certo pare che a'padroni più giustamente toccarebbe il querelarsi, percio che i servidori con la liberta perdino anchora gli affanni, manchigli la cura, et e pensieri del nudrirsi à piu caristiosi tempi, et del difendersi dalle superchiarie che sopravenir possono, essendo per la servitu che fanno, posti in protettione dell'amorevol padrone, dal quale sono aiutati, difesi, et guardati come la pupilla de gli occhi, benche essi troppo ignoranti, non conoschino si giovevole et util danno (se pur danno chiamar lo vogliono) Dicammi un poco questi tali, non e più grave il peso de fi fatti pensieri che di servire gli huomini lo piu delle volte ragionevoli, et discreti? ahi quanto maggior dolore haver dovrebbono della servitù che fanno a' gli affetti et strani appetiti loro. Furono gia in servitu molte famose persone, le quali non si lamentarno pero mai di tal conditione, il che non d'altronde procedeva se non perche non erano d'ingegno basso, et servile. Platone fu servo et anche fu sempre molto maggior di colui che per servo lo comprò, Terentio fu servo, et scrisse però utilissime comedie con stil si puro et elegante, che molti si credettero fussero state da G. Celio scritte, ma dio volesse che con tanta prestezza adempir si potesse l'uffitio del giusto Re, come si adempie quello del buon servidore, non essendo al mondo cosa piu

difficile che dirittamente signoreggiare. Non tro/ [p. 71r modifica]

DE PARADOSSI. 71

vandosi adunque a' nostri tempi servidori che habbino la mente libera, giudico io esser ben fatto in tutto privarsi de lor servigi, et ugualmente odiare quei servi che non hanno l'animo libero, come que liberi che hanno l'animo servile, li quali tanti et tanti sono, che à pena annoverar si possono. Hebbe gia un servidore Diogene chiamato Manes, Il quale partendosi da lui, era confortato da suoi amici lo seguitasse, et cercasse di rihaverlo in sua possanza, rise di questo Diogene, dicendo, fora troppo brutta cosa che a' Manes desse il cuore di vivere senza Diogene, et Diogene animo non havesse di poter star senza Manes, vadisi nella buona hora che meglio è di non haver servidori che haverne.


C H E M E G L I O S I A N A S C E-

re di gente humile, che di chia/

ra et illustre.

PARADOSSO. XXIII.

E di humil et bassa natione sarai senza alcun dubbio potrai piu licentiosamente peccare et senza ratenimento alcuno scorrere per tutte le lascivie et dishonesti piaceri che nell'appetito ti caggeranno, et senza che ti si sparga

per le guancie rossore alcuno, far de li atti inde/ [p. 71v modifica]

IL SECONDO LIBRO

gni et abhominevoli, non essendovi chi con ragion ti possa dir cotesto non fecero i tuoi antepassati et cotest'altro troppo si disdice alla tua nobil schiatta. Non ti saranno ne anche preposti gli aspri et duri pedagoghi, ne dati gli tutori che ti vietino hor questa cosa et hor quell'altra, sarai finalmente libero et sciolto da una infinita servitu, la quale suole indissolubilmente seguire et accompagnare il splendore delle gran famiglie, non ti accadera pomposamente vestire, ne lussuriosamente mangiare, saratti lecito senza cariaggi d'andare ovunque piu ti piacerà non sarà si gran maraviglia se veduto sarai gir à piedi, et senza rispetto (se uopo sia) ti porrai alli altrui servigi, il che non osano di fare (anchora che strema necessita gli stringa) quelli che si ricordano d'esser nobilmente nati, anzi sempre hanno avanti a'gli occhi le fumose imagini de lor famosi avoli, et se per aventura entri nella via della vertu, tanto sempre piu chiaro et illustre doventi, quanto eri dianzi da maggiori tenebre offuscato, all'hora tutto il splendor sarà tuo, à te solo sia ogni tua bella opera attribuita, et de toi generosi fatti, altri non ne saranno partecipi, non ti usurperanno la propria lode, non il padre, non e' consiglieri non e' maestri, non e vicarii, o luogo tenenti, ne habbiamo di tutto questo veduto a nostri tempi assai espresso segno in molti signori, li quali, quantunque valorosi fussero, per esser di sangue illustre

et dal mondo tenuti nobili (Iddio sa po se a torto, [p. 72r modifica]

DE PARADOSSI. 72

o a ragione che in tal giuditio non mi voglio interporre) delle lor belle imprese, s'e dato sempremai tacitamente la gloria a lor capitani. Habbiamo all'incontro veduto alcuni altri, li quali, per esser di fortuna humile, di tutto cio che virtuosamente adoperarno la lode fu sempre la loro. Niuno ha giamai partecipato delle vettorie di Castruccio Castraccani, ne di Nicolo Picinino, ne del Carmignuola, ne de molti altri valorosi di quella eta si florida, et a moderni tempi niuno e mai stato alla parte della gloria di Ariadeno Barbarossa, ne di Andrea d'Oria, ne del signor Alarcone, ma descendo anchora piu particolarmente alla dimostratione di quanto ho promesso, cio e che i nobili sieno sovente defraudati della debita gloria, et li men nobili sempre piu tosto esaltati che depressi, benche questo per se stesso chiaro apparisca, ditemi un poco, quando il signor Galeoto Picco prese la forte Mirandola non fu anche subitamente dato l'honore a certi Mirandolesi, li quali, con esso lui dal cio scacciati si riparavano? et pur si vede ch'egli e pieno di ardire et di consiglio et atto a fare per se stesso maggior impresa. Del valore similmente et accorti stratagemi ch'usava il fignor Gioanni da medici, si dava in buona parte l'honore a messer Paulo Luzzasco, cosi delle belle imprese del conte di Caiazzo, si diceva fra molti, che il mio capitano Pozzo da Perego ne fusse potissima

cagione, vedete adunque quanto nuoca l'esse [p. 72v modifica]

IL SECONDO LIBRO

te illustre, poi che li meno illustri gli togliono si gran parte della gloria che lor si deve, il medesimo aviene anchora nel mestiero delle lettere, et che ciò sia vero, ditemi un poco per essere il Re d'Inghiltera nell'altezza ch'egli si ritruova non fu detto per cosa certa, che l'opra da lui contra M. Lutero scritta era di Thomaso Moro huomo singolare et già dell'isola cancelliere? Il concilio similmente del vescovo di Colonia cotanto istimato non fu egli attribuito ad un suo segretario Tedesco? Che dirò del'opra del signor Alberto Pio contra del buono Erasmo? non fu detto come apparve in luce ch'era fatica d'alcuni suoi creati? et pur si sapeva da ogn'uno ch'egli era un'armario et un forte di varia dottrina, ma vegasi anchora meglio quanto nuoca l'esser di chiaro sangue nato, che quando il cardinal de Medici tradusse il secondo libro della divina Eneida, si disse incontanente, ch'era opra del gentile et vertuoso Molza, il medesimo si affermava delli epigrammi del cardinal di Ravenna, et era però un'espressa bugia, non se già detto cosi d'un Stunica, ne d'un Vives spagnoli, non già cosi d'un Erasmo Roterodamo, ne d'un Rodolfo agricola, non s'e già detto cosi d'un Iacopo Fabro, ne d'un Iodoco Clitoveo, molto meno s'e detto d'un Leonico Tomeo, d'un Battista Egnatio, d'un Thomaso Linacro, et altri molti dottissimi huomini. Non e dubbio che per uno di sangue illustre che eccellente riesca, riuscirne sempre


mille
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DE PARADOSSI 73

mille ignobili. Socrate fu figliuolo d'uno che rapoliva i marmi, et esso rapoliva gli ingegni, et i costumi piu che il marmo, et piu che il diaspro duri, Euripide Tragico poeta, fu di padre et di madre oscurissimi. Demostene nacque de parenti, non sol ignobili, ma incerti, Vergilio (quella gran musa) usci de lumbi d'un zappatore, Horatio d'un trombetta. Tarquinio prisco d'un mercatante forastiero, Servio Tullo d'una schiava, Septimio Severo fu vilissimo, Agatocle Re di Sicilia si disse figliuolo d'un Pentolaio, Helio pertinace era ne suoi primi anni, mercatante di legna, Ventidio Basso nacque di padre et di madre agiettissimi. Se adunque la cosa sta, come io dico, et in verun modo negar non si può perche non afferma liberamente ciascad'uno che meglio et piu aventuroso sia l'esser di schiatta humile che illustre? per che cerca hoggidi ogn'uno con espresse bugie et col mostrar false scritture, di farsi dire illustre? perche tanto si contende et tanto hassi a male se ne le inscrittioni non si fa sempre mentione di questo vano lustrore. Deh come e fortemente cresciuta questa vanita. Risi io gia smascelatamente essendo in Napoli d'un cavagliere, il quale, perche il notaio facendo non so che procura, non scrisse illustrissimo, si agremente con esso lui si adiro, ch'io temei di qualche sinistro accidente. Non si soleva già altre fiate scrivere a cardinali che scesi non fussero da gran signori, al


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IL SECONDO LIBRO

tro che Reverendissimi, ma hora reputano segli facci troppo evidente ingiuria, se non se gli apicca al collo l'illustrissimo con molti altri titoli. Io mi ricordo che essendo in Bologna per cagione de miei studi, et essendo pregato da un scholare Fiorentino ch'io volessi in nome suo scrivere una epistola ad un cardinale, il quale era molto suo signore, scrissi io l'epistola disideroso di compiacerlo nella miglior forma che io seppi, et feci, l'inscrittione in cotal forma. N. Cardinali, viro optimo, et piu non havrei saputo dire, sel fusse stato figliuol d'Iddio, pur non bastò che rimandarno la lettera col farci intendere, che studiassimo meglio la forma del scrivere a' cardinali reverendissimi, quel (F)iorentino non era (si come sogliono esser) molto acuto, et io fui sempre di grossa pasta, di modo che non sapeva ne l'un, ne l'altro come si dovesse far questa beata inscrittione, mutamola un'altra fiata, et scrissi, N. viro antiqua virtute et fide praedito et Ecclesiæ Cardinali digniss. et ne piu, ne meno ci fu rimandata, sopragiunse finalmente (mentre stavamo cosi sospesi) un gentil'huomo, meglio di noi esperto, il quale, ne fece scrivere, Illustrissimo Reverendissimo D.D. sanctæ Romanæ Ecclefiæ Cardinali dignissimo et patrono colendissimo, et cosi la lettera fu presentata, letta, et ispedita, all'hora si, ch'io pregai di buon cuore Iddio spegnesse ogni ambitioso seme,

acciò non si sentisse piu tanta pena nel fare [p. 74r modifica]

DE PARADOSSI 74

le inscrittioni alle lettere, ò quante cose mi persuaderebbe hora à scrivere il sdegno contra delli ambitiosi conceputo, ma lo rafrenarò, poi che mi ravego d'esser scrittore de Paradossi, et non di Sattire, ma quanto mi sarebbe però caro, se io potessi col mio scrivere, levar dagli humani petti questa vana passione del voler esser detto illustre et nobile, non operando però mai veruno atto nobile o virtuoso, rimasi pur fortemente sdegnato di vedere in Napoli, che quasi ogni persona si chiamasse signor, et signora, a tutti si desse pel capo della signoria, et dovunque mi svolgesse, udisse Don tale, et Donna tale, et di tal maniera mene turbai che un'hora mi parea un secolo al partirmi da quella ambitiosa Citta, ma misero me c'ho poi ritrovato essere in ogni lato sparsa questa bella spetie di follia. O' miseri noi mortali, dovunque io vado, veggo gli huomini tanto cupidi di questa gloriosa ambitione, che non e luoco, non citta, non castella, non villa che non l'h(a)bbia per amica et famigliare. Vo piu oltre et truovo che questo spirito ambitioso e intrato nel petto di ogni mercatantuccio di feccia d'asino. Lascio pensare a chi ha punto d'intelletto se per l'amore che sono tenuto di portare alla vera nobilta me ne turbai, adunque dissi a tanto abuso siamo venuti che nobili, spettabili, et magnifici dicansi anchora quelli, che con l'usure ne divora


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IL SECONDO LIBRO

no, con e monopolii n'asassinano, con gli apalti ne mangiano, et col comprare per vender piu caro, ne distrugono, ma questo è nulla, rispetto a' quello che diro. Disiderando adunque fastidito de costumi Italiani di trovarmi una patria libera, ben accostumata, et al tutto aliena dall'ambitione, pensai fra me stesso non potersi ritrovare natione alcuna piu netta di questa macchia, che si fusse la Svvizzera, la Grifona, o la Valegiana, et con si fatto pensiero cola diritto mene volai, dove pensando fermar il piede et stabilir mia stanza trovai nel cominciamento molti grati vestigi, molti buoni inditii di cio che andava cercando, senti da principio soavissimo odore d'una certa equalita troppo dolce et troppo amabile, ma non pero guari vi stette, che vi scorsi tanta ambitione et tanto fumo ch'io fui per accecarne, o Satanasso dissi io all'hora, come hai ben sparso il tuo pernitioso veneno per ogni lato, e possibile che fin fra questi horridi monti, infin fra queste spaventose grotte, penetrata sia l'ambitione? trovai che andavano nelle terre dell'imperadore a' farsi far nobili, trovai, che si vantavano d'esser nobilitati chi da dui quarti, chi da tre, et chi da quattro, trovai, che si gloriavano d'esser scesi altri da Toscani, et altri da Romani, et altri ne viddi, che mi dissero esser della razza de mirmidoni d'Achille, et n'andavano di cio gonfii et pettoruti, chi mi

havesse giurato che fra tanti bifolchi havessi io [p. 75r modifica]

