Sull'opportunità delle strade ferrate nello Stato Pontificio

Angelo Galli

1846 Indice:Sull'opportunità delle strade ferrate nello Stato Pontificio.djvu ferrovie Sull'opportunità delle strade ferrate nello Stato Pontificio e sui modi per adottarle Intestazione 1 aprile 2022 100% ferrovie


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Animato l’uomo da irresistibile tendenza di migliorare la sua condizione, tutti i mezzi e fisici e morali costantemente associa, impiega ed a questo scopo incessantemente dirigge. E se dopo profondi studi ed immense fatiche, raggiunge una vagheggiata miglioria, sorge immediatamente il desiderio di altra, cui pur altra succede, ed in tale alternativa di continuati desiderii, di brevi e fallaci lusinghe, consuma la vita.

A siffatta smania inestinguibile si devono tanti ritrovati, tante dotte invenzioni, tante belle scoperte, tanti utili perfezionamenti, che onorano l’ingegno umano, e coi vantaggi che producono tosto o tardi compensano le fatiche, i sudori, gli studi, e sono spesso di tanta e così estesa importanza, che sostanzialmente quasi alterano i sociali rapporti, le inveterate abitudini. Quindi è che nella storia degli uomini si sono con miglior ragione divise le epoche con tali strepitose vicende, anzichè cogli anni che passarono talvolta uniformi e monotoni. Molte sono queste utili invenzioni e scoperte, che possiam dire ogni cosa di cui profittiamo, intese d’invenzione nel suo nascere; ma calcolandosi la loro importanza in ragione dello slancio e della scossa che più o meno rapida, più o meno estesa producono [p. 2 modifica]nella società, passano alcune quasi inosservate; altre fanno l’effetto delle grandi catastrofi, e sono vere rivoluzioni sociali. Appartengono a questa classe, fra le altre, le invenzioni della stampa, della polvere pirica, della bussola, l’applicazione in ultimo del vapore alle manifatture ed ai trasporti per mare prima, ora per terra, che si conosce sotto il nome di strade ferrate.

Siccome lo stimolo che riceve l’uomo nasce dalla lotta fra i bisogni umani aumentati dalla insaziabilità dei desiderij, e la loro soddisfazione; quindi, il problema, che sempre la tormenta, e che risoluto ancora si riproduce, è di trovare il modo come, colla minor possibile spesa e fatica, ottenere si possa il migliore e maggiore prodotto, o intento. Ma perchè è inevitabile, che nelle soluzioni di questo problema, si trovi leso l’interesse di coloro, che traggono profitto dalle antiche abitudini, quindi contro i nuovi sistemi che sorgono, si eleva un grido più o meno forte ed allarmante in proporzione del numero di quei che sono o si credono pregiudicati; al quale quello si unisce di alcuni che per spirito di vera, ma spesse volte millantata filantropia, atterriti da quella larva, o dimostrandosi tali, sentono ritrosìa per qualunque novità; per il che non avvi ritrovato, non avvi miglioramento il più vero, il più palpabile, il più esteso, contro cui non sorgano contradittori e satirici.

Tale ritrosia parte il più delle volte dal falso supposto, che lo stato in cui si vive segni il non plus ultra. Pur troppo le sensazioni che destano le invenzioni e scoperte de’ nostri giorni, non sono dissimili da quella che si eccitarono in tutte le epoche, all’apparire di qualunque ritrovato, in guisa che, rimontando all’origine, crediamo che eccitasse l’ammirazione e forse la [p. 3 modifica] censura anche l’invenzione delle scarpe e del cappello. E ciò sicuramente con più importanza avvenne, allorchè aggiogati due buoi si fece con questi il lavoro di molti uomini; allorchè, inventata la falce, un uomo con un colpo solo tagliava tante spighe quante prima non ne carpiva in un ora; allorchè la stampa, servì di ammirabile mezzo di communicazione delle idee dall’una all’altra estremità del globo, e rese meno necessaria l’opera degli amanuensi; allorchè un oncia di polvere spezzò in un’ istante massi che avrebbero richiesto il travaglio di molto tempo, e di molti uomini. Ma ora, si dirà, le cose sono ad un punto che basta. E chi è, che possa pronunziare questo terribile basta, e fissare un termine ai prodigi della natura, ed all’umano scibile?

Se la divina provvidenza fornì l’uomo d’intelletto, non sarà giusto di limitargli l’uso di questo dono prezioso, fin che esso non ne abusi a danno del suo simile.

Cessiamo però dal declamare, e ponderiamo le cose, i fatti, le obiezioni con freddezza, criterio ed imparzialità, prendendo a considerare specialmente le strade ferrate come l’ultimo de’ miglioramenti, e quello che ora tutta a se richiama la sociale attenzione, non meno che la speculazione, e sul proposito esaminiamo imparzialmente. 1.° Se l’applicazione del vapore a giorni nostri possa chiamarsi invenzione. 2.° Quali siano i vantaggi, e se sussistano i danni che si temono dall’ applicazione del vapore specialmente ai mezzi di trasporto terrestri. 3.° Se un ritrovato che influisce sulla generalità, e sia generalmente adottato, possa essere da alcuni rigettato. 4.° Se particolarmente convenga adottarlo per lo stato Pontificio. 5.° In qual modo potrebbe sembrare adottabile per risentirne tutti i vantaggi.

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I.


se l’applicazione del vapore a giorni nostri possa dirsi invenzione.


Non essendo fin qui le strade ferrate che un ulteriore applicazione del vapore, non sarà fuori di proposito dare un cenno istorico dell’uso di questo agente. Voler fare la storia delle macchine sarebbe fare la storia dell’uomo, e converrebbe penetrare nei misteri della vecchia e favolosa mitologia, la quale ci ha divinizzati quegli uomini benefici, che di qualche utile invenzione o ritrovato arricchirono la società. Non meno dubbia è la storia dell’applicazione del vapore; imperocchè la sua incontroversa somma importanza ha talmente eccitato l’amor proprio e la gelosia nazionale, che gli scrittori di varie nazioni non possono essere d’accordo sul vero inventore, e ciascuno dimostra o pretende dimostrare, che il vanto spetta alla sua nazione, e chi imparziale volesse decidere la inutile questione, si esporrebbe ad una gran lotta. Allorchè i secoli hanno posto il suggello sulla tomba dei grandi uomini, sembra che debba cessare verso di loro ogni invidia e gelosia, e siano da riconoscersi e considerarsi quali cittadini del mondo; quindi sulla fede di molti scrittori si dovrà attribuire la prima idea dell’applicazione del vapore ad Erone Alessandrino, che ebbe vita 120 anni avanti l’era cristiana. E siccome allorchè trattisi in qualunque modo di macchine, il nome di Archimede vi si trova quasi per necessità associato, non manca chi anche a questo grand’uomo ne faccia rimontare il primo pensiero.

Al contrario di quello che dovrebbe essere, la storia diviene più torbida e contrastata allorchè a noi più [p. 5 modifica] si avvicina. Gli spagnoli aspirano al vanto di prima invenzione attribuendola a Blasco de Garay, capitano di mare, che nel 1543 propose all’imperatore Carlo V una macchina, per far andare bastimenti senza vele nè remi anche in tempo di calma. Nell’esperienza che se ne fece in Barcellona alla presenza dello stesso sovrano, si osservò che la parte più importante del macchinismo aveva per base una gran caldaja di acqua bollente. L’esperimento sortì buon risultato. Il dotto Arago francese si oppone a questo fatto con ragioni, che forse tutti non troverebbero di molto peso.

Gl’italiani, oltre l’antico Vitruvio, il Riminese Roberto Valturio, ed il celebre Leonardo da Vinci, del secolo XV, e lo Scappi del secolo XVI, vantano il Romano Giovanni Branca del 1629, il quale, come dice l’Inglese Stuart, fu il primo che tentò di applicare in grande la potenza del vapore ad oggetti utili. (Histoire descriptive de la machine a vapeur, traduite de l’anglais de R. Stuart pag. 33).

I Francesi vantano l’ingegnere Salomone de Caus del secolo XVII, che inventò una macchina mossa col mezzo dell’elasticità del vapore, e riguardano come il vero inventore delle macchine a vapore Dionigio Papin di Mois dello stesso secolo (Stuart loc. cit. pag. 54); ed il lodato m. Arago parlando di Papin conclude:

«Papin ha imaginato la prima macchina a vapore.

«Papin, pel primo, ha veduto, che il vapore acquoso fornisce un mezzo semplice per fare rapidamente il vuoto nella capacità del corpo della pompa.

«Papin, per primo, pensò di combinare in una stessa macchina a fuoco l’azione della forza elastica del vapore con la proprietà di cui esso è fornito, e che egli rimarcò condensarsi col raffreddamento.» [p. 6 modifica]Notices scientifiques sur le machines a vapeur, pag. 252.

Gl’inglesi citano il vescovo Wilkins, ed il marchese Worchester che scrisse sotto Carlo II.

Checchè però sia di questi, e di tanti altri che potrebbero indicarsi, è certo, che di nessuno di loro si farebbe ora menzione se i più felici moderni non avessero con utili applicazioni rese le macchine a vapore di una sì grande ed universale importanza; e può considerarsi la loro memoria piuttosto ridestata dall’orgoglio nazionale.

Come è difficile il dichiarare chi veramente abbia l’esclusivo merito della prima invenzione, così lo è il precisare la vera epoca in cui furono poste in uso siffatte macchine. Lo stesso accade intorno alla loro applicazione ai trasporti.

Gl’inglesi aspirano al primo vanto, citando le opere di Gionatan Hull, e di Patrich Miller.

Gli Americani del Nord l’attribuiscono al loro Fulton. I Francesi rivendicano tale onore, dandone il primo merito a Papin; ma troppo arduo sarebbe voler decidere tali questioni. Esperienze prattiche si sono fatte di Battelli a vapore fin dal 1775 in Francia da Perrier; e nel 1778 da Jouffroy, a favore del quale si trattò pure di accordare il privilegio di privativa. Tutte queste ed altre esperienze però, non andarono più oltre che a tentativi, i quali non ebbero alcuna costante riuscita. Il primo Battello a vapore, il quale con efficacia e di proposito fosse posto in opera pel trasporto di uomini e di merci, fu quello costruito a Nuova York da Fulton nel 1807, col quale si fece il viaggio da quella città ad Albany. In Inghilterra il primo Battello a vapore che in simil modo si ponesse in opera, fu quello denominato la Colomba nel 1812, ed il secondo nel 1813. [p. 7 modifica]

Dell’applicazione del vapore ai trasporti per terra, sembra che la prima idea si debba ad Evans, che nel 1801 costruì in Filadelfia una macchina condotta a termine nella sua officina, distante un miglio e mezzo dalla spiaggia del rio Delaware, la quale col mezzo di rote mosse dalla stessa macchina percorse quella distanza. (Description de las maquinas de vapeur par D. Juan José Martinez y Tacon § 586).

I due ingegneri di Cornovaglia Trevithick e Vivian, ebbero nel 1802 patente per l’applicazione della loro macchina a vapore ai carri sopra strade ferrate, e nel 1806 se ne fece l’esperienza nel principato di Galles. In Inghilterra le strade ferrate ebbero origine fin dal 1680 servendosi del motore dei cavalli. Queste furono costruite nei dintorni di Newcastle per asportare il carbon fossile dalle miniere, che si trovano in vicinanza di quella città, le quali essendo a distanza molto considerevole dai punti di smercio, debbono i prodotti asportarsi fino alle rive del Tyne per essere imbarcati; per cui i proprietari di alcune miniere, a risparmio di spese, pensarono disporre lungo le strade percorse dai loro carri due ordini continuati di correnti di legno per sorreggerne le ruote. Non tardò però a manifestarsi il rapido sciupo dei sottoposti legni, e si adottò il partito di coprire i legni stessi con lamine di ferro chiodate. Questo sistema recò l’altro vantaggio di diminuire lo sforzo necessario al tiro, il quale sempre più perfezionato, condusse a sopprimere del tutto i legni, sostituendovi le spranghe di ferro.

Così continuarono le cose sempre con progressivi miglioramenti fino all’anno 1812, quando, adottata l’applicazione del vapore, come mezzo motore, alle macchine di ogni specie destinate alle manifatture, si estese ai [p. 8 modifica] legni marittimi ed in fine alle carrozze ed ai carri da trasporto, sostituendolo ai cavalli con sorprendente effetto di celerità e di economia; così quelle strade ferrate si resero tanto maggiormente utili, ed il principio stesso fatto generale, ebbe quell’immenso sviluppo che forma al presente lo studio e la speculazione del giorno.

Comunque però sia del primo merito di tali ritrovati, sembra chiaro che antichissima possa chiamarsi la primitiva idea di trarre profitto da questo agente, cioè dalla forza del vapore, e che la cosa è giunta ora quasi ad un punto di perfezione, stanti le modificazioni e progressi che insensibilmente si sono fatti dagli uomini nell’innato desiderio di migliorare la loro condizione, e di facilitare i mezzi di contatto sociale.


II.


quali sono i vantaggi, e se sussistono i danni che si temono dall'applicazione del vapore specialmente ai mezzi di trasporto terrestri.


Sarebbe il ragionamento nostro difettoso se o fingessimo d’ignorare, o trascurassimo di considerare le riflessioni che si adducono, onde dissuadere l’adozione delle strade ferrate. Tutte le umane cose, non potendo raggiungere lassoluta perfezione, hanno il loro diritto ed il loro rovescio, e mal si apporrebbe colui che volendo una od un’altra cosa consigliare o dissuadere, o il solo elogio ne facesse o la sola critica, senza occuparsi delle contrarie ragioni; mentre la prudenza consiglia di ben bilanciare il favorevole ed il contrario, ed alla saviezza spetta il decidersi per quella parte ove il bene prepondera; e comunque la utilità, anzi ora la [p. 9 modifica] necessità delle vie ferrate sia così grave, palpabile ed evidente, che non possa in buona fede contrastarsi, pur tuttavia la pusillanimità, o la sottigliezza in taluni che si dichiarano contrari, non vanno così alla cieca, che non adducano qualche ragione almeno apparente a sostegno della loro avversa opinione. Queste ragioni adunque, perchè nulla manchi alla discussione, devono essere ponderate, per vedere qual peso meritino, e se contrastar possono con quelle di utilità e necessità, onde giustamente rifiutarsi dal fare ciò che tutti gli altri, o hanno già fatto o stan facendo coll’adozione delle strade ferrate.

Le obiezioni più gravi, che si oppongono alle strade ferrate, sono

1. Accrescono il pauperismo già prodotto dalle macchine, e dal vapore a quelle applicato.
2. Sono di danno ai commercianti.
3. Compromettono la sicurezza degli stati.
4. Compromettono la quiete interna.
5. Facilitano il contrabando, e l’introduzione delle merci estere.

Le accuse non possono essere più gravi e spaventose, per cui non possono in buona fede disprezzarsi. Devesi pertanto vedere, se ben considerate da vicino con imparzialità e criterio, siano poi giuste, ed in fatto sussistano. A tale oggetto le prenderemo ad esame partitamente.

Prima Obiezione

Accrescono il pauperismo già prodotto dalle macchine e dal vapore a quelle applicato

Chiunque abbia sentimenti di umanità non può negare la somma importanza di questa accusa, la quale [p. 10 modifica] quanto maggiore peso merita, tanto più profondamente và esaminata e discussa, onde conoscere se sia giusta e fondata, ovvero sia falso allarme, anzi calunniosa. L’obiezione esigge, che in risposta si rimonti all’uso delle macchine, ed all’applicazione del vapore.

Non può negarsi, che l’adozione delle macchine nelle manifatture, e più la loro rapida e quasi improvvisa sostituzione all’opera degli uomini, abbia privato di lavoro e sussistenza migliaja e migliaja di operai.

A ciò esclusivamente si attribuisce da alcuni il pauperismo, che si osserva esistere in Francia ed in Inghilterra. Ma l’uomo prudente esamina con imparzialità i fatti nella loro verità, ne indaga freddamente le cause nelle loro sorgenti, e non si lascia imporre dalle appassionate esagerazioni de’ giornalisti, perchè sa che questi mossi il più delle volte non sono che dallo spirito del partito che li dirigge, e quindi tacciono o mascherano quei fatti, che si oppongono alle loro idee, esagerano e lodano quelli che le favoriscono, e suppliscono alla giustezza degli argomenti con enfatiche declamazioni; per cui a volersi battere con queste armi, per escluder ciò che uno afferma, non mancano venti che negano. Abbisognano pertanto di altra autorità, ond’esser creduti, i fatti che sulla loro sola asserzione non potrebbonsi nè ammettere, nè supporre. Così, chi sulla fede di un giornale potrà credere, che ad otto milioni ascenda in Francia il numero degl’indigenti?

Pur troppo però sono veri in genere gli avvenimenti che si deplorano. Ma sarà giusto attribuirne la causa totalmente all’adozione delle macchine, ed all’applicazione del vapore? L’uomo saggio che con ponderazione scrutina le cose, sa discernere il cumolo delle circostanze in tanto breve tempo riunite, per indagarne [p. 11 modifica] senza fallo la causa. Difatti una rivoluzione spaventosa che, sorta in un punto, come male contagioso, ha percorsa tutta la faccia del globo; una lotta fra nazioni e nazioni ostinata sterminatrice, che fece divenire l’arte militare l’unica ed assorbente; una pace benefica sì, ma istantanea, mercè la quale rientrarono quasi d’improvviso nelle popolazioni stazionarie, tutti quelli che costituirono immensi eserciti belligeranti; un enorme debito pubblico, che tutti i governi dovettero contrarre per sopravvivere a quel parosismo provocato dai politici sconvolgimenti; tutte queste ed altre da esse dipendenti sono le cause influentissime, che, affollatesi in pochi anni, hanno prodotto, con un urto quasi simultaneo, quella scossa ed alterazione che tuttora impongono in alcuni stati di Europa. E sarebbe ingiusto ed inesatto il volerla attribuire ad una sola di quelle cause, mentre l’urto avvenne dal complesso delle circostanze diverse.

Sarebbe però egualmente ingiusto il voler fra le cause del pauperismo escludere del tutto l’applicazione delle macchine, ma per assegnare a questo il giusto peso nella bilancia del danno recato sotto questo rapporto, fa mestieri distinguere le macchine per loro stesse, e l’applicazione alle medesime della forza motrice del vapore. Imperocchè non v’ha dubbio che l’invenzione delle macchine puramente meccaniche, giunte ad un grado di perfezione che solo l’anima sembra loro mancare, abbia portato ad ottenere, mercè lo studio di perfette combinazioni, i lavori più difficili quasi senza l’impiego degli uomini, e da ciò ne derivò l’immensa diminuzione del bisogno dei lavoranti; la quale invenzione rapidamente applicata a tutte le manifatture, ha data una violenta scossa alle economiche abitudini delle nazioni che l’hanno adottata, togliendo di un sol colpo lavoro e [p. 12 modifica] pane a tante migliaja di persone, alle quali quelle macchine furono sostituite. Questo danno però può a tutt’altro imputarsi, che all’applicazione del vapore, imperocchè desso è stato surrogato ai motori, cui rare volte supplivano gli uomini, ma quasi sempre le bestie, e l’acqua; e l’immensa utilità che da siffatta applicazione si ottenne, consiste nella celerità del movimento, ed ancor più nella facoltà d’istituire in qualunque località qualsivoglia opificio, purchè possa recarvisi il combustibile per far agire una caldaja: dalla qual distinzione emerge inevitabilmente, che l’invenzione delle macchine meccaniche, e non l’applicazione del vapore, diminuì il bisogno degli uomini nelle manifatture.

Ma trattiamo pure nel loro complesso gli effetti delle invenzioni, e delle applicazioni, e ne avremo che ciò darebbe luogo a discutere, se in quelle nazioni che abbondavano di lavoro e di operai in adequata proporzione, dovesse e potesse essere almeno regolata e diretta l’applicazione della grande scoperta con norme e regole che ne modificassero ed alleggerissero l’urto troppo rapido e violento, in modo di dar agio alle popolazioni che in altra guisa si potessero bilanciare, od almeno porre i mezzi governativi a livello delle nuove cause del pauperismo. È però anche vero che, nonostante quei mali, sono quelle due nazioni, l’Inghilterra e la Francia, le maestre, e l’invidia di tutte le altre per sapere, per civiltà, per ricchezze, per prosperità.

Che se dopo tanti anni il pauperismo persiste tuttora specialmente in Inghilterra, ciò non esclude la sua prosperità, e quasi potrebbe dirsi che indirettamente la prova, imperciocchè senza le grandi risorse che l’industria ed il commercio, sussidiati appunto e dalle macchine e dal vapore, gli somministrano, non potrebbe [p. 13 modifica] sostenere l’immenso aggravio di sussidiare tante migliaja di consumatori inerti ed inoperosi. Potrà al più questo fatto provare, che non si accorse al rimedio, almeno con efficacia, per modo di vedere della classe influente, che preferì, fin ora accorrere sistematicamente con sussidi, anzichè convenire in misure più giuste, più morali, più efficaci.

