<dc:title> Paradossi: cioè sententie fuori del comun parere </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Ortensio Lando</dc:creator><dc:date>1544</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Lando - Paradossi, (1544).djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Paradossi:_cio%C3%A8_sententie_fuori_del_comun_parere/Secondo_libro_de_Paradossi&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20180529155512</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Paradossi:_cio%C3%A8_sententie_fuori_del_comun_parere/Secondo_libro_de_Paradossi&oldid=-20180529155512
Paradossi: cioè sententie fuori del comun parere - Secondo libro de Paradossi Ortensio LandoLando - Paradossi, (1544).djvu
O NON DUBIto punto Signor mio, ne mai dubitarò, che à molti stranissimo non paia, che meglio sia il nascere ne luoghi humili, che ne celebri et populati, ove la nobilta si vedde maggiore, et l'arti, si mechaniche, come liberali, in molto maggior pregio fioriscono, ma io fermamente conosco (oppongamisi pur chi vuole) esserci grandissimo vantagio, et havere ogn'uno più tosto da disiderare di nascere ne bassi luoghi che nelle ricche et potenti città, conciosia, ch'ogni [p. 52vmodifica]
IL SECONDO LIBRO
ciolo segno di virtu et ogni minima umbra di
valore, che in noi sia, con piu facilita ne faccia gratiosamente
risplendere, et ovunque n'andiamo come stelle
chiari apparire, la onde estrema fatica usare, et
molta industria adoperare ci fora mestieri, se ne
dominii celebri, nascendo, bramassimo essere di
chiara fama, oltre che sempre maggior numero
de valent'huomini partorito n'hanno i luoghi bassi
et agietti che le alte et superbe citta, ove il piu delle
le volte, regnano ire, micidii, furti, tradimenti et
seditioni. Coos in prima, isola dell'Arcipellago,
et di veruna grandezza ne partori lo divinissimo
Hippocrate, li cui aforismi, se fussero bene intesi,
in tanta miseria infermando, languire non ci converebbe,
ne dette di piu l'ingenoso imitatore di natura
Appelle, insieme con Filite, poeta arguto,
vago, et numeroso. Datirso (il scita) nacque in un picciol
luogho, Geloncio, famoso capitano nacque
nella picciola isola di Mileto, in una villa di Campania
nacque (secondo il parer de molti) Scipione
Severo nacque in un castelluzzo di Numidia,
Traiano nacque vicino a' Gades c'hora si chiama
Calize, Titto (il Palestrino) nacque in'humil borgo,
una villuzza di Velitri ci dette il buono Augusto,
da Arpino havemo havuto Mario domatore de Cimbri, col
facondo M.Tullio, una picciola
anchora, et forse mal fronzuta selva, ci dette
Remo con Romulo, da cui fu Roma si felicemente
dificata, et qual tento di sovvertire sin da fon [p. 53rmodifica]damenti, Catilina, in quella & nato, & longamente nudrito, da Priene ci appari Biante, uno de sette savi della Gretia, da Stagira venne Aristotele, scrittore pel giuditio de molti, piu d’ognaltro polito, acuto, et artifitioso, Anacarsi usci d’un picciol borgo di Scithia, Samo ne dette il savio Pitagora et l’acuto Democrito fu Abderita, Teofrasto (il divino) fu di Lesbo, Gaio d’Antio, et Vespesiano nacque in un picciol borgo reatino. Un cotal discorso potrei similmente fare, delle cose moderne (se io volessi) ma perche so che elle sono a ciascuno bastevolmente note, volentieri le tacero et seguiro di raccontare in parte, le commodita che soliti siamo di ripportare nascendo ne borghi o ne castelli, ove ogni minima rendita par grande gli difitii quantunque men che mediocri, sono giudicati alti et superbi, siamo ragionevolmente piu alieni dalle pompe, et dannose ambitioni, et molti altri utilissimi beneficii ne riportiamo, che al presente fora troppo di raccontarli tutti. Per tanto, niuno si dolga giamai dell’esser nato in piccol giro de mura, poi che si spesso et ne passati, et ne moderni tempi, d’humilissimi borghi apparite ci sono lampadi di vera gloria degne veramente ch’ogni penna ne scrivi et ogni lingua senza pausa ne favelli. [p. 53vmodifica]
IL SECONDO LIBRO
CHE MEGLIO SIA HABI/
tare nell'humili case, che ne
gran palagi.
PARADOSSO XVI.
Iuno dubito mai che le case piccciole
con minor spesa non si frabricassero,
et in minor spatio di tempo fabricate
molto piu utilmente non si godessero
S'e anchora sempre creduto, che dentro vi fusse
maggior proportione, et per conseguente, piu vaghe
et vistose appariscero, sono meno soggette alle
insidie de ladroni, ne anche parmi che per la
bassezza loro, possano si agevolmente essere dalle
celesti saette percosse, et oltre che meglio si
habitano, meglio anchora, et con minor spesa si
adornano, L'huomo per quelle e iscusato di far
feste, et di albergare principi per la stretezza della
casa il che, non e gia di poca importanza, conciosia
che dovunque principe alcun vada, come
la tempesta vi lasci sempre il segno, sviando servidori,
rompendo le vasella et anche spesso con la
potenza et losenghe, corrumpendo le donne
dell'albergo. Si che sovente mi maraviglio di alcuni
folli et senza giuditio, li quali si ramaricano
di non potere habitare ne gran palagi, et stremamente
gli rincresce d'albergare sotto gli humili [p. 54rmodifica]
DE PARADOSSI.
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et bassi tetti (come se l'anima nostra piena di
vera nobilita et d'infiniti privilegi da Iddio
dotata, tra il sangue et la feccia in summa stretezza
non habitasse?) ma lasciamo andar questo, Chiara
cosa e che chiunque considerasse che in brieve
spatio di tempo si havesse ò vogliamo, ò no, da
intrare in una picciola buca, sosterebbe pacientemente
ogni stretto et disagiato albergo. Non possono gli
angusti luoghi impedire che l'animo nostro di si
nobil origine, liberamente non scorra per tutte le
ampiezze del paradiso, et d'altri ameni luoghi. Per
la casa bassa liberi siamo anchora da molta invidia,
et da moltissimi duri incommodi, quai patir
sogliono i posseditori di quelle. Io mi ricordo
che nel tempo che Francesi occuparno l'infelice
stato di Milano, et prigion ne menarno Massimiliano
(il Sforza) haver udito spesso con accerbe
rampogne, maledire il fondatore d'una bella et
ampia casa, perciòche, aloggiandovi sempre dentro
qualche honorato signore, era sforzata la
vicinanza di sentirne gravi incommodi, spargendosi
la gran famiglia (si come e di costume) per ogni
intorno. Se anche aviene che la casa grande per
fuoco o per altro accidente cada et rovini, menor
giattura vi si fa et piu tosto si ridifica, si che
io non so certo a che proposito si dilettino et
gloriansi tanto gli huomini di quelle cose,
donde ad essi lode alcuna non ne risulti, ma
tutta sia dell'architetto, il quale, con molto ma [p. 54vmodifica]
IL SECONDO LIBRO
gistero et ornamento l'edificò, dove anchora che
qualche, parte ci havessero, non e pero cosa piena
di vanita cercare sua gloria dalle insensate pietre
dalla tenace et ardente calce, dalli incrostati marmi,
et da corruttibili travi? Et non piu tosto da be
studi, dall'honeste arti, et dalle imprese gloriosamente
fatte? Picciola in vero, fu la casa di Evandro,
ne fu però di minor istima che si fussero l'altre
reali stanze, anzi meritò d'albergare il famosissimo
Hercole, in humil casa nacque Cesare, ne per cio
le fu impedita ò mozza la strada alla vera virtu et
finalmente al summo imperio. Consideriamo un
poco in qual guisa habitasse già Scipione domatore
dell'ostinata Affrica, quando per suo diporto
et per sgravarsi da piu molesti pensieri, alle
volte villeggiava, in qual maniera habitasse Diogene
huomo veramente filosofo, di cui non fu mai
per alcun secolo il piu saldo et costante petto, come
habitasse angustamente il divoto Hilarione
ne deserti orientali, la cui cella (come afferma
santo Gerolamo) havea assai piu sembianza di
sepolchro, che di humana habitatione, Galba
anchora hebbe una casa si piena di fessure, et
talmente da molti lati scoperta, che essendogli richiesto
il tabarro et il mantello in prestanza, iscusossi
non poterglilo prestare, havendo per quel giorno
da rimanersi in casa, ispetialmente, veggendo poco
lontano una dirotta pioggia. Giulio Druso
Publicola hebbe similmente casa talmente aperta, [p. 55rmodifica]
DE PARADOSSI
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et alla rovina inchinata, che quasi da chiunque
stava di fuori, ogni sua domestica attione poteva esser
veduta. Veramente che parmi desiderio piu d'ogni
altro pazzo et ambitioso il volere habitare ne
palagi, et havere à schifo l'humili case, quasi che
possino meglio alla repentina morte, alle sciagure
strane, et alle molte infirmità contrastare, ditemi
voi delle storie studiosi? quando Tullo Hostilio
fu dal ciel percosso non era egli nel suo real
palazzo? similmente quando Tarquino Prisco
fu ucciso non s'era egli ridotto nelle sue reali camere?
il medesimo si potrebbe pur affermare di
molti signori nelle proprie habitationi per vari
accidenti morti, ma ditemi, puote in alcun modo
riparare al duca d'Urbino il palazzo con tanta
industria et ornamenti edificato che egli non
fusse ne suoi tempi un'essempio di calamita? il
palazzo di Trento struttura veramente senza
paragone et si pretiosamente guernito non ha già
impedito che chi lo fece dificare, non sottogiacesse
anche à tutte le fortune che soggiacere sogliono
li altri mortali, il palazzo del Doria opra degna
di Dedalo architetto fallo forse essere più contento
che si fuffe prima che tal fabrica incominciasse?
che giovorno à Lucullo et à Metello i lor superbi
edifitii? che giovò à Caligula et à Nerone
l'haver case di tal ampiezza che abracciassero
tutta la città? Stolto riputiamo adunque qualunque
si sdegna le povere case habitare et con [p. 55vmodifica]
IL SECONDO LIBRO
tanto ardore cerca d'aloggiare sotto gli alti tetti
ove il piu delle volte (anzi quasi sempre) habita
la miseria, il tradimento vi alloggia et la fraude
con l'homicidio vi fanno suo perpetuo nido, et
chi non mel crede, faciane l'isperienza che bugiardo
non mi trovera giamai. Considrisi un poco
diligentemente et senza fallo troverassi a grandi calamita et angoscie essere sottoposti i gran palazzi, e dove
si mesce piu sovente il veneno? certo ne
palazzi, ove si accende piu tosto il fuoco et piu
tardi si spegne? ne palazzi, ove piu spesso si
apiccano le zuffe et fannosi gli homicidii? certo che
ne palazzi. Fuggiamoli adunque con quella prestezza che fuggir dovremo
gli alberghi de pessimi dimonii et l'humilissime stanze abracciamo,
senza essere molto ubrigati a Diogene Rodiotto, a
Callia, ad Epimacho, a Filone, ad Hiperbio,
o ad Eurialo architetti cotanto celebrati. Imitiamo
l'opere di Doxio figliuolo di Celio, il quale,
primo humilmente à imitatione delle rondinelle
edifico sue case, sovengaci di edificare le nostre
habitationi, come huomini mortali, et non come
se mai non havessimo a morire, et havere d'habitare
un giorno stanze fatte di miglior ragione,
On so veramente donde si nasca
che noi habbiamo e corpi nostri,
si teneri et dilicati, et gli
animi poi assai piu che diaspro
duri, et piu che pietra insensibili,
ne vego in alcun modo
per che siano da temere tanto
le stoccate, conciosia, che le corazze passar possino, ma
non gia gli animi forti offendere, o molestare
et niuno sia mai se non da se stesso veramente
offeso. In vero, quelle sono le percosse che fortemente
dogliono, et acerbamente gli animi nostri
tormentano. Ridomi adunque io meritamente spesse
fiate di alcuni, li quali si maravigliano et
dolorosamente piangono, se l'amico, o il parente loro,
per molte ferite muoia, ne avertiscono, che una sola
sia la mortale, percioche non possono cadere
in un corpo molte piaghe mortali, se una
ve n'e, sara di necessita che l'altre siano o
leggieri o almeno non sieno cagion di morte.
Ventitre ferite hebbe Cesare, ma sol una vene
fu cagione ch'egli i suoi giorni terminasse, ma
Dio volesse che a molti, insieme, con e membri
debilitati et mozzi fusse anchora indebilita la
superbia, et refredato l'orgoglio. Canta il Pro/ [p. 56vmodifica]
IL SECONDO LIBRO
feta, HUMILIASTI SUPERBUM SICUT VULNERATUM,
hai humiliato il superbo,
come humiliato si vede l'impiagato et ben
battuto. Io per me, tutte le volte ch'io vego alcuno
a cui sia mozzo il naso, tagliata la fronte o
sfregiate le guancie, non considro giamai la
ferita, ma si ben la cagione perche alcuno ferito sia.
Viddi gia nella faccia di alcuni valorosi cavaglieri
non so che fregi, li quali, perche procedevano
da honesta radice, mi pareva di vedere tanti rubini,
o tanti diamanti, cosi anche, n'ho veduto
molti feriti per dishonesta cagione, et parevami
vedere una brutta imagine, et un'horrido spettacolo.
Viddi gli anni passati un prelato con la guancia
d'un gran colpo offesa, domandai della cagione
et fummi da piu d'un paio detto esser cio avenuto
per haver defraudato il servidore della pattouita
mercede, all'hora si, ch'io giudicai quella ferita
brutta, et hehbi della santa Chiesa gran piata,
che introdotti fossero nel seno di quella: huomini
di tal conditione, ma di questo non parlero piu per
hora, perche sarebbe un'uscir del Paradosso, et voler
(come dice l'antico proverbio) cittare la vecchia
comedia, so bene io quel che nell'animo mi viene
di dire. M. Sergio combattendo virilmente, perde l'una
delle mani, et immantinente un'altra sene fabrico
di ferro, et fune piu, ne meno valoroso gueriere.
Sempre fu da dotti et diligenti huomini osservato,
che dove la fortuna ha piu di licentia il spoliare [p. 57rmodifica]spoliare et percuotere, ivi anchora havere sempre la virtu maggior travaglio. Vego io avenire a gli huomini, come avenire suole, alle cose aromattiche, le quali, quanto piu son peste et battute, tanto piu soave odore di se porgono, E chi è che non vega è travagliati et percossi dare inditio aperto della grandezza dell'animo, della fortezza, et della costanza? Confessiamo adunque che mala cosa non sia l'essere ferito, ma guardian ci (se volemo essere tenuti savi) da quelle ferite che per noi stessi ci facciamo, et da que colpi che noi, con le nostre malvagie operationi causiamo, quelle sono veramente le piaghe, alle quali, non vale empiastro, ne giova molto liquore.
NON È COSA BIASMEVO//
le ne odiosa l'esser bastardo.
PARADOSSO. XVIII.
E nascono i bastardi d'amor piu ardente, da volunta più conforme, da maggior unione de spiriti et spesse volte sieno è lor parti con ingegnosi stratagemi, et amorosi inganni conceputi, (cosa che de legittimi rade volte aviene) perchè diremo noi essere da spregiare i bastardi? perchè gli giudicaremo indegni dell'heredita paterne? perchè gli privaremo noi [p. 57vmodifica]
della successione de stati, et de splendidi tittoli à stati convenevoli, à me certo paiono molto più schifevoli et nel conversare noiosi, i legittimi, gli quali, il più delle volte ci nascono quasi al dispetto della natura, senza amore, senza sapore, sol per virtu della corporal unione, niuna amorosa intentione traponendosi, ne tramettendosi alcun'atto di benivoglienza, donde penso io avenga che siano anche per la maggior parte stupidi et intronati anzi che no, et i bastardi vegansi di acuto ingegno, et de sottilissimi avedimenti dotati, et essere da alta felicità quasi perpetuamente accompagnati, et veramente par che Iddio habbi di lor spetialissima cura volendo che come a cosa divina se gli difichino le case, con è loro sagrati tempii, et poche horrevoli citta hormai si trovino, ove non sieno gli hospitali de bastardelli, di modo che non senza ragione, et a Padova et in altri luoghi, simili hospitali, chiamansi le case d'iddio, sono adunque come agnoli, poi che nella casa d'Iddio albergano. Io per me (non so però come l'intendano gli altri) vego quasi tutte le cose bastarde esser et più belle et migliori ò frutti, ò cavalli, o qualunque altra cosa. Consideriamo in prima la spetie mulina, chi la può con ragione biasmare? non soffrono e muli patientissimamente tutti e stratii non sono di minor cibo? non fono più atti al portare de gravi pesi? non hanno l'andare piu [p. 58rmodifica]
DE PARADOSSI
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commodo et di maggior suavita? il che quanto
piu tosto fu da reverendissimi prelati conosciuto,
li quali fuggono volentieri il disagio per l'amore
d'Iddio incontanente abandonarno il
legittimo cavallo, et al bastardo mulo s'attennero,
ma vediamo anchora piu minutamente di quanta
eccellentia siano e bastardi et facciamo principio
da Salomone, il quale (si come a molti piace)
non fu legittimo, non pero nacque mai il piu
savio, ne il piu prudente. Furono bastardi Romulo
et Remo, Ismaele, Hercole, Perfes, Raimiro Re
d'Aragoni signor sopra ogn'altro di que tempi
virtuoso, il re Arturo, Alessandro (il magno,)
Iugurta, Clodoveo re de Franchi non men santo che
nell'armi possente. Constantino Re de Romani,
Mercurio Trismegisto, et anche a piu moderni
tempi veduti si sono con gran scorno de legittimi
bastardi d'alto intelletto, et di generoso spirito, e
qual fu Clemente VII. negarassi mai che egli non
fusse d'un ingegno elevato, d'un maturo giuditio,
d'un chiaro discorso et d'una gravita mirabile?
non fu il duca Borso vero padre delle cortesie?
e qual si vede a nostri tempi che in essere benigno
et liberale meritamente comparare segli possi?
Deh volesse Iddio per refrigerio et ornamento
de l'afflitta Italia che chi successe al stato, fusse
anchora sempre succeduto alla liberalita et alla
cortesia, accioche la gloria Italiana mai per
alcun tempo si vedesse venir meno. Che diremo
del signor Gioanni Sforza, gia signor di Pesaro?
non era egli d'infinita bontà? non era egli
ornato d'una mirabil gentilezza? che diremo di
Alessandro duca di Firenze? chi è che à lui (siami
detto con buona gratia de suoi aversari)
pareggiar si potesse in acutezza d'ingegno, in velocita
de bei discorsi, in tenacita di memoria et
in altri doni dalla benignita del cielo à quella
nobil anima conceduti, et al presente qual è un'Alessandro Vitello?negarassi da alcuno invidioso ch'egli non sia pieno di mirabil valore?
O quanti litterati hannoci anchora dato i furtivi
abracciamenti, detteronci primieramente Pietro Lombardo che
per commum consentimento è detto
il gran maestro delle sententie con dui fratelli,
di pari dottrina et di pari pieta ornati, ma discendiamo (sel vi piace) à tempi piu moderni, hannoci dato un Iasone del Maino ch'era
veramente un'armario di leggi et civili et canoniche, questo
fu certamente la gloria della città nostra, questo
il splendore di sua casa (anzi il sostegno)
havendoli co suoi Paragrafi acquistato si belle et
ampie faculta, hannoci dato un'Erasmo di
Roterodamo et per opra d'un valente abbate ce lo
dettero, et pur su comun giuditio de buoni, che
Erasmo fusse Teologo molto pio, et Retorico
piu che mediocremente facondo, la cui lodata
industria, non solo risvegliò le buone lettere in
Alemagna, in Barbantia, et in Inghilterra, che [p. 59rmodifica]
DE PARADOSSI
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anche divinamente racconcio infiniti depravati
autori, et ha finalmente ripieno et ornato co suoi
belli componimenti tutte le librarie c'hoggidi si
vegono per Europa, hannoci dato un Christoforo
Longolio di Maligna, adoperandosi in tal
beneficio un vertuoso Episcopo, non si poteva meritamente dir
che il Longolio oltra la cognitione delle imperiali
leggi fusse un moderno Cicerone?
non ci dettero anche un Celio Calcagnino
huomo se per civilita de costumi et per profonda
intelligenza di tutte le gravi discipline,
singolare ornamento et splendore della citta di Ferrara?
