L'elemento germanico nella lingua italiana/S
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S
Saccomanno galuppo, bagaglione; saccheggio (M. Villani, St. Aiolfo, Sacchetti). Rispondono: n. prov. sacaman nel primo senso, e sp. sacoman nel secondo. Evidentemente è riproduzione immediata di mat. sakman, ol. bav. sackman, portasacchi. Il vocab. ted. è un composto di formazione medioevale, il cui secondo elemento è man uomo; mentre il primo, sack, [aat. mat. sac, tm. Sack, got. sakkus anrd. sekkr, ags. saecc, ing. sach, ol. zak] a detta dal Kluge, è un prestito fatto per tempissimo dal l. saccus gr. σάκκος venuto a sua volta dall’ebr. fenicio sak. Il Faulmann invece ritiene ger. sac come originario, ma con poco fondamento. Come dall’idea di “portasacchi” si passasse a quella di “rapitore” contenuta talvolta nel mat., e poi a quella di “saccheggiatore, saccheggio” spesso nell’it. non è difficile a capire, riflettendo che i galuppi e portasacchi dell’esercito erano gente dedita alle rapine ed alle devastazioni. Difatti M. Villani usa la parola saccomanni “saccheggio” in unione a gualdane. L’it. saccomanno comparendo verso la metà1 del sec. 14º, mi fa credere entrasse in Italia colle compagnie di ventura e coi soldati di Lodovico il Bavaro che intorno a quel tempo desolarono le nostre contrade. Il bl. ha saccomannus, saccomannare (P. Azarius, A. Dandolo). Deriv.: saccoman-nare-neggiare-nesco.
Sagire (antiq.) dare o prendere possesso d’una cosa; occupare (Villani). Il bl. è sacire saisire ricorrente già nelle leggi barbariche nella prima forma e nella frase sacire ad proprium = ponere ad proprium. Fu poi comunissimo in Francia nei sec. 11 e 12, come può vedersi nel Ducange. Il prov. satzir sazir, fr. saisir = prendere afferrare. Ma prov. satzir valeva anche “prendere contro diritto”, e afr. conteneva anche il signif. it. Il Diez osservò che essendo questo un termine giuridico a cui il l. ricusa assolutamente ogni etim., bisognava riportarlo al got. satjan, as. settjan, aat. sazzan [da * sazjan], mat. tm. setzen porre collocare. Il transito dal ger. al rom. è regolare dal lato fonetico e passabile dal logico. A questa deriv. s’oppose lo Scheler partendo dal principio dell’unità di ceppo di it. sagire e staggire, e dall’impossibilità di ridurre quest’ultimo a got. satjan. Ma egli si posava su di un falso supposto; chè nulla prova l’identità di sagire e di staggire. Del resto l’orig. del ceppo it. e fr. sagire saisir dal ger. è, secondo me, resa evidente dal ritrovarsi in quest’ultimo campo composti di sazian col preciso signif. di “prendere in pegno o in possesso” e tm. besitzen, ags. bisettan, ing. beset valgono anch’essi “occupare”. Inoltre troviamo nello Schade p. 346 che mat. satzunge satzung valevano appunto “imposizione di pegno, pegno; ordine, sentenza legale”. Dunque non vi può esser dubbio su orig. ger. di sagire; e difatti ormai quest’etim. è ammessa anche dal Mackel e dal Kluge. È utile esaminare un po’ il ceppo ger. e porlo a raffronto colle lingue indeu. Accanto alle forme già viste troviamo: as. settean settjen, aat. sacen setzan sezzan sezzen, mat. setzen sezzen; ags. settan, ing. to set, ol. zetten, anrd. setja tutti d’ug. sig. fondamentale “porre collocare”. Questo vb. è causativo di got. sitan sedere; quindi varrebbe propriamente “fare sedere”. Got. sitan poi, [a cui si rannodano ags. sittan, ing. to sit, ol. zitten, as. sittian, aat. sizzen da * sizzean sittian mat. tm. sitzen] = sedere, da rad. ger. set risultante da idg. sed. A questa rispondono nel campo indeu. sans. sad, gr. ἕζομαι [per * σεδιο] ιδρύω, l. sedeo, sido, sella. Bopp Gl3 406; Benfey 1, 444; Grimm, Ges. d. d. Sp. 411; Pott2 4, 676; Miklos. 972; Fick3 3, 316. Deriv.: sagina.
Sala, stanza maggiore d’una casa (Lam. sposa pad., sec. 13º, Boccaccio). Con sp. port. prov. sala, fr. salle, casa, abitazione dimora, rimonta direttamente a bl. sala che ricorre già nelle Gloss. Theotis. del Lipsio, nella Lex Alam. tit. 81, Lex Long. lib. I tit. 11, Edict. Rotaris tit. 48. Questo bl. sala comunissimo in tutto il medio-evo e per tutta l’Europa ger. e lat., risaliva a tema ger. sala salia sali donde aat. mat. sal, casa, tempio, sala, antisala, dimora, tm. Saal, sala; ags. sal, anrd. salr, as. seli “dimora, tempio, abitazione” e specialmente “edifizio contenente una sola sala”. Spetta a rad. di vb. got. saljan, fermarsi, dimorare, alloggiare, donde got. salithva, dimora, aat. salida selida selitha selda, mat. selide selde, as. selitha selidha seldha selda, anrd. selitha seletha alloggio albergo casa tugurio tenda. Notevole che il signif. primitivo e fondamentale di “casa dimora” proprio dell’aat. e che riscontrasi anche nell’afr., sia scomparso del tutto sia nel tm. che nelle lingue neol. Fuori del campo ger. sono affini: a. sl. selitva dimora, e selo corte villaggio, che però secondo il Friedmann sono deriv. dal ger.; poi l. solum suolo fondamento, solea suolo, gr. ὁδός via, ἔδαφος pavimento. Deriv.: salett-a-ina; sal-one-oncino-otta-ottino.
Salavo (antiq.) sudicio, bianco macchiato (Jacop. da Todi). Voce sorella è fr. sale sporco, vb. salir imbrattare. A base delle voci rom. sta tema ger. salva che colla sua forma non flessa salo diè orig. a fr. sale, e colla flessa salawer all’it. Nell’aat. accanto a salawer esistono salower e salewer: di qui mat. sale sal, in flessione salewer salwer oscuro nero torbido sucido. Paralleli: ags. salo, a. ing. salowe salwe biondo lucido Grein 238, Stratman2 414, ing. sallow sbiadito pallido, m. ol. saluwe, ol. zaluw giallobruno, anrd. sölr giallosucido Vigfusson 621; got. * salvs. Da tema ger. salva al dire dello Schade svolsersi vb. aat. salawen salwên oscurare scolorire insudiciare, poi salawi offuscamento. Deriv.: salavoso.
Sbreccare rompere, frantumare (dial. montalese in Tosc.). Voci corrispondenti dell’Alta Italia sono: venez. sbregar, romag. sbraghé, mod. sbragár, tirol. sbregar. Il prov. presenta ésbrigá il fr. ébrécher, dial. ébercher. Il Nerucci e dietrogli il Caix lo riportarono ad aat. brëchan, rompere, spezzare, donde mat. brëchen, tm. brechen d’ug. sig. Forme ger. sorelle: got. brikan, as. ags. brëcan, ing. to break, ol. breken. L’orig. ger. è evidente, e verosimilmente il vb. fu d’import. longobarda essendo tanto diffuso anche nei dialetti d’Italia. Alcuni suoi deriv., come breccia briccola briccone, penetrarono anche in altre lingue rom. La s iniz. è eufonica, come avviene spesso in it. La rad. ger. è brek da preger. bhreg che compare in l. frango fregi, gr. ῥήγνυμι.
Sbricco, masnadiere cagnotto briccone (Berni, Varchi). Nè il Diez nè alcun altro s’è occupato ch’io sappia di questa voce. Ora nell’aat. trovo hûsbrëcho hûsprëhho (Schade p. 435) = ladro predatore [hûs = tm. Haus casa; brëhho da brëchan, tm. brechen rompere: quindi propriamente ‘“rompitore delle case”]. Io credo che l’it. venisse di là, essendo la elisione dell’u iniz. facilmente spiegabile mediante l’articolo di cui fu creduta parte. V. anche briccone.
Scabino schiavino (antiq.), nome di certi giudici e magistrati medioevali fra i popoli ger. (Villani, Sacchetti). Con sp. esclavin, fr. échevin giudice, immediatamente riposa su bl. scabinus scabineus escapinius che rendeva la forma sassone scepeno scebino usata da Carlomagno per denominare l’impiego da lui creato (Capit. an. 805). Il Kluge però crede possibile un’anteriore origine e formazione d’un tal nome benché got. * skapja * skapeins e le forme corrispondenti dell’anrd. e dell’ags. non siano documentate. Ad ogni modo il nome as. scepeno scebino ha per base vb. ger. skapjan pare creare ordinare, che si sdoppiò e produsse da una parte got. skapian, ags. scyppan as. sceppian, dall’altra aat. scaffôn scaffân scepfen skeffen, mat. schaffen d’ug. sig., tm. schaffen fare procacciare fornire. A questo secondo gruppo colla f s’attengono le corrispondenze dell’at. al nome in discorso: aat. scaffin scephin scefin sceffin scefleno schefno, mat. scheffe schepfe scheffen, tm. Schöffe [a questo il bt. contrappone Schöppe dipendente dal gruppo col p]. La rad. ger. è skap che con una serie di formazioni nominali ebbe una progenie ricchissima nel tm.: ad es. Schöpfung Geschöpf, ing. shape forma figura fattura; Schaffner ed altri. Circa il signif. di as. scebino, il Kluge opina che valesse “ordinato, stabilito”, sottinteso “per giudicare”, trovandosi fra i signif. di aat. scaffan anche quello di “ordinare costituire”.
Scaccie, trampoli, gruccia della civetta (dial. aret.; Redi). Il Caix 510 rannoda questa voce a venez. scase, lomb. scansíe, afr. escace (sec. 12º) fr. échasse, annon. échache trampoli; e quindi la riconduce all’etimo proposto già dal Diez per le forme francesi, cioè: fiamm. schaets, ol. schaats, ing. skate trampoli e pattino. L’essere questa una voce dialettale farebbe credere che fosse entrata colle invasioni barbariche; ma c’è la difficoltà che non ne ricorre traccia nell’antico ger. Lo troviamo nel bl. sotto la forma di scacci (Hist. Ecc. Placent., Acta Greg. X) e quella di scacia (Act. S. Venoli, 3 Jun. p. 387).
Scach, rapina, ladroneccio (dial. comas.). Il ceppo ger. di questo vocah. non penetrò nell’it. ma ebbe diffusione non poca nel bl. dove compare colle forme di scachus schacus Lex Longob. lib. 2, tit. 55; Capit. Caroli Calvi tit. 12; Decret. Ottonis II, Imp. presso Goldast. tom. 3; Charta Leonis Urbev. an. 1090; Liber Consuet. Mediol. an. 1216; e nel territorio francese che ci presenta afr. échec e prov. escac scax. Il tema ger. è skak che ci mostra: aat. scâh scâhch scâch, mat. schâch latrocinio ruberia, rapina. Abbiamo inoltre: afris. skak rapina, donde ol. schaak ratto di donzella. Il Mackel trae le forme fr. direttamente da abfr. * skak. La voce comas. non può essere venuta che dall’aat. mediante i Longobardi. Il tm. dell’antico ceppo conserva, benchè raramente usato, sost. Schächer rapitore ladro, da aat. scâhhari.
Scaffa, scaffale, strumento di legno che ha varie capacità e spartimenti; scansia (Vasari, Buonarroti). Rispondenti sono: genov. scaffo, lettiera, sicil. lad. scaffa, scansia. Il Diez ci presenta come etim. il mat. schafe d’ug. sig., bav. schafen, ol. schap. Ma se il nome it. si rinviene anche nei dial., è chiaro ch’esso, per quanto appaia tardi nello scritto, non può supporsi deriv. dal mat., ma dovette esistere sin da tempo antichissimo nel linguaggio popolare. D’altra parte lo Schade p. 771 ci fa vedere scafa scaf documentato anche nell’aat. [nei composti scafareita scafreita]|. Perciò mi pare che il vocab. it. anziché al mat. si debba riportare all’aat. donde ci venne pel veicolo dei Longobardi. Difatti bl. scaphum scapellus sono a detta del Kluge riproduzione di aat. scaf, as. skap.
Scáfilo scafiglio, sorta di misura antica di grano; misura di calcina del peso di 1000 libbre (Stat. S. Jacopo). Il bl. scafilus ricorre già in carta del 718. Esso riposava su aat. * scaphil scefil sceffil, mat. sceffel misura di grano, as. scapil [pl. scapilôs]. Il tm. è Scheffel moggio stajo; il m. bt. scepel e bt. schephel. Queste voci ger. sono dimin. risalenti ad aat. scaph scaf, mat. schaf, as. scap “vaso o misura di varie foggie e grandezze”; primitivo che non ha corrispondenti nell’ags. e anrd. e nemmeno nei dial. altotedeschi moderni. Secondo il Weigand 2, 553 lo Schade ed il Caix esso aveva per base il nome gr. lat. scapum scapium scaphium σκαφίον “vaso, rotondo e profondo, sorta di bacino”. Ma il Grimm Gramm. 3, 435 nega questo orig. gr. lat. di ger. scaph e lo ricollega a ceppo scif ed a skapian; e il Kluge asserisce che bl. schaphum è esso stesso riproduzione del vocab. tedesco; e connette quest’ultimo ad anrd. skeppa moggio ed a rad. ger. skap comprendere in sè. Lo Schade però sostiene tuttavia l’influsso del nome gr. lat. schaphium “vaso da bere” sul signif. di “misura” assunto dal ger.
Scaglia, squama de’ serpenti e de’ pesci; falda larga e sottile di metallo o di pietra (Dante, Semintendi). Con fr. écaille squama corteccia guscio buccia, risale direttamnte a got. skalia mattone quadrello embrice tegola [propriamente “assicello, squama gentile”]. Il Diez spiega l’accoppiamento de’ due signif. primitivi di “squama” e “tegola” nello stesso nome coll’osservare che la squama e la tegola presentano l’analogia di stare le une accanto alle altre allo stesso modo. Checchessia della ragione, è certo che nel campo ger. il senso originario di “squama” si eclissò e diè luogo a quello dominante di “corteccia, buccia, guscio” che scorgiamo in anrd. skel, ags. scyll, ing. shell buccia scorza, ol. schel guscio. Alla torma aat. scala, mat. schal, tm. Schale buccia, guscio d’un frutto o d’un ovo, spetta fr. écale d’ug. sig., pic. écaler, sgusciare, ags. scealu, ing. shale, guscio. Il Kluge dice doversi separare nettamente questo ger. scala “squama, guscio” da ger. aat. schâla, mat. schâle, tm. Schale “tazza, coppa”, con cui si rinviene spesso mescolato e confuso da molti, e fra gli altri dallo Schade. Questo secondo ceppo ce l’offre anche il longob. sotto la forma di scalâ patera; ma esso non dovette avere alcuna influenza sul rom. perchè in questo signif. il nome non passò in alcuna delle lingue neol. Il ceppo ger. di got. skalja insieme con anrd. skilja dividere, dipende da rad. idg. skel, fendere e gli connettono nel campoger. Schild, scudo e Scholle zolla (v. Zolla), e fuori di esso: lit. schilti, fendere, lett. skaldit fendere spaccare, skala, scheggia di pino; a. sl. skala, pietra rupe [propriamente “pezzo spaccato”], russ. skala rupe, corteccia di betulla, a. sl. skolika, guscio, corteccia; forse l. qui-squil-jae raschiatura spazzatura, cosa da nulla Curtius3 160: Corrsen 12 524; gr. σκάλλειν, raschiare grattare, σκαλίς, raschiatojo, σκολύπτειν, sbucciare, mozzare Pott3 2, 3, 683: Curtius3 160; Fick2 901, 900. Da questi raffronti indeu. appare che il signif. originario di got. skalja, aat. scala era quello di “qualche cosa di fenduto e spaccato”: a questo modo si spiega come il nome fosse applicato alle squame dei pesci; dalle quali era poi facile il passaggio alle corteccie, bucce, gusci e simili. Il signif. annesso all’it. scagliare “gettar via” è dovuto alla facilità con cui un oggetto a forma di scaglia si getta via, e quindi al frequente uso che se ne faceva per questo scopo segnatamente dai fanciulli. Ma si può anche supporre (e ciò pare più verosimile) che contenendo Scaglia l’idea di “raschiatura, rimasuglio, spazzatura” se ne formasse un vb. denotante l’uso che si fa delle spazzature e raschiature. Derìv.: scaglia-bile-mento-re-tore-trice; scagli-etta-ola-one-oso-uola.
Scalco, chi ordina il convito o trincia le vivande (Fra Giord., Pulci). Con fr. escalque usato dal Rabelais (che però è probabilmente d’estrazione it. data la sua terminazione in que e data il suo tardo e unico comparire in autore molto versato nell’it.). risale ad aat. scalc servo, donde mat. schalc servo schiavo, uomo d’infimo grado, tm. Schalck furbo volpone. Paralleli in quel campo sono: got. skálks, anrd. skálkr, ags. scealc servo uomo [fem. scylcen giovane donna]. In it. penetrò certamente molto per tempo forse coi Longobardi, e vi subì una forte specializzazione di senso. Vi penetrò poi anche come elemento dei due composti manescalco e siniscalco. Il Kluge rileva l’ottimismo dell’ascenssione del signif. del nome t. che nel mat. valeva “vile dappoco” e nel tm. “uomo scaltro”. Il nome ger. ebbe grandissima diffusione e moltiplicità di deriv. e composti. V. Schade p. 775. Il bl. scalchus ricorre assai tardi, cioè verso il 1200 negli Acta B. Joan. Taussiniani.
Scanceria, palchetto da cucina (Sacchetti). Non ha corrispondenti în lingue rom. Direttamente risale a bl. scançaria che troviamo all’an. 1316 presso il Brandaone Monarch. Lusit. tom. 5, p. 304. Questo scançaria è forma sorella di bl. scancionaria (an. 1202 Comput. apud Brussel, tom. 2) definito per «locus ubi potus servatur aut unde distribuitur», e di bl. scancìa. Risale a tema ger. Scanc, come si vedrà ampiamente alla voce Scansia.
Scancia-sìa, palchetto, scaffale per bicchieri o libri (Buonarroti, Bartoli). Non ha corrispondenti nelle lingue sorelle, benché, come si dirà più sotto, queste dal suo ceppo ger. abbiano cavato parole che l’it. non possiede. Immediatamente risale a bl. scancia ricorrente in una carta francese all’an. 1202, e che valeva a un dipresso “luogo ove si conserva o distribuisce il vino” (v. Scanceria). Il bl. scancia risaliva ad aat. scanc, mat. schanc, palco di vasi, armadio, scaffale; Schmeller 3, 372. Il tm. Schenke = taverna bettola osteria. La relazione fra i concetti di “palco per vasi” e quello di ‘“bettola taverna” si spiega riflettendo che quest’ultimo inchiude necessariamente il primo. Secondo lo Schade p. 755 e il Kluge p. 320 il nome aat. scanc, ags. sceanc sceanca, aftine a scinca tibia (v. Stinco), valeva in origine “canna dell’osso”. Quest’osso perforato essendo nei tempi antichissimi applicato come cannella alla botte, il nome scanc e vb. scenken quindi formatosi significarono da principio “porre la cannella alle botte”, e in processo di tempo “dispensare il vino”: quindi scanc valse “osteria” ossia il luogo ove si vende il vino, e in fine “palco scaffale” ossia il luogo dove si tengono i vasi del vino nell’osteria per venderlo. Ecco il curioso processo ideologico seguito da questo ceppo ger. Da esso l’it. ha preso questo nome e scanceria; ma le altre lingue neol. ne han tratto un vb. e un nomen agentis. Dal vb. ger. skankian, aat. scenkan, donde mat. scenken, tm. scenken, versare mescere, vendere al minuto come oste, dare donare, vennero sp. escanciar, port. escançer, afr. eschancer vendere al minuto, lad. schanghiar dare come dono. Dal nome ger. skankio, aat. scenkio scenkëo scenko, mat. scenke, tm. Scenk oste, dipendono bl. scancio-tio-onis Lex Salic. tit. II, Papia, scancius scancionarius (an. 1247, 1260, 1261 in Francia), poi sp. escanciano, port. escançao, fr. échan son. Da vb. tm. scenken il fr. chinquer, dial. chiquer. Anche qui appare la grande propensione dei Tedeschi al bere, la quale ebbe per effetto la introduzione di non poche loro parole relative al bere fra i popoli da essi conquistati o con cui ebbero a fare. Per altri ritlessi bl. del ceppo ger. v. Scanceria. Il bav. scanz = scansia.
Scappiere, digrassare colla scure (dial. della Chiana). Un deriv. importante è scappia, ritaglio. Il Caix 517 si chiede se queste voci non siano connesse con got. skaban, aat. skaban scapan digrossare, piallare, donde aat. scapâ scabâ, mat. schabe, pialla. Questa etim. è certamente molto più verosimile che quella da vb. l. scalpere, scalpellare, o da scabere, grattare. Quest’ultimo però coi suoi deriv. scaber, scabidus scabies e gr. σκάπτειν, incidere, intagliare e deriv. σκαπάνη σκαπανεύς sono dal Fick2 3, 331 ricondotti alla stessa rad. idg. skap a cui spetta aat. skapan skaban.
Scaraffare, arraffiare, torre per forza (Lippi, Malmantile). Il Diez lo riporta a mat. schrapfen, bav. schrafen grattare raschiare. Risponde in quel campo alla forma dell’at. il bt. schrapen, ol. schraapen, ing. shrape d’ug. sig. Dalle forme colla tenue si svolse afr. escraper raschiare. Il primo a è stato inserito per eufonia fra il gruppo sch e la r ed è fenomeno non raro nelle parole it. d’orig. ger. Anche qui abbiamo il caso d’una voce ger. che in it. appare scritta solo molto tardi (sec. 17º); ma nonostante questo e nonostante che le si dia per etim. una voce ger. che compare solo nel mat., difficilmente si può supporre che siasi introdotta durante il periodo della fioritura del mat. [1100-1500]. Esisteva probabilmente nell’aat. parlato, benchè non appaja documentata. Il Diez esclude poi orig. da gr. σκαριφάσθαι perchè l’accento sull’a del presente avrebbe dovuto risultare da un i; il che è contro alle leggi fonetiche. Nel mat. accanto al vb. allegato troviamo nome sost. schrapfe strumento da grattare; il bt. vale “stregghia”. La rad. ger. è skrap da preger. skrab che mediante apofonesi o ablaut diè origine a moltissime voci anche nell’aat. che possono vedersi nello Schade a vb. scrëvon p. 805.
Scaraguaita schiraguaito (Giacomino da Verona, 1264; Lucan. volgariz.: verso il 1300-20). Il bl. scharaguayta non è anteriore, almeno in Italia, alle forme volgari. L’incontriamo in una carta di Brescia all’an. 1283 colla variante eschargaita che è dovuta forse all’influsso francese. In quella carta è notevole che ci s’incontri anche vb. eschargaitaverit. Scharaguayta lo troviamo negli Stat. Astens., e poi in una carta di Galeazzo Visconti all’an. 1351. In Francia il bl. eschargaita ricorre già all’an. 1228 in una carta di Nevers. L’afr. è eschargaite fr. échauguette. A base delle due voci sorelle fr. e it. sta il mat. scharwvahte sentinella, pattuglia? Sta il fatto che bl. scaraguayta anche nel territorio francese non compare prima del 1200. D’altra parte il composto ger. scharwahte è ignoto affatto all’aat. Pare adunque che si tratti d’un prestito fatto nel colmo del medio evo, e non all’epoca delle invasioni barbariche. Tuttavia il Mackel, p. 74 e 137 ammette che afr. eschargaite e fr. échauguette risalgano ad abfr. * skarwahta. Ma è una semplice supposizione; perchè l’esistenza di abfr. skarwahta non è provata. V. Sguarguato.