Comunque però ciò sia, se quelle funeste conseguenze a tempo debito considerate, avrebbero potuto tener perplesse quelle nazioni che furono prime, se e come adottare quelle migliorie, stà in fatto, che a quelle fecero seguito la Germania, l’Olanda, il Belgio, senza parlare delle altre; in guisa che ripeteremo, non esser oggi più elezione ma necessità l’uniformarvisi, per quegli stati che tuttora ne manchino. E tanto più è necessario in quelli che non si trovino in circostanze di abbondare di fabbriche e di operai, che possano dai nuovi metodi esser danneggiate, ma in posizione di dover scegliere, o di contentarsi di adottare i metodi oramai resi comuni, mercè i quali con pochi operai si ottengono molti lavori, e così procurare di trovarsi in concorrenza coll’estero, o di rinunziare a qualunque speranza di sussistere, dappoichè il continuare cogli antichi sistemi le lavorazioni li porterebbe fuori di qualunque concorrenza, e lascierebbe tutti nell’ozio e nella miseria.

L’incolpazione di esser causa del pauperismo, data alle macchine ed al vapore in genere, viene corroborata e concretata maggiormente trattando delle strade ferrate, imperocchè, con tutta precisione enumerate le varie professioni che si suppongono percosse e distrutte da questo nuovo ritrovato, si fa uno spaventoso elenco di persone che vanno a rimaner prive di sussistenza; [p. 14 modifica] perchè dicesi, cade nell’inazione una moltitudine di postiglioni, di vetturini, di carrettieri, di barcaroli, di stallieri, di osti, di locandieri, e per conseguenza di cuochi, di camerieri e di altre persone su tutta la linea percorsa dalla strada ferrata. Questa osservazione, che è dettata da plausibile spirito di filantropia, sarebbe di molto valore, quando non fosse in opposizione e colla ragione e coll’esperienza.

Non sono le strade ferrate che un progresso nella facilità e nella rapidità delle comunicazioni e dei trasporti. Dall’uomo che pedestre, ed a stento con il suo bagaglio sugli omeri si trasferiva da uno in altro luogo, la società non è giunta all’attuale miglioria che percorrendo tante diverse gradazioni, sostituendo ai propri piedi ed omeri il tardo giumento, i pigri buoi, lo svelto destriero; quindi i carri, le carrozze, le vetture, la posta, le diligenze; ora le strade ferrate. In seguito, Dio sa, cosa verrà in campo.

E come sarebbe, più che strana, pazza idea quella di abolire l’uso dei giumenti, dei buoi, dei cavalli, dei carri, delle carrozze, delle vetture, della posta, delle diligenze per la speciosa ragione che l’uomo che vada pedestre, avendo assoluto bisogno di più frequente riposo, esigerebbe più frequenti gli alberghi e le locande; e come parteciperebbe dell’assurdo che non siano da rimuoversi le cause delle infermità negli uomini, onde non cessi il guadagno dei medici, dei chirurgi e dei farmacisti; così neppur giusto sarà, impedire alla società l’uso di un mezzo di trasporto più rapido e più economico per la carità verso i vetturini, postiglioni, locandieri, cuochi e camerieri. Ma vediamo in fatto se poi sia realmente a temersi questo danno che si proclama per quelle classi di persone, al quale esame [p. 15 modifica] aggiungeremo volentieri l’altro, se i luoghi di fermata dei viaggiatori coi mezzi ordinari risentano pregiudizio.

Su questo argomento sarà opportuno rammentare, che la questione è tutt’altro che nuova, perchè più volte si accese, in specie quando s’istituirono le stazioni postali, ed ancor più vivamente nell’adozione delle diligenze, e siamo tutti testimoni delle gravi difficoltà che si opposero a queste, come altrove, anche in Roma, sebbene con più ragione di quelle che potessero incontrarsi sulle strade ferrate, perchè le poste e le diligenze piegandosi verso i luoghi di destinazione, non richiamano il bisogno di tanti mezzi secondari, come vedremo occorrere per valersi della strade ferrate. Erette però e le poste e le diligenze, l’esperienza ha dimostrato che ben lungi dal venirne diminuzione di lucro nei vetturini, e negli altri mezzi di trasporto, hanno essi invece aumentato. E se tanto avvenne nelle enunciate circostanze, di meglio può attendersi dalle strade ferrate, che per loro stesse richiedono molti individui occupati, quali nel mantenimento delle macchine, quali nella sorveglianza della linea stradale, quali nel servigio dei convogli; in guisa che non sarebbe forse azzardato il pronunciare, che i soli addetti semplicemente alle strade riuniti equivalgano a tutti i vetturini, postiglioni e locandieri che si temono danneggiati.

A questo s’aggiunga l’immenso moto e degli uomini e delle merci; e per i motivi che svilupperemo in appresso, si vedrà quale immenso vantaggio in vece ne deriva a tutte le classi di persone soprenunciate. E che l’aumento del moto sia la conseguenza della facilità dei mezzi è incontrastabile, semprechè la questione si esamini coi suoi veri e giusti principii. I bisogni ed i rapporti, siano di necessità, siano di volontà, sono infiniti, [p. 16 modifica] ed osta solo al soddisfarli il tempo, l’incomodo e la spesa necessaria per ottenere l’intento che si desidera, per esitare la cosa che si vuol vendere, per recarsi al luogo in cui si vorrebbe essere; in guisa che in proporzione che gli ostacoli scemino, si accresce la concorrenza. Quindi è indubitato, che la diminuzione della spesa e del tempo, e la totale cessazione d’ogni incomodo, anzi la conversione di questo in piacere e diletto, produrrà maggior numero di viaggiatori, e maggior quantità di merci in movimento; a modo che, moltiplicati nella proporzione delle diminuzioni, e della cessazione degli ostacoli, la massa in movimento si accrescerà prodigiosamente.

Posto ciò, che ora non è più un problema, perchè si vede avverato in tutti quegli stati, ove le strade ferrate sono in attività, è certo, che circoli nelle spese di viaggi e trasporti una somma maggiore di quella che circolava per l’addietro, atteso il maggior numero di persone, e la maggior quantità di merci che ottengono di viaggiare, e di essere trasportate; e se questo sussiste, un vantaggio generale anzichè un danno, deve generalmente risultare, come speriamo dimostrare.

Esaminando la questione dal lato dei mezzi di trasporto e di persone e di merci, le strade ferrate, per quanto debba studiarsi diriggerle ai centri di popolazione, di produzione e di consumo, non toccano tutt’i punti, cosicchè si trovino al domicilio di chiunque voglia profittarne, nè si presentano a tutti i luoghi di produzione, ma formano una vera linea matematica, sulla quale conviene che si rechino le persone e vengano asportate le merci che vogliano giovarsene; e siccome non tutti partono dallo stesso punto, non tutti sono diretti per il medesimo luogo, non tutti possono fermarsi nelle [p. 17 modifica] stazioni destinate al convoglio che cammina sulla strada ferrata, risulta indispensabile di conservare ancora le strade attuali, come se le strade ferrate non esistessero. Anzi, essendo fuori di dubbio che per la celerità, comodità ed economia che presentano, esercitino una grandissima influenza sopra estesissimi raggi in moltissimi punti di contatto; conseguentemente, costituendosi in causa ed effetto, cagionano immenso aumento nel numero delle persone e nella quantità di generi di tutte specie in movimento. Da che discende, che quei moltissimi che vorranno profittarne, debbano trasferirsi coi mezzi ordinarii dal luogo ove si trovano, al punto per dove passa la strada ferrata; la quale percorsa fino al luogo ove devono deviarne, conviene che ai medesimi mezzi ordinari nuovamente ricorrano per proseguire il loro viaggio; e così compensata la minor lunghezza dei viaggi, che chiameremo subalterni, col maggior numero che senza dubbio ne occorrerà, la massa dei viaggi coi mezzi ordinari risentirà sensibile aumento anzi che diminuzione.

Ecco adunque abbondante e fertile occasione di occupazione, lavoro e guadagno per tutte le enumerate persone che si temono rovinate dalle strade ferrate. In fatti sulla linea stessa delle strade ferrate, nei punti di contatto con le strade ordinarie e di fermata, tutti sanno il frequente e continuo andirivieni, e gli alberghi continuamente affollati di chi va, di chi viene, di chi parte, di chi giunge. Cosicchè francamente dir si può, e l’esperienza già fin qui lo prova, che gli attuali postiglioni, vetturini, carrettieri, osti, cuochi e camerieri, insufficienti al servizio in tanto movimento e bisogno dei viaggiatori, danno luogo ancora a molti altri che oggi mancano d’impiego. [p. 18 modifica]

Aggiungasi che, bramosi i vicini luoghi di porsi in corrispondenza con questo centro di movimento, si apriranno tante nuove vie di contatto, le quali saranno nuova, ed inaspettata occasione di lavoro e guadagno a tanti altri. È dunque tanto lontano il danno che sotto questo rapporto si teme dalle strade ferrate, anzi così certo ed evidente il vantaggio, che sembra avere la divina provvidenza fatta sorgere questa nuova applicazione del vapore, onde trarre dalle conseguenze di questa medesima, il compenso ed il rimedio al male che applicato alle manifatture poteva aver recato.

Quest’apprensione che il raziocinio dovea escludere, ora è dalla costante ed universale esperienza dissipata e smentita; ma pure era a supporsi che agitasse le menti del volgo nella primitiva costruzione delle strade ferrate, e perciò richiamava la considerazione governativa. In fatti il sig. Petitti nella sua opera, delle strade ferrate italiane, e del migliore ordinamento di esse, pag: 96 n. 1 ci narra, di aver saputo dalla bocca degli stessi ministri Belgi che «All’apertura delle prime tratte di strade ferrate, temendosi che pel mancante lavoro, la numerosa classe dei vetturali che vi ha nelle principali città del Belgio, tumultuasse, il governo erasi provveduto per contenerli, occorrendo. Ma in breve il buon senso popolare fece ad essi comprendere come, anzi crescerebbe per loro l’occupazione ed il guadagno, con minor fatica ancora, come in fatti è seguito, vedendosi cresciuti i veicoli occupati a condurre dalle stazioni all’interno delle città gli arrivanti, e viceversa coloro che ne partono».

Passiamo ad esaminare, se coll’acceleramento dei viaggi si rechi danno ai consumi nei luoghi di fermata, il bisogno dei quali scomparirebbe; e pare che neppur [p. 19 modifica] questo si possa temere. In fatti se prendiamo a considerare lo Stato in complesso, esso alimenterà tutti gl’individui che lo compongono per tutto il tempo della loro esistenza nello Stato medesimo, consumino i loro giorni in stazione permanente, in precaria dimora od in viaggio, talchè se meno tempo impiega un individuo in viaggio, più ne rimane in stazione o in precaria dimora, ma il consumo totale non rimane alterato. Se ci volgiamo ai singoli luoghi troveremo che, non potendosene avere alcuno a calcolo, che isolato sia da qualunque rapporto, sarà tanto maggiore il numero, ma tanto minore l’assenza dei propri individui, quanto minore il tempo che occuperanno per trasferirsi in altri luoghi di loro interesse, e tanto maggiore il numero degli altri che in quei luoghi medesimi si recheranno, quanto minore il tempo e la spesa per recarvisi; in guisa da formarne una perfetta compensazione. Ci rimane pertanto a considerare la sorte di quei luoghi esclusivamente destinati alle fermate delle vetture, e questi potrebbero alcune volte non combinarsi nei punti di fermata delle strade ferrate, e conseguentemente soffrirne; ma tanti e così sontuosi sarebbero gli altri luoghi di fermata di cui sorgerebbe il bisogno nei punti stessi, che superando di gran lunga quei danneggiati, nelle viste generali, il vantaggio supererebbe immensamente il danno.

Seconda Obiezione

Recano danno ai commercianti

L’obiezione precedente, involvendo un importanza almeno apparente, si è dovuta assoggettare a più minuta discussione. Questa richiede poche parole, e più in ri[p. 20 modifica]guardo alla rispettabile classe che contempla, che per la sua ragionevolezza.

Gli oppositori vedono o almeno proclamano essere le strade ferrate di danno ai commercianti, perchè la comodità delle strade ferrate (essi dicono) farà sì, che il numero degli speculatori si aumenterà, ed in ragione dell’aumento diminuirà il guadagno per quelli che in giornata si dedicano alle speculazioni: al qual modo di vedere si possono opporre i seguenti riflessi.

Egli è un principio inconcusso che la produzione è nell’ordine di natura destinata a soddisfare i bisogni che ne cagionano la consumazione; quindi essendo la produzione e la consumazione strettamente connesse, gli spazi che si frappongono al loro avvicinamento sono ostacoli pregiudizievoli all’una ed all’altra; e conseguentemente è opera meritoria il rimuoverli, o almeno diminuirli.

A questo scopo giova appunto l’applicazione del vapore ai mezzi di trasporto, siano per acqua, siano per terra, perchè accorciando le distanze e diminuendo le spese ed il tempo della giacenza, producono la convenienza del trasporto da un luogo all’altro di quelle merci ancora, che senza questo soccorso si perdono nel luogo di produzione, e non possono ottenersi in quelli ove, il bisogno chiamandoli, ne accaderebbe la consumazione. Per tal mezzo, cioè sul soccorso delle strade ferrate, può dirsi, che ogni cosa si produca ove bisogna, e che ognuno sia presente ove occorre.

L’opporre a così immenso vantaggio, che, facilitato per tal modo il commercio, sarebbe reso a portata di tutti il poterlo esercitare, e spesse volte sarebbero messi in contatto immediato il produttore ed il consumatore con sommo vantaggio dell’uno e dall’altro, e che [p. 21 modifica] perciò diminuirebbe il guadagno degli speculatori, sarebbe un errore, perchè in primo luogo debbono i governi avere in vista il vantaggio dei produttori e dei consumatori a preferenza di quello degl’intermediari, ed in ogni caso guardare la generalità ed i molti, non la specialità ed i pochi, cosicchè curar devono che le ricchezze anzichè esorbitanti si accumulino su’ pochi, si diffondano, benchè in minor proporzione, sù molti; e da ciò ne viene che l’effetto delle strade ferrate, che qui figura come il primo danno, sia, ben considerata la cosa, un vero, reale ed importantissimo beneficio e somma utilità; poichè facilitando le strade ferrate il mezzo delle contrattazioni, supposto ancora e non concesso che la massa del guadagno non aumenti, sarà sempre un grandissimo vantaggio che questo si diffonda su’ molti, anzichè rimanga ristretto fra pochi. Il buon re Enrico IV desiderava così ripartite fra suoi sudditi le ricchezze, che ciascuna famiglia potesse ne’ dì festivi cuocere il suo pollo.

Quindi sarà fuori di dubbio immensamente vantaggioso, che le merci, sgravate da gran parte delle spese di trasporto e senza alcuna alterazione attesa la brevità e l’agiatezza del viaggio, si presentino sù i mercati a minor prezzo, ovvero ove si conservasse il prezzo, rimanendo la minor spesa a profitto del produttore, questi sarà maggiormente animato ed aumenterà la produzione, e conseguentemente per effetto immancabile della maggior quantità del genere in commercio, il prezzo sempre scemerà.

Terza Obiezione

Compromettono la sicurezza degli Stati

Questa considerazione si presenta sotto l’aspetto il [p. 22 modifica] più grave, poichè niente meno si tratta che della sicurezza ed esistenza di uno Stato che dalle strade ferrate si temono gravemente compromesse; imperocchè, dicono, la facilità e prontezza con le quali le armate possono esser trasportate a grandi distanze, rendono uno Stato preda sicura di quel primo più forte aggressore cui ne venisse la volontà, non lasciando all’aggredito tempo nè di accorrere alla difesa, nè d’invocare soccorso. Certo che se una sola nazione, o Stato si fosse fatto, o si facesse privatario di questo nuovo mezzo di trasporto, i timori sarebbero seri e giusti per gli altri Stati che avessero difetto di tanto ed esorbitante vantaggio, di cui quello fosse in esclusivo possesso. Ma, generalizzate le strade ferrate, e rese comuni a tutti, la situazione tornerà nell’antico equilibrio. I medesimi effetti avrebbero prodotto l’invenzione della polvere, l’applicazione del vapore alla navigazione, se da uno solo, o da pochi si fossero esclusivamente adottate; ma fatta l’una e l’altra comune dalla umana prudenza, e più dalla necessità, disparvero affatto le funeste conseguenze dell’uso parziale, e considerar si devono quei ritrovati come importantissimi beneficii, resi alla società. Così è delle strade ferrate allorchè siano universalmente adottate; imperocchè se le armate di uno stato aggressore si trasporteranno ai confini dell’altro, con la stessa celerità vi accorreranno quelle dello stato aggredito, il quale con pari facilità e prontezza potrà non solo accorrere ove il bisogno si manifesti, ma ancora senza il minimo ritardo domandare e ricevere il soccorso delle amiche potenze.

Che anzi, se ben si osserva, l’adozione delle strade ferrate può somministrare il mezzo migliore per guardarsi da qualunque aggressione, perchè, ridotti gli aditi [p. 23 modifica] di comunicazione alla sola linea ferrata, è facilissimo il fortificarla, e per qualunque disgraziata combinazione che non potesse giungervisi, pronto è il modo di troncarla, e di ciò fare in maniera che formi vera, ed assoluta intercettazione.

Quarta Obiezione

Compromettono la quiete interna.

È pur gravissima questa obiezione, come quella che ha in mira la quiete pubblica, e la buona morale, le quali pur si temono distrutte dalle strade ferrate, come mezzo troppo facile, atto e pronto per moltiplicare i perniciosi contatti, e per sfuggire la vigilanza governativa.

Nessuno ignora, che l’umana malizia può abusare e ritorcere in danno le più salutari e benefiche istituzioni. L’abuso della forza opprime, delle ricchezze corrompe, dell’ingegno tradisce ed inganna. Pur chi negherebbe che l’ingegno, le ricchezze, la forza sono beneficentissimi doni, che a fin di bene l’Ente supremo compartì agli uomini? Se le strade ferrate, per la rapidità con cui trasportano uomini e cose alle più grandi distanze, possono indurre qualche male intenzionato a giovarsene per commettere delitti, nella lusinga di poter quindi con quel mezzo facilmente evadere ed occultarsi, dovrà per questo troncarsi l’albero dalle radici? Ciò potrà al contrario mostrare la necessità di proporzionare le leggi e la vigilanza alla novità ed efficacia del mezzo; onde così, poste le cose in adequata armonia e rapporto, rendere gli incontrastabili e grandi vantaggi del nuovo mezzo più benefici e sicuri, spogliati dalle [p. 24 modifica] funeste conseguenze dell’abuso che la malizia di alcuni potrebbe farne.

Ma se piaccia di ben considerar la cosa anche sotto questo rapporto, si trarrà dalle strade ferrate argomento ben più giusto di trovare in esse, anzichè fomento al male, un antidoto assai efficace contro il male stesso. Gli uomini turbolenti, facinorosi, e delinquenti sia per introdursi, sia per evadere abbisognano di mezzi reconditi e misteriosi; quindi anche nello stato attuale delle cose, allorchè o vogliano penetrare in qualche Stato con ree intenzioni, o sfuggire il ministero di giustizia che gl’insegue, non le grandi e principali vie percorrono, ma a viottoli ricorrono e tragetti ascosi e non frequentati. Or certo non potrà mai supporsi, che costoro vogliansi giovare del nuovo mezzo il quale non parte, non percorre, non giunge senza l’accompagno e l’assistenza di numeroso ministero dal governo dipendente, ed in mezzo a tanta folla di viaggiatori, che tutt’altro può garantire che la segretezza ed il mistero, di cui hanno coloro tanto bisogno.

Laonde sotto questo rapporto conviene concludere, che o le guaste idee e gli uomini facinorosi, onde introdursi o evadere, abbisognano delle vie ferrate; e la pubblicità di cui queste godono, e la facilità con la quale possono esser sorvegliate, sono la più sicura garanzia che in quelle vie coloro non potranno sfuggire all’attività del ministero politico. Ovvero, come è certo, abbisognano e quelle e questi di mezzi reconditi e clandestini, e le strade ferrate, le quali al certo tutt’altro sono che mezzi tali, per nulla influir possono al male che si teme. Anzi pe’ vantaggi che presentano dando, un forte argomento di sospetto in coloro che ne deviano, li assoggetta a più diretta e facile sorveglianza. [p. 25 modifica]

Quinta Obiezione

Facilitano il Contrabando e l’introduzione dei generi esteri

Se non è di egual importanza, è dello stesso genere della precedente questa obiezione, e può esser esclusa con la medesime considerazioni, le quali come sono valide applicate alle idee corrotte, e corrompitrici ed agli uomini facinorosi e turbolenti, tanto più lo sono alle merci di contrabando, ed ai contrabandieri, che di egual mistero abbisognano senza potersi così facilmente ascondere, in modo che non solo insussistente, ma ancora strano e puerile sia il timore, che il contrabando aver possa nelle strade ferrate una nuova e più comoda via che lo alimenti e protegga. Anzi per tutte le circostanze che intrinsecamente ed essenzialmente militano e concorrono nelle strade ferrate, convien dire, che sono queste appunto il mezzo più inopportuno e contrario a tentare ed eseguire il contrabando.

E riteniamo noi tanto insussistente questa imputazione alle strade ferrate, che giudichiamo doversi enumerare fra i vantaggi ch’esse arrecano quello d’impedire il contrabando non solo in loro stesse, ma eziandio distruggerlo assolutamente.

