L'elemento germanico nella lingua italiana/G
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G
Gabbare, burlare, beffare, ingannare, giuntare (Albertano, Guittone, Dante). Questo vb. coll’afr. gaber, prov. gabar, a. sp. gabar, procedette senza dubbio alcuno dall’anrd. gabba, burlare, scherzare. L’a. fris. gabbia significa “accusare, perseguitare”: il che spiega il senso di “ingannare” che fra gli altri ha assunto questo verbo. Il Diefenbach credette che esso fosse d’origine celtica per la ragione che si incontra anche nel prov. ed afr. Ma se questa ragione valesse, bisognerebbe ammettere essere celtiche molte altre parole che sono indubbiamente ger., perchè molte di esse si ritrovano anche in quelle due lingue sorelle, ed in parecchi casi di là sono entrate nell’it., atteso l’influsso che il ger. ha esercitato sulle due lingue fr. maggiore che sulle altre neolatine; ed attesa la grande espansione che nel medioevo come adesso il francese ebbe in tutta l’Europa meridionale. Probabilmente anche stavolta l’it. non procedette direttamente dal ger., bensì dal prov.; poichè quasi tutte le parole it. spettanti al ramo nordico di esso ger. sono passate a traverso la Francia, che ebbe cogli Scandinavi e i Danesi contatti più numerosi ed importanti che l’Italia, e ciò mediante le incursioni dei Normanni e il loro stanziamento alle foci della Senna, nel paese da loro detto poi Normandia, e mediante il commercio ch’essa dovette necessariamente avere più frequente cogli abitanti della Neerlandia, linguisticamente più affini agli Scandinavi che gli stessi popoli della Germania propriamente detta. Del rimanente la plasmazione fonetica dell’it. gabbare, prov. gabar, afr. gaber dall’anrd. gabba è analoga a quella per cui dall’anrd. dubba si formò afr. adober, prov. adobar, it. addobbare (v. Mackel, p. 179). È poi notevole che le lingue ger. ci abbiano dato un certo numero di vocaboli contenenti l’idea di “deridere, dileggiare” come beffare, celia, gherminella, onire, onta, schernire, scherzare ecc.; il che costituisce un’altra ragione di più, se ce ne fossse bisogno, per derivare di là anche gabbare. Deriv.: gabba-mento-tore, gabbevole; gabba-compagni-cristiani-deo-minchioni-mondo-santi. In tutti questi o derivati o composti all’idea di “burla, beffa” è quasi sempre sottentrata quella di “inganno”, per un procedimento logico facilmente spiegabile. L’ing. gibe, beffa, e to giber, schernire, appartiene esso pure alla stessa radice. Dell’ing. to gab, gabble, cicalare, non saprei dire.
Gabbo, burla, beffa, giuoco, scherzo (Pist. Sen., Novellino). Questo nome [afr. gab], può essersi svolto sul territorio delle lingue rom. dai vb. afr. gaber, prov. gabar, it. gabbare; ma potrebbe anche essere derivato direttamente dall’anrd. gabb, come da ags. crabba, afr. crabe; da anrd. nabbi, afr. nabot; e il significato di “beffa, scherzo” che unicamente presenta questo nome, mentre il vb. offre anche quello d’“inganno”, sembra confermare questa ipotesi. Il Littrè crede che il vocab. nord. abbia un rapporto col radicale gau da cui sarebbe venuto il l. gaudere, godere, rallegrarsi. Anche l’it. gabbare qualche volta significò “godere, gioire” (Fav. Esop.). Quanto al fr. gabatine, è venuto dall’it. gabbatina.
Gabella, dapprima imposta in generale; poi imposta sul sale; infine deposito di sale (Stratto, Part. T. A. 1; Sacchetti, Villani M., Morelli). Questa parola col fr. gabelle, sp. port. gabela, immediatamente venne dal bl. gablum, gabulum, gabella; e questo noi non esitiamo a dirlo derivato dall’ags. gaful, gafol, d’ug. sig., ing. gavel, terreno rendita, gabel, gabella; il qual nome s’era formato dal vb. gifan, got. giban, donde tm. geben, gab, gegeben, dare, e il nome Gabe, dono. Il processo logico per cui la parola dell’idea di “dare” passò a quella di “imposta” ha esempi perfettamente analoghi nell’afr. dace, e nell’it. dazio, significanti ambedue “imposta”, e provenienti dal l. datio-nis, “atto del dare”. Fu proposto anche l’aat. garba, manipolo. Ma, come nota lo Scheler, l’elisione della r davanti a b non offre alcuna verisimiglianza; ed inoltre anche il senso è molto lontano. Quanto poi all’arb. qabala, esigere, questo si presterebbe assai pel significato. Ma ci sono parecchie osservazioni da fare in contrario. La prima è del Diez, il quale sostiene che l’addolcimento di c iniziale in g nelle parole d’origine araba non ha esempi; il che riman vero anche dopo l’obbiezione del Devic che allegò le rare forme it. caballa, cabella. L’altra osservazione che faccio io è questa. Le parole arabe, come quelle che sono entrate in it. e nelle altre lingue rom. per lo più nei sec. XI e XII, e raramente prima del 1000, difficilmente si trovano nel bl. primitivo. Ora gabella è nome che ci appare, e assai per tempo; onde anche da questo lato s’accresce la probabilità dell’orig. ger. di essa parola. Il tm. Gabe significa “dono” e non “gabella”; ma quest’ultimo concetto è però significato dal composto Abgabe. Deriv.: gabella-bile-re-tore; gabell-evole-iere-ino.
Gaggio (ant.), pegno, cauzione d’una promessa, sfida o patto; salario, ricompensa; capitale (Novellino, Liv. M., Villani). Secondo il Bembo, Prose, 1, 21, questa voce ci venne immediatamente dal provenzale per opera di Dante, «comechè egli di questa non fosse il primo che la portasse». Di fatti l’impronta è tutta propria di quella lingua, nella quale, come nell’afr., era comunissima; e dove una forma secondaria gati, gazi, significava anche “testamento”. Ora l’afr. prov. gage, gatge, gatghe, gaje [donde anche sp. gaggio] provenne dal tema ger. wadio, svoltosi nel got. vadi, wadiis, aat. wetti, ags. wed, anrd. ved, pegno, cauzione, promessa, sicurezza. Immediatamente dal got. vadi formossi il mlt. wadium, vadium, che ricorre già nelle Leg. Alem., e nella cron. Laurish. Essa è dunque una parola che insieme con molte altre riferentisi al diritto, entrò nel bl. colle invasioni barbariche. Quanto all’ipotesi del Ducange che la derivava dal l. vadum, attribuendo a questo nome il senso di “sicurezza” [res est in vado avrebbe significato “la cosa è in sicuro”, essa è del tutto sfatata, non avendosi prova alcuna dell’asserzione del Ducange circa il valore da lui attribuito a vadum. Osserva però il Diez che dal l. vas, vadis, mallevadore, poteva formarsi un vadium; ma che le antiche scritture recando spesso il g, gu che corrisponde al w ger., lasciano vedere che dalle lingue settentrionali era venuto il vocabolo. Oltredichè, aggiungo io, il l. possedeva già per il concetto di “malleveria” le due parole vadimonium, e vadatum; onde difficilmente si può supporre che il bl. sentisse il bisogno di foggiare una nuova voce da quella radice che ormai era poi anche fuori dell’uso comune. Dal signif. primitivo di “pegno, oggetto messo in pegno, sicurtà”, si svolsero quelli di “garanzia, sicurezza, promessa, ricompensa, salario”. In fr. da gage, si formò il vb. gager “dare in pegno”, poi “fare una scommessa”; donde engager, “impegnare”, e poi “incominciare, intraprendere”, e degager “disobbligarsi”. In it. ingaggiare “intraprendere” è probabilmente una riproduzione del corrispondente vb. francese; e così il dialett. moden. sgaggiarsi “svincolarsi”, e poi “spacciarsi, affrettarsi”. Ma poichè nel bl. si incontrano i vb. invadiare, disvadiare d’ug. sig., non è esclusa l’ipotesi che i vb. ital. siansi formati di là, e siano poi restati voci del dialetto senza entrare nella lingua scritta, come in parecchi altri casi. Quanto al tm. wetten, scommettere, esso procede immediatamente dal mat. wëtten, wëten, aat. wëtan, got. vidan, legare, congiungere: altre forme sono: got. vida, viss, aggettivi; aat. gawët, mat. gewëte, wëtaro; anrd. vadhr, mat. gawâti, wâtjan. È dunque chiaro che il concetto fondamentale del ger. era quello di “qualche cosa che lega”. Il quale concetto preso in senso morale conviene mirabilmente a gaggio, pegno. La rad. ger. è wad, dal preger. vadh. Nel campo indeu. ha dei singolari riscontri anche di senso in tre lingue: lit., latino, e greco. Il lit. ci offre vadúti, wadúju, riscattare, sciorre, liberare, lett. wadót, riscattare. Il lat. vas, mallevadore, praes [da praevides], lo stesso; vadimonium, sicurtà, vadari, far sicurtà, vadatus, obbligato per sicurtà. Il gr. ἄεθλον, ἄθλον, premio della lotta, guiderdone, ἄεθλος, ἄθλος, gara, lotta, άεθλεύειν, gareggiare, άθλετήρ, άθλετής lottatore (propriamente chi lotta pel premio). La radice gr. è έθ da Fεθ. Dal che si deduce che atleta e gaggio sono evoluzioni della stessa rad. idg. vadh. Nelle rimanenti lingue indeu. la radice idg. assume significati alquanto diversi. Così zend. vadh = vestire, lett. aust = tessere, il che si verifica anche nel lit. áusti, tessere; sans. vadh = giogo. Curtius3 234, 22 399; Fick3 285. Però il Fick3 1, 209 sostiene che vadh sia da rad. idg. vâ tessere. È notevole che il prov. ha il vb. gatiar venuto anch’esso dal tema ger. wadjo, e corrispondente al fr. gager. Ora nelle montagne modenesi (Montese) esiste un vb. ingatiar, “aggrovigliarsi”, desgatiar e sgatiar, nel senso di “stricare fili insieme aggrovigliati”. Questo porterebbe ad ammettere che anche presso di noi dovesse già sussistere un vb. gatiar uguale per forma al prov. e di signif. rispondente a “legare”, ma in senso materiale. V. Ingaggiare e Ingatiare.
Gagliardo, robusto, possente, forzuto, forte (Buti, Boccaccio, Villani). Io credo che, del pari che lo sp. gallardo, proceda direttamente dal fr. gaillard, prov. galhard, che valeva “generoso, vigoroso, ardito”; e una prova l’abbiamo nella comparsa piuttosto tarda che fa in it., cioè nel principio del sec. XIV, quando appunto s’ebbe una specie di travasamento di vocaboli fr. in Italia, per opera sia dei poeti provenzali, sia dei nostri stessi scrittori, e della influenza politica che allora la Francia mediante gli Angioini ebbe in Italia. Il fr. poi, secondo lo Scheler, potè essere venuto da gai (v. Gajo), che in origine significò “pronto, vivace”; senso affine molto a quella dell’aggettivo in discorso. Di una tale formazione lo Scheler trova un’analogia in baillet, ampliamento di bai. Il Diez al contrario trae tutte le voci romanze dall’ags. gagol, geagle, ardito, lascivo; lasciando però intravvedere possibile anche una derivazione dal cimb. gall, forza, a. gael. galach, coraggio, valentia.
Gaida, gheda, gherone (dial. moden. parm. crem. milan. piem.). È una di quelle voci militari, che importate in Italia dai Longobardi non entrarono nella lingua scritta; ma restarono qua e là allo stato dialettale, e con significato spesso modificato. Infatti nel longob. gaida valeva “lancia, ferro della saetta”. Questo lo apprendiamo da un antico Gloss. Longob. conservato nella Vaticana, dove gaida è spiegato con “ferro della saetta”. Circa poi il signif. assunto sul territorio italiano dalla voce longob. si può vedere il Gloss. Lat. Ital. edito dal Ducange, dove le ghede sono spiegate per = liste delle camicie delle donne =; e Ottone Morena (Rer. It. Scr. t. 6) che parla delle donne da Lodi che avevano alcuni figli ad gaidas vestium suarum se tenentes. Questo nome d’arma fu adunque applicato al gherone delle vesti per la somiglianza di forma ch’esso ha colla ghiera o ferro della saetta. Sulla voce longob. parlò Haupt 1, 554. Essa nell’ags. ha per corrispondente gâd e nell’ing. goad, punta, stimolo. Il dial. sard. ha gaja.
Gaio, allegro, festevole, vago, leggiadro; screziato (Novellino, Guido G., Dante da Majano). Questo agg., a cui rispondono fr. gaj, sp. gayo, prov. gai, jaj, fu già dal Muratori riannodato all’aat. gâhi, pronto vivace; e il Diez suffragò colla sua autorità una tale derivazione, accettata poscia anche dal Kluge e dal Mackel. Il Littrè invece, seguito dal Baist Zeits. 247, accenna ad una possibile provenienza dal np. l. Caius o Gaius, usato in una formola d’una cerimonia nuziale: Ubi tu Gaius ego Gaja: della quale formola sarebbe sopravvissuto solo il np. Gaius come agg. significante qualche cosa di “lieto e giocondo”. Ma si può domandare: dov’è nel bl. l’anello di congiunzione fra il vocab. del lat. classico e la voce romanza? Inoltre non si ha esempio d’un np. che sia divenuto agg. denotante una qualità stata propria della persona che portava quel np. Quanto all’obbiezione che il Baist muove all’etim. ger. dicendo che l’h ger. intervocale in rom. è rappresentata da c semplice o doppio, il Mackel osserva che questo non succede sempre; onde da skiuhan s’ebbe schivare e da spëhon, spiare. Se a questa considerazione s’aggiunga che il senso di “vivace, pronto, lesto” presenta un passaggio facilissimo a quello delle voci romanze, si può riguardare l’etim. ger. come certa. Il tema ger. era * gahia che diè aat. gähi, kâhi, câhi, gahe, kâhe, mat. gaehe, snello, pronto, frettoloso, tm. gäh, jähc, erto, ripido, subitaneo, vivace; donde, iähzorn, focoso. Fra i derivati t. di questa radice segnaleremo gahîleih, gihîleich, nozze, gahîleihlih, gihileihlich nuziale, gahîlih, gihilih, geniale: senso anch’esso confacentissimo a spiegare quello assunto poi dal romanzo, e che è lo stesso per cui il Littrè e il Baist inchinavano a trarre quest’ultimo dal np. l. Gaius. Secondo il Kluge aat. gâhi, tm. jähe è parola specificamente ger.; che non ha riscontro nelle altre lingue del campo indeu. Nelle lingue neol., oltre all’aggettivo visto di sopra, spetta qui lo sp. gayo, gaya, prov. gai, fr. geai, come nome d’un uccello, la ghiandaja, forse perchè “vivace e grazioso”. Difficile poi è a spiegare come questa voce significasse anche “screziato” [cfr. sp. gayar, fare screziato; afr. piaus gaies et noires, pelle screziata e nera; vall. gajeloter, screziare: Dante, Inf. 1, Di quella fera la gajetta pelle]. Bisogna forse ammettere che si concepisse la varietà e screziatura dei colori come condizione necessaria per la “gaiezza” d’un animale o d’un oggetto. Deriv.: gai-amente-ezza.
Gala, ornamento che le donne portavan sul petto, striscia di lana o pannolino lavorato e trapuntato; ornamento, abbellimento (Boccaccio, Labir.; Pulci, Ciriffo Calv.). Questo significato non è stato il primitivo, almeno in italiano; e ciò si vede chiaramente nell’afr. gale “allegrezza, voluttà, festino, facezie”, galer “rallegrarsi, fare nozze, menar treno” e vall. s’agalir “pararsi”. Evidentemente il vocabolo it. si restrinse a denotare un effetto di ciò ch’era indicato da principio dal fr., dal quale è verosimile che procedesse l’it. in quella invasione di modi e fogge del vestire che per testimonianza del Villani ci venne dalla Francia sullo scorcio del duecento e sul principio del trecento. Alla sua volta il fr. moderno gala, come anche sp. e port. gala, sono e per forma e per senso riproduzione dell’it. gala. Ora l’afr. gale è dal Diefenbach e dal Diez rimenato all’aat. geil, lussurioso, grasso, libidinoso [in Austria geil = gaio, lieto], ags. gâl, gajo, vivace; e meglio ancora all’aat. geili, fasto, lussuria. Dunque il senso fondamentale è “piacere, gioja”. Dal quale senso era naturale il passaggio del vocab. a significare “quegli ornamenti ed abbellimenti, specialmente di vestito, che sono effetto della gioja e del piacere”. Il Suchier però, pure tenendosi ad un’etim. ger., dà la preferenza all’ags. weale, felicità, opulenza, m. ol. wale; e ciò perchè gale e galer nell’afr. sono spesso scritti col w. Il l. gallari che ricorre in Varrone vale “baccheggiare”, ed è derivazione di Galli, nome dei sacerdoti di Cibele. Quanto all’aat. geil, esso appare primitivamente nel got. gailjan, rallegrare, as. gêl, ags. gál, ol. geil, mat. tm. geil. Nel mat. Biebergeil geil = testicolo. Il ceppo ger. ha per affini il lit. gailús, iracondo, furioso, acuto; a. sl. zêlu, da gailo, acuto, avv. zelo, molto. A semplice titolo d’erudizione accenneremo che sono state proposte anche l’etim. dal gr. τά καλά, le cose belle, e da άγάλλειν adornare, respinte a buon diritto dal Diez; la prima perchè il senso è molto diverso; al che si può aggiungere che τα καλά è frase insolita nel gr. sia classico che medioevale; la seconda perchè gl’Italiani non rendono mai il doppio l gr. con un l solo. L’arb. chalaa h, vestito orrevole, proposto anch’esso, è inverosimile.
Galante, gentile, grazioso, civile, leggiadro; ora “grazioso colle donne, zerbino, drudo” (Ariosto, Firenzuola). Questo agg., coi corrispondenti sp. galante, gaìan, galano, fr. galant, afr. galand, si è formato da gala. Da principio avrebbe significato “che si dà al piacere”; quindi “che cerca di piacere”. Dal composto galantuomo appare che l’agg. dovette significare anche “probo, onesto”. Nell’ ing. assunse anche il senso di “ardito, coraggioso” [a gallant officer = bravo ufficiale]. Tanto in it. quanto in fr. appare nella scrittura solo nel sec. XVI; e non è inverosimile che sia di coniazione fr., dove la radice gal-er ebbe amplissimo svolgimento (v. Gala). Un’etim. dal l. valens, valente, è impossibile sia per senso che per forma. Il tm. galant è anch’esso d’orig. francese. Deriv.: galante-ggiare-mente-ria, galantina; galantuomo.
Gallone, tessuto d’oro, d’argento o di seta; sorta di nastro. (Segni Al., Mem. Viagg., sec. XVIII). È nome venuto verosimilmente dal fr. galon, formatosi da galonner “ornare la testa con fili metallici”; donde anche sp. galon. La tarda comparsa e la sua forma stessa non lasciano supporre che siasi formato da gala, e che da questo sia poi venuto il fr., come vorrebbero alcuni. Deriv.: gallon-ajo-are-cino.
Galoppare, gualoppare, passo del cavallo fra il trotto e il correre (Pulci, Morg.; Ariosto)1. La etim. proposta dal Salmasio e dal Vossio, dal gr. καλπάν, καλπάζειν, trottare, mediante la infissione d’un o, oggi è generalmente abbandonata, perchè il gruppo gr. λπ, massime data la sua posizione intervocale, non è di quelli che richieggano un’epentesi. Il Diez ne adduce per ragione che la vocale infissa resta sempre senza accento; ma questo, secondo me, varrebbe solo se fosse provato che il vb. galoppare derivasse da galoppo, giacchè il vb. galoppare non ha l’accento sull’o bensì sull’a. Ad ogni modo è manifesto essere molto più vicino l’aat. ga-hlaupan, ags. gehleapan, correre; massime considerato che il prov. galaupar conservando il dittongo au uguale al t. au, come in molte altre voci prov. d’orig. ger. [ad es. aunir da ger. haunian, raubar da raubon, raus da raus], accenna chiaramente a provenienza settentrionale e non greca. S’aggiunge che dal ger. vennero alle lingue rom. parecchie altre parole di signif. affine, come springare, trottare, trampelare, trampoli, trimpellare, truccare, dial. mod. trippellare, dove l’idea fondam. è quella di “pestare, scalpitare”. Il che accenna all’influsso grande degli esercizi cavallereschi venuti in voga dopo l’invasione dei Barbari. Quanto a ger. ga-hlaupan, esso è un composto dove ga è particella prepositiva che sotto diverse forme (v. Schade, Altd. Wört. I, p. 236), era comunissima nell’ant. ger., e massime nel got., col signif. di “compagnia, comprensione, durata, passato, rinforzo”; paragonabile al l. cum, com, con, co, gr. σύν ξύν. Bopp, Vergleich. Gramm. 33, 509. Il secondo elemento del composto, ger. laupan, got. hlaupan, diè nell’aat. anche louffan, laufan, hlauffan, loufen, poi mat. loufen, tm. laufen, correre; as. hlopan [in ahlopan], ags. hléapan, correre, saltare, ballare, donde ing. to leap; anrd. hlaupa, ol. loopen, sv. löpa, dan. löbe. Altre forme secondarie della rad. ger. hlaup sono hlup, hlop [dial. mat. e tm. geloffen, partic.], svizz. hlaubb, löpen, correre. È utile il ravvicinare qui il mat. hüpfen, hupfen, tm. hüpfen da un aat. * hupfen, saltare, m. ing. hyppen, ing. to hip da un ags. * hyppan d’ug. sig.; colle forme accessorie mat. tm. hopfen, ags. hoppian; ing. to hop, balzare, anrd. hoppa, got. * huppôn, * huppian, poi tm. hoppen da aat. * hoppon [a. ger. * hubbôn]; infine ags. hoppettan, saltellare, mat. hopfzen, tm. hopfen. Questa è rad. specificamente ger.; onde fuori di quel campo mancano corrispondenze sicure. Tuttavia han qualche verosimiglianza il gr. κραπνός, καρπάλιμος, snello, κραπάλη, barcollamento, κάλπη, corsa, καλπάν, καλπάζειν, trottare, il lit. kreipti, girare, krypti, volgersi, kraipyti, ritornare, cz. krepky, violento, forte. Benfey 2, 310; Curtius3 137; Kurschat, Beitr. 2, 157, 174. Invece ormai è rigettata l’affinità col sans. kram, andare, proposta dal Bopp, col l. currere proposta dal Grimm, e col sans. cri, andare, messa innanzi dal Curtius. Però oggi è contestata la derivazione delle voci rom. dall’aat. ga-hlaupan, a cagione che il fr. ant. presenta le forme walap, walaper, e l’it. un gualoppare, dove il w e gua sembrano richiedere un ger. wa. Perciò lo Sckeat nel suo Dict. Etym. propose per fondamento il bt. wallen, ags. weallan, saltellare; aat. wal’an, anrd. vella, dall’idg. wel, wol, donde anche at. welle, ags. wylm, aat. mat. walm. Ma secondo me, quella terminazione in op lo Skeat non ispiega come sia potuta saltare fuori da questo vb. wallen, weallan; molto più che in esso abbiamo l’accento che riposa sulla prima sillaba, mentre nelle voci romanze è molto avanti. Quindi resterebbe a vedere se il g ger. non possa in qualche caso essere rappresentato dal w e gu in qualche lingua o meglio dialetto romanzo. Infine non è da omettere l’ipotesi del Wackernagel che ricorre ad un composto aat. gaho(n)-laupan, dove il primo elemento sarebbe un avverbio formatosi dalla rad. gah, vista alla voce Gajo, e significante “in fretta, forte”: donde il composto varrebbe “correre rapidamente”. Anche in questo caso però sussisterebbe sempre la difficoltà accennata di sopra. In tutti i modi mi sembra poi chiaro che il vb. in questione è d’origine ger., il che è confermato anche da ciò che si dirà alla voce Galuppo. Deriv.: galoppa-ta-tore, galopp-ino-o.
Galuppo (ant.), bagaglione, saccomanno (Canti Carnas.; Pulci, Morgante). Ci pare molto probabile che questo nome collo sp. galopo d’ug. sig., non sia un deriv. di galoppare formatosi sul territorio delle lingue neolatine; ma che sia provenuto direttamente dall’aat. [ga]-hloufo, -hlaufo, -loufo, -hloupho, -loupfo “corridore, corriere, cocchiere, istrione”. Questi sensi sono tali che presentano un passaggio facilissimo a quello del vocabolo italiano; e dall’altro canto la formazione d’un nomen agentis da galoppare avrebbe dato, se mai, galoppatore, e non galuppo, che esiste sotto la forma vicina di galoppo, ma come nomen actionis. In fr. corrisponde qui galopin, da cui forse l’it. galoppino.
Gana, voglia grande (Lippi, Malmantile, 1, 82). Il Minucci nelle Annotaz. al Malmant. dice che questa è voce spagnuola; e lo stesso ripete il Salvini. Pare adunque che fosse introdotta nel seicento. Ora il Diez la connette al vb. aat. geînon, che dal signif. di “aprir la bocca” potè passare a quello di “desiderare avidamente”, analogamente al prov. badar, l. hiare e al gr. χαίνω. Si può peraltro osservare che avendo il l. aureo ganea significato anche “piacere, diletto”, di là potè formarsi lo sp. gana. L’aat. geînon, diè il mat. ginen, tm. gáhnen d’ug. sig.; affini sono l’ags. ginjan, gánjan; aat. gîwen, gëwôn, mat. gíwen, gëwen, aprir la bocca. La rad. idg. ghi, donde ger. gi, trovasi pure riflessa nell’a. sl. zijati sbadigliare, lit. zioti, aprir la bocca; a. ir. gin, bocca; l. hisco, gr. χειά, buco, da χαίνω. (Il l. h e gr. χ corrispondono spesso a ger. g).
Ganga, matrice dei metalli e dei minerali; pietra a cui è attaccato il metallo nelle viscere della terra. In it. questa voce appare nel Salvini (Nicandro volg.) = Talor di ganga arida pietra ardendo, Cui non doma nemmen gagliardo fuoco =. Il fr. gangue fu usato dal Buffon Min. t. 2. Viene dal tm. Gang, andatura, cammino, che in mineralogia prese la determinazione di “vena, filone”. Questo è uno dei molteplici termini mineralogici che nei tempi moderni trapassarono dal t. nelle lingue neolatine. Non credo che abbia alcuna relazione con ganga, nome d’uno strumento di tortura usato dai Cinesi (v. Bartoli, Cina). Quanto al t. Gang, viene da mat. ganc, aat. gang, andata, l’andare; ags. gong, donde ing. gang, mucchio, truppa, gangwai, passo stretto; anrd. gangr, got. gaggs, via, gagga, gaggan, gran territorio. Spetta alla rad. ger. gang, preger. gangh [donde anche tm. gehen, ing. to go, andare); a cui rispondono sans. jánghâ, gamba, piede, lit. zengiu, camminare, prazanga, il passar sopra.
Ganza, donna amata disonestamente (Manni, Pananti, Giusti). Fu proposto da taluni il t. Gans, oca, come etim. di questa parola, per la ragione che in alcuni luoghi d’Italia le donne di questa fatta sono chiamate “oche”. Ma allora, io domando, perchè si adottò il nome tedesco di quell’uccello, e non l’italiano? Io per me, giacchè un tal vocabolo, ha evidentemente un suono t., proporrei, di trarlo dall’agg. t. ganzer-e-es, tutto. È noto che le espressioni “mio unico bene, mio tutto” sono usitatissime dagli amanti. E la voce ganza che è stata introdotta negli ultimi secoli, potrebbe essere una voce imparata dai soldati tedeschi che da tre secoli hanno stanziato in Italia. Ma questa è una mia semplice congettura. Deriv.: ganzare, ganzato, ganzerino, ganzo.