Scaramuccia-o, scaramugio, sechermugio, combattimento, piccolo scontro, azzuffamento di piccole parti d’esercito fuor d’ordinanza (G. e M. Villani). Il bl. scaramutia, comparendo solo dopo il 1300 e quasi sempre in territorio it., probabilmente riproduceva la voce it., ed era molto lungi dall’averle servito di base. Ora la voce it. primitiva era schermugio uno dei derivati di schermo-ire (v. q. voci). L’iniziale scara è dovuto a falsa interpretazione popolare che credette scorgere in questo vocabolo l’idea di scara schiera. Il Diez crede che il primo a possa attribuirsi anche alla predilezione che le lingue rom. hanno per questa vocale. Da it. scaramuccia bl. scaramutia provennero fr. escharmouche escharmoucher, sp. escaramuza, mat. scharmützel donde tm. Scharmützel, ol. schermutzel e ing. skirmish tutti di signif. ug. Deriv.: scaramucciare.
Scarpa1, pendio d’un muro o d’un terrapieno per cui questo alla base sporge in fuori (Leonardo da Vinci, Guicciardini). Con sp. escarpa, fr. escarpe d’ug. sig. [sp. escarpar fare liscio, fr. escarper tagliar a piombo] ha per base ger. skarp acuto che presenta: aat. scarf scarph, mat. scharf scharph scharpf scharp schärpfe acuto tagliente penetrante, tm. scarf aguzzo. Accanto al ramo dell’at. abbiamo il bt. dove al solito prevale la tenue alla spirante: as. scarp, ol. scharp scherp, acuto esatto sottile; ags. schearp, a. ing. scarp scharp sarp scherp, ing. sharp, acuto penetrante sottile; afris. scharp skerp, fris. scherp; anrd. skarpr skörp skarpt acuto duro, sv. dan. skarp. Il concetto dominante è quello di “qualche cosa d’aguzzo, di sporgente”. Il Kluge però mette in rapporto tema ger. skarpa acuto, con ags. sceorpan rastiare, aat. scarbôn tagliare a pezzi; ags. sceorfan, ing. to scrape raschiare, mat. schrapfe; dal che pare che in origine skarp valesse “tagliente”. Fuori del campo ger. paragona qui gr. ἅρπη, a. sl. srapu falce. Del resto il Mackel p. 64 crede che fr. escarpe sia stato improntato all’it., e ciò per la conservazione del c davanti all’a e per la conservazione della s davanti al c. V. Scarpa2.
Scarpa2, calzare del piede (Boccaccio, Sacchetti). Il bl. scarpa ricorre già in Goffr. Malaterra † 1150. Rispondono: afr. escarpin escapin zoccolo pantoffola. Questa parola spetta allo stesso ceppo ger. skarpa visto sotto l’articolo precedento. Evidentemente questo calzare dovette il suo nome alla sua forma aguzza. Der.: scarpaccia-scarpetta; scappino.
Scatroscio scataroscio, aquazzone (Rigutini). Secondo il Caix procedette da vb. got. gadrausian, fare cadere, fare precipitare. V. Stroscia.
Scellino (neolog.) moneta inglese del valore di circa 20 soldi (Alberti, Dizion.) Con fr. prov. sp. escalin ha per base aat. schillinc scillinch skillink, donde mat. schillinc, tm. Schilling soldo, moneta d’oro o d’argento. Forme sorelle sono: got. skillings, anrd. skillingr, sv. dan. skilling, ags. as. scilling, ing. schilling, afris. skilling scillinch skillink. La forma it. presentando un suono semipalatale pare provenire da aat. scillinc, laddove fr. sp. prov. escalin col suo gutturale è probabilmente venuta da una forma ger. col k. Secondo il Pott2 2, 3, 685 aat. scillinc è derivazione di vb. scellan risuonare, che vedremo sotto Squilla; il Kluge poi crede che la desinenza ing sia la solita che ritrovasi sin dall’aat. nei nomi delle antiche monete tedesche (pfenning keisur-ing farth-ing); quindi varrebbe “moneta sonante”. Anche a. sl. sklezì è d’orig. ger. Il bl. skillingus schillingus fu usato solo in paesi ger. V. in proposito Ducange a queste voci. L’it. fu introdotto presso di noi dai mercanti o sulla fine del sec. scorso o sul principio del presente.
Scherano, uomo facinoroso, assassino (Novellino, Jacopone). Non esito a porre questo nome fra i deriv. da schiera. Per la forma, osserverò che presuppone uno * schera, conosciuto dai dialetti dell’Alta Italia (moden. schera = schiera analogamente a peschera da peschiera); e del resto scherano per schierano può esser dovuto al bisogno d’agevolare la pronuncia. Pel senso, qui s’avrebbe il passaggio da “uomo che va in ischiera” a “uomo cattivo”: il quale passaggio, attese le consuetudini del medio-evo è spiegabilissimo; e difatti ne abbiamo un esempio eloquentissimo in masnadiere2. V. Schiera.
Schermare (antiq.), parare i colpi del nemico (Jacopone, Petrarca). Riposa evidentemente su di un aat. * skirmon skirman d’ug. sig. Del vb. aat. e affini riparleremo sotto schermire. Secondo il Mackel dall’it. si svolse il fr. escrimer (sec. 16º) mediante un * escremer.
Schermire, schivare i colpi del nemico, difendersi (Jacopone, Dante). Paralleli: sp. port. esgrimir, prov. afr. escremir escermir escrimir escirmir d’ug. sig. Fondamento: aat. * skirmjan. Forme documentate: aat. skirman skirmen schirmen scirmëan scirman scirmen servire come difesa, difendere. Di là mat. schirmen schërmen d’ug. sig. Tm. schirmen = riparare, difendere. Secondo il Kluge è vb. formatosi da nome skirm e non questo da quello; ma il Faulmann é di contrario avviso. Ad ogni modo a me pare che in it. il vb. siasi svolto non dal nome it., bensì dal vb. ger. corrispondente. Il Mackel crede che le forme afr. prov. escrimir escirmir siano evoluzioni posteriori delle primitive escremir escermir. Der.: schermi-dore-gliare-ta-scher-mugio. V. Scaramuccia.
Schermo-a, riparo, difesa; arte dello schermire (Dante, Villani, Berni). Voci sorelle: sp. port. esgrîma, prov. escrima, afr. escrime arte della scherma. Il bl. non presenta questa parola che ha per base: aat. skirm schirm scirm sckërm schërm scërm donde mat. schirm schërm, oggetto che serve di riparo e difesa, scudo, muro, parata, protezione difesa. Il tm. Schirm = riparo coperto, paravento ombrello. Questo nome molto diffuso nell’aat. e nel mat., fu probabilmente importato dai Longobardi. Secondo lo Schmidt e il Miklos. è da paragonare al ger. l’a. sl. cremu σκηνή tenda. Il signif. di “arte dello schermire” in it. è proprio di scherma che compare piuttosto tardi (Berni). Anche in ted. questo signif. appare solo nel mat.; il che si spiega pensando che fu precisamente verso quel tempo che fiorì la cavalleria. V. Schermare, schermire. Der.: scherm-aglia-aglio.
Schernire, deridere e dispregiare alla scoperta (Fra Giord., Dante). Con sp. port. escarnir, prov. esquernir escarnir schirnir, afr. eschernir escarnir beffare, risale ad un ger. * skirnjan che non è documentato, ma che è richiesto dalla desinenza dei vb. rom. Storicamente certe sono invece le forme aat. skîrnôn scërnon skërnôn donde raro mat. schërnen motteggiare, beffare, alla quale risponde bene la forma dial. moden. schergniare per * schernare. Il ceppo ger. nel tm. è scomparso. Secondo lo Schade p. 798 vb. skërnön è nominale svoltosi da skërn che vedremo tosto sotto scherno. Un tal vb. rimasto potentemente infiltrato nell’it. venne senza dubbio coi Longobardi, presentando nettamente carattere alto tedesco. Notevole che non s’incontri nel bl. Der.: schern-amento-evole-evolmente-niano; scherni-dore-mento-tivo-tore-tura.
Scherno-a-ia, derisione amara, dispregio manifesto (Fra Giord., Dante). I’orme neol. sorelle: sp. escarnio, port. escarnho, prov. esquern, afr. eschern derisione dileggio. Base: aat. skërn scern, a. ol. schërne, donde mat. schërn buffoneria scherzo derisione. Secondo il Mackel p. 102, 143 l’abfr. presenta skërno skirno, e da quello egli fa procedere immediatamente le voci afr. e prov.; ma a fondamento dell’it. dice richiedersi una forma ger. coll’i che che ci è mostra del resto da aat. skirno scirno istrione derisore. Il tema ger. è * skirna a cui spettano: aat. scërnari scërnere buffone, skërnunga oltre alle forme verbali che vedemmo sotto schernire. Nel campo ger. il signif. era uguale pressappoco a quello di scherzo; nè conteneva l’acerbità assunta in it. Del resto tanto aat. skërn quanto mat. schërz hanno la loro radice in aat. scëron essere lieto, giubilare, lascivire, tripudiare Graff 6, 534; e Schmeller 3, 389 paragona e raccosta qui bav. gescher grido, rumore. Fuori del campo ger. abbiamo: a. sl. skrenia buffoneria, skrenovati esser libidinoso; l. scurra butfone [forse da scur-na]. Dial. moden. offre schergnia.
Scherzare, saltabellare, gridare e correre dei fanciulli per giuoco; burlare, ruzzare (Dante, Vit. SS. Pad.). Non ha riscontro nel bl. e nelle lingue sorelle, e riproduce esattamente mat. schërzen saltare d’allegrezza, tripudiare divertirsi, donde tm. scherzen burlare scherzare, e sost. Scherz celia baja giuoco, venuto da mat. schërz giuoco diletto. È chiaro che pel signif. il tm. fa uguaglianza coll’it. più che col suo progenitore del mat. Nel mat. abbiamo anche scharz salto. Il ceppo in discorso è affatto ignoto all’aat. e in generale alle antiche lingue ger., od almeno non è documentato. Il fatto che esso non è passato nè nel bl. nè nelle altre lingue neol., indica ch’esso entrò in it. probabilmente nei primi secoli dopo il mille pei contatti medioevali fra Italiani e Tedeschi. Der.: scherz-evole-oso-o.
Schiacciare, rompere e frangere le cose che han guscio (Dante, S. Greg.). Il Diez lo trae da ger. * klakjan * klekan presupposto da aat. kleken, mat. klecken klechen che valevano “fare squarcio o rottura, tôrre dal posto, fare avanti; produrre scoppio con suono, produrre scricchiolio”. La s iniz. è spiegata con un indurimento eufonico. Il senso nell’it. ha subito una forte specializzazione: da quello di “produrre rottura con suono” è passato a quello di “ammaccatura prodotta da compressione”. Il tm. klecken vale “fare una macchia, uno scarabocchio acciarpare”; ma il mat. klecken significava anche “battere risuonando”. Anche tm. Kleck vale “macchia, scarabocchio” mentre mat. klach = scoppio, squarcio, rumore; e si riflettè in fr. claque, scoppiettio di mani, applauso, vb. claquer, cat. claca ciarla, norm. claquard garrulo loquace. Der.: schiaccia, trappola; schiaccia-mento-ta-tina-tura.
Schiaffo, guanciata ceffata (Pataffio; Amm. Antichi). Corrisponde qui vb. prov. esclafà battere. Presuppone ger. * slapfe e più precisamente schlapfe. Questo non è documentato, ma esistette senza dubbio nell’at., trovandosi nel bt. il suo corrispondente slappe slape che però aveva signif. di “parte della copertura del capo fatta a borsa e pendente in giù; sorta di berretto o cappuccio”. Questo bt. passò poi con ugual forma e signif. nel mat. Nel tm. poi Schlappe vale “danno, perdita, percossa” e anche “schiaffo” nel sec. 16-17. Anche m. ing. slappe, ing. slap = percossa guanciata ceffata schiaffo. Lo Schade riferisce bt. slappa a slaf, debole; ma poi non spiega il trapasso fortissimo da questo al signif. di “percuotere”. Una volta giunti a quest’ultimo si spiega l’applicazione che del nome fu fatta ad una parte del cappuccio che percuoteva la faccia; e si spiega pure il senso di “colpo dato nella guancia”. Resta però sempre oscuro il senso di “danno, pregiudizio perdita”. Ad ogni modo è chiaro che il signif. di “ceffata guanciata” dovette essere antichissimo anche nel campo ger., riscontrandosi non solo nell’it., ma persino nelle forme dial. dell’alta Italia slepa sleppa. V. questa parola. Deriv.: schiaff-are-eggiare.
Schiantare schiattare, rompersi con violenza, fendersi, proprio d’alberi, panni e simili; scoppiare, fare rumore e fracasso; strappare (Dante, Boccaccio). Rispondono: prov. esclatar, afr. ésclater, fr. éclater, rompersi con iscoppio e rumore; fr. éclat scoppio, splendore, venez. schiantizare risplendere. Il Diez riconduce questo ceppo ad aat. skleizân sleizên fendere spaccare strappare, donde mat. sleizen, tm; schleissen schlitzen d’ug. sig. Quest’etim. è accettata anche dallo Scheler per le parole fr., il quale Scheler fa osservare che la corrispondenza di aat. ei a fr. a è normale, e che iniz. ger. sl è sovente romanizzata per scl. Il Mackel p. 116 crede che l’unica difficoltà per questa derivazione sia la conservazione dell’isolato t in parola tolta ad imprestito per tempissimo. Ad ogni modo richiede a base del rom. non la forma ger. proposta dal Diez, bensi un aat. * slait(t)an, abfr. slaitan da ger. * slaitôn che deve essere esistito accanto a got. slaitjan come accanto a sleitzen si trova sleizen. A questo ceppo ger. si rannodano pure ags. slaetan, ing. to slit spaccare. Nonostante la difficoltà messa innanzi dal Mackel ci pare che questo etim. sia pur sempre da preferire a quello dell’Ascoli presso Kuhn Zeitschrift ecc. XVI, 209, il quale Ascoli vorrebbe trarre il ceppo rom. sclat sclant dall’antico tema rom. sclap-it. Quanto al senso speciale di “splendore” assunto dal fr. ésclat eclat, esso é spiegato dallo Scheler coll’osservare che il vocab. fr. denotando “movimento subitaneo (rottura, scissura) accompagnato da rumore e colpente la sensibilità uditiva”, é stato trasportato, come avviene spesso, a denotare fenomeno colpente la sensibilità uditiva. Però lo Scheler mette innanzi anche un altro ceppo ger., cioè rad. klat donde ol. klateren strepitare, col prefisso es = ex intensivo, ovvero ad ex indicante movimento dal di dentro al di fuori, essendo le idee di “rottura” e “rumore” relative, come vedesi in l. fragor “rottura” poi “rumore”. Der.: schian-tato-tatura; schianto.
Schiatta, stirpe, progenie; razza, qualità (Dante; Vit. S. Mad.). Voci sorelle: prov. esclata, afr. esclate d’ug. sig. A base sta aat. sclahta slahta, as. slahta; di là mat. slahte slachte; e tm. Schlecht in Geschlecht, stirpe nascita progenie famiglia parentela razza specie sorta maniera, ed anche in tm. geschlacht, ben nato nobile. Il signif. di “stirpe” sin qui veduto non è l’unico e forse neppure il principale di aat. slahta che vale innanzi tutto “uccisione morte battaglia”; donde tm. Schlacht battaglia e schlachten uccidere. È strano l’accozzamento di due concetti sì diversi nello stesso nome. Il Faulmann tenta una spiegazione che è assai plausibile: il vb. aat. slahan, da cui il nome slahta mediante il solito suffisso ta, valeva “percuotere uccidere”; qualche rara volta anche “rassomigliare imitare” (cfr. la frase «battere le orme di alcuno»). Di qui al nome slahta anche il signif. di “coloro che imitano, che rassomigliano”, applicato specialmente agl’individui d’una stessa stirpe o progenie, come quelli che sono più inchinevoli a imitare e seguire gli esempi de’ maggiori. Questa interpretazione è confermata da una frase che ricorre nell’aat. «nâh dên fordôrôn slahan» = imitare i maggiori, gli antenati. Ma qualunque sia l’intima nesso che unisce i due concetti, è certo che il progenitore di it. schiatta spetta a rad. ger. slah percuotere donde anche tm. schlagen battere, e Schlag percossa. Il tm. conosce anche dello stesso ceppo uno Schlag con signif. uguale ad aat. slahta e tm. Geschlecht cioè “stirpe razza”. Der.: schiattona.
Schiavo, chi è in potere altrui (Dante, S. Giov. Grisost.). Rispondono: sp. esclavo, port. escravo, prov. esclau, afr. esclo esclas, fr. esclave per éclou. Base immediata fu certamente bl. sclavus che ricorre già verso il 900 in una carta di Lodovico il fanciullo re di Germania (Metrop. Salisburgens., tom. 2, pag. 15) e in una di Ottone I all’an. 939 presso Eccardo. Ma donde questo bl.? Secondo il Diez seguito dallo Scheler, Littrè ed anche dal Mackel, da mat. sklave sclave che valeva propriamente “slavo fatto prigioniero”. Ma come ciò se il mat. comincia solo tre secoli dopo? Il Mackel suppone un aat. slavo. D’altra parte il Kluge pur ammettendo che il signif. originario di bl. sclavus fosse quello di “slavo fatto prigioniero”, sostiene che questo non è d’orig. ger., ma che è riproduzione di Έσκλαβηνοί con la quale denominazione i Bizantini designavano gli Slavi; denominazione che sarebbe penetrata in Italia nel sec. 8-9, e quindi nel rimanente dell’Europa compresa la Germania. La ragione di ciò sarebbe che in quest’ultimo paese gli Slavi eran chiamati Vendi; e d’altra parte il nome di Slavo non può essere venuto dall’Oriente slavo, perchè nessuna popolazione slava occidentale si è mai chiamata con tal vocabolo. Però a questa difficoltà del Kluge mi pare si possa obbiettare il fatto che il bl. fa la sua prima comparsa in Germania; e che ad ogni modo il gr. Έσκλαβηνοί non avrebbe prodotto un bl. sclavus, e che it. Schiavone venuto appunto di là non assunse mai il senso di “schiavo”. In conchiusione finchè non sia mostrato che bl. sclavus apparisse prima in territorio neol. si ha buon diritto di ritenere che la Germania fosse il tramite per cui ci venne questo nome. Der.: schiav-aggîo-esco-itù-olîno.
Schiena schena, parte posteriore del corpo dalle spalle alla cintura (Dante, Sacchetti). Voci sorelle: ven. piem. romag. sard. schina; sp. esquena, prov. esquena esquina, afr. eschine, fr. échine, dial. fr. esquine spina dorsale. Base. aat. skinâ scina scëna sciena canna stecco, stinco tibia; ago spillo spina, Graff 6, 499; Mittelhocd. Wört. 2. 2, 139. L’ags: era scina donde ing. shin stinco; sv. skena, dan. skinne stecca; ol. scheen. Da aat. si svolse mat. schine che conservossi in tm. Schiene stecca rotaia, e in Schienbein stinco tibia da mat. schinebein. Secondo il Kluge tm. Schiene non è affine a Schinken (v. Stinco) stinco, perché il signif. secondario di tm. Schiene “legno sottile, lama di metallo, striscia”, e aat. scina “ago spillo”, accennano a got. * skinô pezzo sottile d’osso o di metallo. Lo Schade p. 795 crede che tema ger. skina spetti a vb. aat. scînan [donde tm. scheinen] splendere lucere; e trova la ragione della denominazione nel fatto che skina denota un oggetto a traverso del quale si può guardare attesa la sua cavità. Questa spiegazione è ingegnosa; ma è applicabile solo al caso in cui ger. skina vale “canna”, non agli altri in cui abbiamo un signif. di cosa tutt’altro che cava e trasparente. Il Mackel p. 106 suppone che it. schiena, prov. esquena riposino direttamente su aat. skëna; prov. esquine, afr. eschine fr. échine su aat. skina. Il nome ger. non appare nel bl. V. Schienella e Schiniera. Der.: schiena-ccia-le.
Schienella schinella, malore che viene ai cavalli nelle gambe dinanzi tra il ginocchio e la giuntura del piè (Sacchetti, Lib. Motti). Questa parola del pari che schiniere ha per base il ceppo ger. che ha dato Schiena, cioè scina; e più propriamente pare risalire al mat. schine che mostra il preciso signif. di “stinco, tibia”. Anche per la forma l’it. è più vicino al mat. che all’aat. V. Schiniera.
Schiera, numero di soldati in ordinanza; moltitudine, compagnia (Guinicelli, Dante). Voci sorelle: prov. esqueira, afr. eschiere divisione d’un esercito. Il bl. scara ricorre più volte negli Annal. Bertin: una all’an. 766, poi al 774 ove è detto che Carlo Magno del suo esercito fece «quatuor scaras» ossia “parti, divisioni”. Questo bl. scara s’affievolì in schera che incontriamo all’an. 1218 in Memor. Potest. Regiensis. Riposa su ger. skara, aat. skara scara turba, quantità, corpo d’esercito, servizio obbligato. Il mat. schar aveva signif. uguale all’aat. Tm. Schaar conserva solo il senso militare di “torma, legione”, come le lingue rom. L’ags. era scaru, accanto a cui è notevole scêalu sceolu donde ing. shoal folla. Il Diez e il Neumann (Die german. Elem. in der prov. und franz. Spr., p. 36) pongono a base delle voci rom. un aat. * scaria. Ma il Mackel risponde che afr. eschiere esige uno skara; e che aat. * scaria oltre all’essere meramente ipotetico, avrebbe prodotto afr. escaire, e it. scaja. Quindi abbiamo qui un caso in cui la deriv. rom. da un vocabolo ger. si presenta in modo irregolare che lo stesso Mackel p. 39 non riesce a spiegare. Accanto alle forme suddette abbiamo prov. escala e fr. eschiele “schiera” che si suppongono essere debitrici di loro anomalia all’influsso di l. scala Quanto ad aat. scara, in sè, esso fu ceppo di aat. scarian, scario scarida e scerrunga. Di questi quattro derivati i tre primi sono importanti pel fatto che vb. scarian, donde aat. scerian skerian, mat. schern ordinare disporre distribuire determinare, tm. [sich] scheren andarsene; si riflettè in afr. escharir, prov. escarir, bl. scarire attribuire dividere separare determinare; aat. scarida scerida disposizione ordinamento si riprodusse in prov. escarida, afr. escherie porzione sorte lotto. Scario si vedrà poi sotto Sgherro. Parrebbe adunque che l’idea fondamentale annessa a skara fosse quelle di “distribuire, ordinare”. Ger. skara entrò nell’afr. anche mediante il composto harmskara che si trasformò in haschiere. L’a. cat. riprodusse questo composto colla forma aliscara. Un tal nome non ricorrente nel got. nè nel ramo bt. ma solo nell’at., verosimilmente entrò in Italia coi Longobardi. Der.: schiera-mento-re. V. Scherano.
Schietto, puro, non mischiato, liscio, semplice (Dante, Villani). Voci parallele: prov. esclet, limos. esclé d’ug. sig., lad. schliet da nulla. La base è got. slaihts piano uguale diritto liscio, non scabroso. L’aat. e mat. ci offrono: slëht piano liscio diritto; semplice comune retto comodo facile tranquillo mite amichevole. Graff 6, 786; Benecke Mittelhocd. Wört. 2, 2, 393. Il tm. schlecht rispetto all’antico ha subito un forte deterioramento di significato, il quale è ora quasi sempre morale non mai materiale com’era da principio. Vale “semplice cattivo meschino vile basso brutto”. All’incontro l’altro deriv. schlicht vale tuttavia “piano semplice schietto naturale”. Accanto ad aat. e deriv. stanno bt. slicht sligt, ol. slecht slicht coi signif. del tm. schlecht; a. fris. sliucht, fris. sliucht sliuecht, a. ing. slighht sleght liscio piano, ing. slight piccolo sottile debole; anrd. slêttr piano liscio, sv. slät, dan. slet piano samplice. Il tema ger. è * slehta d’origine prima non sicura al dire del Kluge. Secondo Frisch Adelung Wackernagel e Fick da aat. slahan, tm. schlagen battere percuotere: quindi slëht = battuto e fatto piano. Da slahan sarebbesi avuto tema ger. slah con suffisso ta formante partic. passato. Il Kluge formalmente lo riattacca a vb. schleichen da aat. slîhhan fare liscio, e pel senso ad ing. sleck liscio. Il ceppo ger. di questo agg. ebbe grande molteplicità di derivati: fra gli altri avv. slëhto “semplicemente, appunto” e sost. slêhtecheit “levigatezza schiettezza”. Analogamente ad ol. slechts il napol. schitto e lad. schliett valgono “solamente puramente”. Il fatto che una tale parola si trova esclusivamente in it. e nella Francia di sudest indica che essa probabilmente fu importata dai Goti. Der.: schiett-amente-ezza.