Non ha bisogno di dimostrazione che la causa impellente al contrabando è il guadagno che si procura con vie e mezzi illeciti. Allorchè i mezzi di trasporto sono uniformi e per tempo e per spesa nell’introduzione e nell’estrazione delle merci per vie legittime o fraudolenti, ad ottenere il desiderato lucro i meno onesti speculatori ricorrono all’infrazione delle leggi doganali, onde pel defraudato dazio possano le lor merci [p. 26 modifica] gareggiare e vincere nel concorso con quelle legittimamente introdotte, o estratte. Pongasi ora che le strade ferrate non possono prestarsi al contrabando, come abbiamo dimostrato, ma che presentano una sensibile economia e di tempo e di spesa nel trasporto delle merci che con questo mezzo si conducono; quest’economia compensa il pagamento del dazio e costituisce il contrabandiere fuori di portata di trovarsi in vantaggio a fronte delle merci legittimamente introdotte o estratte; tanto più che il trasporto delle merci in contrabando deve esser caricato di gran perdita di tempo in percorrere vie tortuose, difficili e recondite, e della maggior spesa o di assicurazione, o di compenso ai rischi e pericoli che accompagnano l’uso di mezzi illegittimi, e criminosi. Dalle quali cose più rettamente dedur si deve, esser le strade ferrate non un mezzo che faciliti o protegga il contrabando, ma al contrario un validissimo rimedio, che forse fin dalle sue radici purghi da quella peste il commercio e la Società.

Fin qui per escludere il timore della facilitazione del contrabando: ora vediamo se sussiste il danno che recherebbero le strade ferrate col facilitare l’introduzione delle merci estere. Ed in primo luogo, si riconoscerebbe degno di compatimento a nostri giorni il pensiero di opporre ostacoli materiali al movimento commerciale, quasi fosse per lo contrario espediente di barrare le strade, e di ostruire i canali ed i porti perchè desse non passassero, ne s’introducessero; ma a prescindere da questo argomento basti riflettere che gli ostacoli, e le facilitazioni operano reciprocamente tanto nelle introduzioni, quanto nelle estrazioni a modo, che quando le merci estere si volessero colpire, si colpirebbero contemporaneamente ancora le indigene. [p. 27 modifica]

Si potrebbe forse replicare che nello stato pontificio, il quantitativo delle merci estere che s’introducono, eccede quello delle indigene che si estraggono, per il che il favore prepondererebbe per le merci estere; ma tre riflessioni annientano quest’argomento. Primieramente, lo stato attuale delle cose non forma base solida per conoscere la preponderanza delle introduzioni o delle estrazioni, imperocchè dalla rigenerazione che otterrebbe il commercio, mercè l’attivazione delle strade ferrate, potrebbe pure emergere un aumento tale di produzioni estraibili, che superasse il quantitativo delle merci introducibili. In secondo luogo, le merci estere già vengono con tutta economia condotte nei porti di Civitavecchia ed Ancona, e leggiero è il divario di cui fruirebbero nella circolazione interna col mezzo delle strade ferrate; e qualunque egli fosse, se sopra merci necessarie, il maggior costo si sopporta dal consumatore, se di lusso, non basta un tenue aumento di spesa per farne astenere l’amatore. In ultimo, un ostacolo all’introduzione di tutte le merci estere indistintamente, e necessarie, e voluttuose, e grosse, e fine nella tendenza di farne sostenere l’alto prezzo, per servire di remora alla consumazione, sarebbe veramente inconsiderato, perchè in gran parte ridonderebbe a danno diretto dei consumatori, quando che alla prudenza della tariffa daziaria è attribuito di gravare più o meno singolarmente le diverse merci, in relazione al bisogno, ed allo sviluppo dell’industria interna, ed in tal guisa si evitano tutti gl’inconvenienti.

Dopo aver così dimostrate del tutto insussistenti le indicate imputazioni che alle strade ferrate si danno, non può passarsi sotto silenzio, che molti respingono questo nuovo ritrovato dichiarandolo pieno di pericoli, e [p. 28 modifica] soggetto a frequenti disastri. Ora che in tanti luoghi sono esse in piena e continua attività, non avvi miglior risposta a questa considerazione, che l’esperienza. È pur troppo in fatto che accaddero nel primitivo uso di questo mezzo dei sinistri, ma ognun sa che un qualche tributo alla novità è inevitabile, sia pel difetto di esperienza, sia per l’imprudenza di tanti che fanno consistere il coraggio e nella temerità, e nella scioperata anzi spesso brutale trascuraggine dei pericoli. Meglio però dopo quel primo slancio condotta la cosa, e per le saggie provvidenze governative, e per i prudenti consigli dell’esperienza, e per gli studi fatti sulle cause delle disgrazie stesse o accadute o possibili ad accadere, ora le strade ferrate in mezzo alla più affollata concorrenza vanno quasi immuni da sinistri, e sono scevre da pericoli in modo che, fatto il ragguaglio, or sono in maggior numero le disgrazie che accadono con i mezzi ordinari, di quelle con le strade ferrate, come sulle osservazioni fatte in Inghilterra, ne fa fede il sig. Cordier nel suo discorso su tale oggetto fatto alla camera dei deputati di Francia il 5 giugno 1845 riportato nel Moniteur universel 6 giugno 1845 n.° 157 «Les accidents de voyage, dice egli, soni moins nombreux sur les chemins de fer, que par les diligences sur les grandes routes: en Angleterre ou a constaté que sur 532 personnes mortes ou blessées en voyage en diligence, à cheval, ou par Rail-Wayl dans une année, le nombre des accidente sur les Rail-Wayls, n’a pas depassé 109, ou le cinquième. Mais, saviamente osserva egli, le nombre des vojageurs étant trois fois plus nombreux, que par les autres modes de transport, il en résulte que les chances d’accident sout quinze fois moindres sur les chemins de fer, qu’en diligence, [p. 29 modifica]en chaise de poste, ou à cheval sur les grandes routes ».

Se dunque i temuti pregiudizi non hanno peso, restano solo i vantaggi che sono immensi, tanto materiali, quanto morali; non meno che individuali ed universali. Se si guarda il commercio, fruisce della minorazione delle spese di trasporto, e della immensa sollecitudine che rende commerciabili molte cose, che coi mezzi ordinari restano giacenti e prive di valore. Se si guardano gl’individui, godono del risparmio della spesa, e più valutabilmente del tempo che è di gran lunga preferibile alla stessa spesa; non che della inalterabile sicurezza in viaggio, non potendo questa in verun modo venire alterata. Se si guarda il Governo, è favorito dalla prontezza nel pubblico servizio della corrispondenza, e da significanti risparmi sulle stazioni postali, sul mantenimento dei corrieri, sui movimenti della truppa, e su tutti gli altri trasporti che ogni giorno gli occorrono.

Ai quali immensi vantaggi materiali si aggiunge l’altro morale non meno valutabile del miglioramento della società che viene per conseguenza immancabile dell’aumento dei rapporti sociali; imperocchè è certo, che coll’avvicinamento cessano le inimicizie e le antipatie, cui subentrano le relazioni, e le affezioni vicendevoli; di che è facile il persuadersi, considerando l’immensa diversità che passa nella condotta, e nelle abitudini degli uomini che menano vita selvaggia in luoghi inospiti, dagli altri che vivono in società, ed in continue relazioni.

Se imponentissimi sono i vantaggi sopranunciati, a quale immensità si eleveranno i vantaggi stessi cumulandovi quelli che ridondano sugl’interessi universali? Ma poichè di cosa trattasi non ipotetica e nuova, ma già adottata ed in uso presso quasi tutti i popoli civilizzati, sono di maggior peso e di assai più efficacia gli [p. 30 modifica] argomenti che il fatto e l’esperienza somministra, che quelli astratti ed opinativi. Uomini reputatissimi e competentissimi per i profondi e lunghi studi fatti sull’oggetto hanno portato sui risultati delle strade ferrate tutta la loro attenzione, e le loro osservazioni devono esser di molta importanza in questa disamina. Lo steso sig. Cordier così alle Camere dimostrava l’utilità delle strade ferrate. «Un bon chemin de fer procure en 18 ans aux villes qu’il unit et aux pays qu’il traverse un bénefìce, résultant de l’économie des transports, double du capital dépensé pour son execution. Par exemple le chemin de fer de Manchester a Liverpool de 48 kilomètres de longueure, donne une economie annuelle de frais de transport sur les marchandises de

1,500,000
«et pour les personnes 2,500,000

«Total par an 4,000,000

     «Et pour les 18 ans dépuis l'oruverture 72,000,000
     «Il a couté 37,000,000

«Le bénefice obtenu par le public est donc déjà double de la depense totale de sa construction, et sans tenir compte des intérêts du 12 pour % par au que les actionnaires retirent des leurs actions, ou avances. Les divers chemins de fer de l’Angleterre ayant déjà couté

1,200,000,000
     «Et étant d'une valeur actuelle de 1,800,000,000
     «D’aprés le prix courant des actions, on peu évaluer à 2,000,000,000

«les profits que le pays aura réalisés en 20 ou 30 ans par l’influence de ces voies nouvelles. L’économie de temps est bien plus precieuse encore que celle d’ [p. 31 modifica]argent. Elle a même de la valeur quant au transport des marchandises sur le chemi de fer de Manchester à Liverpool. Le temps épargné par tous les voyageurs, en raison de la plus grande vitesse, est par an de

400 ans
«et pour 18 ans 7200 ans »

Moniteur 6 giugno 1845 n.°157.

Il moto universale del commercio, e degl’individui aumenta immensamente i consumi, e per conseguenza la produzione, in guisa che rifluendo, cagiona rilevante aumento nel valore dei fondi, e così si accresce la ricchezza nazionale. Da quest’aumento immancabile e di produzione e di consumazione e di valori ne conseguisce rilevante vantaggio il pubblico erario nella percezione dei dazi fiscali, e da questi motivi rimangono giustificate quelle concessioni che i governi s’inducono a fare a tali imprese.

Oltre questi generali vantaggi, non sono di minor momento quelli che nella specialità della sua situazione derivar possono allo stato Pontificio, come si dimostrerà al num. IV.


III.

se un ritrovato che influisca sulla generalità, e sia generalmente adottato, possa essere da alcuni rigettato


Erano in uno stato quasi stazionario in Europa le manifatture, ove più, ove meno esercitate secondo l’indole, e l’attitudine delle diverse nazioni, allorchè eccitò la universale meraviglia l’attivazione delle macchine, prima mosse colla forza degli uomini, o dei cavalli [p. 32 modifica] o dell’acqua, e quindi con quella del vapore, già come abbiam detto da tanto tempo conosciuto nel suo principio: le quali adottate ed applicate a quasi tutte le fabbriche in Inghilterra, ed in Francia, per le prime, rese queste due nazioni quasi le privatarie universali provveditrici delle manifatture.

Fu al certo grande la sorpresa che nella società produsse l’applicazione del vapore alle macchine manifatturiere. Allorchè poi questo nuovo agente si applicò ai mezzi di trasporto, prima marittimi, risolvendo così il problema fino a nostri giorni insolubile di vincere la potenza del mare, subordinandola al calcolo di spesa, e di tempo; e quindi terrestri, facendoli percorrere sopra strade a tal uopo costrutte che si chiamano ferrate, ponendo così a contatto immense distanze, il trambusto fu straordinario, per le vaste conseguenze e gli strepitosi effetti che questa applicazione dovea recare nei rapporti commerciali e sociali. Ma non era a meravigliarsi se nel tempo in cui gli uomini sono specialmente stimolati di moltiplicare e facilitare le comunicazioni, che è appunto una conseguenza di quell’istinto, e tendenza che è elemento essenziale della loro stessa natura, si facessero ad applicare il nuovo motore a questo importantissimo scopo.

Questo modo di percorrere con uomini e merci immense distanze colla celerità quasi del lampo, e con tenue spesa, rendeva alla nazione inglese un vantaggio incalcolabile sopra le altre, recando a tutte le sue manifatture ad infimo costo. Ciò che fu in lei libera speculativa scelta, fu necessità nelle altre, onde non essere sopraffatte nella gara commerciale; quindi, come avvenne nell’applicazione del vapore alle machine in genere, l’America, la Francia, il Belgio, l’Olanda, la [p. 33 modifica] Prussia, la Germania, la Russia, l’alta e la bassa Italia, e perfino le Indie costrussero, e stan costruendo strade ferrate, cosicchè sarebbe con questo mezzo aperta fra poco la rapida comunicazione da Napoli alle più lontane regioni.

In tale stato di cose non è difficile conoscere quale sarebbe la condizione di quello Stato, che persistesse nella posizione eccezionale di escludere nel suo interno l’uso e la varia applicazione delle macchine a vapore. Le manifatture sotto tutti i loro rapporti sarebbero ad un prezzo così al di sopra delle straniere, che qualora si pretendesse ottenere l’equilibrio commerciale coll’asprezza eccessiva delle leggi daziarie, il contrabando con tutti i suoi immorali accessorii ingigantirebbe a fronte dei più efficaci e rigorosi mezzi di repressione. Or che sarebbe se le merci estere si trovassero affollate ai suoi confini? Quale umana forza o mezzo di materiale impedimento potrebbe far argine a questa vera alluvione? L’ostinata nazione verrebbe ad esser soffocata dall’affluenza straniera, poichè tutti, in possesso dei mezzi più perfetti ed economici, le innalzerebbero all’intorno una barriera insormontabile che torrebbe ad essa la vitalità sociale, nè potendo trovarsi la risorsa ne’ mezzi indiretti, forza è livellarsi, adottando quei mezzi stessi resi a tutti comuni.

Non v’ha dubbio che, come dice un moderno autore, l’utilità delle macchine e dell’applicazione del vapore, come in tutte le altre umane cose, diminuisce in quelli che primi le adottarono, secondo che l’uso estendendosi, viene adottato anche dalle altre nazioni. Imperocchè è certissimo, che i vantaggi eccezionali spariscono allorquando le risorse parziali e di eccezione, generalizzandosi, vanno a divenire stato normale di tutta la società locchè dimostra che quei vantaggi di privilegio ed [p. 34 modifica] eccezione sono a spese e danno di coloro che non si trovano in possesso dei medesimi beneficii. La qual massima conferma l’argomento, e forma una maggiore e fortissima ragione, che persuader deve quegli Stati che siano da altri vinti con qualche nuova invenzione e ritrovato, di giovarsene coll’adottarlo, onde porsi a livello; e quindi di entrare a parte del comune beneficio, anzichè coll’ostinata ripulsa delle migliorie costituirsi passivamente in beneficio altrui.

Le cose sono diverse, ma i principii sempre eguali. Queste nuove scoperte nei loro effetti sono simili a tante altre che le hanno precedute. Che un popolo, una nazione, un governo si fossero ostinati di non ammettere presso di loro, le nuove scoperte della stampa, della polvere, della bussola, i loro copisti avrebbero perciò sopravvissuto? I loro Stati sarebbero rimasti indipendenti? La loro marina avrebbe continuato ad esistere? Ma l’avvedutezza e più la necessità avendo resi comuni tutti quei ritrovati, venuto ciascuno in possesso dei mezzi e delle armi degli altri, sono le cose tornate all’antico livello, ed i vantaggi, resi universali e normali, sono a prò di tutti, a danno di nessuno.

Discende da ciò evidentemente, che può dissentirsi sull’adozione di un nuovo ritrovato, allorchè questo si presenti in origine, ma se venga adottato dai più, sorge allora la necessità che imperiosa colle inesorabili sue leggi lo impone, sotto pena di rimanere distrutto, oppresso, schiacciato.


IV.

se particolarmente convenga adottare le strade ferrate nello stato pontificio.


Dopo aver ragionato nelle viste generali sulla [p. 35 modifica] convenienza dell’adozione delle strade ferrate, fa mestieri venire al concreto pel caso nostro; perchè le circostanze speciali di uno Stato potrebbero farle ad esso più o meno convenire. Ma sono desse di così certa, così universale utilità che, a supporre un caso di eccezione, conviene imaginare uno Stato, una nazione, non reali ma ipotetici.

Quello Stato, per esempio, che si trovasse situato in regione disastrosa, dal quale molti potessero desiderare allontanarsi e pochi accedervi; che si trovasse mancante di rapporti attivi, per cui pochi avessero interesse di portarvisi; che mancasse di qualunque influenza, in guisa che raro fosse il bisogno delle comunicazioni; questo Stato dovrebbe ben calcolare sulla convenienza dell’attivazione di un mezzo che facilita i trasporti, e le emigrazioni.

Ma per quello che si trovasse in diversa posizione, come avviene allo stato Pontificio, a persuaderne l’adozione trovasi talmente collegata l’evidenza de’ vantaggi con l’imponenza della necessità, che non si possa di quelli parlare senza mostar questa. Tali considerazioni, che speciali militano a consigliare energicamente allo Stato pontificio l’adozione di questo nuovo ritrovato, sono evidentissime ed importantissime, per cui le veniamo ad enumerare.

Requisiti della Capitale e del suo territorio

La situazione di questo nostro territorio, il suo bel cielo, il dolce clima, la riunione di tanti e sì cospicui monumenti antichi e moderni, invitano gl’intelligenti ed i curiosi dalle più lontane regioni, per osservare i prodigi dell’arte delle diverse epoche. Dal concorso di [p. 36 modifica] questi, se tutti gli Stati ne risentono vantaggio, e tutti avidamente li desiderano, il nostro maggiormente deve ambirli, e perciò rimuovere tutti gli ostacoli e presentare tutte le facilitazioni, perchè da essi è formata la sua risorsa, ed è ripianata quella deficenza che presenta costantemente la sua bilancia commerciale.

A ciò si aggiunga che la capitale dello stato, Roma, estendendo la sua supremazia su tutto l’orbe cattolico, è nella positiva necessità di primeggiare nelle facilitazioni per accedervi, sì per alimentare la divozione ai luoghi santi, alle ecclesiastiche funzioni, ed al venerando Capo Visibile della Chiesa, sì per trattare gli affari di religione con tutti i tribunali ecclesiastici che hanno in Roma residenza.

Ma si oppone, essere un fatto a tutti noto, che le strade ferrate sono una invenzione nuova, e che sebbene queste non abbiano mai esistito, nè tuttora esistano conducenti a Roma, pure le attrative di questa capitale, e gli affari che vi si trattano vi richiamano incessantemente copiosa folla di forastieri, per cui, senza questo mezzo, già si gode il benefizio che da quelle si promette.

È facile il rispondere, che nello stato passato e presente, pressochè uniforme generalmente delle vie di comunicazione, indifferentemente i viaggiatori si diriggevano e si diriggono verso uno od un altro luogo, e che Roma ne attira a se gran parte finchè le sue interne attrattive lottano ceteris paribus con altre capitali, o primarie città; ma tolta che sia quella parità di mezzi di accesso, la tendenza generica tanto ora estesa del viaggiare, prenderebbe certamente la direzione cui giunger si possa coi mezzi più pronti, più facili, più economici, i quali con tanto minor tempo, spesa e disagio [p. 37 modifica] appagano il vago desiderio che stimola. Allora accaderebbe che i viaggiatori si ridurrebbero a quelli di pura necessità.

A ciò pur si aggiunga il riflesso, che, essendo per lo Stato attivo il movimento de’ viaggiatori, ora avviene che, esclusi quei che viaggiano in posta, tutti gli altri vengono con estere vetture, e così il ramo delle vetture non è attivo. Laddove, attivate le strade di ferro, quando l’impresa di queste fosse nazionale, simile attività si ricuperebbe, e tutta la spesa che incontrano i viaggiatori resterebbe a profitto dello Stato.

Interne circostanze dello Stato

Questo Stato ha ragioni interne per desiderare la facile circolazione dall’una all’altra estremità. Il nostro suolo, pel clima e la dolce temperatura in cui giace, fornisce, oltre i generi di prima necessità, dei prodotti agrari, che la rigida o bruciata temperatura nega ad altri paesi. Questi sono limitati al ristretto consumo dei luoghi ove si producono, perchè non può garantirsene la conservazione in viaggi di grandi distanze e di lungo tempo, talchè ne viene trascurata la produzione. Tolte, direm quasi, le distanze, e quindi ristretto il tempo, se ne attiverebbe lo smercio, perciocchè la produzione si aumenterebbe, ed avremmo una nuova e ricca sorgente di traffico attivo anche colle estere e lontane nazioni; e questo beneficio potrebbe divenir cosa di grave importanza, sia coll’aggiunger pregio a quei prodotti che già si hanno, sia coll’eccitare la maggior produzione di quelli che si trascurano. Tale vantaggio non si apprende col vedere le cose nello stato attuale; imperciocchè è un canone incontroverso di pubblica economia, che la consumazione anima la produzione, essendo certo [p. 38 modifica] che non si procuri quella produzione di cui non ne sia sperabile l’esito. Quindi sperimentato in lontane regioni l’esito vantaggioso di tante cose, le quali il nostro clima ha la facoltà ad altri non comune di produrre, se ne vedrebbe il prodigioso aumento di produzione, e sorgerebbero valori immensi da tanti articoli, che ora poco si curano, o non si producono affatto.

La facilità delle comunicazioni poi toglierebbe un certo attrito fra le due parti in cui lo Stato è diviso dagli appennini; imperocchè al Nord abbondano gli operai, ma sono inferiori i prezzi de’ generi, e così resta compensata la minor mercede; mentre al Sud più cari si vendono i generi, ma più costose sono le mercedi. Quando scomparissero le distanze e i disagi, si livellerebbero le mercedi ed i prezzi, e così troverebbero le due parti dello Stato la perfetta eguaglianza. E non solo su i raccolti di annuale produzione simile disordine si avvera, ma nel ferro, nei legnami da lavoro, nei combustibili ed in altro, che mentre ne abbonda la parte meridionale non può somministrarne a quella settentrionale per la grave spesa di trasporto, e così dessa è costretta provvedersene all’estero.