Potrei far anchora una longa narratione di
sante et virtuose donne, le quali, nacquero
anch'esse senza licentia, ma per essere brieve (si come
d'essere sempre disidro) pretermettero di farlo.
Veramente chiunque vive con innocentia
seguendo la strada dell'honore, et caminando per
la via della virtu, si puo mai dire che sia mal nato,
conciosia, che colui che lo genero senza suo
consentimento, non gli habbi potuto imprimere
nell'animo le brutte macchie di sua incontinentia,
ma pò ben però ciascun bastardo santamente
vivendo, sepelire il nome de dishonesti suoi
maggiori. Et chi è colui di sano discorso che non
volesse piu tosto essere d'impudico padre honesto
figlio, che di honesto nascendo, esser poi dishonesto
figliuolo reputato? (si come veggiamo troppo
sovente avenire.) Il bastardo non ha comesso
fallo contra le sante leggi, esso non è punto in colpa,
ma furono quelli da quai discese, che alle giuste
leggi, da sfrenata lussuria traportati, contravennero,
oltre che lo nascere illegitimamente ò
in qualunque altra maniera che alle grandezze
del mondo contradica, fu spesso cagione di farci
divenire humili, affabili, et mansueti. Non ci dovrebbe
gia per certo tanto dispiacere l'esser bastardi
di poi che à Giesu nostro Signore di cui imaginare
non si pò cosa piu alta, ne delle brutezze piu
schifa, non dispiacque che nella santissima sua
generatione vi si annoverassero le meretrici si come
chiaramente appare in santo Matteo di sua maiesta
fedele et diligente segretario, qui mi potrei
diffundere nelle lodi delle meretrici, di cui il
bastardo è vero frutto, ma perche sovviemmi d'haverlo
altre fiate à contemplatione de miei amici
copiosamente fatto, con assai prolissa oratione, lasciarò
di parlare piu oltre, et faro fine al Paradosso mio. [p. 60rmodifica]
MEGLIO È D'ESSERE IN
pregione, che in liberta.
PARADOSSO. XIX.
I
O non ho mai potuto per alcun tempo indur l'animo mio à credere che dannosa cosa sia l'essere posto in pregione, havendone a centinaia conosciuti che morendo sospirarno di buon cuore la pregione per dura et aspra che si fusse, intendendo finalmente che tutte le cose ben chiuse, et ben legate siano sempre con maggior cura et diligentia conservate che non sono le sciolte et libere, le quali, sono espofte al puro arbitrio di chi ha volunta d'offendere altrui. Deh quante volte la desiderata liberta in gravissimo danno si rivolse di chi troppo ardentemente la desidero. Per il che, non posso io contenermi di non maravigliarmi stremamente vegendo questa parola, Pregione, et Pregioniero, essere agli orecchi nostri, come una spina pungente et a cuori de mortali si molesta et dispiacevole che tremare, impallidire, et alle volte spasimare ci faccia. Et chi e in questa vita che nel vero pregionier non sia et libero si possa mai dire se non quando ei muore? Per ciò gridava (mi penso io) l'Apostolo Paulo, [p. 60vmodifica]
chi mi liberarà di questo mortal carcere? e che fai tu che la pregione, della quale tanto ti lagni, non sia un'util custodia et una secura guardia? n'ho veduto à miei giorni molti, li quali, mentre son stati prigioni, sono sempre stati securi dalli insulti de lor nimici, et usciti (come essi vanamente pensavano) alla liberta, furono incontanente da gli aversari miserabilmente uccisi. So io per cosa certa che à niuno da mai ricappito la prigione che anche non lo restitusca, benche hora al cielo come avenne de molti giusti et santi huomini, et hora alla gloria del mondo, si come di Mario al consolato di Cesare al summo imperio, di Castruccio Castraccani alla signoria della patria sua, d'il Re Mattias, il quale, essendo stato dal Re Ladislao, Re d'Ungaria impregionato, dalla pregione alla corona venne, Luigi anchora il duodecimo dal la pregione apena uscito, ne havendo anchora piena liberta di gir dove li piacesse non guari di tempo vi s'interpose che fu creato Re di Francia, et a tempi piu freschi usciti sono della pregione alcuni più gloriosi che non vi entrarno. Lasciarò il dir delle cose antiche, percioche essendo rimote dalla cognitione nostra ,elle ci dano minor delettatione, et noi altresi minor credenza siamo soliti di havergli. Io so che non fu mai il valore di Gerolamo Morono si ben noto à signori imperiali mentre visse in liberta, come fu mentre stette nelle lor forze distenuto, et il Marchese di Meregnano [p. 61rmodifica]
DE PARADOSSI
61
per la prigione divenne gli anni passati piu illustre
nel cospetto di Cesare che prima non era, quantunque
del suo ingegno et ardire fatto havesse
gia piu d'un paragone. Io non asegno pero che le
prigioni, i ceppi, et le catene non possano in qualche
parte impedire le nostre buone attioni, ma
negarò bene che impedir possano i santi et giusti
pensieri, i nobili concetti, et gli alti discorsi, li quali,
mal grado di chi gli faccia ostacolo, non solo
possono haver adito nelle stinche di Firenze, nel forno
di Moncia et nel sasso di Lucca, ma potrebbono
anchora saglire in sulla croce di Teodoro Cireneo,
entrare nel toro di Falaride et penetrare
nell' aspro dolio di Attilio Regolo. Essendo prigion
del Doria il buono signor Ascanio Colonna
non rimase già egli però impedito di operare con
la sua rara prudentia, in servigio del suo signore,
et fare che il prefato Doria senza molto indugiare
di capitai nemico divenisse affettionato servidore
di Cesare, donde poi facilmente si puotero de
molti disegni colorire. Per le prigioni s'astengono
gli huomini da infiniti peccati, gli occhi loro
non vegono spettacoli che li anoiano, o la carnal
concupiscenza destino, ne odono gli orecchi si
frequentemente ambasciate moleste, o voci d'Iddio
biastemiatrici viveno piu temperatamente, sono piu
securi et a tempi di guerra, et a tempi di peste, non
hanno da pagare tasse, tributi, o pigion di casa,
sono privati delle male conversationi che guidar [p. 61vmodifica]
IL SECONDO LIBRO
sogliono altrui à mille disordini, ivi si acquista
anchora humilta et patientia. Ho io veduto molte
volte essere da buoni padri procurato che i lor
malvagi figliuoli fussero posti in prigione perche
si domassero, et dalle consuete malvagità s'astenessero,
et veramente vedevoli poi uscire si mansueti
et ben disciplinati che parevami venire
dall'Academia di Socrate, ò da qualche altro santo
coleggio ne guari è che detto mi furono cose
maravigliose della compuntione che mostra havere
de suoi peccati il Protonotario recalcato di modo
che santo Hilarione ò santo Pacomio non si
crede che stessero in si continua contemplatione
delle cose celesti, come egli tuttavia stassi. Il
signor Palavicino Vesconte essendo per non so che
sospetto in possanza del duca Francesco, si dette
tutto al studio della Santa Bibia, et talmente vi fu
(mentre durò quella cattività) assiduo, che hoggidi
pochi di questi frati bacchalari si trovano, che
lo superino, cosa che per avanti, forse fatto non
havea, anchora che d'un buono vescovato, et d'una
miglior badia havesse longamente goduto, odo
similmente che monsignor de Rossi vescovo di Pavia,
poi che entro nella prigione essersi dato tutto
al spirito di maniera, ch'egli pare doventato un
Teatino, il Galateo dovento nella pregione un
santarello et fermamente credo, che niuno de suoi frati,
sia nel paradiso piu di lui vicino a santo Francesco,
Pietro Fatinello cittadin Luchese essendo vis [p. 62rmodifica]
DE PARADOSSI.
6l
suto molti anni senza mai confessarsi et senza
riconoscere Iddio per suo maggiore, subito entrato
nella pregione si confesso et humil divenne piu che
agnello, il simile ha fatto Rinier Gentil mentre
è stato nella santa pregione sempre ha rivolto sozzopra
le divine scritture et è morto come un santo,
ben che in liberta vivesse come buon peccadore.
O casa adunque filosofica? ò Academia singolare?
ove le virtu morali tanto ben si apprendono, ove la
perfetion Christiana tanto ben s'insegna, o casa
gloriosa et triunfante, nella quale, non si sdegno di
entrare il fattore, et redentore del mondo et dove si
sente spirare sempre un fiato di bonta et di virtu.
Certo chiunque ben avertisce, trovera piu sembianza
di morte et maggior similitudine d'inferno ne reali
palazzi che nelle pegioni, ove piu santamente si
vive che ne monisteri de frati osservantissimi, nelle
pregioni di rado si biastemia, di rado si giuoca
anzi fannosi del continuo religiosissimi voti et
porgonsi a Dio giorno et notte devotissime
preghiere, o vita dolce et piena di riposo, quanto
maggior consolatione si truova in te, che nelle
corti de principi in quella spetialmente del gran
Re de Franchi ove non scorgo da qualunque
lato mi volga se non travaglio et inquietudine,
veramente che mentre vi fui, l'acque, i venti,
et il fuoco parvermi assai piu stabili et quieti
di quella corte. Poi che adunque la pregione
porta seco tanti commodi, quanti ve n'ho [p. 62vmodifica]
dimostrato, niuno habbi à male ne increscagli d'entrarvi, anzi Iddio ne ringratii, come del piu singolare benefitio che ricever potesse.
ESSER MIGLIOR LA
guerra, che la pace.
PARADOSSO. XX
Olti hanno (non e anchora gran tempo) fuor di modo tracorso nelle lodi della pace, tra quali vi fu Romulo Amaseo precettor mio sempre honorato, et Claudio Tolomei cittadino Sanese huomo nel vero non men dotto, che facondo benche l'uno con Latina, et l'altro con Toscana favella, et io tal qual mi sono (che certo a quelli paregiarmi ne voglio, ne debbo) constantissimamente affermo essersi amendua di gran longa ingannati, ne attendero per hora a rifiutare i lor più solidi argomenti, ma sol adduro quelle poche cose che in disfavor della pace,et in favore della discordia mi verranno per la memoria. Dico adunque per la pace spegner si incontanente la disciplina militare, per la quale li imperii, le provincie et gran giuridittioni si acquistano et acquistare longamete si mantengono,dalla guerra nacque gia si [p. 63rmodifica]
spatioso campo a Retorici di parlare di Maratone, di Salamina, di Termopili, di Platea, et di Leutra, per la guerra divenne immortale Coclite, et li Detii furono tenuti quasi divini, per la guerra li G. et P. Scipioni insieme con M. Marcello sono dalli istorici a piena voce lodati, il che non avenne mai si largamente ad alcun togato pel mezo della pace, anzi veggiamo tutte le statoue delli antichi quasi vestire d'habito militare, non era già lecito appresso di alcune nobili nationi, cingersi d'altro che di un vil canape, fin che amazato non havesse almeno un'huomo, appresso li Cartaginesi fu già costume di donare del publico a lor cittadini, tante anella, quante erano le battaglie, alle quali ritrovati si fussero, ad altri anchora non fu lecito pigliar moglie sin che buona pezza guereggiato non havesse, ma perchè piglio io si dal la longa li essempii volendo mostrar la dignità della guerra? non e sofficiente dimostratione che ne la religione Christiana nati vi sieno tanti ordini militari, che la santa Chiesa con l'arme diffendino? et chi li saprebbe nominare tutti? sonovi li Gerosolimitani, quelli di santo Iacoppo, di santo Lazaro, li teutonici, quelli di Christo in Portugallo, et altri tanti tutti amici di guerra, et nati per mantenerla, dala quale germogliarno sempre cose stupende, la onde vedesi esser la pace cosa insolente, superba, orgogliosa, negligente, ociosa, corrutrice delli alti et nobili intelletti, come chiaramente in. G. [p. 63vmodifica]
Mario apparve il quale nella guerra niuno hebbe superiore in bontà et in valore, e nella pace non vi fu di lui ne il più tristo, ne il più dannoso. La pace spegne cio che di meglio nell'huomo si ritrova, et la peggior parte di quello nudrisce et mantiene, ma ditemi voi che havete in odio la guerra, sono altro gli odii, le nemicitie, et seditoni che instrumenti cui spesso usa la natura à far sue buone et lodevoli operationi per salute dell'universo? per la qual cosa,penso io non senza misterio fusse da Romani chiamata la guerra BELLUM, et veramente che bella dir si deve quantunque gli effeminati et ociosi de nostri tempi aspramente ci contraditchino, ò quanti virtuosi esserciti agevolmente distrusse, non dirò la pace, ma una sol tregua che suole essere anche di virtu molto inferiore, recò ella sempre alle citta inique leggi mantenendo segreti odii, et aperta tirannide, et tuttavia facendo è costumi nostri più molli et più lascivi. Lego nelle divine scritture haver il signor nostro detto à suoi discepoli chi non ha spada venda la veste et comprisela, et esso istesso dice d'esser venuto à porre il fuoco in terra et voler ch'egli arda chiamandosi per nome proprio fuoco consumante, lego similmente nelle più sante lettere che egli era pietra di scandalo et di contradittione et amador della discordia et meritamente l'amava essendo primogenita della natura, madre del cielo, et genitrice delk'universo. Quante guerre fu [p. 64rmodifica]
DE PARADOSSI.
64
rono per comandamento d'Iddio fatte ne tempi antichi?
quanti micidii? quanta strage? et quante ricche
spoglie volle gia che da suoi nemici si riportassero.
Legansi le sacre istorie del vechio testamento et
vedrassi apertamente piu conflitti, et maggiori
distruggimenti essersi fatti per commandamento d'Iddio
che in qualunque altro volume da Pagani scritto,
crederemo noi che se Mose tanto d'Iddio familiare
amico, non havesse del certo saputo, che
l'amazzare et virilmente combattere fusse cosa a sua
maiesta sopra modo grata, ch'egli rivolto havesse
quella sua dolce et piacevol natura a si gran
spargimenti di sangue, che non contento d'haver
amazzato l'Egittio il qual faceva villania al suo Hebreo,
che di piu in un giorno tre mila huomini
uccise, gran strage ne fe Abraamo, molto maggiore
Iosue, Sansone, et Giuda Macabeo. Fu si grata
l'uccisione degli huomini a David che non potendone
piu con le proprie mani amazzare, verso il fine
della vita sua commando al figliuolo Salomone
che senza fallo amazzasse Ioab et Semei, ne
solamente in terra avenne che per commandamento
d'Iddio si guerreggiasse che in cielo anchora Michele
co suoi agnoli fece contra del dragone aspro
conflitto, non si chiamo il signor nostro l'Iddio
delli eserciti? di qui penso io senza fallo avenuto
sia, che tante belle et proprie similitudini
dalle cose militari, nelle divine traportate si sono
et noi malaccorti negaremo non esser mi[p. 64vmodifica]
IL SECONDO LIBRO
glior la guerra che la pace? la qual si vede haver certissimo
testimonio che à Iddio sommamente
piaccia, ne tanto si conosce per gli essempii del
vecchio testamento, quanto per il nuovo, conciosia
che andando una fiata li soldati per dimandar
à santo Gioanni qual strada havessero da tenere
per conseguire salute? esso gli disse siate contenti
de vostri stipendii, et non fate violentia ad alcuno,
se la disciplina Christiana non havesse tenuto cara
la militia, gli havrebbe detto lasciate questa arte,
fatevi romiti, attendete alla mercatantia,
et altre simili cose? ma gli disse contentative
delle vostre prouisioni, non fate estorsioni, non
fate violentia ad alcuno, che l’arte militare non
vi po impedire la salvezza, anzi per questa via
molti se ne sono iti al cielo, cosi parmi volesse
dir Gioanni (se io non sono iniquo interprete,)
Produce veramente la guerra infiniti beni, ma quando
mai altro non operasse, non doma ella facilmente
l’orgoglio de ricchi huomini? si fa, et meglio
di qualunque altra cosa, et chi non mel crede
vada nel Piemonte, vada in Milano et vedra
molti superbi capi maravigliosamente humiliati,
non rafrena l’insolentia del rozzo contadino? non
ci smorba ella de tristi, de ociosi, et de ladroncelli?
Mi soviene che partendomi questa state passata
ta da Parigi per andare a vedere le divine opere
che in Fontana belleo uscivano dal peregrino
ingegno di messere Sebastiano Serglio, et temendo
io di gir soletto per si folti boschi, fui con questa
ragione da paesani rincorato c'hora non era da
temere, concio fusse cosa che li ladroni iti se ne
fussero alla guerra, che s’era gia incominciata
contra de malvagi Borgognoni, ditemi anchora
non fa la guerra gli intelletti nostri acuti et
svegliati? non rende i corpi robusti, agili, et ben pacienti
ne gli incommodi, o quanta dolcezza vi doveano
sentire i Cimbri, poi che sempre cantando
vi andavano, quanta il fiero Annibale? quanta
l'inquieto Marcello? quanta il virtuoso Scipione?
quanta il coraggioso Camillo? quanta l'ambitioso
Alessandro et altri simili. Per mia fe chiunque
non sapesse che cosa fusse ordine facilmente
l'imparerebbe veggendo un'essercito ben instrutto,
et chi non sapesse che cosa fusse accortezza, che
cosa fusse ubidienza inviolabile, diligentia incredibile,
una somma vigilantia, et una prontezza
ineffabile non sol de mani, ma de cuori, venesse
ad un ben ordinato essercito, ivi poco tempo
dimorasse, ivi con qualche attentione contemplasse,
et sarebbene incontanente chiaro. Dicciamo
adunque tutti insieme animosamente, esser miglior
la guerra che la pace, non la biasmiamo piu
come siamo soliti di fare, ma lodandola piu tosto
et a piena voce essaltandola, ringratiamo Iddio
c'habbi posto nel cuore a nostri Principi di
non lasciarcene mai mancare.
Orrei detto fusse con buona gratia
delle donne, l'inimicitia delle
quali, fugo piu che il fuoco,
et schivo piu che la peste, che il
perder moglie sia come perdere
la rogna, l'asma, la febre, o
l'anguinaglia, perdita veramente da ralegrarsi piu
tosto che da tristarsi. Certo qualunque si ramarica
di cotal giattura vorrei considerasse se quando
moglie prese, saggia et buona trovolla o pur malvagia
et iniqua? se buona la ritruovo, perche non spera
animosamente poter con la medesima agevolezza
trovarne, un'altra simigliante? ma se con sua
industria di cattiva buona la ridusse, perche non ne
riduce egli un'altra di nuovo, che assai maggior
lode et gloria ne riportera? Mi ramento d'haver
letto che essendo pregato M.Tullio da suoi amici
a ripigliar donna, poi che Terentia (la perfida) scordatosi lo
fervente amore molti anni dal marito
portatole, congiunta si fu di matrimonial copula
con Salustio suo mortal nemico, rispondesse
non potere et alla moglie, et alli studi della ve [p. 66rmodifica]
DE PARADOSSI
66
ra sapienza insiememente attendere. Non e in effetto
cosa piu dura al mondo da sofferire, che
ritrovarsi il letto occupato a quelli spetialmente che
amano i dolci et riposati sonni, et nell'animo loro
vanno sempre rivolgendo alti et nobili pensieri
una sol cosa ci e, la quale ad alcuno per aventura
parerebbe degna di poterci trar dagli occhi
amarissime lagrime et questa si e quando si ritrovano
savie, pudiche, et di lor mariti amorevoli, et io
dico starsi all'hora la quiete della casa in maggior
pericolo conciosia che cotali donne ardino sempre
di gelosie, et sospitioni maggiori che non fanno
quelle che triste sono tenute, la onde parmi di
necessita sia che la casa per infinita discordia, et
molto disparer alla fine cada et rovini. Mitione Terentiano
disse gia, Et quello che si reputa fortunata
cosa mai non hebbi moglie. Poi che adunque col
prenderla perduto se ha fortuna tanto disiderata,
non e ben fatto che si agevolmente con la morte si ricuperi?