Schifo, paliscalmo; volta di stanza a guisa di schifo a rovescio (Pulci, Ciriffo Calvaneo; Ariosto, Vasari, Serdonati). Rispondono: sp. port. esquìfe, afr. eschif sec. 11.º fr. esquif nave. Accanto a queste forme colla spirante f l’afr. ne presenta anche colla tenue: escipes eskip, esquip-er equip-er; ed oltre a queste eschieu escheis eschoiz eschief che il Mackel p. 127 riconduce tutte a skip mediante un bl. scëvum. Ora it. schîfo e le altre forme neol. colla f risalgono ad aat. skif scif scëf skëf scëph schëf, donde mat. schif schëf e tm. Schiff nave. L’aat. valeva anche “una sorta di vaso”: onde dimin. aat. sciphî è spiegato da una giossa con “phìala”. Le forme francesi con p hanno invece a base la stessa voce ger. ma nella sua differenziazione basso-tedesca, cioè got. anrd. skip, ags. scip [donde ing. ship], as. scip skip, fris. schip, sv. schepp, dan. skib πλοῖον. Il Kluge rigetta l’affinità della voce ger. con gr. σκαφίς nappo barchetta e con σκάφος battello nave, perchè la prima presuppone un idg. i nella sillaba radicale. Lo Schade, respinta l’etim. di skif skip proposta dal Grimm da vb. * skipan = “qualche cosa di fabbricato, vaso” propone rad. skap di vb. skapjan formare [tm. schaffen], la quale con indebolimento della vocale radicale sarebbe riuscita a significare un “tronco d’albero scavato e pulito ad uso di battello”. Per contrario il Kluge ritiene che tema ger. skipa non abbia ancora una spiegazione etimologica sicura; ma che del resto l’ipotesi d’un primitivissimo imprestito non sia da rigettare assolutamente, attesochè solo poche parole attinenti alla navigazione sono comuni a parecchie lingue idg. L’afr., oltre alle voci indicate, presenta anche eskipre navigatore, avente a base ags. sciper = anrd. skipari e a tm. Schiffer. Sul vb. fr. équiper da afr. eskiper e suoi deriv. fr. e it. v. Equipaggio.
Schiniera-e, arnese per lo più di ferro che difende le gambe de’ cavalieri (Alamanni, Berni). Risponde sp. esquinela. Il bl. è schineria ricorrente all’an. 1328 in Stat. Mut. (Murat. Antiq. Ital. tom. 2, 407 ), accanto a gamberia. Probabilmente questo bl. era riproduzione dell’it., il quale riposava direttamente su mat. schine schin stinco tibia. L’aat. scina scëna sciena valeva propriamente “canna, stecca, ago”, come s’è visto sotto Schiena. Invece ags. scine, ing. shin signif. “stinco”. Quando si svolse, il deriv. it. nel primitivo schina doveva prevalere ancora il signif. di “tibia stinco”. Verosimilmente ciò segui sotto l’influsso del mat., giacchè nell’aat. scina donde it. tolse schiena, questo signif. era molto oscuro e indeterminato.
Schippire (antiq.) scappare con astuzia e destrezza (Pataffio). Questo vb. it, senza riscontro nelle lingue sorelle salvo il dial. comas. slippà d’ug. sig., risale al ceppo ger. che appare in aat. slipfian, mat. slipfen schlipfen sdrucciolare scivolare fare liscio ed aguzzo (questo è un mezzo per lo scivolare), tm. schleifen arruotare pulire lisciare; poi ol. slippen, ags. slipan, ing. to slip sdrucciolare. Secondo il Diez la forma it. primitiva dovette essere sclippire, da cui s’ebbe la forma attuale coll’introduzione dell’h quale compenso dell’inevitabile soppressione della l. Ma la base diretta di it. * sclippire non potè essere che uno *sclippian; del comas. invece * slippan. Vb. aat. sliphian sliffan è forma intensiva di aat. slifan, mat. slifen sdrucciolare sguizzàre svignarsela; lisciare aguzzare arrotare. Il passaggio dal signif. intransitivo di “sdrucciolare” a quello transitivo di “lisciare aguzzare” è spiegato dal Kluge col concetto intermedio di “rendere liscio col tirare e fare scorrere sul pavimento”. La rad. ger. è slip da cui oltre alle forme già viste, dipendono: isl. slipa, sv. slipa, dan. slibe lisciare affilare. Rad. preger. era slib, che riscontrasi in lett. slíps obbliquo slipt scivolare, slipét lisciare. Queste voci slave sono o affini colle ger. ovvero ne han subito l’influsso. Secondo il Bopp Gl.3 414 e Schleicher presso Kuhn 7, 223 vanno qui raffrontati gr. ἕρπω e sans. sárpâmi io striscio, scivolo. Certo poi nel campo ger. la rad. slip è connessa a rad. slup ricorrente in got. sliupan, aat. mat. slupfen, tm. schlüpfen sdrucciolare [cfr. l. lub-ricus per sl], e a rad. slik donde aat. slîhhan mat. slîchen tm. schleichen camminar pian piano, ing. sleek slick liscio.
Schiuma stiuma stumia stummia, aggregato di bolle e sonagli che viene alla superticie dell’acqua bollente e simili; feccia, immondezza (B. Latini, Dante). Rispondono: dial. scuma sguma sciuma; poi sp. port. prov. escuma, afr. escume (sec. 13º) fr. écume, vall. home, namur. chime chume e bl. schuma ricorrente in Mirac. B. Sim. Erem. p. 820. Riposa su ger. skûm, aat. scûm, donde mat. schûm, tm. Schaum spuma schiuma scoria dei metalli, austriaco schoum, ol. schuim, anrd. skûm, sv. dan. skum. Da anrd. skûm provenne ing. scum d’ug. sig. Nel campo ger. accanto ad aat. scûm troviamo anche schiumelin piccola schiuma, la cui iniz. spiega l’iniz. italiana, e troviamo vb. aat. * scumian scûman, mat. schûmen, tm. schaumen spumare. Ma vb. it. schiumare probabilmente s’è formato da schiuma indipendentemente dal vb. ger. Al got. e ags. il ceppo manca; e si usa in quella vece ags. fam, ing. foam. È incerto se l. spuma sia originariamente affine a ger. scûm [il p per k ricorre in lupus di fronte a gr. λύκος]. Ger. skûm viene comunemente riportato a rad. skû coprire anche in Scheuer capanna: varrebbe quindi “coprimento, coprente”. Evidentemente è voce d’importazione longobarda. La riproducono anche gael. sgûm e albanese s’ cume. Der.: spum-are-eggiare-oso.
Schivare-fare, scansare, sfuggire, avere a stomaco (Guittone, Dante). Forme sorelle: sp. port. prov. esquivar, afr. eschivir eschuir sec. 11. fr. esquiver eschiver, vall. hiuver, lad. schivir evitare disprezzare. Base diretta di questi vb. é secondo il Mackel ger. * skíuhan non documentato. Questo skiuan sarebbesi svolto mediante caduta dell’h e consonantizzazione di u da * skíuhan la quale ultima forma è presupposta da aat. sciuhen scûhen, mat. schiuhen schiuwen schûen fare paura e ribrezzo, spaventare; evitare, sfuggire. Di qui tm. scheuen temere, avere ribrezzo, scheuchen spaventare, scacciare, sost. Scheu avversione, paura agg. scheu timido ritroso schifo. Nell’aat. s’incontra altresì schiuhz schiuz scheuz, a cui rannodasi bav. moderno scheuz avversione, nausea. Vb. aat. skiuhan è denominativo da aat. * scioh, mat. schiech che vedremo sotto schivo schifo. Lo Schade per ispiegare afr. eschivir ammette l’esistenza anche di un aat. * skiuhjan; ma le forme in ir sono in questo caso spiegato dal Mackel anche senza di essa p. 126. Il fr. esquiver secondo G. Paris è un italianismo. Deriv.: schifa-mente-mento-noja-nte-nza-tore.
Schivo schifo (sost.) ribrezzo nausea; (agg.) ritroso, guardingo; sporco, lordo, ributtante (Guittone, Dante). Paralleli: sp. esquivo, prov. esquiu, afr. eschiu, lad. schiv, crudo, aspro, burbero. Lo Schade crede che le voci rom. data la forma che mostrano specialmente lo sp. il prov. e l’afr., riproducano direttamente un aat. * skiuh, anzichè essere formazioni svoltesi dal vb. relativo visto sotte schivare. Il signif. di mat. schiuhe, tm. Scheu, agg. scheu è quasi perfettamente uguale a quello dei corrispondenti nomi e agg. neol. Mat. schiuhe presuppone un aat. * scioh scieh. Ags. sceóh è documentato, e ne dipende ing. shy ritroso, schivo. Deriv.: schif-ezza-osità-osamente-oso; schifiltoso.
Scialuppa, piccol bastimento pel servizio dei grandi (Tramater). Immediatamente è neologismo, che riproduce fr. chaloupe, donde eran venuti anche ing. shallop sloop e sp. chalupa. L’imprestito si effettuò forse nel secolo scorso. Il fr. chaloupe ricorrente già nel sec. 16º, risaliva ad ol. sloep, dan. sluppe, sv. slup, mediante una forma * saloupe seloupe dove l’inserzione della prima vocale è voluta dalla necessità di agevolare la pronuncia del gruppo sl. L’afr. presenta anche escalope. Il signif. originario di ger. slup è scivolare, scorrere.
Sciarpa, banda di seta che si cinge alla vita o che si porta ad armacollo (Chiabrera, Spadafuora). È riproduzione di fr. écharpe, il cui afr. riflesso escharpe esquerpe tasca dei pellegrini, era stato derivato dal tardo aat. scharpe secondo il Kluge. Invece il Mackel p. 57 trae afr. escharpe dal abfr. * skarpa. Il Diez crede che il siguif. di “benda” procedesse dal fatto che i pellegrini portavano al collo la loro scharpe, la quale veniva perciò ad essere più o meno avvolta alla persona. Oltre all’aat. scharpe, vale “tasca” anche aat. scherbe, e basso-ren. schirpe, e bt. schrap, e bav. schärpfen. Il tm. Schärpe riproduce fr. écharpe e rientrò in Germania nel sec. 17º. Invece m. ol. scaerpe pare originario.
Sciarra, rissa, contesa, zuffa (S. Anton. Conf.; L. Pulci, Morg., Berni). Il Diez crede che la più probabile etim. per questa parola sia quella da aat. zerran strappare, dividere mat. zar rissa. Di qui sarebbe venuto it. ciarrare a cui sarebbesi poscia aggiunta una s prostetica secondo la regola di molte parole it. venute dal ted. Deriv.: sciarra-mento-re.
Scilacca, picchiata, colpo di frusta o altro (dial. tosc.). Rispondono: piem. scracca, umb. lecca. Il Caix rimena un tal nome ad aat. slac, slag, pl. slegî, colpo, percossa. Gruppo it. sci da ger. sl non è senza esempi: così accanto a slandra sta cilandra. Il vocab. ger. ebbe in ogni tempo gran diffusione. Da aat. si svolse mat. slac e tm. Schlag percossa, colpo. Ciò costituisce un argomento di più in appoggio dell’etim. del Caix.
Sciss, sterco bovino (dial. moden., Galvani). Rispondono: comas. schit, venez. schito d’ug. sig.; poi vall. hite, annon. esquite diarrea, e vb. afr. eschiter imbrattare, vall. hiter avere la diarrea. Il vocab. rom. ha per base: aat. mat. schîze sterco, diarrea donde tm. Scheisse sterco diarrea. La forma moden. risponde benissimo anche per l’assonanza all’at. mat. Invece le forme venez. e com. e le francesi sembrano risalire alle basso-tedesche che ci presentano il t. Tali sono: anrd. skîtr, Vigfusson 551; a. ol. schitte, ol. schyt, bt. schit schete, sterco profluvio del ventre. Accanto a schîza troviamo: aat. scîzata d’ug. sig., poi vb. aat. scîzan, mat. scîzen, donde tm. scheissen, mandar fuori gli escrementi, accanto a cui ags. scîtan, ing. to shit, anrd. scita, ol. schiiten d’ug. sig. La rad. ger. skit secondo il Kluge spetta alla rad. idg. skhid da cui dipendono tm. schèiden separare gr. σχίζω, la scindo (e forse caedo). Perciò il signif. originario e fondamentale di skiza sarebbe stato quello di “cosa separata, escremento”. Il Pott 1, 249 il Benfey 2, 193 e Curtius3 188 paragonano qui gr. χέζω da χέδιω, sans. had produrre sterco; e Miklos. 1107 a. sl. cediti colare. A noi il vocab. dovette venire pel tramite dei Longobardi.
Scivolare, sdrucciolare (voce d’us. com.). Non ha rispondenze nelle lingue sorelle. Il Caix riannette questo vb. ad aat. sliofan, got. sliupan, tm. schlüpfern sguisciare, ovvero ad sat. slîfan sliphan sdrucciolare. Forma intermediaria fra il vb. ger. e l’it. sarebbe stato un * scilovare il cui scil equivarrebbe al gruppo ger. sl-schl. Una circostanza non trascurabile è questa: che il ger. ha fornito all’it. parecchi vb. denotanti lo stesso concetto; ad es.: sdrucciolare, sdrulicare, sguisciare, svignare ecc.
Scoffiottare, deridere dileggiare (dial. mont. moden.). Vista l’impossibilità di trovare una qualsiasi etim. it. per questo vb., mi parrebbe non assurdo porgli a base uno * scoffiare e questo riportare al vb. aat. scoffôn scofôn deridere, donde anche ing. to scoff deridere, schernire. Nell’aat. troviamo scoph schof scopf, ing. scoff poesia, ludibrio scherno. Dove è da notare il passaggio da “poesia” a “scherno”; passaggio che spiegasi col fatto che certe poesie o meglio cantilene popolari sono dileggiatrici e derisorie. Se questa non è l’etim. di vb. scoffiottare, non so quale altra gli si potesse assegnare.
Scopina, mezza pinta (Redi, Op. 7, 120). Venne nel 1600 da fr. chopine misura pei liquidi, e specie pel vino. Risponde a fr. vall. sopeinei. Il fr. chopine, usato già nel secolo 13º, proveniva da afr. chope svoltosi da t. Schoppen rannodantesi a vb. schöpfen attingere.
Scorbuto, sorta di malattia che attacca specialmente le parti membranose (Dudley Arcano del mare † 1639, Redi). Rispondono: sp. port. escorbuto, fr. scorbut (sec. 16º, Oudin), ing. scurvy. Il Diez rimena queste voci ad un’etim. basso-tedesca, dove troviamo: ol. scheurbuik, sv. skoerbing, bt. scharbock, donde tm. Scharbock. Il Kluge sospetta che ol. scheurbuik sia derivato da bl. scorbutus; ma questo non appare nel Ducange, nè, ch’io sappia, in alcun altro glossario del latino medioevale. D’altra parte se venisse dal bl., come spiegherebbesi la tarda comparsa nel fr. e la più tarda ancora in it.? È chiaro dunque che il nome proviene dal nord dell’Europa; e l’essere stato un Inglese il primo che usò tal voce in it., e proprio parlando di cose di mare, mi conferma anche più in tale opinione. Il Kluge analizzando ol. scheurbuik vi scopre scheur fenditura, e but osso. Crede poi che la terminazione buik sia dovuta ad un ravvicinamento popolare con buik = tm. Bauch ventre.
Scosso grembo, seno (dial. lomb.). Provenne da aat. scôz scôzo scôza, mat. schôz grembo o falda d’un abito, grembo; donde tm. Schoss Schooss grembo falda. Paralleli all’aat.: got. skauts skaut frangia lembo, anrd. skaut punta cima falda dell’abito, Möbius 338; ags. skéat punta angolo d’un paese, Grein 2, 405, ing. sheet pezzo di tela, coperta, ol. schoot grembo falda, bt. schote sorta di gomena, afris. skât schât skut sciote falda d’abito, Richthofen 1021; sv. sköte skôt grembo, angolo della vela, dan. skiöd grembo, skiöde sorta di gomena. Spettano a rad. ger. skut donde aat. scîozan tm. schiessen gettare, il quale concetto servì di fondamento per l’applicazione ad oggetti che presentavano un “alcunchè di sporgente”. Dal ger. svolsersi oltre a lomb. scosso, vall. hô [da hot] grembo, sp. escote taglio rotondo fatto ad un abito, escotar fare un tale taglio. Indubbiamente è voce venuta coi Longobardi.
Scotolare, battere il lino o la canape (Cresc., Lippi). Risponde solo vb. vall. scuturà scuotere, abburattare. Il Diez lo trasse da vb. aat. scutilôn, donde mat. schüteln scuotere crollare squassare, tm. schütteln d’ug. sig. In questo caso è chiaro che in t. il vb. sarebbe anteriore al nome scotola che si sarebbe formato da esso. A me invece parrebbe che il nome scotola dovesse essere anteriore al vb. e che avesse potuto formarsi da vb. scuotere senza bisogno di pensare ad un’orig. ger.
Scotta1, siero non rappreso che avanza alla ricotta (parola d’uso com.). Il Caix la trae da mat. scotto, cacio fresco, giuncata di siero di dolce latte; e trae poi lom. sota d’ug. sig. dalle forme mat. schotte, bav. tm. Scotten. Lo svizz. die schotte secondo Stalder 2, 349 significa “la parte acquosa del latte restante dopochè la parte grassa s’è quagliata ed è stata tolta via dal pajuolo”. Pressappoco è adunque di sig. uguale all’it. Il Wackernagel nei Kleine Schriften 3, 297 pensò a trarre il vocab. ger. insieme con it. scotta da bl. excotta; ma poi nel Wört. 252 d’accordo col Weigand 2, 633 lo rapporta a vb. aat. scutian spandersi. Cita in appoggio il turingio die milch schüttet sich = le parti grasse si separano mediante la coagulazione dalle acquose. Evidentemetite siamo dunque di fronte ad un vocab. ger., che ci venne forse pel tramite longobardo.
Scotta2, sorta di cavo o gomena attaccata alla vela che allentata o tirata regola il cammino (Ariosto, Segneri). Paralleli: sp. port. escota, afr. escota, fr. escote écoute. È d’orig. basso-tedesca ove troviamo: m. ol. skote, ol. schooten, dan. skiöde, sv. skot: indi tm. Schote. L’ags. presenta scéata, ing. sheet d’ug. sig. L’ags. è antichissimo a detta del Kluge: ma furono i popoli dei Paesi-Bassi cho ditfusero la parola nel campo neol. pel tramite del fr. nei secoli 14º e 15º. Difatti in fr. compare solo nel sec. 16 e così in it. Secondo sempre il Kluge è in sostanza la stessa voce che aat. scôz donde it. scosso (difatti a tenore della legge di Grimm MTA, alla tenue del got. ags. bt. risponde l’aspirata e spirante dell’at.). Quindi bt. skot = at. scôz. Quest’ultimo poi vedemmo che rinchiudeva anche l’idea di “gomena, cavo”.
Scotto, desinare o cena che si fa alla taverna; pagamento d’essa cena; pagamento, prezzo (Dante, Sacchetti). Paralleli: sp. port. escote, prov. escot, fr. écot. A base delle voci rom. immediatamente sta bl. scotum “imposta tributo”, che ricorre spessissimo e quasi sempre nei paesi ger. Lo troviamo già in una carta di Guglielmo il Bastardo † 1087, poi all’anno 1127 in un’altra di Guglielmo conte di Fiandra e di nuovo in un’altra di Enrico II d’Inghilterra († 1190). Il bl. risaliva evidentemente all’ags. sceot scot donde ing. scot shot, ol. schot d’ug. sig. Accanto ad esso abbiamo anrd. skotr. Il mat. è schoz donde tm. Schoss tributo censo. L’aat. non ce lo mostra; e forse il mat. lo trasse dal territorio bt. Questo nome adunque è penetrato nel territorio rom. solo nel medio evo inoltrato e non colle immigrazioni, del pari che ferlino, sterlino, scellino ed altri nomi di monete germaniche. Il Kluge fa delle parole ger. formazioni da rad. skut gettare fuori, che nell’ags. scéotan mostra anche il signif. secondario di “metter fuori moneta, contribuire”. Quindi radicalmente è affine a scotta2 e a scosso. Il senso it. di “pranzo, cena” si spiega col passaggio da “contributo, prezzo” applicato a denotare l’oggetto che frequentemente si comperava con quel contributo e quella quota.
Scranna, banco, sedia (Dante, Grad. S. Gir.). Voci sorelle: afr. escran écran d’ug. sig. Venne da aat. scrannâ skrannâ, donde mat. schrannê banco tavola, banco del giudice, giudizio; banco e apparecchio dei venditori e compratori Graff 6, 581. Il tm. Schranne = luogo di vendita, piazza del grano. Il bav. ha die schrannen “i mercati” Schmeller 3, 510. L’aat. conosce anche un scrannola seggioletta. Secondo il Faulmann t. Schranne del pari che Schrank armadio stipo, e Schranken steccato arringo, risale a vb. aat. screnhan screnchan donde tm. schränken porre attraverso, incrocicchiare. Quindi il nome verbale avrebbe propriamente significato un “arnese fatto di legni attraversati e incrocicchiati l’uno coll’altro”. Notevole che l’afr. e l’it. presentino anche il senso rinchiuso nell’aat. di ‘“seggio del giudice” (cfr. Dante = Or tu chi sei che vuoi seder a scranna ecc.). Notevole ancora che la forma it. riproduca l’aat. più fedelmente che non fanno il mat. e tm. Un composto it. è ciscranna, il cui primo elemento pare un’aferesi di arci.
Scriccare, fare scoppiare un zolfanello stropicciandolo; spiccar salti. È voce usata a Montese e in parecchi luoghi del Frignano. Secondo me procede indubbiamente dal ceppo ger. e precisamente da aat. * scriccan, in mancanza della quale forma non ducumentata troviamo as. scricôn, aat. scricchen scrikken scrichen, mat. schricken balzare fendersi spaventarsi, da cui tm. Schrick fessura crepatura. Accanto a queste forme ricorrono le rinforzate scrëcchôn scrëchôn mat. schrëcken balzare fendersi saltellare lascivire, e poi aat. mat. screcken far saltare stimolare abbattere spaventare. Quest’ultimo signif. è il solo conservato da tm. schrëcken; benchè nome Schreck valga anche “fessura”. Credo poi che schricchiolare sia un dimin. di scriccare, e che s’attenga a questo ceppo anche scricciolo nome d’uccelletto, che probabilmente fu così chiamato dal suo continuo muoversi e dimenarsi, molto più che vb. ger. aat. scrëchôn mat. schrëcken vale anche “il saltellare e lascivire degli uccelli” (Schade).
Scrocchio, usura (Canti Carnas.). Credo che questo sost. spetti allo stesso ceppo del seguente.
Scrocco, scroccone, chi gode qualche cosa alle spalle altrui senza guadagnarsela (Caro, Cecchi). Rispondono: mil. scroch, lad. scroc astuzia, vb. sard. lad. scroccare acchiappare; poi fr. escroc mariuolo, borsajuolo, astuto ingannatore, escroquer gabbare. Il Diez e lo Scheler connettono il nom. rom. con ol. schrock ghiottone; ma il Diez, notato che quest’ultimo potrebbe anch’essere riproduzione della forma fr., e considerato che l’it. coi suoi molteplici derivati dimostra una tal quale anteriorità al fr. e inoltre che l’it. presenta anche la forma scurcone accennata dal Veneroni, inchina a porre a base dell’it. e quindi del rom. in genere l’aat. scurgo donde tm. Scurke, sv. skurk, gaglioffo furfante briccone. In questo caso sarebbesi avuta questa scala: aat. * scurco, it. scorco scorcone scrocco scroccone. Der.: scroccare.