Ma l’attrito fralle parti che costituiscono lo Stato è ancor più importante. Le diverse provincie, esaminate sotto i rapporti della popolazione sulla superficie, del prodotto in generi annonari sulla stessa superficie, e del prodotto in generi per vitto degli uomini sugl’individui, presentano rimarchevolissime diversità1. Sotto il primo rapporto della popolazione sulla superficie (esclusa la provincia di Benevento perchè isolata nell’interno del [p. 39 modifica] regno di Napoli), la provincia di Ancona è la più popolata e presenta individui 2-46 sopra ogni rubbio di superficie, e quindi gradatamente diminuendo, la più spopolata è la provincia di Civitavecchia con individui 0-25. Sotto il secondo rapporto del prodotto in generi annonari sulla superficie, si scorge la più ubertosa la provincia di Ravenna con rubbia 2-65 di prodotto sopra ogni rubbio di superficie, da cui per gradi scendendo la più sterile è quella di Spoleto con 0-37. Sotto l’ultimo rapporto dei generi per vitto degli uomini sugl’individui, il maggiore eccesso si scorge nella provincia di Civitavecchia, presentando rubbia 2-11 di generi per ogni individuo, da cui sempre diminuendo, il più deficiente è l’agro romano, perchè lo grava la popolazione di Roma, stando in questo la produzione a 0-43 per individuo.

Quelle stesse popolazioni però che sono deficienti nei generi annonari sono esuberanti in altri prodotti, e vivono colla permuta degli uni cogli altri; in guisa che il mezzo per la facile circolazione degli uomini e dei generi dai luoghi ove abondano a quelli ove mancano, solleverebbe gli uni e gli altri, favorirebbe la maggior produzione e renderebbe tutti felici.

Oltre queste ed altre considerazioni che per brevità si omettono, non può in tale argomento preterirsi di fare speciale menzione delle nostre campagne dell’agro romano e di alcune delle prossime provincie, le quali e per la loro vastità, e per la singolarità di loro coltura, esigono il più grande interesse, e richiamar devono la più seria attenzione.

Non possono queste aspirare a quella perfezione di coltura, di cui la loro fertilità le rende suscettibili, per difetto di braccia corrispondenti alle lavorazioni che esigerebbero. Abitanti propri non ha, e la coltivazione si [p. 40 modifica] fa col mezzo di coloro, che da più o meno lontani paesi vi si recano, ed in specie dalle Marche e dalla Romagna. Questa circostanza influisce in due sensi diretti a danno della nostra agricoltura, essendo causa di scarsezza di braccia, e di assai elevata mercede. Il lungo ed incomodo viaggio, il tempo e le spese per farlo, abbandonare per molto tempo il paese proprio e la famiglia, le sinistre eventualità cui espongono i disagi del camino e l’insalubrità del clima, sono tutte rilevantissime circostanze che diminuiscono il numero de’ concorrenti, e sostengono la mercede ad un saggio altissimo, per cui rimane la coltivazione limitata a pochi generi, e questi si ottengono a sì caro prezzo, che torna a pregiudizio dei produttori stessi e dei consumatori.

Diminuiscansi, ed in parte tolgansi colle strade ferrate tutti quei contrari elementi, e ne spariranno in proporzione le funeste conseguenze. Quanti che per età o per riflessione non vogliono ora o non possono esporsi al lungo viaggio, ed alle eventualità cui li assoggetta, lo potrebbero e vorrebbero raccorciato che fosse il cammino, e nella sicurezza di poter tornare alle loro case ad ogni occorrenza senza incomodo, e con poca spesa e tempo? Quanti potrebbero essere al lavoro nelle nostre campagne, e nei dì festivi in seno delle loro famiglie? Non andrebbe errato chi dicesse che tolti tanti disagi, pericoli, tempo e spesa, e sostituita tanta facilità e comodità, l’attual numero de’ lavoranti campagnoli verrebbe raddoppiato e triplicato.

Ma suppongasi lo stesso numero, e calcolisi quanto tempo si risparmierebbe, e conseguentemente si donerebbe al lavoro; quanto risparmio si otterrebbe nelle spese di viaggio degli operai; quanto vantaggio si porterebbe alla salute dei medesimi: cose tutte che [p. 41 modifica] rifluirebbero nella massa sociale a vantaggio dei proprietari, dei lavoratori e dei consumatori, e si vedrà facilmente di quali immensi vantaggi l’adozione delle strade ferrate sarebbe sorgente.

Che anzi tanto vasto si ritiene sotto questo rapporto l’effetto delle strade ferrate e di tanta efficacia, da poterne vaticinare e ragionevolmente sperare la sempre bramata e sempre invano ricercata soluzione dell’importantissimo problema della colonizzazione dell’agro romano e di alcune attigue province, come questo deserte e squallide.

Viene generalmente deplorato lo stato di queste campagne altronde fertilissime; molti hanno scritto su quest’argomento proponendone la colonizzazione in vari modi e con diversi mezzi, ma tutti impraticabili o inefficaci sono restati nell’imaginazione.

Nell’appendice ai cenni economico statistici, trattammo questa materia; e consultati tutti i pareri valutabili in argomento, dimostrammo che la colonizzazione ad un colpo non era ne utile, ne sperabile.

Il mezzo che presenterebbero le strade ferrate, sarebbe l’unico da vincere l’imponenza delle contrarie circostanze, imperocchè, sovrabbondando la popolazione nelle Marche e nella Romagna, i contadini di quei luoghi intraprenderebbero la bonificazione e la coltivazione delle nostre campagne, incominciando col ritornare ai loro paesi nella stagione estiva, e quindi a misura che le piantagioni, le fabbriche od altri bonificamenti migliorassero l’aria, e che vi si domesticassero, incomincerebbero a rimanervi stabilmente, ed in tal guisa le campagne nostre cambierebbero d’aspetto.

Il miglioramento dell’aria potrebbe essere con efficacia coadiuvato dal governo, col dare esecuzione alle [p. 42 modifica] prescrizioni del motu-proprio su i lavori pubblici, dei 23 Ottobre 1817. 2 [p. 43 modifica]

Da questa conseguenza delle strade ferrate, si otterrebbe un considerabile aumento di ricchezza. Le campagne inabitate che compongono l’Agro romano ed alcune delle limitrofi provincie, ora possono valutarsi ragguagliatamente del prodotto di 10 il rubbio al più a favore del proprietario, quando i terreni vestiti di mediocre qualità nelle Marche e nelle Romagne non rendono meno di 30. Ecco dunque triplicata la rendita ed in analogia triplicato il valore dei fondi, e siccome questa sorte caderebbe sopra un estenzione di 234/m rubbia di terreno, produrrebbe un aumento nella rendita di oltre quattro milioni di scudi annuali, e con questo l’aumento di una ricchezza in capitale di più di ottanta milioni di scudi: aumento che si anderebbe a conseguire di mano in mano che si ottenesse la concorrenza degl’agricoltori a migliorare; il che potrebbe forse lentamente accadere, ma giammai mancare.

Bisogni del commercio

Parlando del commercio, intendiamo ritenerlo nel senso economico, anzichè in quello legale; nel senso economico cioè, che comprende il movimento in genere di tutti gl’interessi, e non si limita alle contrattazioni di oggetti di consumazione e loro dipendenze, cui legalmente si ristringono i privilegi commerciali.

Guardato sotto quest’aspetto lo Stato pontificio si osserva estremamente languido. Qui la produzione di alcuni generi, che sarebbe in grado eminente favorita dalla natura, viene contrariata e paralizzata dalla mancanza di smercio all’estero, per l’elevatezza del costo, ed anche impedita nell’interna circolazione, se non che a grave spesa. Qui alcune delle materie prime [p. 44 modifica] rimangono nello stato grezzo, per mancanza d’industria manifatturiera, e come tali sono negoziate all’estero per riaverle manufatturate a tutta perfezione ad un prezzo più che decuplicato. Qui, sia causa, sia conseguenza degl’inconvenienti premessi, accadendo l’opposto di ciò che ovunque si osserva, che un movimento l’altro richiama, un impedimento l’altro suscitando, tutto rimane inerte e stagnante.

Da questo stato di cose deriva ove la scarsa rendita dei fondi, ove la mancanza di lavoro per gli operai, ove la scarsezza del numerario; e nell’insieme un attrito di circostanze che paralizza il moto della macchina commerciale con detrimento della condizione materiale e morale, e pubblica e privata. Dal che ne siegue scarsezza nei consumi, ristagno nelle contrattazioni, bassezza nei valori; cose tutte che, oltre nuocere all’interesse privato, detraggono pure alle pubbliche rendite, come in fatti talune se ne osservano ad un limite che è molto inferiore alle giuste proporzioni.

Scendendo ancora da questa sfera di elevate considerazioni a quella più ristretta del commercio manufatturiero, siamo vinti nella lotta da tutte le estere nazioni, perchè mai nè stimolati nè incoraggiati in quella tendenza, manchiamo non che di ogni strumento, di ogni pratica cognizione; quindi si rende indispensabile che fino a quando ci riesca di emergere, continuiamo nella qualità tributaria delle estere nazioni; e nel frattanto, sarà sempre vantaggioso ogni mezzo che attenui la passività risultante dall’estera importazione, minorandone il prezzo ed i suoi accessori.

Il lusinghiero avvenire, che ci si presenta per volere della divina provvidenza, ci presagisce la rigenerazione e la vita dello Stato ad un grado che nessun altro ne [p. 45 modifica] potremo invidiare, e speriamo, anzi riteniamo certo, che dal canto della popolazione non mancherà nè impegno, nè intelligenza.

Favori che ripromette la presenza dei due mari

Lo stato pontificio, che situato a mezzo dell’Italia, trovasi fiancheggiato da due mari, l’Adriatico ed il Mediterraneo ne reclama altamente la comunicazione, senza giungere ad Otranto e passare il Faro per ottenerla o dipendere da scali di altri Stati.

Tale comunicazione fu reputata sempre utilissima allo stesso stato, per due importantissimi motivi. Il primo, per avvivare il porto di Ancona, stato sempre lo scalo del levante, e quello di Civitavecchia atto a fruir della stessa circostanza pel ponente, e quando fossero in facile comunicazione fra loro, potrebbero recare al commercio immensi vantaggi; e l’altro per togliere la sproporzione dei prezzi su’ diversi generi fra l’una e l’altra spiaggia. Sono noti i progetti in altri tempi apparsi per ottenerla, anche col difficile e dispendiosissimo mezzo di un canale naviglio d’incerta riuscita. E nello scopo di tale comunicazione, indipendentemente dai vantaggi particolari allo Stato pontificio, istancabilmente si opera all’estero, studiando di combinarla all’infuori dello Stato medesimo, e può già dirsi che l’alta Italia l’abbia ottenuta mediante la gran linea Ferdinandea in costruzione da Venezia a Milano, in guisa che non resta a desiderare che il corto tratto da Milano a Genova; e nella parte inferiore il regno di Napoli se n’è pur messo in possesso, avendo già il Re decretato quella fino a Barletta. [p. 46 modifica]

Vedute per loro stesse queste due comunicazioni, che si possono considerare già adottate, non impongono in modo da fare alterazione al vantaggio attendibile dalla comunicazione di Ancona con Civitavecchia, perchè quelle si prestano al commercio nelle due estremità d’Italia, e distano fra loro da sei a settecento miglia; quando altronde i due porti dello Stato pontificio, troncherebbero appunto la lunghezza d’Italia a metà; ma sarebbe non di meno fatale che il commercio mettesse le sue radici nelle due comunicazioni che ci precedessero, nel qual caso ognuno può argomentare qual sensibile danno verrebbe allo Stato. Quando in vece, giunti in tempo ad attivare collo spazio di sei o sette ore, la comunicazione diretta fra Civitavecchia ed Ancona3 nessun viaggiatore diretto da ponente per levante e viceversa farà più il giro dei due mari, e forse ancora a moltissime delle merci meglio converrebbe fare la traversata da un porto all’altro col mezzo della strada ferrata, che mediante il giro suddetto.

Per i viaggiatori l’effetto è immancabile, perchè il viaggio per mare da Ancona a Civitavecchia con bastimento a vapore (sebbene ancora destinati a questo viaggio non esistono) esigerebbe per lo meno quattro o cinque giorni di tempo, e 30 scudi di spesa; quando che col mezzo della strada ferrata il tempo si restringe a sei o sette ore, e la spesa a quattro scudi al più.

Potrebbe per le merci istituirsi un calcolo di economia, dicendo. I trasporti da Ancona a Civitavecchia sopra bastimento alla vela si pagano scudi cinque la tonnellata, mentre sulla strada ferrata costerebbero fra gli [p. 47 modifica]scudi sette e gli otto; ma col bastimento alla vela si richiede ragguagliatamente un mese di tempo, e colla strada ferrata giunte le merci all’un porto la mattina, potrebbero trovarsi all’altro la sera dello stesso giorno. Quest’immenso vantaggio, in molti casi necessario, in tutti valutabilissimo, produrrebbe senza dubbio l’affluenza delle merci nella strada di comunicazione; e tanto più è certo che quest’affluenza avverrebbe, quanto che è incontroverso che nelle speculazioni commerciali la brevità del tempo e la sicurezza dell’arrivo costituiscono i primi elementi, poichè si deplorano continuamente dei casi, nei quali le più belle speculazioni fallirono decisamente pei ritardi incontrati in viaggio.

Oltre tutte le circostanze fin qui cadute in considerazione, altra rilevantissima ne sopravviene, e mette il colmo all’utilità ed alla necessità insieme, ed è la seguente. È manifesto, che in seguito dei fortunati tentativi dell’inglese sig. Waghorn (come già la corrispondenza dimostra) l’intero commercio fra l’Indie e l’Europa nella principalissima veduta di economizzare particolarmente il tempo, deviando dall’attuale via, prenderà quella dell’Istmo di Suez. È questo un avvenimento che pone l’Italia tutta, per la sua geografica posizione, nel caso di prendere una parte importantissima ed essenziale nei sociali e commerciali rapporti, che sonosi attivati, e che si attiveranno sempre più nelle sempre crescenti comunicazioni asiatiche ed europee, sia che venga percorsa longitudinalmente, o trasversalmente, operando le comunicazioni dei due mari Mediterraneo ed Adriatico, che la lambiscono ai suoi lati. Questa grande rivoluzione è interessante per la nostra Penisola cui può arrecare, come dice, il sig. Petitti «immensi vantaggi, se Governi, naviganti e trafficanti san trarne partito. [p. 48 modifica]

Il miglior modo che lo stesso autore (p. 26.) opina doversi tenere in quelle comunicazioni è, che «la valigia dall’Indie portata ad uno degli scali della bassa Italia come Otranto, Taranto o Brindisi o dell’Italia centrale come Ancona, andasse di poi per vie ferrate oltre le Alpi al Reno, e quindi ad Anversa od Ostenda». Siccome lo scopo potissimo di questa commerciale rivoluzione è l’economia di tempo e di spesa, ognun vede, che le strade ferrate sono la condizione essenziale, perchè un paese sia ammesso alla partecipazione de’ vantaggi che ne seguono. Qualunque sia la direzione che venga preferita, il territorio dello Stato pontificio è chiamato a farne parte attivamente.

Non sarà inopportuno però di prendere ad esame le indicazioni dateci dal sig. Petitti degli scali della bassa Italia, che potrebbero prestarsi a queste comunicazioni, come pure dimostrare, che Civitavecchia ancora potrebbe entrare in concorrenza, e figurarvi la parte sua. Ed in primo luogo manifesteremo le nostre gravi difficoltà nel credere che Otranto, Taranto e Brindisi possano presentare interesse, per esser poste in comunicazione le corrispondenze per mezzo delle strade ferrate coll’Italia centrale, e quindi colle Alpi, attesa l’estremità della loro posizione, talmentechè la sola Ancona ci sembrerebbe presentarsi a proposito sull’Adriatico; e diciamo più a proposito perchè se prolungarebbe il viaggio per mare, abbrevierebbe quello per terra che è sempre più costoso.

Ma anche Civitavecchia per la sua felice situazione merita di esser presa in speciale considerazione, imperocchè da Civitavecchia ad Alessandria d’Egitto, passando fra la Sicilia e l’Africa, vi è una linea navigabile di miglia marine

1213 [p. 49 modifica]
Passando per il faro di Messina, miglia marine 1081
Da Ancona ad Alessandria d'Egitto, miglia marine 1141

Per un piroscafo, la linea navigabile di maggior convenienza da Civitavecchia ad Alessandria, è più breve di quella d’Ancona a quel porto egiziano di miglia 60. Oltre a ciò il passaggio del faro di Messina è molto meno difficoltoso della navigazione del golfo Adriatico.

Anche un bastimento a vela incontra maggior difficoltà nel navigare l’Adriatico, che passare il faro di Messina, ma, volendo evitare il detto faro, si ha la linea: fra la Sicilia e l’Africa, la quale, abbenchè più lunga di miglia 72 di quella d’Ancona, è però sempre preferibile per la più libera navigazione di altura. Il Golfo Adriatico è uno de’ mari i più tempestosi per i suoi venti di Bora e di Scirocco, non che pericoloso per la sua ristrettezza, poco fondo e mancanza di porti nella costa italiana.

Non è da tacersi che le merci e i passeggieri diretti al Nord che si trovassero a Civitavecchia, saranno in una posizione deteriore a fronte di quelli che si trovassero in Ancona. I diversi casi di convenienza possono esser di norma per la scelta ai viaggiatori ed al commercio.

Lo Stato Pontificio dunque, oltre le ragioni generali, ne ha tante e così potenti sue particolari per non dovere nè dubitare nè ritardare l’adozione che nulla più, e ricusando o ritardando di entrare a parte della grande operazione coll’indugiare la costruzione delle strade ferrate, che concorrano a formare la nuova via che si vagheggia nei grandi e generali interessi sociali e commerciali, potrebbe forse in qualche parte parzialmente ostare al progettato sistema di comunicazione, ma non certo impedirlo; e quindi se sia di poca entità il danno che può venirne al sistema, il quale dovrebbe [p. 50 modifica] ripiegare altrimenti per l’interrotta comunicazione, sarebbe però gravissimo, immenso, e forse irreparabile quello che ricadrebbe sullo Stato stesso per esser così segregato e disgiunto, pel difetto di egual mezzo di contatto, dai grandi rapporti.

Nè avrebbe bastato opporre, che la cosa non sia urgente, e che ammesso pure il danno, può questo facilmente ripararsi, poichè la geografica situazione nostra, che è la base principale dell’argomento, rimanendo sempre la stessa, qualunque dilazione si frapponga, potrà sempre farsi e con la medesima utilità quello che or non si facesse. Nò, perchè il perduto è sempre perduto, ed in materia commerciale l’occasione è come il tempo, il quale fuggito che sia non si ricupera mai più. «Se l’impresa d’una strada ferrata, dice il Pezzato, manca o si dilaziona, ecco una somma d’interessi o traditi o compromessi». Poi, ognun sa, che il commercio ha pure le sue abitudini, e se il più piccolo vantaggio a cosa vergine può bastare perchè si adotti una anzi che un’altra via, preso però un avviamento, contratta e radicata un’abitudine, non bastan qualche volta le più evidenti ragioni per deviarne. Gli usi presi, i rapporti contratti, la garanzia dell’esperienza, sono tutte rilevantissime circostanze, le quali favoriscono la strada vecchia a fronte di utilità eguali, o dubbie, o non rilevantissime.

Tutte queste ragioni di utilità, e di assoluta necessità dimostrano ad evidenza non potersi nel territorio pontificio non solo ricusare, ma neppur ritardare la costruzione delle strade ferrate; ma in bocca nostra possono esser sospette come dettate da soverchio amor di patria; concluderemo quindi col trascrivere letteralmente l’opinione del coscienzioso sig. Petitti, ove appunto [p. 51 modifica] nella citata sua opera parla degli Stati pontificii. «Gli Stati pontificii, dice Egli, posti nell’Italia centrale, sono in condizione molto favorevole per aver linee di strade ferrate, le quali sarebbero non solo interessanti, e fondatamente presentano utili nel rispetto del commercio interno; ma offrirebbero ancora al commercio esterno tali vantaggi da rendere quelle linee, ove siano ben ordinate, di una grand’importanza non che italiana, europea.

«Il Governo Pontificio poi specialmente ci pare il più interessato nell’assunto, perchè è quello, cui sì nel rispetto economico, che nel morale della maggiore sua influenza religiosa, debba premere di accrescere e di facilitare l’arrivo a Roma di un maggior numero di forastieri provenienti da ogni parte della cristianità .  .  .  .  .  .  .  .

«Se a siffatte considerazioni troppo evidenti, relative all’interesse di ogni luogo, aggiungiamo poi ancora quella grandissima prima notata dell’immenso vantaggio che deriverebbe a tutta la Penisola, e specialmente allo stato Pontificio, dal transito lungo di essa, perciò anche di questo, del commercio di tutta Europa coll’Oriente; di leggieri si potrà comprendere come debba premere a quel Governo di non lasciare sfuggire l’occasione di procurarsi un tal beneficio. Perocchè, trascurata una tale occasione, si fa, per chiunque sia anche men perspicace, evidentissimo che aperte dovunque le nuove vie di comunicazione, e facilitato con favori, e con comodi di ogni maniera il transito delle persone, e delle merci per altra parte, lo Stato che persisterà a non entrare in un consimile sistema, sarà per l’avvenire condannato ad una pregiudizievolissima segregazione; e quindi non solo non conseguirà alcuno de’ profitti ingentissimi che [p. 52 modifica]ritraggono quegli Stati, dove con più savio consiglio seguesi un opposto sistema; ma pur anco perderà gli stessi utili ricavati nell’attuale condizione di cose».

