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giare e vincere nel concorso con quelle legittimamente introdotte, o estratte. Pongasi ora che le strade ferrate non possono prestarsi al contrabando, come abbiamo dimostrato, ma che presentano una sensibile economia e di tempo e di spesa nel trasporto delle merci che con questo mezzo si conducono; quest’economia compensa il pagamento del dazio e costituisce il contrabandiere fuori di portata di trovarsi in vantaggio a fronte delle merci legittimamente introdotte o estratte; tanto più che il trasporto delle merci in contrabando deve esser caricato di gran perdita di tempo in percorrere vie tortuose, difficili e recondite, e della maggior spesa o di assicurazione, o di compenso ai rischi e pericoli che accompagnano l’uso di mezzi illegittimi, e criminosi. Dalle quali cose più rettamente dedur si deve, esser le strade ferrate non un mezzo che faciliti o protegga il contrabando, ma al contrario un validissimo rimedio, che forse fin dalle sue radici purghi da quella peste il commercio e la Società.
Fin qui per escludere il timore della facilitazione del contrabando: ora vediamo se sussiste il danno che recherebbero le strade ferrate col facilitare l’introduzione delle merci estere. Ed in primo luogo, si riconoscerebbe degno di compatimento a nostri giorni il pensiero di opporre ostacoli materiali al movimento commerciale, quasi fosse per lo contrario espediente di barrare le strade, e di ostruire i canali ed i porti perchè desse non passassero, ne s’introducessero; ma a prescindere da questo argomento basti riflettere che gli ostacoli, e le facilitazioni operano reciprocamente tanto nelle introduzioni, quanto nelle estrazioni a modo, che quando le merci estere si volessero colpire, si colpirebbero contemporaneamente ancora le indigene.