Gara, emulazione, concorrenza (Malespini, Compagni). L’etim. dall’arb. ghara, emulare, proposta dal Muratori, per quanto il senso sia identico, ci sembra esclusa non solo dal non esserci in arb. il sostantivo, ma anche dal fatto che l’arabo, ed in generale le lingue orientali, diedero alle lingue romanze termini indicanti oggetti materiali, ma non parole significanti concetti morali. S’aggiunge che il fr. accanto a gare [donde prob. il nostro] presenta l’afr. guarer e prov. guarar che da una parte non possono essere di provenienza araba (il che è confermato anche dal non trovarsi questa voce nello sp. che generalmente è stato il veicolo per l’introduzione dei vocaboli arabi nelle lingue d’Europa), e dall’altro canto accennano ad una evidente orig. ger. mediante il gu rispondente regolarmente al ger. w. Perciò ormai è accettata l’etim. dell’it. gara dal fr. garer, fare attenzione osservare, molto più che il Veneroni conosce anche un vb. garare; e si trae poi questo dall’aat. as. warôn, a. franc. warôn, badare, osservare. Il passaggio ideologico da “stare attento” a “emulare” non è di difficile spiegazione. L’aat. warôn, che occorre solo in biwarôn [donde mat. bewarn, tm. bewahren], ha per corrispondenti as. warôn, badare, donde wara, mat. war, attenzione; e diè mat. warn, e tm. wehren, d’ug. sig. Procede dalla rad. ger. war, che alle voci guardare, guarentire, guarnire vedremo avere avuto svolgimento grandissimo, ed ha per base l’idg. wor da cui anche il gr. ὁράω, vedere. La etim. da war, guerra, è molto meno verisimile. Deriv.: gareggia-mento-re-tore; gareggio-so. Dall’afr. esgarer, prov. esgarar, si formò l’it. sgarrare, perder di vista, sbagliare.
Garante, mallevadore, mantenitore, (Baldin. Decenn.; Magalotti, Lett. fam., 2, 183). Secondo il Baldinucci sarebbe una riproduzione del fr. garant che direttamente venne dal mlt. warens, guarandus d’ug. sig. da cui derivarono anche a. it. guarento, sp. garante, prov. guaran, gueren, guiren, fr. garant, donde vb. garantir, ed anche it. guarentire (v. questo vb.). Secondo il Kluge, Etym. Wört. p. 638, il bl. riposa immediatamente sull’aat. wërênto “prestante malleveria”, participio del vb. aat. wëren, mat. wërn assicurare, prestare cauzione, dare; a. fris. wera, wara, prestar cauzione, sost. wërand, warend, warande, warende, as. warôn, prestare, mbt. warent, mallevadore. Forme rinforzate col ga sono aat. giweren, mat. gewern, tm. gewahren, anch’esse d’ug. sig. Di qui aat. as. giwar, mat. gewar, tm. gewahr, “attento, accorto”, ol. gewaar, ing. aware “accorto”. L’unica affinità che si riscontri a questo vb. nel campo idg. è irl. feraim “io do”. Il tm. Garantie e ing. warrant, warranter sono riproduzioni del fr. garantie, garant. Deriv.: garan-tire-zia; guarentire e guarentigia (v. guarentire). Il tm. wëhren, da aat. wërên, mat. wërn, significa “difendere, assicurare” donde anche il composto Landwehr, difesa del paese, come nome d’una parte dell’esercito.
Garathinx, voce longobarda; v. Guarentigia.
Garbo1, modo forma o figura d’una cosa; ornamento; avvenentezza (Fra Giordano; Biringuccio). Collo sp. garbo procedette dall’aat. garawî, karawî, garewî, karewî, garwî, as. garewî, gerwi, mat. garwe, gerve, preparazione, ornamento; ags. gearwe, vestito, ornamento, ing. garb, vestito. Che da questi nomi il rom. abbia tratto garbo mutando il w in b, non può recar meraviglia, dacchè anche il tm. dal vb. aat. gariwen, garawen, [da * garawian], mat. gerwen, garwen della stessa radice ha cavato gärben, gerben, preparare, allestire, ornare, conciare, Gärber, conciatore, Gärberei, concia, Garberhaus, casa di concia. Inoltre non mancano casi analoghi per es. falbo da falw. Questa è adunque un’etimologia sicura, checchè ne dica lo Zambaldi, che fa un tentativo inutile di cavare questo nome dal got. * harwa, mat. here, herwer donde tm. herb, da cui l’agg. garbo che vedremo di sotto. L’it. garbare, formatosi di qui, del pari che sp. garbar, assunsero anche il signif. di “piacere, andare a genio”. Il fr. manca di questa parola, o, a dir meglio, non l’ha tratta dal ger. direttamente, bensì dall’it. al tempo del rinascimento; e poi le ha dato significato specializzato cioè di “cerchio o palla ornata”, che tale è quello di galbe, voce che dal tempo di E. Stefani si formò da garbe, riproduzione dell’italiana. La parola ger. ha per tema garva che ebbe amplissimo sviluppo in quel campo: aat. garo, caro, karo, garawo, garewo, karewo, gariwo, mat. gare, gar, garwe, pronto, perfetto; as. garu, garo, ags. gearu, gearo, geara, geare, [donde ing. yare] gearuve, geareve, gearve, got. * garus d’ug. sig. Poi aat. garawida, karawida, karowida, carowitha, got. * garwitha, preparazione, apparecchio: aat. * garawunga, mat. garewunge, gerwinga, preparazione; aat. garawian, garawen, karawen, garewen, garwen, [part. pass, garawita, garwita], mat. garwen, gerewen, gerwen, preparare, allestire, vestire, acconciare; as. garuwian, garewan, gariwan, gerwian, gerwëan, gerewan, geriwan, gerwan; ags. gearwian, preparare. La rad. preger. è ghar che s’avrà occasione di vedere di nuovo alle parole Gherone e Giallo colle sue differenziazioni. Deriv.: garba-ccio-re-to-tamente-tezza-tino; garbino; disgarbare; sgarba-taggine-tamente-tezza-to; sgarbo; malgarbo.
Garbo2, acre, acerbo, lazzo, piccante (Ricett. fior., 5, 219; Soder. Arb. 33). Provenne dal mat. hare, harwer, here, herwer, [da got. * harwa, aat. * harw che riscontrasi in finn. karwas], tm. herb, amaro, acerbo. Secondo il Kluge le voci t. hanno qualche verisimiglianza di affinità coll’as. har-m, ags. hear-m ing. harm, mat. harm, aat. haram, dolore, passione, danno. Deriv.: garbetto, gherbo, [dialetti].
Garenna, conigliera in luogo aperto (Targioni-Tozzetti, metà del sec. scorso). Procede direttamente dal fr. garenne, svoltosi dall’afr. warenne, bl. warenna-e, specialmente in Inghilterra, mat. gefrenne, bt. warende, ol. warande, ags. warren. La frase fr. tenir en garenne = tener in guardia, in difesa; onde si rende probabile che le voci fr. siano elaborazioni di garer, warer, osservare, porre attenzione”; e warenne è verosimilmente corruzione di garenne, e questo di garine; la qual formazione in fr. presenta casi analoghi.
Gargo, trincato, maliziato, furbo (Pros. Fior., 6, 178; Salvini; dial. piemont.)2. Procede dall’aat. karag, mesto, dolente, mat. karc, karg, prudente, astuto, tm. karg, accorto, astuto, tenace, spilorcio; ing. chary, mesto. La sincope della vocale nel mat. karc, contro l’aat. karag è regolare dopo la r. La radice ger. del vocab. è got. kara, cura, as. cara, ags. caru, cearu, cura, passione; aat. chara, colle forme accessorie karia, karôn, karôt, charagi, an. kör, kaera, e deriv. mat. karge, kerge, tm. Kargheit. Dalle voci dell’aat. da una parte a quelle del mat. tm. e it. dall’altra, osservasi un passaggio assai forte nel significato, che prima era di “cura, passione, afflizione” e poi diventa “astuzia, prudenza”; onde questo è uno di quei casi in cui non saprebbesi trovare una ragione rigorosa dell’evoluzione dei sensi. Deriv.: Gargone.
Gargotta, osteria da gente bassa (neolog.). Il Diez respinge l’etim. dal l. gurgustium, catapecchia, e con ragione, perchè da gurgustium non si sarebbe formato un gargotta; e d’altra parte non si spiegherebbe perchè una tale deriv. dal lat. la dovesse fare il fr. e non le altre lingue sorelle, e ciò massime nel sec. 17º. Ma il Diez rigetta altresì l’etim. dal t. Garküche, bettola, adducendo per ragione che nell’afr. c’è gargotter, bollire, e che di là potè formarsi il fr. gargotte. Questa opinione del Diez, accettata anche dal Littrè, ci pare molto discutibile. Certo morfologicamente essa non presenta difficoltà; ma ne presenta dal lato del senso e da quello della storia. Quanto al primo, se gargotter = bollire, a rigor di logica gargotte = bollimento, bollitojo. Ora perchè mai una osteria o una bettola si sarebbe chiamata “bollitojo”? Forse simili luoghi sono notevoli per il “molto bollire”; e non si bolle forse più nelle osterie e negli alberghi di lusso? è forse il bollire la cosa principale che si faccia nelle bettole? Dal lato poi della storia, il M. M.te Delacroix ci dice che una simil voce fu introdotta in Francia sulla fine del sec. 17º dai reggimenti tedeschi e svizzeri che stavano al servizio dei re francesi; i quali reggimenti è noto che massimamente nel periodo dei regni di Luigi XIV, XV e XVI, cioè dal 1660 al 1790, introdussero in Francia non piccolo numero di vocaboli riferentisi principalmente alla guerra ed all’arte culinaria, come ad es. bivouac, blocus, chabraque, sabretache, vaguemestre; cannette, choucroute, trinquer, ecc. Mi sembra dunque mostrato ad evidenza che il fr. gargotte che si rimbalzò nell’it. gargotta, sia voce veramente originata dal t. Garküche, nonostante quello che opposero il Diez ed il Littrè. I quali in sostanza vennero a dire che il fr. non aveva bisogno di togliere una parola dal t. perchè possedeva una radice dalla quale poteva averla derivata. Ora questo canone ha un valore assai relativo; giacchè il possedere già una radice o voce significante un determinato concetto, non impedì che le lingue rom. (e la cosa si può anche generalizzare) prendessero in prestito dal t. un numero notevole di voci, che si vennero a porre accanto alle preesistenti romanze d’ug. sig. Così l’avere già esse lingue orto non impedì che prendessero giardino, l’avere feretro e cataletto che ne derivassero bara, l’avere dente che togliessero zanna, l’avere nave che accettassero schifo e battello, e via dicendo. In t., oltre a Garküche, bettola, esiste anche Garkoch, pizzicagnolo, vendarrosto, dalla stessa radice. Il piem. ha gargota, da cui cavò gargotter, gozzovigliare.
Gas, fluido aeriforme ed elastico (Volta, Opere, 1, 2, 250). Questo nome inventato dall’alchimista Van Helmont di Bruxelles († 1644) probabilmente si connette al fiammingo geest, corrispondente al t. Geist da aat. geist; as. gêst, ol. geist, ags. gâst, gaést, ing. ghost “ciò che è soprassensibile, sopraterreno”. Non è difficile infatti il supporre che Van Helmont in un tempo in cui la chimica era ancora bambina concepisse il gas come sostanza incorporea ed imponderabile. Lo Scheler invece inchina a credere che una tal voce abbia per radice quella stessa che riscontrasi nel tm. Güscht, Gischt da mat. gëst, schiuma, spuma, fermentazione, vb. gäschen, spumeggiare, bollire; il che parrebbe confermato dalla circostanza che Van Helmont riguardava il gas principalmente come il vapore che si sviluppa dai liquidi in fermentazione. Quanto al vb. gäschen, esso sarebbe una varietà di gären, dove si sono fusi formalmente aat. jësan, mat. gërn, jësen, schiumeggiare, e il causativo mat. * jern, fare bollire. Al mat. jëst, gëst risponde ing. yest, yeast, ol. gest, feccia, fondigliuolo. La rad. ger. jes, yes la troviamo anche in gr. e nell’indiano. Il gr. ha ζεσ-τός, bollito, ζέσ-μα, ζέω per ζέσω, bollire (è noto che ζ sta per l’antico j, y come in ζυγόν). L’ind. poi presenta la rad. yas, bollire, cuocere. Però L. Meyer (Kuhn, Zeits. XX, 303) sostiene che gas fu una creazione arbitraria di Van Helmont, il quale pensava al gr. χάος. Quest’opinione del Meyer è seguita anche dal Kluge, p. 128. A me però sembra difficile che si possa negare una qualche affinità tra la parola coniata dall’Helmont, e le radici fiammingo-germaniche sin qui esaminate.
Gasindo-io (term. stor.), uomo libero che presso i Longobardi era addetto alla famiglia del Re o del signore; compagno famigliare (Muratori, Dissert. Ant. It., I, 19; Capponi, Longob.). Procedette dal got. gasintha, gasinthja, compagno di viaggio; aat. gasindio, gisindo, gasind, kasind, gisind, mat. gesint [pl. gesinde], compagno di viaggio, accompagnatore, servo; as. gisith, gisidh, ags. gesidh, d’ug. sig. Nel tm. questo sostantivo disparve; ma dello stesso tema gesind, restò peraltro il nome astratto Gesinde, servitù, servitorame, svoltosi dall’aat. gasindi, gisindi, mat. gesinde, as. gisithi, gisidhi, ags. gesidh, d’ug. sig. Restò pure un diminutivo di questo astratto, cioè Gesindel, gentaglia, canaglia, e la forma accessoria di questo Gesindlin -lein. Quanto all’aat. gasind, got. gasintha, è un composto dov’entra la particella ga vista sotto Galoppare, che significa spesso “compagnia, partecipazione”, e l’aat. sind, sinth, mat. sint, sin, as. sith, sidh, ags. sidh, viaggio, via, arruolamento, messaggio; anrd. sinn, sinni, andata, viaggio, società, protezione, aiuto; got. sinths, via, dal tema ger. sintha. Da questo si svolsero due verbi importanti: il causativo aat. senten, sindan, mat. senden, tm. senden, mandare [got. sandjan, ags. sendan, ing. to send, ol. zend, as. sentjan, anrd. senda] e propriamente = fare andare; e aat. sinnan, mat. tm. sinnen, prendere una direzione, un pensiero, pensare, connesso ad aat. sin, tm. Sinn, senno, di cui parleremo a lungo alla voce Senno. La rad. preger. è sénto, che rivelasi nell’a. ir. sét, armor. hent, via, l. sentio, comprendere, sia corporalmente che spiritualmente; poi lit. siusti, sunti, mandare, suntineti, nunzio, pasiuntine, messaggera, pasiuntimspte, compagnia. Pott2 2, 1, 927; Kuhn Beiträg. 2, 177; Fick3 3, 318.
Gasone, erba, piota, zolla (dial. cremon.). Venne dall’aat. waso, mat. wase, zolla, piota umida, con la forma accessoria aat. wasal. Il tm. è Wasen d’ug. sig. L’ags. ha vase, l’a. ol. wase, fango, melma; il n. bt. wase = fascina per argine. Secondo Grimm, Weigand e Kluge il tm. Wasen è radicalmente identico a Rasen, a quel modo che t. sprechen all’ing. to speak, e che l’ags. weccean, wreccen, svegliare, ags. wrixel a t. Wechsel. Quindi si pone a base d’ambe le voci una rad. idg. con e senza r, e la forma ger. fondamentale sarebbe wraso e waso. Dal primo s’ebbero mat. râse, m. bt. wrase, bt. frasen, tm. Rasen di signif. = a Wasen. Il Weigand, 2, 462 vorrebbe poi riannodare wraso a wrësan, crescere. All’incontro Schade crede che wraso e waso siano voci radicalmente distinte, e che quest’ ultima sia da rimenare a wasan, essere umido; sicchè la zolla sarebbe stata denominata waso, wasen a cagione della sua persistente umidità. Col crem. gasone vennero di là il fr. gazon, fr. vase, norman. gase, engaser, port. vosa, arag. gason.
Gasto, amante, marito (dial. comasco). Venne dal got. gasts, as. gast, aat. gast, cast, kast, mat. gast, forestiero, nemico, guerriero, ospite. Il tm. Gast, venuto esso pure di là, = ospite. L’ags. ha gâst, gest, gist, giest, gyst, ing. guest, an. gastr, sv. gäst, dan. gjäst. L’it. rispetto all’aat. presenta una fortissima progressione di significato, benchè la presenti non piccola anche il tm. che è passato da quella di “nemico” a quella di “ospite”. La forma preger. fondam. è ghostis che ha lasciato traccio anche nello sl. e nel l. Il primo ci offre a. sl. gosti, ospite, amico, gostiba, pranzo ospitale, gostiniku, albergo; n. sl. gost, gostij; russ. gost, ospite, serb. gost, ospite, gostiti, ospitare, gostionik, invito, gastionika, ospizio. Il lat. presenta hostis e fostis e fors’anche hospes, da hosti-potis, signore del forestiero, forestiero, nemico. Il sans. ha ghasati, divorare. La rad. ghas, che appare nel got. gas-ti, “colui che mangia”; e nel l. hostis propriamente = divoratore, danneggiatore. Bopp Gl.3 125; Fick2 143; Curtius 12 100. Qui il Kluge fa una osservazione che caratterizza l’indole di due popoli; cioè che presso i Romani il “forestiero” era “nemico”, e presso i Germani era “ospite”: e che se ciò non fosse attestato da Tacito là dove parla dei privilegi che godevano gli ospiti presso i Germani, si potrebbe desumere anche dal diverso modo con cui è stata trattata dai due popoli la parola originariamente comune ghostis. Il gast dei Germani ha sempre migliorato in significato; l’hostis dei Latini ha peggiorato; il che sarebbe confermato anche di più se si fosse certi che hostis, forestiero, spettasse alla stessa origine di hostia, bestia pel sagrificio; sicchè il primo fosse lo stesso che “forestiero da sacrificare”. Ma questo è tuttavia incerto. Noterò qui che più d’una volta ho inteso nello montagne modenesi la frase «il tale è il guasto della tale», dove guasto vale evidentemente «drudo, amasio», Derivato dal vb. guastare non mi pare che possa essere, perchè la sintassi è molto diversa. Sarebbe adunque il moden. guasto la stessa cosa che il comasco gasto?
Gavetta, scodella di legno pei marinari (Pegolotti, Prat. Merc. 93; Folc. Istruz.). Collo sp. gabala, afr. jadeau, fr. iatte procede immediatamente dal mlt. capita d’ug. sig.; il quale riposa sul ger. * gabita, aat. gebita, gebitta, gebeta, gebizza, gepizza, vaso, stoviglia. È parola andata perduta nel tm., e che subì una specializzazione di significato sul territorio neolatino. Lo sp. conosce anche la forma gaveta.
Gazza, gazzera, uccello silvano che imita la favella umana (Novellino 34; Crescenz.; Fra Guido). Questo nome d’uccello, insieme col prov. agassa, gacha, afr. fr. agace, agasse, procedette dall’aat. agaza, agazza, derivato da agatja. Nel campo ger. questa voce ha una larghissima parentela, che però dipende tutta da una forma sorella di agazza, cioè aat. agalastrâ, agelestrâ, agalstrâ, aglastra, mat. agelster, agleister; n. at. agalaster, agelaster, agelester, tm. Elster, d’ug. sig. L’ags. ha agu. Forme dialettali sono: svizz. agerste, agerist, agertsche, agretsche; svev. agestür; bt. agester, egester, ekster, hester, heister; ol. aakster, ekster. Poi francon. eilster, erzgebirg. alastr; lusaz. sles. âlastr, aglastr, sôlastr; transil. salâstr, êlstr, ielstr; fris. haêkstr; holstein-meklemb. heistr; pommer. livon. haêstr; vestfal. iekstr. In Isvevia e’ è haets, kaêgers, nel koburg. hâts, in Franconia super. anche alskr; in Baviera ed Austria alstrn, in Isvizz. anche aêgerst, in Tirolo âgerste. L’unica forma dialettale dipendente dall’aat. agazza, si è Atzel che prevale nel Medio-Reno ed Assia; e si è svolta mediante un * agzel. L’anrd. presenta la forma agastria sempre nello stesso significato. Lutero usa Aglaster. La scrittura Elster prevalse su Alster sin dal sec. 17º. Quanto ad agalstra, esso sarebbe, secondo il Grimm, un composto di á gal astra, uccello crocidante. Dal nome agazza alcuni vorrebbero trarre il vb. agazzare (ant.) = eccitare, come da afr. agace il fr. agacier d’ug. sig.; e ciò passando a traverso il signif. di “gridar come una gazza”. Ma non so vedere come “il gridar della gazza” possa fornire di transizione al senso di “eccitare, stimolare”; e quindi reputo assai più probabile che sia provenuto dal vb. hazian, proposto già dal Diez. Ma anche senza di questo i derivati ital. sono numerosi: gazzarra, gazzurro; ingazzurrire, ingazzullire, ingarzullire.3 Anche Gazzetta, verosimilmente è venuto da gazza, di cui sarebbe un diminutivo; e sarebbe stata denominazione popolare che avrebbe sin dal nascere bollati a questo modo i giornali, rassomigliandoli a tante gazze per la loro loquacità. Altri però credono che le gazzette abbian tratto il nome da una piccola moneta veneta detta “gazzeta”; ed altri assegnano altre etimologie. Deriv.: gazze-rare-rino, gazzuolo.
Gecchire, (ant.), umiliar[si], avvilir[si] (Dante da Majano; Brunetto, Tesor., 12, 98, 16, 134; Cavalca). È un vb. che non s’incontra in it. proprio in questa forma, ma è presupposto dai suoi derivati e composti. Col prov. gequir, afr. gehir, jehir, a. sp. jaquir, viene dal Diez e dal Mackel tratto dal ger. jëhan, cedere, condiscendere. A me più che una deriv. diretta dell’it. dal ger., pare verosimile la deriv. dal prov. e afr., non già per l’indurimento dell’h aspirata in gutturale, poichè questo caso è normale nelle parole it. d’orig. ger. (p. es., taccagno, taccola da ger. tâha, tecchire da theîhan, smacco da aat. smâhî ecc.), ma piuttosto per l’analogia di non pochi altri vb. che nel ger. terminando in jan, nell’afr. e prov. presero la desinenza in ir e di là entrarono nell’it. (per es. ciausire, onire ecc.); molto più che anche qui si verifica il fenomeno che questi vb. provenzali essendo stati introdotti in it. dai poeti e dagli scrittori, vi durarono assai poco; mentre d’ordinario parole d’origine ger. diretta entrarono a far parte del patrimonio della lingua parlata, e vi restarono. S’aggiunge a questo che un tal vb. coi suoi derivati ricorre principalmente nel Tesoretto di B. Latini, vale a dire nella versione d’un opera scritta originariamente in fr.; il che dava facilmente il destro d’usare parole fr. con terminazione italiana, come s’avvera adesso nelle versioni dei romanzi di quella nazione. Ora contro la derivazione di prov. gequir e afr. gehir, jehir da ger. jëhan non v’ha certamente nulla a ridire nè per il senso nè per la forma. Ma a me parrebbe probabile anche un’altra origine, che finora non so che sia stata proposta da nessuno, cioè quella dalla radice ger. che diè il mat. gëc, gëcke, uomo fatuo, tm. geck, scimunito, minchione, vb. gecken, beffare, schernire, Geckerei, scimunitaggine; ing. geck, goffo, sciocco. L’affinità fonetica tra questo vocab. t. e l’it. è evidentissima: quanto al senso, da “scimunito, minchione” ad “avvilito, abbietto” il trapasso è facile, ed ha altri riscontri in it. (v. p. es. grullo mogio, addormentato, dal t. grollen, mat. grüllen, deridere, beffare). Se il ger. jëhan, cedere, concedere, possa avere dato origine al mat. gec, tm. geck, non saprei dire: certo a me non pare improbabile, dacchè aat. iah diè tm. gah. Forme t. sorelle sono ol. gek, dan. giaeck, pazzo, isl. gikkr, persona rozza, dove è notevole che l’it. presenta pure gicchito per gecchito, vicinissimo per forma a quest’ultimo. Col mat. giege “stolto” non pare avere alcuna relazione. Deriv.: gecchimento, gecchito, gicchito; aggecchimento, aggecchire.
Geldra (ant.), moltitudine, truppa di poca stima (Allegri, 260; C. Fioretti 82; Buonarotti, Fiera). Coll’ afr. gelde, prov. gelda, truppa, procedette immediatamente dal bl. gilda, gildonia, geldonia che ricorre già nella Legge XIII longobarda emanata da Carlomagno verso l’anno 800, dove è detto: De sacramentis per Gildoniam ad invicem conjurantium, ut nemo facere praesumat. A quel tempo gilda o gildonia altro non era che un “adunanza, un sodalizio o confraternita” di uomini che si obbligavano a pagare una certa somma per opere pie o conviti che si celebravano in tempi determinati dai socii, chiamati anche congildoni, il che è dichiarato espressamente da un capitolo di Incmaro Arcivescovo di Rheims al suo clero nel 852 che contiene queste parole: Ut de collectis quas Geldonias vel confratrias vulgo appellant (Labbeo, tom. VIII, p. 572), e da una lettera che nel sec. XII il clero d’Utrecht scrisse a Federico vescovo di Colonia ove è detto che un certo Manasse aveva istituito una confraternitatem quandam quam Gilda vulgo appellant. Ora il bl. gilda, gildonia o geldonia riposava sul ger. occid. gilda che diè ol. gild, tm. Gilde, corpo d’artefici, anrd. gilda, m. ing. gilde, ing. guild. Questo significato di “corporazione” non è però il fondamentale: tuttavia non è vero quel che afferma lo Schade, che appaja solo nel sec. XI, giacchè lo troviamo già nel IX; ad ogni modo, come osserva Mackel, p. 96, doveva essere proprio dell’abfr. poichè le parole rom. non presentano che questo. Il senso letterale e primitivo era quello di “offerta, festino, riunione, festiva”, e il m. ol. offre anche quello di “pasto comune”. La parola ha per tema gilda, che non è che una forma varia di got. gild, censo, imposta, aat. mat. gëlt, gëld, kelt, mat. gëlt, pagamento, retribuzione, rifacimento, offerta, imposta, rendita, guadagno, mezzo per pagare; tm. Geld, ol. geld, denaro, moneta, as. gëld, paga, offerta, mercede, ags. gield, gild, gyld, retribuzione, offerta, compenso; afris. gëld, iëld, denaro, riscatto, fris. jild; anrd. giald, pena pecuniaria. Il Kluge p. 133 osserva che il senso di “mezzo per pagare” è l’ultimo in ordine di tempo fra gli acquisiti di questa parola. Si vede adunque che in origine gilda era l’offerta che facevasi per essere membro d’una società; e che in appresso passò a significare la società stessa. La rad. del ger. gilda va cercata nel vb. aat. gëltan, ghêldan, këltan, mat. gëlten, gëlden, tm. gelten, valere, che in senso di “offrire” faceva nell’as. geldan, e nell’ags. gildan. Questo vb. sarà da noi trattato ampiamente alla voce Guidrigildo. Qui accenneremo soltanto che in it. questa parola subì un notevole peggioramento di significato rispetto alle lingue ger., ed anche alle due lingue francesi sorelle, poichè da quello di “società” passò a quello di “società di gente trista, analogamente al tm. Gesindel che dal senso di “compagnia” degenerò in quello di “gentaglia, canaglia”; il che può dare luogo a considerazioni non troppo lusinghiere sull’influenza che esercita sul morale degli uomini l’associazione e il consorzio. Nel fr. moderno questa voce non si conservò, ed anche in ital. è ormai disusata nella sua forma primiera; ma è comunissima nell’ultima evoluzione delle sue trasformazioni che è cialtrone, venuto da geldrone, accrescitivo di geldra. V. Cialtrone.