Conclude poi «Che mentre tutto l’orbe incivilito adotta le nuove vie di comunicazione, anche per coloro che più sarebbero esitanti sulla reale ed intera utilità di esse, dovrebbe chiamarsi gravissimo errore di Governo il non entrare nello stesso sistema. Perocchè, mentre da una parte si rinuncia incautamente ai vantaggi che esso può procurare, anche ridotti di tutto ciò che le illusioni dell’opinione favorevole per quelle vie può imaginare di men fondato; dall’altra per scansare pericoli insussistenti, od almeno facilissimi a prevedere, ed a rimediare, s’incontrano pericoli ben più gravi, che possono render danni maggiori ancora dei temuti .  .  .  .  .  .

«Coteste diverse considerazioni sembrano dunque di per se stesse troppo evidenti, perchè non si debba concepire lusinga di vedere anche nello Stato Pontificio appagato finalmente un tal voto; noto essendo come quel Governo del resto sia stato altre volte fautore d’opere grandi, generose ed utili, delle quali esistono tanti monumenti, e con prudente ed avveduta politica abbia saputo andar a seconda de’ tempi, e delle circostanze pel maggior bene de’ popoli commessi alle sue cure» pag. 312 alla 367.

Posto dunque, che l’adozione delle strade ferrate sia in generale di grandissima utilità, e che per lo Stato Pontificio siane l’utilità anzi la necessità talmente evidente e dimostrata che non possa astenersi dell’adottarle nel suo interno, si presenta egualmente importante il non indugiare ulteriormente, perchè se meritano tutta la considerazione i vantaggi che nel ritardo si perdono, [p. 53 modifica] sono ancora più riflessibili i gravi danni, cui si va incontro, e che forse possono anche essere irreparabili.


V.

in qual modo potrebbero sembrare adottabili le strade ferrate, per risentirne tutti i vantaggi

Ammessa la necessità ed insieme l’immensa utilità delle strade ferrate, diviene indispensabile entrare in merito dell’interesse per costruirle; e qui fa mestieri portare l’esame sotto quattro rapporti cioè, sull’ordinamento delle linee, sulla spesa, su i mezzi e sulle condizioni.

Sull’ordinamento delle linee

Dall’esame dei sentimenti emessi in oggetto da moltissimi uomini assai versati in questa materia, non meno che dall’esperienza in taluni luoghi oramai inveterata, è ad evidenza comprovato, che l’istituzione delle strade ferrate in uno Stato, per esser utile tanto nel senso dell’intrapresa, quanto in quello del commercio dello Stato medesimo esige

1.° Che siano allacciate tutte le principali coincidenze esterne.
2.° Che tutte le coincidenze stesse riferiscano al centro ossia alla capitale.
3.° Che le linee s’internino nei luoghi più popolosi e più produttivi, o almeno a quelli si approssimino più che sia possibile.

Le subalterne diramazioni che da interessi locali vengono reclamate meritano molto esame perchè rare [p. 54 modifica] volte presentano la convenienza dell’impresa. Come pure le coincidenze esterne di second’ordine richiedono molta circospezione, perchè talvolta possono servire alla più pronta emissione, anzi che ad aumentare l’interna circolazione; la quale ultima circostanza è in special modo meritevole di seria considerazione, particolarmente ove ne potesse derivare la pronta emissione dallo Stato delle estere provenienze richiamate allo Stato stesso.

Colla scorta di questi precetti è facile il concepimento della rete che abbracciar deve lo Stato pontificio. Una linea che, partendo da Roma, tocchi Ancona, e traversando le Legazioni, in linea retta fino a Bologna, da dove volti per Ferrara, giunga al ponte Lagoscuro; altra che da Roma fin sotto Albano e Castelgandolfo poi volti per Marino, e percorsa tutta la linea dei Castelli cioè Grotta ferrata, Frascati, Monte Porzio, Monte Compatri, Colonna, Zagarolo e sotto Palestrina, passi per Valmontone, e tocchi il confine napolitano a Ceprano; altra in fine che da Roma per la marina giunga a Civitavecchia. Con questa rete si otterrebbe la coincidenza al nord coll’alta Italia e con tutti gli stati superiori, al mezzo giorno col regno di Napoli ossia coll’Italia meridionale; e si fruirebbe dell’importantissima comunicazione dei due mari mediante la linea che a Ponente dal porto di Civitavecchia giungerebbe a levante all’altro di Ancona; queste quattro principali coincidenze esterne s’intersecarebbero a Roma. Potrebbe forse prender luogo fra le principali coincidenze una diramazione, che partendo dalla linea maestra verso Fuligno, si dirigesse per Perugia al confine toscano.

Le diramazioni subalterne che forse potrebbero risultar utili sono: una che sortendo dalla maestra a [p. 55 modifica] Fuligno, percorresse l’interno delle Marche a si riunisse nel punto più opportuno verso Ancona; altra che scegliendo un punto opportuno di sortita, tagliasse a mezzo la Sabina, e passando per Rieti giungesse al confine Napolitano, ove sbocca la bella strada di Civitaducale. Ma però nel caso nostro in cui gettar si devono le prime basi, sembra prematuro l’occuparsi delle subalterne diramazioni; imperocchè queste saranno le conseguenze dell’ottima riuscita che speriamo dalle strade principali.

Torniamo per tanto sulla rete che abbiamo proposta, e diamo su di essa tutte le possibili spiegazioni: al qual’effetto troviamo comodo d’incominciare dall’estremo confine al Nord.

Partendo dal ponte Lagoscuro si presenta la linea retta che tocca Ferrara e giunge fino a Bologna, ed ivi voltando si mostra un altro rettilineo fino a Rimini; quindi costeggiando il mare viene senza ostacolo fino ad Ancona. Questo tratto forma il soggetto della società bolognese, tranne che essa propone di proseguire la linea da Bologna a Castelfranco, toccando in quel punto il confine modenese, senza curare il passaggio per Ferrara.

La quale diversità di suggerimento ci obbliga di fermarci a darne l’opportuna spiegazione, nella speranza che la rispettabile società bolognese e quanti altri l’hanno appoggiata, vorranno persuadersi della ragionevolezza della nostra indicazione. In fatti intestando la nostra linea a Castelfranco toccaressimo il modenese, ove una semplice lusinga può concepirsi che si conceda il permesso di costruire la continuazione lungo il suo territorio; e questo ancora ottenuto, converrebbe fare altrettanto per traversare il ducato di Parma, onde trovarsi poi nel mezzo d’immenso spazio privo di altre comunicazioni della stessa specie. Ovvero da Modena voltare verso Mantova [p. 56 modifica] per congiungersi alla linea Ferdinandea nell’angolo prossimo a Roverbella. Laddove intestando la linea al Ponte Lagoscuro sul Pò, oltre il vantaggio che si recherebbe al ferrarese, passando nel mezzo della provincia e toccando la stessa Ferrara, si avrebbe pronta la comunicazione colla linea Ferdinandea anzidetta, con un breve tratto di strada ferrata da Padova per Rovigo, il quale sarebbe sull’istante dal regno Lombardo Veneto costruito; ma in ogni pessimo caso, senza valutare i canali navigabili dal Pò a Venezia, è già quel breve tratto percorso dalle diligenze nello spazio di sei ore, talmentechè potrebbe francamente dirsi, che la linea pontificia condotta al Pò sarebbe in piena relazione con quella della Lombardia veneta, e coll’alta Italia.

Movendo da Ancona verso Roma, il piano s’incontra difficoltoso, ma non tale da formare ostacolo, perchè mercè le indagini di più valenti ingegneri, e segnatamente di due, che meritano ogni fiducia, la linea si propone uniformemente pel tratto da Narni fino a Roma, ed in quello da Narni fino ad Ancona diversificando l’uno dall’altro, ci si presenta la necessità di esporre entrambe le opinioni.

Incominceremo da quello che toccarebbe più città cospicue. Egli partirebbe da Ancona, e costeggiando il mare fino al porto di Recanati, ivi entrerebbe sotto Loreto, Recanati, Macerata, S. Severino, Pioraco, Nocera, Fuligno, Spoleto, da dove volgendo pel piano del Maroggia, e toccando Macerino e Battiferro verrebbe a Terni, e quindi a Narni, da dove procedendo fino a s. Liberato, si deciderebbe per la destra del Tevere sotto Otricoli, entrando in Provincia di Sabina sotto Magliano, Poggio Mirteto, Corese, Monterotondo, e finalmente nella campagna romana per la valle del Tevere fino a Roma. [p. 57 modifica]

L’altro da Ancona prenderebbe l’andamento del fiume Esino e traversando le pianure di Chiaravalle e di Jesi giungerebbe a Serrasanquirico; indi, seguendo il Sentino, alla Genga, Sassoferrato e, passando per s. Emiliano, all’Isola fusara. A questo punto la linea volterebbe per Scheggia, seguendo l’andamento del fiume Chiascio fino a Torciano e da lì entrerebbe nella vallata del Tevere fin sotto Todi. Proseguendo nell’andamento del fiume Naja per Santogemini e Cappetone fino a Narni: punto nel quale s’incontrerebbe colla linea suggerita dall’altro ingegnere di cui abbiamo fatto menzione, e perciò da quel punto in poi ci asteniamo di ripetere.

La scelta fra i due progetti può dipendere dagli studi locali, perchè per il tratto che traversa gli Appennini è pieno di difficoltà che, sebbene superabili, esiggono moltissime indagini.

Diriggiamoci da Roma a Civitavecchia. Il chiarissimo sig. Petitti, nel suo applauditissimo lavoro delle strade ferrate italiane, ha creduto impegnarsi con molto vigore a diriggere la comunicazione dei due mari fra Ancona e Livorno, quasi non esistesse il Porto di Civitavecchia, e dopo averlo escluso dal contatto, quando viene a parlare appena di questo porto, crede non possa esservi un interesse sufficiente per dirigersi verso esso colla strada ferrata.

Presa ad esame questa opinione, al che ci siamo intesi maggiormente stimolati da una vivissima istanza umiliata a Sua Santità dalla Camera di Commercio di Civitavecchia, sebbene inscia dell’opinione del sig. Petitti, colla quale appunto implora la comunicazione col porto d’Ancona, rammentando le passate ed antivegendo le future circostanze del commercio. Approfondita per tanto la quistione ci si presentano molte e forti ragioni, [p. 58 modifica] che al contrario dell’opinione anzidetta ci dimostrano l’importanza di quel porto, e quindi l’utilità, anzi la necessità di aprirvi una diretta comunicazione. Noi operiamo nella parte artistica col sentimento di esperti uomini di mare; ma quello che più ci ferma è il vedere, che le questioni si risolvono con fatti e con calcoli incontrastabili. Questi ci provano che il porto di Civitavecchia è il più centrale all’Italia.4

Dessi ci presentano lo stesso porto con evidenti ed ineluttabili ragioni come più alla portata di ricevere tutte le provenienze, sia dalla parte di levante, sia da quella di ponente5. [p. 59 modifica]Che con minor chiarezza, gli altri seguenti dati ci [p. 60 modifica] provano la costituzione idrografica dello stesso porto di Civitavecchia, migliore di quella di Livorno 6, e per [p. 61 modifica] colmo, che potressimo chiamare ancora esuberanza di requisiti che concorrono in favore del porto di [p. 62 modifica]convecchia, ci dimostrano l’infelicità della rada di Livorno a confronto dell’altra. 7 [p. 63 modifica]

Ora per la certezza di questi dati, e per la forza ed evidenza delle considerazioni che ne discendono, possiamo francamente concludere, che la più opportuna, comoda e vantaggiosa comunicazione dei due mari, sia quella fra Ancona e Civitavecchia.

Essendo dunque di sommo, se non vogliam dire di principale, interesse il provvedere con buona intelligenza a questa comunicazione, ci sorge un dubbio sulla linea da adottarsi, la qual cosa pure il sig. Petitti accenna, perchè consideriamo che a tener fermo il principio, che tutte le linee diramino dalla capitale, converrebbe obbligare tutte le provenienze di Ancona a toccar Roma, e da questa diriggersi a Civitavecchia, e così viceversa; laddove una diramazione, che dalla linea maestra si staccasse ad Orte o a Pontefelice, passerebbe per Bagnaja, Viterbo, Rocca Rispampani e Corneto e giungerebbe a Civitavecchia.

Civitavecchia dunque non può mancare di due comunicazioni, cioè con Roma e con Ancona, e queste [p. 64 modifica] può averle o diriggendosi a Roma, da dove si metterebbe sulla linea maestra per Ancona, ovvero mediante l’accennata diramazione entrare nella linea maestra come abbiam detto verso Orte o Pontefelice, e da quel punto volgere verso Roma o verso Ancona. Nella prima ipotesi le provenienze di Ancona per Civitavecchia e viceversa, prolungarebbero il cammino di circa 50 miglia; e nella seconda il prolungamento lo soffrirebbero le provenienze di Civitavecchia per Roma; ma la linea, anzichè passare in campagna inabitata, come accaderebbe in una linea che partisse da Roma diretta per la marina a Civitavecchia, traverserebbe la provincia del Patrimonio sufficientemente popolata e produttiva.

Con questa misura scomparirebbe ancora un apprensione del sig. Petitti, il quale taglierebbe fuori Civitavecchia dal contatto commerciale con Ancona, adducendo la lunga distanza che intercede fra l’uno e l’altro porto, ed in vece rimanendo assorbita la linea maestra dalla comunicazione della capitale con tutti gli altri punti di coincidenza, il solo tratto attribuibile alla comunicazione di Civitavecchia con Roma ed Ancona, sarebbe quello della diramatone in circa 50 miglia, cogliendoci ancora il vantaggio di traversare la provincia del Patrimonio.

Questo provvedimento non escluderebbe, che venisse in egual modo costruita anche la linea di comunicazione diretta fra Roma e Civitavecchia per la Marina, quando si rinvenisse chi potesse reputarla di sufficiente interesse.

Volgiamoci in fine verso Napoli, ed in questo tragitto speriamo trovare nuovo pascolo. Seguendo il principio inconcusso, che le strade di ferro debbano passar sempre per luoghi popolati e produttivi, non è in alcun [p. 65 modifica] modo attendibile l’idea manifestata da alcuni, di passare per la marina, riattivando il porto d’Anzio, contro cui militerebbero immense difficoltà e di convenienza e di economia; e per analogia di ragioni merita di essere esclusa la linea delle paludi pontine, trattandosi che da Velletri a Terracina pel tratto di oltre 40 miglia, altro luogo abitato che Cisterna non s’incontra: luogo di pochissimo momento.

D’altronde volgendo per la provincia di Campagna le circostanze sono del tutto diverse, ed apparirebbe una nuova sorgente di speculazione, ove con una divergenza che siamo a suggerire si facesse prestare la strada ferrata, non solo al commercio, ma ancora al diporto.

Gli unici luoghi vicino Roma, che si prestino alla villeggiatura, e somministrino salubre e delizioso soggiorno nelle stagioni estiva ed autunnale, sono i paesi posti alle falde dei monti albani e tusculani. Ivi moltissime famiglie si trasferiscono nella calda stagione a dimorare anche per ragione di salute; ivi vanno egualmente moltissimi a soggiornare l’autunno; ivi nelle feste un gran numero di persone si reca a momentaneo diporto, per il che un rilevante numero di vetture è in continua attività in tutte le direzioni. Ove più comodo, più spedito e più economico fosse il viaggio, il trasferimento in quei luoghi crescerebbe moltissimo, ed ove si combinasse in maniera che in pochi momenti la sera si potesse accedervi, e con eguale velocità la mattina tornare in Roma per attendere agli affari, e così viceversa, il movimento diverrebbe immenso.

Ora tutto questo servizio potrebbe innestarsi alla linea tendente al confine napolitano. Perciò la strada ferrata, partendo dalla porta s. Sebastiano e passando sulla traccia dell’antica via Appia, adattatissima sotto tutti i [p. 66 modifica] rapporti, in linea retta giungerebbe alle Frattocchie, approssimandosi quanto sia possibile ad Albano e Castelgandolfo, da cui poco distano Ariccia e Genzano. Dalle Frattocchie volterebbe diriggendosi per Marino, Grottaferrata, Frascati, in vicinanza di Monte Porzio, Monte Compatri e Rocca di Papa, da dove si diriggerebbe alla Colonna, Zagarolo e sotto Palestrina giungerebbe a Valmontone. Posta così la strada ferrata sulla via di Frosinone, proseguirebbe nel mezzo della provincia di Campagna per Anagni, Ferentino, Frosinone, Poli ed a Ceprano toccarebbe il confine di Napoli.

Sarebbe questo un tratto lusinghiero, perchè riunirebbe la comunicazione col regno di Napoli, il servizio di due provincia la Campagna e la Comarca, in quelle parti molto popolose e produttive, e la concorrenza del maggior diporto che abbiamo vicino la capitale.

Per non preterire qualunque suggerimento non tralasceremo di accennare che ove non piacesse la divergenza per Marino, Frascati etc., potrebbe continuarsi la linea delle Frattocchie fianchegiando al mezzo giorno Albano, Ariccia e Genzano, riuscire sotto Velletri e da lì diriggersi a Valmontone: questa linea pure sarebbe interessante e meno tortuosa. Tutto il tratto in qualunque delle due direzioni di poco superebbe le 70 miglia ossia 105 chilometri, e si percorrebbe in due ore e mezza, per modo che in tutte le stazioni sarebbero eseguibili due viaggi per giorno.

Riassumendo per tanto tutte le linee che formar dovrebbero l’intera rete principale ossia maestra, queste ascendono a miglia 480 ossia chilometri 720, ma avuto riguardo a qualche tortuosità da incontrarsi per evitare punti difficili o per internarsi in luoghi più centrali e produttivi le possiamo ritenere in miglia 500, o chilometri 750. [p. 67 modifica]

Colla proposta rete si otterrebbe di comprendere in una fascia di dieci miglia dall’uno e dall’altro lato, la metà della superficie dello Stato; quindi la metà della sua popolazione e dei suoi prodotti otterrebbe tutto il vantaggio immediato, e l’altra metà, tranne qualche angolo, risentirebbe il vantaggio a venti miglia di distanza al più; in guisa che con due o tre brevi diramazioni si avrebbe la rete completa a modo che tutto lo Stato ne risentirebbe eguale vantaggio.

L’idea generale di sopra indicata però anderebbe soggetta a quelle modificazioni che dettassero le circostanze, dovendosi avere precipuamente in vista d’internare la linea nei luoghi più centrali, e per popolazione, e per produzione, e per consumazione; talvolta esigendo il vantaggio dell’intrapresa, che s’incontri maggior spesa per ottenerne migliori risultati. Deve aversi principalmente in vista di preferire il comodo dei viaggiatori al trasporto delle merci, nel che si unisce il voto di tutte le compagnie, le quali ne hanno sperimentato i benefici effetti.

Tutta la rete presenta l’opportunità di esser divisa in tre tronchi cioè dal Pò ad Ancona, da Ancona a Roma, da Roma a Ceprano.

Sulla Spesa.

La spesa può considerarsi come il più potente nemico degli umani desiderii. Chi ben non calcoli nell’intraprendere una qualche opera le forze sue e quelle avverse, incontra rovina certa ove cercava utile e soddisfazione. Accade nelle strade ferrate quello che in tutte le progettate cose può accadere: i fautori illudono restringendo ad un minimo ideale questo nemico; gli oppositori ne [p. 68 modifica] spaventano attribuendogli una forza esagerata ed insuperabile. La prudenza che procede per una via imparziale, spoglia l’oggetto vagheggiato di tutto il chimerico che o il cieco favore o l’accanita contrarietà gli attribuisce in vantaggio o in danno, e le cose pone nello stato di verità.

Se per indagare l’importo della spesa si volesse riandare ai primi esperimenti che fecero quelle nazioni e quegli uomini d’immenso coraggio e d’inesauribili dovizie, ognuno si sentirebbe alienato al punto di recederne; ma siccome ognuno conosce quanto giovi l’esperienza adornata da continui studi e modificazioni, oggi mai la spesa non è più spaventevole.

All’Ingegnere sig. Sequin, che diresse la costruzione della strada ferrata da Saint-Etienne a Lione, imponeva la necessità di salire 10 metri sopra mille allora, che il salire ordinario non si riteneva che dal 2 al 5 per mille. Quali prolungamenti infatti non dovevano occorrere per evitare delle salite che eccedessero questo limite; quali immensi tagli non bisognavano per condurre il piano stradale al necessario livello; quali lunghe e dispendiose gallerie non si rendevano necessarie ove l’abassamento non fosse praticabile? Cose tutte in gran parte risparmiate, od almeno sommamente diminuite, ora che vari tentativi fatti in America dall’ingegnere sig. W. Norris di Filadelfia hanno avuto per risultato che con piccole macchine si sono superate salite di 1/40, 1/37, 1/36 (cent. 2.5, 2.7, 2.8, a metro) con un carico di 50 ad 80 tonnellate (lib. 150/m a 240/m): esperienze ripetute ultimamente nel Belgio alla presenza d’ingegneri appartenenti a molte nazioni, con felice risultamento. Ed oltre a ciò, l’ingegnere Potenti si ripromette di pubblicare una memoria sull’oggetto, colla [p. 69 modifica] quale tende ad evitare che le società siano gravate di enormi spese, per scansare le inclinazioni non solo, ma anche le curve che assume di restringere sensibilmente.