DE PARADOSSI 75

da ritrovare l'odiosa ambitione, mai l'havrei creduto, percioche mi detti sempre ad intendere che tutta l'ambition del mondo fusse raccolta nella citta di Napoli, ma hora sgannato ne sono, et securamente, poi che di molto piu isperienza mi sento, affermo, d'haver veduto in Napoli piu chiari segni di nobilta et di gentil creanza, che in qualunque altro luogo dove stato mi sia, et piacesse a Dio che nella patria mia, potessi annoverare tante virtuose donne, et tanti honorati cavaglieri, quanti ivi già conobbi, et facilmente oserei di dire che sol il principe di Salerno, col mio signor don Lonardo Cardines bastar potrebbono con la lor benigna et liberal natura, con e dolcissimi costumi, et rara leggiadria, a' ornare, et abellire ogni corrotto secolo, ma ritorniamo alla nobilta, la quale, non pur al presente guasta si conosce, ma troppo gran tempo fa che incomincio a degenerare dalla sua primera et bella forma. Sovviemmi d'haver letto che il padre di Euripide glorioso d'esser fatto nobile, stavasi tutto pien di gioia, dil che fortemente fi rise il figliuolo dicendoli non ti ralegrar padre mio di nobiltà, poiche hoggi la si vede fondata sol ne danari, et è in arbitrio di qualunque dineroso il farsi a' suo piacere nobile, diceva per tanto Socrate, che la vertu era quella che ci faceva nobili. Vanamente adunque si gloriaremo d'esser ne di questa, ne di quell'altra famiglia,


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IL SECONDO LIBRO

et credero io facilmente, che per amorzar l'orgoglio d'alcuni insolenti, scrivesse Platone niuno servo ritrovarsi che sceso non fusse di sangue reale, et parimenti niuno Re, che di servo nato non fusse. Non cascarno i gentilhuomini dal cielo, come cade la manna in Puglia, ò in Calavria, ma furono fatti nobili per la vertu che mostrarno combattendo virilmente per la patria, morendo per l'honore, et nulla mai operando degna di reprensione, il che a' nostri tempi di rado accade, poi che si nobilitano con gli homicidii, con e' tradimenti et con e'furti, di modo che dir potrebbesi che a' si mali tempi altro non fusse la nobiltà, che il premio d'una notabil iniquità. Gli Egittii anchora, da quali nacquero tutte le gravi et honeste discipline, et da quali hebbero origine molte buone usanze, credettero tutti gli huomini esser ugualmente nobili, tutti haver d'una medesima massa la carne, et d'un medesimo creatore l'anime con uguali, forze, potenze, et uirtu create, la qual vertu primieramente, noi, che nasciamo eguali distinse et quelli che di lei maggior parte haveano, et adoperavano, nobili furono chiamati, il resto

rimanendo ignobile. [p. 76r modifica]

DE PARADOSSI 76

E S S E R M I G L I O R L A VITA

parca della splendida et sontuosa.

PARADOSSO XXIIII.

Redero facilmente che questo parer mio non sia pero da molti reputato Paradosso, et parerebbemi ad ogni modo strano, che persona veruna c'havesse punto di sentimento dubitasse mai, che la vita frugale non fusse assai miglior della copiosa et abondante, ditemi voi che forse ne dubitate, non scaccia la vita sobria senza altro soccorso la gotta? la quale, secondo molti isperimentati fisici, per infiniti rimedi, che se gli faccino a pena riceve cura, non lieva ella anchora il dolor di capo? non si rimedia per il costei mezo alle vergini, a catarri, a vomiti spontanei, a rogne, a rutti, et alle febri ardenti? non rende la vita parca, nostra mente te piu svegliata? non e ella in gran parte cagione, che il giuditio nostro piu retto, et piu sincero si divenga? Furono di tal parere e savi antichi, et Platone spetialmente, ilquale, havendo navigato di Atene, in Sicilia, danno acerbamente le mense Siracusane, le quali di pretiose et saporite vivande, de grati manicaretti, et di finissimi vini, due volte al di rendevano i lor seguaci ben satol/


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IL SECONDO LIBRO

li, ma che havresti tu detto Platone se fussi venuto in Ponente, dove qualunque che rimanga di due buon pasti contento, si po dir che faccia esquisita dieta, certo che si strano paruto ti sarebbe, che havresti con la tua divina eloquentia sommamente lodato le tavole di Siracusa. L'Epicuro etiamdio quantunque si tenga per huomo infame (merce delle molte calunnie dattele da quel maligno spirito di M. Tullio) poneva le sue maggiori dilitie solo nel mangiar dell'odorate herbuccie et fresco cascio, ma io vorrei un poco sapere da questi, che nati mi paiono sol per consumare le vettovaglie, che vuol dire che ne tempi antichi non vi erano tante persone quante al presente sono, et vi era maggior copia di vettovaglie et in piu vil pregio? e donde procedeva questo salvo che dalla parca vita ch'essi menavano? Scrivendo Girolamo delli instituti de santi padri che nello Egitto mossi da religioso zelo habitavano, narrami che tanto erano innamorati del sobrio et semplice vitto, che solo il gustare cibi cotti veniva reputato lussuria, dalla qual narratione non si scosta punto Gioan Cassiano, scrivendo de gesti monastici. Ho io spesse volte letto appresso de piu antichi medici, che li maggiori nostri fussero tanto amici della sobrieta, che la mattina mangiavano solo pane, et la sera sol carne senza altra aggiunta gustavano, et

quindi avenire che senza tante mostruose infir/ [p. 77r modifica]

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mita, longamente campavano. Non per altro i Romani, gli Arcadi, et i Lusitani stettero si longo tempo senza medici, se non perche si difendevano dalle infirmita con la vita parca, alla quale, siamo al dispetto nostro spesse fiate costretti di ridursi. Lego ne buoni istorici che andando Tolomeo per l'Egitto, non havendolo potuto seguire i suoi compagni, sostenendo gran fame essersi coricato sotto una capanna di contadino, et essergli dato mangiare un pezzo di pane di segale, giurare all'hora per Dio che mai havea gustato piu soave vivanda, et hebbe per l'avenire a' schifo tutte le peregrine forme de pretiosi pani per adietro usate, le donne di Tratia per haver figliuoli sani, robusti, et arditi, non mangiavano altro che latte et ortiche, et le maggiori delitie che havessero i Spartani nel viver loro, era un certo brodo negro come pece liquefatta, nell'aparecchio del quale non si spendevano tre soldi, li Persiani huomini si ben disciplinati non aggiungevano al pane, altro che un poco di nasturtio, Artoserse fratello di Cirro essendo da suoi nemici volto in fuga, si puose a mangiar fichi secchi et pane d'orzo, grandimenti dogliendosi d'esser stato si tardi ad isperimentare vita si dolce et saporita. Egli e vero che il ventre nostro indiscretamente ci molesta, et importunamente alle volte chiede, pur egli non e sempre importuno creditore, anzi di poche cose,

ne molte esquisite, lo piu delle volte si conten/ [p. 77v modifica]

IL SECONDO LIBRO

ta, ne so io perche tanta cura si ponga in haver bei grani, et in cercar fornai Tedeschi, poi che tutti gli antichi medici si constantemente affermano che chiunque assiduamente gusta il pan d'orzo non sia mai molestato dal dolor de piedi, L'è pur nel vero abominevol cosa travagliarsi tanti pescatori, et turbar i pesci della lor amata quiete, per sodisfare a' questa nostra insatiabil gola, l'è pur cosa brutta vedere per un ventraccio che tosto ha da esser cibo da vermi, affaticarsi tanti cuochi, et spogliarsi e delettevoli giardini per far le salse ad eccitare l'adormentato appetito, l'è pur cosa strana vedere sudar tanti cacciatori, dormir nelle nevi, giacersi nelle gelate, cavalcare i monti et scorrere tutti e piani per compiacere alla golaccia nostra, la quale incominciando dal vecchio Adamo, haci in troppo strani laberinti homai avolti, et noi pur tuttavia vogliamo per condescendere a suoi piaceri tolerar per essa tanti disagi, et sofferir tante fatiche, ò misero Filosseno ove havevi tu il cervello, quando disideraste il collo di grù per sentir ne cibi maggior dolcezza? o tu infelicissimo Apitio che tanto studio vi ponesti, che giovamento et che bella gloria ten'è risultato? che dirò di te Massimino, che solo trenta lire di carne mangiavi al pasto? che dirò di te Geta imperadore, il qual facevi che le vivande seguitassero l'ordine dell'alfabetto, dandoti una volta anseri, anatre, et apri, et l'altra pescie, porcello, perdici, perna,

et quando correva il luogo del F, ti si appresta [p. 78r modifica]

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vano diligentemente fichi, fagiani, farcimini, et cosi di mano in mano scorrevasi per tutto l'alfabetto ordinatamente, a me certo sommamente piace la vita sobria, ne truovo cosa che di maggior noia mi sia cagione, che di caricar ben l'orsa la sera et poi levarmi a buon'hotta, io non provo maggior supplitio, che di sentir quella crudita, quei rutti, quel sbavegliare, quei stordimenti, quelle vertigini, et quei gira capi, ma per il contrario come mi truovo la sera o non haver cenato, o almeno sobriamente mangiato, mi lievo scarico, pronto a tutte le attioni, ne sento alcuno impedimento, ne mi sento punto istordito. Essendo in Messina, mi racconto il signor Antonio d'Oria d'haver conosciuto in Ispagna un vecchio, il quale passava piu di cento anni, quale havendo un giorno fra gli altri ritenuto a disinar et trattatolo sontuosamente come egli suole chi seco mangia, disse il buon vecchio, se io havessi havuto signor mio nella mia gioventu simili tavole, non crediate gia che io fussi arrivato a questa eta, con el vigore che tanto mostrate di ammirare, ecco adunque che la vita parca e anchora cagione che longamente campiamo et prosperosi ci mantegniamo. Tutti quelli che nell'eta anticha nemici furono della vita parca, trovansi esser stati similmente nemici dell'honore, et della vertu, come appare in Claudio, Caligula, Eliogabalo, Clodio Tragedo, Vitellio, Vero,

et Tiberio, dall'altro canto, vedrete che gli [p. 78v modifica]

IL SECONDO LIBRO

amici della vita frugale furono tutti quasi huomini divini, come fu Augusto, Alessandro Severo, Paulo Emilio, et Epaminunda, miglior è adunque la vita sobria che la splendida et sontuosa, dichino pur cio che li piace i nostri moderni Sardanapalli, che a' me non persuaderanno giamai il contrario di quello, che la ragione, la natura, et il buono esempio de virtuosi efficacemente mi persuade à credere, non mel persuaderebbeno dico, se havessero le lor lingue forbite tutte le Greche, et le Latine retoriche.


CHE LA DONNA E' DI MAG/

gior eccellentia, che l'huomo.

PARADOSSO. XXV.

O gia longo tempo fra me stesso creduto che le donne non solamente non fussero a’ gli huomini di eccellentia et dignita superiori, ma ne anche uguali, considerato poi assai piu minutamente le grandezze loro, con e singolari privilegi, sono dalla verita sforzato a credere, et in ogni luogo manifestare la preminentia che Iddio ottimo et massimo sin nel cominciamento del mondo lor dette,

formandole nel paradiso terrestre luogo sopra [p. 79r modifica]

DE PARADOSSI. 79

ogn'altro ameno et delitioso, di pura et ben complessionata carne, et non di schifevol luto, si come formato fu l'huomo, al quale, non fu anchora (per quel che si vede) data tanta bellezza, quanta alla donna si diede, il cui viso chiaro et perpetuamente senza pelo, ben mostra per l'uniformita sua d'esser vera fattura del magno Iddio, fonte di ogni bellezza, et il gentil corpo con la sua divina proportione qual confessano tutti e prospettivi esser molto maggior nella donna che nell'huomo, da chiara testimonianza delle celesti misure, ma che diro io poi de gli animi loro, piu costanti et forti? piu grati et amorevoli? quante fiate (se le istorie non son bugiarde) furono cagione di grandissime vittorie, et le squadre per la debol vertu de gli huomini gia inchinate et in fuga volte, animosamente sostenero? Qual capitano fu mai (parlo di qualunque natione) che di valore, di ardir, di consiglio pareggiar si potesse con l'animosa Camilla, et con l'ismisurata forza di Pantesilea? qual diligentia et incredibil prestezza por si puote mai al paragone di Semiramis? qual virtu fu mai per alcun secolo veduta, che si rasimigliasse a quella di Zenobbia, di Valasca et altre famose donne di quella anticha et florida età? chi le suppera etiamdio o per meglio dire, chi v'e che nella fede, et nella costantia non le sia inferiore? io per me, volgo sozzopra la

parte mia de gli storici in l'una et l'altra lingua, et [p. 79v modifica]