Germani, nome dei popali teutonici invalso sin dai tempi di Cesare. Il Grimm fondandosi su di un passo di Tacito (Germ. 2) sostiene che questo fosse un appellativo con cui i Celti designarono una popolazione teutonica che, valicato il basso Reno, si stanziò nella Gallia belgica; quindi Germani sarebbe voce celtica significante “guerriero furioso, dal forte grido in battaglia”. Sarebbe perciò stata affine a celt. garmwyn, gridator forte, da garm, grido, gael. gairmean, gairm, grido di guerra. Lo Zeuss la trae dal camb. ger, a. ir. gair, vicino, colla sillaba di derivazione man; cosicchè Germani varrebbe “vicini”. Tutto questo porterebbe ad escludere le varie etim. d’origine ger. che s’erano proposte prima, cioè da ger asta, e man, uomini della lancia; da heerman, uomini della guerra; e da wehrmann, uomini della difesa. Deriv.: germa-nico-nismo-nizzare.
Gheffo, v. Gueffo.
Ghera (Buonarr. Tancia). È lo stesso che Ghiera. V. questa parola.
Gherbellire, (ant.), ghermire, afferrare (Pataffio). Probabilmente non è che una bizzarra derivazione da ghermire.
Gherminella, giuoco di mano per ingannare; truffa, baratteria (Sacchetti, Nov. 69). Secondo alcuni sarebbe un derivato di ghermire, ed allora etimologicamente varrebbe “giuoco fatto per ghermire altrui qualche cosa”. Ma a me pare che siavi molta distanza di significato; giacchè nel vb. domina l’idea della forza e della violenza, mentre nel nome prevale quella della frode e dell’inganno. Perciò si è pensato all’aat. carminot, garminoth, kerminot, germinoth-od, formola magica, incantagione, nome formatosi dal vb. aat. carminôn, garminôn, kermenôn, germenôn, incantare, scongiurare, donde anche milan. ingermà. Ora il vb. aat. alla sua volta procedette bl. carminare svoltosi da carmen, formola di scongiuro, donde anche fr. charmer, charme. Gherminella è nome che non ha riscontro nelle lingue sorelle; e se è veramente d’origine t., immediatamente dovette penetrare in rom. non all’epoca della occupazione longobardica, ma molto più tardi; perchè l’aat. germinôt probabilmente al tempo dei Longobardi non s’era ancora formato dal l. carminare. Ad ogni modo è poi sempre evidente essere questa una parola o direttamente o indirettamente d’orig. germanica.
Ghermire, pigliare la preda colla branca, proprio degli uccelli di rapina; poi in generale “prendere con forza”. (Dante, Inf. 21). Dall’aat. krimman, chrimman, mat. krimmen, grimmen, premere, calcare, grattare, stringere, anrd. kremia, tormentare, punire, si svolse prima il mlt. gremire, e da questo l’it. gremire che poscia si mutò in ghermire. Nelle altre lingue neol. non s’incontra: solo il dialetto normanno presenta grimer, che il Mackel trae appunto da t. krimmen, aat. krimman. Dal vb. aat. il tm. cavò krimmen, eccitar prurito, prudere, sentir prurito. Col tm. krümm, storto, krümmen, curvare, arroncigliarsi, non sembra avere alcun rapporto. Deriv.: ghermigliare, ghermitore, ghermugio.
Gherone, garone, lembo, pezzo o giunta di veste, falda (Boccaccio, Ottim. Commento). Procedette dall’aat. gêro, kêro, gêrun, lensa, lingua di mare, mat. gêre, anrd. gêiri-e, fris. gâre, pezzo cuneiforme, lembo, falda; ags. gâra, ing. gore. Il tm. è Gehre, Gehren d’ug. sig. L’afr. presenta le forme gueron, geron, giron, gheron, gron, le quali due ultime però sono dialettali. Anche il fr. ha giron, ma in senso di “seno, grembo”. Tuttavia, nonostante questa modificazione di senso, l’origine è sempre la stessa che quella dell’it. come dello sp. girone, port. girâo, cioè l’aat. gêro, gêrun, che alla sua volta viene derivato da ger, lancia, come vedrassi alla voce Ghiera. Ora come questa parola potesse dal significato di “lancia, freccia” passare a quello di “lembo, falda”, e quel che è più a quello di “seno, grembo” che ha in fr., si spiega così. Il ger. ger valeva propriamente “la parte triangolare della lancia”. Perciò un tal nome fu applicato a quella parte del vestimento che pende dalla cintura ai ginocchi e sedendo si ripiega nel grembo, per la somiglianza ch’essa aveva col triangolo della lancia, della quale metafora abbiamo due altri esempi notevolissimi negli scrittori latini medio-evali, presso alcuni dei quali quella parte del vestito è chiamata pilum vestimenti “lancia del vestimento”, ed anche sagitta vestimenti”, che vale lo stesso. Di quest’ultima denominazione è data in uno di essi scrittori anche la ragione con queste parole: sagitta vocatur ea pars vestimenti que contrahitur in sinus eo quod sagittae speciem effingat. E in un passo dei Coutumes de Cluny allegato dal Ducange è detto che questi lembi o sagittae sono chiamati anche girones: Sedens ad lectionem anteriora frocci sui semper in gremium ita attrahit ut pedes possint bene videri. Girones quoque vel quos sagittas quidam vocant colligit utrinque ut non sparsim iaceant in terra. Da questo passo è facile scorgere anche la ragione del senso di “seno, grembo” assunto, dal fr. giron, cioè perchè quel lembo si ripiegava spesso sul seno. V. del resto Ghiera. Deriv.: gheroncino, aggheronato, ingheronare, sgheronare.
Ghiattire, schiattire, l’abbaiar del cane quando passa la lepre. È un vb. che col fr. glapir, glaper [in alcuni dial. fr. c’è anche glatir], sp. latir, proviene dalla stessa radice ger. che diè aat. klaffôn, tm. klaffen (v. Caleffare), ol. klappen, e fors’anche tm. klatschen, scoppiare, far rumore. Le rad. klap e klat sono originariamente la stessa cosa. Di qui anche fr. claband, glai. Pare che le voci t. sieno onomatopeiche, come gr. κλάζειν γλάζειν, l. lat-rare.
Ghibellino, nome dei partigiani dell’Imperatore nei sec. XIII e XIV, per contrapposizione a Guelfo, ch’era il partigiano del Papa (Malispini, Stor. Fior. 80; Compagni, Cron. 132). Fu importato dalla Germania sulla fine del sec. XII o sul principio del XIII. Ma colà aveva un significato assai diverso, cioè quello di “partigiano degli Hohenstaufen”, mentre Guelfo valeva “partigiano della casa dei Guelfi”, la quale allora possedeva il ducato di Baviera. In t. suonava Waiblinger, ed ebbe origine dal fatto che Corrado III, il primo degli Hohenstaufen salito all’impero nel 1138, era nativo di Waiblingen, piccola città della Svevia. Ora quando questi nel 21 dicembre 1140 assediava Weinsberg, contro il duca di Baviera Enrico il Superbo suo competitore, i suoi assunsero come grido di guerra Waiblingen, mentre i nemici presero quello di Welph, ch’era stato il nome di molti fra i principi di Baviera. Secondo Ottone Frisingense (De rebus gestis Frid. lib. 2, cap. 2) Weiblingen sarebbe stato il nome gentilizio della casa di Franconia (Henricorum de Gueibelingen), nei cui diritti era succeduta la casa di Svevia o d’Hohenstaufen. In processo di tempo, poichè gli Hohenstaufen si mostrarono osteggiatori accaniti della Chiesa, Waiblinger da “partigiano degli Hohenstaufen” passò a significare “partigiano dell’Imperatore”, e per naturale conseguenza quello di Welpher “partigiano della Chiesa”. Ma questo trapasso seguì dapprima in Italia e non in Germania. V. Guelfo. Deriv.: ghibellineggiare, ghibellinismo.
Ghidardone, lo stesso che Guiderdone (Gradi di S. Girolamo).
Ghiera, dardo o freccia (M. Villani, Morelli). Il Diez trae senz’altro questo nome dall’aat. ger, lancia. Ma il Mussafià propenderebbe pel l. veru, spiedo; il che peraltro a me pare poco verosimile, attesa la difficoltà gravissima del v latino che entrando in it. si sarebbe indurito in gh; il che è, se non anormale, per lo meno rarissimo; mentre la cosa era naturalissima venendo dal g tedesco, che è già duro. Di più: dal veru latino si svolsero parecchie altre parole italiane, e tutte col v, come verrina, verricello, e fors’anche verretta e verrettone, benchè queste due ultime mediante il l. verutum derivato di veru. Dal che si deduce che la maggior probabilità, per non dir certezza, milita a favore dell’etim. germanica; tanto più che la voce ger., come s’è visto e si vedrà ancora, sotto due altre due forme entrò nel romanzo; il che costituisce una prova ch’essa dovette essere molto usata dai popoli settentrionali invasori dell’impero romano; onde non è da maravigliare se ebbe largo sviluppo nel territorio delle lingue neolatine. Ora l’aat. gêr, kêr, mat. gêr, gâr, as. gêr, ags. gàr, anrd. geirr, arma da getto, fu voce di larghissima diffusione presso gli antichi e primitivi barbari dell’Europa settentrionale. Già Polibio e Diodoro parlano del γαῖσος e γαῖσον, lancia dei popoli del Nord. Ora questo γαῖσος γαῖσον è la stessa parola che la nostra, la quale, secondo il Kluge, riposa sul got. * gaiza che si lascia dedurre dagli antichi nomi proprii, come Hario-gaisus, e dal fatto che l’anrd. avendo geirr e non gärr, mostra che la r dell’aat. riposa su di una s. Era dunque parola schiettamente ger., benchè anche l’a. ir. presenti un gai da * gaiso; e significava propriamente, come è dimostrato dal derivato tm. Geisel, “bastone, fusto”, Quindi si argomenta la probabile affinità con gr. χαῖος, bastone da pastore, e sans. hêsás, pallone. Le si dà per radice sans. highi, eccitare zend. zi, eccitare, gittare, armen. zen, arma. Fick2 739; Bopp. Gl.3 447. Lo Schade crede ad una parentela anche col lit. ginti, giti, cacciare il gregge al pascolo, da sans. hins, battere. Spetta qui anche ags. gád, ing. goad, bastoncello, da idg. * ghai-tâ. Dal tm. gêr scomparve, almeno nella sua forma semplice, poichè il tm. conserva i derivati Gehre, Gehren, e Geisel; ma si conserva in numerosi nomi proprii, nei quali entra come primo elemento del composto, ad es. Gerardo, Gerberto, Gertrude ecc. Nell’aat. da gêr si svolse pure un gêro, che s’è visto avere dato origine a Gherone e voci sorelle nelle lingue neolatine Deriv.: ghierato.
Ghignare, ridere leggermente per ischerno o sdegno (Boccaccio, Sacchetti). Per questo verbo sono state proposte tre etimologie ger.: l’aat. winkian, tm. winken, fare un cenno, da cui è certamente derivato norm. guincher, lanciare occhiate; l’ags. ginian, anrd. gina, aat. ginon, aprir la bocca, donde si sarebbero svolti i sensi di “seguir cogli occhi, spiare, guardare di traverso”; e finalmente aat. kinan, sorridere. Il Diez respinse già la prima, perchè il k medio sarebbe scomparso senza lasciare alcuna traccia di sè; e il Mackel rigetta non solo questa e la seconda, ma persino la terza per la ragione che egli non riconosce a kînan altro senso che quello di “aprirsi, fendersi”. Noi invece crediamo che questo vb., che è evidentemente d’orig. ger., provenga proprio dall’aat. kînan, giacchè la forma è vicinissima, e d’altra parte è vero bensì che aat. kînan, chînen, mat. kînen, dalla rad. gan, ha per signif. fondamentale “aprirsi, fendersi”; ma è altresì vero che un’antica glossa (v. Graff IV, 450) spiega kinit con “adrisit”; il quale passaggio da “aprirsi” a “ridere” non è punto nè duro, nè insolito; sicchè l’obbiezione del Mackel non regge. Più difficile è il potere dare ragione del senso acquistato dall’afr. guignier, fr. guigner, prov. guinhar, picard. guenier, sp. guinâr, guardare tortamente, se pure non vogliasi dire che questi significati siansi svolti dal primitivo “aprirsi, fendersi”, per mezzo di quello “di scostarsi dal cammino, torcersi”. Ma checchessia delle altre lingue neol., a noi basti l’avere posto in sodo la originazione dell’it. dal ger., dal quale si è già notato essere venuti parecchi altri termini denotanti concetti affini. Der.: ghigna-ta-tore-zzare; ghigno-so.
Ghindare, guindare, tirar su col guindolo; tirar su verticalmente una cosa al lato d’un’altra (B. Crescenzio, Naut. Medit., sec. 17º). Questo vb. si trova anche nello sp. e port. che hanno guindar, e nel fr. guinder, e l’essersi cominciato ad usare solo verso il principio del sec. 17º mi fa sospettare che un tal termine di marina sia venuto da una delle lingue sorelle. Il fr. non appare nella scrittura prima del sec. 16º; il nome guindal incontra già nel 12º. E certo ad ogni modo che le voci romanze riconoscono la loro origine nell’aat. windan, wintan, winden, got. winda n, volgere, torcere girare, mat. winden, tm. windan; as. windan, volgersi, ol. winden; ags. windan, ing. to wind, anrd. vinda d’ug. sig. Da questa rad. nel campo ger. si svolsero mediante apofonesi innumerevoli derivati. Così nell’aat. abbiamo: vinds, wintâ, vinditha, wintunga, wintilâ, windellin, windelen, wand, wandr, want, gewant, gewander, vandus, wanta, wantôn, wandjan, wandida, wentî, wendig, wantal, wantalôn, wantalunga, wantalari, wandeler, (donde verosimilmente il np. di popoli Vandali = viaggiatori), wandelieren, wander, wandern, wanderunge, wintila, wuntani, wuntanussi; nel tm. windel, wandeln, wandern. Esso fu adunque probabilmente tolto ad imprestito dal tedesco nel tardo medio evo, come hisser, ed altri termini di marineria; e dal fr. è verosimile originassero lo sp. e l’italiano. Deriv.: ghindaggio, ghindato; agghindare. V. anche Ghindaressa, Ghindazzo, Bindolo e Guindolo.
Ghindaressa, manovra volante o cavo che serve a ghindare o ad alzare gli alberi di gabbia. È il fr. guinderesse usato sin dal sec. XII e che pare provenga da un composto t. windreissen (winden = torcere; reissen = strappare).
Ghindazzo, è probabilmente riproduzione del fr. guindas vindas, venuto a sua volta da ol. windas, corrispondente al t. Wind-achse, propriamente = “albero da ghindare” [t. Achse = asse].
Ghirlanda, grillanda, cerchietto di fiori, erbe o frondi per ornare il capo (Dante, Boccaccio). Questa parola che ha per corrispondenti fr. guirlande, sp. port. guirnalda, a. sp. garlanda, a. port. grinalda, prov. cat. garlanda, ing. garland, fu da taluni voluta spiegare con un girulare o virulare, diminutivi immaginarii derivati da girare e virare; ma è chiaro che ad ogni modo di qui si sarebbe svolto un girlanda: in altri termini in questo caso resterebbe inesplicato l’indurimento della gutturale iniziale. Quindi è molto più verosimile l’etim. proposta già dal Frisch dal mat. wierelen, circondare, aat. wiara, corona. L’essersi il dittongo t. wie trasformato nell’it. ghi anzichè in gui, mostrerebbe che il passaggio dovette appunto accadere nel tempo del fiorire del mat. (cfr. Ghibellino da Waiblingen) e non in quello dell’aat. Quanto al suffisso land, è lo stesso che appare in giranda da cui formossi girandola. Il Chevallet pensò a trarre questa parola dal celt. gwyr, curvante, pel fatto che nel brett. riscontrasi garlantez, gael. gwyrlen. Ma è probabile che queste voci siano d’importazione romanza. Perciò sinora la orig. ger. ha per sè la maggiore verisimiglianza. Deriv.: ghirland-are-ella-etta-uzza; inghirlandare.
Ghirlo, vortice, turbine, (dial. lombardo). Procede dal t. Wirbel d’ug. sig., e propriamente “ciò che si volge in giro”. Formalmente questa parola è affine a ghirlanda, e perciò da essa taluni tentarono di trarre quest’ultima. Ma, anche lasciando stare che le lingue sorelle presentano forme come garlanda e gerlanda d’impossibile derivazione morfologica da Wirbel, fu già osservato dal Diez che il passaggio dei sensi è tanto ardito che non permette di ritenere possibile una tale originazione.
Ghisa, grosso pezzo di ferro fuso. È un neologismo diventato comune in Italia in questo secolo, e cominciato ad usare probabilmente nel secolo scorso o alla fine del 17.º È difficile stabilire con rigore se provenga immediatamente dal fr. gueuse che gli corrisponde esattamente per senso ovvero sia derivato direttamente dal t. Io propenderei per quest’ultima ipotesi, essendo poco verosimile per la forma che da un fr. gueuse si potesse svolgere un it. ghisa, benchè il dial. ginevrino e quello del Berry abbiano guise. Ad ogni modo l’origine prima di una tal voce è senza dubbio il tm. Guss, getto, fusione, e meglio ancora il mat. guz, [aat. guzzo], come è facile scorgere dal milan. ghisa, che sta forse per güsa, e dal trentin. ghiza; e dal fatto che nel tm. la ghisa è chiamata Gusseisen = ferro fuso. L’aat. giozo, gëozo, giezo = acqua corrente. Verosimilmente questo è uno dei numerosi nomi mineralogici che il tm. ha dato alle lingue romanze; benchè non si spieghi facilmente il trapasso delle forme. Il fr. gueuse che s’incontra già nel sec. XVI, forse ebbe per intermediario il fiamm. guysen, scorrere, che pare per senso e per forma connesso al t. giessen, fondere, versare. Lo sv. gös può essere stato tolto dal fr. Quanto al tm. Guss, guss esso è nome formatosi dal vb. giessen, goss gegossen, mat. giezen, aat. giozan, gëozan, giazan, kiozan, giezen, versare, spandere, fondere, gittare un metallo. Il got. era giutan, as. giotan, geötan, ags. giotan, anrd. giota, a fris. giata. La rad. ger. è t. gut, e la preger. ghut; da cui anche l. fundo, versare, futis, vaso da fondere, fûtire in effutire, gittar fuori, fûtilis, da gettar fuori, inutile, refutare, confutare, confutare, fons, da fovonts, fonte, poi gr. χέω versare, da χυ coi numerosi derivati χεῦμα, χῦμα vaso da getto, scorrimento, χύσις, fusione, χύτρα, pentola, χοή libazione, χόος χοῦς, sfasciume χυλός χυμός sugo, umidità. Spetta pure qui sans. hu, offrire (versare l’offerto), hutós, offerto, hâvájâmi, faccio offrire, âhavâs, offerta. Bopp, Gl.3 448-41; Corrsen, 12, 158; Kuhn 2, 470; Meyer, Got. Sprach. 15; Curtius3, 93; Grimm, Deut. Spr. 401.
Gialda, (ant.), specie d’arma antica di cui s’è perduto l’uso e la cognizione; ma che si crede lo stesso che la lancia. G. Villani 9, 70, 5. «I gialdonieri lasciarono cadere le loro gialde sopra i nostri cavalieri». Secondo il Diez, dal prov. gelda, società, (v. Geldra) si formò geldon, che dapprima sarebbe stato il “membro di una compagnia”, e poi avrebbe assunto il signif. di “lanciere”, pel fatto che i componenti queste compagnie portavano la lancia; a da questo prov. geldon, sarebbe venuto it. gialdoniere, e di qui da ultimo si sarebbe formato it. gialda. Ma secondo me la denominazione di un’arma dal nome degli uomini che la portano è cosa molto strana, verificandosi piuttosto il caso contrario; e fa poco al proposito il caso di partigiana allegato dal Diez, il quale sembra credere che una tal voce derivasse da partigiano, quando procede probabilmente da partire, “fendere”4. Inoltre dal prov. geldon, si sarebbe svolto un gialdone, e non gialdoniere; e dall’it. gialdoniere un gialdona e non gialda. Per tutto questo io ritengo più verosimile la deriv. dell’it. gialda dal got. giltha, falce, che L. Meyer, Got. Sp. 135, paragona a l. culter, ma poco verosimilmente secondo lo Schade. Ad ogni modo e nell’uno e nell’altro caso gialda o mediatamente o immediatamente sarebbe di origine germanica. Deriv.: gialdoniere.
Giallo, dal color dell’oro, fra verde e azzurro (Crescenz. Agric. 240, Dante). Questo aggettivo si svolse dall’aat. gälw, gelo, këlo, gélawer, gëlwes [got. gilvs], mat. gël, gëlwer, tm. gelb d’ug. sig.; a cui corrispondono as. gêlo, gëlowo, ol. geel, ags. geolo, geolves, ing. yellow, e l’anrd. gulr formatosi con apofonesi. Il doppio l è dovuto al gruppo lw. Il tema ger. occidentale è gilva, gëlva dal preger. ghelwo. La rad. idg. è ghel ghlô, che nella sua prima forma compare nel l. helvus, giallo-chiaro, giallo come il miele, np. Helvius, biondo-chiaro, helvolus, gialliccio, helvinus, giallo-pallido (del vino bianco); nel lit. geltas, giallo, falbo, geltonas, giallo, goltonókas, mediocremente giallo, gelwas, alquanto giallo, gialliccio, geltonis, color giallo, geltonuti, giallo smagliante, pageltonuli, ingiallire, a. sl. zelenu, giallo, verde, lit. zalias, verde, zelti, verdeggiare. Kurschat, 1, 508. La seconda poi si riscontra nel gr. χλόος χλούς color verdepallido, verdegiallo, χλόη il verde tenero e pallido delle piante, primo germoglio verde-giallo delle piante, χλωρός, gialliccio, verdepallido, χλαρός verde, giallo; zend zairi, giallo, aureo, zairina, gialliccio; sans. haris, giallo [color del leone] biondo, harinás, gialliccio bianco. Bopp, Gl.3 445. Nel campo ger. la rad. ebbe uno sviluppo amplissimo. Vi appartengono infatti principalmente l’aat. galla, donde mat. galle, tm. Galle, fiele, coi corrispondenti got. gallo, as. galla, ol. gal, ags. gealla, anrd. gall d’ug. sig. (del resto questa parte del corpo in tutte le lingue idg. è denominata colla stessa rad.; cfr. gr. χολη χόλος, l. fel, a. sl. zluci da gilki, svoltosi da zelknuti = divenir giallo). Parrebbe dunque che il fiele avesse tratto il nome dal suo colore. Più importante ancora è la formazione di aat. gold, golth, gold, golt, colt, mat. golt, tm. Gold, oro; as. ags. a. fris. ing. gold, anrd. gull, sv. dan. guld, g. gulth, dal tema ger. gultha; dal quale ceppo ger. ebbero origine fin. kulda, kulta, est. kuld, liv. kûlda, kûld, lapp. golle, kolle. Questo poi sarebbe venuto da un preger. ghlto, a cui è primitivamente affine a. sl. zlato, russo zoloto da * zolto. Gold poi è derivazione partecipiale di rad. ghel, come lit. bal-tas, bianco; ed evidentemente significava da principio “il giallo, metallo giallo”. Spetta pure qui aat. gluoen, mat. glüen, glüejen, tm. glühen, essere infocato, rovente; ags. glówan, ing. to glow, ol. gloeijen, anrd. glda; dalla quale rad. ger. glô glê originarono altresì tm. Glut, mat. aat. gluot, ol. gloed, ags. gléd [got. * glo-di], ing. dial. gleed, vampa; e più lontanamente ags. glóma, glomums, alba, crepuscolo, ing. gloom, anrd. glámr, luna. La rad. glô gle procedette da preger. ghlâ = ghel. Più lontanamente si riferiscono qui anche gruo, gruan, gruot, gruoni, gruose, e più da lontano ancora gluo, gluoan, gluot; e dalla rad. idg. ghrad con ampliamento mediante dentale, glat, glint; e da idg. ghladh, aat. glat, glitan, mat. glinden, glander; poi gër, giri, gîr, gërn e loro derivati; infine grêdus, garo, gor e forse anche warm. Bopp, Gl.3 445; Curtius3, 91; Schleicher, Die Formenslehre ecc. 109. Ma se è certo che l’it. giallo è d’orig. ger., resta molta oscurità sulle forme delle lingue sorelle: afr. ialne, fr. iaune, sp. ialde, port. ialne, ialde, iardo, valac. gáltin. Il Diez trae l’afr. ialne dal l. gálbinus, che avrebbe significato “giallo-verde”. Ora questo l. gálbinus, ricorre sì in Marziale; ma non significa altro che “molle, lascivo, effemminato”; dal qual senso a quello di “giallo” c’è una distanza troppo grande.. C’è bensì nel l. il nome galbus, sorta di legno di tinta gialla, e l’agg. galbanus, derivato da quello. Ma come ammettere che il nome d’un colore presso i popoli di Francia e Spagna provenga dal nome d’un albero assai raro in l., quando l’it. l’ha tratto dal ger? Io crederei quindi che anche le voci neol. corrispondenti all’it. giallo procedano anch’essi dall’aat. gëlo mediante però un mlt. galbus galbinus, che potè formarsi dal mat. gälb e che il ne di afr. jalne, il d di sp. jalde siano suffissi; molto più che le lingue rom. han tolto dalle lingue sett. numerosi nomi di colori. Deriv.: gialla-mina-stro; gialle-ggiare-zza; gialli-ccio-gno; giallo-gnolo-lino; giall-ore-ume-giall-uria; ingiallire.
Giardino, spazio di terreno annesso a una casa e chiuso da siepe o cancello, coltivato per bellezza e diletto (Malispini, Stor. Fior. 58; Crescenz. Agric. 387). Questo nome insieme con sp. jardin, port. jardim, prov. jardi, gardi, issi, giardina, fr. jardin, dial. fr. gardin, d’ug. sig., procede dal ger. gard, che si svolse nell’aat. gart, garto [gen. dat. gartin, che sembra essere stato il prototipo immediato delle forme romanze], ags. geard, got. garts, anrd. garthr, mat. garte, tm. Garten. Altre forme ger. sono: as. gardo, a. fris. garda, got. garda. Le voci ger. antiche avevano però spesso significato alquanto diverso dalle romanze ed anche dalle ted. moderne. Così il got. garda, gards, stalla, casa, famiglia; aat. gart, cart, circolo, coro, anrd. gardr, abitazione, possesso; ags. geard, ing. yard, luogo cinto, corte, abitazione; as. gard, gardo, siepe, chiudenda. Il tm. però insieme col mat. ha precisamente il significato delle voci neol., e, secondo alcuni, lo stesso aat. garto presentò esso pure anche questo senso. Però in alcuni composti del tm., come Löwengarten, serraglio dei leoni, Thiergarten, serraglio delle fiere, Rossgarten, dei cavalli, perdura tuttavia il signif. di “chiuso, ricinto”. L’ing. garten non riposa immediatamente sul ted., bensì sul fr. jardin, trapiantato in Inghilterra nel tempo del medio-inglese: d’origine diretta ger. è ing. yard da ags. geard. Secondo Kluge p. 127, il significato fondamentale di queste voci è quello di “luogo chiuso, ricinto”, che riscontrasi nell’as. e nell’ags. e nel valac. gard, siepe, venuto anch’esso dal ger. e che fa, per questo riguardo del senso, eccezione alle voci romanze. Alcuni germanisti hanno creduto di connettere garto e suoi derivati con gürten, cingere, fasciare, da rad. ger. gerd; ma il Kluge ha impugnata questa connessione, perchè, secondo lui, le molteplici affinità che si trovano a questa parola in altre lingue provano ch’essa è di formazione pregermanica, e probabilmente di formazione comune a tutte le lingue idg. occidentali. Quindi non può appartenere ad una radice specificamente ger. Tuttavia altri, come il Friedmann, continuano a sostenere la parentela di questo vocabolo sia col got. bi-gairdan, cingere, donde tm. gürten, cingere, Gurt, cintura, aat. Gürtil, mat. tm. Gürtel, ags. gyrdel, ing. girdle, cintura. Ora ecco le corrispondenze nelle altre lingue idg. Il l. ci presenta hor-tus giardino, co-hors, cortile, gr. χόρτος, recinto, corte, pascolo, fieno, χορός, piazza della danza, danza, schiera, a. ir. gort, biada. Lo sl. ci presenta: lit. gardas, pecorile, zárdis, serraglio di cavalli; a. sl. gradu, giardino, stalla, città, muro, gradici, piccola città, gràzdi, stalla, stalla de’ cavalli, gradina, giardino, graditi, fabbricare, serb. gradac, città, boem. hrad, hradek, città, pol. grod, gorod, città, grodz, siepe, grodzic, assiepare. Miklos. 140, 146. Tutte queste voci sl. presuppongono un idg. dh in luogo del d del got. as. Ma alcuni germanisti ritengono probabile una derivazione diretta di esse dal ger. La rad. idg. di quest’ultimo sarebbe stata gherto; quindi il d del got. avrebbe a fondamento un t idg. Grimm Geschichte d. d. Sp. 402; Curtius3 189; Corssen 12, 100; Fick2 742, 520, 359. È singolare la conformità del derivato aat. gartinâri, gartenâre, mat. gartenaere, tm. Gürtner, ing. gardiner, coll’it. giardiniere. Altri deriv.: giardin-aggio-eria-etto-iere-ino-uccio.