Comunque possa con fondamento contarsi sopra ingenti economie relativamente al dispendio incontrato nei primi tempi, profittando del grandissimo vantaggio che deriva dall’esperienza altrui, pur non di meno gran parte d’ignoto rimane in qualunque più accurato progetto di questa natura; imperocchè un masso durissimo che s’incontri in un abassamento, un terreno fragilissimo che si presenti in una vallata, un angolo di un fiume, di un fosso o di un monte che intersechi la linea, l’incontro più o meno frequente di fiumi, fossi, torrenti e strade comuni, sono tutte cause capaci di cagionare sensibile alterazione nella spesa. Talmentechè può concludersi, che la prevenzione della spesa per costruire un miglio di strada ferrata sopra un solido fondo scevro di difficoltà si forma con somma facilità ed immancabile sicurezza, e che la parte difficile dello scandaglio si contiene nei tratti scabrosi ed incerti; in guisa che l’alterazione dipende dalla proporzione in cui i tratti eccezionali stanno col totale dell’estensione.

Dopo le fatte premesse, pare tempo di accingersi a concretare l’idea della spesa.

La spesa per costruire una strada ferrata è costituita, 1.° dall’acquisto del fondo per dove deve passare, 2.° dai movimenti del suolo per la livellazione e conformazione della linea, 3.° dai lavori murari, 4.° dalla ferratura. Vediamo prima cosa pensino diversi ingegneri sulla valutazione di questi articoli, e poi li considereremo in rapporto alle nostre particolari circostanze.

Dall’estratto formato sopra relazioni di vari [p. 70 modifica] ingegneri tutti valutabilissimi8 si costituirebbe una media [p. 71 modifica] coacervata di scudi 34,914 il miglio romano ad un solo binario, cui volendo aggiungere il secondo binario si dovrebbero aumentare altri scudi 12,420 per la ferratura, sembrando nelle altre spese considerato lo spazio di due binari, e così ascenderebbe la spesa a scudi 47,334.

Questa somma però non sarebbe del tutto attendibile, perchè, essendo la conseguenza di una raguagliata generale, v’influiscono quelle costruzioni seguite nel tempo precedente ai miglioramenti ottenuti mercè le successive esperienze, come non sarebbe da addursi che la strada ferrata d’Andesieux a Roenne non importò che scudi 16,749 per miglio romano, attesa la sua poco felice costruzione.

Rinnovato per tanto lo scandaglio da non meno valenti ingegneri, applicandolo alle nostre circostanze, ed avendo qualche riguardo, sebbene con molta moderazione, alle ritrovate facilitazioni e perfezionamenti9, la spesa [p. 72 modifica] viene presunta in scudi 34,906.14 per ogni miglio romano; tantochè ritener la spesa media in 35/m scudi per miglio per la strada ad un binario, sembrerebbe un limite discreto e forse anche sicuro.

Vuolsi però dubitare che, sebbene tanto nel primo che nel secondo scandaglio, siansi tenuti a calcolo i casi di minore e di maggiore dispendio, in guisa che le cifre accennate si possano ritenere per un punto medio fra i tratti facili e quelli difficoltosi, pure il passaggio degli Appennini, sebbene agevolato dalle vallate dei [p. 73 modifica]fiumi, possa ritenersi congruamente considerato nella spesa suddetta, e che però meriti uno speciale riguardo. Questo tratto però è l’unico difficoltoso in tutta la proposta rete; e non può considerarsi dell’estensione maggiore di venti miglia, senza giovarsi delle circostanze favorevoli che si presentano anche dentro questo spazio; alle quali venti miglia assegneremo volentieri una triplice spesa.

Riepilogando per tanto il dispendio diremo

   Che le miglia 500 (chil. 750) di strada ordinaria a scudi 35/m il miglio (sc. 23,333 il chil.) importano sc. 17,500,000
   E che la spesa aggiunta per le venti miglia di maggior difficoltà è di 1,400,000

   Le miglia cinquecento costeranno sc. 18,900,000

Ma, oltre la costruzione della strada ad un binario in tutta la sua estensione, occorre il raddoppio nei punti di stazione ove rimane destinato l’incontro dei due convogli, che procedono uno in andata e l’altro in ritorno, e nella vicinanza delle grandi città; occorrono i fabbricati nelle stazioni inerenti al servizio, non meno che i casotti lungo la linea pel ricovero dei custodi; occorrono in fine le locomotive, le diligenze, i carri, e tutti gli attrezzi necessari. Per le quali cose tutte non abbiamo difficoltà di dedicare cinque milioni e centomila scudi, quanti aggiunti alla somma suddetta calcolata per la costruzione della strada, costituirebbero un totale generale di ventiquattro milioni.

Ci sembra giustificato il proporre la costruzione della strada ferrata nel suo primo impianto ad una rotaja, giacchè lo vediamo praticato in altri Stati, e particolarmente in quelli prossimi a noi. L’ingegnere inglese [p. 74 modifica] sig. Roberto Stephenson così consigliò alla Toscana dicendole, che se il vigore che avrebbe preso il commercio ne avesse dimostrato l’opportunità, l’altra rotaja si poteva successivamente aggiungere; bastava però che si antivedesse questo caso, in quei punti di costruzione, nei quali non si potesse tornar sopra dopo posta la strada in attività.

Non sarà inopportuno gettare uno sguardo sulle circostanze locali, per conoscere se lo Stato nostro sia fornito di tutti gli elementi necessari alla costruzione. E qui esaminando in primo luogo i cementi, ce ne troviamo forniti da per tutto a dovizia; delle pietre per i dadi, seppur vogliamo farne astrazione dai cementi in genere, ne avremo da per tutto, scortandoci per lungo tratto gli appennini e le loro diramazioni, in guisa che in molti luoghi ci serviranno all’occorrenza quelle che deriveranno dai tagli, e pochi saranno quei tratti ove dovremo asportarle a qualche distanza; del legname in qualità appunto necessaria le provincie meridionali ed in parte ancora le Marche ne sono bastantemente fornite.

L’articolo che può imporci è il ferro, ma come avviene che il consumo eccita alla produzione, così il bisogno stimola alle ricerche, perciò nell’antiveggenza della costruzione delle strade ferrate, alcuni lodevoli speculatori si sono dedicati alle ricerche delle miniere di questo metallo, e pare che si possa ritenere esservi riusciti nelle montagne di Monte Leone, Gavelli, Popaggi e Tolfa10, [p. 75 modifica] non meno che in quella di Montenerone11. Eguali ricerche si spingono per il reperimento del fossile, e pare [p. 76 modifica] non siano per riuscir vane12; ma nel pessimo caso che non risultassero fortunate, si è osservato, che le macchie intorno la Tolfa nella periferia di 40 miglia, darebbero il combustibile per una lavorazione perenne di cento venti migliaja di ferro la settimana. Una volta che i risultamenti fossero felici, lo Stato potrebbe gioire della redenzione da una passività che lo rende tributario dell’estero per cospicue somme.

Ci resta a parlare dell’acquisto delle proprietà che sì danneggerebbero col transito, ed in ciò vediamo un considerabile vantaggio. Una rilevante estenzione si consuma sopra terreni spogliati ed inabitati, per cui sarebbe a pagarsi il nudo suolo. Per il tratto che traversa gli appennini, a misura che accrescono le spese di costruzione diminuisce e si annienta quella dell’acquisto, perchè quei monti hanno poco o niun valore, per il che sparso su tutta la linea il prezzo che chiameremo sensibile, con cui si dovranno indennizzare i proprietari dei terreni piantati, costituirà un raguaglio ben discreto.

Crediamo pure opportuno far qualche parola delle spese di manutenzione: e da tutte le notizie ricercate13, [p. 77 modifica]pare che ritenendole alla ragione di 700 scudi il miglio approssimativamente, possa rimanersi tranquilli.

Non coll’animo di dare una prevenzione del prodotto, perchè lo crediamo nella massima parte attendibile [p. 78 modifica] dal nuovo ordine che anderebbe a prendere il movimento interno e le esterne comunicazioni, ma unicamente per [p. 79 modifica] prevenire le perplessità che potessero manifestarsi nell’adozione dell’impresa, riassumeremo la passività annuale che dovrebbesi col prodotto coprire.

   Interessi sopra 24 milioni che importerebbero al 5 1/2 per cento, avuto riguardo alla perdita del capitale sc. 1,320,000
   Spese di manutenzione a scudi 700 il miglio 350,000

sc. 1,670,000

La passività annuale di un milione seicento settanta mila scudi basterebbe per coprirla

   1.° La presenza in un anno di 80/m viaggiatori, che percorressero tutta l’estenzione della linea, valutati raguagliatamente a baj. 02 per miglio sc. 800,000

[p. 80 modifica]

   2.° La circolazione nello stesso periodo di 30/m tonnellate di merci per tutta l’estensione suddetta, a baj. 06 per miglio 900,000

sc. 1,700,000

Crediamo che non possa dubitarsi della tenuità del numero dei viaggiatori e di quello della quantità delle merci considerate di sopra, come pure che il saggio assegnato ai trasporti degli uni e delle altre debba ritenersi fra i più modici, ed in conseguenza che sia sperabile, anzi sicuro un considerevole aumento su i prodotti, il quale ridonderebbe in assoluta utilità dell’impresa.

Comunemente si è praticato d’istituire i calcoli del prodotto in modo positivo, partendo dal numero dei viaggiatori e delle merci in ordinario movimento, e supponendo l’aumento sperabile per i vantaggi che presentano le strade ferrate, e perciò ci procurerà forse qualche censura, l’esserci appresi al partito semplicemente negativo di escludere il pericolo della rimissione, e per illazione soltanto supporre il guadagno. La qual censura noi preoccupando diremo che ci sarebbe mancato il modo di fissare la prima base dei viaggiatori e delle merci in ordinario movimento, poichè nella sola capitale la polizia ne tiene il conto, e da questo risulta che nell’anno 1844 entrarono in Roma.

Viaggiatori esteri N. 17752
     idem statisti 24535
Vetture estere 357
idem dello Stato 5280

e nell’anno 1845

Viaggiatori esteri N. 15278
     idem statisti 23335 [p. 81 modifica]
Vetture estere 310
idem dello Stato 5062

N. B. Dall’accesso e dal recesso viene raddoppiato il numero.

Queste notizie però provano troppo poco per acquistare le cognizioni del movimento generale, per il che avremmo dovuto incominciare da bel principio ad operare con delle supposizioni, in guisa che ci è sembrato più concludente il fissare di qual movimento avrebbe bisogno l’impresa per coprirsi delle spese, e sicuri che nessuno potrà dubitare che quello bisognevole non sia per essere di gran lunga sorpassato dal fatto, portiamo lusinga di avere in modo immancabile provato dell’impresa la somma utilità.

Sui mezzi

Poco più, poco meno che potesse importare la spesa, riteniamola ora per 24 milioni di scudi. Facile riuscirebbe di trovare una o più compagnie estere che ne assumessero l’impresa; ma questo partito non sarebbe da consigliarsi giammai per le gravi conseguenze che giustamente se ne potrebbero temere. Stabilito che non debba aderirsi a simile partito, non può negarsi che fortissimo sia l’impegno ed in conseguenza arduo, ma non però impossibile di riuscirvi.

Si dirà che difficile sia di trovare nello Stato la somma occorrente, ma a questo pare facile rimediare. Potrebbe l’impresa dividersi in dodici anni, cosicchè l’impronto si limitasse a due milioni l’anno, costruendone annualmente miglia 40 circa, con usare l’avvedutezza che ogni tratto di strada ferrata sia tendente ad uno scopo, ed appena costruito sia posto in attività, tanto perchè se ne godano all’istante i [p. 82 modifica] vantaggiosi effetti, quanto perchè i capitali impiegati incomincino a produrre il conveniente reddito.

Questa somma potrebbe ricavarsi metà dall’interno e metà procurarla ad imprestito dall’estero, combinandone l’ammortizzazione col metodo praticato negli altri prestiti, cioè di un centesimo per anno, il che porta nel giro di circa 34 anni l’estinzione dell’intero capitale. In tal guisa, i due milioni annuali si formerebbero metà con mezzi interni e metà con quelli esteri.

Sarà opportuno dar qui sviluppo alla materia dell’impronto, perchè la gigantesca cifra di 24 milioni di scudi non imponga soverchiamente; e perciò diremo, che ove venisse adottato il progetto che la metà della somma fosse procurata ad imprestito dall’estero, l’impronto coi mezzi interni si ridurrebbe a 12 milioni; che dividendo l’impresa in 120.000 azioni di scudi 200 l’una, metà effettive, e metà di garanzia, cioè di responsabilità per assicurare la restituzione della somma che si procurerebbe ad imprestito, l’impronto effettivo per ogni azione si limiterebbe a scudi 100; che diviso in dodici anni si ridurrebbe a scudi 8 circa l’anno per azione, senza attendere alle frazioni.

La dimostrazione sembra basata sopra estremi plausibili, dappresso i quali, facile si renda che molti concorrano all’acquisto di tali azioni, alcuni per impiego dei loro capitali, attirati dal sommo vantaggio che ne sarebbe sperabile, altri per ambizione di far parte di un impresa tanto desiderata; e supponendo che questi, l’uno per l’altro aspirassero all’acquisto di dieci azioni, il che richiederebbe l’impronto tenuissimo di 80 scudi annui, dodicimila acquirenti soltanto basterebbero ad esaurire il numero delle azioni.

Con questo metodo rimane ancora assicurato l’ [p. 83 modifica]andamento dell’impresa, perchè depositate le prime rate delle azioni, e garantiti i depositi successivi dal patto, che nel caso di morosità le azioni siano alienabili a pregiudizio del moroso, trovandosi di esse una o più rate già pagate, più facile si rende la vendita a pregiudizio del possessore. Simile sicurezza poi aumentando annualmente nella stessa misura che si accrescerebbe la responsabilità per la restituzione dell’altra metà presa a prestito, ne verrebbe che compito il pagamento della metà effettiva, quella di garanzia avrebbe con essa una ricurezza immancabile.

Nè meno facile sembra il chiarire un altro punto di controversia, quale è quello dell’esistenza nello Stato di denaro versabile in quest’impresa ridotto anche a metà, e qui riassumendo le cose già dette, ripeteremo di ammettere la mancanza per la metà, per cui si è proposto che venga procurata ad imprestito, ma per l’altra metà non pare che sia luogo a temere. E questa idea non è animata già dall’illusione che nello Stato sianvi cospicue somme giacenti, ma fondata sopra due riflessioni. La prima è quella, che il primo impronto delle azioni si ridurrebbe a circa un millione di scudi, e sentirebbe di pusillanimità il dubitare, che per poco che divergesse dal corso ordinario il denaro che circola, non giungesse a riunire questa prima somministrazione. L’altra ha per base il principio immancabile, e possiamolo dire assioma, che cioè la circolazione riproduce in vece di consumare, e conseguentemente, quando tutta l’opera, e tutto il materiale da impiegarsi nella costruzione od almeno la massima parte fosse indigeno, il che può sicuramente ottenersi, tutto il dispendio circolerebbe nello Stato; in guisa che quel numerario che improntato dagli azionisti entrebbe nella cassa dell’impresa, [p. 84 modifica] sortirebbe dalla medesima per pagare il prezzo dei materiali e delle mercedi, e così rientrerebbe in circolazione, reintegrando la massa generale. Questa reintegrata, sarebbe resa abile all’altra somministrazione, e così a quelle successive, senza verun disagio.

Nè formi apprensione il pensare che il denaro sortirebbe dalle mani dei capitalisti, e passerebbe in quelle degli operai e simili, perchè è troppo noto che, come il corso delle acque è animato dall’attività della foce, la quale ostruita si renderebbero quelle stagnanti, dannose, e tendenti a pregiudizievoli deviamenti, così all’opposto ampliati i consumi che appunto si ottengono col somministrare maggiori mezzi ai consumatori, rifluiscono questi a profitto dei produttori, da cui giungono ai Capitalisti. Dunque si profonda pure denaro nel popolo, che in fine giungerà nelle mani di chi sa profittarne, e quando questi scelgano d’impiegarlo in cose utili allo stesso popolo, il corpo sociale fruirà dell’incremento di capitali, d’immense comodità, in somma d’infiniti vantaggi.

Sarà qui mestieri di raggionare sull’altra metà dell’impronto che si procurerebbe dall’estero, affine di persuadere che neppure la restituzione di questo imprestito depaupererebbe la massa circolante nello Stato, ma che anzi l’arricchirebbe del suo importare, abilitandone la restituzione coi vantaggi che l’erogazione dell’imprestito stesso recherebbe allo Stato, il quale rimarrebbe al possesso dei vantaggi successivi. La somma da procurarsi sarebbe di dodici milioni, per cui gl’interessi uniti al centesimo di ammortizzazione importerebbero annui scudi 720,000 da pagarsi per 34 anni, dopo la qual epoca sarebbe estinta anche la sorte principale, e cesserebbe ogni passività. Basterebbe pertanto poter [p. 85 modifica] contare sul vantaggio di annui scudi 720,000 dall’istituzione delle strade ferrate in relazione al commercio, per ritener vera la fatta proposizione.

E chi mai potrà dubitare che il solo transito delle merci e dei viaggiatori che, risparmiando il giro dei due mari, da Ancona si diriggerebbero a Civitavecchia, e viceversa, non accrescerebbe l’introito dello Stato di un milione almeno? Chi mai non converrà che profittando delle nostre strade ferrate tutti i viaggiatori e tutte le merci dall’una all’altra estremità dello Stato, senza il concorso delle estere vetture, a di cui favore cade oggi totalmente il profitto, non migliorerebbe di altrettanto l’introito dello Stato? Ognuno certamente troverà savio ed ottimo consiglio, che per dimettere quel debito vadano all’estero per 34 anni settecento ventimila scudi, i quali non sono che una quota dell’utile che nella totalità altrimenti noi non avremmo, ed il quale rimarrà quindi intero e perenne in perpetuo beneficio dello Stato.

Sulle condizioni.

Certamente le condizioni costituiscono materia essai importante ad esaminarsi, sia per la parte di chi assume, sia per quella di chi concede l’impresa delle vie ferrate. Le condizioni in fatti colle quali un Governo, o in tutto ad altri conceda l’impresa, ovvero vi prenda in qualche modo maggiore o minor parte direttamente o indirettamente, hanno tale influenza sulle conseguenze, da farla risultare utile o dannosa per l’una o per l’altra parte, ed anche pel pubblico. Ciò porta che, come in tutte le altre contrattazioni, moltissimi possono essere i patti da convenirsi, secondo le svariate [p. 86 modifica] particolari circostanze, e secondo la mente e volontà de’ contraenti, così e maggiormente in queste a moltissime circostanze debba aversi riguardo, perchè moltissimi sono i loro rapporti. Per la brevità che ci siamo prefissi, e perchè sarebbe impossibile voler distintamente discutere tutti i casi possibili, ci occuperemo solo delle condizioni più importanti, e che per la generalità de’ principii che o le suggeriscono o le escludono o le modificano, essenzialmente influiscono sulla buona riuscita dell’impresa. Queste principali condizioni ora che già le strade ferrate sono tanto estese, possono essere esaminate non solo in modo astratto e coi principii generali, ma ancora e meglio con la guida dell’altrui esperienza.

Incominceremo pertanto dallo esaminare il partito che il Governo imprenda a suo conto diretto l’impresa. Questo partito che il Sig. Petitti chiama primo e più ovvio, e pel quale egli conclude che, dovunque gravi ostacoli di penuria finanziera e di men solido credito pubblico non impediscono di adottare, convenga di appigliarvisi di preferenza ad ogni altro, noi non sapremmo indurci di suggerire. Che se gli argomenti onde se ne dimostrano i pregi sono appoggiati all’esperienza di alcuni Stati e specialmente del Belgio, tante e sì gravi sono le considerazioni che a creder nostro l’escludono, da farci giustamente temere, che, ammessa pure la buona riuscita ottenuta in fatto, non sia prudenza il replicarne il tentativo, nel troppo probabile pericolo che le eccezionali circostanze che lo hanno altre volte favorito, siano per mancare sotto la forza delle ragioni generali che lo dissuadono.

Il maggior possibile risparmio, compatibile colla regolarità e solidità dell’esecuzione, è uno de’ principali [p. 87 modifica] elementi che conviene aver di mira in questa dispendiosissima intrapresa. Imperocchè, se il dispendio forma uno dei più riflessibili ostacoli alla sua adozione, è chiaro che dalla maggiore o minore economia adottata nelle occorrenti spese può dipendere che l’impresa stessa sia ne’ suoi risultati utile o dannosa. Ora è assioma in pubblica economia, che l’interesso privato sia molto più attivo ed efficace che l’interesse pubblico per ottenere maggiore risparmio, prescindendo ancora dal cimento cui espone gli amministratori della cosa pubblica il diriggere operazioni grandi, complicate e dispendiose. Ed i controlli, cui possono assoggettarsi, molte volte moltiplicano gli enti senza raggiungere quella garanzia che può tranquillizzare i governi ed il pubblico. Vediamo infatti frequentemente che nel ridursi ad appalti le amministrazioni di alcune pubbliche rendite, le rendite stesse si aumentano pel Governo come corrisposte, e somministrano ancora copioso profitto agli appaltatori. Per cui il citare gli esempi di buona riuscita delle imprese eseguite per conto dei Governi non esclude, che affidate all’interesse privato, la riuscita ed il risparmio sarebbero stati anche maggiori.

Il vantaggio che può ottenersi dall’impresa eseguita per conto di Governo è la moderazione delle tariffe di pedaggio, che possono esser allora regolate senza l’influenza dell’interesse privato. Ma a questo può supplirsi col prudente intervento governativo nello stabilire le tariffe stesse.