Non è certamente da lagnarsene. contradichi
pur chi vuole. Cremete anchora appresso di Terentio
in tal maniera parla, Presi donna et nacquermi
figliuoli, qual sorte di miseria non vi viddi io?
grande in effetto è la disgratia di qualunque piglia
moglie, conciosia che se à nobile si abatte, convengagli
sofferire l'alterezza et stremo orgoglio, che
suol esser congiunto con la moderna nobilta, et
se in saggia donna incappa, rade volte acade, che
ignuda senza dote non li sia data, oltre che con
la sua sapienza si persuade d'esser atta a dar leggi
ad ogni gran Republica, ma fate che ricca sia,
voi vedrete che del continuo gli rinfacciara la
dote, et veragli a noia col raccontargli le longhe
genealogie de suoi parenti, mostrandoli l'arme,
l'imprese, et i cimieri di cornovaglia. Io non so
qual sorte di consolatione n'arrechin le moglie per
che l'habbiamo a piangere quando le vanno a miglior
vita, conciosia che pigliando noi bella donna per
moglie, gran pena sofferir convenga per guardarla
accio che di scorno cagion non sia, et pigliandola
brutta, non si possi longo spatio di tempo
interporre, che sforzati non siamo di separar camera,
et partir letto. O che pena vedersi del continuo
davanti a gli occhi certi volti tartareschi, certi
occhi biechi, con nasi schiacciati et non potervi
rimediar salvo con e divortii, pigliamola festante et
lieta, et trovaremola ad ogni altra cosa haver il
capo fuori che al governo della casa, pigliamola
sofficiente et buona massaia, vedrassi tanto
soperba che serva alcuna non potra pacientemente
sofferirla, et chi è c'horamai non sappia esser le
moglie di tal conditione, che se in casa si chiudono
mai farse fine, di udirle querelare, et dir, se io mi
havessi creduto di haver à star sempre rinchiusa,
mi sarei fatta monaca, ò mi harei fatta murare,
lasciamola andar scorrendo ovunque piu li piace,
io vi so dir che daremo che dir alle brigate, et
faremo per ogni lato buccinare di noi ,mostriamo [p. 67rmodifica]
DE PARADOSSI
67
li torbido viso, et subito d'ira et di sdegno tutta
avampera, lasciamo che al suo arbitrio spenda et
delle faculta disponga, io ti so dir che presto con sue
peregrine foggie, con lisciamenti, et con ricami, ti ridurà al
verde, governi l’huomo, et non permetta
che a suo arbitrio spenda, o che gli furera la borsa, o
che terra mano col mezaiuolo a rubbar qualche
staio di grano, o matassa di lino, ho conosciuto
la moglie d’un medico, la qual stava attenta
quando il marito si traheva le anella di dito per
lavarsi le mani, et furavagli sempre, per potersene
ne ne suoi maggiori diletti prevalere, il marito,
ch’era alquanto bue, et di vista corta, vi stava saldo
per non poter far altro, dando sempre la colpa a
chi meno la meritava, ma seguitiamo narrando
la dolce vita che si mena con questi diavoli, con
queste furie infernali, le quali, ti intorbidano quanto
di consolatione porger ti possano o la sorte,
o l'industria tua. Se il marito stassi del continuo in casa
si duole amaramente che geloso, che sospettoso
sia, et che fede non habbi alla gran lealta sua, se
alle volte per sue bisogne, o per altro rispetto si absenta
fa querela che mal consorte sia, et che punto non
l'ami. Vestila honoratamente, le catene non la potrebbono
tenere in casa, vuol ritrovarsi a tutte le feste,
vuol esser presente a tutti e banchetti, dove se
non la lasci gir quanti cancheri, quanti gavoccioli ti
disidra, se ti dimostri verso della moglie troppo
amorevole la ti tiene in poco conto, non ti stima
anzi pensa subito di tiranneggiarti, non vezeggiandola
poi di continuo, vive in sospetto che in altro
fuoco non ardi, et cosi sempre borbotta, sempre
rimprocchia, e' che vollero dir e' poeti di
Megera, ne di Aletto? certo che maggior inferno
imaginar non si può di cotal stato et noi goffi
vogliamo piangere s'ella si muore, piangiamo piu
tosto quando elle ci entrano in casa tenendo per cosa
certa che il fuoco ci entri. Dicono e grammatici
che la moglie fu detta uxor ab ungendo, quasi
volessero dire Onsor, perche quando entravano nelle
case de lor mariti, ungevano le porte et e gangheri,
à dimostrar che cagion sieno di far uscire molto
piu agevolmente la casa fuor delle porte, ma
lasciamo da canto le Etimologie et seguittiamo
il fatto nostro. Ricordomi d'haver letto, che
Pomponio Attico havesse per sue lettere pregato il
buon M.Tullio dispor volesse Quinto suo fratello
à pigliar mogliere, il quale nulla in cio operando,
rispose ad Attico le formate parole, Egli niega
potersi ritrovare cosa veruna piu dolce del libero
letticiuolo et certo non si po dir il contrario,
anzi parmi che sin ne tempi antichi fusse tra savi,
delle moglie una tal upinione, il che facilmente
appare per l'oratione di Metello Numidico esortando
e Romani con ogni sua industria à pigliar moglie.
Debbo io seguitare narrando le molte angoscie
che à mariti porgono? non, che sarebbe un
ripettere cose troppo note, et chi e che non sappia [p. 68rmodifica]
DE PARADOSSI
68
le calamita nelle quali riducono gli infetici
mariti non solamente con e falsi parti, ma con la naturale
ostinatione, con le bugie, et anche spesso dando
hor col ferro, et hora col veneno morte à miseri
consorti, aggiungiamoli l'importuna loquacità con
infinite altre imperfettioni, odiose et strane, non
sol al sofferirle, ma anche al mentovarle, moglie
ah? parmi alle volte nome all'orecchie piu dolce,
et piu grato al cuore a dir orso, drago, lupo,
tigri, pantera, et griffone, Fu gia invitato Pitagora
di gir alle nozze d'un suo amico, negò egli
prontamente di voler andar a tali essequie. pensandosi
per certo che il prender donna, fusse un morir et
un sepelirsi, ne mi pare che irragionevol discorso
fusse. Come possibile che con le femine lieti et
contenti viviamo mai, essendo tra noi di si diversa
natura? Et pur siamo si pazzi che si dolemo che
la moglie si muoia, non intendo percio di totalmente
escludere, che delle buone non se ne trovino, ma
diro ben tre et quatro volte beato, chi se gli abatte,
rare essendo quelle che triste et scelerate non
sieno. Piu d'un paio ne so io, le quali, temendo di
non rimaner spogliate de beni del marito, finsero
d'esser gravide, armandosi de coscinetti et
poi al maturo tempo del partorire trovarno
una creatura dell'hospitale et dettero ad intendere
al bufalaccio marito che quel parto fusse
stato da lui generato. Un'altra anchora ne so, la
quale, temendo di non partorir femina (come poi
avenne) conoscendo il marito disideroso di figliuolo
maschio, providde che all'hora del partorire,
un fanciullo recato le fusse et cosi fatto scacco,
la sfortunata fanciulla fu condutta all'hospitale
et l'aventurato straniero successe a l'heredita,
o quante ne fanno et de quanti scorni sono le
traditore cagione? Non e anchora guari che mi fu
raccontato da un'huomo degno di somma fede
esser avenuto nell'isola de Inghilterra, che essendosi
coricata una gentil madonna col suo marito,
adormentato ch'egli fu, levossegli dal lato, et
andossi a giacere con un suo valletto d'infima
conditione, et quasi per l'amor d'Iddio in casa allevato,
il marito risvegliato, non sentendosi la cara
moglie appresso, penso per qualche natural necessita
levata si fusse, ma indugiando troppo a far ritorno,
rizossi tutto pien d'affanno, temendo sopragiunto
non le fusse qualche sinistro accidente, trovolla
doppo longo cercare si strettamente abracciata che
appena il vento vi sarebbe entrato, imaginatevi
hora da voi, s'egli rimanesse intronato, o s'egli
havesse cagion di piangerla morendo? se io volessi
per mia fe raccontare sol una minima parte de
fastidi, de scherni, degli inganni, et de dishonori
ch'esse portano a mariti, crescerebbe il mio picciol
volume a maggior grandezza che non crebbero
le Decade di T. Livio. Pensaro adunque di por
termine al mio Paradosso, essortando ogn'uno
a non pianger mai la moglie, s'ella si muore, buo [p. 69rmodifica]
DE PARADOSSI
69
na o rea che ella sia, ma piu tosto a ralegrarsi,
che Iddio della sua miseria divenuto pietoso
tratto l'habbia da si molesto laberinto.
M E G L I O E' N O N H A V E R
Servidori, che haverne.
PARADOSSO. XXII.
Erto che ben disse colui (chi
chi si fusse)quot serui, tot
hostes, quanti servidori, tanti
nemici habbiamo, sono adunque
da nemici assediati gli
huomini da molti servidori
accompagnati, ne veramente
senza ragione nemici li chiamaremo noi, per
cio che questi son veramente quelli che rivelano
altrui i segreti de padroni, che rubbano le case,
et contaminano la domestica pudicitia, se non in
altra maniera, almeno co ruffianesimi, et io so
quel che dico, ma non mi diffundero in cotal
discorso, conciosia che tante cose havrei da dire,
che piu difficile mi fora trovarne l'essito, che il
principio, et che peggio e poi, che gli conviene per
sopragiunta de ricevuti danni largamente pascere,
re, honorevolmente vestire, prontamente decidere
le lor liti, terminar tosto le controversie, et di
signor doventar spesso giudice et avvocato. Tacero [p. 69vmodifica]
IL SECONDO LIBRO
io di dirvi che molti habbino amazzati per picciol
sdegno, et tall'hora indutti da picciola mercede
i lor signori? mi ricordo communicando io col
reverendo signor Cesano di tal soggetto, havermi
detto che ne tempi ch'egli stava in Roma, haver
veduto amazzare almeno quindici padroni da lor
servidori et sol per rubargli. Sempre la seruitu recò
piu danno che utile, durissima calamita porto
gia a Romani una rebellione servile. Lessi io
(non e gran tempo) che Cinna publico per un trombetta,
che qualunque servo rifuggito si fusse a lui, sarebbe
del tutto libero, il che fatto, incominciarno
scordevoli doventati de benefici ricevuti, a scorrere
per le case de padroni, rubandoli, svergognandoli,
et stranamente contra di loro incrudelendo,
ne volendo per ammonitioni cessare da si malvagie
opere, per commandamento del medesimo Cinna
furono da Galati uccisi, crederemo noi che
senza causa scrivesse Platone, l'animo servile non
haver in se integrita, ne sincerita? ne doversegli
ponto credere, essendo da Giove privato della meta
della mente? Trovo che per mitigar la rabbia
servile fussero i Siotti primi de tutti gli altri, che
instituissero l'uso de servi mercenarii, pensando
per aventura di migliorar conditione, havendo i
Lacedemoni avanti de gli altri Greci, incominciato
di adoperar gli altrui servigi, et in segno di
cio quella natione, abondo sopra modo de nomi
servili, come sarebbe di Davo et di Geta, ma cer [p. 70rmodifica]
DE PARADOSSI.
70
to che miseri siamo, poi che non sapendo star senza
servi ò senza servidori (che quanto alla qualita
dell'animo poca differenza vi faccio) siamo a tal
conditione condutti, che se il servidore ne chiede
licentia siamo tenuti darglila, ne gli la potemo
negare. Et se da noi stessi gli la diamo, par che
egli habbi giusta cagione di lamentarli di noi
dovunque egli vada, oltre che se gli donassimo cio
che nel mondo possediamo, et gli mancasse un sol
danaio del promesso salario, n'habbiamo fatto
nulla, percioche, egli sta sempre con la bocca aperta,
et quanto piu si riempie, tanto piu se gli aumenta
l'estrema sua ingordigia, la quale, sodisfatta
che si ritrova (se pur aviene che ella si sodisfacci
mai) subbito fa disegno lasciarti non considerando
i tuoi bisogni, ne havendo riguardo alle tue necessita,
di qui avenne che alcuni gentil huomini della
citta nostra, si sono al tutto privati de servidori,
et di qui similmente avenne, che morendo nelle nostre
contrade un'huomo di altissimo intelletto dotato,
disse al terminar di sua vita, lodato Iddio
che pur esco delle mani de servidori, ne anche penso
guari sia, che per non haver a far con si mala qualita
d'huomini, un gentil cavagliere mio famigliare
si fece frate dell'ordine minore, certa cosa e che
tu non poi mai esser ben servito, se il servidore non
ti serve di buon’animo, conciosia che l'autorita nostra
per grande che sia non habbia imperio sopra l'animo
di alcuno. Deh come mi rido io spesse fia/ [p. 70vmodifica]
IL SECONDO LIBRO
te de molti che fanno querela dell'esser servidori?
à me certo pare che a'padroni più giustamente
toccarebbe il querelarsi, percio che i servidori con
la liberta perdino anchora gli affanni, manchigli
la cura, et e pensieri del nudrirsi à piu caristiosi
tempi, et del difendersi dalle superchiarie che
sopravenir possono, essendo per la servitu che fanno, posti
in protettione dell'amorevol padrone, dal quale
sono aiutati, difesi, et guardati come la pupilla
de gli occhi, benche essi troppo ignoranti,
non conoschino si giovevole et util danno (se pur
danno chiamar lo vogliono) Dicammi un poco
questi tali, non e più grave il peso de fi fatti pensieri
che di servire gli huomini lo piu delle volte
ragionevoli, et discreti? ahi quanto maggior dolore
haver dovrebbono della servitù che fanno a'
gli affetti et strani appetiti loro. Furono gia in
servitu molte famose persone, le quali non si
lamentarno pero mai di tal conditione, il che non d'altronde
procedeva se non perche non erano d'ingegno
basso, et servile. Platone fu servo et anche fu sempre
molto maggior di colui che per servo lo comprò,
Terentio fu servo, et scrisse però utilissime
comedie con stil si puro et elegante, che molti si
credettero fussero state da G. Celio scritte, ma dio
volesse che con tanta prestezza adempir si potesse
l'uffitio del giusto Re, come si adempie quello del
buon servidore, non essendo al mondo cosa piu
difficile che dirittamente signoreggiare. Non tro/ [p. 71rmodifica]
DE PARADOSSI.
71
vandosi adunque a' nostri tempi servidori che
habbino la mente libera, giudico io esser ben fatto
in tutto privarsi de lor servigi, et ugualmente
odiare quei servi che non hanno l'animo libero,
come que liberi che hanno l'animo servile, li quali
tanti et tanti sono, che à pena annoverar si possono.
Hebbe gia un servidore Diogene chiamato
Manes, Il quale partendosi da lui, era confortato
da suoi amici lo seguitasse, et cercasse di rihaverlo
in sua possanza, rise di questo Diogene, dicendo,
fora troppo brutta cosa che a' Manes desse il
cuore di vivere senza Diogene, et Diogene animo
non havesse di poter star senza Manes, vadisi
nella buona hora che meglio è di non haver servidori
che haverne.
C H E M E G L I O S I A N A S C E-
re di gente humile, che di chia/
ra et illustre.
PARADOSSO. XXIII.
E di humil et bassa natione sarai
senza alcun dubbio potrai piu
licentiosamente peccare et senza
ratenimento alcuno scorrere per tutte
le lascivie et dishonesti piaceri che
nell'appetito ti caggeranno, et senza che ti si sparga
per le guancie rossore alcuno, far de li atti inde/ [p. 71vmodifica]
IL SECONDO LIBRO
gni et abhominevoli, non essendovi chi con ragion
ti possa dir cotesto non fecero i tuoi antepassati
et cotest'altro troppo si disdice alla tua nobil
schiatta. Non ti saranno ne anche preposti gli aspri
et duri pedagoghi, ne dati gli tutori che ti vietino
hor questa cosa et hor quell'altra, sarai
finalmente libero et sciolto da una infinita servitu, la
quale suole indissolubilmente seguire et accompagnare
il splendore delle gran famiglie, non ti accadera
pomposamente vestire, ne lussuriosamente
mangiare, saratti lecito senza cariaggi d'andare
ovunque piu ti piacerà non sarà si gran maraviglia
se veduto sarai gir à piedi, et senza rispetto
(se uopo sia) ti porrai alli altrui servigi, il che non
osano di fare (anchora che strema necessita gli stringa)
quelli che si ricordano d'esser nobilmente nati, anzi
sempre hanno avanti a'gli occhi le fumose
imagini de lor famosi avoli, et se per aventura entri
nella via della vertu, tanto sempre piu chiaro et
illustre doventi, quanto eri dianzi da maggiori
tenebre offuscato, all'hora tutto il splendor sarà tuo,
à te solo sia ogni tua bella opera attribuita, et de
toi generosi fatti, altri non ne saranno partecipi, non
ti usurperanno la propria lode, non il padre, non e'
consiglieri non e' maestri, non e vicarii, o luogo tenenti, ne
habbiamo di tutto questo veduto a nostri tempi assai
espresso segno in molti signori, li quali, quantunque
valorosi fussero, per esser di sangue illustre
et dal mondo tenuti nobili (Iddio sa po se a torto, [p. 72rmodifica]
DE PARADOSSI.
72
o a ragione che in tal giuditio non mi voglio
interporre) delle lor belle imprese, s'e dato sempremai
tacitamente la gloria a lor capitani. Habbiamo
all'incontro veduto alcuni altri, li quali, per esser di
fortuna humile, di tutto cio che virtuosamente
adoperarno la lode fu sempre la loro. Niuno ha
giamai partecipato delle vettorie di Castruccio
Castraccani, ne di Nicolo Picinino, ne del Carmignuola,
ne de molti altri valorosi di quella eta si
florida, et a moderni tempi niuno e mai stato alla
parte della gloria di Ariadeno Barbarossa, ne
di Andrea d'Oria, ne del signor Alarcone, ma
descendo anchora piu particolarmente alla
dimostratione di quanto ho promesso, cio e che i nobili
sieno sovente defraudati della debita gloria, et li
men nobili sempre piu tosto esaltati che depressi,
benche questo per se stesso chiaro apparisca,
ditemi un poco, quando il signor Galeoto Picco prese
la forte Mirandola non fu anche subitamente dato
l'honore a certi Mirandolesi, li quali, con esso lui dal
cio scacciati si riparavano? et pur si vede ch'egli e
pieno di ardire et di consiglio et atto a fare per se
stesso maggior impresa. Del valore similmente et
accorti stratagemi ch'usava il fignor Gioanni da
medici, si dava in buona parte l'honore a messer
Paulo Luzzasco, cosi delle belle imprese del
conte di Caiazzo, si diceva fra molti, che il mio
capitano Pozzo da Perego ne fusse potissima
cagione, vedete adunque quanto nuoca l'esse [p. 72vmodifica]
IL SECONDO LIBRO
te illustre, poi che li meno illustri gli togliono si
gran parte della gloria che lor si deve, il medesimo
aviene anchora nel mestiero delle lettere, et
che ciò sia vero, ditemi un poco per essere il Re
d'Inghiltera nell'altezza ch'egli si ritruova non
fu detto per cosa certa, che l'opra da lui contra
M. Lutero scritta era di Thomaso Moro huomo
singolare et già dell'isola cancelliere? Il concilio
similmente del vescovo di Colonia cotanto istimato
non fu egli attribuito ad un suo segretario Tedesco? Che dirò
del'opra del signor Alberto Pio
contra del buono Erasmo? non fu detto come apparve
in luce ch'era fatica d'alcuni suoi creati? et pur
si sapeva da ogn'uno ch'egli era un'armario et
un forte di varia dottrina, ma vegasi anchora
meglio quanto nuoca l'esser di chiaro sangue nato,
che quando il cardinal de Medici tradusse il secondo
libro della divina Eneida, si disse incontanente,
ch'era opra del gentile et vertuoso Molza, il medesimo
si affermava delli epigrammi del cardinal di
Ravenna, et era però un'espressa bugia, non se già
detto cosi d'un Stunica, ne d'un Vives spagnoli,
non già cosi d'un Erasmo Roterodamo, ne d'un
Rodolfo agricola, non s'e già detto cosi d'un
Iacopo Fabro, ne d'un Iodoco Clitoveo, molto meno
s'e detto d'un Leonico Tomeo, d'un Battista Egnatio,
d'un Thomaso Linacro, et altri molti dottissimi
huomini. Non e dubbio che per uno di sangue illustre
che eccellente riesca, riuscirne sempre
mille ignobili. Socrate fu figliuolo d'uno che
rapoliva i marmi, et esso rapoliva gli ingegni, et
i costumi piu che il marmo, et piu che il diaspro
duri, Euripide Tragico poeta, fu di padre et di
madre oscurissimi. Demostene nacque de parenti,
non sol ignobili, ma incerti, Vergilio (quella gran
musa) usci de lumbi d'un zappatore, Horatio d'un
trombetta. Tarquinio prisco d'un mercatante
forastiero, Servio Tullo d'una schiava, Septimio
Severo fu vilissimo, Agatocle Re di Sicilia si disse
figliuolo d'un Pentolaio, Helio pertinace era ne
suoi primi anni, mercatante di legna, Ventidio
Basso nacque di padre et di madre agiettissimi. Se
adunque la cosa sta, come io dico, et in verun modo
negar non si può perche non afferma liberamente
ciascad'uno che meglio et piu aventuroso
sia l'esser di schiatta humile che illustre? per
che cerca hoggidi ogn'uno con espresse bugie
et col mostrar false scritture, di farsi dire illustre?
perche tanto si contende et tanto hassi a male
se ne le inscrittioni non si fa sempre mentione
di questo vano lustrore. Deh come e fortemente
cresciuta questa vanita. Risi io gia smascelatamente
essendo in Napoli d'un cavagliere, il quale,
perche il notaio facendo non so che procura,
non scrisse illustrissimo, si agremente con esso
lui si adiro, ch'io temei di qualche sinistro
accidente. Non si soleva già altre fiate scrivere a
cardinali che scesi non fussero da gran signori, al
tro che Reverendissimi, ma hora reputano segli
facci troppo evidente ingiuria, se non se gli apicca
al collo l'illustrissimo con molti altri titoli.