IL SECONDO LIBRO

quanto piu posso con attentione osservoli, non vego pero mai di vertu essempii alcuni piu illustri di quelli che le donne in tutti e tempi ne dettero, quante fiate per la chiara fede, et immenso amore ch'altrui portarno, andarono con mille rischi ne gli eserciti, con mille stenti negli esigli, costrette ben sovente di mutar nome, di cambiar habito, et di mentir sesso, amando sempre e lor mariti piu che se stesse, et honorandoli piu di qualunque terrena cosa. Non trovai ne anche mai huomo alcuno, et pur sono assiduo nelle conversationi loro, chi le ponesse il piede avanti nella religione et nella cortesia. Sonosi ritrovate molte donne, che per mantener spedali, per aiuttar religiosi, per edificar tempii, capelle, altari, et per riscuotere pregioni hanno dissipato con animo resoluto ampiissime faculta di sorte, che non credo potuto havesse mai huomo alcuno (benche generoso) operar la meta di quel che operarno gia alcune donne di non molta fama, gran cuore nel vero hebbero sempre nel spendere. Fassi mentione per tanto nelle storie pagane d'una generosa femina che tutto l'esercito Romano con infinita liberalita raccolse, gran spirito mostro ella in ogni modo, grand'amore al popolo Romano ottimo giuditio et non minor gratitudine, non si vidde anche nella bella Frine un'eccellente animo poiche si offerse di ridificare le gran mura di

Tebe pur che si contentassero e Tebani che il no [p. 80r modifica]

DE PARADOSSI, 80

me suo fusse nelle predette mura scolpito? era questa una spesa infinita essendo Tebe città si grande che appena cento porte le bastauano. Tacerò l'altre, delle quali, ciascuno men che mediocremente dotto, ha sofficiente cognitione. Fassi mentione doppo molte nelle storie sacre, d'una Tabita, la quale per sovenir le povere et afflitte vedovelle, per soccorrere orfani et altri bisognosi pupilli, appena si lasciava di che potersi le sue carni cuoprire, ò carità immensa, ò carità non mai udita in alcun huomo, degna d'esser lodata da tutte le diserte lingue, non possono veramente aguagliarsi gli huomini alle donne, ne in le virtù morali, ne in le naturali, dican pur quel che lor piace i maldicenti, mormorino pur i detrattori, et vadino al luor piacere per ogni luogo cantando dell'avaritia feminile, che se vorranno senza rancore piu adentro al vero che non fanno penetrare, troveranno gli huomini per l'avaritia divenir traditori, ladri, usurari, disleali, et ad ogni libera promessa senza rossore alcuno mancare, et che potrebbono gli aversari delle donne (non volendosi scostar dalla verita) opporgli? diranno forse che per danari (cosa si vile) vendano l'honore? del quale assai piu che della vita calere gli doverebbe. Deh guardiamo piutosto che di cio cagion non sia la dolcezza del sangue loro, la gentilezza del cuore, che le fa

arrendevoli a' preghiere de gli amanti, ò vero [p. 80v modifica]

IL SECONDO LIBRO

che piu tosto di ciò cagion non sia l'importunita nostra incomportabile, le losenghe, le insidie, le minaccie, et gli inganni, che tutto di cerchiamo lor di fare senza rimordimento alcuno conscientia. Io non potei giamai al mio vivente trovar donna che alle altrui voglie spontaneamente si disponesse, vego io sempre essersi interposta longa seruitu, lagrime, lo piu delle volte simulate, sospiri finti et inganni sottilissimi, sovente anchora vi s'interpone viva forza tal volta aitata da tradimenti ch'usi sono di fare a padroni e domestici servidori per ricompensa de buoni trattamenti. Non e gran tempo che in Padova un'amico mio molto intrinseco, innamorato d'una bellissima fanciulla, la cui saldamente, ne per calde preghiere, ne per larghe offerte, mai puote piegare o amorbidire, finalmente, al suo dispetto, per opra d'un servidore che nella propria camera l'inguatto, godete delle sue rare bellezze. O' assassinamento d'esser punito sin'alla quarta generatione potrei narrarne molti de simili accidenti, ma il desiderio della brevita che mi sta in ogni mia attione si fitto nel cuore, non sol non l'acconsente, ma mi esorta a far il fine, et altre cose addure, per le quali chiunque non crede esser le donne di maggior eccellentia che gli huomini, da si stolta upinione si rimuova et al dotto Aristotele si accosti, il quale, piu de gli huomini, ingegnose le confessa, dicendo, che quelli che hanno la carne più molle, sieno di mag/


gior
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gior ingegno dotati, niuno e gia che dubiti, che la carne delle donne non sia et piu molle, et piu delicata, oltre che, l'ingegno loro, nelle belle et grate inventioni sempre con molta eminentia apparve, legasi il catalogo delle inventioni delle cose, et inventrici troveranosi di utili et ingegnose opere. Sono anchora le donne (quando vogliono) piu alli studi delle lettere, ne cio mi e maraviglia, poiche una donna detta per nome Carmenta le ritrovo. Veramente poi che io tal cosa intesi, cessommi anche la maraviglia se scrisse gia Leontio contra Teofrasto, se confutollo, se vinselo, riempiendolo di scorno. Saffo inventrice del verso saffico contese di poesia con eccellentissimi huomini di quella professione et feceli rimaner confusi, lo medesimo non senza gran lode fece anchora la bella Corrinna et a nostri tempi qual arguto et ingegnoso poeta por si potrebbe mai al paragone della marchesana di Pescara dell'illustre et cortese signora la signora Veronica da Gambera, o della gentil Emilia Angosciola? non mi stenderò diffusamente in ragionare di tutte le donne che a nostri tempi chiare sono per vera nobilta, et riguardevoli per molta virtu, havendone di ciò copiosamente scritto monsignor Giovio vescovo in Nocciera, et gran scrittor delle storie moderne, ma perche egli in poche carte non puote chiudere molte cose, ardisco io dire, trovarsi al presente donne di valore assai piu maraviglioso, di quel cheb


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IL SECONDO LIBRO

bero gli antichi nostri. Faro la scelta di alcune poche, per non esser nel dir mio troppo rincrescevole, ne credo d'havere a ritrovare chi mi contradica, si nota e horamai a ciascaduno la bonta, la cortesia et honesta loro, farò principio adunque dalla signora D. Isabella Villamarina, prencessa di Salerno, qual conobbi talmente bella et savia, che non sol la real presenza, ma tutti e'suoi progressi mi davano stupore, udilla anchora in Avellino, recitar versi Latini, et dichiarar prose di tal sorte che riempiva chiunque l'ascoltava d'infinita dolcezza. Conobbi nel medesimo tempo la signora D. Giulia Gonzaga o di quanta honesta, et di quanta continentia viddila io ornata, hor questa scordatasi la sua bellezza che paragone non hebbe mai, ha tutti i suoi pensieri al cielo rivolti et è fatta nelle sacre lettere assai piu esercitata che l'altre femine non sono nell'ago, ò ver nella conocchia. Conobbi anchora la signora Marchesana della Palude, et parvemi conoscer l'idea della liberalità, della piacevolezza, et della discretione, ben dette segno il signor D. Francesco da Este, del suo singolar giuditio lasciando tutto il resto d'Italia, per far elettione in quel florido regno di si perfetta donna, certo che non per altro scrissero e'poeti che ne que mari cantassero le sirene, salvo che per darci intendere esservi maggior

copia di belle et virtuose donne, che in qualun/ [p. 82r modifica]

DE PARADOSSI 82

que altro luogo. Venermi similmente a'notitia mentre a' Napoli stetti, due fanciulle sorelle cugine, l'una è Violante Garlona et l'altra Violante Sanseverina, ambedue belle de modi et di presenza, amiche ambedue d'honore, et studiose di buone lettere. Debbo scordarmi l'immensa contentezza ch'io sentivo conversando all'hotta con la signora contessa di Nola, ispetialmente quando aggiunta v'era la cara sua creata Luvigia Carolea, o' troppo ingrato se non mi sovvenesse di dua si gentili et gratiosi spiriti, credo fermamente che il senno delle famose Sibille rifuggito sia ne que casti petti, ove non albergano se non candidi et nobili pensieri et donde non escono se non parole cortesi et amorevoli, ma se io non facessi memoria se non delle Napolitane Potrebbono facilmente credere gli avversari nostri, che sol Napoli fusse di valorose donne feconda et gli altri luoghi sterili si rimanessero. Caverolli adunque di errore, affermandogli haver trovato in Siena molte generose madonne, tra quali Honorata Pecchi et Frasia Venturi sopra l'altre, sifattamente mi rimasero nella memoria, che mai me l'ho potute dimenticare, et chi si potrebbe facilmente scordare si virtuose et amabili madonne? certo chi non le ama et riverisce, non sa quai siano veramente le cose degne di riverentia, ben conosco di perfetto giuditio il buon Gabriel Cesano, poi che d'una Honorata Pec/


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IL SECONDO LIBRO

chi favellando, mai ne sa ritrovar il fine, et mai stanco si vede di lodarla hor di prudentia, hor di belta, et tall'hora di cortesia. Non ha parimenti Lucca mia, donne eccedenti di gran longa in vertu qualunque vertuoso cavagliere? si ha veramente, et chi non mel crede, specchisi nell'essempio mirabile che di se dano Caterina Dati. et Margherita Bernardini. Non ha Firenze anchora donne da paragonar con e piu valorosi huomini di qual si voglia secolo? non nacque in essa M. Maria delli Albizi, che gia fu del buon Rinieri Dei? non stupisce ogn'uno per maraviglia considerando l'acutezza del suo benigno ingegno, et la prontezza delle belle risposte? ben si ralegra Firenze con ragione havendo ricuperato si caro tesoro, ne con minor ragione si duolgono e Lionesi di haver perduto si grata conversatione, viddi io alla partenza sua, piu di cento mila lagrimosi occhi, viddi io turbarsi la Sonna et per gran duolo quasi bagnar amendue le sponde, viddi io lo Rodano piu del solito suo, con gran velocità scorrere, quasi per forza ritener la volesse, o vero anch'esso dal suo nido far dipartenza. Deh come credo che volentieri cambiasse hora le fortune sue con quelle del ben aventurato Arno, ma vegniamo hora in Lombardia de tutti e beni copiosa, ispetialmente di leggiadre et honorate donne fra le quali, ho sempre di buon cuor

riverrito la signora Gostanza di Nuvolara, signo/ [p. 83r modifica]

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ra di bellissimi costumi, di svegliatissimo ingegno, et di litteratura piu che mediocre ornata, ma prima hebbi cognitione nella citta di Mantova, della signora Violante Gambera, la cui alta mente et cortesissimi modi dano fermo inditio di vera nobilta, un tal essempio contemplando di continuo la signora Camilla sua ubidiente figlia, a tanta perfettione e hoggimai venuta che po et dar altrui materia che di lei si scriva et essa parimenti con la sua dotta penna scrivere le gloriose opere che a nostri secoli si fanno. Le streme contentezze c'hebbi io sempre di si dolci conversationi, mi speronarno a cercar piu studiosamente se altre vene fussero, che simili pedate seguitassero. Viddi gia per tanto piu d'una fiata le signore di corte maggiore, le quali non tanto per corporal bellezza quanto per l'infinita cortesia et bonta che in quelle regna, piu divine, che humane mi parvero, veramente chi non stupisce contemplando l'aria dolcissima della signora Camilla gia consorte del vertuoso signor Cesare, accopiata con un spirito generosissimo, non ha senso d'huomo, chi non ammira la gravita, la longa sofferenza ne travagli, senza pur mai piegarsi, et il splendor dell'animo che ha la signora Giulia Trivulza marchesana di Vigevano e in tutto fuor del senno, d'indi a Piacenza ratto mene volo vago di riempirmi tuttavia piu di nuove meraviglie, dove non guari stetti, che alquanto fa


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IL SECONDO LIBRO

migliare divenni della signora Hippolita Sanseverina, io non potrei certo in alcun modo ridire, quanto ne rimanessi sempre de suoi ragionamenti sodisfatto, et meritamente essendo non men prudenti,che tersi, et pieni di dolcezza, oltre che sporti sono con ammirabil gratia, fui anche ne medemi tempi assai piu assiduo visitatore della signora ISABELLA SFORZA, li cui dilicati modi, mi rendevano molto attento, et mal grado d'altri miei pensieri mi facevano star alla contemplatione di quelli sempre tutto raccolto, la dolcissima favella mi dava non picciolo stupore, et l'acutissimo ingegno facevami uscir alle volte di me stesso, ò donna rara, veramente, non conosco io huomo alcuno, che d'ingegno et di accortezza con essa fronteggiar potesse. Hor con questa gentilissima signora, viddi moltissime volte la signora Luvigia Palavicina da Scipione, signora piu di qualunque huomo, affabile, discreta, bella, et magnanima, meritava ella per la sua rara bonta d'esser moglie di Re, et non di privato gentil'huomo quantunque egli sia cavagliere senza alcun rimprochio, et perdonimi il mio signor Francesco se l'offendo, anzi dia la colpa al gran valore della consorte sua, che mi fa nel dir troppo assicurato. Debbo tacere poi che mi nasce l'occasione di ordire un picciolo catalogo di

singolari donne i gran meriti della signora Emi [p. 84r modifica]