Sdrajarsi, porsi a giacere per lo lungo (Casa, Buonarroti). Non ha corrispondenti nè in bl. nè nelle lingue sorelle. A base di questo vb. il Diez seguito dal Kluge pone got. straujan stendere, dilatare, spandere. L’irregolarità del passaggio da jan in are anzichè in ire può essere spiegata colle necessità di evitare l’incomodo suono di sdrajre. Piuttosto può fare difficoltà il tardo comparire nell’it. scritto d’un vb. che sarebbe stato importato dai Goti. Accanto a got. strauvian stanno aat. strawjan strewien strewen, donde mat. strowen streuwen, tm. streuen d’ug. sig. al got. Inoltre: afris. strewa, fris. strjjen, ol. stroojen, ags. streovjan, a. ing. strawen, ing. strew, anrd. strâ, sv. strö, dan. ströe. Lo Schade fa di questo vb. un deriv. da nome got. strau, gen. stravis che diè bl. strava luogo d’un cadavere, accennato da Jornandes De Reb. Get. c. 49 a proposito dei funerali d’Attila, e negli Schol. ad Stat. Theb. 12, 64. A questo nome got. rispondono: aat. strau, donde mat. strou, tm. Stroh strato strame paglia; ags. streav, ing. straw. Nel campo indeu. si collegano qui: gr. στρώννυμι στόρνυμι στορέννυμι stendere dilatare, στρώμα tappeto, στρωμνή campo, στρατός campo di battaglia; l. sterno-stravi stendere, stratum stramentum stramen; a. sl. streti stendere, sans. strnâmi stendo. Rad. idg. ster (stro) stendere. Der.: sdrajata, sdrajone.
Sdrucciolare, scivolare, scorrere (Guid. Guin.; Fra Giord.). Non ha rispondenze nè in bl. nè in lingue rom. Da vb. aat. * strûhhalon, mat. strûchelen slrûcheln inciampare, cadere o quasi cadere, pel piede che ha urtato in alcunchè, donde tm. straucheln inciampare, bt. strûckeln strükeln, Brem. Wört. 4, 1071, Schambach Wört. der niederd. Mundart. 215: ol. struyckelen strukelen d’ug. sig.; Kiliaen 649. Pel Kluge si riannettono qui probabilmente anche svizz. stürkle störkle d’ug. sig. Vb. aat. * strühhalon è forma intensiva di aat. strûhhôn strûhhên urtare incespicare, cadere, donde anche bav. strauchen inciampare. Però è dubbio se vb. it. sdrucciolare riposi immediatamente sul vb. ger. o sia piuttosto derivazione it. da nome sdrucciolo. Der: sdrucciol-amento-ante-ativo-evole-evolmente-one-osamente-oso.
Sdrucciolo, sentiere che va alla china, inciampo; lubrico (Novellino, Fra Giord.). Risponde: sp. esdruxúlo lubrico scivolante. Fondamento: aat. *strûhhal, donde la forma storica ampliata strûhlîn, mediante strûhhalin, inciampante scivolante (detto di cavalli); Schmeller 6, 678, Graff 6, 744. Il Diez suppone che l’it. primitivo fosse uno sdruccolo, resosi palatale per raddolcire il suono alquanto incomodo. Il gruppo ger st = rom. sd si presenta anche in sdrajare. Notevole é che l’it. applichi anche alla causa ciò che il ger. applicava solo all’effetto. Il non trovarsi in isp. che il nome, induce a credere che it. sdrucciolo sia riflesso immediato di aat. strûhhal, anzichè deriv. da sdrucciolare. V. questo vb.
Sdrulicare, sdrucciolare (Giuliani); strucchiare sdrucchiare (dial. aret., Redi); sdruguelere (dial. chian.). A base di queste forme il Caix pone un it. * strucolare da * strucare. Quest’ultimo poi risalirebbe ad aat. strûhhôn, tm. straucheln, ol. stronkelen, incespicare. V. del resto sdrucciolare.
Seneppino, beccaccina (dial. lucchese). Il Caix con ragione ne fa una cosa sola con lomb. sgneppa risalente ad aat. sneppa. Il primo e sarebbe stato inserito per raddolcire ed agevolare il nesso sn. V. Sgneppa.
Senno, sapienza, prudenza, sapere intelletto, giudizio, senso, astuzia, inganno, senso comune (Albertano, Dante). Con a. sp. prov. afr. lad. sen [deriv. sp. senado, prov. senat, afr. sené dotato d’intelligenza], riposa su aat. sin [fless. genit. sinnes], spirito pensante, intelligenza mente, animo, senso, coscienza, ingegno, saviezza, arte, pensiero, intenzione, opinione, significato, trattazione intelligente, sentimento. Di là mat. sin e tm. Sinn d’ug. sig. Anrd. sinni = senno, mente, animo, afris. sin. Secondo il Kluge aat. sin non potè essere prestito fatto sul l. sensus, perchè nel campo ger. accanto al nome sta vb. mat. tm. sinnen. Il corrispondente vb. aat. sinnan ha solo il signif. di “viaggiare-tendere-andare”; il che ad ogni modo porta ad ammettere che mat. tm. sinnen abbia preso il suo signif. da aat. sin e non da sinnan. Afr. sen secondo valeva anche “via, strada”, e il Mackel p. 27 il trae mediante un afr. * sent da ger. sinth viaggio cammino. Il rapporto di aat. sin senso a sinnan andare dovechessia, si lascia cogliere sin dai tempi preistorici. La rad. di aat. sinnan si connette a quella di sintha via (v. Gesinde sotto Gasindio-î) in quanto sinnan riposa su di un preistorico sentno. Nel l. sentire rad. idg. sent [v. irl. sêt via] mostra un signif. astratto, a cui s’attiene anche quello di aat. sin. Nel bl. il vocab. ger. non si mostra. Deriv.: senn-ato-eggîare-ino-uccio; dissennato, forsennato.
Sessola, pala di legno onde si servono i marinari per vuotar l’acqua entrata nella nave (Anguillara). Risponde sard. sassula assula. Il Caix lo riporta, nonostante la forte alterazione, ad aat. scherm scûvla che una glossa spiega «pala, vatilla idest serscufla, similis vasis quibus acqua de navibus projicitur.» Graff 6, 459. Strano questo nome ger. marin. che ci viene dal ramo at., e forse coi Longobardi.
Sghembo sghimbescio, tortuosità obliquità (Dante, Uberti). Il piem. ha sghimbo, il bres. slemba d’ug. sig.; ma non ha rispondenze fuori d’Italia. Il Diez respinta l’etim. da l. scambus gr. σκαμβός che non si presta per la sillaba radicale, e da gr. σκιμβός accosciarsi, troppo lontano pel senso, ricorre ad aat. slimb obbliquo bieco storto, non giusto, non in ordine, donde mat. slimp [fless. slimber] slimm, bav. schlimm schlemm d’ug. sig. Il tm. schlimm presenta solo il signif. di “non retto, non in ordine”: i dialetti at. di Svizzera, Baviera, Palatinato mostrano le forme schlimm schlemm sclemmig bieco torto pendente, vb. verschlimmen storcersi o guastarsi, sich schlemmen prendere una falsa piega Schmeller 3, 449, 448; Stalder Versuch eines schweiz. Idioticon 2, 329, 328. Nel campo basso-tedesco abbiamo: m. bt. slim perverso cattivo Brem. Wört 4, 830; poi ol. slim storto curvo non retto cattivo, slimbeen osso storto, slimvoet piede storto, slimbeen collotorto; Kiliaen 595, Kramer 414, ing. slim sottile stenuato astuto, dan. sv. slem astuto cattivo, isl. slaemer cattivo tristo. Il Diez opina che anche sicil. scalembru per sclembru e questo per sclembu obbliquo storto abbia un’uguale orig. Il tema ger. è slimba; la cui storia primitiva secondo il Kluge è perfettamente oscura. Invece lo Schade lo fa indebolimento di slamb; lo Schmidt lo riconduce allo stesso ceppo di slaf sliofan slîfan mediante nasalizzazione; ma, dice lo Schade, questo è difficile, perchè si sarebbe aspettato uno slimpf.
Sgherro, brigante, bravo, smargiasso (Cavalca, Pulci). Di questo nome senza riscontro nelle lingue sorelle il Diez si chiede se provenga da aat. scario capitano. Credo si debba senz’altro rispondere di sì. Prima di tutto è da rilevare cha accanto ad aat. scario lo Schade p. 81 ci offre aat. scaro, donde mat. scherie scherge scherige scherge schere scher, tm. Scherge. Il cangiamento del suono gutt. sc in sg nel passaggio dal ger. in it. benchè raro, non è senza esempi. S’è visto che accanto a it. schiuma qualche dialetto dell’Alta Italia presenta sguma da aat. scûm. Il trapasso dell’a di scaro in e non è neppur esso anormale, e l’avere nel mat. e nel tm. subito questa medesima evoluzione, rende la cosa più verosimile anche per l’it. Pel senso le difficoltà è anche minore. Trovo presso lo stesso Schade che aat. e mat. presentano questa serie di signif. capitano-banditore-usciere-birro-scherano; e trovo che tm. Scherge vale “birro-scherano”; onde ognun vede la quasi perfetta uguaglianza dei sensi dell’it. moderno coi sensi medii e ultimi dell’aat. e del mat. Il processo logico seguito dal vocab. ger. è analogo a quello che scorgiamo in it. bravo che dal suo signif. originario discese anche a quello che ha presso il Manzoni. Il bl. ci presenta le forme scario (Monac. S. Gall. in Vit. Car. Mag.) e scherio-nis (Jura Eccl. Bamberg.), tutte e due nel signif. di “usciere”. Ma esse compajono solo nel territorio ger., nè quindi si può credere che esercitassero alcun influsso sull’it., che dovette probabilmente essere riflesso di aat. scaro per opera dei Longobardi nei cui documenti troviamo precisamente scario scaro “birro, sergente”.
Sghescia, gran fame (neolog. coniato sul dial. lombardo). Forme dial. sono: emil. sghessa, lomb. sgüssa sghiza sgheiza sgajosa, piem. gheisi sard. sghinzu. Fu già notato dal Caix che questo gruppo spettava alla rad. ger. gaid che produsse aat. gît voracità mat. gitze geicz gran fame, tm. Geiz avarizia spilorceria. In quel campo esiste anche vb. mat. gîten gitsen gizen, tm. geisen avarizzare ambire. Dovette venirci dai Longobardi, nonostante che l’aat. non presenti ancora la forma colla spirante z.
Sgneppa sgnep, acceggia, beccaccia (dial. comas.). Risponde: valac. s’ neap. La base è aat. snëpfa snëpfo snëpho, mat. snëpfe donde tm. Schnepfe d’ug. sig. Il vocab. it. s’attiene meglio al grado fonico del bt. quale ci è mostrato dall’ol. sneppe, m. ing. sníppe, ing. snípe. La rad. ger. è snipp; a cui è da annettersi forse anche ags. snite ing. snite acceggia. Evidente è l’importazione longobarda.
Sgraffa, unione di pezzi di piccole linee che nella stampa raccolgono diverse linee (neolog. ricorrente già nel Tramater, 1829). Procedette, a detta del Caix, da aat. chráffo chraffo come grappa da aat. crapo. Io credo sia una cosa sola con graffio premessavi la s come spesso si fa in it. Sul vocal. ger. v. graffio e grappa.
Sgretolare, aprire rompere tritare stritolare (Pulci, Cecchi). Senza rispondenze nel bl. e nelle lingue sorelle. Il Caix lo riferì al ceppo ger. che presenta: aat. scrôtan scrôten scrôtin, mat. schrôten schrôden tagliare incidere sminuzzare ags. scréadian ing. shread shred tagliar via fare in pezzi trinciare, tm. schroten rodere sminuzzare coi dentì macinare, afris. skrêda ol. schroeyen schrôden tagliar di sbieco infrangere coi denti. Sgretolare parrebbe dimin. di uno * sgretare. Der. sgreto-lio-loso.
Sgrollone, acquazzone, romanesco sgrullone. Il Caix gli paragona got. skûra anrd. skûr pioggia, ags. skûr scéor tempesta procella aat. scûr tm. Schauer, ing. shower, ma non osa farne un derivato; e difatti sono due ceppi troppo difformi l’uno dall’altro perchè si possa parlare di un’etim. anche solo probabile.
Sgualembare, camminare incerto incespicare, sgualemba veste che pende da un lato. Base: aat. slimb (schlimb) obbliquo, dial. schlemm vb. schlemmen correre in direzione obliqua. Da schlimb si venne a * sclemb indi a * scalemb e di qui finalmente a sgualembare. Parallelo a questa forma sarebbe lomb. sgalembar d’ug. sig. e che il Diez trae parimenti da slimb. Qui pure s’annoda bresc. slemba lastra tagliata di traverso, e le voci allembare torcersi, lembe barcollamento proprie del dialetto della Versilia, nelle quali è caduta la s, caso non infrequente.
Sguancio scancio schiancio schincio, tortuosità, sghembo; per traverso (Sacchetti, Allegri, Vasari). Non ha rispondenza nelle lingue neol. Risale al ceppo di mat. swanc [k], tm. schwanck “pieghevole, sottile, svelto, facilmente cedente”; sv. svank tortuosità, incurvatura, ol. zwanken volgere, torcere; e più lontanamente di mat. swankel, ags. svoncon, anrd. svang-r d’ug. sig. La rad. è svink swing che mostrasi in vb. tm. schwingen vibrare brandire: perciò nota il Kluge, mat. swanc tm. schwanch vale propriamente “facile ad essere brandito, pieghevole”. Da quest’ultimo concetto è breve il passo a quello di “torto”. Le due ultime forme it. sono trasformazioni popolari della prima. Il Diez riferisce a questo ceppo anche sic. sguinciu nap. sguinzo, dial. Alta Italia sguignlo floscio vizzo; ai quali raffronta dubitativamente sp. esguime. Tutte queste forme sarebbersi svolte da sguancio per ablaut o digradamento della vocale tematica. Però ammette che possano anche essere riproduzioni di tm. windisch winsch torto obliquo, ing. squint. Ma la forma e qualche po’ anche il senso, e inoltre la stessa comparsa dal vocab. it. rendono molto più probabile la prima delle due ipotesi. Alla forma it. schincio rispondente foneticamente alla sic. e nap. s’attiene crem. beschinz, e poi vb. schencire. Questo ceppo ger. benchè non appaia documentato nell’aat., dovette penetrare in Italia sin dai tempi dei Longobardi, giacchè altrimenti non spiegherebbesi la sua penetrazione in tutte le parti della penisola anche fra il popolo. Deriv.: scancire.
Siniscalco sescalco, maggiordomo o maestro di casa, scalco, governatore di provincia, tesoriere (Novellino, Latini). Rispondono: sp. prov. senescal, afr. senéschalt fr. sénéchal maggiordomo. Le voci rom. riposano sul bl. seniscalcus vocabolo d’un’estrema diffusione in tutta l’Europa durante il medio-evo ma specialmante in Francia (v. Du Cange), e che ricorre già in un placito di Clodoveo III † 695, nella Lex Alam. 79, 3, 4, negli Annal. Bertin. 785. Ora questo bl. seniscalcus risaliva a got. * sinaskalks, aat. * siniscalh, “il più vecchio de’ servi”. Il secondo elemento s’é già visto sotto Scalco: il primo è got. borgog. sinista “il più vecchio”; forma attestataci da Am. Marcellino che 28, 5 scrive «Apud Burgundios sacerdos omnium maximus appellatur sinistus». Secondo il Grimm Gramm. d. d. Sp. 303 sinista è superlativo plurale di got. * sins sineigs vecchio. Questo proviene da tema idg. seno che appare in ind.: sána vecchio, sanakas antico, arm. hin ἕνος ἔνη vecchio, l. senex; a. irl. sen vecchio, senchos vecchia legge, lit. senas vecchio, aat. mat. sint antico Bopp Gl.3 408; Grimm Ges. d. d. Sp. 303; Curtius3 290. Da afr. sénéschalt il mat. cavò alla sua volta seneschalt scheneschalt scheneschlant, donde tm. Seneschalt. Der.: siniscal-cato-cia.
Sizio, lavoro faticoso (neolog.). Il Caix crede che una tale voce registrata già dal Manuzzi (ediz. 2.ª 1865) riproduca il tm. Sitz seggio, e che sia di recente importazione burocratica durante il predominio austriaco. All’incontro il Tommasèo ci vede il sitio pronunziato da G. Cristo, e riportato anche da Dante, come significante un “lavoro travaglioso”.
Slepa Sleppa, guanciata manrovescio percossa (dial. lombardo. moden. e reggiano). Procedette dal ceppo ger. che diè mat. slape slappe “parte del cappuccio in forma di borsa e pendente giù di qua e di là; sorta di copertura del capo; sorta di cappa”. V. Schiaffo dove s’è discorso a lungo del ceppo ger. slap slapfe fonte tanto di schîaffo quanto di sleppa che sono due riproduzioni delle rispettive forme at. e bt. Noterò che già il Galvani aveva riportato moden. sléppa al ted., ravvicinandogli tm. Schlappe colpo percossa morale. Il Galvani riferiva qui anche moden. slipp slapp nome d’un giuoco corrispondente al rubamazzo. Essendo sleppa voce dialettale, dev’essere d’importazione antichissima, probabilmente longobarda; ed è curioso che da quel popolo alto tedesco ci sia venuta una forma bt.
Slippare, (slippà) scivolare (voce comasca). Riposa direttamente su ger. * slippan presupposto da aat. mat. slipfan slipfen sliffan sliphen, e conservatosi in ags. slipan ing. to slip d’ug. sig. Quindi è allotropo di schippire (v. q. vb.) e spetta alla rad. di tm. schleifen.
Slitigà, sdrucciolare, scivolare (dial. com.). Questo vb. d’evidente importazione longobarda, ha per corrispondenti afr. eslider, norm. élinder d’ug. sig., e risale a vb. aat. slîtan donde mat. slîten e dial. tm. schlittern sdrucciolare sul ghiaccio. Parallelo all’aat. è ags. slîdan a cui si rannoda ing. to slide scivolare [sost. slide sdrucciolo, via di ghiaccio]. La rad. è slid da preger. slidh sdrucciolare che appare anche in lit. sklýdus liscio (detto di ghiaccio), slýsti scivolare, lett. slidas pattino, e in sans. sridh inciampare. Il Kluge osserva che fin dai primitivi tempi nel campo ger. questa rad. fu usata nel senso di “sdrucciolare sul ghiaccio”. La forma it. presuppone uno * slitare. V. del resto Slitta.
Slitta, specie di traino per correre sul ghiaccio (Sacchetti, Baldinucci). È senza corrispondenza nel campo neol. Evidentemente ha per base aat. slita traino, treggia, accanto a cui troviamo aat. slito donde mat. slite, slitte, tm. Schlitten d’ug. sig.; Graff 6, 792. Altre forme ger. sono: bt. slede, slee, slên, slegen, Brem. Wört. 4, 818 ol. slidder sledde, Kiliaen 593; a. ing. slede, ing. sled sledge, Stratman2 446; anrd. slëdhi, Möbius 392, Vigfusson 567; sv. dan. släde. La denominazione ger., dice il Kluge, riposa sulla rad. slid sdrucciolare, esaminata sotto slitigá. Il nome ci venne senza dubbio mediante i Longobardi.
Smaccare, svergognare altrui col palesarne i difetti, avvilire (Caro, Galileo) Proprio solo dell’it. Il Diez fa di questo vb. un deriv. diretto dal nome smacco. Io credo al contrario che risalga immediatamente a vb. aat. smâhan smâhen, far piccolo scemare diminuire; disprezzare ingiuriare disonorare; donde mat. smâehen d’ug. sig., tm. smähen. La ragione si è che nel bl. trovo smacare smaccare (Stat. Cadubrii cap. 12; Stat. Riperiae) nel senso di “indebolire mutilare piagare”, e smaccatura in quello di “mutilazione vulnerazione”. Queste forme bl., riproduzioni evidenti dell’it. parlato (lo scritto, come si è veduto, è posteriore) offrono adunque un senso eguale o quasi eguale al senso di “impiccolire scemare” che è il fondamentale del vb. aat., e che non riscontrasi punto nel nome smacco il quale offre solo quello di “ingiuria scorno”. Nel campo ger. accanto a vb. smähën è rimasto smachten essere debole languire. Deriv.: smaccamento.
Smacco, ingiuria, torto, vergogna, disprezzo (Caro, Davanzati). Non offre rispondenze fuori dell’it. Ha per base aat. smâhî piccolezza, frivolezza, bassezza, abbiettezza; disprezzo, onta, oltraggio, donde mat. smaehe smâch con prevalenza degli ultimi signif. dell’aat., e tm. Schmach insulto, onta, ignominia. Notevole che il tm. lasciata la zavorra dei signif. primi dell’aat., conservò solo quelli che corrispondono appunto agli italiani. Il Diez giustifica il doppio c it. in luogo del semplice c o g coll’esempio di ricco da rihhi e di taccola da tâha. Secondo il Kluge l’aat. smâhi è un astratto formatosi dall’agg. smâhi piccolo, vile, spregevole, a cui sono affini smár piccolo, e ags. smeá, sméalic fino, diligente; quest’ultimo con isviluppo di significato diverso dai precedenti, ed analogo a quello che scorgesi in tm. klein piccolo, che vale anche “fino, elegante”. Lo sv. ci presenta sma piccolo, minuto, smatt d’ug. sig., dan. smaa piccolo. Il tema ger. è smâha smähja. Dall’agg. aat. si formarono molti derivati in quel campo; e tra gli altri vb. smähan visto sotto smaccare. Nel campo indeu. sono confrontati a ger. smâhi l. macer macies macor maciare macere tutti coll’idea di “magrezza, sottigliezza” da tema mac-ro; gr. σμικρός μικρός σμικκός pizzico piccolo, insignificante, da σμεκρός [ger. smâhi = gr. σμήκιος]. La forma fondamentale sarebbe stata smak-ra. Grim, Gramm. 3, 658; Benfey 1, 469; Pott. 2, 390; Schmidt Voc. 1, 108; Fick2 916, 415. Lo Schade paragona poi anche lit. mâzás piccolo, lett. mass piccolo, minuto, apruss. massois poco, a sl. mezinu piccolo giovane, slov. mezinec mignolo; Miklosich 391. Sul singolare svolgimento di signif. assunto dal vb. it. e der. nel bl. v. sotto smaccare. Il nome benchè apparso tardi nello scritto, penetrò certo fra noi anticamente, forse col Longobardi.
Smagare, dismagare, smarrirsi perdersi d’animo deviare allontanarsi costernarsi; errare sbagliare, smarrire o fare smarrire (Dante, Villani). Non ebbe riflessi nel bl. Nelle lingue sorelle rispondono: asp. esmajar perdersi d’animo, prov. esmajar a fr. esmajer esmoyer perdere le forze, berrig. émeger tôrre le forze, sp. part. desmajar cadere in deliquio, ing. dismay d’ug. sig. La base è ger. magan potere, donde got. magan d’ug. sig., aat. magên essere forte. Da magên formossi il composto unmagen: perdere forze indebolirsi a cui logicamente rispondono i vb. romanzi suaccennati che al vb. ger. semplice hanno premesso le particelle privative es des dis invece del gen. un. Perciò, nota il Diez, questo e trastullo sono i due soli casi in cui una parola ger. entrò in rom. come uno degli elementi d’un composto. Il Wackernagel propose di trarre il vb. rom. da aat. smâhjan indebolire abbassare. Ma il Diez osservò che se il senso si presta, dal lato della forma si può opporre che smâhjan avrebbe prodotto smaire, e che da esso l’it. aveva già tolto smaccare. Quanto a vb. ger. in sè, risale a detta del Kluge a rad. mag mug da preger. magh, e produsse oltre alle forme ger. sin qui vedute, aat. as. mugan múgen donde mat. mugen mügen potere, tm. mögen o vermögen potere, Macht potenza, Ohnmacht (corrotto da Unmacht) impotenza svenimento deliquio; più ags. maeg da cui ing. may potere, afris meyen, anrd. mega d’ug. sig. Fuori del campo ger. il Kluge pone come certa l’affinità di mogan con a. sl. moga môsti potere Mikl. 381. Lo Schade accenna anche a gr. μήχος mezzo aiuto, μηχανή macchina, μηχανασθαι macchinare, Curtius3 311. Nel campo rom. numerosi sono i der. dai vb.: prov. esmai emoi, afr. esmai esmoi donde fr. émoi commozione sp. desmayo deliquio spavento. Der. it. smago.