Io mi ricordo che essendo in Bologna per cagione
de miei studi, et essendo pregato da un scholare
Fiorentino ch'io volessi in nome suo scrivere
una epistola ad un cardinale, il quale era molto
suo signore, scrissi io l'epistola disideroso di
compiacerlo nella miglior forma che io seppi, et feci,
l'inscrittione in cotal forma. N. Cardinali, viro
optimo, et piu non havrei saputo dire, sel fusse
stato figliuol d'Iddio, pur non bastò che rimandarno
la lettera col farci intendere, che studiassimo
meglio la forma del scrivere a' cardinali
reverendissimi, quel (F)iorentino non era (si come sogliono
esser) molto acuto, et io fui sempre di grossa pasta,
di modo che non sapeva ne l'un, ne l'altro come
si dovesse far questa beata inscrittione, mutamola
un'altra fiata, et scrissi, N. viro antiqua virtute
et fide praedito et Ecclesiæ Cardinali digniss. et
ne piu, ne meno ci fu rimandata, sopragiunse finalmente
(mentre stavamo cosi sospesi) un gentil'huomo,
meglio di noi esperto, il quale, ne fece
scrivere, Illustrissimo Reverendissimo D.D.
sanctæ Romanæ Ecclefiæ Cardinali dignissimo
et patrono colendissimo, et cosi la lettera fu
presentata, letta, et ispedita, all'hora si, ch'io pregai
di buon cuore Iddio spegnesse ogni ambitioso seme,
acciò non si sentisse piu tanta pena nel fare [p. 74rmodifica]
DE PARADOSSI
74
le inscrittioni alle lettere, ò quante cose mi
persuaderebbe hora à scrivere il sdegno contra delli
ambitiosi conceputo, ma lo rafrenarò, poi che mi
ravego d'esser scrittore de Paradossi, et non di
Sattire, ma quanto mi sarebbe però caro, se io
potessi col mio scrivere, levar dagli humani petti
questa vana passione del voler esser detto illustre
et nobile, non operando però mai veruno atto
nobile o virtuoso, rimasi pur fortemente sdegnato
di vedere in Napoli, che quasi ogni persona si
chiamasse signor, et signora, a tutti si desse pel
capo della signoria, et dovunque mi svolgesse,
udisse Don tale, et Donna tale, et di tal
maniera mene turbai che un'hora mi parea un
secolo al partirmi da quella ambitiosa Citta,
ma misero me c'ho poi ritrovato essere in ogni
lato sparsa questa bella spetie di follia.
O' miseri noi mortali, dovunque io vado, veggo
gli huomini tanto cupidi di questa gloriosa
ambitione, che non e luoco, non citta, non
castella, non villa che non l'h(a)bbia per amica et
famigliare. Vo piu oltre et truovo che questo
spirito ambitioso e intrato nel petto di ogni
mercatantuccio di feccia d'asino. Lascio pensare
a chi ha punto d'intelletto se per l'amore
che sono tenuto di portare alla vera nobilta
me ne turbai, adunque dissi a tanto abuso siamo
venuti che nobili, spettabili, et magnifici
dicansi anchora quelli, che con l'usure ne divora
no, con e monopolii n'asassinano, con gli apalti
ne mangiano, et col comprare per vender piu caro,
ne distrugono, ma questo è nulla, rispetto a'
quello che diro. Disiderando adunque fastidito de
costumi Italiani di trovarmi una patria libera,
ben accostumata, et al tutto aliena dall'ambitione,
pensai fra me stesso non potersi ritrovare
natione alcuna piu netta di questa macchia, che si
fusse la Svvizzera, la Grifona, o la Valegiana, et
con si fatto pensiero cola diritto mene volai, dove
pensando fermar il piede et stabilir mia stanza
trovai nel cominciamento molti grati vestigi,
molti buoni inditii di cio che andava cercando,
senti da principio soavissimo odore d'una certa
equalita troppo dolce et troppo amabile, ma non
pero guari vi stette, che vi scorsi tanta ambitione
et tanto fumo ch'io fui per accecarne, o Satanasso
dissi io all'hora, come hai ben sparso il tuo
pernitioso veneno per ogni lato, e possibile che fin
fra questi horridi monti, infin fra queste
spaventose grotte, penetrata sia l'ambitione? trovai che
andavano nelle terre dell'imperadore a' farsi far
nobili, trovai, che si vantavano d'esser nobilitati
chi da dui quarti, chi da tre, et chi da quattro,
trovai, che si gloriavano d'esser scesi altri da
Toscani, et altri da Romani, et altri ne viddi, che mi
dissero esser della razza de mirmidoni d'Achille,
et n'andavano di cio gonfii et pettoruti, chi mi
havesse giurato che fra tanti bifolchi havessi io [p. 75rmodifica]
DE PARADOSSI
75
da ritrovare l'odiosa ambitione, mai l'havrei
creduto, percioche mi detti sempre ad intendere che
tutta l'ambition del mondo fusse raccolta nella
citta di Napoli, ma hora sgannato ne sono, et
securamente, poi che di molto piu isperienza mi
sento, affermo, d'haver veduto in Napoli piu chiari
segni di nobilta et di gentil creanza, che in
qualunque altro luogo dove stato mi sia, et piacesse
a Dio che nella patria mia, potessi annoverare
tante virtuose donne, et tanti honorati cavaglieri,
quanti ivi già conobbi, et facilmente oserei di dire
che sol il principe di Salerno, col mio signor
don Lonardo Cardines bastar potrebbono con
la lor benigna et liberal natura, con e dolcissimi
costumi, et rara leggiadria, a' ornare, et abellire
ogni corrotto secolo, ma ritorniamo alla
nobilta, la quale, non pur al presente guasta
si conosce, ma troppo gran tempo fa che
incomincio a degenerare dalla sua primera et bella
forma. Sovviemmi d'haver letto che il padre
di Euripide glorioso d'esser fatto nobile, stavasi
tutto pien di gioia, dil che fortemente fi rise
il figliuolo dicendoli non ti ralegrar padre
mio di nobiltà, poiche hoggi la si vede fondata
sol ne danari, et è in arbitrio di qualunque
dineroso il farsi a' suo piacere nobile, diceva per
tanto Socrate, che la vertu era quella che ci
faceva nobili. Vanamente adunque si gloriaremo
d'esser ne di questa, ne di quell'altra famiglia,
et credero io facilmente, che per amorzar l'orgoglio
d'alcuni insolenti, scrivesse Platone niuno
servo ritrovarsi che sceso non fusse di sangue
reale, et parimenti niuno Re, che di servo nato non
fusse. Non cascarno i gentilhuomini dal cielo,
come cade la manna in Puglia, ò in Calavria, ma
furono fatti nobili per la vertu che mostrarno
combattendo virilmente per la patria, morendo per
l'honore, et nulla mai operando degna di
reprensione, il che a' nostri tempi di rado accade,
poi che si nobilitano con gli homicidii, con e' tradimenti
et con e'furti, di modo che dir potrebbesi che a' si
mali tempi altro non fusse la nobiltà, che il
premio d'una notabil iniquità. Gli Egittii anchora,
da quali nacquero tutte le gravi et honeste
discipline, et da quali hebbero origine molte buone
usanze, credettero tutti gli huomini esser
ugualmente nobili, tutti haver d'una medesima massa
la carne, et d'un medesimo creatore l'anime con
uguali, forze, potenze, et uirtu create, la qual
vertu primieramente, noi, che nasciamo eguali distinse
et quelli che di lei maggior parte haveano, et
adoperavano, nobili furono chiamati, il resto
Redero facilmente che questo
parer mio non sia pero da
molti reputato Paradosso,
et parerebbemi ad ogni modo
strano, che persona veruna
c'havesse punto di sentimento
dubitasse mai, che la
vita frugale non fusse assai miglior della copiosa
et abondante, ditemi voi che forse ne dubitate,
non scaccia la vita sobria senza altro soccorso la
gotta? la quale, secondo molti isperimentati fisici,
per infiniti rimedi, che se gli faccino a pena riceve
cura, non lieva ella anchora il dolor di capo? non
si rimedia per il costei mezo alle vergini, a catarri,
a vomiti spontanei, a rogne, a rutti, et alle febri
ardenti? non rende la vita parca, nostra mente
te piu svegliata? non e ella in gran parte cagione,
che il giuditio nostro piu retto, et piu sincero si
divenga? Furono di tal parere e savi antichi, et
Platone spetialmente, ilquale, havendo navigato
di Atene, in Sicilia, danno acerbamente le mense
Siracusane, le quali di pretiose et saporite
vivande, de grati manicaretti, et di finissimi vini, due
volte al di rendevano i lor seguaci ben satol/
li, ma che havresti tu detto Platone se fussi
venuto in Ponente, dove qualunque che rimanga di
due buon pasti contento, si po dir che faccia esquisita
dieta, certo che si strano paruto ti sarebbe,
che havresti con la tua divina eloquentia
sommamente lodato le tavole di Siracusa.
L'Epicuro etiamdio quantunque si tenga per huomo
infame (merce delle molte calunnie dattele da quel
maligno spirito di M. Tullio) poneva le sue
maggiori dilitie solo nel mangiar dell'odorate
herbuccie et fresco cascio, ma io vorrei un poco
sapere da questi, che nati mi paiono sol per
consumare le vettovaglie, che vuol dire che ne tempi antichi
non vi erano tante persone quante al presente
sono, et vi era maggior copia di vettovaglie
et in piu vil pregio? e donde procedeva questo
salvo che dalla parca vita ch'essi menavano?
Scrivendo Girolamo delli instituti de santi
padri che nello Egitto mossi da religioso zelo
habitavano, narrami che tanto erano innamorati
del sobrio et semplice vitto, che solo il gustare
cibi cotti veniva reputato lussuria, dalla qual
narratione non si scosta punto Gioan Cassiano,
scrivendo de gesti monastici. Ho io spesse volte
letto appresso de piu antichi medici, che li
maggiori nostri fussero tanto amici della sobrieta,
che la mattina mangiavano solo pane, et la sera
sol carne senza altra aggiunta gustavano, et
quindi avenire che senza tante mostruose infir/ [p. 77rmodifica]
DE PARADOSSI
77
mita, longamente campavano. Non per altro i
Romani, gli Arcadi, et i Lusitani stettero si longo
tempo senza medici, se non perche si difendevano
dalle infirmita con la vita parca, alla quale, siamo
al dispetto nostro spesse fiate costretti di ridursi.
Lego ne buoni istorici che andando Tolomeo per
l'Egitto, non havendolo potuto seguire i suoi
compagni, sostenendo gran fame essersi coricato sotto
una capanna di contadino, et essergli dato mangiare
un pezzo di pane di segale, giurare all'hora
per Dio che mai havea gustato piu soave vivanda,
et hebbe per l'avenire a' schifo tutte le
peregrine forme de pretiosi pani per adietro usate, le
donne di Tratia per haver figliuoli sani, robusti,
et arditi, non mangiavano altro che latte et
ortiche, et le maggiori delitie che havessero i Spartani
nel viver loro, era un certo brodo negro come
pece liquefatta, nell'aparecchio del quale non si
spendevano tre soldi, li Persiani huomini si ben
disciplinati non aggiungevano al pane, altro che
un poco di nasturtio, Artoserse fratello di Cirro
essendo da suoi nemici volto in fuga, si puose
a mangiar fichi secchi et pane d'orzo,
grandimenti dogliendosi d'esser stato si tardi ad
isperimentare vita si dolce et saporita. Egli e vero che
il ventre nostro indiscretamente ci molesta, et
importunamente alle volte chiede, pur egli non
e sempre importuno creditore, anzi di poche cose,
ne molte esquisite, lo piu delle volte si conten/ [p. 77vmodifica]
IL SECONDO LIBRO
ta, ne so io perche tanta cura si ponga in haver bei
grani, et in cercar fornai Tedeschi, poi che tutti
gli antichi medici si constantemente affermano che
chiunque assiduamente gusta il pan d'orzo non sia
mai molestato dal dolor de piedi, L'è pur nel vero
abominevol cosa travagliarsi tanti pescatori, et
turbar i pesci della lor amata quiete, per sodisfare
a' questa nostra insatiabil gola, l'è pur cosa brutta
vedere per un ventraccio che tosto ha da esser cibo
da vermi, affaticarsi tanti cuochi, et spogliarsi
e delettevoli giardini per far le salse ad eccitare
l'adormentato appetito, l'è pur cosa strana vedere
sudar tanti cacciatori, dormir nelle nevi, giacersi
nelle gelate, cavalcare i monti et scorrere tutti e piani
per compiacere alla golaccia nostra, la quale incominciando
dal vecchio Adamo, haci in troppo strani
laberinti homai avolti, et noi pur tuttavia
vogliamo per condescendere a suoi piaceri tolerar per essa
tanti disagi, et sofferir tante fatiche, ò misero Filosseno
ove havevi tu il cervello, quando disideraste
il collo di grù per sentir ne cibi maggior dolcezza?
o tu infelicissimo Apitio che tanto studio vi ponesti,
che giovamento et che bella gloria ten'è risultato?
che dirò di te Massimino, che solo trenta lire
di carne mangiavi al pasto? che dirò di te Geta
imperadore, il qual facevi che le vivande seguitassero l'ordine
dell'alfabetto, dandoti una volta anseri, anatre,
et apri, et l'altra pescie, porcello, perdici, perna,
et quando correva il luogo del F, ti si appresta [p. 78rmodifica]
DE PARADOSSI.
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vano diligentemente fichi, fagiani, farcimini, et
cosi di mano in mano scorrevasi per tutto l'alfabetto
ordinatamente, a me certo sommamente piace
la vita sobria, ne truovo cosa che di maggior noia
mi sia cagione, che di caricar ben l'orsa la sera et
poi levarmi a buon'hotta, io non provo maggior
supplitio, che di sentir quella crudita, quei rutti,
quel sbavegliare, quei stordimenti, quelle vertigini,
et quei gira capi, ma per il contrario come mi
truovo la sera o non haver cenato, o almeno
sobriamente mangiato, mi lievo scarico, pronto a
tutte le attioni, ne sento alcuno impedimento, ne
mi sento punto istordito. Essendo in Messina, mi
racconto il signor Antonio d'Oria d'haver
conosciuto in Ispagna un vecchio, il quale passava piu
di cento anni, quale havendo un giorno fra gli
altri ritenuto a disinar et trattatolo sontuosamente
come egli suole chi seco mangia, disse il buon
vecchio, se io havessi havuto signor mio nella mia
gioventu simili tavole, non crediate gia che io fussi
arrivato a questa eta, con el vigore che tanto mostrate
di ammirare, ecco adunque che la vita parca e
anchora cagione che longamente campiamo et
prosperosi ci mantegniamo. Tutti quelli che nell'eta
anticha nemici furono della vita parca,
trovansi esser stati similmente nemici dell'honore,
et della vertu, come appare in Claudio, Caligula,
Eliogabalo, Clodio Tragedo, Vitellio, Vero,
et Tiberio, dall'altro canto, vedrete che gli [p. 78vmodifica]
IL SECONDO LIBRO
amici della vita frugale furono tutti quasi
huomini divini, come fu Augusto, Alessandro
Severo, Paulo Emilio, et Epaminunda, miglior è
adunque la vita sobria che la splendida et sontuosa,
dichino pur cio che li piace i nostri moderni Sardanapalli,
che a' me non persuaderanno giamai il
contrario di quello, che la ragione, la natura, et il
buono esempio de virtuosi efficacemente mi
persuade à credere, non mel persuaderebbeno dico,
se havessero le lor lingue forbite tutte le Greche,
et le Latine retoriche.
CHE LA DONNA E' DI MAG/
gior eccellentia, che l'huomo.
PARADOSSO. XXV.
O gia longo tempo fra me
stesso creduto che le donne
non solamente non fussero a’
gli huomini di eccellentia
et dignita superiori, ma ne
anche uguali, considerato poi
assai piu minutamente le
grandezze loro, con e singolari privilegi, sono dalla
verita sforzato a credere, et in ogni luogo
manifestare la preminentia che Iddio ottimo et
massimo sin nel cominciamento del mondo lor dette,
formandole nel paradiso terrestre luogo sopra [p. 79rmodifica]
DE PARADOSSI.