Viene per conseguenza che sia da preferirsi a quel sistema l’altro di concessione alla privata speculazione. Ma siccome tutte le cose, vedute in modo assoluto, sono poi soggette a gravi inconvenienti nella pratica [p. 88 modifica] applicazione, così questa proposizione esigge serio e minuto esame per vedere quali modificazioni possano meglio garantirne il buon risultato.

Certo che se la situazione sociale, industriale, commerciale di uno Stato fosse tale da far ragionevolmente credere che le forze dei privati mezzi potessero sopperire alla grande impresa, non si vedrebbe plausibile motivo per deviare da questo partito assoluto che ne darebbe tutto il profitto allo Stato senza alcun suo rischio. Nè certo mancherebbe il modo come regolare l’esercizio, onde rimanesse salvo nei limiti della giustizia il privato interesse senza ledere quella pubblica utilità che forma lo scopo principale.

Ma se l’assunzione di tanta intrapresa non convenga al Governo per ragioni generali; e se nello Stato nostro per le sue speciali circostanze non si può contare di affidarla totalmente alle forze private, rimane il partito di associare più forze pubbliche e private, quale appunto, come più conveniente consiglio nel caso nostro, abbiamo proposto e sviluppato trattando sui mezzi e continueremo parlando delle condizioni.

Comunque però ciò sia, all’obbligo che sempre incombe al Governo di accorrere per moderare la colluttazione fra il pubblico ed il privato interesse, il diritto in questo caso si aggiunge, che gli somministra il suo concorso nell’intrapresa con sussidio sia di garanzia, sia di fatto. Ad esso adunque spetta il concedere l’impresa ed il determinare le condizioni, le quali mentre non scoraggiscano o ledano la privata speculazione, tutelino l’utilità pubblica contro gli abusi della particolare ingordigia.

Le condizioni da aversi in special considerazione consistono [p. 89 modifica]
1.° Nella durata della concessione.
2.° Nei patti che devono garantire la costruzione, la manutenzione e l’esercizio.
3.° Nei privilegi da accordarsi all’impresa e per la costruzione e per la condotta.
4.° Nella tariffa dei prezzi di trasporto dei viaggiatori e delle merci.
5.° Negli obblighi che l’impresa deve assumere verso il Governo.
6.° Nelle concessioni che il Governo crede di fare all’impresa.
7.° Nella garanzia che l’impresa deve dare al Governo.
8.° Nel diritto di redenzione che il Governo si riservasse; le quali ci faremo a brevemente sviluppare.

La durata della concessione merita tutta la considerazione, imperocchè qualunque stabilimento, rappresentando la spesa ed i capitali impiegativi dall’intraprendente, costituisce una sua proprietà per tutta la durata. Questo diritto non poteva specialmente vacillare nella costruzione delle strade siano ordinarie, siano ferrate, e per l’enorme spesa che importano, e perchè è della somma utilità che ne deriva al pubblico il garantire l’interesse ed i diritti di coloro che la somministrano. Questa era la causa delle frequenti tasse di pedaggio, alle quali erano per l’addietro soggette le vie ordinarie, i ponti, i passi, che la saviezza de’ governi abolì, mediante congrui compensi, sostituendo un aggiunta ai dazi generali.

Adottandosi però le srade ferrate, impresa per se stessa vastissima, di grave spesa ed istantanea, si scorge indispensabile il pedaggio onde ricuperare il capitale impiegatovi e suoi giusti interessi. Perchè poi [p. 90 modifica] quest’aggravio, cessata la causa, venga tolto o almeno ridotto al solo occorrente per l’ordinaria manutenzione ed esercizio, può il prudente intervento governativo provvedere, determinando alla concessione una equa e limitata durata, che, mentre assicuri agl’intraprendenti il ricupero delle somme impiegate ed il corrispondente fruttato, garantisca poi alla pubblica utilità, scorso quel tempo, la devoluzione libera della proprietà e dell’uso delle strade ferrate.

Questo temperamento che concilia mirabilmente la giustizia verso l’interesse privato, e l’utilità pubblica, reca sorpresa come non venisse adottato dall’avvedutissima Inghilterra; la quale è ora così penetrata del grave inconveniente delle concessioni perpetue, che seriamente si occupa onde ripararlo, non ostanti i diritti acquisiti dai concessionari.

Portata a questo punto la questione, ci sembra e giusto e chiaro che il Governo nel trattare co’ privati intraprendenti possa, nella doppia veduta di garantire l’interesse particolare e l’utilità pubblica, stabilire una discreta durata alla concessione del godimento della strada ferrata. Per ciò determinare devono aversi in considerazione l’importo della spesa, per la quale possono essergli di norma i scandagli o fatti o approvati dai periti di sua fiducia, ed il calcolo di una rendita presuntiva, che deve dare agl’intraprendenti un giusto fruttato del capitale impiegatovi, e più rimborsarli del capitale stesso. Fissata con questi elementi la durata del godimento, dovranno le strade ferrate, scorso quel tempo, liberamente ricadere a beneficio del Governo, il quale possa pel pubblico vantaggio alleggerirne la tariffa al solo rimborso delle spese ordinarie permanenti.

La durata di tali concessioni si vede comunemente [p. 91 modifica] praticata, secondo la varia proporzione fra la spesa e gl’introiti, dagli 80 ai 100 anni, dopo i quali la strada ferrata con tutti i suoi infissi ricade al Governo, e tutto ciò che costituisce la parte mobile e le proviste il Governo acquista a stima di periti.

Così si ha il bene della cosa, e gl’interessi privati sono pur salvi e garantiti coll’utile rinvestimento del loro denaro, e col ricupero del medesimo. Il quale venendo con tal modo rimborsato in rate, neppur da luogo ad una funesta crisi commerciale che sicuramente sarebbe inevitabile, se il Governo allo spirar della concessione dovesse sborsare e pagare l’importo intero.

I patti che devono garantire la costruzione, la manutenzione e l’esercizio devono essere i più efficaci. È mestieri appoggiare a norme precise quelli riguardanti la costruzione e la manutenzione nella parte tecnica; ed a preoccupare qualunque contestazione prescrivere, che gl’intraprendenti debbano immancabilmente eseguire quanto verrà determinato dall’ingegnere ispettore che il governo sceglierà per la sorveglianza, e nel caso di qualunque controversia il giudizio definitivo sia devoluto al Consiglio d’arte.

I patti poi riguardanti l’esercizio devono dipendere da apposito regolamento, ove sia precisato quanto riguarda il servizio, il comodo pubblico e la garanzia dell’impresa, non meno che provveduto al modo col quale la polizia e la finanza possano comodamente ed efficacemente effettuare le loro operazioni.

I privilegi da assegnarsi all’impresa e per la costruitone e per la condotta, si dividono in diverse specie. In primo luogo parleremo di quelli, riguardanti il modo d’indenizzare i proprietari dei fondi, per i quali la strada ferrata deve passare, o dai quali si devono estrarre i materiali per la costruzione; ed osserveremo che [p. 92 modifica] generalmente la costruzione di queste strade è stata dichiarata lavoro di pubblica utilità, e per conseguenza applicati ad essa tutti i privilegi relativi. Non taceremo però che in qualche concessione è stato ingiunto l’obligo all’impresa di riportare l’esplicito consenso del proprietario di qualche fabbrica che meritasse speciale riguardo; ma questo caso può considerarsi veramente eccezionale.

Passando a trattare del privilegio di esercizio, ossia della condotta del tratto compreso nella concessione, generalmente i governi si sono riservati la facoltà di concedere i prolungamenti delle stesse linee, e delle diramazioni che v’influiscano, stabilendo una tariffa apposita per quanto le successive concessioni dovessero transitare per la linea in antecedenza conceduta.

In qualche contratto si trova riservata al governo la facoltà di concedere la costruzione delle strade ferrate per la stessa destinazione, ed anche parallele a quelle considerate nella concessione già seguita; ma questa riserva o è inutile o veramente eccessiva.

L’altro dei privilegi che merita di esser considerato è quello dell’introduzione dall’estero delle materie occorrenti alla fabbricazione; sul quale argomento poche o niuna restrizione si leggono nei contratti delle altre nazioni, ed a larga mano si trovano concesse le esenzioni dai dazi, perchè forse desse non sono in posizione di temere una riflessibile passività da questa circostanza. Per le nostre circostanze però sembra che il privilegio dell’esenzione dai dazi si dovrebbe limitare alle macchine locomotive, ed a qualche altro articolo che sia assolutamente necessario di provvedere dall’estero: imponendo ancora che gli operai e gl’ingegneri debbano essere indigeni, esclusi soltanto quei direttori che fossero di assoluta necessità. [p. 93 modifica]

La tariffa dei prezzi di trasporto dei viaggiatori e delle merci, deve essere stabilita come un elemento del contratto, dipendendo da questa il correspettivo dell’impresa, ed esige la massima accuratezza per esser questo il vero punto di colluttazione fra il pubblico ed il privato interesse. La tariffa deve segnare il massimo sopra cui l’impresa non può percepire, ma bensì ribassare fin che lo trova di sua speculazione.

Non sarebbe forse intollerabile che, per esempio nel tronco da Roma ad Ancona, in cui la spesa sarà più sensibile per superare la difficoltà che presentano gli Appennini, la tariffa fosse più elevata.

Gli oblighi che l’impresa deve assumere verso il governo, sono di due specie. Il primo è quello del regolare e perfetto servizio pubblico subordinandosi a qualunque disposizione del governo anche istantanea. L’altro è quello di assumere gratuitamente il trasporto di tutte le corrispondenze, di tutte le truppe e loro materiali.

Deve egualmente e nello stesso modo assumere di condurre quei rappresentanti ed impiegati del governo che, o per metodo o per circostanza dovessero viaggiare in servizio del governo per affari anche estranei all’impresa delle strade ferrate.

Le concessioni che il governo credesse fare all’impresa, potrebbero essere diverse. Primieramente potrebbe garantirle il prestito che abbiamo suggerito di formare coll’estero, rendendosi allora tanto più facile l’ottenerlo, ed altronde sembra che, mercè i modi proposti quando si è parlato su i mezzi, il governo non potrebbe temere di trovarsi giammai esposto.

Sarebbe un altro sollievo per l’impresa che il governo assumesse l’indennizzo ossia il prezzo dei fondi [p. 94 modifica] occupati o danneggiati dai passaggio della strada e dalle sue conseguenze, consolidandolo sul debito pubblico, con che l’impresa lo indennizasse del fruttato annuale. La qual misura potrebbe per lo meno esser adottata pel prezzo di quei fondi e proprietà spettanti a corporazioni religiose o mani-morte, ovvero patrimoni fidecommissari, nei quali casi il prezzo non è spendibile, ma deve rinvestirsi coi vincoli ed affezioni del fondo da cui deriva.

Potrebbe in fine il governo dedicare all’impresa l’opera di un numero di servi di pena, o di altri individui mantenuti a spese del governo, ovvero assumere la remozione di qualche ostacolo locale coll’opera dei medesimi, anche nella vista di scemare il numero degli operai liberi necessari all’immensità dei lavori, onde le mercedi non risalissero soverchiamente di prezzo.

Crediamo di proporre queste facilitazioni all’intendimento di agevolare l’impresa, e di tenerle a calcolo per ottenere qualche abbreviamento nel tempo della concessione, e così assicurare quanto più presto sia possibile la ricadenza delle strade ferrate a profitto dello Stato, dal che ne discenderebbe il sommo vantaggio della diminuzione della tariffa de’ trasporti, quando con essa dovessero coprirsi le sole spese di manutenzione.

La garanzia che l’impresa deve dare al governo, conviene che sia regolata in modo che non depauperi la cassa dell’impresa. Il governo napolitano che l’ha curata nei suoi contratti, l’ha fissata in somme modicissime da investirsi a profitto dell’impresa medesima, e ad essa da restituirsi a misura che i lavori avanzassero, stando allora questi in luogo di garanzia.

La Francia è giunta al segno di dare rilevanti [p. 95 modifica] sovvenzioni alle imprese al modico interesse del 3 per cento, accordando molto comodo alla restituzione.

Il diritto di redenzione che il governo si riservi è ben inteso, ed è un freno che può essere immensamente giovevole. Generalmente la riserva è stabilita dopo il lasso dei quindici anni a contare dall’attivazione della strada, ma questo limite pare eccessivamente crudele, perchè non può negarsi un grande azzardo nell’impresa. È indubitato che anche in questa speculazione, come in tutte le cose nuove, i primordi sono pieni d’incertezze e difficoltà, perchè il vincere le contrarie abitudini, e far che si formino ed avviino le nuove comunicazioni non è opera del momento. Ora un patto il quale, allorquando si sono superati tutti gli ostacoli, e l’impresa incominci a prosperare, la renda soggetta ad un diritto che ne spogli gl’intraprendenti, si presenta assai duro e fa temere che questi si procurino dei compensi che rendano l’assieme più oneroso all’altra parte. Tutto però può esser temperato dalla correspettività dei patti e delle condizioni.

Dati questi cenni sulle principali condizioni che aver si devono presenti da chi concede e da chi assume tanto vasta ed importante impresa, non dobbiamo preferire che fra i vari modi di concorso governativo in ajuto dell’impresa stessa si trova anche praticata l’assicurazione di un interesse minimo, ove non si ricavi dai prodotti. Di questo sistema tanto encomiato dal Chavalier, non tace il sig. Petitti nella sua lealtà gl’incovenienti, a fronte de’ quali però conclude essere in fin di conto il sistema più economico, più morale, più efficace e meno grave all’erario, come il più giusto.

Non sapremmo noi essere dello stesso parere non ostante la molta stima che ci pregiamo di professare verso [p. 96 modifica] uomini di tanta dottrina e sì profondamente versati in questa materia, ne reputiamo sufficienti a deviarne gl’inconvenienti le molte cautele che lo stesso sig. Petitti propone, onde meglio garantirne i sperati vantaggi; dappoichè tali impegni ed assicurazioni per parte del Governo ci fan troppo temere di vedere compromesso il suo interesse e la pubblica moralità.

Infatti, dipendendo questo sussidiario intervento governativo dal risultato dell’impresa, ognun vede come nel caso non manchi nè lo stimolo nè la facilità d’illudere. Imperocchè o il Governo si affiderà per la cognizione delle spese e dei prodotti alle assertive degl’intraprendenti, ed è pur troppo manifesto il pericolo che rimanga ingannato da quadri esagerati per estorcere il garantito interesse. Ovvero il Governo, per accorrere a ragion veduta, aggiunga un ministero suo a quello dell’impresa, e non abbisogna di dimostrazione quanto questa duplicazione di ministero sia perniciosa, e come sia poco morale e poco possa reputarsi efficace allo scuoprimento del vero, allorchè si pongano a contatto due interessi cui torni conto il nasconderlo. La verità sì difficile a conoscersi in tali affari, si renderebbe impenetrabile se si aggiunga lo stimolo di un sicuro profitto a celarla e ad oscurarla.

Al che si aggiunga la poca ragionevolezza del patto, perciocchè nei primi momenti l’impresa potrebbe esser perdente, ed allora il Governo rifonderebbe: in progresso divenire utilissima, ed allora l’utile sarebbe tutto dell’impresa.

Stabilite le condizioni fa duopo dar forma al contratto. Questo può esser concluso con una società fondatrice formata di un aggregato di persone, nelle quali il governo nella sua prudenza creda di trovare tutta la sicurezza. [p. 97 modifica]

La società fondatrice si costituisce quindi in società anonima, e questa, riservata per i soci fondatori quella quantità d’azioni che ciascuno stima di suo interesse di assumere, le altre le distribuisce ai concorrenti, con ingiunzione che la negoziazione debba seguire esclusivamente fra statisti a prezzo pari, od al più con una provisione a favore dei soci fondatori, in compenso della prima loro esposizione, e dell’opera occorsa nelle trattative.

Combinate in questa guisa le cose, rimane escluso il pericolo del detestabile aggiotaggio, il quale si risolve in un abuso d’industria che si commette contrattando sopra semplice ipotesi, dapoichè le successive contrattazioni non potrebbero accadere che sopra cosa reale, quale sarebbe una concessione ottenuta è stipolata, il di cui commercio diviene pienamente morale.

Non sapremmo come meglio chiudere questo nostro qualunque siasi scritto, che col far eco all’universale gratitudine verso l’ottimo e beneficentissimo pontefice Pio IX, il quale non appena elevato alla suprema dignità si occupò subito della grande impresa, deputando un’apposita commissione che di proposito si occupasse della importantissima materia, onde il suo Stato possa godere del nuovo ritrovato nel modo che meglio ne garantisca i maggiori e più durevoli vantaggi. Questo è già un bell’argomento dell’interesse che l’animo suo magnanimo prende per la felicità de’ suoi popoli, e sarà non ultimo titolo all’amore, venerazione e riconoscenza de’ fedelissimi suoi sudditi, ed all’ammirazione de’ posteri.


Note

  1. Cenni economico — Statistici 1840 — Prospetto comparativo pag. 172. Quadro sinottico pag. 176. Graduazione pag. 186.
  2. Art. 365.


       (1) In tutte le Delegazioni, e specialmente nella Comarca di Roma ed Agro romano, si farà eseguire nel termine di un anno dalla Congregazione delle acque per mezzo di appositi Ingegneri, una visita a tutti i luoghi infestati da acque stagnanti, o soggetti ai danni de’ corsi d’acque.

    Art. 366.

       Gl’Ingegneri visitatori riferiranno non solo gl’inconvenienti osservati, ma ancora proporranno in genere le operazioni da farsi per rimediarvi, e designeranno i comprensorj interessati.

    Art. 367.

       La Congregazione delle acque formerà per ogni associazione la respettiva Congregazione consorziale a norma delle massime stabilite, e quindi farà procedere alla esecuzione dei lavori, i quali, previo l’esame ed approvazione, saranno creduti i più opportuni e conducenti alla buonificazione dei terreni e al libero scolo delle acque stagnanti.

    Art. 368.

       I campioni de’ Contribuenti si formeranno con il metodo stabilito per tutti gli altri lavori idraulici consorziali, ed insorgendo difficoltà improviste per ottenere la sanificazione di tutti i luoghi infestati dalle acque, la Congregazione delle acque proporrà le convenienti particolari disposizioni all’approvazione Sovrana.

    Art. 369.

       In ogni triennio la Congregazione delle acque farà rinnovare le perlustrazioni dirette ad assicurarsi del progressivo miglioramento delle terre inondate, e ad ordinare le buonificazioni trascurate. Il risultato di queste ispezioni sarà sottoposto al Sovrano, senza accrescere i mali derivanti dalle putride esalazioni, senza ritardare i vantaggi agrari, ed esporsi a taccie di trascuraggine.