Giava, luogo nel naviglio dove si ripongono gli attrezzi od altro (Ariosto). Sarebbe mai questa parola venuta dall’aat. gawi, kawi, gewi [got. gavi] mat. gou, göu, geu, tm. Gau, luogo, terra, contrada, cantone? Il passaggio letterale sarebbe perfettamente uguale al caso di aat. gëlo che diè giallo e di aat. gartin che diè giardino; in altri termini lo sdoppiamento dell’a ger. nel dittongo it. ia, non è raro. E neanche il senso presenta grave difficoltà, quando si pensa che la parola it. cantone può significare al tempo stesso un “tratto di paese” (come quando diciamo “il cantone di Berna”) e “piccolo ripostiglio”. Tale è la mia opinione sull’etim. di questa parola non ancora tentata da alcuno.
Giavellina, specie d’arme da lanciare (Montecuccoli). Facilmente è riproduzione dal fr. javeline, sp. jabalina; ma potrebbe anch’essere derivazione del nome seguente.
Giavellotto, sorta di dardo a foggia di mezza picca (G. Villani, 8, 75, 4). Immediatamente questo nome venne senza dubbio dal fr. javelot, il che è provato e dalla forma stessa, e dall’essere la voce stata usata la prima volta dal Villani, vale a dire da uno scrittore che introdusse in italiano non poche parole francesi. Ora il fr. colle forme antiche gavelot, gaverlot, gaverlos, garelos, garlot, gaurlot, iavrelot, glavelot, bret. gavlod, mat. gabilot, a. fiam. gavelote, fu dal Grimm riportato a ing. gavelok, o meglio ad ags. gaflac d’ug. sig., composto del nd. gefia, lancia, e ags. lâc, giuoco. Il Pott invece propose il cimb. gafl-ach, lancia a penna. Il Diefenbach al contrario riannette le voci ger. del mat. alla stessa radice di Gabêl, forchetta, e afr. gaffe, pertica; e da esse sarebber venute le romanze. Tuttavia la etim. vera è sempre incerta; poichè, oltre alle opinioni viste qui, il Littrè ricorre al bl. capiulus, capilum; e il Tobler parte da un glaivelot, dimin. di glaive; le quali due ultime ipotesi peraltro sono combattute da G. Paris per ragioni sia di senso che di forma. Onde l’etim. ger. è sempre una delle più probabili.
Giga, strumento musicale a corde, simile al violino; parte d’una sonata (Dante, Parad. 14; Intelligenza, 292). Questo coll’afr. gigle, gigue fr. gigue (che il Mackel crede venuto da * gige per dissimilazione), prov. gigua, guiga, giga, a. sp. giga riposa su una forma ger. aat. * giga, che è presupposta dal mat. gige, tm. Geige, violino, m. ol. gighe, anrd. gigia. Qui, come in bara, balco, bracco, ecc., si dà il caso che le forme it. sp. e prov. sono più vicine all’aat. che lo stesso mat. e tm.; il che fornisce un argomento per provare da un canto che dovette esistere realmente una forma aat. giga, come suppone il Mackel, e dall’altro che questo nome fu importato nei paesi romanzi sin dalla immigrazione dei popoli settentrionali, e non già nel medio-evo come sostengono taluni fondandosi sul fatto che mentre la forma mat. gîge, è storicamente certa, l’aat. gîga non è documentata; argomento evidentemente debolissimo. Il Kluge per contrario non parte dall’esistenza di un aat. gîga; dà però il mat. gîge come molto antico, soggiungendo ch’esso non può essere sospetto di derivazione dal romanzo, poichè si verificò il caso contrario. Accenna per altro alla verisimiglianza d’un preger. ghîka. Secondo lui l’affinità coll’a. sl. zica, filo, da lit. gié, filare, è appena possibile. Il tm. da Geige ha cavato geigen, suonare il violino, Geiger, violinista e parecchi composti. Degno di particolare attenzione è il fr. gigue per la evoluzione di sensi a cui esso e suoi derivati sono andati soggetti. Primieramente gigue ha preso anche il signif. di “danza accompagnata da musica”; i derivati giguer = andar presto, saltare, gigotter, muover le gambe, vacillare, ed infine gigot = coscia. Per intendere bene questa progressione di significati, lo Scheler osserva che il nd. geiga valendo “tremare”, e geigr “tremito”, la radice doveva contenere l’idea fondamentale di “vibrazione, scossa”. Sempre secondo lo stesso linguista, da rad. ger. gig, muoversi, originò gigue, gamba, quindi gigot, coscia, gigotter, muoversi, giguer, ginguer, dare il gambetto, danzare e che da giguer, sarebbe venuto gigue, danza, aria di danza, poi strumento. Ma, poichè in it. giga ha solo un significato attinente a musica, quello che dice lo Scheler potrebbe tutt’al più valere pel francese. Nel quale fr. il vocab. in questione ebbe una storia ed uno svolgimento molto più notevole che in it. e nelle altre lingue sorelle. Oltre di ciò il fr. conserva un documento importante per mettere fuori di dubbio la provenienza del nome. Nel romanzo di Cléomedes si leggono questi due versi:
Et des flauteurs de Behaigne |
Da questo si rileva che i suonatori di giga venivano principalmente di Germania, e che di là per conseguenza veniva lo strumento stesso. Per ciò la giga è coll’arpa uno strumento di provenienza germanica. Il fr. diè poi origine all’ing. gig, viola, strumento a corde. In it. è parola antiquata, non incontrandosi più dopo il secolo 17.
Gigotto, coscia di castrato; termine dei macellai (P. Bardi, Avinavoliottoneberlinghieri, metà secolo 17.º; Averani, Nelli). Riposa immediatamente sul fr. gigot, gamba, coscia, la cui origine dalla radice ger. che ha dato anche Giga, v. sotto quest’ultima parola.
Girifalco, girfalco, girofalco, uccello di rapina, il maggiore delle diverse specie (M. Polo, Milione; Crescenz., Agricolt.; Boccaccio, Filocopo; Sacchetti, Nov.). L’it. immediatamente procede dall’afr. girfalc, gerfaut, prov. girfalc, donde anche fr. gerfaut, e sp. gerifalte. L’afr. riposa sub. bl. gerofalcus, gyrofalcus. Ora il bl. fu dalla fantasia popolare creduto un composto in cui entrasse come primo elemento il lat. grec. gyrus, giro; sicchè l’uccello sarebbe stato così denominato dal suo “girare in tondo”. Questa interpretazione ci è attestata espressamente da Alberto Magno: «dictus est a gyrando quia diu gyrando acriter praedam insequitur». Anche due altre etim. furono proposte, cioè dal gr. ἱερός, sacro, e κύριος, signore: la prima, occasionata dal fatto che una sorta di falcone è detto sacro, avrebbe dunque significato “falco sacro”; e l’altra “falco principe”. Il Diez s’attenne senz’altro all’etim. latina; ed allegò a sostegno dell’antica interpretazione popolare, che il gr. κίρκος vale al tempo stesso “giro, circolo” e “falco”. Ma gli studi fatti dai germanisti e dai romanisti dopo la morte del Diez hanno dimostrato ad evidenza che il bl. gyrofalcus, e quindi i suoi derivati romanzi, non sono di origine latina e molto meno greca. Essi riposano sul ger. * girfalko, donde mat. girvalke, giervalke, gervalke, tm. Geierfalk, bt. gierfalke, gêrfalke, geierfalke, ol. giervalk; il quale è composto di Geier e di Falk, dove il primo elemento per la somiglianza formale casualmente affine al l. gyrus, fu interpretato falsamente come significante il concetto espresso da quest’ultimo5. Il Baist anzichè ger. girfalko mette a fondamento l’anrd. geírfalk, e fu approvato da G. Paris, Rom. XII, 100. Il Mackel invece ritiene sia più adatto alle forme romanze l’aat. gêrfalko, corrispondente all’anrd. geirfàlki, e all’ags. garfalca. Quanto all’opinione del Baist che mat. gîrvalke e gêrvalke fossero tolte in prestito dall’anrd. geirfalcki, ma senza corrispondere più ne per concetto nè per forma al vocabolo originario, il Mackel crede che ciò non sia giusto; essendo più ovvio ad ogni modo il supporre che la parola fosse presa in prestito al tempo del primitivo mat. (sec. 11, 12), come sembra accennare il np. Gárfalch, e che poi le ulteriori forme siano dovute ad una erronea interpretazione etimologica popolare. Altri però sulla origine e sul valore di mat. girvalke la pensano diversamente; tali sono Io. Schmidt, Schade e Kluge; i quali in sostanza ammettono che sia voce schiettamente ger., e che la prima parte del composto sia l’aat. gir, gîri, mat. gîre, dial. mod. geier, avido, bramoso, spettante alla rad. ger. gîr, desiderare, che diè tm. gier, gierig, gern, begheren ecc. Ciò è confermato anche dal fatto che nel tm., oltre a Geierfalk, s’usa anche il semplice Geier, derivante da aat. gîr, kîr, mat. gîr. La rad. ger. gîr ha un riscontro nel sans. grdhras, “avido, avvoltojo” rad. idg. ghar. Il trovarsi già nell’aat. la forma gîr, e molto più il fatto che il sans. grdhras vale ad un tempo “avido” e “avvoltojo” finisce di atterrare del tutto l’ipotesi del Diez che traeva dal lat. grec. gyrus, giro, il primo elemento del bl. girifalcus. Al che bisogna aggiungere che la caccia coi falchi fu insegnata ai popoli lat. dai Tedeschi, come confessa apertamente il Baist (Zeits. di Gröber, VI, 427).
Gilbo, di color cenerognolo (Palladio, Marz. 15). Si deriva comunemente dal l. gilvus, d’ug. sig.; ma non potrebbe anch’essere il tema del t. gelb, giallo, prima latinizzato, e poi ridotto a forma italiana; e che penetrò anche nel fr. gilbe, ginestra dei tintori? Anche nel tm. abbiamo un Gilbe, giallore, da mat. gilwe, aat. giliwî, gelawî, vb. gilben, colorare in giallo. Il cangiamento del w ger. in b lat. e rom. l’abbiamo visto anche sotto falbo.
Gilda, è la forma bl. del ger. gilda, che già s’è visto sotto Geldra, e che nel fr. oltre a gilde diè gueude. Da gilda a geldra si passò mediante la infissone d’un r, come da ags. filt si cavò feltro, e da Geneva si cavò Ginevra.
Giolito, godimento che prendesi nella quiete dopo la fatica; festa, allegrezza (Redi, Fagioli), è una riproduzione dell’afr. jolit, fr. joli, formatosi dal fr. jolif, mediante l’aggiunta del suffisso (v. Rothenberg De suffixorum mutatione). Sull’origine poi ger. primitiva rimandiamo a Giulivo.
Giucco, quasi affatto privo di senno (Pananti, Guadagnoli). Pare non sia altro che un doppione di ciocco che figuratamente vale “balordo”, e ciò mediante la forma ciucco che in alcuni vernacoli toscani usasi per lo stesso che giucco. Quanto all’orig. ger. v. Ciocco. Deriv.: giucca-ta-ggine; giucche-rello-ria.
Giulivo, questo aggettivo che sta per giolivo (v. Diez, Gramm. 13, 166) immediatamente viene senz’altro dall’afr. jolif, iolive, gajo, lieto, galante; il quale senso, oltre che nell’it. e afr., si riscontra anche nell’ing. jolly. Ma il fr. moderno ioli, formatosi anch’esso di là, significa “gradevole, piacevole, grazioso”. L’origine prima d’un tale aggettivo è l’anrd. jol, festa solenne, e propriamente festa del natale. In isved. e dan. jùl, [ing. yule] = festa di natale, e julmonat = dicembre. È parola trasportata dai Normanni in Francia dove prese il suffisso if [il prov. formò jolivitat], e donde fu trapiantato anche in altri paesi del mezzodì dell’Europa. Deriv.: giuliv-amente-etto-ità-itade.
Gonfalone, confalone, vessillo seguito da un determinato numero di soldati; insegna d’un comune; bandiera d’una chiesa o confraternita (Malispini 183; Guido Colon. 307; Giamboni, Orazio 511; Fra Bartol.). Coll’afr. gonfanon, confanon [ginev. conforon, bandiera di chiesa], prov. gonfanon, confano, gonfano, gonfaino, golfaino, fr. gonfanon, confalon, sp. confalon, a. sp. port. gonfalâo, sicil. cunfaluni, bl. cuntfano, ha per fondamento il ger. gunt(i)fano, aat. gundfano, guntvano, chundfano, ags. gûdhfana, gútfana, bandiera di guerra. L’a. ger. guntfano è un composto di aat. gundja e di fano. Quanto ul secondo elemento v. Fanone. Circa il primo, l’aat. gundja, che appare solo in questo composto e in alcuni np., ha per corrispondenti as. gúdhja, gûdëa, gûdh (nel composto gûdhamo) e significa “lotta, battaglia, guerra”. L’ags. gûdh vale lo stesso; l’anrd. gûdhr, gummz, guerra, dea della guerra. (Grimm, Deutsche Gramm. 2, 457; Vigfusson, 221). Il got. è gunths, e il tema ger. è gunthi o gunthia. Secondo il Fick2 67 approvato dallo Schade si connette a lit. giñczás, contesa, ginczúkas, litigioso, giñczytis, contendere, giñklai, armi; a. sl. gnati, eccitare. Miklos. 131, sans. ghâtas, strage, uccisione, rovina, ghâtin, uccisore, hantâr, uccisore, dalla rad. han, ghan, battere, uccidere, distruggere. Al contrario il Bopp, Gl.3 313, e L. Meyer, Kuhn 7, 17 lo riannodano a sans. yudh, combattere, ed anche a sans. gandh, violare, percuotere; e il Pictet 2, 190 a nigandhana, mischia. Ma queste ultime affinità sono rigettate dallo Schade e da altri. Nel tm. l’aat. guntfano è sparito (anzi non ricorre neppure nel mat.); e s’usa in quella vece Kriegsfahne o Sturmfahne oppure il semplice Fahne. Questa voce in it. ha avuto uno svolgimento di significati maggiore che nel fr. Di fatti in quest’ultima lingua ha solo il senso militare, che era il primitivo, e quello ecclesiastico; le manca il signif. di “insegna dei magistrati, del Comune, d’arte”, e quello di “drappello, moltitudine” senza contare i non pochi traslati. Anche i derivati ital. sono assai più numerosi dei fr. e tutti importanti per la parte che rappresentano nella storia delle città e repubbliche ital. del medio evo. Eccoli: gonfalonata; gonfalo-nerato-neratico-nierato-nieratico; gonfalo-niere-nieri-niero; venez. confaloniero. In tutte queste forme in luogo della gutturale media s’incontra anche la tenue, che corrisponde alla forma accessoria dell’aat. chundfano.
Gora, canale per cui si cava l’acqua de’ fiumi mediante le pescaie; canale da mulino; acqua stagnante e pantanosa (Dante, Villani, Boccaccio). Gora per guora procede dall’aat. wuorî, mat. wüere, wüer, wuere, argine per respingere o condurre acqua, tm. Wehr, argine difesa. Il dial. sviz. presenta wûr, il bav. wuor wüer, wüerin, il tirol. wüer, calle forme derivate wuorag, wuoragi, wuëren coll’idea di “innaffiamento, ubbriacatura”. Il lad. dei Grigioni ci dà vuor da cui è facile il passaggio all’it. guora, gora. Questa voce che fra le lingue rom. è posseduta solo dall’it. e dal lad., dovette probabilmente venirci pel tramite dei Longobardi. Il tema ger. era vôrâ vôriâ; e la rad. è vôr, differenziatasi da var, e questa da war. Quindi il signif. fondamentale è quelle della “difesa”, e non quello della “irrigazione”. È quindi connesso a tm. wehren, difendere, riparare, da aat. warian, got. varian, inpedire, proteggere. Il venez. gorna = grondaja è la stessa cosa che gora, come suppone il Diez? Del resto, gora è parola antichissima sul territ. it., poichè in un documento spettante all’anno 710 (Brunetti, Codex diplom.) n’è già fatta menzione: altra prova dell’importazione longobarda. Deriv.: gorajo.
Goti [t. Die Gothen], nome d’uno de’ più antichi popoli germanici che fiorì nei sec. IV, V e VI, un cui ramo gli Ostrogoti [Ostgothen] occupò e dominò l’Italia dal 489 al 553. V. Ostrogoti e Visigoti. Deriv.: gotico.
Graffio, antica macchina da guerra uncinata; strumento con uncini specialmente per ripescare vasi caduti nel pozzo (Dante, Inf. 21; Buti). L’etim. dal l. graphium, rappresentante il gr. γραφεῖον, stile da scrivere, fu con ragione rigettata dal Diez, perchè il vocab. gr.-lat. non contiene l’idea di uncino essenziale alla voce italiana. D’altra parte è troppo evidente la corrispondenza dell’aat. krapfo, krafo, mat. krapfe, tm. Krapfen, uncino, artiglio ripiegato, sia coll’it. che collo sp. garfio, garfa, e più ancora col prov. grafio d’ug. sig., borg. graffiner, grattare, fr. agraffe, pettine, vb. sp. agarrafar, engarrafar, vall. agrafe, afferrare. Accanto ad aat. krâffo, krafo dovettero probabilmente esistere * krapfio e krafio che spiegherebbero ancor meglio le forme romanze, e costituiscono una ragione di più per dare la preferenza alla deriv. ger. su quella dal cimb. crab, craf, accennata da taluni, poichè in quest’ultimo caso non s’intenderebbe facilmente l’inserzione dell’i. La radice ger. che abbiamo innanzi accanto allo forme già viste si sdoppiò anche in altre, come grappo, grapo, mediante la Lautverschiebung o differenziazione fonica, e in krampha, krampho di cui ci occuperemo alle voci Grampa, Granfia-o, Grappa-o; altra ragione per l’orig. ger. di graffio. Secondo il Faulmann il vocab. t. sarebbesi svolto da vb. aat. hrëspan per hrëpfan, e questo a sua volta da aat. greifan; al contrario il Kluge ed altri mettono quest’ultimo vb. come indipendente da tutti i precedenti. Deriv.: graffiare (stropicciare con cosa uncinata), graffia-mento-to-tore-tura; graffietto, aggraffare. V. anche Raffio e deriv.
Gramaglia, vestito di lutto (Casa, Soderini † 1596; Mellini). Secondo alcuni sarebbe derivato dallo sp. gramalla, specie di toga. Ma poichè il Vocabolario dell’Accademia Sp. stampato nel 1734 non dice niente affatto che quella sia veste da lutto, a me parebbe che potesse anche essere un astratto formatosi in Italia dall’agg. gramo, di guisa che venisse e significare “tristezza, mestizia”, e poi per transizione naturale “vestito da lutto”. Si può inoltre osservare che gramaglia appare in Italia già nella 1ª metà del sec. 16º, quando lo sp. non aveva ancora esercitato alcuna influenza sull’it.
Gramo, mesto malinconico, tapino (Dante, Sacchetti). Col prov. gram, afr. gram, graim d’ug. sig., procedette dall’aat. gram, adirato, mat. tm. gram d’ug. sig.; ags. gram, grom, ing. ol. gram, anrd. gramr. Nel ger. appartengono qui anche anrd. grami, amareggiamento, mat. e tm. Gramm, tristezza, poi vb. got. gramjan, aat. gremjan, cremian, gremman, gremmen, kremen, mat. gremen, fare adirare, eccitare, ags. gremjan, gremman, amareggiare, e inoltre aat. gramizzôn e grimizzôn, grimmo e grimm che rivedremo sotto Gricciare, Grinta e Grinza. Secondo il Faulmann a fondamento di tutte queste voci starebbe il vb. aat. grëman, “diventare burbero, imbronciare”, che a sua volta sarebbesi formato dal vb. rîman, toccare, affine a l. crimen, e riposa sull’aat. chrimman, tormentare, da cui si sarebbe poi svolto grimmen con concetto rinforzato, e forma pure rinforzata con g: il quale rinforzo formale col g in t. è assai comune. V. Raffio. Però il trovarsi già il g nel preger. rende inverosimile una protesi nel puro campo ger. Nel campo idg. corrispondono alla rad. ger. [got. * grama da preg. ghrmo] lit. grumenti, mugghiare cupamente, grumsti, minacciare, a. sl. grumeti, tuonare, grumenie gromu, tuono, grimati, tuonare, suonare, Miklos. 143, 144, 146; pol. grzmiéc, tuonare, grzmienie, il tuonare; poi gr. χρόμαδος, digrignare, χρόμος, nitrire, e fors’anche χρεμέθω e χρεμεθίζω, nitrire, l. fremo e frendo, fremere, sbuffare, zend. grantó, adirato. Curtius3 192; Corrsen 12, 159. Deriv.: gramare (ant.), che, secondo il Bembo procede direttamente dal prov. afr. gramajer, gremajer; gramezza, che corrisponde ad afr. graigne, e fors’anche gramaglia e quindi gramaglioso.
Grampa, branca, zampa (Burchiello). Riposa sul ger. kramp, aat. kramph, as. cramp, curvato, storto, tm. krampf, il quale agg. già da gran tempo diè origine anche sul territorio ger. ai sostantivi Krampe, e Krümpes, uncino. Il Kluge osserva che il tm. Krampe, uncino della porta, è parola del bt., perchè nell’at. ci dovrebbe essere il pf; il che appare dalle forme parallele al bt., cioè ol. kram per kramp, uncino, artiglio, ing. cramp, artiglio, crampirons. Nel tm. c’è anche Krampe = tesa del cappello, da bt. Krempe, che pel signif. s’attiene strettamente all’aat. chrampf, storto, ricurvo, anrd. krappr, stretto, dove chrampf riunisce i due sensi di “uncino” e di “orlo, corona”. Dal ger., oltre all’it., si svolsero altresì afr. fr. crampe, prov. crampa d’ug. sig.; borg. se crampir, ripiegarsi, afr., crampi, ripiegato insieme. Anzi, poichè evidentemente questa voce entrò nel rom. dal bt., e l’unico popolo basso tedesco che influì sui paesi latini per la lingua, furono i Franchi, è probabile che questa parola sia a noi venuta direttamente dalla Francia; e la tarda comparsa di questa voce nella scrittura sembra confermare questa mia ipotesi. Ma nell’abfr. dovette esistere anche un krampo da cui il fr. crampon d’ug. sig. V. Granfia, Rampa, e Rappare. Deriv.: aggrampare.
Granfia, unghia adunca degli uccelli di rapina; artiglio (Lippi, Malm.; Segneri). Certamente questa voce non è che un doppione di Grampa, riposante sull’aat. cramph, tm. Kramph, d’ug. sig., pel solito fenomeno del riprodurre che fa l’it. or colla labiale tenue or coll’aspirata la labiale teutonica, che poi oscilla anch’essa spesso, come si vede nel caso delle due voci tedesche della stessa radice, anzi dello stesso tema, che hanno dato origine a graffio e a grappo. Del resto la formazione di Granfia, oltrechè da krampf, si potrebbe spiegare anche da aat. chrapho, chrapfo, mat. krapfe, tm. Krapfen, artiglio, mediante la nasalizzazione come nel caso di griffe e grinfe; anzi il senso sarebbe più confacente e più strettamente connesso che nel primo caso. Il cangiamento del genere nel passaggio dall’una all’altra lingua è frequente. Ad ogni modo la parola in quistione risale sempre alla stessa rad. germanica. V. anche Griffe e Grinfe.
Granfi, ranfi, intirizzimento doloroso che viene alle gambe (dial. moden.). Anche questa è uno dei molteplici aspetti assunti sul territorio it. dalla rad. krap, crapf, che dall’agg. krampf, curvato, storto, svolse nel mat. anche un sost. krampf, trasmesso al tm. Krampf, proprio nel senso del moden. granfi, ranfi, cioè di “contrazione dolorosa dei muscoli”. Questa determinazione di senso benchè lo Schade non l’accenni, dovette anzi essere avvenuta anche nell’aat., giacchè la troviamo già nell’as. cramp, e poi nell’ing. cramp che non può averla derivata che dall’ags.; e la parola trovandosi in Italia solo nel modenese fu probabilmente importata dai Longobardi, o da qualcuna di quelle colonie di genti barbariche che si stanziarono in questi dintorni sino da tempi antichissimi. Per ischiarimenti ulteriori sullo svolgimento della rad. sia sul territorio ger. sia sul romanzo e specialmente sull’it., rimandiamo alle voci precedenti e a Grappa, Griffa e Grinta.
Grappa, picciuolo specialmente della ciriegia; piccola spranga di ferro ripiegata da due capi per collegare cerchi, affissi (Lucan. volg. 258; S. Agost. volg.; Poliziano). Non credo a chi dice che questo nome siasi formato dal vb. grappare, e che questo provenisse dal solito ger. krappo, * grappa, aat. krapfo, tm. Krappen; e non lo credo perchè non è verosimile che un vb. denotante un’azione compientesi con un oggetto materiale abbia dato origine al nome dell’oggetto, poichè si verifica spesso il caso contrario (così zappare viene da zappa, arare da aratro, vangare da vanga). Inoltre come mai un vb. ital. sarebbesi formato direttamente da un nome ger., se prima questo non fosse già penetrato nelle lingue romanze? Quindi credo alla priorità del nome rispetto al vb. in it.; il che è poi confermato dallo sp. dove s’incontra bensì il nome grappa, grappon, ma non il vb., e dal prov. che ci presenta esso pure solo una forma nominale grapa; l’afr. conta i nomi crape, grape, a-grape, il fr. grappin, e dial. nor. ha grapper e pic. agraper, afferrare. Il bl. era agrapa che ricorre già nei testi del sec. 7.º; e riposa su ger. * krappa, forma parallela a krappo donde prov. grap. Deriv.: grappa-re-riglia, grappiglia.
Grappo, l’atto d’aggrappare, afferrare; grappolo (Fior. d’Ital.; Pecorone). Questo non è un doppione di grappa, ma parola derivata da ger. krappo che penetrò nel rom. prima della Lautverschiebung nel mat. krâpfe, tm. Krapfen. Dal concetto di “uncino” fondamentale in questa parola, si svolse quello di “afferramento” che è il primo di grappo; poi quello in generale di “qualche cosa che afferra”, che si restrinse poi a quello di “grappolo”, per la proprietà che ha questo di tenere insieme uniti gli acini dell’uva. Il prov. ha grap. Deriv.: grappella, grapposa.
Grappolo, ramicello a cui stanno appiccati gli acini dell’uva. Propriamente è dimin. di grappo, ma preso nel senso speciale “di tralcio di vite che tiene stretti ed uniti gli acini dell’uva”. Questa determinazione è tutta propria della lingua it. Deriv.: grappo-letto-lino-luccio.
