tia, degna d'esser castigata, non con semplici rimprocchi,
ma con accerbe battiture, ch'egli fusse
come io vi dico nel scriver trascurato non si creda
a me, ma credasi a lui stesso, il quale, essendo
da dotti amici corretto et ammonito, o confessava
l’errore, nel quale era trascorso, transferendone
la colpa alla sua smemorataggine, o si scusava
con l'addur qualche altro simile a lui mentecatto,
il che in molti luoghi dell'opere sue apparisce,
de quali, per confirmatione della uerita basterammi
al presente recitarne uno, over dui, et
et cosi ammonire e diligenti lettori ad osservarne
quasi infiniti per l'opere sue sparsi. dico adunque
non esser hoggi, huomo al mondo che habbia
punto di cognitione delle cose passate, il quale
non sappia che gli giurisconsulti antichi volendo
tenere la professione loro in qualche riputatione
havessero ordinato certe formole, et certi
giorni, ne quali si potessero solamente proporre
le attioni davanti a giudici, et quelli ridotti in
certi lor libri, che Fasti chiamavano, esser poi stato
un certo Plebeio, il quale, sendo lor segretario,
rubbo quelli fasti, et gli divulgo al popolo, et fu
tanto grato questo dono, che non ostante ch'egli
fusse ignobilissimo, il popolo lo fece edile Currule,
lo nome di costui non e cosi ben noto, credettesi
gia ch'egli si chiamasse Gn. Flavio, et cosi
credette l'autore della origine delle leggi, ma e dotti
sapevano che non fu Flavio, tuttavia Cicerone