DE PARADOSSI 84

lia Rangona Scotta? la religione, la prudentia et la destrezza in regger sua famiglia? Debbo similmente passarmene senza far memoria della S. Lucretia Martinenga Beccaria? non, che sarebbe troppo gran fallo a non parlar della sua magnanimita, poi che venuti siamo a si fatti ragionamenti, certo non hebbe mai ne Cesare, ne Alessandro un cuor si generoso, ne un'animo si eccelso et liberale, cicalino pur quanto vogliono gli istorici, ma se vorro dir al presente di tutte quelle donne, che di valore gli huomini superano entraro in pelago troppo per la mia sottil barca cupo. Delle antiche scrissero gia molti (ispetialmente Esiodo, Plutarco, et poi Gioan Bocaccio, cantaranno similmente di molte moderne i migliori ingegni d'Italia, chiudero adunque il mio brieve catalogo col dolce nome de M. Maria Pietraviva, signora del Perone, nella quale, dir si pò senza mentire, che le virtu morali, sieno naturali, in lei e belta piu che mediocre, ingegno et providentia sopra humana, modi angelici et desiderii santi, et non habbia io mai il cielo, se in tutto il tempo che stato sono in Lione donde essa trahe sua nobil origine, viddi io mai cosa di magior honore et maggior riverentia degna. Seguitiamo hora poscia che posto habbiamo fine al mentovare delle illustri donne, c'ha l'eta nostra, a ragionare de rari privilegi che lor dette il grande et liberale Iddio. Tutte le volte che le


L iii
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IL SECONDO LIBRO

divine scritture lego, trovo in ogni lato, apertissimi segni della feminil'eccellentia, veggio in quelle, haver Iddio comandato ad Habraamo, ch'ubidir volesse Sarra sua consorte in tutto ciò ch'essa gli direbbe, trovo ch'egli volesse che la sua santa resurrettione fusse primieramente alle donne rivelata, come alle piu fedeli, alle piu amorevoli, et quelle che piu costantemente creduta l'havessero, parendogli cosa honesta ch'esse ne fussero anchora le prime consolate. Ho letto similmente negli espositori delle divine storie che quando il signor commando a Noe, ch'egli nell'arca entrasse con la moglie, gran misterio contenersi nel ricordargli la moglie sua, Mercurio anchora Trismegisto (che viene a dir nella nostra volgar lingua tre volte massimo) conoscendo ben la vertu et alta perfettione , che dalle donne ci viene, lascio ne suoi divini volumi scritto, esser quei huomini grandimenti da schivare che moglie non havessero, certo che ogni perfettione, et ogni bonta da quelle, come da puro et copioso fonte ne deriva, e che altro in vero sono le case dove donne non habitano, che spedali, porcili, et stalle? ove si vedde la vera politezza salvo che in questo glorioso sesso? ove si scorge la vera leggiadria salvo che nelle femine? Volendo Paulo nell'epistola scritta alli Hebrei, celebrar la fede, ricorre all'esempio di

Raab femina per altro, non pero molto famosa, [p. 85r modifica]

DE PARADOSSI 85

ma perche la maggior parte de gli huomini si accorda a dir, che le femine siano di poco cuore et per conseguente avarissime, qui mi voglio un'altra volta stendere. Ditemi un poco maligne lingue non furono dagli antichi dette donne, perche sono al donar si pronte? non ho veramente tanti capelli in capo, quante ho io donne conosciuto non sol altrui fare cortesissimi doni, ma con quell'animo fargli ch'altri gli riceverebbe senza penfiero d'esserne mai ricompensate, senza intentione d'acquistarne gloria, o lode alcuna, non li facendo palesamente, come fanno hoggidi li ambitiosi signori, non aspettando d'esserne richieste, ma piu tosto l'altrui bisogno con la prontezza del donar prevenendo, non rinfacciando mai, ne publicando il dono fatto perche fusse la lor liberalita dal publico grido negli orecchi di ciascun portata. Essendo adunque le donne tali, dirasi forse che senza ragione fusse dato alle vertù nome di femina et non di maschio? Conobbero e' Greci esser le femine piu che gli huomini amiche dell'honore, et perciò gli dettero nome di femina et non di maschio. Potrei infinite cose addure per testimonio della donnesca eccellentia, ma poi che vi ho alle istorie rimessi, farò qui fine, essortandovi alla lettione di quelle, ove assai meglio che nelle mie carte vedrete scolpita la grandezza loro, vedrete anchora (se vi piacera senza

animosita giudicare) haver ciò sempre [p. 85v modifica]

IL SECONDO LIBRO

confessato i piu eccellenti huomini, rendendosegli di buon cuore servidori, et come se in esse gran divinita rilucesse haverle poco meno che adorate, amiamole dunque anchora noi, diveniamoli volentieri suggetti, beffianci di queste fracide lingue c'hanno posto ogni lor diletto in lacerarle, et inschernirle.


CHE MEGLIO SIA D'ESSER

timido, che animoso et ardito.

PARADOSSO XXVI.


Itemi de gratia molesti aversari miei con la vostra pertinatia, cagione ch'io verghi tante carte, se l'esser timido fa l'huomo circunspetto et aveduto ne lascialo si di leggieri traboccare ne pericoli, perche non diremo noi che meglio sia l'esser timido che ardito et coraggioso? Per il timore consideriamo pur meglio, et diligentemente provedemo a tutto cio che sinistramente accader ne possa, dove gli animosi facilmente precipitano trapportandogli il furor dell'ardire, n'è testimonio di cio la Francia che anchora si piagne per il troppo ardire di monsignor di Fois,

n'e testimonio l'Ungaria, la quale ita n'e in pre/ [p. 86r modifica]

DE PARADOSSI. 86

da de Turchi per la troppo grande audatia dell'arcivescovo Tomoreo, n'e testimonio l'espeditione fatta gli anni passati con si gran danno, da Cesare contra il Re d'Algiere et con si gran strage de Christiani. Col timore habita piu volentieri la modestia, che con l'ardimento, col quale conversa l'ira, et la disperatione spesse fiate congiunta vi si vede? dimora similmente di buona voglia col timore la piu lodata creanza, per tanto solito era di dir Epitetto filosofo, che la paura era madre della providentia. Deh buono Iddio, in quanti pericoli per lei non si cade, et da quanti sconvenevoli fatti per lei ritratti siamo, per lo contrario poi a quante sceleratezze et tradigioni sospignene il soverchio nostro ardire pessimo ministro di tutte le cose. ll timore c'hebbe Fabbio di venire alle mani con Annibale aversario troppo fiero et esperto, fu cagione di farlo rimanere vincitore, anchora che da principio notato fusse da suoi ignoranti cittadini di poco cuore, et l'ardire immoderato di Pompeio, di Crasso, et di T Varrone, hebbe a' ridur le cose de Romani ad una estrema desperatione. Per il timore meglio s'investigano e fatti de nemici dil che, imaginar non si può cosa migliore per chi ha voglia di vincere, egli è anchora causato da giuditio, et è segno di ottima discretione, et di saper ben conoscere et le proprie et le altrui forze. La paura c'hebbe sempre

Dionigi Tiranno, fecelo perseverare nella disiderata [p. 86v modifica]

IL SECONDO LIBRO

tirannia X X X V I I I. anni, anchora che moltissime insidie le fussero da ogni lato apparecchiate, questo parimenti fu cagione che quindici mila Locresi comabatessero et vincessero cento et vinti mila Crotoniati. Fu similmente causa che Vespasiano non venesse alle mani co Giudei, et cosi a poco a poco sminuito il nervo delle forze giudaiche, assagliteli poi alla sproveduta, con gran vertù gli ruppe. Quante volte ritrovo nelle piu sante lettere lodato il timore? ne mai vi vego altro che TIMETE, TIMOR, BEATI QUI TIMENT, et l'Apostolo Paulo gloriasi d'esser venuto alli Corintii in TIMORE et TREMORE. Sendo adunque senza dubbio come io vi dico, perche non dicciamo liberamente che meglio sia l'esser pauroso, che ardito? il timido, non e ammazzatore, non rompe le altrui porte, ne fa violentia ad alcuno. Crederemo noi che senza gran misterio i Romani dificassero un'altare alla Pallidezza non è da credere, perche furono savi, religiosi,

et di lor hebbe sempre il cielo cura speciale. [p. 87r modifica]

DE PARADOSSI. 87

CHE L'OPERE DEL BOCACCIO

non sieno degne d'esser lette, ispetial/

mente le dieci giornate.

PARADOSSO. XXVII.

Rande impresa per certo è quella c'hora intraprendo à voler mostrare, che il Bocaccio tenuto da ciascuno prosator si dolce et si facondo non sapesse scrivere, et che l'opere sue non meritino esser da studiosi lette, aspetto indubitatamente che l'academia delli infiammati di Padova, incominci à far grave tumulto, et aguzzar le penne contra di me, con si gran furore che appena l'autorita del gentilissimo messer Sperone, aitata dal favore del divino messer Pietro Aretino, quai certo sono che dal mio parer non discordano, mi potrano diffendere. Aspetto indubitatamente che gli intronati di Siena mi muovino aspra guerra (come se peccato havesse contra la divinita,) ma di tutti questi (quantunque nobili et eruditi academici) poca cura mi prenderei se d'altronde non mi havesse anchora à venire impetuoso assalto. Temo grandimenti e Balordi di Lucca, che de casi miei non faccino qualche comedia, impallidisco

per e Sordi di Pisa, et hò una strema paura [p. 87v modifica]

IL SECONDO LIBRO

delli Elevati di Ferrara, che con loro acuti componimenti qualche gran scorno non mi facciano sentire, ne minor spavento mi sento haver nel petto, di quella di Milano, nuovamente per opra del signor Renato Trivulzo fondata, so ben io quanto disidrino di Bocaccievolmente favellare so che ne anche ociosa starassi l'academia di Bologna, che almeno con dui fonettuzzi, et quattro ballatette contra di me non garrischi, et molto piu la temerei se uscito non ne fusse il gentilissimo signor Urbano Vigero con l'acuto Strozza, et troppo che fare mi darebbe quella di Modena se rivolto non havesse i studi suoi alla intelligentia delle divine scritture, ma che faro io adunque contra si possenti nemici? con quali arme diffenderommi da lor duri colpi? parmi gia di vedere le cataste di sattire contra di me rabiosamente scritte. Teransi anchor offesi tutti e Fiorentini, anzi tutti è Toscani maravigliandosi che un Scimonito Longobardo osi dir male d'un scrittor Toscano c'hebbe nel dir tanta felicita, ma io mi confidero nella istessa verita, poco curandomi che mi si dia pel capo del prosuntuoso o dell'ignorante. Dico adunque non poter in alcun modo esser il Boccacio di quella eccellentia che altrui si ha sin'a questa hora creduto, ne ben poter volgarmente scrivere non sapendo esso lettere ne Greche, ne Latine, maravigliaransi per aventura

molti udendomi dire ch'egli non sapesse lette [p. 88r modifica]

DE PARADOSSI, 88

re Latine a quali dimandarei molto volentieri che lettere potesse mai apparare un'huomo di profession notaio costretto a guadagnarsi il pane col scrivere processi, codicilli, testamenti, et contratti? dal qual officio disgiungendosi poi, dettesi tutto all'otio, alle vanita, al raccontar favole et al servir donne, servirle dico, non di coppa, ne di coltello, ma col scottergli il pellicione, veggiamo un poco che segno di dottrina apparisca nell'opere sue in Fiorentino volgare iscritte. certo niuno, vegniamo all'opere Latine potrebbesi scrivere dal piu rozzo pedantaccio ch'uscisse mai dalla marca piu inettamente? Scrisse gia della genealogia delli Dei et delle illustri donne, benche alcuni affermino, non esser sua opera, ma concediamo che sua fusse, non vi son dentro mille brutti errori con stile parimenti brutto registrati? si che, apertamente si vede non esser altro in lui, che una certa naturale abondanza di parole, mal pero tessute, l'una con l'altra avilupate, intricate, con le costruttioni alle volte si prolisse che se non si ha piu che buona lena, convienci due ò tre fiate riposare, pria che finita sia la clausola, la quale termina sempre nel verbo, secondo la figura latina, cosa molto disdicevole à chi vuol bene et toscanamente scrivere, sono le sue narrationi senza arte oratoria disposte piene de vocaboli insoliti et senza giuditio alcuno, il

qual poco giuditio fa similmente testimonio [p. 88v modifica]