Graspo, ramicello del tralcio della vite spogliato dei chicchi (Crescenzio, Agric.; Soderini, Coltiv.). È lo stesso che raspo, premessa la gutturale; come avviene spesso sia in it. che in t. (cfr. Granfi da Ranfi). Per l’etim. ger. della parola v. Raspo.
Grattare, stropicciare o fregar la pelle colle unghie per attutarne il pizzicore (Dante, Sacchetti). Venne in un coll’afr. grater, fr. gratter, sp. prov. gratar, dal ger. kratton che si svolse nell’aat. chrazzôn, mat. kratzen, kretzen, tm. kratzen, d’ug. sig. Appartengono qui, oltre a mat. kratz, kretz, tm. Krätze, grattamento, anche nd. krota, incidere, sv. kratta, ing. to grate, fregare, grattare, got. gakruton, sminuzzare, e tm. kritzeln da mat. kritzen, aat. krizzôn, eccitare, intagliare; ed alcuni vorrebbero riportarvi ancora Kreiss, circolo, da rad. krît; donde kritión, da cui chrizzôn, sarebbe “tracciare linee”. Secondo il Faulmann l’aat. chrazon, tm. kratzen sarebbesi formato da graz, germoglio e significherebbe “strofinare con aghi o simili”, che risalirebbe a rad. raz d’un vb. ger. rizzon, aat. rizon, strappare. È adunque falsa l’ipotesi di Diez e Schade che l’aat. sia venuto dal l. charaxare, grattare, scrivere, che a sua volta sarebbe venuto da gr. χαράσσειν incidere, disegnare: il che del resto si deduce anche della forma stessa; giacchè da charassare non sarebbe stato possibile la formazione di un grattare. Il bl. cratare, secondo lo Scheler, ricorre già nelle Lois des Frisons. Deriv.: gratta-ticcio-tura-zione; grattugia-giare-giato-giatura.
Gremire, afferrare (Fr. Barberino; Berni). Vedi Ghermire.
Greppa, greppo, luogo dirupato e scosceso; vaso di terra rotto; raggrinzamento delle labbra che fanno i bambini quando cominciano a piangere (Dante, Buti). Questa voce ger. che fra le lingue rom. penetrò solo nell’it. e nel lad., e quindi fu verosimilmente d’importazione longobarda, riposa sull’aat. clëb, clëp, promontorio, cachlëp, rupe, haohchlëp, consistenza, anrd. klif, as. ags. clif, poggio, promontorio, mat. (basso renano) klippe, tm. Klippe, anrd. klippa, d’ug. sig. Si riferiscono qui anche anrd. kleif, serie di scogli, ing. cliff, punta, prominenza. Tutte queste forme accennano ad un got. * klif, klibis, e si svolsero secondo il Faulmann da vb. clëphan, fendere, scoppiare; quindi varrebbero propriamente “pietra ruvidamente tagliata”. La rad. ger. è klib che riscontrasi anche nel vb. kleiben, fendere, dividere. Accanto all’it. greppa-o, abbiamo lad. grip, e venez. grebano. Il signif. della frase fare greppo è evidentemente metaforico. Quando all’indurimento di l in r, esso è avvenuto anche in freccia da ger. vliz.
Greppia, quel luogo della stalla composto di lunga e alta cassetta murata, dove si mette il mangiare ai cavalli e ha sopra di sè la rastrelliera (Pulci, Morg.). Venne dall’aat. krippia da cribbia, crippëa, crippa, krippha, chripha, mat. krippe, kripfe, tm. Krippe, d’ug. sig. Altre forme ger. sono got. * kribjô, as. kribbia, kribba, ags. cribb, ing. crib, mangiatoja; poi svizz. krüpfli, bt. krübbe, ags. crybb, nd. krubba, e kripf nel Palatinato. Pel Kluge la voce ger. s’attiene al mat. krëbe, corba: quindi il signif. di “specie di corba” sarebbe il punto di partenza per krippe e derivati. All’incontro il Faulmann sostiene che qui sia avvenuta la fusione di due temi, cioè di aat. chrippa, crippa, crippëa, che sarebbe d’origine bt. e procederebbe da vb. chripfian per * chripfjan, afferrare che a sua volta rimonterebbe a mat. reffen [tm. raffen], aat. raffian; e di anrd. krëbe, corba, che spiegherebbe il signif. di “siepe intrecciata”, e deriverebbe da vb. rëpan, stendersi. abbracciare. Oltre all’it. greppia, dial. creppia, grupia, gropia, risalgono al vocab. ger. il prov. crepia, crepcha, crupia, afr. crebe, greche, fr. crèche. Dal fr. originò m. ing. crache, ing. cratch. Alcune delle forme prov. e it. riposano evidentemente sopra certe forme ger. secondarie proprie dell’anrd. e bt. Lo sp. non possiede questa voce, e si vaio in suo luogo di pesebre dal l. praesepe, come fanno tuttavia alcuni dial. it., ad es. il mod., che usano persepe accanto alla parola ger.; la quale adunque fu d’importazione franco-longobarda.
Grès, (neolog.), pietra formata per l’aggregazione di piccoli grani di sabbia. E un termine mineralogico tolto in prestito dal fr. d’ug. sig.; il quale, col prov. gres, sabbia di grani grossi, procedette da bl. gressius, gressum, svoltosi da aat. griez, grioz, tm. Gries, come fr. grêle da griezel. Spettano pure qui prov. greza, gressa, fr. grêle, grandine, vb. grêler; dim. fr. grésil, prov. grazil, vb. grésiller, grazilhar. Di qui pure grésoir. V. Grisatoio.
Greto, la parte del letto del fiume che resta scoperta dalle acque, spiaggia, terreno ghiajoso, renajo (Malispini, Compagni). L’etim. da ghiareto, proposta dal Flechia, ci pare inverosimile perchè la sincope del gruppo ghia è troppo dura e non presenta esempi analoghi, e non so che i dialetti lo convertano altrimenti che in gia. Quindi resta sempre probabilissima la derivazione fatta dal Diez dall’as. griot, griet, grëot, sabbia, ghiaia, via, da cui bt. grut, sabbia, calcinaccio; ags. gréot, sabbia, spiaggia, riva, lido, donde ing. grit, sabbia, ghiaja, sassolini; a. fris. grët, sabbia, spiaggia, anrd. griot, pietra. Le forme dell’aat. erano grioz, crioz, grëoz, crëoz, griez donde mat. griez, granello di sabbia, sabbia, selce, ciottolo, e tm. Griess, arena. Il significato dall’aat. e voci parallele, la somiglianza anzi uguaglianza dall’it. con alcune delle antiche forme ger., massime con quella dell’as. e ags., e il fatto che dalle stesse voci ger. è venuto anche il fr. grès, pietra arenaria, grêle, grandine, coi numerosi derivati, prov. gres, greza, gressa, sabbia grossa, mettono fuoi’i di dubbio l’orig. ger. anche dell’it. greto. Pare peraltro che il fr. proceda immediatamente dalle forme dell’aat., mentre l’it. è più vicino a quelle dell’ags.: caso contrario a ciò che avviene comunemente; giacchè le parole fr. d’orig. ger. riposano per lo più sulle forme bt., e le ital. su quelle dell’aat. Quanto alle voci ger., esse dipendono tutte dal vb. aat. griezan, mat. griezen, spezzare, stritolare, che secondo Faulmann sarebbe in origine stato la stessa cosa con aat. riuzan, scorrere, e rûzan, crepare, scoppiare. Nel campo ger. si svolsero di qui molti derivati, come grioz, griezic, griezelin, griezelach; grûz, griuzel, griuzeler, grûzing; gruzi. V. anche Gruzzo-lo. Il tema ger. secondo lo Schade è grut. Lo sl. presenta anch’esso questa radice: lit. griústi (griúdziu, griudau, griusiu) premere, calcare, griustojis, un che preme, griustùwas, attrezzo premente, grúdas, piccolo granello di sabbia, sale, grano; grudèlis, grudytis, granello; lett. grauds, grano, graudinsch, granello, graudains, granino, grúdenes, orzo mondato, grúst, pestare, colpire; a. sl. gruda, zolla. V. anche Grès. Deriv.: gretoso.
Gretola, ognuno dei vimini o stecchi della gabbia; scheggia. (Pulci Luca, Cirif. Calv.; Firenzuola). Il Menage la trasse da l. crates, che non si presta, poichè l’oscuramento della vocale tonica sarebbe senza ragione; e d’altra parte crates diede già grata. Anche da graticula, dim. di crates, è impossibile la derivazione, prima di tutto per lo spostamento dell’accento; e poi perchè avrebbe ad ogni modo dato un gratiglia; ed anche il senso è alquanto diverso; perciò riteniamo che venga da aat. chrettili, crettili, dimin. di aat. cratto, cretto, grezzo, mat. krat, gratte, gretto, kretze, kreze, tm. Krätze, corba, gerla, che, secondo il Diez, sarebbe a sua volta derivato da l. crâtes, graticcio. Invece il Kluge e il Faulmann credono che aat. cratto coi suoi paralleli e derivati siano voci prettamente ger.; il che del resto s’argomenta anche dal fatto che la desinenza o nell’aat. (come già osservai altra volta) non si riscontra nelle parole d’origine latina. Il Kluge vorrebbe riannodare la forma secondaria mat. krenze a tm. Kranz, corona. Certo poi aat. chratto, mat. chratte, è affine ad ags. cradal, ing. cradle, culla, e a ol. krat, ags. craet, ing. cart, carro, ing. crate, paniere, canestro; e non ha niente che fare con gr. κάρταλλος, corba. Il nome si svolse, secondo il Faulmann, da vb. aat. gratjan, grazjan, intrecciare, forma rinforzata di vb. razan, girare, volgere, che ha per rad. rad; e per tal modo si collegherebbe a rëdan, scuotere, crivellare, e a ridan, torcere (v. Ridda). A me peraltro parrebbe che it. Gretola potesse ricondursi a mat. grettelin, sportellino, panierina, dim. di mat. gratte, paniere da pesce; essendo la forma più vicina che quella di aat. chrettili, e il signif. identico. Anzi poichè il tm. Gräte, venuto da mat. gratte, significa “lisca, spina, resta, punta, orlo acuto”, è chiaro che a questo modo resterebbe più facilmente spiegato il senso di “scheggia”, proprio del vocabolo it. Ed anche un’altra provenienza ger. mi pare possibile, cioè da aat. grintil, crintil, mat. grintel, grindel, stanghetta, cavicchio, leva; carint. grintl, albero dell’aratro, ags. grendel, campo cinto con travi; che ha numerosi corrispondenti nel campo sl., come: a. sl. greda, trave, serb. sl. greda, stanza, lett. grîda, pavimenti, sl. gredeli, timone dell’aratro. La deriv. da aat. grintil, mat. grintel dal lato della forma non presenterebbe difficoltà; e pel senso c’è minor distanza che nell’etim. del Diez, ammesso che Gretola originariamente valesse “astuccio della gabbia”. Nelle altre lingue rom. questo nome non s’incontra; e quindi è dovuto probabilmente ad importazione longobarda.
Gretto, troppo misurato nello spendere; avaro, spilorcio, sordido (Caro, Grazzini). Venne dal mat. grît, avarizia, cupidigia. Entrando in it. questa voce ha preso un significato anche più odioso, cioè quello di “spilorcio, misero”. Il mat. presenta anche grîtecheit d’ug. sig., e gli agg. grîtic, grîtec, avaro, cupido. Però, benchè una forma di quest’agg. nell’a. ger. non sia documentata, essa dovette nondimeno esistere; perchè è diffìcile credere che una voce significante un concetto morale sia penetrata in in it. nel tempo del mat., il quale ha dato pochissime parole alle lingue rom., e quelle poche denotanti per lo più oggetti materiali. Una tal voce, benchè sotto forma modificata, è posseduta anche dal fr., che ci presenta gredin, [pic. guerdin, loren. gordin], mendico, degno di compassione, dove il d in cambio del t è dovuto propabilmente alla immediata origine bt. L’origine del mat. grit è da cercare nel got. grêdus, anrd. grâd, ing. greed, affamato, avido, a cui rispondono a. ol. grete, avidità, gretigh, avido, vorace. Deriv.: grett-amente-eria-ezza-ino-itudine.
Gricciare, fare una cera oscura. Questo vb. che non s’incontra in questa forma, ma che è presupposto dai derivati, col fr. grincer, ha per base l’aat. grimizzôn, inferocire. Sono venuti di qui il com. sgrizá, stridere dei denti, e moden. grisôr, sgrisôr, ribrezzo della febbre. Deriv.: griccio, gricciolo.
Gridare, mandar fuori la voce con alto suono strepitoso; levare alte voci (Dante). Il Diez accettò senz’altro la etim. proposta già dallo Scaligero da l. quiritare, pronunziato anche kiritare, e quindi colla scomparsa dell’i atonico critare, donde poi sarebbesi svolto, oltre all’it., sp. i, e fr. crier. Ma all’orig. latina fa una forte concorrenza il got. grêtan, greitan, piangere, gridare, urlare, ags. gréotan, graetan, anrd. grâta; donde ol. krijten; da cui venne certamente fr. [re]-gretter, rimpiangere. Nel tm. la forma gotica non s’è conservata; ma ve n’ha un’altra, schrejen, gridare, da mat. schrien, aat. scrian d’ug. sig. che le è affine. Deriv.: grida-cchiare-mento-ta-tore-trice; grid-ìo-o; sgrida-re-ta.
Griffa-ia, pl. Griffe-ie, artigli, branche (dialetti dell’Alta Italia). Riposa immediatamente sull’aat. grif, griph, mat. grif, [genit. griffes], tm. Griff, l’afferrare, il toccare, presa, artiglio. Il sost. dell’aat. si formò da vb. aat. grifan, grîfen, chrîfan, chrîphan, mat. grîfen, tm. greifen toccare, tastare, sentire, afferrare. In alcuni dial. it. in cambio della f, sussiste tuttavia la tenue p: piem. gripè, ghermire, grip, sorta di macchinetta addentellata per prendere sorci, sard. aggrippiar, lom. grippà, acchiappare, tosc. far grippe, rubare. Le sue corrispondenze nel got. e in altri dial. ger., e in alcune lingue idg. si vedranno sotto Grippo. Colle voci dial. it. si svolsero di qui anche il lad. grifla, artiglio, il fr. griffe, artiglio, e vb. afr. grifer, fr. griffer, prov. grifar, afferrare. V. anche Grifo. Deriv.: grifare (ant.), griffiare, aggriffiare, sgriffiare.
Grifo, parte anteriore del capo del porco e del cinghiale; muso (Crescenzi, Boccaccio). Più che il l. gryphus, dal gr. γρυπος, curvo, adunco, che si presta poco pel signif., è da preferire l’aat. mat. griff, visto già sotto Griffa, e che come dal significato di “afferrare” potè passare a quello di “artiglio, branca”, potè assumere anche quello del “muso del porco”, per la proprietà che questo ha di afferrare fortemente.
Grigio, griso, di colore tra oscuro e bianco (Giamboni, Dante, Arrighetto, Sacchetti). Collo sp. e port. gris, donde griseta, prov. afr. fr. gris, donde grisette, procedette dall’as. aat. mat. grîs, canuto, brizzolato, grigio, tm. greis, grigio, canuto, e Greis, vecchione [propriamente = uomo canuto]. L’as. gris ricorre già nelle glosse dei sec. 8-9 (Graff, Diutiska, II, 192), il mat. presenta anche la forma grise, vecchione, e grîse, color grigio, poi vb. grîsen, divenir grigio, da aat. grîssên; mentre nel signif. di “fare grigio” presuppone un aat. grîsian. Altre forme ger. sono: mat. grîswar, di color grigio, aat. grîsil, crîsil, grigiastro, e mat. grisinc, vecchione. Il bl. era griseus; e da questo pare si sviluppassero it. grigio, lad. grisch, e a. sp. griseo. It. grisetto, sp. griseta, fr. grisette, in origine erano una specie di stoffa grigia; il fr. assunse anche il signif. di “persona avvenente e di piccola statura”. Secondo il Kluge il bl. griseus, ricorrente già nel 9.º sec, donde l’it., riposerebbe su got. * greisja; e il voc. ger. che passò dal bt. nel at., sarebbe nella sua storia primitiva ancora inesplicato. Per contrario secondo il Faulmann è un agg. che si svolse dal vb. aat. rîsan, salire, cadere, anrd. risa, sollevarsi, mat. krîsen, strisciare, da ricondursi tutti all’ags. grindan, triturare, macinare; e l’agg. grîs da hrîs sarebbesi formato da rîsan in senso di “debole, fragile”. Ma questi ravvicinamenti del Faulmann ci sembrano molto arditi per la forma e molto più per il senso. La parola ger. in quistione non ha nulla che fare coll’altra di ug. sig., e che apparentemente le sembra connessa anche foneticamente, cioè agg. grau, mat. grâ, aat. graô, grigio. Deriv.: grigiastro, grigioferro, grigiolato, grigione, Grigioni [t. Graubünder].
Grignare, ridere. Questo vb. non è usato come semplice, ma s’incontra nel composto digrignare (v. questa parola) con significato però alquanto diverso, e in parecchi dialetti, come bergam. com. grigná, dirugginare i denti, lad. grigná, baie, prov. grinar, e moden. (Montese) sgrignare, ridere rumorosamente, dove è notevole la conservazione del signif. primitivo. Procede da aat. grînan, crînan, mat. crînen, storcere la bocca ridendo o piangendo, dirugginare i denti; donde anche ing. grin, piangere, anrd. grima, maschera, elmo. Spetta pure qui mat. grinnen, stridere co’ denti, l’ing. to groan da ags. gránian, gemere, sghignazzare; poi tm. greinen, lagrimare, e grinsen, ghignare. Il Faulmann fa aat. krinan = hrinan, e poi riconduce ambedue questi vb. ad aat. hringen, tm. ringen, torcere, storcere, a cui corrisponde l. ringor, rignare. Hrinan sarebbe attivo e significherebbe “dilatare storcendo”: grinan passivo, e varrebbe “essere adirato”. Egli ammette anche che mat. krien, gridare, sia una ulteriore formazione da aat. grinnan.
Grimaldello, strumento di ferro ritorto da uno dei capi, che serve per aprir le serrature senza la chiave (Sacchetti, Buonarroti, Pulci). Immediatamente questo nome pare riposi sull’afr. cramail, donde fr. crémaillère, [da quest’ultimo sp. gramallera] crémaillon d’ug. sig.; giacchè se procedesse direttamente da bl. cramaculus, presenterebbe una forma gramacchio, o un quissimile. Ora il bl. cramaculus che produsse le forme fr. già viste, e le parallete vall. cramâ, cramion, cramier, sciamp. cramaille, s’era svolto da ol. kram, uncino di ferro.
Grimo, grinzo, rugoso (Cecchi). È un agg. proveniente dall’aat. grim, crim, grimmi, crimmi, mat. grim, grimme, tm. grimm; as. ags. ing. grim, anrd. grimmr. Il senso dell’aat. era di “adirato, nemico, selvaggio, doloroso”. Il tm. grimm e grimmig = atroce, feroce, crudele, furioso, truce, stizzoso. Dal che si vede che l’it. restrinse il signif. del vocabolo a denotare un semplice effetto materiale della collera, cioè “l’increspamento o corrugamento del viso da essa prodotto”; il che si verificò anche nelle parole Grinta e Grinza che spettano alla stessa radice. Non così fecero alcuni dialetti e lingue affini: così il lad. e com. grimo significa “adirato”, il prov. grim = afflitto, mesto, grima = afflizione, grimer = affliggersi. Questo agg. t. grimm ebbe numerosi derivati in quel campo, come aat. grim [donde tm. Grimm] collera, furore, grîma, maschera, grimheit, crudeltà, grimlicho, grimneag, grimmeg [da cui tm. e ol. grimmig] vb. grimmen, grimman, adirarsi, infuriarsi, grimmida, collera, grimmisón, infuriare. Esso ha, mediante apofonesi, la stessa origine di gramo, con cui ha comune anche il significato, cioè vb. aat. krimman, chrimman, opprimere, raschiare, pungere, ed in origine s’applicava propriamente al “dolore del ventre”. La rad. è chram, che il Faulmann rannoda a Kerb, incavare. Vedi Grinta e Grinza.
Grinfe, artigli (dial. piem.). È forma nasalizzata di Griffe (v. q. parola).
Grinta, faccia oscura e torva, brutta cera accigliata e superba. È voce propria del dial. lombardo; ma che ormai ha preso la cittadinanza ital., e come tale fu usata dal Giusti. Procede certamente dall’aat. grimmida, crimmida, [got. grimitha], collera, mestizia, che è uno dei derivati dall’agg. grimm, vista sotto Grimo; e prova evidente di ciò è il venez. grinta che vale precisamente, come il voc. ger. “collera, corruccio”. La dissimilazione del primo m in n è eufonica. L’evoluzione fonetica da grimmida-tha a grinta è pari a quella per cui da l. amita si passò a mil. anda, fr. tante, e da l. semita a. sp. senda. Del resto grimida scorgesi anche in piem. grimassa, smorfia, fr. grimace, e lom. grima, ruffiano, tiranno; il quale ultimo senso fa pensare al senso di “tirannide” che il Diez assegna a grimmida. È molto verosimile che questa parola, che ha per sua patria l’alta Italia, sia stata d’importazione longobarda6.
Grinza, ruga profonda proveniente da vecchiezza (Pulci, Medici). Questo è un nome che ha la stessa radice del precedente; ma anzichè da una supposta forma grintea, venuta da grinta, che mi pare poco probabile visto che grinta è voce dialettale, mentre grinza è da gran tempo parole schiettamente ital., io inchinerei a trarre grinza da aat. grimmiza, gremmizza, che secondo il Kluge sono forme documentate svoltesi dal vb. aat. grimmissôn, da cui anche afr. grincer.
Grippo, febbre catarrale epidemica, con dolore di capo, indolimento di membra e grande lassezza (Guadagnoli). È stato tolto in prestito dal fr. grippe d’ug. sig., nome formatosi dal vb. gripper, afferrare; che a sua volta col m. fr. griper poi grimper (sec. 16.º), si svolse da as. ags. grîpan [got. greipan], mat. gripen, bt. grîpan, afris. sv. grîpa, ing. gripe, ol. grijpen, dan. gribe. Queste nel campo ger. sono del resto forme parallele ad aat. grîfan, grîfen ed alle altre viste sotto Griffa, ed hanno corrispondenti nel campo sl. lit. griepti, abbrancare, graibyti, afferrare, graipstyti, abbracciare, grépty, rastrellare, lett. grâbt, afferrare, a. sl. grabiti, rapire, grabaja, rapina, serb. grabîti, rapire, gr. γρίφος γρίπος, rete da pescare, γριπεύς, pescatore, γριπίζειν, pescare; apers. garb, abbracciare, afferrare; zend. garew, afferrare; a. ind. grabh, grah, prendere, da rad. ghrabh. Bopp Gl.3 132; Kuhn, 7, 222; Meyer, Got. Sp. 17; Curtius3 449; Zacher Zeit. f. d. Phil., 1, 15; Fick2 749, 521; Schmidt, Ges. d. indg. Voc. 28, 59.
Grisatoio, strumento di ferro a tacche per rodere i margini dei vetri (Baldinucci, Voc. Dis.). Venne da fr. grisoir d’ug. sig. Questo poi s’era formato da grisè “fatto grigio”, e indicante il ferro limato all’ingrosso, a differenza di blanchir, render bianco, limar per bene.
Groppa, schiena dei quadrupedi e massime di quelli da soma (Liv. Dec.; Cres. Agric). Coll’afr. crope, prov. cropa, fr. croupe, croce del cavallo, sp. grupa, port. garupa, procede da un aat. * kruppa, che appare, in anrd. kroppa, kryppa, tronco, busto, torso, dorso, gobba, escrescenza, appartenente ad anrd. kroppr, gobba, scrigno. Questa rad. in t. ebbe un amplissimo svolgimento formale, e uno non meno ampio svolgimento di significati. Ne vennero infatti aat. mat. kropf, tm. Kropf, gozzo, scrofola, ventricolo degli uccelli; ol. crop, gozzo, seno, ing. crop, gozzo degli uccelli, punta, messe, dall’ags. cropp, il quale ultimo peraltro significa propriamente “gozzo, punta, cima dell’albero, cima del grappolo”. Ma il signif. fondamentale è di “massa rotonda insieme ravvolta, rotondità sporgente”, che è il dominante nelle voci romanze, e che vedremo sotto Gruppo. Il got. * kruppa lascia scorgere però una relazione col gr. γρυπός, curvo, a. sl. grûbû, dorso, sl. grbanec, ruga, serb. grba, gobba, quando “escrescenza” rappresentava il senso fondamentale del tema della voce. Altri derivati ger. sono il tm. Krüppel, storpio, venuto dal bt. krüepel, con innumerevoli corrispondenze ger., fra cui accenneremo ing. cripple, ags. cryppel, nd. cryppell, kryplingr, svizz. chrüpfl, chrüpfe, svev. kropf, kruft, krüftle, bav. krapf, kropf, persona cresciuta e krüpfen, curvarsi. D’altra parte il Kluge e Faulmann riattaccano il tutto alla rad. di kraufen, strisciare. Quanto al tm. Kruppe, croce del cavallo, esso riposa sul fr. croupe, da cui venne anche ing. croup. V. anche Gruppo. Deriv.: groppata, groppiera, groppone, sgropponare.
Groppo, viluppo, nodo, intoppo (Dante). È forma sorella di Groppa e di Gruppo; ed è quella fra le tre che rispecchia meglio l’originale ger. per il senso generico di “nodo, rilievo, gonfiamento”, mentre le altre due contengono una specificazione di esso. Per il prototipo ger. rimandiamo a Groppa. V. anche Gruppo.
Grosella, uva spina. L’it. non possiede questa voce altro che nella forma del dialetto comas. crosela, perchè tradusse la parola ger. con voci it. d’ug. sig., “uva crespa, crespina, uva spina”. Però la voce ger. era penetrata nel bl. sotto la forma di groselus, groselarium; come appare da un passo che risale al principio del sec. 10º: radix sacræ spinæ quæ vulgo groselarium vocatur. Ora questo grosselus, groselarium, da cui si svolsero con com. crosela, sp. cat. grosella, port. groselheira, fr. groseller, procedette da t. kraüsel che entra come primo elemento in kraüselbeere, sved. krusbar, ol. kruisbezie, kroesbesie, uva crespa, dove kraus, krausel, vale precisamente “crespo”. Questa uva è chiamata dai Tedeschi anche Stachelbeere, ossia “uva spina”, dai Fiamminghi steckelbesie; e dagl’Inglesi gooseberry, corruzione di grooseberry, uva grossa, per distinguerla dalla piccola “uva spina” o ribes. Le lingue romanze pertanto tolsero dal ger. solo la prima parte del composto, rigettando il resto come zavorra inutile.
Grosso, di molto corpo e volume; grande, denso, rozzo, duro, gravido, ecc. (Dante, Crescenz.). Quest’agg. [sp. grueso, fr. gros] è dal Diez e dietro a lui dagli altri etim. in generale tratto da bl. grossus, che sarebbe forma secondaria di crassus. Però il poco uso che si fece nel bl. di grossus, la grande diffusione che ebbe ed ha nelle lingue ger. il corrispondente aat. grôz, donde fra gli altri tm. gross e ing. great; e più ancora il significato di “incinta, gravida” che ricorre spesso nell’aat. e che è comunissimo nell’uso popolare di questa voce, mi inducono, se non a fare deriv. il voc. it. dal ger., almeno a supporre che quest’ultimo abbia avuto un influsso sulla diffusione e sullo svolgimento sematologico del primo: in altri termini che in questo, come s’è verificato in parecchi altri casi, la parola romanza contenga la fusione di una latina e d’una ger. affini di suono e di senso, ed aventi la stessa origine indeu. S’aggiunge che, a detta dello stesso Diez, sono certamente d’orig. ger. le voci corrispondenti del dial. del Berry, grot, grout, groute, les grous, grosso, grande.
