Pagina:Lando - Paradossi, (1544).djvu/147


DE PARADOSSI. 70

to che miseri siamo, poi che non sapendo star senza servi ò senza servidori (che quanto alla qualita dell'animo poca differenza vi faccio) siamo a tal conditione condutti, che se il servidore ne chiede licentia siamo tenuti darglila, ne gli la potemo negare. Et se da noi stessi gli la diamo, par che egli habbi giusta cagione di lamentarli di noi dovunque egli vada, oltre che se gli donassimo cio che nel mondo possediamo, et gli mancasse un sol danaio del promesso salario, n'habbiamo fatto nulla, percioche, egli sta sempre con la bocca aperta, et quanto piu si riempie, tanto piu se gli aumenta l'estrema sua ingordigia, la quale, sodisfatta che si ritrova (se pur aviene che ella si sodisfacci mai) subbito fa disegno lasciarti non considerando i tuoi bisogni, ne havendo riguardo alle tue necessita, di qui avenne che alcuni gentil huomini della citta nostra, si sono al tutto privati de servidori, et di qui similmente avenne, che morendo nelle nostre contrade un'huomo di altissimo intelletto dotato, disse al terminar di sua vita, lodato Iddio che pur esco delle mani de servidori, ne anche penso guari sia, che per non haver a far con si mala qualita d'huomini, un gentil cavagliere mio famigliare si fece frate dell'ordine minore, certa cosa e che tu non poi mai esser ben servito, se il servidore non ti serve di buon’animo, conciosia che l'autorita nostra per grande che sia non habbia imperio sopra l'animo di alcuno. Deh come mi rido io spesse fia/