IL SECONDO LIBRO

ch'egli cio che scrisse, tutto scrivesse a caso ne da se stesso sapesse distinguere quanto l'un libro dell'altro fusse migliore. Scrisse egli il Filocopo, et puosevi quanta industria et arte, seppe per haverlo dedicato alla Reina Gioanna da lui amata, consideri (prego) qualunque e di patientia ben armato se al mondo legger si possi libro di maggior fastidio, credo io ch'eglli nascesse ad un parto col tedio, tutte le volte ch'io lo piglio nelle mani per leggerlo subito mi s'instechiscono le dita di maniera, che forza, e che dalle mani mi cada. Diceva gia un mio sviscerato amico (non gli faro il nome, per non provocargli contra alcuno di questi spenfierati Boccacceschi) che con maggior sofferenza sostenuto havrebbe d'esser trafitto da mosche, da taffani, et da zenzare che di continouar un sol'giorno in si stomachosa lettione. Poniamo hor mano alla Fiammetta, ove sta sempre fitto in un medesimo affetto di gelosia riempiendo le carte di lamenti et sospiri. L'Ameto suo tutto si vede pieno di affettatione, et quasi ogni concetto esplica co partecipii, cosa nel vero troppo affettata, il Corbaccio non contiene altro che una sfrenata et rabiosa maledicentia contra d'una gentil et honesta vedova, che per disio d'honore compiacer non volle mai a suoi libidinosi desiderii, ma per che molti facilmente condescendeno a confessare che tutte l'opere sue non vaglian nulla fuori che il Decamerone qual essaltano et ma


gnificano
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DE PARADOSSI 89

gnificano sopra tutti e libri in qual si voglia lingua scritti, chiamandolo un moderno Cicerone, questo adunque essaminaremo noi alquanto, non pero con molta diligentia per non parere contra di lui appassionati. Primieramente esso (che n'è l'autore pieno di tutte l'altre sue compositioni lo stimo, donde come hò già detto tuttavia mi confermo ch'egli scrivesse à caso, ne dramma di giuditio havesse, tanto istimando quel che tutti li giuditiosi sprezzarno, et avilito sopra modo, quel che noi poscia habbiamo tenuto caro, ma certa cosa è ch'esso con ragion si mosse a farne poca stima, et noi molto scioccamente facciamo, tenendolo in tanta reputatione, conciosia che la materia nella quale si esercita si vega essere leggiera, vana, et indegna d'un intelletto nobile, si conosca esser di mal essempio alle honeste fanciulle, alle caste matrone, et alli accostumati giovani, dia anchora chiaro inditio, dispregiare la santa religione. Ditemi per cortesia o Bocacceschi, cerco egli altro nella novella di Gianotto Giudeo, che di puorci in odio la santissima Romana corte, sempre chiamando la vita de preti, hor scelerata, hor lorda, non ponendo mente alla sua piu d'ogn'altra brutta. Che pensò egli quando scrisse di frate Rinaldo dellagnolo Gabriele, et di Don Felice? se non di metterci in disgratia e frati, che pur sono la siepe, et il bastione contra de gli, Heretici, et


M
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IL SECONDO LIBRO

infelici noi, se essi con le lor buone dottrine, et santi essempii, non ci haveffero diffesi dalle pestilenti heresie, nella novella di ser Chiapelletto a che altro attese, che a levarci dal cuore la riverentia et divotione de santi? che piu parole? per tutto, vegonsi inditii di pessima volunta, legete pur qual volete delle sue novelluzze. Quando il tristo parlo di Peronella et fece mentione delle cavalle partice volle mostrare alla semplice gioventu inusitati modi di sfogare l'intemperanze nostre, in quella di Gismonda figlia del prence de Salerno piacqueli di dar amaestramento alle giovinette vedove che non si stessero con le mani a cintola, ma rimediassero co lor buoni avvisi alla paterna negligentia, col soffione ch'ella poi dette a Guiscardo, insegno bel modo di porger segretamente lettere a suoi amanti, il che fu a Bologna (non e forsi un anno) da una gentil madonna et appreso et leggiadramente usato, non mostra egli nella novella di Andriuola donna di Gabriotto a maritarsi senza farne e parenti punto consapevoli? et quando scrisse delle comadri et che nell'altra vita non se ne teneva conto, non fu un'insegnarci a far d'ogni herba fascio senza rispetto havere alle spirituali affinita? Che s'impara dalla novella di Ricciardetto Minutolo salvo che d'ingannare le troppo credule et gelose donne? et per tosto conchiuderla, non

vi e parte alcuna di questa scelerata opera, dove [p. 90r modifica]

DE PARADOSSI 90

non intenda qualche brutto ministerio, e che accade cercar ruffiani o ruffiane? per corrumper l'honesta delle semplici giovanette? habbino pur il Decamerone, quel leghino e rileghino et se putte sfacciate non divengono incontanente, dite che non habbi senno. O inavvertenza de saggi senatori, o negligentia de giusti magistrati. Vietansi i libri di Martin Lutero, vietansi le prediche di frate Bernardino, prohibisconsi l'opere delli Anabattisti, spenti si sono e scritti de Manichei, arsi quelli delli Arriani, et de Donatisti, et le compositioni di questo scelerato Epicureo' adultero, miscredente, ruffiano et corruttore della gioventù saranno lette, rilette, stampate et ristampate? Deh perche non si fa commandamento che publicamente si ardino, et si sbandischino. Ho io conosciuto una bellissima fanciulla nella citta nostra di Milano, la quale havendo letto la novella del geloso che in forma di prete confessava la moglie, anch'essa d'indi a pochi giorni che letta l'hebbe, fece un bucolino nella parete dell'anticamera per donde favellando con un gentil'huomo si discretamente da l'una et da l'altra parte si opero, che la buona fanciulla dette bando all'honore, qual sin'all'hora havea diligentemente conservato. Io so parimenti due monache d'un monastero per molta santita famoso, le quali havendo letto il caso di Masetto da Lampollecchio, tanto ardore gli ven/


M ii
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IL SECONDO LIBRO

ne, tanto fuoco segli accesse nel cuore, che si fuggirno co dui romiti, et questi sono de guadagni che si fanno da si dishoneste lettioni. Ricordomi d'haver una fiata acerbamente contrastato col dotto messer Gioan Pietro Bracco, mio honorando cugino, il quale con una mirabil superstitione sforzavasi et di scrivere et di parlare alla Bocaccesca, dal qual studio dissuadendolo io à mio potere, mi confesso una fiata non potersi veramente negare che la lettione delle dieci giornate non fusse alquanto lascivetta et mal a proposito per le persone spirituali, ma che doverebbesi benignamente sofferire per amor del stile ch'era si bello et florido. Deh buon'huomo dissi io all'hotta alquanto sdegnosetto, felice stile chiamerassi un stil confuso, pieno di chente, di horrevole, avenevole, arrendevole, guari, insiememente et teste? florido stile chiamerassi non essendo atto, à scrivere altro che facetie, novelluzze, buffonerie, et simili chianchie? felice stile chiamerassi bene con miglior ragione quel del signor Mario Galeota, florido stile dirassi ben meritamente quel di monsignor di Catania, li quali riescono facilmente per cantar gesti heroici, per comporre comedie, scrivere tragedie, far dialogi, trattar cose sacre et anche tradure di una lingua in l'altra, et cosi vogliono essere li stili, et non solamente atti

cicalare et dir la novella di Frate Cipolla, ò di [p. 91r modifica]

DE PARADOSSI 91

Calandrino. Conchiudo per tanto che chiunque ama lettione grave et honesta et disidra veder parole elette, piene, rotunde, vestite di splendidissime figure et grate metaffore, non leghi mai il Bocaccio, anzi lo fughi et piu che la peste schivi questa cicala, guardisi da questa lingua fracida dalla quale non s'imparano salvo che tristitie, ruffia[ne]simi, et sporcitie, ne per altro fu posto nome al Decamerone il Prencipe Galeoto, se non per che si come l'innamoramento di Galeoto fu cagione che dui stretti parenti carnalmente si congiungessero, cosi questo libro per esser molte volte mezano di simili cose, fu giudicato degno di cotal tittolo. Deh come gode il giottone quando parla di qualche saporito manicaretto, et come tutto si distilla di dolcezza quando parla di Cisti fornaio et del suo buon vino bianco, et quando egli discende à ragionare del rimettere il diavolo nell'inferno, parvi che il ribaldone ne favelli come un'huomo che sogni? ben mancavaci questo sciagurato, il quale con le sue cantafavole ne svegliasse alli appetiti disordinati, ci poteva pur bastare l'esser figliuoli di Adamo, et di questa corruttibil massa formati, senza altri solfanelli et allettamenti, et forse che non lo teniamo ben caro? forse che vi è gentil donna alcuna che non sel tenga nel camerino legato in oro, con li nastri di seta, li Francesi l'hanno tradotto nella lor lingua. Spagnuoli


M iii
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IL SECONDO LIBRO

l'hanno rivolto in lingua Castigliana, et par dishonore à qualunque ben nata signora se ella non ha le novelle del Bocaccio à mente, è che frutti poi si cavano da si honorati studi? Adulterii, sacrilegii, putanesimi, sodomie, et altre belle cose alle predette simili, teniamolo adunque ben caro, facciamolo stampare in carta pecora, et con le figure sottilmente fatte, per che meglio s'imparino i santi essempii, et virtuosi documenti ch'esso ne da, ò pazzi noi, anchora non facciamo fine di vaneggiare, anchora non restiamo capaci, che il stile suo non sia punto da pregiare, ò che affanno, ò che isfinimento di cuore mi sento havere quando alcuno odo, che Bocaccevolmente parli, io per me, ascoltarei sempre piu pacientemente parlare un Genovese, un Bergamasco, un Milanese, et un di Piamonte. Non sono adunque degne d'esser lette l'opere di Gioan Bocaccio, ispetialmente le sue cento novelle

tanto da sciocchi huomini prezzate. [p. 92r modifica]

DE PARADOSSI 92

CHE L'OPERE QUALI AL

presente habbiamo sotto nome di Ari

stotele, non sieno di Aristotele.

PARADOSSO. XXVIII.

Or questo si che parera troppo strano Paradosso, et dara pur assai che dire à nostri Aristotelici, et a me anchora prima che piu sottilmente cio investigassi, havrebbe dato molto da pensare,ma hora ne rimango del tutto risoluto, merce del fedele Strabone, et dotto Plutarcho, li quali apertamente narano che l'opere di Aristotele gran tempo fa si perdessero, ne con altro si filosofasse, salvo che con certi scartafacci di alcuni vecchi peripatetici. Potevami per certo bastare il testimonio di dua si valenti litterati à farmi cio credere, anchora che sopravenuto non vi fusse M.Tullio col diligentissimo Simplicio, li quali m'hanno talmente in questo mio parere confermato, che di niuna altra cosa parmi esser piu certo et per sostentar tal cosa ardirei di porre il capo mio ad ogni rischio. Scrivendo Tullio a Lentulo dice d'haver composto l'Oratore in dialogo secondo il costume di Aristotele, hor se Aristotele hebbe tal costume sara credibil cosa che molti volumi, et non


M iiii
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IL SECONDO LIBRO

un solo n'habbi sotto tal forma scritto et pur non se ne vede alcuno. Simplicio parimenti afferma ch'egli scrivesse in dialogo, io non vego questi dialogi in alcun luogo, ho pur anch'io quando haveva piu del scemo che al presente non ho, rivolto la mia parte di questi libracci che vanno si presuntuosamente scorrendo per le librarie, ne mai ho ritrovato tal forma di comporre, dil che m'ho assai maravigliato, ispetialmente essendo usanza ne que tempi di scrivere in dialogo, come si vede in Platone, Senofonte, et altri molti, di piu il medesimo Simplicio interpretando e predicamenti di Aristotele cita la Parafrasi di Andronico, la qual tutta confassi col testo qual hora habbiamo, et discorda dal testo di Simplicio, donde parvi evidente congiettura che di Andronico siano et non di Aristotele. Ridevomi adunque meritamente la state passata essendo in Roma, et veggendo disputarsi tra li primi filosofi, se li predicamenti di Arislotele dovessero esser preposti o posposti alla metafisica, o quistion degna d'esser a si travagliosi tempi disputata nel cospetto de tanti reverendissimi Cardinali? poi che di Andronico sono li predicamenti, & piu frasche dentro vi si vegono che frutti. Simplicio anchora, nel preallegato libro, parlando de gli Univoci, cita l'arte poetica di Aristotele, et la difinitione qual esso da in quell'arte de prefati univoci,

letto ho io quella poetica et piu volte riletto, ne [p. 93r modifica]

DE PARADOSSI 93

mai vi ho trovato cotal cosa, questi adunque non sono e veri Aristoteli. Ritorno hor di nuovo a M. Tullio, il qual scrivendo ad Attico, et delle sue opere parlando, narra d'esser stato consigliato di far come Aristotele nella politica, il quale, havea fatto dir ad altrui ne que libri cio che egli non approvava, et esso havea distesamente scritto tutto quel che vero giudicava, dove similmente fa mentione dell'usanza qual Aristotele hebbe di scrivere in dialogo. Veniamo anchora piu avanti, scrive egli nelle Tuscolane parlando del fin nostro, et dice, vengane quel fiume d'oro di eloquentia, et in molti altri luoghi sempre lo allega, come eloquentissimo, politissimo. Et pieno di ogni vago ornamento, e dove consiste questa tanta eloquentia? dove si vede questa larga copia di oratione? qual huomo esercitato nella lingua Greca confessa, o ammira questo splendore di parole? tutti confessano ben volentieri, che elle sieno convenevolmente proprie, ma non pero molto eleganti et dolci. Fu per questo da molti filosofi giudicato, che lo libro del mondo non fusse di Ariftotele, per esser assai piu degli altri terso et facondo ispetialmente essendovi davanti il prohemio, et facendosi di quello, ad altrui dono, cosa da lui ne gli altri suoi volumi non usata, non e anche solito Aristotele di far prohemii longhi, ne di

porvi lo nome di alcuno. Veniamo hora alli [p. 93v modifica]