Grufolare, il razzolare dei porci col grifo. E un rinforzamento di grifolare, venuto da grifo, “muso di porco”, e sul mutamento dell’i in u dovette influire certamente l’u di grugno che ricorreva alla mente di chi per primo coniò quel verbo.
Grullo, mogio, addormentato, sbalordito per cagione sia fisica, sia morale (Buonarroti, Fier.; Salvini, Fagioli). Proviene da mat. grüllan, deridere, beffare; donde tm. grollen, aver astio, odio, Groll, astio, rancore; a cui il Kluge confronta ags. gryllan, stridere, m. ing. grillen, scandalizzare. La parola it. avrebbe adunque originariamente signignificato “deriso, beffato”. Ora chi è dileggiato e schernito d’ordinario resta avvilito ed intorpidito: questa sarebbe, secondo me, la spiegazione del trapasso del signif. di questa parola dal primitivo all’attuale. Il Faulmann p. 148 dice appartenere a questa stessa rad. anche tm. grell, adirato, gridante, da mat. grëll, aspro, adirato, formatosi da vb. mat. grëllen, gridar forte per la collera; che sarebbe affine ad aat. grinnan, stridere. Ma il Kluge opina invece che la rad. e le affinità di grell siano sconosciute. Deriv.: grul-laggine-lerello-leria-lino; ingrullire.
Gruppo, unione di parecchie figure disposte con particolare concetto da potere essere abbracciate insieme (Caro, Borghini, Giambullari). Questo allotropo di Groppo compare dapprima nel sec. 16º; e forse riproduceva il fr. groupe, ovvero anche sp. grupo, nodo, massa. Lo Scheler peraltro crede che it. gruppo possa venire direttamente da t. Kluppe, “cose riunite, ammasso”; di cui una forma nasalizzata sarebbe klumpen, e che in sostanza è la stessa cosa che l’ing. club, riunione7. Deriv.: gruppetto, raggruppare, disgruppare.
Gruzzo-lo, quantità di denari raggranellati a poco a poco (Fazio, Ditt.; Pulci, Gelli). Col valac. gruetzi d’ug. sig., originò dall’aat. gruzi, cruzi, kruzi, grutze, gruzze, mat. grutze = forfora, donde anche svizz. grütz, mescolanza di semi d’ogni specie, tm. Grütze, orzo o avena monda, grano sbucciato e macinato grossolanamente. Pare che l’it. in origine avesse esclusivamente il signif. di “mucchio, riunione”, e che il t. avesse quello di “grano”, donde passasse poi a quello di “grano sminuzzato, triturato”. Difatti la rad. ger. è grut, che secondo il Kluge presenta appunto questo senso originario. Il Faulmann pone a fondamento il vb. gruzzen, da rad. griez-zen, macinare, spezzare, donde anche aat. krioz, grioz, it. Greto, e tm. Griess, tritello, ghiaia. Forme parallele ad aat. gruzi, kruzi sono: ags. grgtt, grytte, forfora, ing. groat, avena mondata, ol. grut, gort, mondiglia, rifiuto, grutte, orzo o avena monda, tritello, ghiaja, anrd. grautr, orzo o avena monda. Da queste forme secondarie vennero pel tramite di abfr. grut, conservatosi in prov. grut, afr. gru, gruel, mediante un grutel, e fr. gruau, a traverso a grueau, avena monda, anal. gruau, crusca fina, prov. grutz, ing. gruel e cimb. grual, decotto d’avena mondata, sciamp. gru, crusca. Nel campo ger. spettano pure qui aat. gruzzi melo, cruzze di Notker, manna, e aat. gruzing, grûzinc, mat. griuzinc, birra d’orzo. Originariamente affini al ger. sono lit. grúdas, grano a. sl. gruda, zolla. Qui noteremo che il Rönsch tentò trarre it. gruzzo dal gr. γρυτή, l. scruta, roba inutile, scarto. Ma lasciando stare che la forma è assai più lontana, come conciliare i significati? Il Caix imaginò un 1. co-rotulus, e da quello trasse la voce it.; la quale però è lontanissima per forma, giacchè un l. corotulus che del resto è assai ipotetico avrebbe dato un crotolo, gro-tolo-dolo; ma non un gruzzolo, poichè da un o tonico non deriva un u, e molto meno da un t una z. S’aggiugne che la forma primitiva non è gruzzolo, ma gruzzo, come si vede chiaro dalle corrispondenti prov. afr., nelle quali il senso s’attiene anche più che in it. a quello delle voci ger., e non ha alcuna relazione con quello del l. * co-rotulus. Poi in l. esiste bensì rotula; ma, anche dato che se ne fosse formato un rotulus, quale è la ragione di quel prefisso co? Deriv.: gruzzoletto; aggruzzolare, raggruzzolare.
Guada, gualda, pianta di perfetta giallezza con foglie a lancette (Targioni-Tozzetti). Le forme sp. gualda, port. gualde, fr. gaude indussero già il Diez a cercare l’orig. della voce rom. nella rad. ger. da cui ing. weld, erba da ingiallire, scozz. wald, waude, wau, tm. Wau, Waude, ol. wouw. Da questa rad. lo sp. cavò anche l’agg. gualdo, port. gualde, giallo, e a. sp. guado, color giallo. Io però non credo ad una recente derivazione dall’ing. weld, come suppone il Diez, giacchè l’it. guada, che doveva esistere già alla fine del sec. 16º, trovandosene il dimin. guaderella nel Cesalpino, non può avere a base immediata un ing. weld. Di questa opinione è anche il Kluge che pone a fondamento delle voci it. e sp. un tema ger. e probabilmente got. * walda, il che ci pare giustissimo. Il Faulmann crede che questo tema siasi formato da vb. wildan, olezzare, consumarsi, che a sua volta sarebbe connesso a wëllan, girarsi. Deriv.: Guaderella.
Guadagnare, conseguire utile o profitto sul capitale investito in traffici; acquistare denari e ricchezza con industria e fatica; profittare, acquistare (Dante, Cavalca). Questo vb. con afr. gaaigner guaigner, coltivare, lavorare, fr. gagner, trar profitto, acquistare, prov. guazanhar, lad. gudoignar, a. sp. guadañar, mietere, port. gadanhar, era stato dal Muratori e da altri ricondotto al vb. tm. gewinnen, gewann, gewonnen, per la uguaglianza perfetta dei significati, e per una certa somiglianza di suoni. Ma l’accertamento del valore che aveva anticamente questo vb. in romanzo e specialmente nell’afr., cioè di “coltivare, lavorare”, e una più esatta conoscenza delle leggi che regolarono il trapasso delle parole dal ger. alle lingue neol., hanno messo in evidenza che questo vb. è bensì di provenienza ger., ma non ha nulla che fare con gewinnen, da mat. gewinnen, aat. giwinnan, got. gawinnan. Esso procede direttamente da ger. * waidanian, aat. weidenôn, weidenen, weidonôn: mat. weidenen, cacciare, pascolare, senso che nelle lingue rom. è sparito del tutto, salvochè in fr. gagnage, pastura, terreno improduttivo; ma che riscontrasi spesso nell’afr., dove, oltre agli esempi allegati più sopra, gaigneur vale “coltivatore”. Evidentemente il senso primitivo delle voci neol. si riannetteva ai lavori della vita agricola, fra i quali tenevan posto importantissimo la caccia e il pascolo dei greggi; poi agli acquisti che ne risultavano. Quindi s’ebbe questa gradazione: fare pascere — sfruttar un campo — raccogliere — acquistare. Il vb. ger. * waidanjan, come del resto tutti quelli in jan ôn, è denominativo, cioè formatosi da un nome (Mackel p. 33), che in questo caso è aat. weida, mat. weide, tm. Weide, foraggio, provvigione, pascolo, caccia, bottino; dove è notevole il passaggio da “pascolo, caccia” a “bottino” che è analogo a quello verificatosi nelle lingue neol. da “pascolo, caccia” a “profitto, acquisto”, benchè in queste ultime il trapasso sia più ardito e avanzato. Da aat. weida, oltre il vb. * waidanjan, aat. weidenôn, mat. weidenen, che non restò nel tm., si svolse il vb. mat. weidôn, mat. weiden, tm. weiden, pascere, che ha conservato il signif. primitivo, come tm. Weide, pastura; e da cui il fr. cavò guéder, e vall. vaidi, satollare. Appartengono a queste rad. ger. vaidh anche weitha, pascolo, agg. vâdhu, emigrazione, viaggio, caccia, anrd. veidhz, caccia, bottino di uccelli o pesci, got. * vaithi. Nel campo idg. si raggruppano qui secondo Bopp Gl.3 37 e Delbrück sans. vyadh, trapassare, vyâdhas, cacciatore, benchè faccia difficoltà l’assenza della dentale radicale; secondo Fick2 862, 191, lit. wýti, inseguire, a. sl. voj, guerriero, voinû, soldato, vojna, guerra; zend. vî, andare, affrettarsi, fuggire, cacciare. Se questa affinità è reale, conviene ammettere che il d di rad. ger. vaidh sia un ampliamento. Qui non è da tacere che sp. guadaña, port. guadanha, vale “falce”; dove è chiaro che il nome che prima denotava “messe” (cfr. a. sp. guadañar, mietere), è passato a significare lo strumento con cui la messe si raccoglieva. Deriv.: guadagna-bile-mento-ta; guadagne-ria-tto-vole; guadagn-oso-ucchiare-uzzo. A sost. it. guadagno-a corrispondono prov. gazanh, fr. gain. V. anche Ringavagnare.
Guadare, passare fiumi a piè o a cavallo da una ripa all’altra (Dante, Villani). Questo vb. non si è probabilmente formato da guado, ma è derivato immediatamente, secondo Kluge, da aat. watan, mat. tm. waten, procedere, camminare; ol. waden, ags. wadan, ing. to wade, anrd. vadha, andare avanti, specialmente per acqua. All’incontro il Diez lo Schade e il Mackel riconoscono in it. guadare, prov. guazar, guasar, passare per acqua, fr. guéer, un risultato di l. vadâre e della pronunzia ger., il che risulterà più evidente da ciò che si dirà sotto Guazzare e Guazzo. Ma rad. ger. wad, camminare, specialmente per acqua, e l. vadâre da vâdere sono originariamente affini.
Guadio (antiq.), pegno, ostaggio. Riposa su tema ger. wadio, che in quel campo produsse got. vadi, genit. vadiis, aat. wetti, ags. wedd, arnd. ved, tm. Wette, scommessa, vb. wetten, scommettere; e in quello romanzo diè mlt. wadium, pegno, scommessa, prov. afr. fr. gage, come si è già visto sotto Gaggio, che è una forma sorella di Guadio. Sull’origine di ger. wadio e sue parentele nel campo indeu., v. Gaggio e Ingatiare.
Guado1, luogo del fiume dove si può passar senza nave (Dante, Villani). Secondo il Diez e il Mackel a fondamento di questa voce e derivati starebbe il l. vadum, d’ug. sig.; e ciò sarebbe provato da parecchie forme sp. port. e in parte anche it. comincianti per v, e dal fr. gues, che, secondo Foerster risalirebbe ad un * vadus-oris. Il Kluge all’incontro ammette che it. guado, prov. guà, e fr. gué riposino immediatamente su anrd. vadh, passaggio, ol. wadde, a cui rispondono aat. wat, passaggio, bt. wad, luogo nell’acqua, ags. väd, acqua che può passarsi; tem. ger. vada. Ma questa seconda ipotesi non ispiegherebbe poi le altre forme romanze, quali it. vado, sard. vadu, port. vao. Per ciò sembra più giusto l’ammettere che su questa parola neol. abbiamo influito tanto il l. quanto il ger., come è succeduto altre volte, e che l’influsso del ger. siasi verificato specialmente nella pronuncia. Del resto aat. wat, anrd. vadh e l. vâdum, come vedemmo anche sotto guadare, hanno la stessa rad. idg. V. Guadare, Guazzare e Guazzo. Deriv.: guadoso.
Guado2, erba con cui si tingono i panni in azzurro (Fav. d’Esopo, Segneri). Col fr. guède [afr. guaide, gaide waide] dial. vouede, procede, come videro già il Grimm e il Graff, da ger. waida che in quel campo si svolse in got. * waida, aat. mat. weit, tm. Waid d’ug. sig.; ags. vâd, a. ing. wâd, wôd, ing. woud, sv. vejde, dan. vaid; ol. weed weede. Pel solito fenomeno della inserzione della s l’afr. ne cavò anche la forma guesde da cui ebbe origine il mlt. waisda, guasdium, guesdium, che però il Kluge vorrebbe ricondurre a got. wizdila, derivato da vaid. Anche vall. waiss, agg. significante “blu color di miele”, si riannoda a questa radice. Il l. vitrum, salice, vetrice, nel tempo preistorico si connetteva anch’esso a ger. waid, che proveniva da preger. waitò.
Guaffile, arcolajo. È parallelo a sicil. jiffula, matassina, e deriva dalla radice stessa di Gueffa. V. questa parola.
Guaj, interjez. significante dolore e minaccia (Vit. S. Giov. Gual.; S. Gir., Dante). Non c’è dubbio alcuno che non provenisse dal ger. wai, che riscontrasi in got. vai, e da cui anche aat. mat. wê, tm. weh, ags. vá, ing. woe d’ug. sig. Una prova evidente che le voci romanze, it. sp. guai, fr. ouais risalgono al ger. wai e non al l. wae d’ug., è la più perfetta rispondenza morfologica di esse al prototipo wai, massime nell’afr. che aveva precisamente la forma wai. Del resto anche il Kluge ammette poi che tanto la interiezione ger. quanto la lat. vae e la gr. οἵ ούαί siano da riguardarsi come onomatapee.
Guajo, voce dei cani percossi; voce di dolore; lamento, duolo; disgrazia, danno; imbroglio (Dante, Passavanti). Questo nome è certo d’orig. ger.; ma è difficile stabilire se siasi formato sul territorio it. dalla interiezione, ovvero proceda direttamente anch’esso dal corrispondente nome teutonico, as. aat. mat. wê [gen. wêwes], ags. wáwa, aat. wêwo, wêwa, tm. Weh, dolore, passione. Per la prima ipotesi sta il fatto che guajo ricorre solo in it. e non nelle altre lingue sorelle, e che dalla forma dell’aat. ags. a quella di guajo c’è troppa distanza; ma dall’altro canto il senso preciso di “dolore, lamento” che ha il sost. ger. m’inchina a credere che provenisse immediatamente da esso anche l’it.; e se non dalle forme aat. as. ags., potè svolgersi da got. vai, usato come sostantivo, che non è documentato come tale, ma che probabilmente esisteva. Viene in appoggio di questa mia supposizione il verso di Dante (Inf. 5):
E tanto più dolor che pugne a guajo;
dove evidentemente guajo vale “gemito, esclamazione, pianto”, senso che ha riscontro perfetto in aat. weinôn, mat. tm. weinen, piangere; ags. wànian, anrd. veina, ol. weenen, verbi formatisi tutti, secondo Kluge, dall’inter. Il dial. milan. antico possiede un agg. guajo, ger. wai, a cui è affine anche got. qainôn, piangere. Deriv.: guai- olare-re-to.
Guaime, erba tenera che rinasce nei prati e nei campi dopo la prima segatura (Crescen. 7, 2, 4; Pataff. 2; Burchiello). Questa voce che ha per corrispondenti afr. gaïn, waïn, vuin, voin, vall. vayen, lor. veyn, veyen, norm. vouin, anald. waimiau, e fr. [re] gain, fu dal Diez tratta da aat. weida, foraggio, erba, tm. Weide, o da vb. weidôn, pascere, col suffisso rom. ime; in guisa che da principio s’avrebbe avuto guad-ime, e poi elisa la d, guaime, analogamente a guastime svoltosi da guastare. L’etim. che si dava prima del Diez da fr. gagner, guadagnare, oltrechè il senso non soddisferebbe in modo alcuno, varrebbe tutto al più pel fr., ma non pei suoi dial. e per l’it.; mentre si spiega perfettamente quella da weida per l’it., ed anche per il fr. e suoi di l. col cangiamento della m finale in n.
Guaita, guardia, luogo di guardia. Questa è una di quelle voci ger. che penetrarono nel bl., ma non entrarono nella lingua it., benchè la possegga l’afr. in guaite, il prov. in guaita e perfino il crem. in guaita. Ricorre negli Stat. Bolog. an. 1257, dai quali appare che in quel tempo parecchie vie di Bologna si chiamavano Guaitae o Guaytae pel fatto che le sentinelle ci avevano le loro dimore. La voce bl. riposa immediatamente su sost. aat. wahta, mat. wahte, waht, guardia, circostanza o luogo dove si fa la guardia; tm. Wacht d’ug. sig. Un deriv. è il bl. guaitator, guaytator, sentinella, che s’incontra più volte negli Stat. Bol., ma che non entrò neppur esso in it.
Guaitare (antiq.), insidiare, agguatare (Grad. S. Gir.; Rim. Ant.). Non credo che questo vb. sia di provenienza ger. immediata, ma che passasse in it. dal prov. guaitar, afr. aguaitier, benchè nel crem. si trovi la voce sost. guaita parallela a prov. guaita, afr. guaite, dalle quali ultime si dovette formare il vb. prov. Del resto anche afr. guaite e prov. guaita e per conseguenza anche it. guaitare hanno a base il ger. wahta, scolta, e vb. wahten, rimirare, spiare, da cui vedremo essere venuto * guatare, afr. guetter e fr. guet, forme parallele. L’it. rispetto sia alle voci fr. che alle orig. ger. ha acquistato un signif. un po’ peggiorativo, cioè da quello semplice di “guardare” è passato a quello di “guardare insidiosamente”. Sull’origine e affinità di aat. wahta, wahten, v. Guatare. Cfr. anche Guaraguato, Schiraguaito e Sguarguato.
Gualcare, sodare i panni alla gualchiera (Bardi; Tariff. Tosc.; Stat. Sen.). Coll’afr. gaucher [mediante un * gualchier], delf. gouchier, procedette da ger. walkan, che sdoppiossi in aat. walchan, battere, pestare, mat. walken, tm. walken, follare, sodare, ol. walken, premere stampare, ags. wealcan donde ing. walk, andare, girare, anrd. walka, rotolare, muoversi in qua e in là, dan. walke, premere. La rad. ger. è walk da idg. walg, che sembra affine a sans. valg, commuoversi curvandosi. Il Faulmann, suppone invece che walch significasse “fare denso”, e che fosse indurimento di vëllan. È certo ad ogni modo che con indebolimento fonico ricompare in Wulkian e Wolcan, e che senza indebolimento diè luogo anche a Gualcire e a Valzer. V. queste voci. Deriv.: gual-ca-mento-cherajo-ratore; gualchiera = afr. gauchoir d’ug. sig.; gualchierajo. Ad it. gualcare risponde norveg. gvalchê.
Gualcire, malmenare, piegare malamente, abiti o panni (Canti Carnas., Allegri, Buonarroti). È voce solo dell’it. e viene da aat. walzian, walzan, wëlzan, rotolare, far girare mat. velzen, n. at. wälzen, girare qua e là, spianare con rullo. La forma ags. era vealtian, anrd. velta, il got. valtian = al gr. ἐμβάλλειν. Ora valzian valtjan è causativo appartenente al vb. valzan che dapprima era solo intransitivo. La rad. ger. walt da idg. wald ha una forma secondaria più corta wal, wel, nel got. walus bastone, e, mat. waln, e svizz. walen. V. anche Valzer. Deriv.: gualcito, sgualcire.
Gualdana, schiera di guerrieri che corre a dar un assalto o far prede; assalto, saccheggio, scontro (Dante, Inf. 22). È un nome che fra le lingue rom. è posseduto solo dall’it., e immediatamente riposa su mlt. waldana, gualdana, che riprodurrebbe il mat. woldan d’ug. sig., secondo il Diez ed altri, fra i quali lo Schmeller che [4, 66] trae quest’ultimo dal grido di guerra wol dan, avanti. Invece per il Grimm Myth. 106 e Haupt 5, 494 il mat. è d’origine longobarda e sarebbe dall’Italia penetrato in Baviera ed in Austria solo nel sec. 13.º La voce avrebbe per rad. wald, selva; ed avrebbe significato propriamente “rumore rimbombante nella selva”, quale si fa nelle caccie strepitose, con relazione mitologica. Ma questa spiegazione etimologica soddisfa poco; primieramente perchè da wald a woldan c’è un trapasso molto difficile, e poi perchè il concetto di “selva” non mi pare che si presti a passare a quello di “rumore fatto nella selva”; il quale è poi ancora lontano da quello di mat. woldan e bl. it. gualdana. Pel riguardo storico, se in t. woldan compare solo nel sec. 13º, potrebbe certamente avere avuto orig. immediata it.; ma d’altra parte è noto che in questi esercizi guerreschi gl’Italiani tolsero molto dai Tedeschi anche nel medio-evo, e non mi sorprenderebbe che ne prendessero anche l’usanza delle gualdane e il relativo nome, al tempo delle spedizioni degli Ottoni, Enrichi e Federighi in Italia. Non voglio tacere che il Ducange, dopo rigettata giustamente l’etim. dell’Accarisio che traeva il vocab. da guadagno, spiega gualdana con gualdo, supponendo che dapprima fosse una escursione di cacciatori nella selva ossia nel gualdo; e che in appresso passasse al significato militare. Però questa ipotesi non mi pare molto accettabile. Difatti converrebbe ammettere che nel tempo in cui si sarebbe formato questo termine che fu probabilmente nei sec. 11º e 12º, in Italia dove in questa supposizione avrebbe avuto origine, gualdo fosse stato più comune di bosco, selva; mentre si sa che era divenuto rarissimo. Considerato questo, e che il bl. gualdana o gualiana appare primieramente nel Chronicon di Rolandino da Padova (1200-60) precisamente quando parla dello spedizioni di Federico II, e nel Chronicon Parmense all’anno 1247, sempre a proposito dello stesso imperatore, io m’induco a credere che sia una parola importata dai Tedeschi verso quel tempo o poco prima.
Gualdo, parco per l’uccellagione; macchia, difetto, magagna (Villani, L. Pulci). Questo nome e i corrispondenti afr. gal, gualt(d), prov. gualt, provengono da abfr. wald, aat. valth, as. wald, ags. weald, ing. wold, andr. vollr, got. * walthus, selva, bosco, solitudine. Da aat. wald si svolsero mat. walt(d), tm. Wald, bosco foresta. Il fr. da questa parola trasse anche afr. gaut, “legno di bosco”, donde afr. gaudine, legno, e prov. gaut, gau da cui gaudina, legname; norm. gault, e lad. gault d’ug. sig. Questo passaggio dal signif. di “bosco” a quello di “legno del bosco” s’osserva anche nel mat. walt, walde, welde che talvolta vale appunto “albero di bosco, ramo d’albero, opera di bosco” (v. Mittelhocdeutsches Handwörterbuch di M. Lexer, Leipzig, 1869, 3, 471, e Mittelhocdeutsches Worterbuch di F. Benecke, Leipzig 1856, 6, 657). Lo svizz. wald significa “frondi e rami d’albero; e in qualche altro dialetto, ad es. anrd. völlr, vale anche “pascolo”. Il significato preso dall’it. di “parco, bosco per l’uccellagione” non si riscontra nè nelle lingue ger. nè nelle lingue rom. sorelle. Ma in it. questa voce doveva anticamente essere comunissima massime nell’Italia centrale, avendo dato origine a non pochi nomi proprii di paese, come Gualdo Tadino, Gualdo Cattaneo, e Gualdo in provincia di Macerata. Circa le affinità ger. e idg., noteremo che quanto alle prime il Faulmann riattacca wald al perdutosi vb. wëltan, walt, waltan, “essere vivace, gonfio”, che sarebbe stato connesso coll’aat. gëlten, valere, da cui tm. gelten, galt, gegolten, mediante un perdutosi quëlton, e che si sarebbe formato da rad. del vb. mat. wëlgan, svilupparsi. Perciò wald sarebbe stato “il germoglio dell’albero che si svolge”. Ma questi riavvicinamenti del Faulmann ci sembrano essere abbastanza fantastici anche questa volta, e tali paiono anche al Kluge che dichiara incerte le affinità ger. sostenute da altri, e quanto al campo idg., dopo tratto get. walthus da preger. waltus che forse era originariamente un waltwos, paragona quest’ultimo a gr. άλσος [per * FαλτFος], bosco, e a sans. vâta, da * valta, giardino, circolo, e a vâti da * valti, giardino, verziere. I due signif. di “bosco” e “difetto” si riscontrano anche nell’it. macchia.
Gualdrappa, piccola coperta che stendesi sotto o sopra la sella del cavallo (Bartoli, Segneri, Menzini). Lo sp. e il port. hanno gualdrapa, e il bav. waltrappen d’ug. sig. Il Diez riporta l’ipotesi del Ferrari che traeva una tal voce dal raro vastrapes, ricorrente nelle glosse di Filosseno, e significante feminalia “veste lombare”; e l’opinione di quei che ci veggono un composto con drappo senza saper dare ragione del primo elemento gual. Il Caix suppone che sia un composto di cavallo e di drappo, che si sarebbe, mediante apocope e sincope del primo elemento, ridotto a c(a)valdrappo. Egli crede che questa parola it. non sia che la versione del t. Pferdedeke, copertura del cavallo. Ma a questo si può opporre che gualdrappa è parola recente in it., come quella che compare solo nel seicento; e che perciò è probabilmente venuta dallo sp. ov’è molto più antica. Resta ora a vedere se anche questa non possa essere venuta dal t. waldrappen, composto che non è documentato in quella lingua; ma che spiegherebbe benissimo il presente valore di gualdrappa. Infatti significherebbe “veste o coperta da viaggio”; e verrebbe da wal, pellegrino, e da drap.
Gualmo, fracido, gualcito, insozzato (Davanzati). Crediamo col Delatre che questa voce (probabilmente d’importazione longobarda, dacchè solo l’it. fra le lingue rom. la possiede) proceda da aat. mat. walm, bollore, donde tm. Qualm, vapore denso, fumo grosso, agg. qualmig, vaporoso, vb. qualmen, fumare fortemente. Morfologicamente il passaggio sarebbe regolarissimo: logicamente poi è chiaro che dal signif. di “vapore” a quello di “vaporoso”, e quindi di “molle, vincido, gualcito, imbrattato” c’è una distanza assai breve. Forme ger. secondarie sono: got. * valms, ags. välm, velm, vylm, bollimento, scroscio, passione, che secondo lo Schade si riannettono a vb. aat. wallan, tm. wallen, bollire, ed hanno per tema valma. Il Kluge, dopo aver detto che tm. Qualm non ha storia precedente sicura, lo trae da bt. ol. kwalm, e lo riavvicina a mat. twalm, svenimento, deliquio. Invece il Faulmann ammetta la filiazione da aat. qualm chualm, oppressione, dalla rad. di vb. quëlman, wëlman, affumicare, affogare (forse mediante il “fumo”). Ma checchessia della storia anteriore del vocab. ger., a noi basta porre in sodo che l’it. gualmo abbia origine di là: il che ci pare difficile che si possa negare.