79
ogn'altro ameno et delitioso, di pura et ben
complessionata carne, et non di schifevol luto, si come
formato fu l'huomo, al quale, non fu anchora
(per quel che si vede) data tanta bellezza, quanta
alla donna si diede, il cui viso chiaro et
perpetuamente senza pelo, ben mostra per l'uniformita
sua d'esser vera fattura del magno Iddio,
fonte di ogni bellezza, et il gentil corpo con la sua
divina proportione qual confessano tutti e
prospettivi esser molto maggior nella donna che
nell'huomo, da chiara testimonianza delle
celesti misure, ma che diro io poi de gli animi loro,
piu costanti et forti? piu grati et amorevoli?
quante fiate (se le istorie non son bugiarde) furono
cagione di grandissime vittorie, et le squadre
per la debol vertu de gli huomini gia inchinate
et in fuga volte, animosamente sostenero? Qual
capitano fu mai (parlo di qualunque natione) che
di valore, di ardir, di consiglio pareggiar si
potesse con l'animosa Camilla, et con l'ismisurata
forza di Pantesilea? qual diligentia et incredibil
prestezza por si puote mai al paragone di
Semiramis? qual virtu fu mai per alcun secolo veduta,
che si rasimigliasse a quella di Zenobbia, di Valasca
et altre famose donne di quella anticha et
florida età? chi le suppera etiamdio o per meglio
dire, chi v'e che nella fede, et nella costantia non
le sia inferiore? io per me, volgo sozzopra la
parte mia de gli storici in l'una et l'altra lingua, et [p. 79vmodifica]
IL SECONDO LIBRO
quanto piu posso con attentione osservoli, non
vego pero mai di vertu essempii alcuni piu
illustri di quelli che le donne in tutti e tempi ne
dettero, quante fiate per la chiara fede, et immenso
amore ch'altrui portarno, andarono con mille
rischi ne gli eserciti, con mille stenti negli esigli,
costrette ben sovente di mutar nome, di cambiar
habito, et di mentir sesso, amando sempre e lor
mariti piu che se stesse, et honorandoli piu di qualunque
terrena cosa. Non trovai ne anche mai
huomo alcuno, et pur sono assiduo nelle conversationi
loro, chi le ponesse il piede avanti nella
religione et nella cortesia. Sonosi ritrovate molte
donne, che per mantener spedali, per aiuttar religiosi,
per edificar tempii, capelle, altari, et per
riscuotere pregioni hanno dissipato con animo resoluto ampiissime
faculta di sorte, che non credo
potuto havesse mai huomo alcuno (benche generoso)
operar la meta di quel che operarno gia
alcune donne di non molta fama, gran cuore nel
vero hebbero sempre nel spendere. Fassi
mentione per tanto nelle storie pagane d'una generosa
femina che tutto l'esercito Romano con infinita
liberalita raccolse, gran spirito mostro ella in
ogni modo, grand'amore al popolo Romano
ottimo giuditio et non minor gratitudine, non si
vidde anche nella bella Frine un'eccellente animo
poiche si offerse di ridificare le gran mura di
Tebe pur che si contentassero e Tebani che il no [p. 80rmodifica]
DE PARADOSSI,
80
me suo fusse nelle predette mura scolpito? era
questa una spesa infinita essendo Tebe città si
grande che appena cento porte le bastauano. Tacerò
l'altre, delle quali, ciascuno men che mediocremente
dotto, ha sofficiente cognitione. Fassi
mentione doppo molte nelle storie sacre, d'una
Tabita, la quale per sovenir le povere et afflitte
vedovelle, per soccorrere orfani et altri bisognosi
pupilli, appena si lasciava di che potersi le sue carni
cuoprire, ò carità immensa, ò carità non mai udita
in alcun huomo, degna d'esser lodata da tutte
le diserte lingue, non possono veramente aguagliarsi
gli huomini alle donne, ne in le virtù morali,
ne in le naturali, dican pur quel che lor piace
i maldicenti, mormorino pur i detrattori, et
vadino al luor piacere per ogni luogo cantando
dell'avaritia feminile, che se vorranno
senza rancore piu adentro al vero che non fanno
penetrare, troveranno gli huomini per l'avaritia
divenir traditori, ladri, usurari, disleali, et
ad ogni libera promessa senza rossore alcuno
mancare, et che potrebbono gli aversari delle
donne (non volendosi scostar dalla verita) opporgli?
diranno forse che per danari (cosa si vile)
vendano l'honore? del quale assai piu che della
vita calere gli doverebbe. Deh guardiamo
piutosto che di cio cagion non sia la dolcezza del
sangue loro, la gentilezza del cuore, che le fa
arrendevoli a' preghiere de gli amanti, ò vero [p. 80vmodifica]
IL SECONDO LIBRO
che piu tosto di ciò cagion non sia l'importunita
nostra incomportabile, le losenghe, le insidie, le
minaccie, et gli inganni, che tutto di cerchiamo
lor di fare senza rimordimento alcuno conscientia.
Io non potei giamai al mio vivente trovar
donna che alle altrui voglie spontaneamente si
disponesse, vego io sempre essersi interposta
longa seruitu, lagrime, lo piu delle volte simulate,
sospiri finti et inganni sottilissimi, sovente anchora
vi s'interpone viva forza tal volta aitata da
tradimenti ch'usi sono di fare a padroni e
domestici servidori per ricompensa de buoni trattamenti.
Non e gran tempo che in Padova un'amico
mio molto intrinseco, innamorato d'una
bellissima fanciulla, la cui saldamente, ne per calde
preghiere, ne per larghe offerte, mai puote piegare
o amorbidire, finalmente, al suo dispetto, per
opra d'un servidore che nella propria camera
l'inguatto, godete delle sue rare bellezze.
O' assassinamento d'esser punito sin'alla quarta generatione
potrei narrarne molti de simili accidenti, ma il
desiderio della brevita che mi sta in ogni mia
attione si fitto nel cuore, non sol non l'acconsente, ma
mi esorta a far il fine, et altre cose addure, per le
quali chiunque non crede esser le donne di maggior
eccellentia che gli huomini, da si stolta upinione si
rimuova et al dotto Aristotele si accosti, il quale,
piu de gli huomini, ingegnose le confessa, dicendo, che
quelli che hanno la carne più molle, sieno di mag/
gior ingegno dotati, niuno e gia che dubiti, che la
carne delle donne non sia et piu molle, et piu
delicata, oltre che, l'ingegno loro, nelle belle et
grate inventioni sempre con molta eminentia apparve,
legasi il catalogo delle inventioni delle cose,
et inventrici troveranosi di utili et ingegnose
opere. Sono anchora le donne (quando vogliono) piu
alli studi delle lettere, ne cio mi e maraviglia,
poiche una donna detta per nome Carmenta le ritrovo.
Veramente poi che io tal cosa intesi, cessommi
anche la maraviglia se scrisse gia Leontio contra
Teofrasto, se confutollo, se vinselo, riempiendolo
di scorno. Saffo inventrice del verso saffico
contese di poesia con eccellentissimi huomini di quella
professione et feceli rimaner confusi, lo
medesimo non senza gran lode fece anchora la bella
Corrinna et a nostri tempi qual arguto et ingegnoso
poeta por si potrebbe mai al paragone della
marchesana di Pescara dell'illustre et cortese
signora la signora Veronica da Gambera, o della
gentil Emilia Angosciola? non mi stenderò
diffusamente in ragionare di tutte le donne che a
nostri tempi chiare sono per vera nobilta, et
riguardevoli per molta virtu, havendone di ciò copiosamente
scritto monsignor Giovio vescovo in Nocciera,
et gran scrittor delle storie moderne, ma
perche egli in poche carte non puote chiudere
molte cose, ardisco io dire, trovarsi al presente donne
di valore assai piu maraviglioso, di quel cheb
bero gli antichi nostri. Faro la scelta di alcune
poche, per non esser nel dir mio troppo
rincrescevole, ne credo d'havere a ritrovare chi mi
contradica, si nota e horamai a ciascaduno la
bonta, la cortesia et honesta loro, farò principio
adunque dalla signora D. Isabella Villamarina,
prencessa di Salerno, qual conobbi talmente
bella et savia, che non sol la real presenza, ma tutti
e'suoi progressi mi davano stupore, udilla
anchora in Avellino, recitar versi Latini, et
dichiarar prose di tal sorte che riempiva chiunque
l'ascoltava d'infinita dolcezza. Conobbi nel medesimo
tempo la signora D. Giulia Gonzaga o di quanta honesta,
et di quanta continentia viddila io ornata,
hor questa scordatasi la sua bellezza
che paragone non hebbe mai, ha tutti i suoi
pensieri al cielo rivolti et è fatta nelle sacre
lettere assai piu esercitata che l'altre femine non
sono nell'ago, ò ver nella conocchia. Conobbi
anchora la signora Marchesana della Palude,
et parvemi conoscer l'idea della liberalità, della
piacevolezza, et della discretione, ben dette
segno il signor D. Francesco da Este, del suo
singolar giuditio lasciando tutto il resto d'Italia,
per far elettione in quel florido regno di si
perfetta donna, certo che non per altro scrissero
e'poeti che ne que mari cantassero le sirene,
salvo che per darci intendere esservi maggior
copia di belle et virtuose donne, che in qualun/ [p. 82rmodifica]
DE PARADOSSI
82
que altro luogo. Venermi similmente a'notitia
mentre a' Napoli stetti, due fanciulle sorelle
cugine, l'una è Violante Garlona et l'altra Violante
Sanseverina, ambedue belle de modi et di
presenza, amiche ambedue d'honore, et studiose di
buone lettere. Debbo scordarmi l'immensa contentezza
ch'io sentivo conversando all'hotta con
la signora contessa di Nola, ispetialmente quando
aggiunta v'era la cara sua creata Luvigia
Carolea, o' troppo ingrato se non mi sovvenesse di
dua si gentili et gratiosi spiriti, credo fermamente
che il senno delle famose Sibille rifuggito sia
ne que casti petti, ove non albergano se non
candidi et nobili pensieri et donde non escono se non
parole cortesi et amorevoli, ma se io non facessi
memoria se non delle Napolitane Potrebbono
facilmente credere gli avversari nostri, che sol
Napoli fusse di valorose donne feconda et gli
altri luoghi sterili si rimanessero. Caverolli
adunque di errore, affermandogli haver trovato in
Siena molte generose madonne, tra quali Honorata
Pecchi et Frasia Venturi sopra l'altre, sifattamente
mi rimasero nella memoria, che mai
me l'ho potute dimenticare, et chi si potrebbe
facilmente scordare si virtuose et amabili
madonne? certo chi non le ama et riverisce, non
sa quai siano veramente le cose degne di
riverentia, ben conosco di perfetto giuditio il buon
Gabriel Cesano, poi che d'una Honorata Pec/
chi favellando, mai ne sa ritrovar il fine, et mai
stanco si vede di lodarla hor di prudentia, hor di
belta, et tall'hora di cortesia. Non ha parimenti
Lucca mia, donne eccedenti di gran longa in vertu
qualunque vertuoso cavagliere? si ha veramente,
et chi non mel crede, specchisi nell'essempio
mirabile che di se dano Caterina Dati. et
Margherita Bernardini. Non ha Firenze anchora donne
da paragonar con e piu valorosi huomini di qual
si voglia secolo? non nacque in essa M. Maria delli
Albizi, che gia fu del buon Rinieri Dei? non
stupisce ogn'uno per maraviglia considerando l'acutezza
del suo benigno ingegno, et la prontezza
delle belle risposte? ben si ralegra Firenze con
ragione havendo ricuperato si caro tesoro, ne con
minor ragione si duolgono e Lionesi di haver
perduto si grata conversatione, viddi io alla
partenza sua, piu di cento mila lagrimosi occhi, viddi
io turbarsi la Sonna et per gran duolo quasi
bagnar amendue le sponde, viddi io lo Rodano
piu del solito suo, con gran velocità scorrere,
quasi per forza ritener la volesse, o vero anch'esso
dal suo nido far dipartenza. Deh come credo
che volentieri cambiasse hora le fortune sue
con quelle del ben aventurato Arno, ma vegniamo
hora in Lombardia de tutti e beni
copiosa, ispetialmente di leggiadre et honorate
donne fra le quali, ho sempre di buon cuor
riverrito la signora Gostanza di Nuvolara, signo/ [p. 83rmodifica]
DE PARADOSSI
83
ra di bellissimi costumi, di svegliatissimo
ingegno, et di litteratura piu che mediocre ornata,
ma prima hebbi cognitione nella citta di Mantova,
della signora Violante Gambera, la cui
alta mente et cortesissimi modi dano fermo
inditio di vera nobilta, un tal essempio
contemplando di continuo la signora Camilla sua
ubidiente figlia, a tanta perfettione e hoggimai
venuta che po et dar altrui materia che di lei si
scriva et essa parimenti con la sua dotta penna scrivere
le gloriose opere che a nostri secoli si fanno. Le
streme contentezze c'hebbi io sempre di si dolci
conversationi, mi speronarno a cercar piu
studiosamente se altre vene fussero, che simili pedate
seguitassero. Viddi gia per tanto piu d'una fiata le
signore di corte maggiore, le quali non tanto per
corporal bellezza quanto per l'infinita cortesia et
bonta che in quelle regna, piu divine, che humane
mi parvero, veramente chi non stupisce
contemplando l'aria dolcissima della signora Camilla
gia consorte del vertuoso signor Cesare, accopiata
con un spirito generosissimo, non ha senso
d'huomo, chi non ammira la gravita, la longa
sofferenza ne travagli, senza pur mai piegarsi, et
il splendor dell'animo che ha la signora Giulia
Trivulza marchesana di Vigevano e in tutto fuor
del senno, d'indi a Piacenza ratto mene volo
vago di riempirmi tuttavia piu di nuove
meraviglie, dove non guari stetti, che alquanto fa
migliare divenni della signora Hippolita
Sanseverina, io non potrei certo in alcun modo ridire,
quanto ne rimanessi sempre de suoi
ragionamenti sodisfatto, et meritamente essendo non
men prudenti,che tersi, et pieni di dolcezza,
oltre che sporti sono con ammirabil gratia, fui
anche ne medemi tempi assai piu assiduo visitatore
della signora ISABELLA SFORZA,
li cui dilicati modi, mi rendevano molto
attento, et mal grado d'altri miei pensieri mi facevano
star alla contemplatione di quelli sempre tutto
raccolto, la dolcissima favella mi dava non
picciolo stupore, et l'acutissimo ingegno facevami
uscir alle volte di me stesso, ò donna rara,
veramente, non conosco io huomo alcuno,
che d'ingegno et di accortezza con essa fronteggiar
potesse. Hor con questa gentilissima
signora, viddi moltissime volte la signora
Luvigia Palavicina da Scipione, signora piu di
qualunque huomo, affabile, discreta, bella, et
magnanima, meritava ella per la sua rara bonta
d'esser moglie di Re, et non di privato
gentil'huomo quantunque egli sia cavagliere senza
alcun rimprochio, et perdonimi il mio signor
Francesco se l'offendo, anzi dia la colpa al gran
valore della consorte sua, che mi fa nel dir
troppo assicurato. Debbo tacere poi che mi nasce
l'occasione di ordire un picciolo catalogo di
singolari donne i gran meriti della signora Emi [p. 84rmodifica]
DE PARADOSSI
84
lia Rangona Scotta? la religione, la prudentia et
la destrezza in regger sua famiglia? Debbo
similmente passarmene senza far memoria della S.
Lucretia Martinenga Beccaria? non, che sarebbe
troppo gran fallo a non parlar della sua
magnanimita, poi che venuti siamo a si fatti ragionamenti,
certo non hebbe mai ne Cesare, ne Alessandro
un cuor si generoso, ne un'animo si eccelso et
liberale, cicalino pur quanto vogliono gli istorici,
ma se vorro dir al presente di tutte quelle donne, che
di valore gli huomini superano entraro in pelago
troppo per la mia sottil barca cupo. Delle
antiche scrissero gia molti (ispetialmente Esiodo,
Plutarco, et poi Gioan Bocaccio, cantaranno
similmente di molte moderne i migliori
ingegni d'Italia, chiudero adunque il mio brieve
catalogo col dolce nome de M. Maria Pietraviva,
signora del Perone, nella quale, dir si pò senza
mentire, che le virtu morali, sieno naturali,
in lei e belta piu che mediocre, ingegno et
providentia sopra humana, modi angelici et desiderii
santi, et non habbia io mai il cielo, se in
tutto il tempo che stato sono in Lione donde essa
trahe sua nobil origine, viddi io mai cosa di
magior honore et maggior riverentia degna.
Seguitiamo hora poscia che posto habbiamo
fine al mentovare delle illustri donne, c'ha l'eta
nostra, a ragionare de rari privilegi che lor dette
il grande et liberale Iddio. Tutte le volte che le
divine scritture lego, trovo in ogni lato, apertissimi
segni della feminil'eccellentia, veggio in quelle,
haver Iddio comandato ad Habraamo,
ch'ubidir volesse Sarra sua consorte in tutto ciò ch'essa
gli direbbe, trovo ch'egli volesse che la sua
santa resurrettione fusse primieramente alle
donne rivelata, come alle piu fedeli, alle piu
amorevoli, et quelle che piu costantemente creduta
l'havessero, parendogli cosa honesta ch'esse ne
fussero anchora le prime consolate. Ho letto
similmente negli espositori delle divine storie che
quando il signor commando a Noe, ch'egli
nell'arca entrasse con la moglie, gran misterio
contenersi nel ricordargli la moglie sua,
Mercurio anchora Trismegisto (che viene a dir
nella nostra volgar lingua tre volte massimo)
conoscendo ben la vertu et alta perfettione , che
dalle donne ci viene, lascio ne suoi divini volumi
scritto, esser quei huomini grandimenti da
schivare che moglie non havessero, certo che
ogni perfettione, et ogni bonta da quelle, come
da puro et copioso fonte ne deriva, e che altro
in vero sono le case dove donne non habitano,
che spedali, porcili, et stalle? ove si vedde la
vera politezza salvo che in questo glorioso sesso?
ove si scorge la vera leggiadria salvo che nelle
femine? Volendo Paulo nell'epistola scritta alli
Hebrei, celebrar la fede, ricorre all'esempio di
Raab femina per altro, non pero molto famosa, [p. 85rmodifica]
DE PARADOSSI
85
ma perche la maggior parte de gli huomini
si accorda a dir, che le femine siano di poco cuore
et per conseguente avarissime, qui mi voglio
un'altra volta stendere. Ditemi un poco
maligne lingue non furono dagli antichi dette donne,
perche sono al donar si pronte? non ho veramente
tanti capelli in capo, quante ho io donne
conosciuto non sol altrui fare cortesissimi doni, ma
con quell'animo fargli ch'altri gli riceverebbe
senza penfiero d'esserne mai ricompensate, senza
intentione d'acquistarne gloria, o lode alcuna,
non li facendo palesamente, come fanno hoggidi
li ambitiosi signori, non aspettando d'esserne
richieste, ma piu tosto l'altrui bisogno con
la prontezza del donar prevenendo, non rinfacciando
mai, ne publicando il dono fatto perche fusse la
lor liberalita dal publico grido negli orecchi di
ciascun portata. Essendo adunque le donne tali,
dirasi forse che senza ragione fusse dato alle
vertù nome di femina et non di maschio? Conobbero
e' Greci esser le femine piu che gli huomini
amiche dell'honore, et perciò gli dettero nome
di femina et non di maschio. Potrei infinite cose
addure per testimonio della donnesca eccellentia,
ma poi che vi ho alle istorie rimessi, farò qui
fine, essortandovi alla lettione di quelle, ove assai
meglio che nelle mie carte vedrete scolpita la
grandezza loro, vedrete anchora (se vi piacera senza
animosita giudicare) haver ciò sempre [p. 85vmodifica]
IL SECONDO LIBRO
confessato i piu eccellenti huomini, rendendosegli
di buon cuore servidori, et come se in esse
gran divinita rilucesse haverle poco meno che
adorate, amiamole dunque anchora noi,
diveniamoli volentieri suggetti, beffianci di queste
fracide lingue c'hanno posto ogni lor diletto in
lacerarle, et inschernirle.
CHE MEGLIO SIA D'ESSER
timido, che animoso et ardito.
PARADOSSO XXVI.
Itemi de gratia molesti aversari
miei con la vostra pertinatia,
cagione ch'io verghi
tante carte, se l'esser timido
fa l'huomo circunspetto
et aveduto ne lascialo si
di leggieri traboccare ne
pericoli, perche non diremo noi che meglio sia
l'esser timido che ardito et coraggioso? Per il timore
consideriamo pur meglio, et diligentemente
provedemo a tutto cio che sinistramente
accader ne possa, dove gli animosi facilmente
precipitano trapportandogli il furor dell'ardire, n'è
testimonio di cio la Francia che anchora si
piagne per il troppo ardire di monsignor di Fois,
n'e testimonio l'Ungaria, la quale ita n'e in pre/ [p. 86rmodifica]
DE PARADOSSI.