IL SECONDO LIBRO

Problemmi dove si ripetteno molte volte le medesime cose, et con ragioni fredde, et sciocche scioglionsi alcune vane quistioni, cosa aliena da si gran lume d'ingegno, et da si profunda dottrina come il comune grido gli ne da vanto. Tullio anchora, il cui testimonio appresso di me e di troppo gran peso, nelle disputationi Tusculane (che cosi esso le chiama, et non quistioni) dice apertamente che li libri de Morali furono fatti da Nicomaco suo figliuolo maravigliandosi di chi altrimenti giudica, come se il figliuolo non potesse et in dottrina, et eloquentia rappresentare il padre, dice anchora di piu, d'haver letto e libri da Aristotele scritti, della natura delli Dei, et hor qua, hor la buona parte ne traduce, et non dimeno chi ha fatto questi falsi Aristoteli, ha di mano in mano rifferito et concatenato l'un libro all'altro, incominciando dalla logica, et sagliendo a libri della fisica, del cielo, dell'anima della generatione et corruttione, descendendo poi a gli huomini, et alli animali irragionevoli et cotesto e l'ordine che si vede per tutti e suoi libri, ma piu apertamente nelle sue meteorologie, cosi dicendo. Habiamo gia disputato delle prime naturali cause, d'ogni natural movimento delle stelle, de gli Elementi corporali, et delle sue scambievoli operationi, della comune generatione et corruttione, resta hora discendiamo

piu basso, et nel principio de sensu et sensili/ [p. 94r modifica]

DE PARADOSSI. 94

bus il medesimo processo afferma, et pero se questi quai al presente habbiamo, et con tanta riverentia vanno per le mani de studiosi fussero e veri libri di Aristotele, troverebbonsi quelle sue cose che citate sono, et alla materia trattata in quelli che noi hora leggiamo si appartengono, et pur in niuno luogo si trova dove egli trattasse di questa natura de Dei, altri passi mi occorreno per ciò mostrarvi anchora piu copiosamente, ma perche veggio in che dotti secoli venuti siamo, ho pensato sia bastevole l'haver con questi pochi luoghi acennato, senza altra opera de sillogismi overo di demostrationi.


CHE ARISTOTELE FUSSE

non solo un'ignorante, ma anche lo

piu malvagio huomo di quella età,

PARADOSSO. XXIX.

Armi già d'udir risonare di lontano e' gridi, dalli, dalli, al pazzo, al temerario, al quale, non è bastato quel che insin'hora ha si prosuntuosamente detto, che vuole anchora porsi piu avanti, et mettere la bocca in cielo, ma io non mi sbigottiro gia per si vani rumori anzi

faro come sogliono i corbachioni de campanili, lasciaro [p. 94v modifica]

IL SECONDO LIBRO

altrui gracchiare a suo piacere, et io attenderò a' casi miei, non posso pero fare che gran pietà non habbia di chi si lascia cosi facilmente cattivare l'intelletto, et legare il giuditio, di maniera, che come si converrebbe, non discorra, ma fu sempre questo un'antico errore, et credomi introdotto fusse dalla Tirannia di Pitagora, il quale non sapendo per aventura render ragione di ciò ch'egli mostrava a'suoi discepoli, voleva bastasse ch'esso detto l'havesse, senza altra ragione assegnare. O temerita insupportabile, o tirannia incredibile, qual Fallari, o qual Dionisio havrebbe osato di por tal legge a suoi vasalli? Troppo gran vanita nel vero e la nostra, legandoci da noi stessi, quelli erano astretti dalla potenza et autorita del maestro c'hebbe un ingegno tirannico, noi spontaneamente come se l'intelletto nostro del tutto ocioso fusse, habbiamo messo il collo sotto il giogo ponendo in catedra questo animalaccio di Aristotele, dalle sue determinationi, come da un'oracolo dependendo, ne accorgendoci ch'egli sia un buffallaccio, ignorantone, al tutto indegno di tanta riverentia, et di tanto rispetto quanto gli è stato da sciocchi havuto, non mi po per anchora in alcun modo cessare la maraviglia di chi dotto l'ha repputato, essendo gli errori suoi et tanti et si manifesti. Sforzerommi di narrarne alcuni et de piu leggieri

che vi sieno, che se raccontar volessi quanti ve ne [p. 95r modifica]

DE PARADOSSI. 95

sono, credo che assai piu agevole mi fora l'annoverar le stelle del cielo. Ditemi un poco saggi Aristotelici, tu in prima Averrois che gli facesti il gran commento, et diceste che nell'opere di questo tuo novello Iddio, non si era mai ritrovato errore alcuno, non erro egli bruttamente dicendo che lo seme dava solamente lo principio motivo al sangue mestruale, si che egli havesse ragion sol di opifice et non che di quello si componesse l'animale? Dimmi bugiardo Averroe? non erro egli rendendo la ragione della similitudine c'hanno i figliuoli verso le madri? non ha egli similmente errato si pertinacemente affermando che li testicoli inutili fussero alla generatione del seme? Dimmi barbaro non comise egli grave error sciogliendo la quistione perche n'è rimanga il corpo effeminato segati che sieno gli testicoli? ha pur anchora errato dicendo che lo principio del spontaneo movimento, et del senso, fusse nel cuore, apparendo per certissime dimostrationi esser nel cervello. Deh come appassionato sempre ti mostrasti verso questo tuo indotto precettore, Narra Laertio nella sua vita, che egli habbi scritto quatro cento volumi, non diro gia io per hora che Laertio ne menta, diro ben ch'egli fusse poco accorto non avertendo che abusando esso del favore di Alessandro sacheggiasse spesso di buone librarie, et comprasse de libri

antichi, non gli mancavano danari, havendo a fare [p. 95v modifica]

IL SECONDO LIBRO

con quel buono huomo di Alessandro, che havea posto ogni suo piacere in donare, si come e'principi moderni, pongono ogni lor diletto in rubbar l'altrui, per quatro favole che detto gli havesse, gli havrebbe dato la meta del scetro, buon per esso che ne quei tempi venne, c'hora non so se cosi facilmente gli riuscisse, di maniera veggio e' signori nostri divenuti più avari che il fistolo, et piu ristretti che il giaccio, furacchiava poi da libri che comprava, et di pergameno in pergameno traportando, era di necessita che infiniti errori si commettessero, percioche non sapendo il bricone, lettere, non si poteva di leggieri accorgere se fedelmente si trascrivessero ò non, et cosi nacquero ne suoi libri moltissimi falli, quasi insupportabili alle erudite orecchie, come sarebbe, che l'origine de nervi fusse nel cuore, et che d'indi, la vertu nutritiva, come da fonte ne venisse, di qui avenne forsi anche l'abagliarsi nel rifferir le cause della visione, et similmente nell'annoverare le parti dell'anima, falsamente da lui faculta chiamate, conciosia che tutte insieme unite, tal nome non possano meritamente ottenere, il che appare nel conflitto di esse, et nella vettoria che dal conflitto risulta. Fece pur anche fallo degno di gran correttione nel narrare la necessita del cervello, et dicendo che il polmone per se stesso si movesse, ma

questi si potrebbono dir peccati da castigare sol [p. 96r modifica]

DE PARADOSSI, 96

con la sferza, rispetto a gli altri quai fece parlando della proportione delli elementi, raginando del circolo latteo, disputando dell'arco celeste, scrivendo del numero de corpi che riempiono luogo, et trattando nella sua loica della dimostratione ove biasma la dimostratione circolare, et poi nella sua perfetta dimostratione vuole che le premisse sieno convertibili, di modo che forza sarà o che nulla s'impari di questa tal dimostratione, o che circolare divenga. Finalmente quest'arca di scientia, quasi in ogni parte delle opere da lui fatte, con matemattiche dimostrationi riprovarsi potrebbe, et noi pazzarelli l'adoriamo come un idolo, et alle sue diterminationi, come a responso di oracolo chiude ogn'uno la bocca, e possibile, o dotto Simon Portio che col tuo bellissimo ingegno non habbi penetrato mai si avanti, c'habbi conosciuto che questo tuo tanto familiare Aristotele, fusse un bue? hai tu deliberato di morire in cosi fatti studi? deh volge altrove l'animo, ne consentire che il testimonio tuo gli dia piu autorita di quello che sin'hora dato le ha, che pur troppo e stata. Sempre (mi credo io) saremo fanciulli, mai da si longo sonno ci risvegliaremo, patiremo sempre che questo mostro sega pro tribunali l'e pur gran cosa che alcun non apparisca a si dotti tempi che ne lo scacci, et facciane ravedere et della cecita nostra, et delle sue molte inettie. Scrisse il

tristo, nel settimo de suoi morali et a Nicoma/ [p. 96v modifica]

IL SECONDO LIBRO

cho suo figliuolo scrisse, che il farsi dar le pesche non fusse vitio, ispetialmente se da fanciullo vi fusse avezzo (si come vitio non era nelle femine lo congiungersi con l'huomo) è dove hai tu appreso si malvagia et diabolica dottrina? halla tu forsi appresa da Platone? il quale, non fu pero molto miglior di te, et gracchino pur quanto vogliono li Platonici moderni, paionti queste cose da scrivere a' figliuoli? ò gentil filosofo che tu sei? ò costumi dilicati? Scrive anchora questo valent'huomo della sodomia nella sua politica, et in tal maniera ne scrive, che secondo il giuditio di alcuni (piu di me acuti investigatori) come cosa alle Republiche utile l'approva, et pare indubitatamente ch'egli lodi quelli che tal cosa usano, permette il tristo, e'divortii, nega l'immortalita dell'anima, et concede la felicità nel stato presente. Scrisse tre libri dell'anima, et tutto si occupa nel rifiutare l'altrui openioni (si come far suole) ne altro trar se ne pò, salvo che ella sen vien di fuori, et non è cavata dalla potentia di essa materia, dando poi una diffinitione piu tosto esplicativa dell'effetto, che della natura della cosa, non l'havrebbe data il piu inetto sofista c'havesse mai alcuna scuola. Scrisse quattordici libri di Metafisica, miri chi ha intelletto che frutto se ne ricolga? va egli animosamente hor questo, hor quello tassando, per riempir il foglio, credendo forse per haver arso tanti buoni libri, che li suoi fur


ti non
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DE PARADOSSI 97

ti non ti havessero mai à scuoprire. Scrisse parimenti de veneni, nella qual cosa credo fusse assai bene esperto come quello, che ad altra parte posto non havesse i studi, et indirizzati li pensieri suoi che a' malefitii, et ad ogni sorte di ribalderie con veneno poi di tal qualita fatto che reggere non si potesse salvo che sopra d'una unghia cavallina aveneno Alessndro magno, un signor si valoroso, et liberale, dal quale era tenuto in riverentia come padre, ò piu d'ogn'altro ingrato, traditore, perfido, et disleale, come ti dava il cuore che per opra tua morisse il tuo padrone? dal quale ti era nata tutta la reputatione, non ti soveniva all'hora delle molte gratie fatte a Stagira dove nascesti per tuo amore? non ti soveniva che essendo un furfantello figliuolo d'un spetial fallito ti havesse fatto sopra ogn'altro tuo pari et ricco et honorato? Et perche credete voi ch'egli cometesse si grave eccesso? non per altro veramente salvo perche gitto dalle finestre Calistene suo discepolo, parvi che bastante causa fusse per condurlo a si gran fallo? era Calistene un giovanetto greco, tutto baldanzoso, molto vago di aspetto, et da Aristotele amato piu che la propria vita? col quale et giorno et notte conversava. ne mai si vedevano disgiunti, di modo, che per tutta Atene, si diceva, che piu facil cosa fusse a vedere il concavo separato dal convesso, che Aristotele da Calistene disgiunto, a che offitio poi l'adope


N
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IL SECONDO LIBRO

rasse, lo voglio piu tosto lasciar altrui pensare, che con la penna mia manifestare, ma non crediate gia che sol verso Alessandro ingrato fusse, percioche ingratissimo fu anchora al suo maestro Platone, della qual cosa dolendosi, disse piu volte, ch'egli faceva come far sogliono i pulcini, li quali, dano del'ali alla chiocchia, poi che da se stessi trovano che beccare, che dico io dell'ingratitudine? egli fu il piu vitioso huomo c'havesse mai secolo alcuno. Ho letto in alcuni fragmenti Greci che quando costui nacquce, appari nell'aria à mezzo giorno una statoua d'un'huomo con un libro in mano alla riversa, con la lingua cavata fuori, barbuto solamente la metà del viso con la fronte di piombo, con gli occhi di serpente et sotto e' piedi teneva un scuto dove pinto stavano sole, luna, et stelle, corsero all'oracolo per intendere il significato della mostruofa statoua, a quali fu risposto che l'apparita statoua significava il nascimento del piu scelerato huomo che mai nascesse al mondo, il libro ch'egli tiene alla riversa significa che sara un filosofo simulato et indotto, la lingua in fuori spinta, da ad intendere l'immoderata loquacita et maledicentia chegli havera, la fronte di piombo, la sfacciataggine sua dimostra, gli occhi di serpente, della dannosa curiosita fanno piena fede, la poca barba rappresenta, ch'egli habbi da essere effeminato

et impudico, il scuto c'ha sotto e piedi mo/ [p. 98r modifica]