  3. Dell’abbreviamento di questo viaggio se ne terrà proposito nel punto seguente, allorchè verta trattato dell’ordinamento della linea.
  4. La prima considerazione che si presenta alla vista è la centralità del porto di Civitavecchia per riguardo agli altri porti d’Italia. Difatti prendendo per estremità commerciale del littorale italiano nel Mediterraneo i porti di Napoli e Genova, troveremo che la loro distanza è di miglia marine 337, la cui metà sono miglia 168. Ora la distanza da Napoli a Civitavecchia essendo di miglia 145 corrisponde poco men che perfettamente alla metà di questa linea, mentre pel contrario la distanza da Napoli a Livorno occupa i tre quarti della linea medesima essendo di miglia 256. Dunque la posizione del porto di Civitavecchia, essendo molto più centrale del porto di Livorno, sotto questo interessante punto è ben più conveniente.
  5. Consideriamo ora la stessa posizione per riguardo all’estero, ed imaginiamo due bastimenti, uno de’ quali venga da ponente, per esempio dallo stretto di Gibilterra, carico di merci pel centro dell’Italia da trasportarsi poi all’Adriatico, o in Germania; ed un altro bastimento, che proveniente da Alessandria d’Egitto, per esempio, abbia delle merci colla stessa destinazione, ed anche pel Nord-Ovest dell’Italia; e fingendo che ambedue questi bastimenti debbano quindi tornare ai loro respettivi punti di partenza, vediamo quale dei porti italiani meglio si presti al commercio di ambedue.
       Se la questione abbia a decidersi dietro la rinomanza dei porti, bisognerà convenire o che quello di Livorno sia il preferibile: ma se prescindendo dal grido ai porti per lo più procacciato dal lustro, magnificenza e commercio dell’attigua città e leggi ad esso relative, e ponendo da banda le pregiudicate opinioni, si discenda al fatto e tranquillamente si esamini la realtà delle cose, non vi sarà forse persona che non veda tutt’altro dover essere il giudizio, e dover Civitavecchia a giusto titolo godere della preferenza come porto fornito di condizioni geografiche ed idrografice assai superiori all’altro, e molto meglio di quello corrispondente agl’interessi del commercio universale.
       E per farci a dimostararlo senza dissimulare alcuna difficoltà, incominceremo dal convenire che pel bastimento che provenga da ponente la linea navigabile dallo stretto di Gibilterra a Livorno è di sole miglia nautiche 900, mentre l’altra dallo stretto a Civitavecchia è di miglia nautiche 965; ma chiunque sia pratico del mare per esperienza conosce, che questa apparente differenza in più è abbondantemente compensata anzi tolta dal comodo del tragitto.
       Non s’intende qui parlare dei legni di piccolo cabotaggio, i quali oltre che non possono servir di norma in un piano generale, posti poi in concorrenza coi piroscafi e colle strade ferrate dovranno senza nuovi provvedimenti sparire dal commercio: deve dunque aversi soltanto la mira ai bastimenti di lungo corso. Ora un bastimento di lungo corso per lo stesso prezzo di nolo preferirà in ogni stagione di navigare nella spaziosa e retta linea, che si presenta da Gibilterra alla parte meridionale della Sardegna, e da questa con altra simile linea fare atterraggio sopra Civitavecchia, piuttostochè affrontare il ben a ragione temuto golfo Lione e quello di Genova per venire a trovare il nascosto Livorno. Più di una volta ho io esperimentate le due vie, e sempre mi sono trovato più contento della prima: e quanti altri Capitani ho su ciò consultato, tutti per le loro esperienze mi hanno confermato nella mia opinione. Ma prescindendo dal peso che voglia darsi ai miei esperimenti (poichè io in questo scritto divengo parte interessata) e prescindendo pure dal credito che voglia darsi a quanto mi hanno potuto dir altri per fatto proprio, basterà che si volga uno sguardo ai diversi portolani del nostro mare, ed in tutti si vedrà confermato quanto io asserisco. Dunque bisognerà convenire che la tenue economia di miglia 65 sopra 900, non solo non è apprezzabile posta a confronto della comodità del tragitto, ma che la navigazione libera e di altura, la quale si presenta dallo stretto a Civitavecchia, è assolutamente preferibile all’altra pei golfi che conduce a Livorno.
       Che se si tratti di un piroscafo, potendo esso approfittar sempre del passaggio per le bocche di Bonifacio, non troverà certamente una linea più lunga nel dirigersi a Civitavecchia, anzi economizzerà 17 miglia sopra la linea che condurrebbe a Livorno.
       Da questi fatti risulta adunque che per le provenienze da ponente (escluse quelle della Francia meridionale e dell’Italia settentrionale che non entrano nel nostro quadro generale) il porto di Civitavecchia è geograficamente posto più convenientemente che quello di Livorno
       Pel bastimento poi che provenga da levante, vedesi a colpo d’occhio quanto maggior convenienza trovasi nel porto di Civitavecchia. Esso non solamente siede 126 miglia più a levante di Livorno, ma ha di più il gran vantaggio di trovarsi esente dalle gravi difficoltà, che generalmente incontransi nel passaggio del piccolo arcipelago formato dalle isole e secche comprese fra il monte Argentaro, il Capo Corso e Livorno. Ivi i venti e le correnti ritardano molte volte di più settimane il viaggio, ed il bastimento si trova esposto a continui pericoli. Sia dunque per la brevità della rotta, sia per la sicurezza del tragitto, Civitavecchia di lunga mano la vince su Livorno, per la convenienza che presenta ai bastimenti provenienti da levante.
       Ora essendo essa ugualmente conveniente pei bastimenti di ponente, come abbiam dimostrato, sarà forza concludere che il suo porto geograficamente posto per eccellenza sopra ogni altro punto dell’Italia centrale sul Mediterraneo, sia ad ogni altro preferibile e più conveniente per un gran commercio col ponente non meno che col levante.
  6. Ma fino ad ora non abbiamo fatto che istituire una comparazione geografica fra Civitavecchia e Livorno; resta ora a considerarsi un’altra parte interessantissima, vale a dire la costituzione idrografica dell’un porto e dell’altro. La superficie totale del porto di Livorno è di m. quadrati 167,881. Da cui si devono togliere pel banco dannosissimo di cui è ricolmo, precisamente nel suo centro m. quadrati 76720, onde resta la superficie atta a tenere ancorati i bastimenti m. quadrati 91161. La superficie totale poi del porto di Civitavecchia è di m. quadrati 129799. Dunque il porto di Civitavecchia, ha una superficie galleggiabile ed a ridosso maggiore di quella di Livorno di metri 58638. Essendo poi eguale la profondità dell’uno e l’altro porto, ne risulta che il porto di Civitavecchia è più spazioso ed utile di quello di Livorno.
       Nè sarà qui fuor di luogo il ricordare (quantunque cosa assai cognita) la gran differenza di difficoltà e di manovre che si presenta all’entrata dei due porti. L’atterraggio del porto di Livorno, è uno de’ più imbarazzanti e più difficili per un bastimento di lungo corso. Le secche della Malora, e quelle di Varo ne rendono l’abordo di gran precauzione, ed in alcuni tempi impraticabile: difetto che obbliga i bastimenti a prendere il pilota ad una distanza sensibile dal porto.
       L’entrata poi del medesimo è la più pericolosa, la più incomoda di quante se ne conoscono. Esso ha una sola bocca, ed in questa non sono praticabili che due cento metri radendo il molo, perchè, come ho detto, tutto il centro del porto è costruito da una secca, e non lascia che un canale all’intorno.
       Ma dovendosi in questo spazio ormeggiare i bastimenti, neppur 100 metri restan liberi dei 200, e forza è pratticar l’entrata fra il molo e la poppa dei bastimenti, i quali a dar passaggio al bastimento che entra, sono tutti obbligati a mollare successivamente l’una e poi l’altra delle due cime o gomene a cui sono raccomandati, onde sopra possa scorrervi il sopravvenuto legno. Qual sia il pericolo, quale l’incomodo di una tal manovra (al tutto impraticabile di notte) è facile imaginarlo. Un momento che fallisca uno dei tanti elementi, che in natura contribuiscono alla direzione di un bastimento, oppure un momento che si ritardi dai bastimenti ancorati di mollare le suddette cime da poppa, le avaree sono generalmente sensibilissime, e non possono evitarsi.
       Confrontiamo ora con questo l’atterraggio di Civitavecchia, atterraggio il più comodo che possa mai desiderarsi. Quel porto ha dinanzi a se a destra ed a sinistra, un mare a tutta vista libero da ogni pericolo, di modo che ogni bastimento il meno prattico può ad esso avvicinarsi senza soccorso di pilota.
       Presenta per l’entrata due bocche una da levante, e l’altra da ponente, beneficio prezioso di cui pochissimi porti sono forniti, entrambe larghe di 110 metri, cioè ognuna più larga dell’unica che vi è nel porto di Livorno. Al bastimento entrato per una delle suddette bocche si presenta innanzi un apertura di metri 220, ed uno sfondo quasi circolare e navigabile di metri 350, escluso tutto il tratto dai bracci del porto all’antemurale, mentre che nel porto di Livorno gli si presentano un gran numero di gomene tese, che non gli permettono il ricovero, se esse non vengono con sollecita manovra mollate.
       Non entrerò ora a fare il confronto fra i due porti per la sicurezza dei bastimenti che vi sono ormeggiati, e per le altre operazioni che in essi si fanno per scaricare le merci, o condursi nelle rispettive darsene. Chi non ignora le pratiche de’ due porti non ha bisogno di tali dimostrazioni, e d’altronde la sola ispezione delle piante idrografiche, che possono facilmente vedersi, dimostra a sufficienza anche per questa parte la superiorità del porto di Civitavecchia. Dunque non meno per la costituzione idrografica, che per la posizione geografica, il porto di Civitavecchia è onninamente preferibile a quello di Livorno, e incomparabilmente più conveniente pel commercio universale.
  7. Passiamo ora alle rade de’ due porti. La ristrettezza, gl’incomodi ed i pericoli del porto di Livorno, fanno preferire ad una gran parte de’ bastimenti che vi approdano l’ancoraggio nella rada. Giace essa alla distanza di 2 a 3 miglia del porto verso il Nord, difesa in qualche parte dalle secche della Malora, ma ecco cosa ce ne dicono i portolani. „Il sorgitore o ancoraggio non è egualmente buono in tutta la rada: dalla parte del fanale il fondo è di scogli: in qualche luogo è irregolarissimo e formato di preminenze sopra le quali le gomene si corrodono con i venti del Sud; questi producono un grosso mare che i bastimenti, non sufficientemente grossi e solidi temono di sprofondarsi sopra le ancore. In tali casi non infrequenti, se i detti bastimenti non hanno avuto l’avvertenza di porsi ad una data direzione, filano le loro gomene e vanno ad arrenarsi o a dare in secco presso la torre di Marzocco. Cessato il mare, non senza una sensibile spesa ed anche non senza delle notevoli avaree, possono tornare a galleggiare: se essi però non hanno avuta la sorte di far terra presso la suddetta torre, sono interamente distrutti. Mentre si è in rada, veruna operazione di commercio si può fare col porto, se il mare non è in piena calma„.
       Da questa breve esposizione risulta adunque che la rada di Livorno è poco meno che una aperta spiaggia.
       Passiamo a quella di Civitavecchia. Questo porto avendo avuta fino ad ora una superficie sufficiente al commercio che vi si pratica, non ha avuto bisogno di ricorrere ad una rada. La natura però gliene fornisce una, che quantunque nello stato presente sia inferiore a quella di Livorno, e possa dirsi di niuna utilità, ciò non ostante presenta una tal costituzione da prestarsi a divenire con poca spesa non una pericolosa ed incomoda rada come quella di Livorno, ma un porto di rifugio sicurissimo e comodo. Questa posizione è conosciuta oggi sotto il vobabolo Punta del Pecoraro distante da Civitavecchia non più di due miglia, nella direzione di lavante, qualche grado a scirocco, cioè non più lontana dal porto di quella di Livorno.
       Se volesse ivi stabilirsi un semplice porto di rifugio, come in Livorno vi è una semplice rada, sarebbe sufficiente un antemurale galleggiante col sistema di Tayler (sistema in oggi ben noto e di cui ho parlato diffusamente nel mio scritto di sopra citato), il quale con un numero di diciotto sezioni di metri 20 ognuna ci somministrerebbe un braccio di metri 360 ed una superficie coperta da tutti i mari di oltre centomila metri quadrati, con una profondità media di sei metri.
       La spesa di questo frangi-onde galleggiante, ascenderebbe a sc. 38,000 cosicchè coll’impiegare una tal somma, e con una manutenzione di sc. 2,000, si potrebbe agevolmente avere presso il porto di Civitavecchia un porto di rifugio ben cento volte più conveniente per i bastimenti che la rada di Livorno. Essi rinfrancherebbero ben presto gl’intraprendenti della spesa, col pagare, per essere ivi sicuri, una tassa che pur pagano a Livorno, ove poi sono esposti a tanti danni e pericoli.
  8. prezzi medii di costruzione

       Sanfermo (cenni sulle linee ferrate più convenienti all’alta Italia ed all’Italia centrale) stabilisce il prezzo medio delle strade ferrate in Italia, e questo prezzo ridotto a misura e moneta romana corrisponde per le varie località come appresso:

    Terreni piani o vallate ampie senza movimenti notabili, il miglio romano di metri 1500 sc. 26713
    Valli più ristrette e suoli sensibilmente irregolari 38856
    Passaggi di dorsi alpini 72855

    N. B. Dalle proporzioni in cui stanno le diverse località col tutto, dipende la raguagliata della spesa


       In detti prezzi s’intende ritenuta la costruzione ad una rotaja, eccettuati i soli accessi alle città, e i necessarii ricambi alle stazioni.
       Secondo il detto autore, il costo medio della gran rete ferrata in Francia è valutato in scudi 44927 il miglio romano, e ne’ tronchi vicini alle grandi città in scudi 60612 romani.
       Lo stesso autore riferisce, che consta dai registri officiali essere il prezzo medio delle strade in Germania di scudi 31821.
       La strada Ferdinandea da Venezia a Milano secondo il primitivo scandaglio fu valutata in scudi 42810 a miglio romano.
       La strada Leopolda da Firenze a Livorno fu calcolata dall’ingegnere Stephenson scudi 24285 al miglio, ma poi importò scudi 29880.

       Per un medio generale di esperienza può fissarsi il valore di un miglio romano in sc. 34914

       Cioè

       Movimenti di terra e lavori in cementi per miglio sc. 16560
       Acquisto e mettitura in opera delle ruotaje, pulvini e dadi per un binario 12420
       Il doppio per 2 binarii
       Occupazione di terreno 2760

    sc. 31740
       1/20 per direzione ed assistenza 1587
       1/20 per imprevisti 1587

    Ritornano sc. 34914

       (Ogni metro lineare sc. 23.27)

       La spesa da Bologna ad Ancona è calcolata nel piano de’ Bolognesi in sc. 32112 il miglio ad una sola rotaja, e sc. 42635 a due rotaje.

  9. Il prezzo di stabilimento di una strada a rotaje di ferro si compone
       1.° Delle spese in lavori di terra sia per abbassamenti sia per rialzamenti del suolo, onde ridurre il piano stradale a convenienti declività; in strutture murali, di ponti, di chiaviche ed altre opere di simile natura; in passaggi sotterranei.
       2.° Delle spese di acquisto e posamento in opera dei massi di pietra e suoi sedimenti in strisce, delle guide di ferro e tutt’altro a ciò relativo.
       3.° Delle spese di acquisto dei terreni necessari per stabilire la strada.
       Il primo ed il terzo articolo sono soggetti ad immense variazioni secondo le località ove deve aver sede, e secondo la maggiore o minore perfezione e larghezza attribuibile al delineamento della strada.
       Per la strada da Liverpool a Manchester fu calcolata la spesa di duecentomila franchi per chilometro, che equivale a sc. 55,830 romani per ogni miglio comune.    Per la strada da Saint'Ètienne a Lione, la spesa risultò di centoventimila franchi per kilometro, ossiano sc. 33,498 romani per ogni miglio.
       La strada d’Andefieux a Roanne non importò che sessanta mila franchi per kilometro corrispondenti a se. 16,749 per miglio romano, ma riuscì molto imperfetta avendo de' piani inclinati eccessivi che la rendono di uso pericoloso.
       Dopo le riforme utili che gl'ingegneri italiani portarono nella declività del piano stradale, per cui fu dimostrato che senza inconveniente poteva estendersi sino al 37 per mille, in luogo del 10 e tutt'al più del 20 precedentemente adottato, e presso la diminuzione di un quarto del raggio nelle risvolte, la spesa di stabilimento delle strade a guide di ferro va a diminuire sensibilmente, in modo che per un medio comune in una gran linea può ritenersi il seguente risultato.
       Terrapienamenti, passaggi sotterranei, strutture murali ed altri lavori preparatorii e di arte, per ogni miglio romano sc. 16,740
       Opere in ferro poste in opera con tutto ciò che occorre 11,260
       Terreni da occuparsi, compresi i danni di passaggi ed occupazioni provvisorie 2,791

    30,800
       Un quindicesimo per la direzione e condotta dei lavori 2,053
       Idem per imprevisti 2,053

    Totale per miglio romano 34,906

  10. Le Cave concesse alla società Benucci e compagni nel territorio di Spoleto sono Monteleone, Gavelli, Monte di Cascia, Popaggi.
       Nella Legazione d’ Urbino — Monte-cucco
       Nel Territorio di Narni — Stifone
       Nel Territorio di Civitavecchia — Tolfa
       Ed inoltre le miniere dì Guercino
       Si sono fatti saggi di tutte, ma sono stati fatti esperimenti più considerabili su quelle di Monteleone, Gavelli, Popaggi e Tolfa. Quest’ultima, sebbene dia il prodotto più abbondante (che qualche volta nei più belli filoni ha oltrepassato il 60 per %), pure deve ritenersi di qualità inferiore a quelle del Territorio di Spoleto che danno un ferro da non temere confronti. Il prodotto di queste è sempre al disopra del 40 per %. Essendosi attivato un forno fusorio presso la stabilimento di Terni, colla vista specialmente di sperimentare in grande questi minerali, si fuse la miniera della Tolfa unita a quella di Monteleone, onde profittare della buona qualità dell’una e della ricchezza dell’altra, e si ottenne un ottimo ferro. Attualmente queste sono le miniere per le quali ferve il lavoro.
  11. Il Monterone, montagna primitiva, dista di poco dal Castello di Riobbico, sotto il governo di Urbania nella legazione d’Urbino e Pesaro.
       Il monte dell’Eremo costituisce una parte dell’altro suddetto intersecato da una valle al Nord-Ovest del Riobbico, bagnato dal fiume Biscubio.
       Nell’uno e nell’altro monte esiste il minerale di ferro, e ne fù concessa la privativa escavazione per anni 99 dalla R.C.A. con istrumento del dì 24 luglio 1844 al sig. Vincenzo Patrizj.
       I diversi tasti eseguiti assicurano l’abbondanza dei filoni in ambedue i monti.
       Di recente si tentò un saggio di fusione, alla meglio, nell’armeria pontificia, e si ottenne una ghisa di prima qualità.
       Per mancanza di comodi ed anche di artefici, si è mandato una quantità del minerale in Iscozia nelle ferriere del sig. Nelson e Watson, tanto per averne l’analisi chimica, quanto per l’esperimento della fusione.
       Eseguita l’analisi dal professor Thomson, ha trovato delle cento parti.
    Materie insolubili 2.28
    Perossido di ferro 76.16
    Carbonato di calce 00.94
    Materie volatili 20.62

    100.00

       I sig. Nelson e Watson si occupano ora del miglior modo di lavorare simile minerale, e se n’attende il processo.

  12. Le indagini pel carbon fossile continuano senza interruzione. Salisano e Rocca-antica in Sabina, Aquasparte e Todi nell’Umbria, offrono tutte ligniti delle quali la migliore è quella di Salisano. Alcune vene o filoni di qualità assai lusinghiera si sono rinvenuti ultimamente presso Gubbio, che però si offrono in strati sottili.
  13. spese di manutenzione

       Molte particolari circostanze rendono assai difficile questo calcolo.
       Se il tonnellaggio è di poca considerazione e poca la velocità, la durata delle rotaje è maggiore, la spesa annua minore.
       Se la linea presenta aspre curve le ruotaje si consumano molto, e le curve sono aspre a raggio di 200.
       La strada da Manchester a Liverpool costò di manutenzione, secondo i registri del 1833, annui fr. 6714 per Chilom. (sc. 1855 il miglio): spesa enorme cagionata dalla estrema velocita usata.
       La strada da s. Stefano a Lione, con minor velocità, costa ragguagliatamente fr. 2590 il Chil all’anno (sc. 714 il miglio).
       Secondo Biot può considerarsi la media annua in fr. 2500 a chil. (sc. 690 circa al miglio romano), in una strada soggetta ad un considerevole trasporto, ma con velocità di 3 a 4 met. per secondo (7,2 a 9,6 all’ora).
       Per una strada di medio tonnellaggio e di una velocità di met. 1.50 per secondo, la spesa non oltrepasserà 1000 fr., il chil. (sc 276 il miglio) ma bisogna avere un treno maggiore di carri.
       Schmitz valuta per le strade percorse da macchine il due e mezzo per % del costo primitivo pel fondo di strada ed edifici, onde supposto il costo primitivo in sc. 45000, la manutenzione sarà di sc. 1125 per miglio. Biot però sostiene dietro esperienze che la manutenzione di una strada ferrata diretta da un abile Ingegnere può ottenersi coll’uno e mezzo per %, lo che nel citato esempio da’ sc. 675 al miglio.
       Il mantenimento della strada Ferdinandea è calcolato in annui sc. 515 al miglio romano.

    le spese annue consistono

    I. Nel trasporto dei viaggiatori e merci

    Strade di Liverpool » 40 per % del totale introito lordo
    Lione e Budweis » 48 per %

       In una strada ben costruita si debbono valutare al 40 p. %

    II. Nella manutenzione del piano stradale compresi i fabbricati

    Strade di Liverpool » 8 1/5 per % dell'introito lordo
    Lione » 11 1/2 per %
    Budweis » 13 1/3 per %

    III- Nella direzione ed Amministrazione

    Strade di Liverpool » 7 per % dell'introito lordo
    Lione » 7 1/2 per %
    Budweis » 6 per %


    Si deduce da quanto sopra il guadagno netto per

    Strade di Liverpool » 45 per % dell'introito lordo
    Lione » 32 per %
    Budweis » 33 per %


    Le spese del num. I comprendono


    Manutenzione de’ Forgoni per le merci
    Idem delle vetture pei passeggieri
    Macchine locomotive
    Idem stabili
    Condottieri
    Omnibus nella capitale
    Carbon fossile


    Le spese del num. II.


    Riparazione del fondo, fossi, arginature ec.
    Idem ai muramenti
    Idem alle spranghe pulvini ec.
    Idem agli edifici
    Salari de’ custodi e stradajoli
    Sgombro delle nevi


    Quelle del num. III.


    Amministrazione pel trasporto delle merci
    Idem pe’ passeggeri
    Spese di direzione
    Idem di Cancelleria
    Spese diverse per le merci
    Idem pe’ passeggeri
    Imposte indirette
    Interessi, sconti, pigioni ec.
    Spese minute

       Per una ragguagliata dedotta da tutti i dati espressi di sopra, si può approssimativamente calcolare la manutenzione (esclusa quella esorbitante della strada di Manchester) in annui sc. 520, per ogni miglio.

    Risultati del paragone dell’utile pel trasporto de’ viaggiatori e per quello delle merci


       Sulla strada di Liverpool il guadagno sulle persone arriva al 53 per %: quello sulle merci al 35 per % dell’introito lordo.
       Sulla strada di Lione si verifica il 41 per % per le persone ed il 24% per le merci.
       Sopra una strada ferrata il guadagno netto derivante dal trasporto di un viaggiatore eguaglia quello del trasporto di 1140 chilog. di merci.
       L’impresa dunque sarà vantaggiosa in que’ luoghi dove siavi un vivo movimento di persone. Il movimento delle merci, per quanto sia considerevole, non potrà mai produrre un’utile eguale a quello di un mediocre numero di passeggieri.
       Le strade Americane danno il maggior utile, perchè vivissimo e generale è il desiderio di viaggiare.