86
da de Turchi per la troppo grande audatia
dell'arcivescovo Tomoreo, n'e testimonio
l'espeditione fatta gli anni passati con si gran danno,
da Cesare contra il Re d'Algiere et con si gran
strage de Christiani. Col timore habita piu
volentieri la modestia, che con l'ardimento, col quale
conversa l'ira, et la disperatione spesse fiate
congiunta vi si vede? dimora similmente di buona voglia
col timore la piu lodata creanza, per tanto solito
era di dir Epitetto filosofo, che la paura era
madre della providentia. Deh buono Iddio, in quanti
pericoli per lei non si cade, et da quanti sconvenevoli
fatti per lei ritratti siamo, per lo contrario poi a
quante sceleratezze et tradigioni sospignene il
soverchio nostro ardire pessimo ministro di tutte
le cose. ll timore c'hebbe Fabbio di venire alle
mani con Annibale aversario troppo fiero et esperto,
fu cagione di farlo rimanere vincitore, anchora
che da principio notato fusse da suoi ignoranti
cittadini di poco cuore, et l'ardire immoderato
di Pompeio, di Crasso, et di T Varrone, hebbe
a' ridur le cose de Romani ad una estrema
desperatione. Per il timore meglio s'investigano e
fatti de nemici dil che, imaginar non si può cosa
migliore per chi ha voglia di vincere, egli è
anchora causato da giuditio, et è segno di ottima
discretione, et di saper ben conoscere et le proprie et le
altrui forze. La paura c'hebbe sempre
Dionigi Tiranno, fecelo perseverare nella disiderata [p. 86vmodifica]
IL SECONDO LIBRO
tirannia X X X V I I I. anni, anchora che
moltissime insidie le fussero da ogni lato apparecchiate,
questo parimenti fu cagione che quindici
mila Locresi comabatessero et vincessero
cento et vinti mila Crotoniati. Fu similmente causa
che Vespasiano non venesse alle mani co Giudei,
et cosi a poco a poco sminuito il nervo delle
forze giudaiche, assagliteli poi alla sproveduta,
con gran vertù gli ruppe. Quante volte ritrovo
nelle piu sante lettere lodato il timore? ne
mai vi vego altro che TIMETE, TIMOR,
BEATI QUI TIMENT, et l'Apostolo
Paulo gloriasi d'esser venuto alli Corintii in
TIMORE et TREMORE. Sendo adunque
senza dubbio come io vi dico, perche non
dicciamo liberamente che meglio sia l'esser
pauroso, che ardito? il timido, non e ammazzatore,
non rompe le altrui porte, ne
fa violentia ad alcuno. Crederemo
noi che senza gran
misterio i Romani
dificassero un'altare
alla Pallidezza
non è da credere, perche furono savi, religiosi,
et di lor hebbe sempre il cielo cura speciale. [p. 87rmodifica]
DE PARADOSSI.
87
CHE L'OPERE DEL BOCACCIO
non sieno degne d'esser lette, ispetial/
mente le dieci giornate.
PARADOSSO. XXVII.
Rande impresa per certo è
quella c'hora intraprendo à
voler mostrare, che il Bocaccio
tenuto da ciascuno prosator
si dolce et si facondo
non sapesse scrivere, et che
l'opere sue non meritino
esser da studiosi lette, aspetto indubitatamente che
l'academia delli infiammati di Padova, incominci
à far grave tumulto, et aguzzar le penne contra
di me, con si gran furore che appena l'autorita
del gentilissimo messer Sperone, aitata dal favore
del divino messer Pietro Aretino, quai certo
sono che dal mio parer non discordano, mi
potrano diffendere. Aspetto indubitatamente che
gli intronati di Siena mi muovino aspra guerra
(come se peccato havesse contra la divinita,) ma
di tutti questi (quantunque nobili et eruditi
academici) poca cura mi prenderei se d'altronde non
mi havesse anchora à venire impetuoso assalto.
Temo grandimenti e Balordi di Lucca, che de
casi miei non faccino qualche comedia, impallidisco
per e Sordi di Pisa, et hò una strema paura [p. 87vmodifica]
IL SECONDO LIBRO
delli Elevati di Ferrara, che con loro acuti
componimenti qualche gran scorno non mi facciano
sentire, ne minor spavento mi sento haver nel
petto, di quella di Milano, nuovamente per opra
del signor Renato Trivulzo fondata, so ben io
quanto disidrino di Bocaccievolmente favellare
so che ne anche ociosa starassi l'academia di
Bologna, che almeno con dui fonettuzzi, et quattro
ballatette contra di me non garrischi, et molto
piu la temerei se uscito non ne fusse il gentilissimo
signor Urbano Vigero con l'acuto Strozza,
et troppo che fare mi darebbe quella di Modena
se rivolto non havesse i studi suoi alla
intelligentia delle divine scritture, ma che faro io adunque
contra si possenti nemici? con quali arme
diffenderommi da lor duri colpi? parmi gia di
vedere le cataste di sattire contra di me rabiosamente
scritte. Teransi anchor offesi tutti e Fiorentini,
anzi tutti è Toscani maravigliandosi che un
Scimonito Longobardo osi dir male d'un scrittor
Toscano c'hebbe nel dir tanta felicita, ma io mi
confidero nella istessa verita, poco curandomi
che mi si dia pel capo del prosuntuoso o
dell'ignorante. Dico adunque non poter in alcun modo
esser il Boccacio di quella eccellentia che
altrui si ha sin'a questa hora creduto, ne ben poter
volgarmente scrivere non sapendo esso lettere ne
Greche, ne Latine, maravigliaransi per aventura
molti udendomi dire ch'egli non sapesse lette [p. 88rmodifica]
DE PARADOSSI,
88
re Latine a quali dimandarei molto volentieri
che lettere potesse mai apparare un'huomo
di profession notaio costretto a guadagnarsi il
pane col scrivere processi, codicilli, testamenti, et
contratti? dal qual officio disgiungendosi poi, dettesi
tutto all'otio, alle vanita, al raccontar favole et
al servir donne, servirle dico, non di coppa, ne
di coltello, ma col scottergli il pellicione,
veggiamo un poco che segno di dottrina apparisca
nell'opere sue in Fiorentino volgare iscritte.
certo niuno, vegniamo all'opere Latine potrebbesi
scrivere dal piu rozzo pedantaccio ch'uscisse mai
dalla marca piu inettamente? Scrisse gia della
genealogia delli Dei et delle illustri donne, benche
alcuni affermino, non esser sua opera, ma
concediamo che sua fusse, non vi son dentro mille
brutti errori con stile parimenti brutto registrati?
si che, apertamente si vede non esser altro in lui,
che una certa naturale abondanza di parole,
mal pero tessute, l'una con l'altra avilupate,
intricate, con le costruttioni alle volte si prolisse
che se non si ha piu che buona lena, convienci
due ò tre fiate riposare, pria che finita sia la clausola,
la quale termina sempre nel verbo, secondo
la figura latina, cosa molto disdicevole à chi
vuol bene et toscanamente scrivere, sono le sue
narrationi senza arte oratoria disposte piene de
vocaboli insoliti et senza giuditio alcuno, il
qual poco giuditio fa similmente testimonio [p. 88vmodifica]
IL SECONDO LIBRO
ch'egli cio che scrisse, tutto scrivesse a caso ne da
se stesso sapesse distinguere quanto l'un libro
dell'altro fusse migliore. Scrisse egli il Filocopo, et
puosevi quanta industria et arte, seppe per haverlo
dedicato alla Reina Gioanna da lui amata,
consideri (prego) qualunque e di patientia ben armato
se al mondo legger si possi libro di maggior
fastidio, credo io ch'eglli nascesse ad un parto col
tedio, tutte le volte ch'io lo piglio nelle mani per
leggerlo subito mi s'instechiscono le dita di
maniera, che forza, e che dalle mani mi cada. Diceva
gia un mio sviscerato amico (non gli faro il
nome, per non provocargli contra alcuno di
questi spenfierati Boccacceschi) che con maggior
sofferenza sostenuto havrebbe d'esser trafitto da
mosche, da taffani, et da zenzare che di continouar
un sol'giorno in si stomachosa lettione.
Poniamo hor mano alla Fiammetta, ove sta sempre fitto
in un medesimo affetto di gelosia riempiendo
le carte di lamenti et sospiri. L'Ameto suo tutto
si vede pieno di affettatione, et quasi ogni
concetto esplica co partecipii, cosa nel vero troppo
affettata, il Corbaccio non contiene altro che una
sfrenata et rabiosa maledicentia contra d'una gentil
et honesta vedova, che per disio d'honore compiacer
non volle mai a suoi libidinosi desiderii,
ma per che molti facilmente condescendeno a
confessare che tutte l'opere sue non vaglian
nulla fuori che il Decamerone qual essaltano et ma
gnificano sopra tutti e libri in qual si voglia lingua
scritti, chiamandolo un moderno Cicerone,
questo adunque essaminaremo noi alquanto, non
pero con molta diligentia per non parere contra di
lui appassionati. Primieramente esso (che n'è
l'autore pieno di tutte l'altre sue compositioni lo
stimo, donde come hò già detto tuttavia mi confermo
ch'egli scrivesse à caso, ne dramma di giuditio
havesse, tanto istimando quel che tutti li
giuditiosi sprezzarno, et avilito sopra modo,
quel che noi poscia habbiamo tenuto caro, ma
certa cosa è ch'esso con ragion si mosse a farne
poca stima, et noi molto scioccamente facciamo,
tenendolo in tanta reputatione, conciosia
che la materia nella quale si esercita si vega
essere leggiera, vana, et indegna d'un intelletto
nobile, si conosca esser di mal essempio alle
honeste fanciulle, alle caste matrone, et alli
accostumati giovani, dia anchora chiaro inditio,
dispregiare la santa religione. Ditemi per cortesia
o Bocacceschi, cerco egli altro nella
novella di Gianotto Giudeo, che di puorci in odio
la santissima Romana corte, sempre chiamando
la vita de preti, hor scelerata, hor lorda, non
ponendo mente alla sua piu d'ogn'altra brutta.
Che pensò egli quando scrisse di frate Rinaldo
dellagnolo Gabriele, et di Don Felice? se non
di metterci in disgratia e frati, che pur sono la
siepe, et il bastione contra de gli, Heretici, et
infelici noi, se essi con le lor buone dottrine,
et santi essempii, non ci haveffero diffesi dalle
pestilenti heresie, nella novella di ser Chiapelletto a
che altro attese, che a levarci dal cuore la
riverentia et divotione de santi? che piu parole? per
tutto, vegonsi inditii di pessima volunta, legete
pur qual volete delle sue novelluzze. Quando
il tristo parlo di Peronella et fece mentione delle
cavalle partice volle mostrare alla semplice gioventu
inusitati modi di sfogare l'intemperanze
nostre, in quella di Gismonda figlia del prence
de Salerno piacqueli di dar amaestramento alle
giovinette vedove che non si stessero con le mani
a cintola, ma rimediassero co lor buoni avvisi
alla paterna negligentia, col soffione ch'ella poi
dette a Guiscardo, insegno bel modo di porger
segretamente lettere a suoi amanti, il che fu a
Bologna (non e forsi un anno) da una gentil madonna
et appreso et leggiadramente usato, non
mostra egli nella novella di Andriuola donna
di Gabriotto a maritarsi senza farne e parenti
punto consapevoli? et quando scrisse delle comadri
et che nell'altra vita non se ne teneva conto,
non fu un'insegnarci a far d'ogni herba fascio
senza rispetto havere alle spirituali affinita?
Che s'impara dalla novella di Ricciardetto
Minutolo salvo che d'ingannare le troppo credule
et gelose donne? et per tosto conchiuderla, non
vi e parte alcuna di questa scelerata opera, dove [p. 90rmodifica]
DE PARADOSSI
90
non intenda qualche brutto ministerio, e che
accade cercar ruffiani o ruffiane? per corrumper
l'honesta delle semplici giovanette? habbino
pur il Decamerone, quel leghino e rileghino
et se putte sfacciate non divengono incontanente,
dite che non habbi senno. O inavvertenza
de saggi senatori, o negligentia de giusti magistrati.
Vietansi i libri di Martin Lutero, vietansi le
prediche di frate Bernardino, prohibisconsi
l'opere delli Anabattisti, spenti si sono e scritti de
Manichei, arsi quelli delli Arriani, et de
Donatisti, et le compositioni di questo scelerato Epicureo'
adultero, miscredente, ruffiano et corruttore
della gioventù saranno lette, rilette, stampate
et ristampate? Deh perche non si fa commandamento
che publicamente si ardino, et si
sbandischino. Ho io conosciuto una bellissima
fanciulla nella citta nostra di Milano, la quale
havendo letto la novella del geloso che in forma
di prete confessava la moglie, anch'essa d'indi a
pochi giorni che letta l'hebbe, fece un bucolino
nella parete dell'anticamera per donde favellando
con un gentil'huomo si discretamente da
l'una et da l'altra parte si opero, che la buona
fanciulla dette bando all'honore, qual sin'all'hora
havea diligentemente conservato. Io so
parimenti due monache d'un monastero per molta
santita famoso, le quali havendo letto il caso di
Masetto da Lampollecchio, tanto ardore gli ven/
ne, tanto fuoco segli accesse nel cuore, che si fuggirno
co dui romiti, et questi sono de guadagni
che si fanno da si dishoneste lettioni. Ricordomi
d'haver una fiata acerbamente contrastato col
dotto messer Gioan Pietro Bracco, mio honorando
cugino, il quale con una mirabil superstitione
sforzavasi et di scrivere et di parlare alla
Bocaccesca, dal qual studio dissuadendolo io à
mio potere, mi confesso una fiata non potersi
veramente negare che la lettione delle dieci giornate
non fusse alquanto lascivetta et mal a
proposito per le persone spirituali, ma che
doverebbesi benignamente sofferire per amor del
stile ch'era si bello et florido. Deh buon'huomo dissi
io all'hotta alquanto sdegnosetto, felice
stile chiamerassi un stil confuso, pieno di
chente, di horrevole, avenevole, arrendevole,
guari, insiememente et teste? florido stile
chiamerassi non essendo atto, à scrivere altro che
facetie, novelluzze, buffonerie, et simili
chianchie? felice stile chiamerassi bene con miglior
ragione quel del signor Mario Galeota, florido
stile dirassi ben meritamente quel di monsignor
di Catania, li quali riescono facilmente
per cantar gesti heroici, per comporre comedie,
scrivere tragedie, far dialogi, trattar cose sacre
et anche tradure di una lingua in l'altra, et cosi
vogliono essere li stili, et non solamente atti
cicalare et dir la novella di Frate Cipolla, ò di [p. 91rmodifica]
DE PARADOSSI
91
Calandrino. Conchiudo per tanto che chiunque
ama lettione grave et honesta et disidra veder
parole elette, piene, rotunde, vestite di splendidissime
figure et grate metaffore, non leghi mai
il Bocaccio, anzi lo fughi et piu che la peste
schivi questa cicala, guardisi da questa lingua fracida
dalla quale non s'imparano salvo che tristitie,
ruffia[ne]simi, et sporcitie, ne per altro fu
posto nome al Decamerone il Prencipe Galeoto, se
non per che si come l'innamoramento di Galeoto
fu cagione che dui stretti parenti carnalmente
si congiungessero, cosi questo libro per esser
molte volte mezano di simili cose, fu giudicato
degno di cotal tittolo. Deh come gode il giottone
quando parla di qualche saporito manicaretto,
et come tutto si distilla di dolcezza
quando parla di Cisti fornaio et del suo buon
vino bianco, et quando egli discende à ragionare
del rimettere il diavolo nell'inferno, parvi
che il ribaldone ne favelli come un'huomo che
sogni? ben mancavaci questo sciagurato, il quale
con le sue cantafavole ne svegliasse alli appetiti
disordinati, ci poteva pur bastare l'esser figliuoli
di Adamo, et di questa corruttibil massa
formati, senza altri solfanelli et allettamenti, et
forse che non lo teniamo ben caro? forse che vi è
gentil donna alcuna che non sel tenga nel camerino
legato in oro, con li nastri di seta, li Francesi
l'hanno tradotto nella lor lingua. Spagnuoli
l'hanno rivolto in lingua Castigliana, et par
dishonore à qualunque ben nata signora se ella
non ha le novelle del Bocaccio à mente, è che
frutti poi si cavano da si honorati studi? Adulterii,
sacrilegii, putanesimi, sodomie, et altre belle
cose alle predette simili, teniamolo adunque ben
caro, facciamolo stampare in carta pecora, et
con le figure sottilmente fatte, per che meglio
s'imparino i santi essempii, et virtuosi documenti
ch'esso ne da, ò pazzi noi, anchora non facciamo
fine di vaneggiare, anchora non restiamo capaci, che il
stile suo non sia punto da pregiare, ò
che affanno, ò che isfinimento di cuore mi sento
havere quando alcuno odo, che Bocaccevolmente
parli, io per me, ascoltarei sempre
piu pacientemente parlare un Genovese,
un Bergamasco, un Milanese,
et un di Piamonte. Non sono
adunque degne d'esser
lette l'opere
di Gioan
Bocaccio, ispetialmente le sue cento novelle
tanto da sciocchi huomini prezzate. [p. 92rmodifica]
DE PARADOSSI
92
CHE L'OPERE QUALI AL
presente habbiamo sotto nome di Ari
stotele, non sieno di Aristotele.
PARADOSSO. XXVIII.
Or questo si che parera troppo
strano Paradosso, et dara pur assai
che dire à nostri
Aristotelici, et a me anchora
prima che piu sottilmente
cio investigassi, havrebbe dato
molto da pensare,ma hora
ne rimango del tutto risoluto, merce del fedele
Strabone, et dotto Plutarcho, li quali apertamente
narano che l'opere di Aristotele gran tempo
fa si perdessero, ne con altro si filosofasse, salvo
che con certi scartafacci di alcuni vecchi
peripatetici. Potevami per certo bastare il testimonio
di dua si valenti litterati à farmi cio credere,
anchora che sopravenuto non vi fusse M.Tullio
col diligentissimo Simplicio, li quali m'hanno
talmente in questo mio parere confermato, che di
niuna altra cosa parmi esser piu certo et per
sostentar tal cosa ardirei di porre il capo mio ad ogni
rischio. Scrivendo Tullio a Lentulo dice d'haver
composto l'Oratore in dialogo secondo il costume
di Aristotele, hor se Aristotele hebbe tal costume
sara credibil cosa che molti volumi, et non
un solo n'habbi sotto tal forma scritto et pur non
se ne vede alcuno. Simplicio parimenti afferma
ch'egli scrivesse in dialogo, io non vego questi dialogi
in alcun luogo, ho pur anch'io quando haveva
piu del scemo che al presente non ho, rivolto
la mia parte di questi libracci che vanno si
presuntuosamente scorrendo per le librarie, ne mai
ho ritrovato tal forma di comporre, dil che m'ho
assai maravigliato, ispetialmente essendo usanza
ne que tempi di scrivere in dialogo, come si
vede in Platone, Senofonte, et altri molti, di piu
il medesimo Simplicio interpretando e predicamenti
di Aristotele cita la Parafrasi di Andronico,
la qual tutta confassi col testo qual hora
habbiamo, et discorda dal testo di Simplicio, donde
parvi evidente congiettura che di Andronico siano
et non di Aristotele. Ridevomi adunque
meritamente la state passata essendo in Roma, et
veggendo disputarsi tra li primi filosofi, se li
predicamenti di Arislotele dovessero esser preposti
o posposti alla metafisica, o quistion degna d'esser
a si travagliosi tempi disputata nel cospetto
de tanti reverendissimi Cardinali? poi che di
Andronico sono li predicamenti, & piu frasche
dentro vi si vegono che frutti. Simplicio anchora,
nel preallegato libro, parlando de gli Univoci,
cita l'arte poetica di Aristotele, et la difinitione
qual esso da in quell'arte de prefati univoci,
letto ho io quella poetica et piu volte riletto, ne [p. 93rmodifica]
DE PARADOSSI
93
mai vi ho trovato cotal cosa, questi adunque
non sono e veri Aristoteli. Ritorno hor di nuovo
a M. Tullio, il qual scrivendo ad Attico, et delle
sue opere parlando, narra d'esser stato consigliato
di far come Aristotele nella politica, il quale,
havea fatto dir ad altrui ne que libri cio che egli
non approvava, et esso havea distesamente
scritto tutto quel che vero giudicava, dove similmente
fa mentione dell'usanza qual Aristotele
hebbe di scrivere in dialogo. Veniamo anchora
piu avanti, scrive egli nelle Tuscolane parlando del fin
nostro, et dice, vengane quel fiume
d'oro di eloquentia, et in molti altri luoghi
sempre lo allega, come eloquentissimo, politissimo.
Et pieno di ogni vago ornamento, e dove
consiste questa tanta eloquentia? dove si vede
questa larga copia di oratione? qual huomo
esercitato nella lingua Greca confessa, o
ammira questo splendore di parole? tutti confessano
ben volentieri, che elle sieno convenevolmente
proprie, ma non pero molto eleganti et dolci.