DE PARADOSSI 98

stra lo dispregio delle cose divine, fu cercato diligentemente dove fusse questo nuovo parto, et come piacque al reggitor del mondo, mai si puote ritrovare questo infelice, il quale essendo pervenuto poi all'eta virile, innamorossi d'una sfacciata meretrice detta per nome Hermia, et talmente se ne invaghi, che prese ella un giorno ardire, di porgli la sella sul dosso, cavalcarlo, stratiarlo et al tutto vituperarlo, a costei finalmente fece fare ordinatamente tutti li sacrificii che far si solevano alla Eleusina cerere, parvi che questo fusse inditio d'una mente pia? d'un animo religioso? essendo adunque delle divine cose si gran sprezzatore? non vi pare che meriti che li nostri reverendi baccalari ad ogni parola l'habbino in bocca, d'altro non si ragioni per e chiostri loro, ne altro s'oda per e pergami allegare. Fu dimandato una volta essendo io in Padova, a' monsignor Bembo, perche non andasse la quaresima alle prediche? rispose egli incontanente, che vi debbo io fare? poscia che mai altro non vi si ode che garrire il dottore sottile contra il dottore Angelico, et poi venirsene Aristotele per terzo, a terminare la quistione proposta. Pensarono gia alcuni fratocchi brodaiuoli, non poter far meglio che invecchiare in tal lettione affermando senza Ariftotele non potersi intendere la scrittura santa, ne mai haver huomo alcuno (per acuto che egli fusse) potuto intendere la materia della prede-


N ii
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IL SECONDO LIBRO

stinatione congiunta col libero arbitrio, et cosi lasciavano il santo Vangelo, abandonavano la Bibbia per attendere a sogni di questo babuasso, sopragiunse poi M. Lutero senza favore di Aristotele, senza soccorso delle formalita di Scoto, solo armato delle scritture sante à suo modo intese, et volse in fuga tutti quelli reverendi theologi Aristotelici, di Lipsia, di Lovanio, et di Colonia, facendoli ravedere quanto sia gran fallo lasciar il grano, per mangiare delle giande. Fu costui per l'oscurita sua detto sepia, percioche si come la sepia sparge non so che di tintura sotto il ventre raccolta, per non lasciarsi prendere da pescatori, cosi questo valente filosofo, per non lasciarsi intendere, s'e tutto involto nelle tenebre dell'ignorantia, nella quale fidandosi, scrisse ad Alessandro, non si pigliasse dispiacere, se publicato havea i libri della Fisica, percioche intendere non gli potrebbe chi dalla sua propria bocca udito non gli havesse. Credo certamente che ne anchora egli l'intendesse, per esser confusi, et rapezzati da vari scritti de antichi Creci. Hor su conchiudiamo tosto il fatto nostro, ne consumiamo horamai piu carte in parlare della poca dottrina c'hebbe si famoso filosofo, ne de suoi mali costumi, li quali talmente in Atene si scuopersero, che se egli non sene fuggiva, era ignominiosamente con ogni sorte de supplitii levato dal mondo,

et cosi disperato fuggi in Calcide, dove un gior [p. 99r modifica]

DE PARADOSSI 99

no considerando di haver perduto la reputatione, qual haveva per tutta Gretia, et non esser horamai piu luogo dove securamente potesse habitare, essendo vicino al fiume Eurippo, trapportato dalle furie che lo guidavano, agitato dalli acuti stimoli della conscientia che per tanti malefitii lo trafigevano, lo rodevano, et lo spolpavano, gittossi nel fiume, et affogossi, et cosi rimase il mondo smorbato di tano lezzo, et quella brutta anima fu da crudelissimi dimonii strascinata alle dovute pene, quali fugito haveva il mal composto corpo, vadino hora e frati componendo e libri della salute sua et della teologia di Aristotele, dica pur il Trapezontio di mente di Gregorio Nazanzeno ch'egli sia salvo, che io per me non lo posso credere, Soviemmi d'haver udito che un santo Romito che stava ne deserti di Tebaida, pregasse Iddio gli mostrasse qual sant'huomo nel paradiso havesse il piu honorato luogo, compiacquegli il signore, il quale mancare non suole a'desiderii de suoi eletti, dil che, rimase grandimenti consolato, d'indi a pochi giorni, venegli disio di sapere qual fusse il piu tormentato corpo nell'inferno, et fugli in visione mostrato Aristotele in habito da filosofo, il il quale tre volte al giorno era spogliato ignudo et duramente battuto, poi in piu parti minutamente tagliato, della lingua se ne rapolliva le piu immonde parti, gli occhi erano posti per versa/


N iii
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IL SECONDO LIBRO

glio et saettavansi con accutissime saette, de capelli et della barba se ne faceva un strofinaccio, ma che miracolosa cosa era questa, che in qualunque particella dal tutto divisa, era per divina volunta quel senso ch'esser soleva in tutto il corpo, erano poi finalmente gittati que pezzi in un'acqua bollente, et l'afflitto corpo ritornava intiero et sano, et cosi tre volte al giorno senza mai fallire si ritrovavano questi duri supplicii, et fino al giorno presente credo continuatamente durino, rimase il buon romito tutto pien di stupore, et rimentandosi di havere nella sua cella, non so che suoi scritti, gittoli incontanente nel fuoco, et cosi di buon cuore essortarei ogn'uno à far il simigliante, et lasciar studi si nemici della religione, et de buoni costumi, et donde niuna sana dottrina imprender si possa, creda adunque fermamente ogn'uno ch'e gli fusse non solo ignorante, ma il piu scelerato

huomo di quella età. [p. 100r modifica]

CHE M. TULLIO SIA NON SOL

ignorante de Filosofia, ma di Retorica, di

Cosmografia, et dell'Istoria.


PARADOSSO.   XXX.


On dubito certamente che molti non si habbino da maravigliare, che anchora fatto non habbia la pace con M. Tullio, qual già sono poco meno di dieci anni ch'io mandai con suo gran scorno in esiglio, et feci vedere al mondo, quanto egli s'ingannasse nel stimarlo si dotto et eloquente, ma poi che tuttavia piu mi confermo in haver mala openione di lui, havendo à di passati tolto à flagellare Gioan Bocaccio et Aristotele, mi è paruto anchora ben fatto di dargline un'altra risciaquata, ritrovando nuovi errori che all'hora non havea ben avertito quando scrissi il dialogo intitolato Cicerone relegato, et di più mostrandolo ignorante di Filosofia et altre utili discipline, cosa che forse agevolmente non sarebbe stata da alcuno creduta. Egli e gia gran tempo che sparger s'incominciò la fama che M. Tullio non sapesse punto di filofofia, dalla qual fama, ne fu in buona parte cagione Aurelio Agostino, che filosofastro molte volte lo chiamo, ne mai degnollo [p. 100v modifica] del nome di filosofo, benche esso (che tutto fu composto di giattantia. et vana gloria vantisi temerariamente che molti de suoi libri (spetialmente le orationi) ne sieno piene, ma vegale chi vuole, essaminele diligentemente, et poi mi dica, quanta filosofia vi havera dentro raccolto. Esso primieramente riprende Panetio c'habbi lasciato di comparar dui honesti et dui utili insieme, parendogli troppo gran vitio che un si famoso et eccellente filosofo,nella divisione delli uffitii lasciasse questi dui membri, ma certo che esso e di molto maggior biasimo degno, non havendo considerato esser impossibile che acaschi a far tal comparatione non essendo mai gli uffitii senza qualche attione, la quale ha sempre di necessita et luogo et tempo. Hora se noi avertiremo diligentemente, trovaremo che quelle cose che ci paiono simili et amendue o utili o vero honeste, doventano contrarie et l'una di loro si cambia in dishonesta o ver dannosa, darovvi l'essempio, accioche meglio si scuopra l'ignorantia sua, et io sia meglio inteso. Se essendo noi in una camera inchiusi stessimo ragionando della miglior creanza c'haver debba un cavaglier d'honore, o divisando della riformatione del stato ecclesiastico, et venesse alcuno infretta picchiando la porta, et dandone nuova che gli nemici fussero già dentro alli ripari, o vero che nelle vicine case fusse posto il fuoco, non lasciando il [p. 101r modifica]

DE PARADOSSI 101

re per dar soccorso a' bisognosi, et riparare a' pericoli, non peccaremo noi gravemente? non doventarebbe l'un di questi offitii del tutto vitioso? si farebbe veramente, dicciamo anchora piu oltre, egli puose quattro vertù, cioè prudentia, giustitia, fortezza, et temperantia, ne si ricorda il stordito, d'haver scritto bruttamente fare, chi pretermette nelle divisioni cosa veruna, oltre che noi veggiamo tutti gli migliori filosofi undeci da necessita astretti haverne posto, non le raccontaro gia per hora, di una in una, potendole ciascun vedere in Aristotele, et prima in Crisippo, in Dicearco, in Senocrate, in Teofrasto, et altri tanti, di qualunque miglior setta, andiamo piu oltre, nel quarto libro delle disputationi Tusculane, riprende orgogliosamente gli dotti peripatetici, perche assegnarno le mediocrita delle passioni a noi si utilmente date, et senza le quali, gli huomini possedere non possono vertu alcuna, ne si avede (il misero) che chiunque tolge le mediocrita delli affetti, tolga le vertu, ne ci rimanga piu chi procuri di sovvenir alla patria, lievasi l'amore a figliuoli, non amansi piu gli amici, et molte altre cose honeste pretermettensi, non saprei per mia fe, dir quanti brutti falli mi si scuoprino, tutte le volte ch'io mi pongo à leggerlo, il che per non perdete in tutto il tempo, faccio men sovente ch'io possa, mi pare pur strano

veder in si famoso scrittore una tanta negligen [p. 101v modifica]

IL SECONDO LIBRO

tia, degna d'esser castigata, non con semplici rimprocchi, ma con accerbe battiture, ch'egli fusse come io vi dico nel scriver trascurato non si creda a me, ma credasi a lui stesso, il quale, essendo da dotti amici corretto et ammonito, o confessava l’errore, nel quale era trascorso, transferendone la colpa alla sua smemorataggine, o si scusava con l'addur qualche altro simile a lui mentecatto, il che in molti luoghi dell'opere sue apparisce, de quali, per confirmatione della uerita basterammi al presente recitarne uno, over dui, et et cosi ammonire e diligenti lettori ad osservarne quasi infiniti per l'opere sue sparsi. dico adunque non esser hoggi, huomo al mondo che habbia punto di cognitione delle cose passate, il quale non sappia che gli giurisconsulti antichi volendo tenere la professione loro in qualche riputatione havessero ordinato certe formole, et certi giorni, ne quali si potessero solamente proporre le attioni davanti a giudici, et quelli ridotti in certi lor libri, che Fasti chiamavano, esser poi stato un certo Plebeio, il quale, sendo lor segretario, rubbo quelli fasti, et gli divulgo al popolo, et fu tanto grato questo dono, che non ostante ch'egli fusse ignobilissimo, il popolo lo fece edile Currule, lo nome di costui non e cosi ben noto, credettesi gia ch'egli si chiamasse Gn. Flavio, et cosi credette l'autore della origine delle leggi, ma e dotti

sapevano che non fu Flavio, tuttavia Cicerone [p. 102r modifica]

DE PARADOSSI 103

orando contra Sulpitio, nomnino Gn.Flavio autore del don gia sopra detto, dil che, fendo poi ripreso da Pomponio Attico, ch'era peritissimo delle antichita Romane, sene scusa cosi dicendo, Di Flavio et de fasti, sendo altrimenti, e pero commune errore, tu certamente ne dubitasti con ragione, et noi seguittiamo l'upinione quasi publica, come sono molte cose appresso de Greci, et seguita narrando. Chi e fra quelli che detto non habbia Eupoli scrittor di Comedie navigando in Sicillia, esser stato gittato in mare da Alcibiade, la qual cosa Erastotene riprende mostrando ch'egli habbi scritto delle comedie doppo quel tempo, et non essere percio schernito Durio Samio, huomo nell'istoria diligente havendo con tanti errato? Chi non ha, dice anchora similmente scritto, esser stato Zaleuco legislatore de Locresi? et non essere percio meno istimato Teofrasto sendone di cio ripreso da Timeo? queste sono delle scuse che fa M. Tullio, in diffesa della sua brutta negligentia, ma quanto havrebbe egli fatto meglio a pigliare un poco piu di fatica per non commettere simili errori, che durarne poscia tanta in raccorre quelli de gli altri, per iscusar se medesimo. Il detto M. Tullio egualmente anchora negligente nella Cosmografia, come in tutte l'altre cose, havea scritto che tutte le citta del Peloponesso (c'hoggidi si chiama

la morea) erano marittime, dil che sendo ripre [p. 102v modifica]

