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za fallo la causa. Difatti una rivoluzione spaventosa che, sorta in un punto, come male contagioso, ha percorsa tutta la faccia del globo; una lotta fra nazioni e nazioni ostinata sterminatrice, che fece divenire l’arte militare l’unica ed assorbente; una pace benefica sì, ma istantanea, mercè la quale rientrarono quasi d’improvviso nelle popolazioni stazionarie, tutti quelli che costituirono immensi eserciti belligeranti; un enorme debito pubblico, che tutti i governi dovettero contrarre per sopravvivere a quel parosismo provocato dai politici sconvolgimenti; tutte queste ed altre da esse dipendenti sono le cause influentissime, che, affollatesi in pochi anni, hanno prodotto, con un urto quasi simultaneo, quella scossa ed alterazione che tuttora impongono in alcuni stati di Europa. E sarebbe ingiusto ed inesatto il volerla attribuire ad una sola di quelle cause, mentre l’urto avvenne dal complesso delle circostanze diverse.

Sarebbe però egualmente ingiusto il voler fra le cause del pauperismo escludere del tutto l’applicazione delle macchine, ma per assegnare a questo il giusto peso nella bilancia del danno recato sotto questo rapporto, fa mestieri distinguere le macchine per loro stesse, e l’applicazione alle medesime della forza motrice del vapore. Imperocchè non v’ha dubbio che l’invenzione delle macchine puramente meccaniche, giunte ad un grado di perfezione che solo l’anima sembra loro mancare, abbia portato ad ottenere, mercè lo studio di perfette combinazioni, i lavori più difficili quasi senza l’impiego degli uomini, e da ciò ne derivò l’immensa diminuzione del bisogno dei lavoranti; la quale invenzione rapidamente applicata a tutte le manifatture, ha data una violenta scossa alle economiche abitudini delle nazioni che l’hanno adottata, togliendo di un sol colpo lavoro e