Fu per questo da molti filosofi giudicato, che
lo libro del mondo non fusse di Ariftotele, per
esser assai piu degli altri terso et facondo
ispetialmente essendovi davanti il prohemio, et
facendosi di quello, ad altrui dono, cosa da lui
ne gli altri suoi volumi non usata, non e anche
solito Aristotele di far prohemii longhi, ne di
porvi lo nome di alcuno. Veniamo hora alli [p. 93vmodifica]
IL SECONDO LIBRO
Problemmi dove si ripetteno molte volte le
medesime cose, et con ragioni fredde, et sciocche
scioglionsi alcune vane quistioni, cosa aliena da
si gran lume d'ingegno, et da si profunda
dottrina come il comune grido gli ne da vanto. Tullio
anchora, il cui testimonio appresso di me e di
troppo gran peso, nelle disputationi Tusculane
(che cosi esso le chiama, et non quistioni) dice
apertamente che li libri de Morali furono fatti da
Nicomaco suo figliuolo maravigliandosi di chi
altrimenti giudica, come se il figliuolo non potesse
et in dottrina, et eloquentia rappresentare
il padre, dice anchora di piu, d'haver letto e
libri da Aristotele scritti, della natura delli Dei,
et hor qua, hor la buona parte ne traduce, et
non dimeno chi ha fatto questi falsi Aristoteli, ha
di mano in mano rifferito et concatenato l'un
libro all'altro, incominciando dalla logica, et
sagliendo a libri della fisica, del cielo, dell'anima
della generatione et corruttione, descendendo
poi a gli huomini, et alli animali irragionevoli
et cotesto e l'ordine che si vede per tutti e suoi
libri, ma piu apertamente nelle sue meteorologie,
cosi dicendo. Habiamo gia disputato delle prime
naturali cause, d'ogni natural movimento
delle stelle, de gli Elementi corporali, et delle sue
scambievoli operationi, della comune generatione
et corruttione, resta hora discendiamo
piu basso, et nel principio de sensu et sensili/ [p. 94rmodifica]
DE PARADOSSI.
94
bus il medesimo processo afferma, et pero se
questi quai al presente habbiamo, et con tanta riverentia
vanno per le mani de studiosi fussero e veri
libri di Aristotele, troverebbonsi quelle sue cose
che citate sono, et alla materia trattata in
quelli che noi hora leggiamo si appartengono, et pur
in niuno luogo si trova dove egli trattasse di
questa natura de Dei, altri passi mi occorreno per ciò
mostrarvi anchora piu copiosamente, ma perche
veggio in che dotti secoli venuti siamo, ho pensato
sia bastevole l'haver con questi pochi luoghi
acennato, senza altra opera de sillogismi overo
di demostrationi.
CHE ARISTOTELE FUSSE
non solo un'ignorante, ma anche lo
piu malvagio huomo di quella età,
PARADOSSO. XXIX.
Armi già d'udir risonare di lontano
e' gridi, dalli, dalli, al pazzo,
al temerario, al quale, non è bastato
quel che insin'hora ha si
prosuntuosamente detto, che vuole
anchora porsi piu avanti, et mettere la bocca in cielo,
ma io non mi sbigottiro gia per si vani rumori anzi
faro come sogliono i corbachioni de campanili, lasciaro [p. 94vmodifica]
IL SECONDO LIBRO
altrui gracchiare a suo piacere, et io attenderò a'
casi miei, non posso pero fare che gran pietà non
habbia di chi si lascia cosi facilmente cattivare
l'intelletto, et legare il giuditio, di maniera, che
come si converrebbe, non discorra, ma fu sempre
questo un'antico errore, et credomi introdotto
fusse dalla Tirannia di Pitagora, il quale
non sapendo per aventura render ragione di ciò
ch'egli mostrava a'suoi discepoli, voleva bastasse
ch'esso detto l'havesse, senza altra ragione
assegnare. O temerita insupportabile, o tirannia
incredibile, qual Fallari, o qual Dionisio
havrebbe osato di por tal legge a suoi vasalli?
Troppo gran vanita nel vero e la nostra, legandoci da
noi stessi, quelli erano astretti dalla potenza et
autorita del maestro c'hebbe un ingegno tirannico,
noi spontaneamente come se l'intelletto
nostro del tutto ocioso fusse, habbiamo messo il
collo sotto il giogo ponendo in catedra questo
animalaccio di Aristotele, dalle sue determinationi,
come da un'oracolo dependendo, ne
accorgendoci ch'egli sia un buffallaccio,
ignorantone, al tutto indegno
di tanta riverentia, et di
tanto rispetto quanto gli è stato da sciocchi
havuto, non mi po per anchora in alcun modo cessare
la maraviglia di chi dotto l'ha repputato, essendo
gli errori suoi et tanti et si manifesti.
Sforzerommi di narrarne alcuni et de piu leggieri
che vi sieno, che se raccontar volessi quanti ve ne [p. 95rmodifica]
DE PARADOSSI.
95
sono, credo che assai piu agevole mi fora
l'annoverar le stelle del cielo. Ditemi un poco saggi
Aristotelici, tu in prima Averrois che gli facesti
il gran commento, et diceste che nell'opere di
questo tuo novello Iddio, non si era mai ritrovato
errore alcuno, non erro egli bruttamente dicendo
che lo seme dava solamente lo principio
motivo al sangue mestruale, si che egli
havesse ragion sol di opifice et non che di quello si
componesse l'animale? Dimmi bugiardo Averroe? non
erro egli rendendo la ragione della similitudine
c'hanno i figliuoli verso le madri? non ha egli
similmente errato si pertinacemente affermando
che li testicoli inutili fussero alla generatione del
seme? Dimmi barbaro non comise egli grave error
sciogliendo la quistione perche n'è rimanga il
corpo effeminato segati che sieno gli testicoli?
ha pur anchora errato dicendo che lo principio
del spontaneo movimento, et del senso, fusse nel
cuore, apparendo per certissime dimostrationi
esser nel cervello. Deh come appassionato
sempre ti mostrasti verso questo tuo indotto precettore,
Narra Laertio nella sua vita, che egli habbi
scritto quatro cento volumi, non diro gia io
per hora che Laertio ne menta, diro ben ch'egli
fusse poco accorto non avertendo che abusando
esso del favore di Alessandro sacheggiasse spesso
di buone librarie, et comprasse de libri
antichi, non gli mancavano danari, havendo a fare [p. 95vmodifica]
IL SECONDO LIBRO
con quel buono huomo di Alessandro, che havea
posto ogni suo piacere in donare, si come e'principi
moderni, pongono ogni lor diletto in
rubbar l'altrui, per quatro favole che detto gli
havesse, gli havrebbe dato la meta del scetro,
buon per esso che ne quei tempi venne, c'hora
non so se cosi facilmente gli riuscisse, di maniera
veggio e' signori nostri divenuti più avari che
il fistolo, et piu ristretti che il giaccio,
furacchiava poi da libri che comprava, et di pergameno
in pergameno traportando, era di necessita che
infiniti errori si commettessero, percioche non
sapendo il bricone, lettere, non si poteva di
leggieri accorgere se fedelmente si trascrivessero
ò non, et cosi nacquero ne suoi libri moltissimi
falli, quasi insupportabili alle erudite orecchie,
come sarebbe, che l'origine de nervi fusse nel
cuore, et che d'indi, la vertu nutritiva, come da
fonte ne venisse, di qui avenne forsi anche
l'abagliarsi nel rifferir le cause della visione, et
similmente nell'annoverare le parti dell'anima,
falsamente da lui faculta chiamate, conciosia
che tutte insieme unite, tal nome non possano
meritamente ottenere, il che appare nel conflitto
di esse, et nella vettoria che dal conflitto
risulta. Fece pur anche fallo degno di gran
correttione nel narrare la necessita del cervello, et
dicendo che il polmone per se stesso si movesse, ma
questi si potrebbono dir peccati da castigare sol [p. 96rmodifica]
DE PARADOSSI,
96
con la sferza, rispetto a gli altri quai fece parlando
della proportione delli elementi, raginando
del circolo latteo, disputando dell'arco celeste,
scrivendo del numero de corpi che riempiono luogo,
et trattando nella sua loica della dimostratione
ove biasma la dimostratione circolare, et poi
nella sua perfetta dimostratione vuole che le premisse
sieno convertibili, di modo che forza sarà
o che nulla s'impari di questa tal dimostratione,
o che circolare divenga. Finalmente quest'arca
di scientia, quasi in ogni parte delle opere da lui
fatte, con matemattiche dimostrationi riprovarsi
potrebbe, et noi pazzarelli l'adoriamo come
un idolo, et alle sue diterminationi, come a responso
di oracolo chiude ogn'uno la bocca, e possibile,
o dotto Simon Portio che col tuo bellissimo
ingegno non habbi penetrato mai si avanti, c'habbi
conosciuto che questo tuo tanto familiare
Aristotele, fusse un bue? hai tu deliberato di morire
in cosi fatti studi? deh volge altrove l'animo, ne consentire
che il testimonio tuo gli dia piu autorita
di quello che sin'hora dato le ha, che pur troppo
e stata. Sempre (mi credo io) saremo fanciulli,
mai da si longo sonno ci risvegliaremo, patiremo
sempre che questo mostro sega pro tribunali l'e
pur gran cosa che alcun non apparisca a si dotti
tempi che ne lo scacci, et facciane ravedere et della
cecita nostra, et delle sue molte inettie. Scrisse il
tristo, nel settimo de suoi morali et a Nicoma/ [p. 96vmodifica]
IL SECONDO LIBRO
cho suo figliuolo scrisse, che il farsi dar le pesche
non fusse vitio, ispetialmente se da fanciullo vi
fusse avezzo (si come vitio non era nelle femine
lo congiungersi con l'huomo) è dove hai tu
appreso si malvagia et diabolica dottrina? halla
tu forsi appresa da Platone? il quale, non fu pero
molto miglior di te, et gracchino pur quanto
vogliono li Platonici moderni, paionti queste cose
da scrivere a' figliuoli? ò gentil filosofo che tu sei?
ò costumi dilicati? Scrive anchora questo valent'huomo della
sodomia nella sua politica, et in
tal maniera ne scrive, che secondo il giuditio di
alcuni (piu di me acuti investigatori) come cosa
alle Republiche utile l'approva, et pare indubitatamente
ch'egli lodi quelli che tal cosa usano, permette
il tristo, e'divortii, nega l'immortalita dell'anima,
et concede la felicità nel stato presente.
Scrisse tre libri dell'anima, et tutto si occupa
nel rifiutare l'altrui openioni (si come far suole)
ne altro trar se ne pò, salvo che ella sen vien di fuori,
et non è cavata dalla potentia di essa materia,
dando poi una diffinitione piu tosto esplicativa
dell'effetto, che della natura della cosa, non
l'havrebbe data il piu inetto sofista c'havesse mai
alcuna scuola. Scrisse quattordici libri di Metafisica,
miri chi ha intelletto che frutto se ne ricolga?
va egli animosamente hor questo, hor quello
tassando, per riempir il foglio, credendo forse
per haver arso tanti buoni libri, che li suoi fur
ti non ti havessero mai à scuoprire. Scrisse parimenti
de veneni, nella qual cosa credo fusse assai
bene esperto come quello, che ad altra parte posto
non havesse i studi, et indirizzati li pensieri
suoi che a' malefitii, et ad ogni sorte di ribalderie
con veneno poi di tal qualita fatto che reggere
non si potesse salvo che sopra d'una unghia cavallina
aveneno Alessndro magno, un signor si
valoroso, et liberale, dal quale era tenuto in
riverentia come padre, ò piu d'ogn'altro ingrato,
traditore, perfido, et disleale, come ti dava il cuore
che per opra tua morisse il tuo padrone? dal
quale ti era nata tutta la reputatione, non ti soveniva
all'hora delle molte gratie fatte a Stagira dove
nascesti per tuo amore? non ti soveniva che essendo
un furfantello figliuolo d'un spetial fallito ti
havesse fatto sopra ogn'altro tuo pari et ricco et
honorato? Et perche credete voi ch'egli cometesse
si grave eccesso? non per altro veramente salvo
perche gitto dalle finestre Calistene suo discepolo,
parvi che bastante causa fusse per condurlo a
si gran fallo? era Calistene un giovanetto greco,
tutto baldanzoso, molto vago di aspetto, et
da Aristotele amato piu che la propria vita? col
quale et giorno et notte conversava. ne mai si
vedevano disgiunti, di modo, che per tutta
Atene, si diceva, che piu facil cosa fusse a vedere il
concavo separato dal convesso, che Aristotele
da Calistene disgiunto, a che offitio poi l'adope
rasse, lo voglio piu tosto lasciar altrui pensare, che
con la penna mia manifestare, ma non crediate gia
che sol verso Alessandro ingrato fusse,
percioche ingratissimo fu anchora al suo maestro
Platone, della qual cosa dolendosi, disse piu
volte, ch'egli faceva come far sogliono i pulcini,
li quali, dano del'ali alla chiocchia, poi che da
se stessi trovano che beccare, che dico io dell'ingratitudine?
egli fu il piu vitioso huomo c'havesse
mai secolo alcuno. Ho letto in alcuni fragmenti
Greci che quando costui nacquce, appari nell'aria
à mezzo giorno una statoua d'un'huomo
con un libro in mano alla riversa, con la lingua
cavata fuori, barbuto solamente la metà del viso
con la fronte di piombo, con gli occhi di serpente
et sotto e' piedi teneva un scuto dove pinto stavano
sole, luna, et stelle, corsero all'oracolo
per intendere il significato della mostruofa statoua,
a quali fu risposto che l'apparita statoua significava
il nascimento del piu scelerato huomo
che mai nascesse al mondo, il libro ch'egli
tiene alla riversa significa che sara un filosofo simulato
et indotto, la lingua in fuori spinta, da
ad intendere l'immoderata loquacita et
maledicentia chegli havera, la fronte di piombo, la
sfacciataggine sua dimostra, gli occhi di serpente,
della dannosa curiosita fanno piena fede, la poca barba
rappresenta, ch'egli habbi da essere effeminato
et impudico, il scuto c'ha sotto e piedi mo/ [p. 98rmodifica]
DE PARADOSSI
98
stra lo dispregio delle cose divine, fu cercato
diligentemente dove fusse questo nuovo parto, et
come piacque al reggitor del mondo, mai si puote
ritrovare questo infelice, il quale essendo pervenuto
poi all'eta virile, innamorossi d'una sfacciata
meretrice detta per nome Hermia, et talmente
se ne invaghi, che prese ella un giorno ardire,
di porgli la sella sul dosso, cavalcarlo, stratiarlo
et al tutto vituperarlo, a costei finalmente fece fare
ordinatamente tutti li sacrificii che far si solevano
alla Eleusina cerere, parvi che questo fusse
inditio d'una mente pia? d'un animo religioso?
essendo adunque delle divine cose si gran sprezzatore?
non vi pare che meriti che li nostri reverendi
baccalari ad ogni parola l'habbino in bocca,
d'altro non si ragioni per e chiostri loro, ne
altro s'oda per e pergami allegare. Fu dimandato
una volta essendo io in Padova, a' monsignor
Bembo, perche non andasse la quaresima alle
prediche? rispose egli incontanente, che vi debbo
io fare? poscia che mai altro non vi si ode che
garrire il dottore sottile contra il dottore Angelico,
et poi venirsene Aristotele per terzo, a terminare
la quistione proposta. Pensarono gia alcuni
fratocchi brodaiuoli, non poter far meglio che
invecchiare in tal lettione affermando senza Ariftotele
non potersi intendere la scrittura santa,
ne mai haver huomo alcuno (per acuto che egli
fusse) potuto intendere la materia della prede-
stinatione congiunta col libero arbitrio, et cosi lasciavano
il santo Vangelo, abandonavano la Bibbia
per attendere a sogni di questo babuasso,
sopragiunse poi M. Lutero senza favore di Aristotele,
senza soccorso delle formalita di Scoto, solo
armato delle scritture sante à suo modo intese, et
volse in fuga tutti quelli reverendi theologi
Aristotelici, di Lipsia, di Lovanio, et di Colonia,
facendoli ravedere quanto sia gran fallo lasciar il
grano, per mangiare delle giande. Fu costui per
l'oscurita sua detto sepia, percioche si come la
sepia sparge non so che di tintura sotto il ventre
raccolta, per non lasciarsi prendere da pescatori,
cosi questo valente filosofo, per non lasciarsi
intendere, s'e tutto involto nelle tenebre
dell'ignorantia, nella quale fidandosi, scrisse ad Alessandro,
non si pigliasse dispiacere, se publicato havea
i libri della Fisica, percioche intendere non
gli potrebbe chi dalla sua propria bocca udito
non gli havesse. Credo certamente che ne anchora
egli l'intendesse, per esser confusi, et rapezzati
da vari scritti de antichi Creci. Hor su
conchiudiamo tosto il fatto nostro, ne consumiamo
horamai piu carte in parlare della poca dottrina
c'hebbe si famoso filosofo, ne de suoi mali costumi,
li quali talmente in Atene si scuopersero,
che se egli non sene fuggiva, era ignominiosamente
con ogni sorte de supplitii levato dal mondo,
et cosi disperato fuggi in Calcide, dove un gior [p. 99rmodifica]
DE PARADOSSI
99
no considerando di haver perduto la reputatione,
qual haveva per tutta Gretia, et non esser
horamai piu luogo dove securamente potesse
habitare, essendo vicino al fiume Eurippo, trapportato
dalle furie che lo guidavano, agitato
dalli acuti stimoli della conscientia che per tanti
malefitii lo trafigevano, lo rodevano, et lo spolpavano,
gittossi nel fiume, et affogossi, et cosi
rimase il mondo smorbato di tano lezzo, et quella
brutta anima fu da crudelissimi dimonii strascinata
alle dovute pene, quali fugito haveva il
mal composto corpo, vadino hora e frati componendo
e libri della salute sua et della teologia
di Aristotele, dica pur il Trapezontio di mente
di Gregorio Nazanzeno ch'egli sia salvo, che io
per me non lo posso credere, Soviemmi d'haver
udito che un santo Romito che stava ne deserti
di Tebaida, pregasse Iddio gli mostrasse qual
sant'huomo nel paradiso havesse il piu honorato
luogo, compiacquegli il signore, il quale mancare
non suole a'desiderii de suoi eletti, dil che,
rimase grandimenti consolato, d'indi a pochi
giorni, venegli disio di sapere qual fusse il piu
tormentato corpo nell'inferno, et fugli in visione
mostrato Aristotele in habito da filosofo, il
il quale tre volte al giorno era spogliato ignudo
et duramente battuto, poi in piu parti minutamente
tagliato, della lingua se ne rapolliva le piu
immonde parti, gli occhi erano posti per versa/
glio et saettavansi con accutissime saette, de capelli
et della barba se ne faceva un strofinaccio,
ma che miracolosa cosa era questa, che in qualunque
particella dal tutto divisa, era per divina
volunta quel senso ch'esser soleva in tutto il
corpo, erano poi finalmente gittati que pezzi in
un'acqua bollente, et l'afflitto corpo ritornava
intiero et sano, et cosi tre volte al giorno senza
mai fallire si ritrovavano questi duri supplicii,
et fino al giorno presente credo continuatamente
durino, rimase il buon romito tutto pien di stupore,
et rimentandosi di havere nella sua cella,
non so che suoi scritti, gittoli incontanente nel fuoco,
et cosi di buon cuore essortarei ogn'uno à
far il simigliante, et lasciar studi si nemici
della religione, et de buoni costumi,
et donde niuna sana dottrina
imprender si possa, creda
adunque fermamente
ogn'uno ch'e
gli fusse
non solo ignorante, ma il piu scelerato
On dubito certamente che molti non si habbino da maravigliare, che anchora fatto non habbia la pace con M. Tullio, qual già sono poco meno di dieci anni ch'io mandai con suo gran scorno in esiglio, et feci vedere al mondo, quanto egli s'ingannasse nel stimarlo si dotto et eloquente, ma poi che tuttavia piu mi confermo in haver mala openione di lui, havendo à di passati tolto à flagellare Gioan Bocaccio et Aristotele, mi è paruto anchora ben fatto di dargline un'altra risciaquata, ritrovando nuovi errori che all'hora non havea ben avertito quando scrissi il dialogo intitolato Cicerone relegato, et di più mostrandolo ignorante di Filosofia et altre utili discipline, cosa che forse agevolmente non sarebbe stata da alcuno creduta. Egli e gia gran tempo che sparger s'incominciò la fama che M. Tullio non sapesse punto di filofofia, dalla qual fama, ne fu in buona parte cagione Aurelio Agostino, che filosofastro molte volte lo chiamo, ne mai degnollo [p. 100vmodifica]
del nome di filosofo, benche esso (che tutto fu composto di giattantia. et vana gloria vantisi temerariamente che molti de suoi libri (spetialmente le orationi) ne sieno piene, ma vegale chi vuole, essaminele diligentemente, et poi mi dica, quanta filosofia vi havera dentro raccolto. Esso primieramente riprende Panetio c'habbi lasciato di comparar dui honesti et dui utili insieme, parendogli troppo gran vitio che un si famoso et eccellente filosofo,nella divisione delli uffitii lasciasse questi dui membri, ma certo che esso e di molto maggior biasimo degno, non havendo considerato esser impossibile che acaschi a far tal comparatione non essendo mai gli uffitii senza qualche attione, la quale ha sempre di necessita et luogo et tempo. Hora se noi avertiremo diligentemente, trovaremo che quelle cose che ci paiono simili et amendue o utili o vero honeste, doventano contrarie et l'una di loro si cambia in dishonesta o ver dannosa, darovvi l'essempio, accioche meglio si scuopra l'ignorantia sua, et io sia meglio inteso. Se essendo noi in una camera inchiusi stessimo ragionando della miglior creanza c'haver debba un cavaglier d'honore, o divisando della riformatione del stato ecclesiastico, et venesse alcuno infretta picchiando la porta, et dandone nuova che gli nemici fussero già dentro alli ripari, o vero che nelle vicine case fusse posto il fuoco, non lasciando il [p. 101rmodifica]
DE PARADOSSI
101
re per dar soccorso a' bisognosi, et riparare a' pericoli,
non peccaremo noi gravemente? non doventarebbe l'un di
questi offitii del tutto vitioso?