IL SECONDO LIBRO

so da Attico, si scusa dicendo, Io detti credenza alle tavole di Dicearco huomo dal tuo giuditio approvato, qui prego io qualunque leggera lo presente Paradosso, averta non solo alla negligentia di questa (che far non posso ch'io non dica bestia) ma anchora all'ignorantia sua conciosia che diffendendosi con l'haver creduto a Dicearco, reciti le parole per le qua si mosse à credere si grande sciochezza come sarebbe à dire che in tutta la morea paese grandissimo, non vi fussero città salvo che sul mare, sendovi infiniti altri ottimi luoghi, cosi adunque dice Tullio. Narrando Dicearco la Trofoniana di Carone riprende gli Greci in questo, che seguitassero tanto il mare, non eccettuando luogo alcuno, et anchora che mi piacesse l'autore, per esser grandissimo istorico, et haver longamente vissuto nel Peloponesso, tuttavia mene maravigliava et apena confidandomene lo communicai con Dionisio, il qual da prima stette sopra di se, poi havendo non men buona openione di Dicearco che tu di C. Vestorio et io di M. Cluvio, non feci dubbio che non fusse da dargli fede. O ignorantia incredibile, deh leggete attentamente il bestial discorso che fa questo buon'huomo, Dicearco si maraviglia che gli Greci habitassero piu al mare, che fra terra, et questo diligente inquisitore, questo si buono intenditore, subito fa la sua precipitosa conchiusione,

che non havessero salvo che citta mariti/ [p. 103r modifica]

DE PARADOSSI 103

me, et difidera l'eccettione, dove la non poteva in alcun modo cadere, et forse ch'egli non ne prese consiglio con un giuditioso huomo, con un polito ingegno, conciosia che anchora che in qualche luogo dell'opere sue n'habbi honoratamente parlato, poi che Dionifio lo lascio di lui facendosi beffe et scherno havendo pur assai per tempo conosciuto la vanita del suo cervello, incominciollo a biasimare, et per ignorante et leggiero reputare, confessando d'haver assai guadagnato havendo perduto sua conversatione, soggiugne poi tuttavia scusandosi, et fa un'altro maggior fallo, dicendo, che quantunque sapesse che Tene, Alifena, et Tritia stessero fra terra, haver non dimeno creduto ch'elle fussero di nuovo edificate, conciosia che Homero nella rasegna delle navi non ne faccia mentione, quasi che le navi si facessero per uso delle citta, che sono dentro a terra, o che Homero havesse tolto l'assunto di discrivere altro che le navi mandate dalli habitatori di Gretia verso il mare? et aggiugnendo errore a errore, dice che la Grammatica l'ha ingannato, facendo certe sue sciocche dirivationi, quali lascio vedere a chi non sia tanto stomacato della sua lettione quanto sono io di presente. Ma quel che recitero hora non potendosi in verun modo scusare, confessalo non senza suo gran vituperio et scrivendo ad Attico cosi dice, Bruto

mi ha rifferito in nome di T. Ligario che se nella [p. 103v modifica]

IL SECONDO LIBRO

oratione ligariana vi sia appellato L.Corfidio, esser error mio, ma come si dice per commun proverbio, error però di memoria, io credeva Corfidio esser congiuntissimo con e ligarii, ma vego finalmente ch'ei mori davanti, per tanto darai commisione a'Farnace, a'Salvio, et Anteo che quel nome sia cancellato da tutti e'libri, qui non potendo il buon'huomo ricoprirsi, confessa il fallo, dando la colpa all'essere smemorato, et bruttamente è costretto a far radere quello che imprudentemente si ritruova d'haver scritto, certo che se all'hora fussero state le stampe bisognava far altro che coreggersi doppo il fatto, qui è veramente da considerare quanto egli fusse prosuntuoso, osando scrivere per vere, le cose ch'ei non sapeva, ne havendo avertenza di farle rivedere, anzi piu tosto volendo haverle a'coreggere, poscia che l'erano divolgate,che humiliarsi a pigliarne il giuditio di qualche dotta persona di que tempi, non posso certamente pensare come sia egli venuto in tanta openione huomo litterato appresso di noi, conciosia che al tempo suo fusse si poco istimato, et doppo la morte stesse anchora buona pezza in niuna riputatione, et noi l'ammiriamo tanto chiamandolo il padre dell'eloquentia, il maestro di coloro che meglio degli altri sapino et scrivere et favellare, l'inventore della Retorica, et tanti bei tittoli gli diamo, che

non ne ha tanti Carolo d'Austria, ma che gli [p. 104r modifica]

DE PARADOSSI, 104

antichi nostri di noi piu accorti nel intendere, et savi nel giudicare, non lo stimassero molto, mirate quel che ne disse Messalla Corvino, et quel che ne giudicarno Bruto et Calvo, mirate il giuditio che di lui fece poscia Cor. Tacito comparandolo con certi retoricuzzi di poca fama, et a quelli giudicandolo anchora di gran longa inferiore. Tutti gli huomini di senno maturo, in qualunque secolo dissero sempre ch'egli non valesse nulla nell'arte oratoria, testimonio po di ciò essere la sua retorica, della quale non si vidde mai la piu fredda cosa, testimonio ne possono essere le sue orationi, nelle quali, e piu che il dovere non consente, prolisso, ispetialmente ne periodi, rade volte si lieva in alto, di rado anchora si riscalda, non camina l'oration sua ben ristretta, egli è lo piu delle volte superfluo, non argomenta vivacemente, ne convenevolmente colloca gli argomenti suoi, spesso si vede otioso, et vano, fuor di proposito il piu delle volte scorrendo, vado quanto posso ratenuto, per haverlo già altre fiate assai ben flagellato, ne mi giovo mai di ripettere cose per il passato dette, et cosi ne anche diro della sua vita, come egli fusse scandaloso, lussurioso, crudele, avaro, et amutinatore, il che fugli piu volte detto in sul viso, non ne parlero dico punto, per haverne gia nel mio Dialogo Latino detto, se non quanto dovea et poteva, almeno quanto

po bastare per avertir il mondo al non esser co [p. 104v modifica]

IL SECONDO LIBRO

si precipitoso nell'amare, et per dotto istimare questo ignorante di M. Tullio quantunque (perche si credesse che dotto fusse) vantisi d'haver udito in astrologia C. Sulpitio, in geometria Sesto Pompeio et molti precettori in dialettica et nella ragion civile, maravigliomi io assai come cercasse d'haver nelle civili leggi tanti precettori poi che si da vanto di farsi in tre giorni perfetto giurisconsulto, ma poi che mostrato vi ho ch'egli fusse ignorante di filosofia, poco dotto nella Retorica, mal esperto nella Cosmografia et di piu smemorato et trascurato, prima che io faccia fine di scrivere, intendo anchora di farvi cognoscere quanto fusse mal istorico, non ho io sofficiente ragione di poter cotesto affermare? poi che non si avede il buon'huomo, che ne libri intitolati dell'amicitia, et della vecchiaia transporti le età, et esser faccia ad un tempo, chi in altro tempo visse, egli introduce Lelio et Scipione a' parlar con Catone delli duri incommodi che seco ne trahe la vecchiaia, dimando io, se egli intende del maggior Scipione, come puo Catone disputar della vecchiezza, conciosia che alla morte di Scipione non fusse anchora molto vecchio? et s'egli intende del secondo Scipione nipote del primo, et figliuolo di Paulo Emilio come puo far ch'esso ragioni con Lelio giovane, conciosia che Lelio fusse ne tempi del primo, et con quello di si stretta amicitia congiunto che pur gli piacque


(come
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DE PARADOSSI 105

(come un verace essempio di leale amistà introdurgli a parlare insieme nel suo libro intitolato dell'amicitia? di modo che sforzato mi pare al suo dispetto, ò formar dui Lelii) il che non si truova appresso di alcuno istorico, ò ver comettere disordine facendo parlare Catone come veglio, effendo quasi di giovanile età, a queste espresse contradittioni, dovea piu tosto por mente, che beffarsi di Aristone Chio c'havesse introdotto Tito ne à parlare della mala età, (che cosi esso chiama l'età inchinata et caduca) non e dubbio che Aristone quantunque rifuggito si sia alle favole de poeti, non habbi almeno introdutto persona di età matura secondo che alla proposta materia si conveniva egli riprende facilmente altrui ne avertisce questo losco quanto esso sia molto più degno di riprensione, ma questo sol non intendo che bastevol mi sia per publicarlo ignorante dell'istoria, lo mostraro anchora piu chiaramente. Scrive nelle sue Paradosse che C. et P. Scipioni fussero dui propugnacoli della guerra Punica. ò cervello fatto a lambicco, come poi tu questo si strabochevolmente affermare, sendo morti in Spagna et havendo sempre combattuto per l'acquisto et per la diffesa di detta Spagna? io per me, non so dove ti havesti all'hotta il capo, non sapevi tu che la prima impresa che havesse doppo la morte loro, Affricano, si fu in Ispagna? donde si fece poi la via al combattere dinanci a Cartagine con


O
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IL SECONDO LIBRO

tra di Annibale? Hai tu cervel d'occa imparato da Pomponio Attico a confundere di questa maniera e tempi co gli huomini? Similmente nel primo dell'oratore pone per giurisconsulto et giuocator di palla, P. Mutio in luogo di Q. Mutio Augure, et T. Corruncano e da lui detto esser stato al tempo di Pirro Re delli Epiroti, essendo egli vissuto doppo Fabio et Nasica (secondo scrive Pomponio giurisconsulto) ma perche sono io si di me stesso nemico, che tormentar mi voglia in racorre tutti e suoi falli? li quali sono assai piu delle raccontate istorie? ispetialmente nel suo libro detto Bruto, dove con un'animo tutto pieno di confidentia, volge sozzopra li temnpi, perturba le altrui età et un per un'altro scambia sovente, si come fece quando egli puose per il primo de papirii patritii Papirio Mugilano, sendone stati molti altri avanti a lui tra quali vi e Mamio Papirio, il quale secodo Dionigi Halicarnasseo fu Re sacrificolo et raccolse tutte le leggi regie ne primi tempi de Consoli, se io volessi al presente registrare tutti e luogi all'istoria appartenenti, dove questo gofaccio ha preso de molti granchi, troppo havrei che fare, et troppo gran briga mi torrei sulle spalle, non essendomi per anche scordato quante minaccie mi fussero gia fatte quando non sol copersi col mio dialogo latino, la poca dottrina di questo scioperato, ma le molte sceleragini sue, anchor mi par di leggere quella

gran bravata che mi fa nell'Epistola nuncupa [p. 106r modifica]

DE PARADOSSI. 106

toria Mario nizolio, non havrebbe per mia fe si furiosamente bravato un ruffiano cordovese, egli minacciò di inghiottirmi con le sue Tulliane osservationi, et altri vi furono che quattro et cinque anni consumarno infilzando di molte belle clausole, et tessendo de longhi periodi per saettarmi, ben che poi havessero pieta del mio troppo folle ardimento, et rimettessero l'ira nel fodero, per non provocarmi adunque contra un si gran vespaio non procedero piu oltre, cosi volesse Iddio che piu oltre non procedesse il buon Paulino Manfredi, il quale, non so da cui persuaso, s'è fitto in capo di volersi esercitare nella Latina lingua, et hassi tolto per guida, questa pecoraccia, dal quale, non so come possibil sia, che l'huomo apprenda niuna dotta disciplina, ne modo alcun di cnvenevolmente scrivere, non credeva gia io che simili capricci entrassero negli huomini gravi et giuditiosi, ma esso con tanto ardore et assiduo studio me n'ha del tutto sgannato et fattomi ravedere, che non men pazzi sieno e Mercatanti che li Poeti, scorrerei alquanto piu, tal è l'abondanza che a si fatto proposito nella fantasia mi sorge, ma poi che detto ho di non voler proceder piu oltre, porassi qui termine, io al scrivere et voi al leggere.


IL FINE DE PARADOSSI.

SUISNETROH TABEDUL.

O ii
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PAULO MASCRA

nico alli cortesi Lettori.

Autore della presente opera il qual fu M.O.L.M. detto per sopra nome il Tranq hebbe sempre in animo, che ella non uscisse mai per industria di stampatore alcuno in luce, ma solamente di farne copia à que dui Signori, à quali si vede esser stata consagrata, et certamente cosi sarebbe avenuto, se sopragiunto non vi fusse il signor Colatino da Colalto giovane virtuosissimo, et nato sol per far altrui giovamento, il quale, veggendo esser fra questi Paradossi sparsi quasi infiniti precetti morali, molte istorie, molte facete narrationi con stile dolce et facile commandogli che per ogni modo li lasciasse stampare, ne ci defraudasse piu longamente di si piacevole et util lettione, fece egli buona pezza resistenza, alla fine, vi acconsenti, ben prega di buon cuore qualunque gli leggerà, non voglia rimaner offeso in cosa veruna conciosia che un Capriccio bizarro (che spesso ne gli sogliono venir in capo) l'indusse a far questo parto, benche esso (tal è la sua modestia) per vero parto non lo riconosca, ma sol per una sconciatura, non si è ne anche curato di lodare una cosa in un Paradosso et la medesima biasimare in un'altro pensando bastasse che à suo potere la repugnantia non fusse in un medesimo luogo et appresso rendendosi certo ch'ogn'uno di mediocre intelletto, havesse a conoscere che per trastullo si habbi preso tal assunto, et non per dir da buon senno. State lieti et con benigno animo quando da molesti et gravi pensieri le menti vostre ingombrate non saranno pigliate spasso di questa sua capricciosa bizzaria, et s'egli intenderà che dispiacciuto non vi sia che egli habbi con si poco rispetto parlato del Bocaccio, di Aristotele, et di M. Tullio, farà il medesimo in molti altri autori, ispetialmente in Plinio, et ne Commentarii di Cesare, et a Dio siate. [p. - modifica] [p. - modifica]