Smalto, composto di ghiaja e calce mescolate con acqua e poi rassodate insieme; materia multicolore che ponsi sulle orerie; cosa dura (Guinicelli, Dante). Con afr. esmal [t] * esmail fr. émail, sp. port. esmalte, valac. smaltz vetro metallico, vetro di smalto, ha per base diretta bl. smaltum smalctus e smalctum ricorrente già in Anastas. Bibliot. † 886 e in Leone Ostiense † 990, e che il Ducange chiosa = encaustum, liquati coloratique metalli pigmentum. = A fondamento del bl. sta poi ger. * smalt le cui forme documentate sono: aat. smelzi smelze fluidezza liquefacentesi liquore; metallo fuso smalto elettro. Il got. era * smalteis smelti. Un tal nome non rimase nè nel mat. nè nel tm.; poichè tm. Schmalte è ripercussione del vocab. it. Il Mackel crede che ger. smalt spetti a rad. ger. smelt come aat. malz as. anrd. malt, agg. mealt si riferiscono a rad. affine melt, ing. to melt. L’origine di bl. smaltum da l. maltha calcestruzzo smalto, è dichiarata poco probabile dal Diez; il quale, notato non esservi nulla in contrario nè per parte della s prefissa, nè per il passaggio nella seconda declinazione; aggiunge poi che il senso dell’it. smaltire = indurarsi, s’attiene logicamente più a vb. ger. smaltian che a l. malta, e che fr. émail si lascia trarre benissimo da ger. smalt mediante inserzione dell’i attratto dall’a, e mediante apocope del t; ma non da l. malta. Anche lo Scheler sostiene l’opinione del Diez specialmente fondandosi sulla contestura del nome fr. che s’accorda col ger. e non col l. Inoltre rileva l’uguaglianza perfetta dei signif., valendo ger. smaltjan fondere, e smalto essendo “vetro fuso”. Il Mackel fa di ger. smalt un presupposto necessario delle forme fr.; perciò, ammessa l’unità di gruppo dell’it. col fr., l’orig. ger. è fuori di quistione. Der.: smalta-re-to; smaltire.
Smalzo, burro (dial. venez.). Da aat. smalz grasso, strutto, burro. Di là mat. smalz tm. Schmalz d’ug. sig. L’ags. e anrd. è smolt. La radice e le affinità si sono viste sotto smalto.
Smarrire, perdere con isperanza di ritrovare sbagliare dimenticare; uscir di strada perdersi d’animo affliggersi sbigottirsi affannarsi oscurarsi (della vista) scolorirsi (Dante, Fra Giord.). Paralleli: prov. afr. marrir errare perdere la via, prov. afr. esmarrir; lad. smarrir perdere, sp. marrar smarrire impedire marañar errare, partic. marrido amarrido turbato, prov. marrit, piem. mari, pic. amari fr. marri pentito. Il Diez unisce qui anche sp. port. amarrar fr. amarrer legare una nave: amarra amarre gomona. Base: ger. marrjan donde ant. marrian marran marren merran merren, as. merrjan merrëan ags. mearrjan mat. marrên merrên impedire ritardare fermare legare; distruggere errare. Il got. è marzian inciampare scandalizzare. Il bl. ci presenta vb. marrire già all’an. 802, in un Cap. di Carlo M. che ha legem bannum praeceptum marrire = disturbare offendere la legge. Questo bl. marrire fu molto usitato nel medio-evo come i deriv. marritio danno detrimento dolore, e marritus liquefatto fuso; ma solo nel territorio fr. e tedesco, mai nell’it. L’it. smarrire presupporre un marrire che non è documentato, ma che è reso non solo possibile ma probabile dall’esistenza dei deriv. antiquati marrimento sbigottimento (Brunetto L.) e marrito sbigottito (Guittone). L’ipotesi riportata dal Ducange che vb. bl. marrire proceda da nome l. marra zappa, è insostenibile per senso e per forma. Il tm. ha perduto il ceppo marrjan; ma lo conserva l’ing. in to mar. Der.: smarri-gione-mento-tamente-to, smarruto.
Smucciare, sdrucciolare, scorrere, sfuggire (Fra Giord.; Boccaccio). Il Caix lo rannoda a fr. musser nascondersi che il Diez trae da t. mûzen, e il Grandgagnage da mat. muchen agire ocultamente. L’it. peraltro si scosta un po’ dal signif. del fr. ed anche del t., ma il lad. micciar svignarsela, fa il parallelo all’it. pel senso, e conferma l’unità del gruppo e dell’origine. V. mucciarsi.
Snello, agile, destro, leggiero, sciolto (Brunetti, Dante). Rispondono: prov. esnel irnel, afr. isnel ignel enel lesto, svelto, destro, norm. inele d’ug. signif. È ignoto al bl., pare tuttavia che sia d’imprestito antichissimo, ponendolo il Mackel fra quelli del primo gruppo. Deriva da ger. snël (l) che produsse: aat. mat. snël lesto, agile, veloce, spedito, pronto; difficile a prendersi, premuroso, vivace, gaio, vigoroso, alacre, forte; tm. schnel rapido, veloce, presto. L’as. era snël snëll, l’ags. snëll d’ug. sig., scozz. snell amaro, anrd. sniallr, sniöll snialt abile, valente, specialmente nel parlare, snilld eccellenza, valentia nal discorrere, snillingr uomo valente, eccellente parlatore Vigfusson 575, Möbius 396. Il Kluge osserva che il significato dell’antico ted. era molto più generale e largo che quello del tm., corrispondendo a “valente”: il tm. ha dunque subito una restrizione di senso analoga a quella di bald. Secondo lo stesso filologo l’origine prima del ceppo ger. è oscura. All’incontro lo Schade lo riporta a tema snëlla, got. snilla, da snil-na, e fa di quest’ultimo un indebolimento di snäl-na coll’idea generale di “rapido movimento”. Snal risalirebbe poscia a snar stretto, piegato. Dal concetto di “restringimento, piegamento forzato” sarebbesi svolto quello di “movimento rapido” a cagione della dilatazione elastica che poi ne segue. Questo ger. snêl ebbe in quel campo una grande germogliatura, che mi pare utile riportare per metterne in evidenza il parallelismo logico coi derivati italiani. Abbiamo dunque aat. mat. snëlheit, tm. Schnelligkeit rapidità, snellezza; aat. snëlh, mat. snëlle agilità, leggiadria, robustezza; aat. snëllo, mat. snëlle, snëllecliche-lichen snellamente, rapidamente, coraggiosamente; aat. snellih strenuo; snëllîcho, mat. snellîche snëllîchen rapidamente, prontamente; mat. snëllemüetekeit precipitazione; aat. snëllen vigoreggiare; mat. snëllen produrre un rapido movimento, commuoversi prontamente, mat. snëller che produce un rapido movimento. Vedesi di qui come il ted. dall’agg. abbia cavato anche dei vb., il che non è accaduto nelle lingue neol. Il Diez crede che nelle forme fr. sia entrato come modificatore un ravvicinamento popolare fatto con l. ignitellus e anhelus. Deriv.: snellamente, snelletto, snellezza.
Sogna (antiq.), cura pensiero (Rim. di Mazzeo Ricco da Messina, sec. 13º). Rispondono: prov. sonh afr. fr. soîn d’ug. sig.; più vb. fr. soigner curare e il composto essoigner. Base immediata del rom. è bl. sonia sunnia sunnis impedimento legittimo, ricorrente già nella Lex Sal. e Rip.; il quale alla sua volta riproduceva ger. sunja, sdoppiatosi in got. sunja verita santità giustizia, as. sunnëa impedimento ostacolo, aat. sunnja sunne necessità legale, impedimento legittimo riposante su verità per non comparire in giudizio, anrd. syn ostacolo, m. ol. sinne, afris. corrotto skine schin skinnige impedimento legittimo. Lo svolgimento logico dei sensi è dunque il seguente: verità — impedimento vero — intrattenimento sopra un oggetto che fa ostacolo — pensiero cura. A dir vero ci sono dai passaggi un po’ duri. Ma storicamente sono certi. Quanto al Ducange che avendo trovato bl. somnium spiegato con gr. φροντίς pensiero, credette doversi il ceppo in questione riferire a l. sommniare; il Diez osserva che questo bl. somnium potè essere foggiato su bl. sonium forma secondaria di sonia, e che ad ogni modo da somnium sogno, non si potrebbero cavare i signif. dei composti. Io credo del resto probabile che il sogna anziché essere venuto in Italia coi Germani invasori, sia niente altro che riproduzione di prov. sonh sonha o di fr. soigne, poichè da una parte sogna ricorre una volta sola, e in autore che facilmente era imitatore dei Franco-Provenzali; dall’altra parte bl. sunia le forme sorelle sono comunissime in tutto il medio-evo sul territorio fr., dove diedero origine a un altro composto bl. e fr. anch’esso diffusissimo, cioè bl. exonia, fr. essoigne essoigner. All’incontro sul territorio it. troviamo sunnis solo in Lex Long. lib. 2, tit. 47, soniare in una glossa alle medesime leggi. Sul terrt. fr. soniare ricorre all’an. 779 in un Cap. di Carlo M.: sunnis s’incontra in Carlo M.; sonnia in Marculphus † 660; sonia in Clodoveo III, sonium in Tab. S. Florent. 1198; soinus sonius in una legge di Enrico I d’Inghilterra. Nel Ducange alle voci soniare e sunnis può vedersi la gran varietà di forme e l’immensa diffusione che presentò questa voce nel territorio francese, ragione questa che indusse il Grimm a darla per parola franca.
Solcio, sorta di condimento e di vivanda (M. Aldobr.; Fr. da Barberino). Risponde il solo prov. solz soutz “carne in aceto”. Venne da aat. sulza, sultz, salsuggine, conserva, gelatina, donde mat. sulze, tm. Sülze conserva, gelatina. L’anrd. presenta sulta di signif. ug. all’aat. Il nome aat. si svolse mediante apofonesi da nome salz sale, a cui rannodansi pure aat. salzan salare, condire. Il tema ger. è salta, e fuori del campo ger. rispondono: asl. russ. solì, serb. so [genit. soli] cz. sul, pol. sol sale; a. ir. solann, cornov. haloin, cimb. halan sale; l. sal sale, gr. ἅλς sale mare; sans. saras saram sale. Curtius2 500. Lo Schade fa derivare dal ger. anche fr. sauce salsa; ma qui egli ha preso un abbaglio, indottovi forse da una fallace omofonìa. Crediamo s’ingannasse anche il Redi che suppose solcio venuto direttamente dal prov.; quando al contrario la poca frequenza con cui ricorre la voce in prov. ci fa piuttosto credere che l’it. procedesse immediatamente dall’aat.
Sornacare-chiare, scatarrarsi, russare (Jacopo da Todi, Medici L.) Risponde emil. surnicé. Il Caix lo cava da mat. snarchen, schnarchen sbuffare, russare, al cui ceppo spetta anche ol. snarken d’ug. sig., anrd. snörgl rumore di chi russa, al quale ultimo è vicinissimo tirol. snorglè. Sornacare pare evoluzione ulteriore di * snarcare riproduzione immediata del ger. snarchen. Al signif. di dialet. ted. norimberghese schnorkeln risponde sost. sornaca “chi parla nel naso”. Pare adunque che sornacare esprimesse dapprima il ‘“rantolo catarroso di chi russa”.
Spaccare-rsi, fendere, scoppiare (Berni, Ambra, Davanzati). Fra le lingue neol. lo possiede solo l’it. Il Diez lo trae da mat. spachen fendere, fare scoppiare, a cui risponde bt. spaken d’ug. sig. e bav. spaken scoppiare. L’aat. non presentando il vb. ma solo il nome spacha, il Diez a ragione sostiene che il vb. ger. sia entrato in Italia nel tardo medio-evo; il che resta confermato dalla comparsa che l’it. fa nello scritto. S’aggiunge ch’esso è ignoto al bl. Il nome aat. è spachâ, spahhâ, spachhâ, spachô germoglio o cespuglio secco ed arido, scheggia, ramo, bastone; donde mat. spache d’ug. sig. tm. spach accennato dal Faulmann che vale “che balza e scappa per l’aridità”. Troviamo inoltre in quel campo: ags. späc sarmento vimine, ol. spaecke, stanga, at. spachen, spachten verga, bastone. Il concetto di “secchezza aridità” si cambiò in quello di “scoppio, fenditura” che ne è l’effetto. Deriv.: spacc-amento-ato-atura; spacca-mondo-monte-sassi.
Spalto, pl. spaldi, sporto, ballatojo, pavimento, suolo, scarpa o pendio di muro, tavolato sopra un muro (Dante, Buti). Il bl. spaldum-dus (an. 1320) è riproduzione dell’it. Rispondono soltanto veron. e venez. spalto d’ug. sig. Il Diez si chiese se venisse da aat. spalt donde mat. spalt tm. Spalt fessura, crepaccio. Ci pare si debba senz’altro rispondere di sì. La forma è evidentemente corrispondentissima. Il senso poi, per quanto a prima giunta sembri totalmente diverso, deve fare poca difficoltà, poichè è ovvio scorgere quale concetto unisca i sensi presentati dal vocab. ger. e dall’it. Difatti il signif. di quest’ultimo “sporto, tavolato” che, come vuole il Diez, era originariamente quello di “merli intagliati”, si può facilmente riannodare a quello del vocab. ger. che in principio doveva essere di “cosa tagliata, fessa, spaccata”, essendo certissimo che il detto nome si svolse da vb. aat. spaltan spalten, mat. tm. spalten fendere, spaccare; benchè poi per una deviazione curiosa il nome siasi ristretto a denotare “fessura, spacco”, mentre il derivato it. denota la cosa fessa o spaccata, ovvero un oggetto fatto di cose fesse o spaccate. Molto più che parecchie voci ger. indubbiamente affini ad aat. spalt, cioè got. spilda mat. spëlte anrd. spialda valgono “scheggia, tavola, asse, e tm. Spalte vale “colonna”.
Spanna, lunghezza della mano aperta e distesa dall’estremità del mignolo a quella del grosso; mano; piccola quantità (Dante). Rispondono: afr. espan, fr. empan, vall. aspagne. Queste voci non hanno però sempre signif. perfettamente uguale all’it. Così afr. espan = sorta di misura di lunghezza; vb. lad. spaniar = distendere. Già il Menage e il Ducange intravvidero la deriv. del vocabolo rom. da aat. spanna donde mat. spanne tm. Spanne, palmo spanna. Il Diez respinse l’origine dal gr. σπιθαμή che avrebbe dato spimma o spemma, e da l. spandare che sarebbe accettabile per la forma fr. ma non per l’it., e osservò che solo il comas. spanda può riferirsi al lat. Quindi approvò l’orig. ger. Lo Schade p. 847 ci mostra aat. spanna — larghezza della mano distesa. Questo signif. identico a quello dell’it., aggiuntavi la perfetta uguaglianza della forma, non lasciano alcun dubbio sull’orig. ger. della voce in discorso, e difatti ora è ammessa da tutti. L’anrd. ci offre spönn genit. spannar. Il Diez trae fr. empan da mat. span distesa allargamento, che però è della stessa radice. Invece il Mackel lo ritiene sost. verbale da * espaner svoltosi da vb. aat. spannan. Da quest’ultimo certamente s’era formato il nome aat.; e da esso provennero mat. tm. spannen tendere, stendere, stirare. Vb. it. spannare s’attiene a pannus, e non ha nulla che vedere con spanna: quindi erra il Mackel a farne un deriv. Bl. spanna spanus spana ricorre in Radulfo De Gest. Frid. I; ma anche in territorio it., per es. in V. B. Torelli Poppiensis; Stat. Placent.; quindi è anteriore all’it. Der.: spannale.
Sparagnare sparmiare risparmiare, spendere con parsimonia sicchè avanzi parte delle entrate; mettere da parte e tenere in serbo (Brunetti, Jacopone). Paralleli: lad. spargnar a fr. * esparagnier, forme docum. sparaigner esparigner espargnier pic. esparengier, fr. épargner da espargner, borgog. reparmêr d’ug. sig. Il bl. ci offre solo spargnia che però è ricalcato sul corrispondente vocab. francese, ricorrendo solo in quel territorio ed all’an. 1409.. Il Diez riportò il vb. rom ad aat. sparôn sparên, donde mat. sparen sparn tm. sparen d’ug. sig. Però riconobbe che il modo della derivazione restava molto oscuro, come quello di lomb. caragnare da carôn e di fr. lorgner da luren. Lo Scheler crede a fr. espargner contratto da esparigner e questo da un primitivo esparer, il quale ultimo procederebbe dall’agg. primitivo sparin da cui esparin espariner esparinier esparigner, donde finalmente espargner. Accetta poi l’opinione dell’Ulrich, il quale nella Zeits. III 266 propone un tipo aat. * sparanjan derivato da sparên come propone un * luranian per fr. lorgner. Anche il Mackel mette a base del vb. in questione un ger. sparanjan; ma di questo fa un deriv. non da vb. sparôn ma da nome * spara donde aat. spar sparî sperî, mat. spare spar parsimonia frugalità astinenza semplicità, e ciò per la ragione che i vb. ger. in anjan injan sono tutti denominativi. Il ceppo ger., oltre alle forme viste fin qui, ne sviluppò parecchie altre come vb. ol. sparen ags. sparian, ing. to spare, anrd. spara risparmiare astenersi; inoltre tm. sparsam spärlich parco scarso tenue, Spärlichkeit frugalità Sparsamkeit parsimonia. All’agg. del tm. rispondono: ags. spär anrd. sparr, poi bav. sper spörr spör stretto scarso povero asciutto arido dal secco. Lo Scheler osserva che al vb. rom. è molto più vicino il ceppo ger. che non lat. parcere, che del resto al pari del tedesco procede da sans. sparc stringere serrare. Il Kluge poi respinge l’affinità del ger. con gr. σπαρνός disperso raro, proposta dello Schade. Der.: sparagno, risparmiamento, risparmio.
Sparviere-o sparaviere, sorta d’uccello di rapina (Novellino, Brunetti, Dante). Rispondono: prov. esparvier, cat. esparver, asp. esparval, afr. esparvier espervier fr. épervier d’ug. sig., lad. sprer avoltojo. Le voci rom. immediatamente riposano su bl. sparvarius ricorrente già in Lex Salic. tit. 7, Lex Bajuvar. tit. 20, e in Capit. di Carlo M. an. 802. (Le altre forme bl. essendo relativamente tarde, anzichè aver servito di base alle lingue rom., ne sono riproduzioni: tali sono: sparverius (?) di Papia, sprevárius di Irminon abb. di S. Germano; sparaverius in territ. ital. e quindi riproduzione di it. sparaviere, espervarius in territorio fr. ing. e quindi riproduzione di fr. espervier). Il bl. a sua volta risaliva direttamente a ger. sparvâri, [got. sparwareis] donde si svolsero: aat. sparwâri spariwâri sparwâre sparewâre, mat. sparvaere sparewaere sparwer tm. Sperber, sorta di falco vivente di passere, ol. sperwer. Era questo un composto, il cui secondo elemento ari = tm. Aar valeva dapprima “aquila”, poi in generale “falco”. Il primo era ger. sparwan, donde got. sparwa, aat. sparo, mat. sparwe, spare spar, dimin. sperlinc da cui tm. Sperling passero; poi ags. spearwa ing. sparrow, anrd. spör, sv. spar, dan. spurv spurre lad. spar. Al tema sparw il Kluge pone a base rad. spor trimpellare, sgambettare, il Faulmann rad. sparg, aggirarsi affine a gr. σπέρχω; e nell’uno e nell’altro caso il passero sarebbe così stato denominato dalla sua vivacità che il fa muovere di continuo. Cfr. l. passer che pare connesso con passus, e gr. στρουθός significante ad un tempo “passero” e “struzzo”, come uccelli di corsa. Da tutto questo appare che ger. sparwari valeva propriamente “falco dalle passeri”, analogamente ad ags. spearhafoc ing. sparrowhawk sparviere. Der.: sparv-ierugio-ieratore.
Spia, chi in guerra osserva gli andamenti del nemico per riferire, speculatore; delatore rapportatore; contezza, avviso, denunzia (Dante, Villani). Con sp. prov. espia afr. * espie, fr. epie notizia, avviso, procedette da aat. spëha mat. spëhe, spëch, spê ricerca, esplorazione, scoperta, agguato. Nel tm. il vocabolo è sparito; ma l’ol. conosce spie, spide, benchè, almeno circa la prima forma, si possa dubitare che sia riflesso ripercossosi dal rom. Circa il vocab. ger. in sè vedi spiare. Il bl. spia è riproduzione dell’it. e ricorre all’an. 1283 negli Annal. Genuen. del Doria, e poi al 1313 nelle Histor. del Corio. Però lo troviamo anche nel territorio franco-prov. all’an. 1343 in Charta tabul. di S. Vittore in Marsiglia col signif. di “esplorazione” tutto proprio del fr. Sul ceppo ger. v. spiare. Il fr. espion secondo il Mackel sarebbe riproduzione del corrispondente it. Der.: spion-aggio-e.
Spiare, cercare diligentemente i fatti altrui; investigare segretamente (Novellino, Dante). Paralleli: sp. prov. espiar, fr. épier da afr. * espier, lad. spiar, indagare. Il bl. spiare secondo Ducange e Favre è riproduzione dell’it. Procedette da ger. spëhon donde mat. spëhon tm. spähen, osservare, spiare. In quel campo c’è anche aat. as. spâhi, mat. spaehe prudente esperto. Spetta a rad. ger. speh vedere, la quale per mezzo del lat. spec che appare in specio speculum e derivati, e sans. spac vedere e forse anche gr. σκέπτω per σπέκτω, viene provata come idg. primitiva. Deriv.: spia-mento-tore.
Spiedo1-e, arme in asta con ferro acuto posto in cima ad un bastone per ferire i cignali, usato più tardi in guerra (G. Villani, Petrarca). Rispondono a fr. espier espieut, prov. spiaut, fr. espiet espié d’ug. sig. Il bl. è spedus d’ug. sig., Stat. Pistoj. an. 1107, spetum Stat. Moden., speutum in Chart. fr. an. 1343, spitum Gloss. Cambron., spitum Chart. oland. an. 1287; e spietus nelle Gloss. Theotis. del Lipsio che lo spiega per “hasta”. Riposa su ger. spit differenziatosi in spioz spëoz spiez, mat. spiez asta bigordo, tm. Spiess d’ug. sig. Altre forme ger. sono: got. * spíuta (da cui direttamente afr. espiet lancia), anrd. spiót per cui ags. spréot, poi sv. spiut dan. spyd d’ug. sig., anrd. spŷta cavicchio regolo. La forma afr. espier crede il Diez possa essere stata influenzata da aat. sper [tm. Speer] lancia: certo non potè provenire da l. sparum che non fu conservato neppure dalle lingue sorelle. Il Mackel pag. 127 opina che tema ger. * speuta, cangiatosi in * speot donde tosto aat. * spiot spioz, passasse in bocca ai Romani a formare bl. speutum donde le forme it. e francesi, sulla genesi e svolgimento delle quali ultime parla il Suchier nella Zeits f. Rom. Phil. 1, 429 seg.
Spiedo2 spiedone schidone schidione stidione, strumento lungo e sottile in cui s’infilzano i carnaggi per cuocerli (Boccaccio, Cresc., Sacchetti). Le tre ultime forme sono alterazioni della seconda. Paralleli: romag. sped, gen. spiddo, sard. spidu, napol. spito; sp. port. espeto espedo espiedo d’ug. sig.; afr. * espoit * espois fr. épois la punta delle corna del cervo. Il Diez pur riconoscendo che il gruppo suddetto spetta al ceppo ger. spit donde aat. mat. spiz tm. Spiess, ol. spit, ags. spitu ing. spit schidione; non gli rannodò it. spiedo in senso di “schidione”, od almeno non lo considerò a parte, forse credendo che fosse una cosa sola con spiedo “asta”, e che il senso di “schidione” fosse derivato da quello di “asta”, come del resto pare credano anche i vocabolaristi italiani che non ci fanno sopra alcuna distinzione. Io ritengo al contrario che in it. spiedo si abbia un caso di omeotropia di due voci ger. radicalmente diverse, che per la poca diversità del suono e per la vicinanza dei sensi si sono venute a fondere in una sola. Ed infatti il trovarsi due ceppi ger. uno significante “asta” e l’altro “schidione” entrati nelle lingue rom. sorelle, con forme che anche colà si confondono quasi, rende per me evidente che spiedo “schidione” è totalmente diverso da spiedo “asta lancia”. E questa mia opinione è convalidata dal fatto che anche nel tm. di Spiess che vale tanto “asta” quanto “schidione” il Kluge ha fatto due parole radicalmente diverse, riconducendo Spiess in senso di “asta” a ger. spiuta donde il gruppo rom. visto sotto Spiedo1, e Spiess in senso di “schidione” a ger. spit donde il gruppo rom. che stiamo esaminando. Anche nel tm. abbiamo dunque avuto la fusione in uno di due vocaboli e due ceppi radicalmente diversi; e una tale fusione fu cagionata dalla vicinanza delle forme e dei sensi precisamente come in it. Nelle lingue rem. sorelle non è avvenuto così. Nel campo ger. accanto a tm. Spiess “schidione” esiste anche Spitz d’ug. sig. sostantivizzazione di agg. spitz, e che ha la sua orig. in spitz acuto. Anche il Faulmann stabilisce la diversità radicale di tm. Spiess asta e di Spiess “schidione”. Quest’ultimo ceppo presenta anche la singolarità che tm. Spiess vale “punta del corno della selvaggina”, in corrispondenza con fr. épois punta delle corna del cervo; e che aat. spizzo tm. Spiesser vale “cerviatto fusone”; e questo fatto, osserva il Kluge, induce a credere che un tal senso lo contenesse anche l’aat. Notevole ancora che il bl. spitus non offre giammai il signif. di “schidione”, ma solo quello di “lancia spuntone”.