si farebbe veramente, dicciamo anchora piu
oltre, egli puose quattro vertù, cioè prudentia,
giustitia, fortezza, et temperantia, ne si ricorda
il stordito, d'haver scritto bruttamente fare,
chi pretermette nelle divisioni cosa veruna,
oltre che noi veggiamo tutti gli migliori filosofi
undeci da necessita astretti haverne posto, non
le raccontaro gia per hora, di una in una, potendole
ciascun vedere in Aristotele, et prima in Crisippo,
in Dicearco, in Senocrate, in Teofrasto, et
altri tanti, di qualunque miglior setta, andiamo
piu oltre, nel quarto libro delle disputationi Tusculane,
riprende orgogliosamente gli dotti peripatetici,
perche assegnarno le mediocrita delle
passioni a noi si utilmente date, et senza le quali, gli
huomini possedere non possono vertu alcuna,
ne si avede (il misero) che chiunque tolge
le mediocrita delli affetti, tolga le vertu, ne ci rimanga
piu chi procuri di sovvenir alla patria,
lievasi l'amore a figliuoli, non amansi piu gli
amici, et molte altre cose honeste pretermettensi,
non saprei per mia fe, dir quanti brutti falli
mi si scuoprino, tutte le volte ch'io mi pongo à
leggerlo, il che per non perdete in tutto il tempo,
faccio men sovente ch'io possa, mi pare pur strano
veder in si famoso scrittore una tanta negligen [p. 101vmodifica]
IL SECONDO LIBRO
tia, degna d'esser castigata, non con semplici rimprocchi,
ma con accerbe battiture, ch'egli fusse
come io vi dico nel scriver trascurato non si creda
a me, ma credasi a lui stesso, il quale, essendo
da dotti amici corretto et ammonito, o confessava
l’errore, nel quale era trascorso, transferendone
la colpa alla sua smemorataggine, o si scusava
con l'addur qualche altro simile a lui mentecatto,
il che in molti luoghi dell'opere sue apparisce,
de quali, per confirmatione della uerita basterammi
al presente recitarne uno, over dui, et
et cosi ammonire e diligenti lettori ad osservarne
quasi infiniti per l'opere sue sparsi. dico adunque
non esser hoggi, huomo al mondo che habbia
punto di cognitione delle cose passate, il quale
non sappia che gli giurisconsulti antichi volendo
tenere la professione loro in qualche riputatione
havessero ordinato certe formole, et certi
giorni, ne quali si potessero solamente proporre
le attioni davanti a giudici, et quelli ridotti in
certi lor libri, che Fasti chiamavano, esser poi stato
un certo Plebeio, il quale, sendo lor segretario,
rubbo quelli fasti, et gli divulgo al popolo, et fu
tanto grato questo dono, che non ostante ch'egli
fusse ignobilissimo, il popolo lo fece edile Currule,
lo nome di costui non e cosi ben noto, credettesi
gia ch'egli si chiamasse Gn. Flavio, et cosi
credette l'autore della origine delle leggi, ma e dotti
sapevano che non fu Flavio, tuttavia Cicerone [p. 102rmodifica]
DE PARADOSSI
103
orando contra Sulpitio, nomnino Gn.Flavio
autore del don gia sopra detto, dil che, fendo poi
ripreso da Pomponio Attico, ch'era peritissimo
delle antichita Romane, sene scusa cosi dicendo,
Di Flavio et de fasti, sendo altrimenti, e pero commune
errore, tu certamente ne dubitasti con ragione,
et noi seguittiamo l'upinione quasi publica,
come sono molte cose appresso de Greci, et seguita
narrando. Chi e fra quelli che detto non
habbia Eupoli scrittor di Comedie navigando in Sicillia,
esser stato gittato in mare da Alcibiade, la
qual cosa Erastotene riprende mostrando ch'egli
habbi scritto delle comedie doppo quel tempo,
et non essere percio schernito Durio Samio, huomo
nell'istoria diligente havendo con tanti errato?
Chi non ha, dice anchora similmente scritto,
esser stato Zaleuco legislatore de Locresi?
et non essere percio meno istimato Teofrasto
sendone di cio ripreso da Timeo? queste sono
delle scuse che fa M. Tullio, in diffesa della sua
brutta negligentia, ma quanto havrebbe egli
fatto meglio a pigliare un poco piu di fatica
per non commettere simili errori, che durarne
poscia tanta in raccorre quelli de gli altri, per
iscusar se medesimo. Il detto M. Tullio egualmente
anchora negligente nella Cosmografia,
come in tutte l'altre cose, havea scritto che tutte
le citta del Peloponesso (c'hoggidi si chiama
la morea) erano marittime, dil che sendo ripre [p. 102vmodifica]
IL SECONDO LIBRO
so da Attico, si scusa dicendo, Io detti credenza
alle tavole di Dicearco huomo dal tuo giuditio
approvato, qui prego io qualunque leggera lo
presente Paradosso, averta non solo alla negligentia
di questa (che far non posso ch'io non dica bestia)
ma anchora all'ignorantia sua conciosia che
diffendendosi con l'haver creduto a Dicearco,
reciti le parole per le qua si mosse à credere si
grande sciochezza come sarebbe à dire che in tutta
la morea paese grandissimo, non vi fussero città
salvo che sul mare, sendovi infiniti altri ottimi
luoghi, cosi adunque dice Tullio. Narrando
Dicearco la Trofoniana di Carone riprende gli
Greci in questo, che seguitassero tanto il mare,
non eccettuando luogo alcuno, et anchora che
mi piacesse l'autore, per esser grandissimo istorico,
et haver longamente vissuto nel Peloponesso,
tuttavia mene maravigliava et apena confidandomene
lo communicai con Dionisio, il qual da
prima stette sopra di se, poi havendo non men
buona openione di Dicearco che tu di C. Vestorio
et io di M. Cluvio, non feci dubbio che non fusse
da dargli fede. O ignorantia incredibile, deh
leggete attentamente il bestial discorso che fa
questo buon'huomo, Dicearco si maraviglia che gli
Greci habitassero piu al mare, che fra terra, et
questo diligente inquisitore, questo si buono
intenditore, subito fa la sua precipitosa conchiusione,
che non havessero salvo che citta mariti/ [p. 103rmodifica]
DE PARADOSSI
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me, et difidera l'eccettione, dove la non poteva
in alcun modo cadere, et forse ch'egli non ne prese
consiglio con un giuditioso huomo, con un polito
ingegno, conciosia che anchora che in qualche
luogo dell'opere sue n'habbi honoratamente
parlato, poi che Dionifio lo lascio di lui facendosi
beffe et scherno havendo pur assai per tempo
conosciuto la vanita del suo cervello, incominciollo
a biasimare, et per ignorante et leggiero
reputare, confessando d'haver assai guadagnato
havendo perduto sua conversatione, soggiugne
poi tuttavia scusandosi, et fa un'altro
maggior fallo, dicendo, che quantunque sapesse
che Tene, Alifena, et Tritia stessero fra terra,
haver non dimeno creduto ch'elle fussero di nuovo
edificate, conciosia che Homero nella rasegna
delle navi non ne faccia mentione, quasi che le navi
si facessero per uso delle citta, che sono dentro
a terra, o che Homero havesse tolto l'assunto di
discrivere altro che le navi mandate dalli habitatori
di Gretia verso il mare? et aggiugnendo errore
a errore, dice che la Grammatica l'ha ingannato,
facendo certe sue sciocche dirivationi, quali
lascio vedere a chi non sia tanto stomacato della
sua lettione quanto sono io di presente. Ma
quel che recitero hora non potendosi in verun
modo scusare, confessalo non senza suo gran vituperio
et scrivendo ad Attico cosi dice, Bruto
mi ha rifferito in nome di T. Ligario che se nella [p. 103vmodifica]
IL SECONDO LIBRO
oratione ligariana vi sia appellato L.Corfidio, esser
error mio, ma come si dice per commun proverbio,
error però di memoria, io credeva Corfidio esser
congiuntissimo con e ligarii, ma vego
finalmente ch'ei mori davanti, per tanto darai
commisione a'Farnace, a'Salvio, et Anteo che
quel nome sia cancellato da tutti e'libri, qui non
potendo il buon'huomo ricoprirsi, confessa il fallo,
dando la colpa all'essere smemorato, et bruttamente
è costretto a far radere quello che imprudentemente
si ritruova d'haver scritto, certo
che se all'hora fussero state le stampe bisognava
far altro che coreggersi doppo il fatto, qui è veramente
da considerare quanto egli fusse prosuntuoso,
osando scrivere per vere, le cose ch'ei
non sapeva, ne havendo avertenza di farle rivedere,
anzi piu tosto volendo haverle a'coreggere, poscia
che l'erano divolgate,che humiliarsi a pigliarne
il giuditio di qualche dotta persona di que tempi,
non posso certamente pensare come sia egli venuto
in tanta openione huomo litterato appresso
di noi, conciosia che al tempo suo fusse si
poco istimato, et doppo la morte stesse anchora
buona pezza in niuna riputatione, et noi l'ammiriamo
tanto chiamandolo il padre dell'eloquentia,
il maestro di coloro che meglio degli
altri sapino et scrivere et favellare, l'inventore
della Retorica, et tanti bei tittoli gli diamo, che
non ne ha tanti Carolo d'Austria, ma che gli [p. 104rmodifica]
DE PARADOSSI,
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antichi nostri di noi piu accorti nel intendere, et
savi nel giudicare, non lo stimassero molto, mirate
quel che ne disse Messalla Corvino, et quel
che ne giudicarno Bruto et Calvo, mirate il giuditio
che di lui fece poscia Cor. Tacito comparandolo
con certi retoricuzzi di poca fama, et a
quelli giudicandolo anchora di gran longa inferiore.
Tutti gli huomini di senno maturo, in qualunque
secolo dissero sempre ch'egli non valesse
nulla nell'arte oratoria, testimonio po di ciò essere
la sua retorica, della quale non si vidde mai la
piu fredda cosa, testimonio ne possono essere le
sue orationi, nelle quali, e piu che il dovere non
consente, prolisso, ispetialmente ne periodi, rade
volte si lieva in alto, di rado anchora si riscalda,
non camina l'oration sua ben ristretta, egli è lo
piu delle volte superfluo, non argomenta vivacemente,
ne convenevolmente colloca gli argomenti suoi,
spesso si vede otioso, et vano, fuor di
proposito il piu delle volte scorrendo, vado quanto
posso ratenuto, per haverlo già altre fiate assai
ben flagellato, ne mi giovo mai di ripettere
cose per il passato dette, et cosi ne anche diro
della sua vita, come egli fusse scandaloso, lussurioso,
crudele, avaro, et amutinatore, il che fugli
piu volte detto in sul viso, non ne parlero dico
punto, per haverne gia nel mio Dialogo Latino
detto, se non quanto dovea et poteva, almeno quanto
po bastare per avertir il mondo al non esser co [p. 104vmodifica]
IL SECONDO LIBRO
si precipitoso nell'amare, et per dotto istimare
questo ignorante di M. Tullio quantunque (perche
si credesse che dotto fusse) vantisi d'haver udito
in astrologia C. Sulpitio, in geometria Sesto Pompeio
et molti precettori in dialettica et nella ragion
civile, maravigliomi io assai come cercasse
d'haver nelle civili leggi tanti precettori poi che
si da vanto di farsi in tre giorni perfetto giurisconsulto,
ma poi che mostrato vi ho ch'egli fusse
ignorante di filosofia, poco dotto nella Retorica, mal
esperto nella Cosmografia et di piu smemorato
et trascurato, prima che io faccia fine di
scrivere, intendo anchora di farvi cognoscere quanto
fusse mal istorico, non ho io sofficiente ragione
di poter cotesto affermare? poi che non si avede
il buon'huomo, che ne libri intitolati dell'amicitia,
et della vecchiaia transporti le età, et esser
faccia ad un tempo, chi in altro tempo visse,
egli introduce Lelio et Scipione a' parlar con
Catone delli duri incommodi che seco ne trahe la
vecchiaia, dimando io, se egli intende del
maggior Scipione, come puo Catone disputar della
vecchiezza, conciosia che alla morte di Scipione
non fusse anchora molto vecchio? et s'egli intende
del secondo Scipione nipote del primo, et
figliuolo di Paulo Emilio come puo far ch'esso
ragioni con Lelio giovane, conciosia che Lelio
fusse ne tempi del primo, et con quello di si
stretta amicitia congiunto che pur gli piacque
(come un verace essempio di leale amistà introdurgli
a parlare insieme nel suo libro intitolato
dell'amicitia? di modo che sforzato mi pare al
suo dispetto, ò formar dui Lelii) il che non si truova
appresso di alcuno istorico, ò ver comettere
disordine facendo parlare Catone come veglio,
effendo quasi di giovanile età, a queste espresse
contradittioni, dovea piu tosto por mente, che
beffarsi di Aristone Chio c'havesse introdotto Tito
ne à parlare della mala età, (che cosi esso chiama
l'età inchinata et caduca) non e dubbio che Aristone
quantunque rifuggito si sia alle favole de poeti,
non habbi almeno introdutto persona di età
matura secondo che alla proposta materia si
conveniva egli riprende facilmente altrui ne avertisce
questo losco quanto esso sia molto più degno
di riprensione, ma questo sol non intendo che bastevol
mi sia per publicarlo ignorante dell'istoria,
lo mostraro anchora piu chiaramente. Scrive
nelle sue Paradosse che C. et P. Scipioni fussero
dui propugnacoli della guerra Punica. ò cervello
fatto a lambicco, come poi tu questo si strabochevolmente
affermare, sendo morti in Spagna
et havendo sempre combattuto per l'acquisto et
per la diffesa di detta Spagna? io per me, non so
dove ti havesti all'hotta il capo, non sapevi tu
che la prima impresa che havesse doppo la morte
loro, Affricano, si fu in Ispagna? donde si fece
poi la via al combattere dinanci a Cartagine con
tra di Annibale? Hai tu cervel d'occa imparato
da Pomponio Attico a confundere di questa maniera
e tempi co gli huomini? Similmente nel primo
dell'oratore pone per giurisconsulto et giuocator
di palla, P. Mutio in luogo di Q. Mutio Augure,
et T. Corruncano e da lui detto esser stato
al tempo di Pirro Re delli Epiroti, essendo egli vissuto
doppo Fabio et Nasica (secondo scrive Pomponio
giurisconsulto) ma perche sono io si di me
stesso nemico, che tormentar mi voglia in racorre
tutti e suoi falli? li quali sono assai piu delle raccontate
istorie? ispetialmente nel suo libro detto Bruto,
dove con un'animo tutto pieno di confidentia,
volge sozzopra li temnpi, perturba le altrui età et
un per un'altro scambia sovente, si come fece quando
egli puose per il primo de papirii patritii Papirio
Mugilano, sendone stati molti altri avanti a lui tra
quali vi e Mamio Papirio, il quale secodo Dionigi
Halicarnasseo fu Re sacrificolo et raccolse tutte
le leggi regie ne primi tempi de Consoli, se io volessi
al presente registrare tutti e luogi all'istoria
appartenenti, dove questo gofaccio ha preso de
molti granchi, troppo havrei che fare, et troppo
gran briga mi torrei sulle spalle, non essendomi per
anche scordato quante minaccie mi fussero gia
fatte quando non sol copersi col mio dialogo latino,
la poca dottrina di questo scioperato, ma le
molte sceleragini sue, anchor mi par di leggere quella
gran bravata che mi fa nell'Epistola nuncupa [p. 106rmodifica]
DE PARADOSSI.
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toria Mario nizolio, non havrebbe per mia fe
si furiosamente bravato un ruffiano cordovese,
egli minacciò di inghiottirmi con le sue Tulliane
osservationi, et altri vi furono che quattro et cinque
anni consumarno infilzando di molte belle clausole,
et tessendo de longhi periodi per saettarmi, ben
che poi havessero pieta del mio troppo folle ardimento, et
rimettessero l'ira nel fodero, per non provocarmi
adunque contra un si gran vespaio non procedero
piu oltre, cosi volesse Iddio che piu oltre non
procedesse il buon Paulino Manfredi, il quale, non
so da cui persuaso, s'è fitto in capo di volersi esercitare
nella Latina lingua, et hassi tolto per guida,
questa pecoraccia, dal quale, non so come possibil
sia, che l'huomo apprenda niuna dotta disciplina,
ne modo alcun di cnvenevolmente scrivere, non
credeva gia io che simili capricci entrassero
negli huomini gravi et giuditiosi, ma esso con
tanto ardore et assiduo studio me n'ha del tutto
sgannato et fattomi ravedere, che non men pazzi
sieno e Mercatanti che li Poeti, scorrerei alquanto
piu, tal è l'abondanza che a si fatto proposito
nella fantasia mi sorge, ma poi che detto ho di
non voler proceder piu oltre, porassi qui termine,
io al scrivere et voi al leggere.
Autore della presente opera il qual fu M.O.L.M.detto per sopra nome il Tranq hebbe sempre in animo,che ella non uscisse mai per industria di stampatorealcuno in luce, ma solamente di farne copia àque dui Signori, à quali si vede esser stata consagrata, et certamentecosi sarebbe avenuto, se sopragiunto non vi fusse il signorColatino da Colalto giovane virtuosissimo, et nato sol per faraltrui giovamento, il quale, veggendo esser fra questi Paradossisparsi quasi infiniti precetti morali, molte istorie, molte facetenarrationi con stile dolce et facile commandogli che per ogni modoli lasciasse stampare, ne ci defraudasse piu longamente di si piacevoleet util lettione, fece egli buona pezza resistenza, alla fine,vi acconsenti, ben prega di buon cuore qualunque gli leggerà, non vogliarimaner offeso in cosa veruna conciosia che un Capriccio bizarro(che spesso ne gli sogliono venir in capo) l'indusse a farquesto parto, benche esso (tal è la sua modestia) per vero parto non loriconosca, ma sol per una sconciatura, non si è ne anche curato di lodareuna cosa in un Paradosso et la medesima biasimare in un'altropensando bastasse che à suo potere la repugnantia non fusse in unmedesimo luogo et appresso rendendosi certo ch'ogn'uno dimediocre intelletto, havesse a conoscere che per trastullo si habbipreso tal assunto, et non per dir da buon senno. State lieti et con benignoanimo quando da molesti et gravi pensieri le menti vostre ingombratenon saranno pigliate spasso di questa sua capricciosa bizzaria,et s'egli intenderà che dispiacciuto non vi sia che eglihabbi con si poco rispetto parlato del Bocaccio, di Aristotele,et di M. Tullio, farà il medesimo in molti altri autori,ispetialmente in Plinio, et ne Commentarii di Cesare, et a Dio siate.[p. -modifica][p. -modifica]