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DE PARADOSSI 93

mai vi ho trovato cotal cosa, questi adunque non sono e veri Aristoteli. Ritorno hor di nuovo a M. Tullio, il qual scrivendo ad Attico, et delle sue opere parlando, narra d'esser stato consigliato di far come Aristotele nella politica, il quale, havea fatto dir ad altrui ne que libri cio che egli non approvava, et esso havea distesamente scritto tutto quel che vero giudicava, dove similmente fa mentione dell'usanza qual Aristotele hebbe di scrivere in dialogo. Veniamo anchora piu avanti, scrive egli nelle Tuscolane parlando del fin nostro, et dice, vengane quel fiume d'oro di eloquentia, et in molti altri luoghi sempre lo allega, come eloquentissimo, politissimo. Et pieno di ogni vago ornamento, e dove consiste questa tanta eloquentia? dove si vede questa larga copia di oratione? qual huomo esercitato nella lingua Greca confessa, o ammira questo splendore di parole? tutti confessano ben volentieri, che elle sieno convenevolmente proprie, ma non pero molto eleganti et dolci. Fu per questo da molti filosofi giudicato, che lo libro del mondo non fusse di Ariftotele, per esser assai piu degli altri terso et facondo ispetialmente essendovi davanti il prohemio, et facendosi di quello, ad altrui dono, cosa da lui ne gli altri suoi volumi non usata, non e anche solito Aristotele di far prohemii longhi, ne di porvi lo nome di alcuno. Veniamo hora alli