Spingarda, strumento militare da trarre (Tav. Rit., Pulci). Rispondono: sp. espingarda piccolo cannone, fr. espringarde espringale macchina militare espingarde piccolo pezzo d’artiglieria, espingole specie di fucile. Nel bl. troviamo: spingarda presso Sanuto lib. 2. Chron. Est. tom. 15; e nell’Obsidio Iaderae all’anno 1301; poi springaldus in carta di Edoardo II d’Inghilterra all’an. 1325 e springalis in Geneol. dei Conti di Fiandra presso Marten. tom. 3. Il fr. espringale risale al 1304. Da questo quadro appare primieramente che il nome rom. come la macchina non è anteriore al 1250; poi che la forma primitiva conteneva la r e che quindi era springarda. È dunque da riannodare al vb. springare che si vedrà più oltre, essendo chiaro che, anche dato che le voci neol. sorelle derivassero dall’it., questa non si può in modo alcuno fare dipendere dal vb. spingere che non avrebbe mai prodotto uno spingarda.
Spola, spuola, strumento di legno a guisa di navicella ove con un fuscello detto spoletto si tiene il cannello del ripieno per uso del tessere (Dante, Buti). Voci sorelle: lad. spol, sp. espolin, limos. espolo, afr. espeul espolet; fr. espole espoule coi deriv. époulin espolin espoulin épolet. Però le forme fr. moderne secondo il Mackel sono state tolte dall’it. come dimostra la conservazione della s. Fr. sépoule, già notato come forma di tarda impronta dal Diez, è dal Mackel riguardato come riproduzione di tm. Spule, sicchè l’e sarebbe un caso di Svarabhakti o inserzione vocalica per agevolazione di pronuncia. Oltre a queste c’è anche lor. ehpieule, che secondo il Diez sarebbe copia di afr. espeul equivalendo lor. eh a fr. es; invece pel Mackel la forma lor. sarebbe un parallello dell’it. e avrabbe con essa un’uguale base. Questa base è ger. spola che produsse aat. spola spuola spuolo spola cesto di vinchi da cui mat. spuole e tm. Spule, spola, rocchetto, cannone (delle penne). Altre forme ger. sono: ol. spoel, ing. spool. Il bl. spola appare in Acta S. Bertrandi t. 1, Iun. p. 790, e in Glos. lat. gall. an. 1348. Il vb. mat. spuolen, tm. spulen incannare, è evidentemente denominativo. Quanto all’altro vb. aat. * spuolian spuolen, mat. spüelen tm. spülen sciacquare guazzare bagnare, ol. spoelen, ags. spélan, secondo il Kluge è incerto se si rattacchi al nome in discorso. Invece il Faulmann parte da vb. aat. spuolen “bagnare, nettare nell’acqua, strappare le penne” originato a sua volta da vb. * spalan denudare cui raffronta a l. spoliare. Dal vb. aat. egli poscia fa derivare aat. spuola che secondo lui avrebbe in origine significato “nudità delle penne”, essendo gli altri signif. tutti più recenti. Ma evidentemente qui c’è molta arditezza, poichè i sensi sono poco connessi fra loro. Ad ogni modo il vocab. ger. a noi venne senza dubbio coi Longobardi. Der.: spoletto.
Spranga, legno o ferro che si conficca attraverso, per tenere unite le commessure; lamina per unire (Dante, Villani). Proprio del solo it., di cui è senza dubbio riproduzione il bl. sprancha spranga ricorrente sin dal 1295, in un docum. relativo alla chiesa di S. Pietro in Roma, citato dal Ducange. Il Diez trae questa parola dall’aat. spanga traversa, trave, sbarra, fermaglio, ferratura, con inserzione eufonica e rinforzativa di una r. Dall’aat. procedettero mat. spange d’ug. sig. e tm. Spange fermaglio, borchia. Allo stesso ceppo spettano pure anrd. spong, ags. spange da cui ing. spangle pagliuole, ol. spang. La rad. è ger. spàn scheggia, schiappa. Deriv.: spranga-re-to-tura; spranghet-ta-tino.
Sprazzare sprizzare spruzzare, bagnare gettando minute gocciole, minutamente schizzare; mandar fuori con forza un liquore. (Dante, Buti). Paralleli: dial. sbrizzare bagnare, sminuzzare, lad. sbrinzlar. Questi tre vb. riflettono colla variazione della vocale radicale l’intiera scala apofonetica percorsa dai corrispondenti ger. spratzen, spritzen sprützen che compajono però solo nel mat. e nel tm. Sono pure ignoti al bl. Probabilmente adunque entrarono nei secoli attorno al 1000. La rad. ger. è sprût germogliare che riscontrasi anche in tm. spriessen germogliare pullulare e Sprosse germoglio. Anche tm. Spritz Spritze schizzo schizzatojo, è degno di nota. Pare che questo ceppo sia entrato in it. relativamente tardi: certo non all’epoca delle invasioni. Der.: sprazza-o; sprizzato; spruzza-glia-mento-tojo-tura; spruzz-etto-o-olare-olata-olo. V. anche Sprizzolo.
Springare spingare, sgambettare (Dante, Inf. XIX, 120). Gli corrisponde: afr. espringuer, fr. espinguer ballare, donde fr. espingale “danza” e poi “sorta di macchina da getto”; pic. espringuer saltar dalla gioia. Questo vb. rom. risale ad aat. springan saltare, balzare, zampillare, germogliare, da cui mat. tm. springen saltare, scoppiare, spaccarsi. Spettano pur qui ags. springan e ing. to spring d’ug. sig., anrd. springa. Al tema ger. di questo vb. che è sprang rattaccansi in quel campo numerosi derivati: tali aat. mat. spring, springo springâ springer; sprangian, sprangôn, sprangari, sprengel; sprung, sprungal, sprungelî, sprungezen, sprungezôd. Questo tema passò adunque a traverso l’intera scala dell’ablaut, a-i-u. Nel campo preger. s’ha tema sprangh, spragh. Lo Schade p. 857 fa dei raffronti con molte voci slave che però non sono accettati da tutti. Il Kluge crede invece certa l’affinità di gr. σπέρχεσθαι affrettarsi, σπερχνός pronto furioso, da rad. idg. non nasalizzata sprgh. V. Spingarda.
Sprizzolo, briciolo o micolino di checchessia (dial. montagna moden.; proprio anche di Montale nel Pistojese). Credo che sia voce indipendente da sprizzare, ma che risalga direttamente ad aat. sprizal donde mat. sprizel, scheggia, minuzzolo, bav. spreissel scheggia, germoglio. Il nome ger. é però sempre un deriv. dal vb. ger. visto sotto sprazzare, sprizzare. V. in Cimone corriere del Frignano an. X, num. 20, un mio articolo su questa voce.
Sprone, sperone, sorta d’arnese di ferro che tiensi al calcagno, con cui si punge la cavalcatura, perchè affretti il cammino (Novellino Guittone, Dante). Rispondono: afr. esporon esperon, fr. éperon, pic. esporon, prov. esperô (n), asp. esporon, sp. espolon, port. esporâo. Inoltre le forme senza suffissi: asp. espuera, sp. espuela port. espora. Base: ger. sporo calcare, che presenta l’accus. sporon donde le doppie forme rom. Ger. sporo, da tema sporon, diè: aat. sporo donde mat. spor tm. Sporn; ags. spura, ing. spur, ol. spoor, anrd. spore, tutte voci di signif. identico alle neol. Il Mackel p. 33 crede che questa voce entrasse in rom. per tempissimo; tuttavia può osservarsi che il bl. la presenta in età relativamente tarda; giacchè spourones da sass. spora compare nel testamento di Everardo duca del Friuli (sec. 9º), spora nel testam. di Ramiro re d’Aragona all’anno 1099; e speronus finalmente solo nel sec. 14º, con evidente riproduzione della forma it. Secondo lo stesso Mackel l’e per o in fr. e prov. è dovuta a dissimilazione ed anche all’essere la sillaba divenuta atona. Il Diez sostiene che i vb. it. spronare speronare, sp. espolear, port. esporea, prov. esperonar, fr. éperonner, si sono formati dal sost. rom. corrispondente e non dal vb. aat. spornôn, il quale ha signif. uguale, ma non avrebbe dato origine a forme verbali come le suddette. Quanto al nome ger. in sè, il Kluge p. 355 osserva che a base di sporo sta una rad. verb. sper ‘“urtare coi piedi” che sopravvive nel tm. Spûr traccia, spuren vestigio e nell’ing. to spurn dar calci, sprezzare. Ad essa si rannodano aat. as. ags. spurnan calpestare, a cui è originariamente affine sans. sphur cacciar via coi piedi, gr. σπαίρω sgambettare, l. sperno che però ha preso un signif. metaforico “disprezzare”, lit. spirti calpestare. Qui egli raffronta anche tm. Sperling passero, forse perchè sgambettantesi, dimenantesi. Respinge poi l’affinità con Speer lancia, perchè il valore primitivo di rad. idg. sper è quello di “spingere coi piedi”. Anche lo Schade trae aat. sporo da aat. mat. spor donde tm. Spur vestigio, traccia; e assegna alla rad. rad. spar sparz per rignif. fondamentale quello di “urtare spingere cacciare coi piedi”. I numerosi derivati ger. di questa rad. possono vedersi presso lo stesso Schade p. 854. Deriv.: sprona-re-ta.
Squarrato, fesso (detto di voce). È neol., a cui il Caix dà come affine nap. sguarrare lacerare, mil. sgarà spaccare, rimenando tutto il gruppo ad aat. skërran, mat. skërren grattare, raschiare, fendere, da cui dipendono afr. esquirer, eschirer prov. esquirar sbranare, vall. hiré d’ug. sig., fr. déchirer, pic. dekirer lacerare, sbranare.
Squilla, campanello che si pone al collo degli animali, campana (Dante, Sacchetti, Morelli ). Con lomb. lad. schella, sp. esquila, prov. esquella, esquelha, eschiele campanella sonaglio, immediatamente risale a bl. schilla scella che con altre forme secondarie era dittusissimo nel medio evo. Compare infatti dapprima nella Lex Sal. tit. 29, § 3 «Siquis schillam de caballo furaverit»; poi in Incmaro di Reims, in Ardo Monacus Vit. S. Bened. Anian; in Papia che ha sichillam senza l’u; presso Ariulfo Abb., in Lanfr. Dec. S. Ben., all’an. 1123 in Chart. Basil. Ambros. presso Puricelli, e in numerosi altri scrittori. Il bl. avea a base aat. scëlla sonaglio per diversi usi (per vestiti ed armi di cavalieri, arredi di cavalieri e cavalli, coperta della sella, sproni, guaina, lancia; donde si spiega la frase singolarissima dell’aat. e mat. die schëllen tragen, che letteralmente vale “portar i sonagli” e metaforicamente “essere uomo di stima e di considerazione”). Dall’aat. si svolse mat. schëlle, tm. Schelle sonaglio. Secondo il Waltemath e il Mackel alle forme afr. e prov. stava a fondamento un ger. e abfr. skëlla; ma è chiaro che anche alcune di quelle del bl. e dell’it. richieggono nell’originale ger. una forma colla gutturale forte. Il Diez è d’avviso che l’it. squilla debba la sua forma col qu anzichè col sch, ad un ravvicinamento popolare a l. e it. squilla nome d’un pesce. Si può peraltro osservare che una forma uguale perfettamente all’it. la troviamo parecchie volte nel bl. fuori d’Italia, poichè ci presentano squilla Ardo Monacus in Vit. S. Ben. An. e il Sinodo di Nimes all’an. 1281. Notevole che l’it. ha nobilitato molto il signif. del vocab. ger., giacchè squilla vale “campana”. Il Graff, il Diez e lo Schade riferiscono il nome ger. a vb. aat. scëllan, skëllan, mat. schëllen risuonare, rumoreggiare; tm. schallen schellen d’ug. sig. Vedi squillare1.
Squillare1, sonare, risuonare (Dante, Ottim. Comm.). Proviene da ger. * skëllan [got. * skillan], donde aat. scëllan, scëllen skëllen, schëllen, mat. schëllen risuonare, far rumore. Il tm. schallen d’ug. sig. risale alla forma mat. schallen svoltasi dal nome aat. scal (l) suono, che produsse poi anche mat. schal tm. Schall suono. Altre forme ger. sono: anrd. skialla, nd. skella risuonare per percossa Vigfusson 551, Möbius 379. A questo ceppo, oltre a scëlla donde squilla e a skillings da cui scellino, spettano numerosi derivati riportati dallo Schade p. 787. Il quale Schade confronta col ger. il lit. skalyti latrato acuto del cane da caccia, skalikas cane da caccia forte abbajante, a. pruss. scalenix sorta di cane da caccia Kurschat 1, 203, Fick2 903. Il signif. un po’ diverso mi fa credere che vb. it. squillare sia derivato direttamente dal vb. ger., e non dal nome squilla.
Squillare2, muoversi o volare con prestezza (Ninf. Fies.; Morgante). Questo vb. si deve separare nettamente dal precedente, benchè i vocabolari li confondano insieme. Credo poi sia la stessa cosa con le forme dialettali it.: bol. sguilar scivolare, chian. sguillere sdrucciolare, piem. sghié d’ug. sig., e inoltre col fr. guiler (Saintonge). Queste forme dial. il Caix, indotto dal gu iniziale, le trae da fonte ger., e propone aat. wêllan, mat. wêllen fare scorrere, girare, a cui sarebbe stato prefisso un s rinforzativo eufonico.
Stacca, pezzo di legno a foggia di piedistallo forato per lo lungo, entro il quale si fa entrare l’asta delle insegne e delle bandiere quando hanno a stare per alcun tempo ferme e ritte. In certi dial. (per es. di Piemonte) = fermaglio (Villani). Paralleli sp. prov. estaca, afr. estaque estache palo. Viene da ags. staca stace donde a. ing. stake palo pertica, afris. stake, bt. stake staken stanga, ol. staeck staak. Il Mackel fa osservare che essendo la parola basso-tedesca d’origine, è probabile che prov. estaca, it. stacca, sp. estaca siano tolte l’una dall’altra, e che in ultimo queste immediatamente risalgano alla forma fr. A questa dà per base un abfr. staka. Ad ogni modo egli pone la voce fr. fra le derivate ger. del 3º gruppo: quindi sarebbe di data relativamente recente. Nota poi come non vi sia bisogno di ammettere col Foerster una forma archetipa stakka per ispiegare la conservazione di a e di k. Nel bl. questo nome ebbe gran diffusione, e uno sviluppo grandissimo anche pel senso. Troviamo stacka palo, staca stanga dei duellatori, stacagium stacamentum estacamentum sicurtà dei duellanti, an. 1151 in Francia; stacare munire di pali, Charta di Tolosa a. 1192. Di qui si comprende che se il nome entrò piuttosto tardi nelle lingue rom. scritte, era però già molto usato nel bl. Vb. it. staccare non ha alcuna relazione con q. voce.
Staffa, strumento di ferro pendente dalla sella per cui si sale a cavallo e vi si sta (Novellino 39: Tav. Rit.) Proprio del solo it.; giacchè i vocab. fr. éstafette estaffilade sono riproduzioni dei corrispondenti it. Base: aat. stâffo stapho stapf staph donde mat. staphe stapfe stapf stap passo pedata vestigio orma strada; scalino gradino. Evidentemente l’it. s’attenne solo all’ultimo dei signif. ger. cioè a quello di “scalino per montare”. Il tm. è Stapf, ma di uso rarissimo e col semplice signif. di “pedata traccia”. Immediatamente a fondamento dell’it. sta bl. staffa che compare già sin dal 1170 1177 in Radulphus de Diceto, poi nell’Anon. Salernit., in Federico II. Ma il bl. presenta numerose altre forme affini; tali sono: stapîa stapes stapedes stapedium e staffilus (v. Staffile) staphilus. Nelle forme col p, che del resto rispondono perfettamente a mat. stap, entrò, come nota lo Scheler, un ravvicinamento popolare a l. pes, per la persuasione che il nome significasse qualche cosa “in cui uno sta col piede”. Nel bl. ricorre anche uno staffa in senso di “bastone”; ma questo è riportato dal Ducange e dal Favre ad un altro ceppo ger., cioè a quello di stampf pilo mazza donde stampare, che però è radicalmente unito a questo. Entro al campo ger. dal nome aat. si sviluppò vb. aat. staphôn mat. staphen staffen procedere camminare. Le rad. ger. è stap calcare coi piedi fare passi andare, che scorgesi anche nell’ags. staeppen, camminare, ol. stap passo stappen camminare, ing. step procedere. Il Kluge le riattacca anche tm. Staffel e Stufe passo grado, e ne fa derivare mediante nasalizzazione anche stampfen donde stampare (v. q. p.). La rad. idg. stab avendo potuto presentare anche la forma secondaria stap, pare che asl. stopa originariamente sia stato affine a ger. stapfo. Del resto io credo che staffa sia entrato dal ger. in it. non colle invasioni barbariche, ma intorno al 1000 poichè nel bl. ricorre solo verso quel tempo. Der.: staff-are-eggiare-etta; staffiere. V. Staffile.
Staffile, striscia di cuojo o d’altro attaccata alla staffa; sferza d’ug. materia con cui si percuote. (Medici L., Lippi). Fu riprodotta dal fr. estaffilade. Immediatamente procedeva da bl. staffile, staffilum ricorrente già in Bolla di Bened. IX an. 1033, e in altri scrittori di quel secolo e dei successivi. Nel bl., sin dal sec. 7º, s’incontra spesso anche staphilum come denominazione geografica propria e comune di parecchie località dell’Italia, specialmente bassa, e con significato di “declivio, salita d’un monte”. Evidentemente è sempre lo stesso nome i cui signif. si sono sdoppiati dall’idea generale di “ascesa, mezzo di salire”. La base è propriamente non ger. stapf visto sotto staffa come vorrebbe il Diez, ma stafel mat. staffel, stafel gradino, piedistallo, tm. Staffel piuolo, ing. staple rampo. Quest’ultimo gruppo è però sempre nel campo ger. un deriv. da stapf, staff. V. Schade p. 864.
Stalla, luogo ove si tengono le bestie (Brunetto L., Tesor.). Con sp. estala, aport. stala d’ug. sig. risale a ger. stall che accanto ad altri sensi che vedremo sotto Stallo presentava anche quello di “luogo per le bestie, scuderia”. Ciò emerge chiaramente dalla Lex Visigothorum ove è ricordato «equus ad stallum» che il Ducange traduce giustamente «le cheval à l’écurie». Una derivazione da l. stabulum sarebbe foneticamente irregolare, giacché da quello si sarebbe avuto uno stabbio (cfr. nebbia da nebula, macchia da macula, bacchio da baculus ecc.). Nel bl., oltre allo stallum visto or ora, troviamo nello stesso senso stalla in Vit. S. Bonae e in Io. De Mussis Chron. Placent. an. 1376. Ma evidentemente quest’ultima forma anzichè avere preceduto e generato l’it. fu riproduzione di esso. Un deriv. it. importante è stallone a cui risponde fr. étalon. Circa il ceppo ger. in sè v. Stallo. Der.: stall-are-eggiare-etto-one-oneggiare.
Stallo, lo stare, stanza, dimora, luogo dove si sta, luogo ove si prende posizione, posto, stato, indugio; sedia, cattedra, scanno (Novellino, Brunetto, Dante). Rispondono port. stallo, sp. estalo, prov. afr. estal luogo ove si è, soggiorno, posizione fissa, fr. étal luogo in cui s’espongono le mercanzie. Il senso fondamentale di tutto questo gruppo è dunque quello di “posizione fissa”. Risale a ceppo ger. stall significante propriamente “stazione, luogo, stalla”. Questo ceppo era diffusissimo in tutte le lingue ger. dove troviamo: aat. mat. stal [genit. stalles] luogo, spazio, posizione, puntello, sostegno, da cui tm. Stall stalla, scuderia; poi anrd. stalla, stalla, luogo; ags. steall, stall, ing. stall, scuderia luogo, ol. stal posto forte. Secondo il Kluge il sig. dell’aat. era quello di “soggiorno, luogo di dimora, posto, stallo”; ma l’originario era identico a quello di tm. Stelle della stessa radice, cioè “luogo, posto, sito”. Il ceppo ger. da cui anche tm. stellen porre, collocare, spetta a rad. idg. sthel che dentro al campo ger. appare altresì in still quieto, Stollen colonnetta e Stiel manico, picciuolo. Il Mackel pone il nome rom. fra le parole del suo primo gruppo: è quindi antichissimo; ed effettivamente ebbe una diffusione immensa nel bl. sotto le forme di stallum, stallus, stalla sempre nel signif. di “locus ubi quis habitat sedet aut stat”. Stallus appare già in Francia all’an. 1032 in Charta di Ledoino abb. di S. Vedasto, stallum in Charta di Goffredo vescovo di Langres all’an. 1164, stalla in Regest. Priorat di Cokesford in Inghilterra. Bl. stalla vale anche “sede dei mercanti”, come rilevasi da una carta fr. all’an. 1408. Un composto bl. notevolissimo è installare “porre in seggio” che figura presso il Brompton all’an. 1088; e un deriv. è stallagium “diritto di tributo per lo stallo”. Il tm. Stall ha conservato solo il signif. dell’it. stalla e non quelli di stallo. Il fr. dal suo estal ha cavato derivati più numerosi e più importanti di quelli italiani. Tali sono: vb. étaler porre in mostra perfettamente corrispondente a fiamm. staelen, stellen die waaren porre in vendita le merci, e detaler piegare il bagaglio.
Stambecco, sorta di capra selvatica (Mor. S. Greg.). Rispondono; lad. stambuoh e afr. boucestain con inversione. La base è aat. steinboch stainboch-bok, donde mat. steinboch tm. Steinbock d’ug. sig. Il nome ger. è composto di stein pietra e di bock capra. Quindi vale propriamente “rupicapra” Il bl. stambechus ricorrente negli Stat. Vercell. è troppo chiaramente riproduzione della forma it. Ma lo stambucinus “spettante a stambecco” di Landolfo nell’Hist. Mediol. († 1137) ci fa vedere che il vocabolo era già comune in Italia sin dal sec. 11.º Tuttavia non pare che questa voce entrasse all’epoca della immigrazione dei popoli; e difatti anche il Mackel la pone fra quelle del suo secondo gruppo, vale a dire del gruppo posteriore alla immigrazione e alla Lautverschiebung dell’aat.