Guancia, gota, parte laterale del viso (Dante, Boccaccio). S’incontra, fra le lingue romanze, solo in it.; e procedette da ger. * wankja, aat. wanka, wanga, mat. wange, tm. Wange, anrd. vangi, d’ug. sig. Al dire del Kluge dai dial. del tm. questa parola è stata in gran parte scacciata per fare luogo a Bäcke. La forma got. doveva essere waggô che si lascia dedurre da waggâreis, guanciale: l’ags. wanga, ol. wang, ags. wange, donde ing. wang, che appare nel composto wangtooth, dente mascellare. Secondo il Kluge la storia primitiva del vocab. ger. è incerta: parrebbe avere qualche affinità con ags. wong, anrd. vangr, got. waggs, campo, prato; e in questo caso significherebbe “superficie, pianura della faccia”. Ma sta contro questo l’osservazione che i più dei nomi delle parti del corpo non hanno origine certa. All’incontro il Faulmann ammette come sicura la connessione con aat. wanga, pianura, campo, che ricorre in composto holzwangâ, campi boscosi, e in molti nomi di luoghi dell’aat. e mat., e nei presenti dialetti bavaresi e austriaci, got. waggs, paradiso, luogo (specialmente “prato”) delizioso, ags. wang, wong, wangr, campo; e verrebbe insieme con queste voci da rad. wan del vb. winnan, da cui aat. giwinnen, guadagnare. Per lo Schade, p. 1090, il tema ger. vanga, vanha, spetterebbe allo stesso ceppo di aat. winkan, winchan, wincken, commuoversi, piegarsi; donde tm. winken, wank, gevunken, vacillare, fare cenno; e la gota sarebbe stata denominata così dall’inarcarsi e piegarsi ch’essa fa quando è florida e piena. Questa spiegazione ci pare assai più verisimile che quella del Faulmann che riattacca la parola a vb. aat. giwinnan che non presenta un senso soddisfacente. Nello Schade si possono consultare le numeroso affinità delle voci nel campo ger. Vedi anche Guencire, Guoffola, e Avvincare. Deriv.: guancia-lajo-lata-le-letto-lino-lone-ta; guaucione, guanciabella; sguancia.
Guanto, copertura della mano (Boccaccio; Tav. Rit.; Petrar.). Coll’afr. guant, fr. gant, prov. guan, sp. port. guante, riposa immediatamente su bl. wantus, di cui Beda (672-735) dice: tegumenta manuum quae Galli wantos vocant. Ma questi Galli, come osserva il Mackel, erano i Galli parlanti il lat. del 7º o 8º secolo, il quale lat. aveva già accolte numerose voci ger.; e fra queste una è il ger. want, che appare in aat. giwant, veste, mat. want, veste, gewant, gwant, panno, veste abito, e in tm. che ha Gewand, panneggiamento, abito. Anche il lad. guanto conserva tuttavia il signif. che ebbe il mat. gevant e che ha il tm. Gewand, cioè di “panno, veste”. Dal che è facile inferire che la restrizione dal senso generico di “panno, veste” a quello speciale di “copertura della mano” dovette accadere sul territorio della Francia e dell’Italia. La voce ger. sussiste anche in sv. vanto, e la possedè l’anrd. vantr. Le Glosse di Cassel mostrano un afr. wanz. Il Kluge, p. 138, osserva che aat. giwant propriamente valeva “avvolgimento, sinuosità”, e che questo significato di “avvolgimento” servì di base a quello di “veste”, come fece il l. toga da tegere, coprire. Quindi il nome si svolse per apofonesi dalla rad. del vb. aat. wintan, mat. winden, tm. winden, girare, torcere, che s’è visto già sotto Bindolo e Ghindare, e si vedrà sotto Guindolo. Deriv.: guanta-ia-io; guant-eria-iera; agguantare, inguantare.
Guappo, guapo, altero, superbo (dial. napol. e milan.). Con comas. vap, sp. port. guapo, ardito, galante, adorno, guas. gouapou, ha un’origine ger., che è forse da cercarsi nella rad. di ags. vapul, fuliggine, bolla d’acqua, vb. vapolian, gorgogliare, ol. wapperen, svolazzare. Probabilmente l’idea di “gonfio, svolazzante, leggero” servì di passaggio a quella di “millanteria, iattanza, vanitosità”. Nota però il Diez che resta sempre inesplicato il senso di vall. wapp, acquoso, dolce, e ol. weppsch d’ug. sig.
Guaragno, (antiq.), stallone (Crescenzio; Lib. Masc.). Il Mackel fa procedere questa parola direttamente da ger. * wranjo. Ma è più verosimile abbia a base il bl. waranio, warannio, che ricorre già nella Lex Sal. (38, 2), e che fu plasmato dai Franco-Galli sul ger. wranio. Da questo bl. wranio originò anche prov. guaragno(n), asp. guarañon, guara, guará, stallone. Le forme dell’aat. sono: wrenno, ranno, reineo, reinno, reino, stallone; as. wrenno, m. bt. wrene, ol. ruin, cavallo castrato; ags. wräne, petulante, libidinoso, m. ol. wrensch, libidinoso, sv. vrensk, dan. vrinsk, ol. vrensch, dan. vrinscke, bt. wrensken, wrinsken, nitrire (dietro alla cavalla), dan. vrinscker, nitritore, stallone. Secondo Grimm, Ges. d. d. Spr. 30, wreineo, reineo nei tempi antichissimi designava probabilmente il Rennthier, renna, ch’entrò nel l. di Cesare (Bel. Gal. 6, 21) sotto la forma di reno, e sarebbe in seguito stato applicato al cavallo. Il Graff I, 978, vorrebbe che abfr. waranio fosse lo stesso che sans. varênya, principale, insigne. Secondo Mackel il Diez a torto mise wrenio come voce fondamentale.
Guaraguato, (antiq.), guardia, sentinella (Pataffio, 2). È una corruzione di Sguaraguato che a suo luogo vedemo essere riproduzione di abfr. skarwahta, tm. Schaarwacht, del pari che afr. eschargaite, fr. échauguette. Caix 101, e pag. 180. V. del resto Schiraguaito e Sguarguato.
Guardare, dirizzar la vista verso un oggetto, osservare, custodire (Dante, Boccaccio). Con afr. guarder, fr. garder, prov. sp. port. guardar, ha per base ger. wardôn, da cui aat. wartôn, mat. warten, spiare, appostare, aspettare, tm. warten, aspettare, guardare, curare, as. wardôn, stare sull'attenti, curarsi, ags. weardian, osservare, custodire, ing. to ward, proteggere, anrd. vartha, invigilare, proteggere. Il got. ci mostra la forma wards, custode, che compare nei composti. Il signif. fondamentale del vb. ger. è “mirare verso o sopra qualche cosa”; il che, secondo il Kluge, rende certissima la connessione di ger. wardôn con la radice di wahren, vedere, custodire, che ha dato origine a gara, garanzia, guarentigia, e noi aggiungeremo con quella di warnen, avvisare, da cui guarnire. Il Faulmann, non so con quanto fondamento, trae warten dalla rad. di un vb. wërtan [wart wortan], pigliare, costringere, dominare; senso che non ha niente che fare con quello del nostro vb. I deriv. e composti sono innumerevoli: perchè questo vb. ger. divenne d’uso comunissimo presso le popolazioni romanze, le quali trovavano troppo incommodi i vb. l. adspicio, conspicio e inspicio che sparirono del tutto; e questa fu senza dubbio la ragione per cui, oltre a guardare, entrarono nel rom. guatare e guaitare, spiare e parecchi altri vb. denotanti concetti affini. Ecco i principali deriv. e composti: guarda-ta-taccia-tina-tore-trice; guardatu-ra-raccia; guardo. Ragguard-amento-are-atore-evole-evolezza-o; riguard-amento-ante-are-ato-atore-evole-evolezza-evolmente; riguard-o-osamente-oso; risguardo; sguard-amento-are-ata-atore-evole-o; traguard-are-o. Avanguardia, antiguardo; guarda-boschi-camera-cappe-capre-corde-coste-macchie-mandrie-mano-nappa-nido-petto-portone-roba-sigilli-spalle; guardi-amarino-nfante. V. anche Guardia, Guardingo, Guaraguato e Sguaraguato.
Guardia, osservazione, custodia; sentinella (Compagni, Dante, Villani). L’it. guardia, afr. guarde, prov. fr. garde, potrebbe essere un derivato che le lingue rom. han cavato da guardare; ma è molto più probabile che sia una riproduzione immediata di ger. * warda, aat. warta, attenzione spiatrice, luogo donde si spia, donde mat. warte, tm. Warte d’ug. sig.; considerato che questo della “sentinella” era un concetto troppo comune ed importante nei costumi nei Barbari invasori dei paesi latini, perchè non dovesse entrarvi subito ed immediatamente dal ger. anche il vocab. che lo designava, indipendentemente dal vb. guardare. Ed infatti sotto la voce Guastalla vedremo che nei tempi delle dominazioni barbariche in Italia ci furono parecchi luoghi che trassero il nome dall’essere posti di “warda o warta, ossia di “sentinella”. Ma poichè l’aat. warto significa “osservazione, luogo donde si fa l’osservazione”, e non “sentinella” ossia “persona che fa la guardia”, il quale ultimo concetto è poi significato da aat. mat. wart, ag. ward, got. vards o vardia, è probabile che nelle voci romanze sia avvenuta la fusione dei due sost. germanici. Deriv.: guardiano [sp. prov. guardian, fr. gardien]; guardian-ato-ello-eria.
Guardingo, gardingo1, cauto, circospetto (Guinicelli, Boccaccio). Anche quest’agg. credo col Delatre che sia, non di formazione rom. da vb. guardare, bensì d’immediata origine ger. Nell’ing. troviamo ward-ing, participio presente di vb. to ward, uguale nel significato ad agg. ing. ward, cauto, prudente, e somigliantissimo per forma e per senso all’it. guardingo, gardingo, sp. port. gardingo. Ora l’ing. warding presuppone nell’ags. un participio con questa stessa desinenza che è frequente in quel ramo delle lingue ger. Deriv.: guardingamente.
Guardingo, gardingo2 (antiq.), rocca, fortezza (Malespini, Dante). Questo sost. si formò dall’agg. guardingo; il che è attestato espressamente dal Borghini, Orig. Fir. 128: “La fortezza o rocca, che i nostri vecchi dalle guardie che in cotai fortezze si tengono disser guardingo ecc.”. È dunque posteriore all’agg. gardingo; ma scomparve da un pezzo dalla lingua viva.
Guarento (antiq.), malleveria (Lucan. volgar.). Questo nome insieme con afr. garante, prov. gueran, guiren, fr. garant, mallevadore, e col bl. warens, prototipo immediato delle forme rom., viene connesso dal Diez a vb. aat. wêren, prestare, donde anche a. fris. werand, warend. Ma il Kluge riporta tutte queste voci ad aat. wërento, forma partecipiale dello stesso verbo, significante “chi presta malleveria”. E in questo è approvato dal Mackel, che osserva che se da una parte è certo che esistevano forme coll’a nella sillaba radicale, come a. fris. wara accanto a wera, as. warôn, m. bt. warent, mallevadore, dall’altro canto il prov. guiren, per * gueren e l’it. mostrano che a fondamento delle voci rom. stava un tema con ë. La rad. di vb. aat. wëren è stata già considerata sotto Garante. Qui dirò solo che le forme it. delle parole di questa famiglia comincianti per ga hanno tutta l’apparenza d’essere passate pel tramite fr., mentre quelle che cominciano per gua sono d’immediata orig. ger. Deriv.: guarentire, guarentigia.
Guari, guero, molto, molto tempo (Villani, Boccaccio). È un avverbio d’estrazione germanica, cui corrispondono fr. guère, guères, afr. guaires, waires, vall. gaire, gaigre, cat. gaire, d’ug. sig. Il Diez restò dubbio se si dovesse riferire all’avv. aat. wari = l. verus, nel senso di “bene, fortemente, grandemente”, da cui sarebbe stato facile il passo a “molto”, ovvero ad aat. weîgaro, violento, molto, rispondentissimo alla forma di afr. gaigre. A quest’ultima ipotesi s’attiene anche il Mackel, che oltre a weigaro ammette anche un waigaro. Quest’avv. ger. che diè aat. weigaro, weigiro, mat. weiger, si dileguò da quel campo; benchè restino di quella stessa radice il vb. weigern, ricusare, e Weigerung, rifiuto, significati attinentisi al primo dei due sensi di weigaro, cioè “violentemente”. Secondo lo Schade weigaro non è avv. primitivo, ma formatosi da agg. weigar, temerario.
Guarire, restituire o ricuperare la sanità (Dante, Villani). Questo vb. e afr. prov. guarir [pic. garir], fr. guerir hanno per base immediata ger. warjan, got. varian aat. warian, werian, werjen, werren, weren, proteggere difendere, proibire, impedire, donde mat. wergen, weron, wern d’ug. sig., e tm. wehren, proibire, vietare, arrestare. Corrispondono qui as. werian, werëan, werjen, d’ug. sig.; anrd. veria, difendere, impedire. Da questo è facile scorgere che passando nel rom. il vb. ger. subì un notevole cangiamento di significato, cioè da “difendere” in generale passò a quello di “difendere un malato, risanarlo”. Nel campo ger. spetta qui Wehr, difesa, argine: parola che nel primo senso entra in Landwehr, milizia nazionale, e propriamente “difesa del paese”; e nel secondo l’abbiamo già vista sotto Gora a cui diede origine. Per Kluge la connessione con wahren, osservare, stare attento, a cui risponde wor, gr. ὁράω vedere, non è sicura, a cagione del significato; nel che mi pare che il dotto tedesco non abbia posto mente che anche il l. tueor dal signif. di “guardare” è passato precisamente a quello di “difendere, proteggere”. Egli ammette invece come certa l’affinità con sans. vr, impedire, fermare. Deriv.: guari-bile-gione-mento-re-to.
Guarnire, guernire, fortificare, munire; fornire, corredare, provvedere (Villani; Sallust. Giug., Strinati). Venne da ger. * warnjan, wernjan, wernien, con prov. afr. guarnir, fr. garnir, a. sp. guarnir. L’aat. era warnôn, warnên guardarsi, munirsi, provvedersi mat. warnen, proteggere, donde tm. warnen, avvisare, ammonire; as. wernian; afris. warna, werna, ricusare; ags. vyrnan, proibire, impedire; anrd. varna, negare, ing. to varn, avvertire, ammonire, impedire, proibire. Il tema ger. è varna, da cui rampollarono: warnjan, warnôn, warnaere, warnunga, warnüsse. Il mat. warnaere = spiare; tm. Warner = ammonitore. Secondo lo Schade sarebbe ampliamento mediante n della radice var che si vide in aat. warôn, mat. waren, warn, tm. wahren, osservare, porre attenzione; donde si svolse gara e fr. garer. Anche il Kluge ammette questa affinità di varna con var, benchè gli faccia qualche difficoltà il significato; il che non veggo quanto sia giusto, giacchè dal senso di “osservare, fare attenzione” è ovvio e spontaneo il passaggio a quello di “guardarsi, munirsi, ed anche a quello di “avvisare, ammonire” altrui perchè si provvegga e si ripari. A questo modo anche ger. * warnjan, aat. warnôn e i deriv. rom. si riconnettono a rad. ger. war, osservare, e più su a idg. wor e a gr. ὁράω, vedere; a cui spetta anche il vb. t. warten, donde it. guardare. V. quest’ultima voce. L’it. guernire, evidentemente riposa su la forma secondaria as. wernjan, wernjen, e forse derivò immediatamente dal ger.; mentre guarnire potrebbe anche essere passato pel tramite dell’afr. prov. guarnir. Deriv.: guarnacca, guarni o guerni-mento-tore-tura-zione o gione; guarnello; sguarnire, sguernire.
Guascherino, nidiace, epiteto d’uccelli (Lorenz. Med., Nencia). Il Delatre trasse questo nome dalla rad. di tm. Wäscher “lavatore, ciarlone”, donde enche Wäscherin, lavandaja, ciarlone”. L’uccello sarebbe stato così chiamato dell’esser molto loquace. Ma il signif. affatto nuovo assunto in it. da questo vocabolo, e di cui non c’è alcuna traccia nella lingua orig., rende assai ipotetica una tale derivazione che s’appoggia semplicemente all’analogia dei suoni.
Guastalla. Questo nome ger. ora è restato esclusivamente proprio d’alcuni luoghi dell’Italia settentrionale; ma anticamente dovette essere usato come nome avmune. Esso risulta dall’accozzamento di aat. warda, guardia, e stall, luogo; quindi valeva “posto da sentinella”. Il mlt. ne fece Wardestailum, Vastalla, da cui provenne it. Guastalla. Sarebbe, a parer mio, assai istruttivo il raccogliere ed analizzare i nomi di luogo d’orig. longobarda, che non sono pochi, massime nell’Italia settentrionale, come scorgesi dalle desinenze in engo (Bussolengo, Casalpusterlengo, Marengo, Pettinengo ecc.).
Guastare, rovinare, sconciare, demolire (Dante, Villani). Questo vb. se non è del tutto d’origine ger., è però fra quelli nella cui formazione hanno influito i popoli ger. colla loro pronuncia. Infatti il Mackel ammette che insieme con afr. guaster, fr. gatêr, a. sp. a. port. prov. guastar, distruggere consumare riposi so ger. wastôn, donde mat. wasten, che sarebbe stato tolto in prestito per tempissimo dal l., e di nuovo avrebbe agito sulle lingue rom. Il Diez aveva solo accennato all’orig. di mat. wasten dal l., e non aveva riconosciuto alcun influsso ger. su guastare. Sempre secondo il Diez l’agg. fr. guaste è verbale, e da questo si formò direttamente afr. guastir, e non da un ger. wastian, inverosimile e non documentato. È curioso che nel bl. guastare e guastator s’incontran primieramente solo nel sec 13º (Hist. Cortus. 1214, 1221; Chron. parm. 1281); il che mi farebbe supporre che anche l’usanza del guastare e dei guastatori potesse essere d’origine teutonica; nel quale caso bisognerebbe conchiudere che venisse direttamente da mat. wasten. Deriv.: guasta-mento-tore-trice-tura; guastime; guasto; guasta-feste-larte-mestieri.
Guatare, osservare fissamente, guardare (Dante). È forma sorella di guaitare, colla differenza che questo entrò verosimilmente in it. dal ger. aat. wahten, mentre l’altro vi penetrò dal prov. guaitar, sicchè quest’ultimo è una elaborazione diversa fatta dal prov. del vb. ger., e accettata poi dall’it., ma non conservata. Il vb. guatare ormai non è più usato tranne che in poesia e nel composto agguato. Deriv.: agguatare, agguato.
Guattero, sottocuoco, lavapiatti (Buti). Il Diez non s’occupò di questo nome altro che incidentalmente a proposito del venez. guatterone, pezzo di panno, e lo riannodò a rad. di fr. guestre. Ma il Caix partendo dal principio che il gu iniziale accenna ad orig. ger., lo riferì ad un mat. wataere, nomen agentis che vale “chi diguazza” donde con facile trapasso di sensi, si sarebbe venuti a “lavapiatti”. Però il Ducange allega un bl. Guattarus ch’ei deriva da guatare, col signif. di “ispettore, sorvegliante”, e che doveva essere sorvegliante della cucina, perchè in un passo degli Stat. Eccl. Cast. all’anno 1294 (Garamp. Diss. 6 ad Hist. B. Clarae, p. 201) si legge: «Quod necessarii tantum familiares esse debeant in canon. Castellana continue, videlicet cellerarius coquus et Guattarus». Questo Guattarus sarebb’egli la stessa cosa che il nostro guattero? L’unica difficoltà starebbe nel peggioramento od avvilimento del signif. che da “sorvegliante”, sarebbe disceso fino a “lavapiatti”: del che però non mancano esempi. Deriv.: guatte-raccio-rino; sguattero V. anche Sciaguattare.
Guazza, rugiada (Allegri, Davanzati). Questo sost. probabilmente è un allotropo del seguente, preso in un senso speciale molto meno intensivo. Deriv.: guazzetto, guazzoso.
Guazzo, guado, luogo pieno d’acqua, lavatura, pittura all’acqua (Dante, Boccaccio). Resta dubbio se questo nome sia derivato da aat. wazzar, tm. Wasser, acqua, come parrebbe accennare il signif. di “pozzanghera”, e come sostengono molti, ovvero siasi formato da prov. guasar per guazar, da cui vennero anche sp. esguaso, esguazar. Il Diez propende per quest’ultima ipotesi fondandosi sul fatto che fr. guéer, riunisce in sè ambedue i signif. di “guadare” e di “produrre spuma”; molto più che ad ogni modo un’azione di prov. z ci dovrebbe essere stato anche nel caso d’orig. ger. diretta, non indurendosi in it. il d in z altro che dopo n ed r. Deriv. guazzare.
Gudazzo, ghidazzo, padrino. È voce dei dial. moden. crem. com. e bergam., e quindi ha carattere lombardo; e probabilmente fu d’importazione longobarda. Viene da aat. guda, gota, mat. gote, gotte, göte, götte, tm. Gote, padrino, compare; got. * goto, transilv. gût, gûdi. Secondo il Kluge questo aat. gota, * goto doveva essere un vezzeggiativo sincopato dei composti gotfater, gotmuoter, gotsunu, gottohter, ai quali fan perfetto riscontro ags. gotfaeder, godson, goddohter, ing. godfather, godson, goddaughter, e più lontanamente sv. gubbe, vecchio, gumma, vecchia, vezzeggiativo per gudfater, gudmoder. Dunque aat. gota valeva propriamente “padre in Dio, padre spirituale”; e questa fu certamente la cagione per cui il got. gudia, di questa stessa radice, significò “prete”. Del resto questa voce ger. si riannette ad aat. mat. got, tm. Gott, Dio; ags. ing. god, anrd. gud, god, got. guth. La storia di questo vocabolo è trattata e discussa a lungo dal Kluge, p. 142-43. Notevole poi che un nome di questo genere sia venuto all’it. dalle lingue ger.
Gueffa1 (antiq.), gabbia (Latini, Pulci). Il Tramater crede che questo nome abbia avuto origine da l. cavea, a quel modo che n’era venuto venez. gheba. Ma questo cangiamento della labiale in spirante sarebbe affatto irregolare. Quindi è preferibile l’etim. dal t. Käfig, gabbia. Altri credono che in origine fosse una sorta di “gabbia di fil di ferro intrecciato”, e perciò che il nome sia la stessa cosa che gueffa2, nel senso di “matassa”.
Gueffa2, matassina. È voce sorella di Biffa e giffa, ma presa nel senso primitivo di “cosa che s’avvolge”, e da questo nome sembra essersi formato il vb. aggueffare “aggiungere” e propriamente “annaspare, sovrapporre”, che fu già esaminato. Questo significato mi fa sospettare che it. gueffa siasi formato non sopra il long. wiffa, guiffa che aveva già un senso specializzato, ma da ger. weife, donde tm. Weife, aspo, arcolajo, che conservano il senso primitivo e generico della rad. wif-an; e ciò tanto più quantochè da longob. guiffa non era facile il passaggio alla forma più piena gueffa, e molto meno a quella di guaffile, mentre questo trapasso era regolare da weife.
Gueffa3, sporto, bastione, muro (Pucci, Centil.). Anche questo nome credo sia derivato dal ger. Per la forma è chiaro che non c’è alcuna difficoltà; e quanto al senso, il concetto di “cosa sovrapposta, aggiunta” potè servire di fondamento a quello speciale di “sporgenza, bastione”.
Gueffo, gheffo, (antiq.), sporto, bastione (M. Villani). È allotropo del precedente; e vale per questo ciò s’è detto di quello.
Guegua (antiq.), allocco, balocco (Lasca). Se questo signif. è proprio e non metaforico, come pare verosimile, un tal nome potrebbe essere la stessa voce die il bergam. gueja, che vedremo più sotto e che è certamente d’orig. germ.: cosa che è resa ancor più probabile dal fatto che dal ger. ci vennero non pochi nomi di uccelli di rapina come: allocco, civetta, falco, gufo, sparviere.
Gueja, specie di grosso falco. È voce propria del solo dial. bergamasco; e quindi certamente d’importazione longobarda. Procede da aat. wîjo, wîgo, wîho, wîwo, wîo, da cui mat. wîje, wige, wig, wihe, wîwe, wie, o tm. Weihe, a cui è probabilmente connesso ol. wouw. Quanto all’origine prima del vocabolo ger., il cui tema è vijan, vîjan, il Grimm crede che sia da ricondurre a vb. aat. mat. wîhen da * wîhjan, tm. weihen, santificare, e che perciò il sostantivo significasse propriamente “l’uccello sacro”, a quel modo che in antichi canti di Boemia lo sparviere è chiamato krakug, krahulec “sacro”, e che il gr. ίεραξ, falco, avvoltojo, pare appartenere alla rad. di ἱερός, sacro. Ma questa interpretazione, secondo lo Schade, è poco verosimile, perchè nel Vocab. di S. Gallo è scritto uuijo e non uuihjo. Quest’ultimo germanista suppone piuttosto che l’uccello sia stato denominato dalle belle e lucenti ali; nel quale caso il vocabolo potrebbe essere affine a sans. vis, uccello, voyas, volatile. Ma lo Schade non spiega come il vocab. ger. significhi “ala, penna”. Altri invece lo annettono alla radice wi, cacciare, che appare in aat. weida, mat. wede, tm. Weide, “pascolo, cibo, caccia, pesca”; radice che si scorge anche in l. ve-nari, cacciare, e sans. vî, assalire. In questo caso il nome significherebbe “cacciatore”; e sarebbe stato causato dalla proprietà che l’uccello ha di dare una caccia spietata ad uccelli e pesci. Cfr. lit. wýti, weju, perseguitare, wajóti, inseguire. Corschat Gramm. d. litt. Spr. 327, 303. Altri pensano che aat. vijo, wîe sia la stessa cosa che wëho, che ricorre in wannewëho, ed ha lo stesso significato; ma lo Schade lo separa nettamente. Noteremo infine che il Faulmann lo riporta a vb. ger. wirgian [da aat. vîhan, mat. vîhen, combattere], che sarebbe stato causativo con signif. di “fare combattere”, e quindi avrebbe indicato “falco fatto a combattere”, per allusione ai falchi che s’ammaestravano a questo esercizio.
Guelfo, nome dei partigiani del Papato nel medio evo (Dante, Villani). Questo era in origine un nome proprio di parecchi Duchi della Casa Estense di Baviera, che verso il 1140 divenne nome prima dei partigiani di essa casa, poi di quelli della Chiesa a cui i Duchi di Baviera erano molto devoti; e ciò per opposizione a Ghibellino che da principio designava gli aderenti agli Hohenstaufen, e poi gli aderenti all’Impero. V. Ghibellino. Il vocabolo in sè stesso derivò da aat. hwëlfo, hwêlf, giovine fiera; ed era già stato appropriato a parecchi signori d’una casa sveva, dalla quale la Estense di Baviera ereditò titoli e averi. Passò in Italia verso il 1200. Il tm. ha Guelfe e Welfe. Deriv.: Guelf-eggiare-ismo; neo-guelfi-guelfismo.
Guenciare, guencire, sguisciare, sfuggire (Fatti d’Enea). Coll’afr. prov. guenchir, ganchir, procedette da bl. * vencire che risaliva evidentemente ad abfr. * wenkian. L’aat. è wenkan, wenken, wenchen, mat. wenken, muoversi improvvisamente da una parte o all’indietro, cedere, tm. wanken, vacillare. L’afr. ganchir suppone anche un abfr. * wankian accanto a wenkian; e tm. wanken e l’it. Scancio, Sguancio suppongono un aat. wankan. L’as. era wenkëan. Il lad. presenta la forma guinchir, cedere. Qui adunque abbiamo un vb. denominativo sviluppatosi dal sost. wanc, movimento brusco fatto da una parte o all’indietro; e spetta per conseguenza alla radice stessa di Guancia.
Guercio, dagli occhi storti, malvagio, ingiusto (Dante). Le altre forme neol. di questo agg. sono: lad. guersch, viersch, a. sp. guercho, prov. guer, delf. guerlio, comas. sguercio. Il gu iniziale presuppone un w ger.; e perciò si fa risalire la parola ad aat. twer, dwerch, da cui tm. quer, obliquo, storto. La scomparsa del d iniziale è accaduta altre volte, per es. nel fr. gualir. Deriv. guerci-accio-ssimo.
Guerenza, guirenza (antiq.), risanamento, guarigione (Rim. Ant. I, 393). È un sost. verbale svoltosi da Guerire. V. q. verbo.
Guerire (antiq.), sanare o risanarsi. È forma varia di guarire, riposante su as. werian, anrd. veria, come fr. guerir su abfr. * werian. Deriv.: guerenza; gueri-gione-mento; guirenza.
Guerra, dissidio fra due stati che si definisce per via d’armi (Compagni, Dante). Da ger. wërra si svolse bl. werra, guerra, e da questo l’it. insieme con prov. sp. port. guerra, afr. fr. guerre. Il ger. wërra nel suo campo produsse aat. wërra, mat. wërre, confusione, torbido, discordia, contesa, scontro, tm. Wirre, confusione, imbroglio, baruffa, Wirrerei, garbuglio, tresca, Wirwarr, imbroglio, scompiglio; ags. ing. war, guerra, ing. warrior, guerriero. Nelle lingue rom. adunque il nome ger. assunse un significato più determinato e più solenne che nel suo campo non aveva e non ebbe mai. Il mlt. guerra ricorre, com’era naturale, prestissimo, cioè in un Capit. di Carlo il Calvo, verso l’anno 860, dove leggiamo: rixas et dissensiones seu seditiones quas vulgus werras nominat. Il Diez nota a questo punto cbe i popoli neolatini abbandonarono il l. bellum, guerra, perchè questo si poteva confondere con l’agg. bellus, bello, che avea soppiantato pulcher; e si trovarono nella necessità di ricorrere ad un vocab. ger.; e in quel campo lasciato da parte il debole wîc, perchè privo di suono, preferirono werra, guerra, perchè era più pieno e sonoro. Il deriv. afr. guerrier significò anche “avversario, nemico”. La par. ger. penetrò anche nel basco che ha guerla: il prov. peraltro conservò anche un vb. belar; all’incontro le lingue sorelle del vocab. l. non ritengono che alcuni derivati. Deriv.: guerregge-vole-volmente; guerreggia-mento-re-tore-trice; guerreggioso; guerr-esco-iare-iato-icciuola-iere-iero-ista. Agguerrito.
Gufo, uccello notturno notissimo (Crescenzi, Sacchetti). Viene da aat. hûwo, hûo, as. hûo, mat. hûwe, tm. Uhu. Secondo il Kluge il tm. Uhu si riannoda bensì ad aat. hûwo, mat. hûwe, ma sarebbe una formazione onomatopeica recente. La imitazione del suono prodotto dal canto dell’uccello che resta sempre lo stesso sarebbe la cagione della quasi uguaglianza del vocabolo antico e del moderno. Stando a quest’ipotesi del Kluge, non sussisterebbe più l’opinione di Diez e di Schade che aat. hûwela, hiuwela sian dim. di aat. hûwo. Un dim. (almeno secondo Diez e Schade) delle voci ger. è aat. hûwela, hiuwela, mat. huwel, hiuwel. Il tm. possiede anche Eule, significante “civetta, nottola, gufo”; e questo nome procede da mat. iule, iuwel, aat. ûwila, ûwela, cho pare voce parallela o per lo meno affine ad aat. hûwela, dim. di hûwo, visto più sopra. Donde è chiaro che tm. Uhu ed Eule sono radicalmente affini a it. Gufo. Ad aat. ûwila corrispondono ol. uil, ags. úle [da * úwle], ing. owl, anrd. ugla: forme svoltesi da primit. ger. * uwwalô, * uwwilô, e queste ultime da * uwwo, che sarebbe suono onomatopeico imitante il canto di quest’uccello. Deriv.: guf-accio-are-eggiare, sgufare. Secondo il Delatre anche goffo non sarebbe che allotropo di gufo, preso in senso morale, ed ingoffo-are si sarebbe pur esso formato di qui.
Guicciardo, acuto, perspicace. Questo sost. come nome comune in it. non esiste; ma dovette esistere, essendo esso presupposto dai numerosi cognomi che da esso sono derivati, come Guicciardi, Guicciardini, Guiccioli ecc. E difatti lo possedevano l’afr. e il prov., il primo dei quali ci presenta le forme guiscart, guichart, e il secondo guiscos, “di mente acuta”. Il fr. e prov. riposano su anrd. viskr d’ug. sig. Da questo colla epentesi di un e fra il k e l’r si formò un guiscar, che prese poi la solita desinenza rom. del rd. Non c’è quindi bisogno di supporre col Delatre un composto di viskr con hard, che avrebbe signif. “molto sapiente”. Fu adunque vocabolo importato in Francia nel sec. 10º dai Normanni, e di là passò in Italia, dove lo troviamo già come soprannome d’uno dei figli di Tancredi d’Altavilla, Roberto Guiscardo. L’anrd. viskr è della famiglia di aat. wizzî, mat. witze, tm. Witz, ags. ing. wit, acume, arguzia, sottigliezza, che ha una numerosa discendenza nel tm., e spetta alla rad. del vb. wissen, sapere. Dallo forme aat. pare dipenda il cognome Guizzardi.
Guidalesco, prominenza nell’ultima vertebra del collo del cavallo; piaga, ulcere del cavallo (Crescenz., Firenzuola). Questo nome è stato derivato da vitae arista, spina della vita; dal nome guida, come se i guidaleschi fossero stati prodotti dalle guide o redini; e infine dal t. Widerrist, garrese; e quest’ultima etim., proposta già dal Caix, è la più probabile per il senso e per la lettera, dacchè il gu iniziale accenna evidentemente ad origine ger.; e d’altra parte, oltre alle forme bidalesco, vitalesco, videlesco, abbiamo videresco e guidaresco vicinissime a Widerrist.
Guidare, mostrare altrui il cammino precedendolo (Dante, Villani). Le forme sorelle sono: afr. guier, prov. guidar, sp. port. guizar, guiar, d’ug. sig. Per questo vb. che è indubbiamente d’origine ger. (perchè l’etim. del Settegast da l. vitare, è stata meritamente sfatata dal Paris Rom., XII, 132) furon proposti tre vb.: il got. vitan, osservare, custodire, dal Diez; l’anrd. vita dal Bugge, e finalmente aat. wîtan dal Wackernagel e dal Mackel. Quanto al primo, il Mackel rileva ch’esso in fr. avrebbe dato un * gueer; e il secondo avrebbe prodotto un fr. * guiter, e anrd. viti, segno, avrebbe dato fr. * guiton e non guidon, bandiera. Resta adunque il vb. wîtan, che si riflettè in aat. wîzan, mat. wîzen, stare a vedere, as. gewîtan, incamminarsi, andare, ags. wîtan, fare prendere una direzione. Lo Schade pp. 1190-91-92-93 osserva acutamente che la rad. ger. wît, wît, significa un “vedere certo, premeditato e risultativo”; e che da questo significato si svolsero quelli delle molte parole ger. spettanti a questo ceppo, come quelli di “stare a vedere, prendere una direzione, guardare uno, rimproverarlo, punirlo (qui il l. animadvertere “osservare” e “punire” presenta una analogia perfettissima), guardare per uno, indirizzarlo, condurlo. Con ciò è spiegata perfettamente la gradazione dei sensi; che del resto hanno analogia singolare nell’it. scorgere, che vale ancor esso “vedere” e “condurre”. Fra i rami del ger. l’ags. wîtan, fare osservare, fare prendere una direzione, è vicinissimo anche di senso alle voci rom.; l’as. gewitan, mettersi in via, è più vicino morfologicamente. Ad ogni modo è chiaro che l’origine del vb. romanzo sta in questa rad. ger., la quale in quel campo diè poi tm. wissen, sapere, got. wait, io so, ags. wát, ing. wat, as. wêt, aat. mat. weiz. A fondamento sta un preger. perfetto woide, egli sa, sans. vêda, ei sa, gr. οἵδε, a. sl. vêdêti, sapere. La rad. è wid, significante prima “trovare”, poi “vedere, riconoscere”; come appare in sans. vid, trovare, gr. ἰδεῖν, l. videre, vedere, got. witan, osservare. Vedesi di qui che, anche concesso al Mackel che il vb. rom. non riposi su got vîtan, o anrd. vita, in fondo queste due forme ger. sono poi sorelle di quella a cui esso riferisce immediatamente il vb. in quistione, poichè provengono dalla stessa rad. ger. La difficoltà mossa dal Diez alla deriv. da got. vitan, cioè del rarissimo cangiarsi del got. t in rom. d, vale pure nel caso della deriv. o da ags. o da as.; ma fu già risolta preventivamente dal Diez stesso quando allegò l’esempio di hatan che passò nel fr. hadir. Il Delatre ed alcuni altri avevan proposto il vb. aat. weidan, mat. tm. weiden, pascolare, indotti forse dall’idea che il “menar al pascolo” avesse potuto servire di passaggio al concetto di “menare, condurre” in generale. Ma era una ipotesi erronea; perchè il significato principale e molto meno l’originale di guidare non è quello di “condurre al pascolo”: poi la forma stessa ripugna a talune fra quelle dei verbi romanzi. Le parole fr. guide, guider, sono d’immediata origine italiana. Deriv.: guid-a-abile-aggio-agiuoco-aiuola-aiuolo-amente-apopolo. Disguido.
Guiderbora, libera. È voce longobarda che s’incontra in una legge di Liutprando dove è detto: «Si quis aldiam alienam aut suam ad uxorem tollere voluerit, faciat eam guiderboram». Il senso poi di questo guiderbora è spiegato da una legge di Rotari «.... debet eam thingare et sic facere liberam quod est guiderboram.». Quanto all’etim., nell’aat. troviamo il nome widarboranî, widarboreni = rigenerazione, composto evidentemente di widar, di nuovo, e di boranî, formatosi da vb. bëran, produrre, generare. I fatti liberi sarebbero stati chiamati così perchè la libertà è come una specie di rigenerazione e di vita nuova. Ma questa voce longobarda come tante sorelle morì nel bl. senza entrare nell’italiano.
Guiderdone, ristoro, ricompensa, premio, merito (Giamboni, Novellino, Dante). È un nome ch’ebbe una gran varietà di forme nelle lingue rom.: it. guidardone, guiderdone, guiderdono, guigliardone; prov. guazardon, gujardon; afr. guerredon, guerdon, sp. galardon per * gualardon, port. galardâo; a. cat. guardò. Immediatamente le forme romanze risalgono a mlt. widerdonum, che appare già in un documento dei tempi di Carlo il Calvo († 875). Ora questo bl. widerdonum non era che una riproduzione di aat. widarlôn, ricompensa, il cui secondo elemento lôn, fu con falsa etimologia popolare ravvicinato al l. donum, il che ebbe per effetto lo scambio della liquida l nella dentale d. Aat. widarlôn, mat. widerlôn, ags. widerléan, scomparve dal tm. e da ogni altro ramo del ger. Si componeva della prepos. aat. wider, mat. tm. wider, contro, in cambio, invece, got. vithra, as. widar, ol. weder, weer, ags. wider, contro [donde ing. with, con], che entra anche in Guidrigildo, e di sost. aat. mat. lôn, tm. Lohn, paga, salario, mercede, parola ger. antichissima e tuttavia viva e comunissima; a cui rispondono got. laun, anrd. laun, ags. léan, ol. loon, as. lôn. Essa entra anche in Lonigildo. Il Kluge osserva che essendo na sillaba di derivazione, resterebbe come radicale lau, che potrebbe paragonarsi ad a. sl. lovû, presa, loviti, cacciare, caccia, l. lucrum, guadagno, Laverna, dea de’ ladri, gr. ληίη λεία preda, απολαύω, godere. Altri pensano a ravvicinarla ad a. ir. lúag, mercede. Prima del Diez gli etimologisti della vecchia scuola s’erano sbizzarriti a lor senno per trovare l’origine di questa parola. Così il Chevallet seguendo il Ménage partendo da fr. guerdon, senza curarsi dei corrispondenti delle altre lingue, propose come etim. l’aat. werd, prezzo, valore, da cui sarebbesi svolto un bl. werdo-nis. Il Raynouard traeva prov. guazardon da gain, guadagno; il Nicot faceva procedere vb. guerdonner da gr. κερδαίνειν, guadagnare; e il Caseneuve supponeva che afr. guerredon non fosse cbe un composto ibrido formatosi nel medio-evo e risultante da guerre don, dono o ricompensa della guerra. Ma dopochè il Diez ebbe posta in piena luce la legge della corruzione delle parole per falsa etim. popolare, tutte queste derivazioni sono state messe da canto. E la etim. ger. di questa parola è del resto confermata dalla considerazione storica che quella lingua diè alle neol. parecchi termini congeneri, cioè riferentisi al diritto penale, come guidrigildo, lonigildo ecc. Il prov. guazardinc non riconosce questa etim. ma riposa su longob. garathinx. Deriv.: guiderdon-amento-are-tore-atrice.
Guidone1, guidatore, (Maffei). È semplicemente un deriv. di guidare.
Guidone2, stendardo, gonfalone (Varchi, Borghini). Probabilmente questo nome non s’è formato in Italia da vb. guidare, ma è riproduzione di fr. guidon, bandiera, originato da vb. prov. guidar, afr. guier.
Guidrigildo, nome ch’ebbe presso i Longobardi la multa che l’uccisore o il feritore doveva pagare, e che variava secondo il grado dell’offensore e dell’offeso; prezzo di composizione per le offese (Capponi, Longobard.). Questo nome spettante alla legislazione criminale ger. procede da bl. guidrigildum, riproducente aat. mat. widergëld, mat. widirgëlt, ricompensa, risarcimento; multa per omicidio o pel danno da quello derivante. È parola che s’incontra nelle leggi longobarde, franche e alemanne; ed è composta della preposizione widar, wider, già vista sotto Guiderdone, e di aat. gëlt, paga, mercede, risarcimento, tm. Geld, denaro. Quindi letteralmente vale “contropaga”. Il nome aat. gëlt, visto già sotto Geldra, spetta al vb. aat. gëltan, ghëldon, këltan, mat. gëlten, gelden, ricompensare, pagare, offrire, tm. gelten, valere, costare; a cui rispondono: as. gëldan, ol. gelden, ags. gieldan, gyldan, ing. to yeld, afris. gëlda, jëlda, fris. jilden, anrd. gialda, gilda, sv. gälla, dan. giälde, got. gildan. La rad. ger. è gelth, e le si raggruppano galtjan, gilstr, gilstirio, gëlt, gëlté, gëltaere, gëltic, gëltunge, gülte, gültic, gülten. Le si possono raffrontare lit. gelinti, pagare, lett. geldét, pagare, valere; a. sl. zlasti, pagare, zladva, zladiva, pena, zlediva, punizione, zlesti, castigo, pagare il fio. Il ger. e sl. hanno a rad. comune gald da ghaldh. Fick2 745, 570, 520; Diefenbach, 2, 402. Rad. preger. era ghelt, il cui significato fondamentale era “compensare, pagare”; e forse in origine valeva “offerta religiosa”. Secondo Kluge si riferiscono qui verosimilmente anche gr. τέλθος, imposta, a. ir. goll, pegno, ir. gellaim, promessa. È notevole che nel campo ger. incontriamo un’altra voce di suono e senso pressochè uguale, cioè wëragëlt, wërigëlt, wirigëlt, mat. wëregëlt, wërgëlt, tm. Wërgeld, multa pecuniaria per un omicidio. Il secondo membro del composto è il solito aat. gëlt, tm. Geld, paga, denaro; il primo è il sost. aat. ags. anrd. wér, got. wair, uomo, a cui sono primitivamente affini l. vir, e sans. wîrá. Vale adunque propriamente “denaro dell’uomo”. Questo senso, aiutato forse dalla quasi uguaglianza della forma [mlt. weregildus, werigildus, wirigildus], influì probabilmente anche su widergëld, guidrigildus, che per tal modo acquistò anch’esso il senso speciale di “compenso per omicidio”, che etimologicamente non avrebbe.
Guiffa, segno apposto ad una proprietà indicante possesso legale. Questa voce propria del bl. non entrò in it. questa forma, ma in parecchie altre secondarie, cioè Biffa, Guaffile, Gueffa, e Giffa. Il mlt. wifa, guiffa, ricorre nella Lex. Bavar. tit. 9, e nella Lex. Longob. lib. 3, tit. 3, e poi negli Stat. Venet. all’anno 1284 sotto la forma di Guiffa o Guilfa. Il bl. wifa, riposava su aat. wiffa, wifa, d’ug. sig.; che nel mat. diè wife, weifen; e dial. del tm. [bav. svizz. svev.] wife, wif; e bt. wîp, wîpe, wîpen. Spetta qui anche tm. Weife, ma con senso di “aspo, arcolajo”; corrispondente quindi ai deriv. it. guaffile, gueffa. La rad. del nome ger. wifa è vb. aat. wîfan, wîfen, mat. wîfen, avvolgere, attorcere; infatti la wiffa o guiffa era in origine “paglia o cencio avvolto ad un bastone” che ponevasi ai confini d’un campo o sopra una casa, come, al dire dello Schade, praticasi tuttavia nella Prussia orientale. Questo vb. wîfan, ha per corrispondente got. veipan, incoronare, da cui fr. guiper, innaspare, e guipure. Nel campo ger. spettano qui un gruppo numeroso di parole. La rad. ger. è vip che si svolse da rad. preger. vib, la quale ultima appare anche in l. vib-rare, con l’idea generale di “movimento”. Guiffa vive tuttora in Italia sotto le forme di Biffa che è proprio anche della lingua scritta, e di Giffa che era comune a Lucca nel sec. 16º nello stesso senso, e vicinissimo di forma a fr. giffer. V. Aggueffare, Guaffile, Gueffa, Gueffo.
Guiffare, imporre la guiffa. Questo vb. del bl. (Lex Long. di Liutp.) non penetrò nell’it.; ricorre però nell’afr. sotto la forma di giffer, fare una croce sur una casa in segno di confisca. Lo Schade, p. 1148. dice che è difficile stabilire con sicurezza se il longob. wifare, wiffare, guifare, guiffare, contrassegnare alcunchè con una guiffa, sia da ricondurre al vb. aat. wîfan, avvolgere, ovvero al denom. aat. wîffan, fare una guiffa, formatosi dal nome wifa. Io credo peraltro che il vb. longob. siasi formato sul territorio lat. indipendentemente dai verbi ger.. cioè dal nome longob. stesso. Del resto questo vb. sopravvive tuttavia, nel significato di “porre la guiffa”, nel bav. weifen, e bt. wîpen; l’ing. vîpe, vale “strofinare”.
Guiggia, parte di sopra di pianella o zoccolo; nastro; imbracciatura dello scudo (Fav. Esop. Firenzuola, Lasca). Coll’afr. guice, guiche, accanto a guinche, guige, guigne, nastro, fasciola, risale a mlt. windica, (il Glos. di Cassel presenta windicas) che s’era svolto per dissimilazione da aat. winting, wintinc, winding, windinc, fascia, legacciolo da gamba, cintura, anrd. windingr d’ug. sig. In fr. guinche, * guinge devono essere state le forme più antiche. Al Mackel però fu difficoltà il non trovarsi in fr. la forma guenche, come sarebbesi aspettato. Il Liebrecht nella Zeitschrift für rom. Philol. del Groeber IV, 372 propone un * guidica da guida, analogamente a manica; ma è una ipotesi poco verosimile; sicchè la etim. ger. da aat. wintinc resta sempre molto probabile. L’origine poi di quest’ultima voce è da cercarsi in vb. aat. wintan, attorcere, avvolgere. Quindi Guiggia è della stessa famiglia a cui appartengono Ghindare, Ghindazzo e Guindolo o Bindolo.
Guiliardone (antiq.), è variante di Guiderdone (Guinicelli, Grad. S. Gir.). Probabilmente è dovuto all’influenza del prov. guiardon; e non credo provenga da dissimilazione di cui non poteva sentirsi il bisogno, dal momento che prevalse poi la forma coi due d. Deriv.: guiliardona-re-tore-trice.
Guindolo, aspo, arcolajo (Salvini). Con sp. guindola, fr. guindre riposa su aat. wintâ, windâ, mat. winde, apparecchio psr torcere, girare, tm. Winde, verricello, aspo, arcolajo. A tutta prima parrebbe più ovvio il trarre le voci rom. da aat. wintilâ, windilâ, windelâ, mat. wintel, windel, tm. Windel, che è dimin. del primo; ma il signif. speciale ch’esso ha di “fascia, involucro, mezzo per avvolgere”, non permette di pensare a questa origine. Conviene dunque ammettere che venga dal primo; e che l’it. e lo sp. si formassero da un primitivo * guinda. Del resto nel ger. wintâ è nome formatosi da vb. aat. wintan, windan, winden, mat. winten, winden, tm. winden, torcere, girare, fasciare, spettante a rad. wind, che entrò anch’esso nelle lingue rom. più tardi e con signif. marinaresco acquistato nei Paesi Bassi, dai quali il vb. sulla fine del medio-evo passò alla Francia e poi agli altri paesi latini. Però anche il nome si manifestò molto tardi nella lingua scritta, almeno nell’it., sicchè pare essersi svolto non immediatamente dall’aat. al tempo delle invasioni barbariche, ma dal mat. Dovette però essere d’origine ger. diretta, perchè ci si conservò l’u; mentre questo andò perduto in ghindare, ch’era passato pel tramite del fr. guinder. Una variante di questo nome è Bindolo-a, trent. binda ch’ebbe in it. uno svolgimento molto maggiore, sia per senso che per forma. V. q. parola V. anche Ghindazzo e Guiggia.
Guisa, modo, maniera, foggia (Novellino, Guittone, Dante). Procedette da aat. as. wîsa, mat. wîse, tm. Weise, modo, consuetudine, uso, melodia, tono; ags. wise, ing. wise, ol. wijze, anrd. visa d’ug. sig. Appare di qui che le voci ger. rispetto al romanzo avevano un significato più esteso e vario. È notevole che nell’aat. si riscontra oltre al sost. wîsa, anche il modo avv. in wîs, zi wis, che si riprodusse esattamente nell’it. a guisa, in guisa. Il tema ger. è wisân, wisôn, che il Kluge crede, insieme con agg. weise, sapiente, appartenere a rad. wit, donde vb. wissen, sapere. Quindi in origine aat. wîsa e derivati avrebber significato “cognizione, arte, condotta, guida”, con relazione speciale alla cognizione delle regole del ritmo poetico e della musica. Dal vocab. ger. oltre all’it. si svolsero afr. fr. guise, prov. sp. port. guisa, d’ug. sig. e ing. guise, il quale ultimo forse passò pel tramite fr. Il vb. sp. e a. port. guisar vale “preparare”; il prov. desguisar e fr. déguiser, sfigurare, deformare. Il Ferrari aveva proposto come etim. di questa voce il l. vice, e il Ménage il l. visus: ma la prima è assurda per la forma e l’altra pel senso. Ma prov. guia pare venuto da l. via, poichè il ger. s fra due vocali di regola non scompare.
Guizzare, scuotersi dei pesci per aiutarsi al nuoto (Guinicelli, Dante). È vb. indubbiamente d’orig. ger., come mostra il gu iniziale; e dovette svolgersi dalla rad. del vb. dialettale t. witsen, witschen, d’ug. sig. Nel dial. bt. s’incontra la frase wits was he weg. Deriv.: guizz-ata-evole-o.
Guoffola, vuoffula, guancia (dial. napol.). Il Diez si domanda se questo vocabolo sia da derivarsi dal l. offula, dim. di offa, boccone, con isviluppo di concetto retrogressivo, inverso di quello di boccone da bocca, ovvero dall’aat. hiufilâ, guancia; e risponde che le vocali stanno a favore della prima etim., ma l’iniz. h ger. = a g rom., come in gufo da aat. hûf, huvo, militano per la seconda. Noi aggiungiamo che l’aat. oltre ad hiufilâ, presenta anche hûfila, hûfeli, il mat. hiufel, hûfel, forme attinentisi (se pure non ne sono i dimin.) ai nomi houf, hûfo, cumulo, mucchio, e più vicine alla voce nap. che hiufilâ. Evidentemente la ragione della denominazione sta nell’essere le guancie un “qualche cosa di rilevato e gonfio”. Ma più che la forma mi pare che favoreggi la deriv. ger. il concetto, che in quest’ultima è identico nelle due lingue, dovechè nell’etim. l. presenterebbe un passaggio molto strano. Il difficile è a spiegare come una parola d’orig. ger. si riscontri nel dial. nap. e non in altri. Ma potrebbe essere stata voce lasciata in quei luoghi dai Longobardi di Benevento, ovvero dagli Hohenstaufen verso il 1200.
Guscio, corteccia legnosa d’alcuni frutti o dei loro semi (Fra Giord., Pallad. Agric.). Gli corrispondo fr. gousse d’ug. sig., a cui sono vicinissimi i dial. it.: mil. mod. guss, gussa, romag. goss, gossa, ven. sgusso, gussa, sgussa. Una delle etim. più probabili di questo nome d’origine ancor incerta, è quella proposta dallo Scheler, da aat. hulsa, hulst, mat. hülse, hülsche, tm. Hülse, fiamm. hulsche, ing. husck, baccello, guscio, calice. Il Diez a questa deriv. dello Scheler oppose la difficoltà dell’iniz. h ger. che in fr. non presenta un caso in cui siasi convertita in g. Lo Scheler per altro allega l’esempio dell’it. che ne offre parecchi esempi; e del resto identifica gousse, nel senso generale d’involucro con housse, che viene sicuramente da bl. hulcia, hulcitum, riposante su aat. hulst, come ing. e ol. holster, fodero, guaina. Il Diez per il fr. richiederebbe un aat. gihulsi, che non è documentato. Un’altra parola dell’aat., messa innanzi anch’ essa dal Diez, è gabissa, gavissa, loppa, scarto, che pel signif. corrisponderebbe precisamente a certe voci dei dial. it., come il mil.; ma la forma è meno soddisfacente della prima. Accanto a queste due der. ger., il Diez allega una parola l. informe galliciciola, spiegata da Placido per “corteccia della noce”. Ma la forma genuina sarebbe stata galliciola, dimin. di gallicia, noce gallica. Di qui, egli dice, poterono svolgersi in it. galcia, galscia, guscio e in fr. gausse, gousse. Ma questa rassomiglia quasi a una delle famose trasformazioni del Ménage; onde lo Scheler la chiama congettura disperata. Deriv.: gusciolino, guscione, sgusciare.
Note
- ↑ Le forme sorelle sono fr. galoper, prov. galaupar, sp. galoper.
- ↑ Il Diez dà gargo come voce propria solo del dialetto piemontese: invece è propriissima della lingua italiana. Infatti l’usarono 1.º il Dati Cical. «Fa di mestieri adunque esser di calca, uomo gargo e tristo di nidio»; 2.º il Salvini Lett. IV «Pochi galantuomini si trovano e lo scoprirsi a gente garga e sciocca è pericoloso»; 3.º il Fagiuoli Rim. 6 «Egli come guerrier feroce e gargo — A quanto dico volta sempre il tergo»; 4.º il Pananti Paret. 72 «Ma qualche gargo v’è furbo trincato — Ch’accenna di cader ma non ci casca». Questa parola adunque non incontrandosi che in it., dovette probabilmente essere importata dai Longobardi. È poi singolare che sia viva solo in quelle che furono le due estremità del regno dei Longobardi, il Piemonte e la Toscana.
- ↑ Però almeno alcuni di quosti derivati non sono sicuri. Così a gazzarra si assegna con molta verisimiglianza per etim. una parola arabo-spagnuola. V. Villani G. 251.
- ↑ Il Littrè osserva opportunamente che il fr. pertuisane rimonta al sec. XV, mentre, partisan in senso milit. non è cosi antico.
- ↑ Il Diefenbach cita anche la forma greiffalk; ma questa è evidontemente una corruzione popolare dovuta ad una falsa interpretazione per cui si credeva che il composto significasse “falco rapitore” e che il primo elemento venisse da greifen, afferrare.
- ↑ Se è vero ciò che dice lo Schade p. 352, cioè che l’aat. grint, crint, scabbia, crosta mat. grind, [tm. Grint], significò anche “capo”, mi pare possibile un’orig. anche di là.
- ↑ Notevole mi pare che nella montagna modenese (Montese) esiste la voce glup “gruppo, miscuglio”, che risponde benissimo sotto ogni riguardo a t. Kluppe. Ma potrebbe anch’essere forma dialettale di viluppo.