Stamberga, edifizio o stanza ridotta in pessima condizione (Bronzino † 1570: Magalotti Lett.). Di questa parola, ignota alle altre lingue neol, il Diez dice solo che dev’essere tedesca a giudicarne dall’ultimo elemento. La difficolta sta in ciò che il ted. non offre una forma stamberg in nessuno de’ suoi tre stadi e in nessuno de’ suoi dialetti. Ma da una parte è certo ch’essa compare tardivamente nell’it. scritto (sec. 16.º); dall’altra é lecito supporre che nell’aat. esistesse un composto stainberg, che risultando da stain pietra, e berg elevazione, verrebbe a significare un “tumulo di pietre”: dal qual senso a quello di “casipola, capanna” il passaggio non sarebbe duro. Quanto alla forma il cangiamento di stain in it. stam ricorre anche in stambecco. Un tal composto, pur non essendo documentato, potè esistere e passare in Italia coi Goti o coi Longobardi, e dopo avere vegetato nei dialetti entrare finalmente nello scritto benchè molto tardi. Nel tm. troviamo anche Stamburg “castello ereditario d’una famiglia”: da questo concetto perchè non sarebbesi potuto giungere a quello di stamberga pel tramite dell’intermediario di “castello vecchio e diroccato”? Il Caix fa di stamberga un composto risultante da stanza + albergo, e crede che sia un caso analogo a stambugio da stanza + bugio. A me un tal composto pare alquanto difficile; prima di tutto perchè il troncamento sarebbe stato troppo forte, e poi anche per il senso; giacchè albergo contiene piuttosto l’idea di “qualche cosa di magnifico e splendido”. Der.: stamberga-ccia-re.
Stampare, fare impronta con materia dura, imprimere, effigiare, formare (Dante, Petrarca). Con sp. port. prov. afr. estampar, fr. estamper, étamper imprimere, forare, sard. stampaì forare, valac. steamp palo da forare, risale a vb. ger. stampôn che produsse aat. stampfôn, mat. tm. stampfen pestare, tritare con mazza o pilo, mazzerangare, calpestare; poi ol. stampen, ing. to stamp, anrd. stappa (per * stampa) pestare, colpire. Il fr. e l’it. rispetto al ger. contengono adungue una forte specializzazione di senso, avendo essi assunta la designazione dell’effetto di ciò ch’era denotato dal vb. originario. Questa specializzazione poi subì anche un’ulteriore determinazione quando nel sec. 15º fu inventata l’arte della stampa; onde oggidì i vocab. romanzi s’usano quasi esclusivamente a questo scopo; mentre i Tedeschi per esso adoperano il vb. drucken, ovvero il nome rom. presse. Il vb. ger. stampôn a detta dello Schade e del Kluge è di formazione nominale da aat. stamph stampf palo o strumento da pestare, da colpire, donde mat. stampf tm. Stampf mazza, pestone, pilo, ol. stamp. Il tema ger. era stamp, indebolitosi anche in stump da cui tm. stumpf mozzo, ottuso, rintuzzato, mutilato. A stamp si riattacano in quel campo oltre a vb. stampôn, stampfôn, stamphari pilo e stemphil tm. Stempel pestello. Il Kluge riconduce tema stamp a rad. verbale stap pestare coi piedi mediante una nasalizzazione. Quindi verrebbe a connettersi con staffa. V. q. parola. Nel campo idg. lo stesso Kluge confronta qui gr. στέμβω pestare coi piedi, e dubitativamente sans. stamba pancone. Lo Schade allega anche lit. stambas stelo dell’erba, stambïena luogo ove nascono o stanno i torsi de’ cavoli. In it. credo che il vb. stampare abbia preceduto o generato i nomi stampo e stampa lungi dall’essersi svolto da essi: e ciò perchè se il nome it. stampo risalisse direttamente a ger. stumpf, avrebbe molto probabilmente conservata la spirante. Il bl. stampa degli Stat. Riperiae é, a detta del Favre, riproduzione dell’it., e lo stesso dicasi di stampus che è anche posteriore al primo, ricorrendo solo nel sec. 16º. Il Mackel crede che la forma fr. éstamper sia venuta dall’it. e lo deduce dall’ iniz. colla es. A ciò si può aggiungere che compare solo nel sec. 16º. Der.: stampa-tore-tura; stampe-ria-tta; stampi-glia-nare-no; stamp-o-one. V. Stampella.
Stampella, bastone degli storpi, gruccia (Buonarroti, Salvini). Il Caix fa q. voce d’orig. ger. certa, e la riferisce a vb. staphôn camminare od al suo derivato staphal base, sgabello, gamba dei mobili, ovvero anche ad aat. stap bastone. Secondo me è da preferire aat. * stamphil donde aat. stemphil mat. stempfel stempel che presenta una forma più omogenea. Il signif. è “mazza, pilo”; ma è divergenza di poco momento. Questa pare voce d’imprestito piuttosto recente; probabilmente ebbe per base immediata mat. stempel, e l’imprestito si fè nel tardo medioevo. Del resto mat. stempel da me proposto spetta al ceppo proposto dal Caix e visto sotto stampare.
Stanga, pezzo di travicello per diversi usi (Boccaccio, S. Greg., M. Villani). Paralleli lad. stanga, regolo, fr. étangues tanaglie, ossia propriamente “qualche cosa che risulta da due stanghe”, valac. steange di sig. ug. all’it. Il fr. stangue è termine araldico che vale “fusto od asta dell’ancora”. Risale ad aat. stanga che produsse mat. stange tm. Stange pertica, asta, sbarra, bacchetta. Altre forme sono: ags. stenge, steng donde ing. stang; ol. stang, anrd. stong d’ug. sig. Il tema ger. stango a detta del Kluge s’attiene alla rad. sting, conservatasi in ing. to sting pungere riannetentesi a got. stiggan e a tm. stechen, v. stecco. Il bl. stanga ricorre solo in territorio it. e in epoca relativamente tarda, ad es. nel Crescenzi † 1310, e nella V. B. Andr. Galerani; dunque riproduce l’it. Quanto al fr. étangues, esso potrebbe secondo lo Scheler provenire anche da fiamm. tange [tm. Zange] tanaglia, con la prefissione dell’es francese. Il fr. stangue poi è certamente venuto dall’it., come deducesi dalla conservazione del gruppo iniz. st, e dalla sua tarda comparsa. A noi stanga fu importato senza dubbio dai Longobardi. Deriv.: stanga-re-ta; stangheggiare; stanghet-ta-tina,; stangonare.
Statolder, luogotenente, governatore. È neologismo venutoci non più presto del sec. passato, e che s’usa solo parlando d’istituzioni e governi di certi paesi ger. (specie Olanda e Impero Tedesco). Con fr. stathouder riproduce direttamente bt. stadhouder, a cui risponde mat. stathalter, tm. Statthalter. È composto di Halter = tenente, e Statt = luogo posto. Secondo alcuni il mat. stathalter sarebbe stato coniato per tradurre fr. lieutenant.
Stecca, pezzo di legno propriamente piano (Boccaccio). È un allotropo di stecco di cui ha la stessa base (v. q. parola); ma il signif. ha subito una forte specializzazione e alterazione. Derivaz.: stecc-aia-ato-one-onaja.
Stecco, spina che è sul fusto o sui rami d’alcune piante; fuscello aguzzo, ramicello secco (Guittone, Dante). Rispondono: napol. sticchetto, annon. estiquete stique, fr. étîquette sui quali v. Etichetta. Ha per base aat. steccho stecko, stekko, stecho bastone, bastoncello, palo, cavicchio piuolo, donde mat. steche, stecche, stecke d’ug. sig. e tm. Stecken bastoncello. Paralleli: ags. staca, sticca ing. stick di sig. ug. ad aat. e mat. Bosworth 210, e ol. stick, steck germoglio, stipite, piccolo tronco, bastone Kiliaen 630-637, bt. stikke bastoncello, palo con fine puntale, chiodo, Brem. Wört. 4, 1021. Evidentemente l’it. ha rimpiccolito e ristretto il signif. del nome ger., il cui tema era stakian e stikian, ed apparteneva al ceppo di stëhan pungere. Quindi in origine valeva “qualche cosa di pungente”. Proveniva da vb. aat. stëchan mat. stëchen, tm. stechen pungere, forare, stimolare, donde vb. causativo stecken ficcare, piantare. La rad. verbale era stek diffusa solo fra i Germani del continente, ma fecondissima avendo prodotto: stichi, stichian, stichil, stikls, stëchal, stëcon, staks, staca, stachulla, steccho, stecchan, stoc, stucchi, stücken, stucheln. Quindi le spettano anche it. stacca, stocco, stucco. Questa rad. ger. stek s’era svolta da stik che a sua volta proveniva da preger. stig, il quale stig fuori del campo ger. presenta anche una torma secondaria tig essere acuto. Le si raffrontano sans tij pungere, gr. στίγμα puntura στίζω pungere, l. instigare eccitare. Nel bl. s’incontra piu volte questa voce e suoi derivati a cominciare dal sec. 13º; ma si tratta sempre di riproduzioni delle voci it. corrispondenti, come osserva il Favre nelle aggiunte al Ducange. Deriv.: stecc-hire-one-a.
Sterlina-o, nome d’una moneta inglese-germanica (Villani, Buti). Risponde afr. estallins, exterlins, estelins, (sec. 13º, 14º). Immediatamente da ing. sterling cui però risponde mat. sterlinc donde tm. Sterling d’ug. sig. L’origine immediata dall’ing. è provata chiaramente da un passo di G. Villani; e del resto basta consultare il Ducange alla voce sterlingus [altre forme bl. sono: esterlincus-sterlencus-sterlinus-stellingus-stellinus], per capire che la moneta e il nome erano cosa tutta inglese; tanta è la diffusione delle forme bl. in quel territorio, donde penetrò poi subito in Francia, specialmente a cagione del dominio inglese su parecchie province francesi. In Inghilterra il nome appare la prima volta presso Orderico Vitale all’ann. 1066. L’origine primigenia del vocabolo ing. non è ben accertata. Certo il nome procedette da easterling, bl. ostarlingi orientale. Ma mentre il Ducange credeva che con questo nome di ostarlingi fossero designati gli Anglossassoni invasori della Britannia, e che il nome fosse poi applicato dai Normanni conquistatori alla moneta degli Anglossassoni perchè più pura e fine della loro; il Webster seguendo l’Holinshed, il Camten e il Lacurne ritiene che ostarlingi easterling fosse una volta il nome popolare dei mercanti tedeschi in Inghilterra, perchè essi rispetto a quel paese erano ad oriente. La loro moneta essendo molto pregiata in Inghilterra, il re Riccardo I fece venire dal levante della Germania alcuni di quei mercanti i quali perfezionarono il conio della moneta che perciò ebbe il nome dei mercanti stessi, cioè Esterlingus, a. ing. sterlynge starling. Appare da questo che il nome ing. della moneta si sviluppò nel sec. 12º, e che di là passò in Francia nel 13º e in It. nel 14º. Il Kluge invece vorrebbe che ing. sterling risalisse a mat. sterlinc, staerlinc che a cagione della sua formazione richiamante Pfennig e Schellinc sarebbe stata parola antichissima.
Stia, gabbia grande da polli (Villani, Sacchetti) Non ricorre nel bl., ed è anche senza riscontro nelle lingue sorelle. Provenne da aat. stîga donde mat. stige sentiero, viottolo, salita, gradino, scala; chiuso ingraticolato per piccoli animali, ovile, porcile. Di la venne pure tm. Steig scala, salita, montata, stia. Altre forme in quel campo: ags. stigu stîge via, scala, porcile, anrd. stîa cassa, recesso cortile. È nome formatosi da vb. aat. stîgan salire, donde mat. stîgen tm. steigen che presenta numerosi derivati accanto a quelli da noi considerati: fra gli altri aat. steiga, got. staiga, dal quale però, nota il Diez, non può essere venuto il nome stia, perchè si sarebbe avuto una staga; poi aat. stig donde tm. Steig salita. I passaggio da “salita” a “chiuso per animali” si spiega meno facilmente che a quello di “chiuso per polli”; giacchè in quest’ultimo caso la gabbia è fatta a scala o a piuoli, e i polli vanno spesso salendo per essi. Vb. ger. stîgan ha per affini: lit. staigùs che sale rapidamente, asl. stiza scala stignati salire in fretta, Miklos. 899; gr. στείχειν andare στιχος serie; l. vestigium orma, traccia; sans. stig salire, camminare. Bopp Gl.3 428, Curtius3 184, Fick3 3, 347.
Stinco, osso della gamba che è dal ginocchio al collo del piè; detto anche canna o focile maggiore (Berni, Firenzuola). Rispondono: moden. venez. schinco, mil. schinca. Riposa su aat. scincho schinchâ schincà scincâ scinchâ scingâ, donde mat. schincke, tibia, canna dell’osso, gamba, coscia. Il tm. Schinken venuto pur esso di là non conserva che il senso di “prosciutto”. All’incontro nel tm. vale “gamba, coscia” Scenkel, il quale con ol. schenkel e mat. schinkel aat. scëncal è dimin. derivato da ags. sceonca [da cui ing. shank stinco gamba], della stessa rad. di tm. Schinken e aat. scinko. Secondo il Kluge spetta allo stesso ceppo ger. mediante ablaut la forma schunke usata in Isvevia, Palatinato, Baviera ed Austria. Altre affinità sono riportate dallo Schade p. 796, dove ci mostra afris. skunka skunke scunk schork, fris. schork, bt. schunke osso, gamba. Secondo il Kuhn 3, 431 propriamente valeva la parte “saltellante”, da paragonare a sans. khâng zoppicare, a cui spetta aat. hinkan. Però altri ci vede una connessione con scina risplendere. Connessioni certe nel campo ger. sonosi gia viste sotto scanceria e schiena. Evidentemente le forme dial. dell’Alta Italia sono più vicine all’orig. ger. che la ital. Derivaz.: stinca-ta-tura.
Stocco, arma simile alla spada ma più acuta e di forma quadrangolare; lignaggio (G. Villani, Boccaccio, Sacchetti). Forme sorelle: sp. port. estoque, prov. afr. estoc fr. étoc stocco spadone; sp. afr. valgono anche “ceppo, tronco”, comas. stoch = bastone. Il bl. stochus spada, ricorre in Stat. Cast. Redoldi, stochum stoquum in Francia all’an. 1262. Base delle voci rom. é ger. stokk che diè aat. stoch stoc stok, mat. stoc tronco, ceppo, puntello, palo, vincastro, legame, catena, tm. Stock bastone, mazza, canna, ceppo. Accanto a queste forme stanno: ags. stocc stokk da cui ing. stock, ol. stok, anrd. stokkr d’ug. sig. Secondo il Kluge il signif. fondamentale di “palo, randello, mazza” conduce a rad. sans. tui brandir l’arme, lanciare, scagliare, mettere in violento movimento”, essendo sans. t = ger. st. Certo poi questo nome spetta a rad. ger. stek che s’è vista sotto stanga e stecco e si rivedrà sotto stucco. Il signif. di “arma appuntata” è tutto proprio dell’it.: e da esso derivò fr. éstoc, mentre étoc da afr. estoc non contiene questa idea, ma quella solo che gli venne direttamente dal ger. cioè di “palo, bastone”. Il Mackel mette questa voce fra quelle del suo primo gruppo; quindi è d’introduzione antichissima; forse longobarda. Deriv.: stocc-ata-atina-heggiare.
Stoccofisso, stoccafisso, pesce salato più secco del baccalà (Caro, Lettere). Con afr. stofix, stocphis, fr. stockfisch, risale a mat. tm. Stockfisch, nome che i popoli ger. danno ad una sorta di merluzzo. Esso è composto di Stock bastone, e Fisch pesce. Secondo lo Schinner seguito da molti, un tal pesce fu così denominato perchè é duro a guisa di bastone. Per altri, fra cui lo Scheler, sarebbe stato così chiamato perchè per disseccarlo lo si sospendeva ad un bastone. Forme parallele al t. propriamente detto sono: ol. stokevisch, ing. stockfish. L’it. riposa direttamente sul mat. e sul tm. del pari che il fr., come si capisce facilmente dalla terminazione, e la voce dovette entrare fra noi nel sec. 15º o sul principio del 16º. Invece l’afr. stofix, stocphis (sec. 14º-16º) pare attenersi piuttosto ad ing. stockfish. La forma fr. stockevisch riferita dal Ducange da un passo spettante all’an. 1450 («Item de chascune scappe de stockevisch amené par les Aleman [au bourg de Bruges] ung estrelin d’entrée»), ci mostra chiaro l’influsso de’ Tedeschi ed Olandesi sull’importazione della cosa e del nome nei paesi neolatini. Il bl. stockfish che compare nel Rymer agli anni 1338-39, è troppo evidentemente riproduzione della forma inglese; nè può quindi avere avuto influsso sulla diffusione del nome in Italia.
Stödi, accommodo (dial. bresc.). Il Biondelli con ragione lo connettè a ing. to stud, isl. stod, dan. stöden, accomodare. Ma assai più vicino di forma e di territorio è aat. studian, mat. stüden stabilire accomodare, che è però riflesso at. dello stesso ceppo ger.
Stoffa, pezza di drappo di seta o d’altra materia più nobile (Magalotti). Risp.: sp. port. estofa, fr. étoffe borgog. estofle, vall. stof stoff materia: più ing. stoff d’ug. sig. La tarda comparsa di questo vocab. nell’it. scritto (stoffo nel sec. 16.º, stoffa nel 17.º), laddove in fr. s’incontra sin dal 13.º, e più presto ancora nel bl. sempre in territorio francese o inglese, m’induce a credere che l’it. sia venuto di là, o meglio dal bl. stoffa stoffia materia da fare panno, panno. Ma donde questo bl.? Il Diez ritiene che bl. stopha stoffa risalga a l. stuppa, che in bocca dei Germani invasori s’aspirò e divenne stopfa stuffa. Ed infatti il senso primitivo di fr. étoffe e più ancora quello di bl. stoffa stoffia era quello di “materia, cosa occorrente a fare una cosa”, bl. stofare stuffare “fornire provvedere instruire”: donde si spiega l’accezione finale di “materia” e quella di “materia onde si fanno le vesti”, assunta da afr. estoffes e da quello trasmessa all’it. D’altra parte senza l’intervento della pronuncia ger. del nome non avrebbe ragione d’essere l’aspirazione subita dalla lab. tenue. Sulle forme bl. e loro diffusione e loro territorio consultisi Ducange. V. del resto anche Stoffo.
Stoffo, quantità di materia in checchessia (Davanzati). È un’allotropo di stoffa, ma con significato più vivino all’afr. e al bl. che gli servirono di fondamento immediato. V. Stoffa.
Stolco, fagiano nero. Secondo il Manuzzi è termine degli ornitologi. Il Caix si chiede se non venga da aat. storah, donde mat. storch tm. Storch cicogna. Credo di sì; anche perchè l’aat. oltre alla forma accennata da lui offre anche storch [altre forme aat. storach storoch storich storhc storh, mat. stork storke], dalla quale il passaggio a stolco si presenta più facile che da storah, mediante un semplice cambio di r in l. Quanto alla diversità dell’uccello significato dai due vocaboli, è facilmente spiegabile coll’importazione del vocabolo stesso da un popolo ad un altro.
Stollo, asta, stile o antenna del pagliajo (Cecchi, Forteguerri). È senza corrispondenza nelle lingue sorelle ed anche nel bl. Questa voce, non esaminata dal Diez, fu dal Caix ravvicinata ad aat. stollo base, piedestallo, sostegno, donde mat. stolle stoll d’ug. sig. Io credo che sia il caso non solo di un ravvicinamento, ma di una vera derivazione, provata, oltrechè dalla perfetta uguaglianza della forma, anche dal signif. del tm. Stollo Stollen colonnetta, piede. Dal nome aat. stollo formossi vb. aat. stollôn (presso Notker) fondare, dare base; concetto questo che conviene perfettamente a quello di it. stollo. Secondo il Kluge aat. stollo dipende dalla stessa radice stal da cui dipende anche stallo, e che scorgesi in sans. sthûnâ colonna. Stollo, sempre secondo il Kluge, verrebbe da * stulno da idg. sthelnâ tavola.
Storà, annojare turbare (dial. mil.). Il Biondelli e il Diez lo traggono da aat. stôran, donde mat. stöeren distruggere, tm. stören distruggere annientare, ing. to stir commuovere disperdere da ags. styrian. Il Kluge connette questo ceppo a quello che vedrassi sotto stormo.
Storione, pesce marino che ama l’acqua dolce (Boccaccio, Sacchetti). Rispondono sp. esturion e fr. estourgeon, il quale ultimo però secondo il Mackel è riproduzione piuttosto tardiva (sec. 16º) della forma it. Però il g del fr. e dell’ing. mi fa credere che il fr. anzichè dall’it. provenisse direttamente dal bl. sturgio che, come si vedrà, era la forma bl. propria della Francia, Inghilterra e Germania. Base: aat. sturio sturo da cui mat. störe, stüre, stur, e quindi tm. Stör d’ug. sig. Accanto a queste voci stanno: ol. steur ags. styria, styra, styriga. Da fr. estourgeon provenne ing. sturgeon. Le voci rom. devono la loro forma all’accus. sturionem di bl. sturio-nis. Questo bl. è molto frequente, ma sotto forma di sturgio: Alano delle Isole Planct. Nat.; Gotselinus in Mirac. S. August Cant.; Vita S. Ludgeri Mimegard.; Vit. S. Adalahidis; Charta di Stefano re d’Inghilterra. Sono dunque sempre paesi ger. o quasi ger. quelli nei quali compare. La forma sturionus degli Stat. Placent. sembra riproduzione dell’it. Circa l’origine prima di aat. sturio, essa sarebbe oscura pel Kluge. Il Faulmann però lo fa risalire ad ags. styrjan disturbare, scompigliare. Quindi la parola varebbe “il disturbatore”, e designerebbe lo storione come un forestiere che entra nei fiumi per nutrirsi dei piccoli pesci. Ma il Faulmann sospetta anche che il vocabolo possa essere connesso con Stier e valere perciò “il gigante”.
Stormire, il fare rumore delle frasche agitate dal vento (Dante). Con afr. prov. estormir mettersi in movimento, ha per base ger. * sturmian. Forme ger. documentate sono: aat. sturman, sturmen donde mat. sturmen, stürmen fare movimento o rumore, tumultuare, assalire, eccitare, correre a stormo, e tm. stürmen dare l’assalto, tempestare, stormeggiare. Inoltre ol. stormem, ags. styrman, anrd. storma, d’ug. sig. Il vb. it. ha preso dal ger. solo il primitivo e più generale dei suoi signif.: i secondari invece si riscontrano nell’altro vb. it. stormeggiare che è derivato dal vb. in discorso.
Stormo, moltitudine, schiera, gente adunata per combattere, assalto, grido d’allarme (Guinicelli, Dante). Rispondono: lad. sturm, prov. estorn, afr. estor, estour sollevazione, assalto. Procedette da ger. storm, sturm donde aat. sturm mat. sturm, sturn tm. Sturm moto, agitazione, strepito, rumore, burrasca, tempesta, sollevazione, battaglia, grido d’allarme. Paralleli: anrd. stormr, as. ags. ing. storm d’ug. sig. L’ing. stour riposa su afr. estour. Il vocab. ricorre anche nel celtico che ci offre: cimbr. ystorm, brett. stourm, gael. stoirm battaglia: ma anche questo pare derivato dal ted.; e ad ogni modo il Diez osserva che l’o chiuso dell’it. accenna chiaramente all’u ger. Al che io aggiungo che la immensa diffusione del nome e derivati nel campo germ. non lascia dubitare che da esso non sia originato il romanzo. Il Kluge osserva che il passaggio della parola ger. sturm al signif. di “battaglia” [la gradazione è “movimento-agitazione-concorso-lotta-battaglia”] è antichissimo anche in quel campo. Il tema è sturma che, secondo lo Schade, procedette da preger. star-ma, rad. star abbattere, distruggere, dove è chiara l’analogia con l. procella burrasca, formatosi da procellere abbattere. A questa rad. star, che nel campo ger. compare anche in straujan, si ricollega l. sternere stendere a terra, sans. star dilatare, distruggere, Fik2 3, 346. Il Kluge però crede che la sillaba radicale stur sia l’avanzo di rad. idg. ser a cui spetta gr. ὁρμή assalto, mossa, sans. sr scorrere. Crede possibile una affinità anche con ing. to stir ags. styrian eccitare, e con tm. stören distruggere. Ger. sturm ebbe una numerosissima progenie di derivati e composti che può vedersi nello Schade p. 888-89, e che spiega come questo nome avesse gran diffusione nel bl. dando in esso origine a svariate forme, alcune delle quali si sono conservate nei dialetti d’Italia senza penetrare nell’it. scritto. Nel territorio ger. abbiamo bl. sturma sedizione, scaramuccia, assalto, allarme, sin dagli anni 1031, 1081 in lettere di due vescovi di Liegi. In territorio it. troviamo bl. sturmum in Ottobon. Annal. Genuen. an. 1192, e stormus nelle Mem. Potest. Regien., an. 1244, con signif. identico a quello di sturma. Le stesse forme ricorrano spesso anche più tardi, ma allora si potrebbe supporre fossero riproduzioni dell’it. Alterazioni e derivazioni bl. sono strumum nel Chron. Parm. an. 1229; stormentum, Stat. Patav.; stramita allarmo, presso lo Scriba an. 1234; stremita allarme, Stat. Vercell., Storia di Dolcino; strumita allarme, presso Scriba Annal. Genuens an. 1241. Queste tre ultime forme corrispondono ad una dialettale, tuttora viva nel Modenese, cioè stermita che s’usa nella frase «sonar la stermita» di signif. uguale all’it. «suonar a stormo» che vale “suonar la campana affinchè s’aduni gente per ispegner incendi, riparare ad un’inondazione o combattere”. Nel bl. s’incontra anche la frase «sturmam sturmum facere (an. 1349)» in senso di “fare una schiera, una scorreria, dare un assalto”; frase che non è passata in it. Quest’ultimo, come ognuno vede, ha lasciato da banda parecchi dei signif. posseduti dall’aat. e precisamente i primitivi e più generici di “movimento, agitazione tempesta”, e s’è attenuto quasi esclusivamente ai derivati di “schiera, riunione, grido d’allarme”: il primitivo di “movimento” si scorge peraltro nel vb. it. stormire visto più sopra.
Stoss stuss, colpo, bombo eccitato dal colpo. Voce propria del dial. moden. che presenta anche stussòn urtone, stusséda battuta. Ricorre anche nel reggiano e nel ferrarese. Riproduce immediatamente aat. mat. stôz donde tm. Stoss, colpo, urto, spinta, scontro, scossa, contusione. V. anche stossare e stozzare.
Stossare, colpire, battere, urtare. È forma che appare nel bresc. stosà ammaccare, moden. stussèr battere ferrar. stussar scuotere, sbatacchiare. Evidentemente risale a rad. ger. staut che figura in aat. stôzan, mat. stôzen, tm. stossen; got. stautan, as. stôtan, ol. stoaten colpire, percuotere. Rad. idg. è taud riflessasi in l. tundere battere, tudes martello, sans. tud battere, percuotere. V. Stoss, stuss e stozzare.
Stozzo, strumento da fare il convesso ad un oggetto (Vasari). Credo venisse in epoca tarda da t. stotz mozzicone d’albero, da mat. stotze; molto più che tm. Stössel da mat. stoezel aat. stôzil vale precisamente “pilo, mazza da pestare”, senso molto affine a quello di it. stozzo. Quindi l’opinione dello Zambaldi che si svolgesse da t. Stoss colpo mi pare poco verosimile anche per il senso. Tuttavia in origine Stotz pare riferibile a vb. stôzan donde anche tm. stoss. V. Stuss e stussare. Deriv.: stozzare.
Straccale, cigna che fascia i fianchi della bestia. (Burchiello, Firenzuola). Il senso ripugna a connettere questo nome a vb. straccare. Al Caix pare che non si possa riportare all’agg. aat. strach teso, stirato, poichè quest’ultimo non offre un sostantivo corrispondente. Però questa difficolta conterebbe poco. Egli preferisce t. Strick cordone fune, donde anche ven. strica sp. estrinque, estrenque d’ug. sig. Qui peraltro non si spiegherebbe il passaggio dell’i in a nella sillaba radicale. A me pare più accettabile la prima ipotesi. Ad ogni modo è d’orig. ger.
Stracco, indebolito di forze stanco affaticato sfinito. (Villani, Petrarca). Rispondono afr. fr. estrac scarno smunto magro macilento spossato scemato menomato, prov. estracar stancare. Il Mackel pare voglia separare nettamente il prov. dal fr.; e trae il primo da vb. got. borgog. strakkan, aat. stracchên essere teso stirato fortemente, e l’altro dall’agg. aat. che vedremo più sotto. Una tale separazione a me pare inutile, perchè e formalmente e logicamente costituiscono uno stesso ceppo. A base dell’it. sta aat. strach, mat. strac[ck] disteso teso stirato, donde tm. strack, m. ol. strack d’ug. sig. L’ags. strac sträc strec = forte violento. Dal concetto di “teso stirato” è logico il trapasso a quello di “affaticato stanco”; ed è pure logico, sotto un altro punto di vista, il passaggio a quello di “forte violento”. Il fr. coll’agg. estrac espresse un altro degli effetti della tensione e dello stiramento, cioè quello della diminuzione fisica a cui va soggetto l’oggetto trovantesi in istato di tensione. Però contiene pur’esso anche il senso di “spossatezza” proprio dell’it. Credo poi che vb. it. straccare sia formazione da agg. stracco anzichè riflesso di vb. gat. strakkan, e ciò perchè il signif. s’attiene strettamente a quello dell’agg. it. anzichè a quello del vb. ger. Il bl. stracchus usate da Io. Demussis nella Chron. Placent. è riproduzione dell’it. Der.: stracc-a-aggine-amento-are-ativo; stracch-ezza-iccio; stracconata. V. anche Straccale.
Strale, freccia, saetta (Dante, Buti). È proprio solo dell’it. È certamente d’orig. ger.; senonchè il Diez anzichè riferirlo all’aat. strâlâ freccia, folgore, fulmine, che essendo femm. non avrebbe potuto perdere il suo a finale, lo fa dipendere da mat. sträl maschile come l’it. rispondente ad ags. strael d’ug. sig. Questa ipotesi del Diez parrebbe essere confermata dal non trovarsi il nome neanche nel bl., che d’ordinario riproduce quasi tutte le parole ger. entrate nel rom. anticamente, ed anche dall’offrire il mat. una forma strâle maschile identica all’it. Da mat. strâl strâle originò tm. Strahl raggio, razzo, getto, zampillo, fettone. Il campo ger. presenta anche ol. straal, freccia, isl. strjál raggio di lume. Il signif. di “raggio” che di secondario nell’aat. (dove si trova persino donar-strâla = raggio del tuono) divenne dominante ed esclusivo nel tm., non passò per nulla nell’it. che s’attenne unicamente a quello di “freccia, saetta”. Dal nome ger. si formò in quel campo da una parte vb. aat. strâlan strâlen, mat. straelen strêlen, ags. straelian saettare, tm. strahlen radiare, raggiare; dall’altra nome aat. * strâl pettine (per la ragione che i rebbi del pettine furono uno per uno considerati come “frecce”), donde mat. strael tm. strähle d’ug. sig.; poi vb. aat. stralen, mat. tm. straelen pettinare. Secondo il Wackernagel seguito dal Diez e dallo Schade aat. strâla risalirebbe a vb. straujan stendere, visto sotto sdrajare. Il campo slavo qui ci offre affinità singolari. Cosi lit. strielá a. sl. strêla = freccia, fucile. Miklos. 896; russ. strelá freccia, serb. strijéla freccia, saetta, fulmine, Kurschat 719, pol. strzale freccia. Deriv.: straletto.
Stramba, fune d’erba (Dante, Buti). Il Diez rigetta ogni connessione con strambo, non potendo supporsi essere quella così stata detta per essere “un che di attorto”; e la riporta al ceppo ger. donde bav. strempfel ritorto, ceppo che pare identico a quello che vedrassi sotto strambellare.
Strambellare, spiccar brandelli; strambello brandello spiccato e pendente (Firenzuola, Cellini). Risponde lad. stramblir scuotere, squassare. Il Diez lo riconduce a rad. di t. strampfeln sgambettare, pestare coi piedi. Più vicino è tm. strampeln d’ug. sig. e origine. Dal senso di “pestare” è spiegabile il passaggio a quello di “lacerare fare in pezzi”. Secondo il Faulmann tanto strampfeln quanto strampeln spettano a forma primitiva strimpan che originariamente valeva “allacciare, stringere”. Ciò spiegherebbe il signif. di stramba; ma a dir vero una tale connessione ideologica mi pare sforzata.
Strappare, levare con violenza, spiccare, lacerare (Boccaccio, Buti). Risp.: fr. estraper d’ug. sig., estrapade che però secondo Scheler sono venuti dall’it., e sp. estrapada che probabilmente è riproduzione del corrispondente nome fr. Base: ger. * strappan che appare in svizz. strapfen tirare, strapen cavare la pelle, bav. straffen digrossare, circoncidere. È dunque del ceppo di tm. straff fortemente teso, da mat. straf rigido, severo, che a detta del Kluge è vocabolo bt. dove riscontrasi ol. Straf. La rad. sarebbe strap. Forse spetta qui anche tm. strafe da mat. strâfe, aat. strâfe severità, punizione. Anche il Faulmann ammette quest’ultima connessione, fondandosi sulla scala ideologica di: tensione-durezza-severità-castigo. Der.: strapp-amento-ata-ura-o.
Striccare, stringere fortemente (dial. mod. e romag.). L’usa anche il comasco, ma con signif. un po’ svigorito, quello di «allacciare». Procedette da aat. strickan strihhan, donde mat. stricken legare cucire fasciar ferite allacciare, tm. stricken fare lavori a maglia. Sul vb. ger. e sua formazione v. Stricco. Evidentemente il ceppo è d’importazione longobarda. Il bl. strica moltitudine calca ricorre all’an. 1263 nel Chron. Parm.; bl. strìcare impedire in un Cap. di Carlo M. all’an. 802.
Stricco, asma, difficoltà di respiro, proveniente da strettezza di petto. Questo nome, comune nella provincia modenese, è radicalmente connesso a vb. striccare, ma ne differisce alquanto pel significato che nell’ultimo è affatto materiale, mentre nel primo è spiritualizzato. Procedette da nome aat. stric, strich, strih, stricch, mat. stric, fare laccio correggia annodamento attorcigliamento, ags. stric fune, donde strich fune corda cordiglio. Da questo nome formossi vb. aat. strickan visto sotto striccare. La connessione di questo ceppo con aat. strihhan tm. streichen fregare stendere, ammmessa come certa dallo Schade, è invece posta in dubbio dal Kluge.
Stringa, pezzo di nastro o striscia di cuoio che serve per allacciare (Lor. de Med., Berni). Non ebbe riflessi nel bl.; ma lo sp. gli contrappone sp. estringa, nastro, correggia. Il Diez ritenuta impossibile un’origine da vb. stringere perchè questo non avrebbe potuto dare una terminazione in gutturale (cfr. cigna da cingere), ricollega il nome in discorso a port. estrinca, estrinque, sp. estrinque, estrenqae fune, corda, cavo, e gli dà a fondamento un vocab. ger. che produsse: ags. string strenge fune, corda, anrd. stregr, m. ol. strénghe, stranghe legame, vb. stringen strengen, e aat. strengî, strenkî, strangî, più aat. stranga, mat. strange tm. Strang fune, corda, cinghia. Il Diez crede che un tal ceppo ger. sia affine a quello visto sotto striccare. Ad ogni modo questo nome pare entrato in it. solo nel tardo medio-evo e non all’epoca della Volcherwanderung. Deriv.: stringa-io-re.
Strobile, strano, duro (dialettale). Il Caix paragona q. voce a vb. aat. stropalôn essere irto, ispido, bavar. strobeln. Io credo che sia il caso di pensare ad altro vocab. ger. dello stesso ceppo, cioè mat. strûbeleht ispido, svoltosi da mat. strûb d’ug. sig. che riscontrasi ancora in bav. straub, bt. struf. Il tm. presenta anche Strobel “ciuffo coi capelli confusi ed aggrovigliati”. Lo Schade accanto allo strapalôn proposto dal Caix indica altresì aat. * strobalon, poi mat. strobelen strobeln. Rad. ger. strûb essere ispido, diè inoltre aat. strûben tm. strauben.
Strofinare, fregare stropicciando, pulire (Fior. d’Ital.; Vit. SS. PP., Sacchetti). È forma alterata di strufonare. Qualche dial. (per es. quella della montagna moden.) presenta la forma struvlinar più vicina a strufonare che strofinare. V. Struffo e strufonare.
Stronzare, diminuire restringere accorciare soverchiamente (Buonarroti). Questo vb., senza corrispondenti nelle lingue sorelle, benchè faccia tardissima comparsa nello scritto, riposa evidentemente su aat. * strunzan, non potendosi supporre ch’esso siasi formato da it. stronzo perchè questo gli è storicamente anteriore, e principalmente poi perchè stronzo in it. presenta un senso troppo diverso, benchè svoltosi logicamente da quello che è comune a vb. aat. strunzan e it. stronzare. V. del resto Stronzo. Der.: stronzato.
Stronzo-lo, pezzo di sterco sodo e rotondo (Sacchetti, Burchiello). Rispondono: fr. étron da afr. estron estront; bl. strontus strundius sterco, il quale bl. è evidentemente ricalcato sul fr., e difatti compare solo in quel territorio e molto tardi. Il fr. risale ad ol. stront bt. strunt sterco letame; ma l’it. ha per base la forma aat. che servì di fondamento a mat. strunze mozzo mozzicone tronco baccellone, tm. Strunze donna sgangherata; più mat. strunzel scheggia di lancia, strunzere troncatore. Il concetto originario del ceppo è quello di “qualche cosa di tagliato” o meglio di “staccato col tagliare, ed è poi troppo chiara la ragione dell’applicazione del nome ad un pezzo di sterco staccatosi dal grosso degli escrementi. Altri raffronti si posson fare nel campo ger. dove bav. strunzen strunzel = pezzo tagliato, turingio strunze donna sucida lesta, bt. struntje d’ug. sig. Il nome it. è antichissimo, e quindi probabilmente d’importazione longobarda. V. Stronzare. Der.: stronzo-letto-lino.
Strozza, canna della gola gorguzzole (Dante, Passavanti). Non ha riscontri nelle lingue rom. e neppure nel bl. Il Diez s’ingannò nel porre a fondamento di questa voce aat. drozza gola, donde mat. drozze tm. Drossel gozzo gola tordo, accanto a cui sta ags. throat throttle d’ug. sig. Difatti riuscirebbe difficile spiegare la prefissione dalla s. Perciò io credo collo Schade p. 883 che proceda piuttosto dal ceppo affine che compare in mat. strozze gola, mat. di Colonia sec. 15º strosse, m. ol. strote ol. strot afris. strobolla estremità della gola, fris. stroate Richthofen 1054- abt. strota, ass. vestfal. struete, fiamm. stroot. Queste forme presuppongono un aat. stroza; e questo è richiesto anche dall’it. il quale essendo antichissimo non può avere a base immediata il mat. Per la comparazione dell’evoluzione logica dei concetti può tornare utile il notare che tm. erdrosseln formatosi da Drossel gola, vale “strangolare”, appunto come it. strozzare svoltosi da strozza. Lo Schade crede che il ceppo qui esaminato spetti a rad. ger. strut gonfiare, che s’è conservata in tm. strotzen d’ug. sig. e in ing. strut gonfiamento. Quindi la ragione dell’applicazione del nome alla gola sarebbe nel gonfiamento a cui questa va soggetta. Questa parola dev’essere entrata coi Longobardi. Der.: strozza-mento-re-tojo-tura-strozz-iere-ule.
Struccare, spremere (voce dialettale). Risp.: tirol. struccar, ven. strucar, bormiese stroccar d’ug. sig. Anche qui il Caix ricorre ad un etim. ger. che è aat. drucchen, tm. drücken premere, comprimere, restringere. Ma l’aat. presenta anche thruken, assai piu vicino all’it.
Struffo-ne-lo (Pulci, Cirif. Calv.). Proprio del solo it. Il Diez lo riporta a t. strupf “qualche cosa di strappato”, connesso ad aat. mat. stroufen fregare, strisciare, stringere, donde tm. streifen radere, cavare la pelle. Nel mat. esiste anche stroufe danno, perdita, castigo; il cui senso però si è evidentemente svolto dal vb., e ne significa l’effetto. Ma il nome it. non risale certo al nome ted., bensì al vb. Il quale in quel campo secondo il Kluge presuppone un ger. got. * straupian, conservatosi in ol. stroopen sfogliare, sfrondare, ags. bestrypan, ing. to strip pelare, rapire e tm. straüben arricciare. Il Faulmann riannette questo ceppo a quello visto sotto strappare riferendoli ambedue a vb. ger. * strifan “tendere, tirare”. Vedi strufonare e strofinare.
Strufonare, stropicciare con istrufoni (Bellini). È deriv. da strufone accrescitivo di struffo; e benchè ricorra nello scritto molto tardi, dovette esistere anche nei primi secoli della lingua, avendo sin d’allora prodotto strofinare. V. q. vb.
Stuccare, saziare, nauseare (Dante, Medici). Il Caix propone aat. stinkan puzzare, stunk olfatto, as. stunc fetore, donde tm. stinken, ing. to stink puzzare. L’anrd. presenta anche forme coll’o e coll’u: stökk stukkum, benchè in signif. di “muoversi” e non di “puzzare”. Ad ogni modo esse rendono più verosimile la derivazione ger. Quanto al senso il passaggio da “puzzare” a “nauseare” oltrechè logico in sè, si vede in altri casi: ad es. in stufare che valeva prima “puzzare” poi “nauseare”, e “stancare”. Der.: stucc-o-evole.
Stucco, composto di diverse materie tegnenti per uso propriamente d’appiccare insieme o di riturar fessure (Pataffio 8; Lib. Ast., Cresc.). Rispondono: fr. stuc, sp. estuco estuque, gesso stucco. Procedette da aat. stucchi crosta, non conservatosi nel mat. e nel tm. L’ing. è stuc, stuke. Il bl. stuchi scissura frammento ricorre soltanto in Gl. Mons. pag. 328, 339 presso Schilter nel suo Glos. Teut. Dunque è senza dubbio riproduzione del vocabolo tedesco, come è in territ. ger. lo stuka di Scheffer. Il fr. stuc pel Mackel, fu preso dall’it. al tempo del Rinascimento, ed è documentato solo nel secolo 16º. Il tema ger. è stukk che produsse aat. stucchi stukhi stuhhi stucche, stuche mat. stucke stücke stuk stük pezzo, segmento, frammento, frusto crosta; parte tolta via, spazio, compartimento; brano d’abito. Di là tm. Stück pezzo, parte, punto, capo, cannone, brano, squarcio. Altre forme ger.: as. stukki, ol. bt. stuck, ags. stycce sticce anrd. stykki d’ug. sig. Il senso fondamentale era quello di “qualche cosa di separato o spiccato col colpire”; quindi connettesi a vb. stêchan pungere visto sotto stecco e stocco. Il Kluge suppone che il senso primitivo fosse “qualche cosa di sminuzzato”; e rileva come l’it. abbia preso dal voc. ger. ch’aveva molti significati quasi tutti generici, quello secondario di “scorza, crosta”. Deriv.: stucca-re-tore-tura; stucchinajo.
Sud, mezzodì (Pigafetta † 1531, Moleti). Rispondono: fr. sp. sud, port. sul. Entrò in it. nel sec. 16º mediante le comunicazioni commerciali coi popoli dell’Oceano Atlantico (Olandesi, Fiamminghi, Inglesi) come appare da un passo del Moleti. La base è l’ags. sudh, as. suth, donde ing. south, bt. sudî, ol. zuid. Il tm. è Süden; ma la forma strettamente propria dell’at. è Sund che riscontrasi in parecchi nomi propri di luoghi nell’alta Germania, per es. Sundgau, Sundheim, e deriva da aat. sund, sundar, mat. sunder. Ma la parola come semplice, dice il Kluge, è sparita da un pezzo dal territorio dell’at., del pari che le altre denominazioni dei nomi cardinali. La perdita della n in Süden [mat. sunden, aat. sundan], indica la venuta della parola dal campo del bt.; ma il n. at. ü accenna all’ol. zuid, essendo ol. ui pronunciato in dialetto y. Il ceppo ger. primitivo sunth viene presupposto anche da anrd. sunnan, ags. súthan “da mezzodì”. Questa denominazione sunth è specificamente ger. come Nord, Est e Ovest. Resta dubbio se sunth provenga da zun che appare in got. sunnô sole, e valga perciò “la parte del sole”. Il Mackel pone questa voce fra quelle del 2º gruppo, e sarebbe perciò entrata nel territorio rom. colle invasioni normanne. Ma questo se può valere pel fr. non vale per l’it. dove è penetrato molto più tardi.
Suppa zuppa, pane intinto nel vino od in qualsiasi altro liquore (Dante, Buti, Boccaccio). Non fu riprodotto dal bl.; ma nel campo neol. rispondono: afr. sope fr. soupe [donde ing. soup] sp. port. prov. sopa bevanda composta di brodo e fette di pane, le fette di pane solo. Base è la forma bt. d’un vocabelo ger., cioé anrd. supa sup saup, ol. sop soppe brodetto sorbizione. Il Mackel pone a base abt. abfr. suppa. Forma at. era aat. sauf suf mat. suf brodo con fette o briciole da * supfa. Il tm. Suppe brodo zuppa minestra, si svolse da tardo mat. suppe soppe d’ug. sig. ch’era propriamente, a detta del Kluge, una forma bt. entrata nel campo dell’at. alla fine del medio-evo. Il pp risponderebbe al pf dell’at. La radice è sup bere sorbire che vedesi in bt. súpen sup ags. súpan anrd. súpa d’ug. sig.; poi in ol. zuipen bere ing. to sup soop sorbire, mentre ing. to sip pare spettare a un got * supîan. A queste forme verbali bt. rispondono afr. souper, fr. super trarre gli umori aspirare (di pompe) fr. souper prender la zuppa cenare. Dal concetto di “temperar come una zuppa” e da quello di “temperare in un liquido” lo sp. sopar cavò il senso di “versar brodo su fette”, e fr. souver — termine di concia — quello di “metter cuoi nel crogiuolo piano”. Il ramo at. modificò la rad. sup in suf, e ne formò vb. aat. sûfan sorbire bere da cui mat. sûfen soufen d’ug. sig. e tm. saufen tracannare. I dial. di Baviera e di Svizzera presentano sûfen saufen mangiare col cucchiaio latte o zuppa. Il Mackel dice l’etim. ger. di questo vocabolo certissima nonostante la difficolta mossa da G. Paris, che vorrebbe porre a base del signif. del ceppo rom. il concetto di “fetta di pane”. Sempre a detta del Mackel il ceppo rom. sarebbe stato tolto a prestito per tempissimo. Ma fa difficoltà il fatto che non compare mai nel bl. Der.: zuppiera; inzuppare.
Svanzica, sorta di moneta austriaca, del valore di circa 17 soldi (Cesari). Il nome fu introdotto verosimilmente dagli Austriaci sul principio del secolo e procede da t. Swanzigkreuzer (abbreviato in Zwanzig) = 20 Kreuzer.
Sveglia, antico strumento da fiato di cui si è perduto l’uso. (Libr. Astrol.; Sen. Pistol.) Il Pott Zeits f. verg. Sprachf. XII, 192 trasse il nome da got. sviglia suonator di flauto, piffero. Che in it. il nome dal denotare il suonator dello strumento passasse a denotare lo strumento stesso non deve fare maraviglia, giacchè nel campo ger. se got. sviglia significa “suonator di piffero”, l’aat. svëgala, svëgila mat. swëgele tm. Schwegel valgono precisamente “flauto”. Nei dialetti moderni di Svizzera, Baviera e Alto Palatinato troviamo svëgel schwígel flauto pastorale. E questa presenza d’un tal vocab. nel territorio ger. vicino all’Italia rende verosimilissima l’orig. dal ger. di it. sveglia “sorta di strumento da fiato”. Al quale proposito il Diez osserva che è poco probabile che sveglia in questo senso sia la stessa cosa che sveglia sorta di orologio, non essendo facilmente ammissibile che siasi usato un flauto per svegliare, e che poi lo stesso vocabolo abbia significato “svegliatore” e “suonatore di flauto”.
Svignare, fuggire con prestezza e nascosamente. (Cecchi, Lippi). Il Caix gli raccosta lom. sbignà, pic. s’esbinêr s’esbigner salvarsi, e gli pone a base ger. aat. swînan scomparire, dileguarsi, svanire, dial. alto-ted. schweinen d’ug. sig. È la stessa radice ger. swâ che appare anche in aat. swintan, mat. swinden, tm. schwinden venir meno svanire, poi anrd. svina, svine ags. svima, ol. zwiim vertigine. La presenza del vocab. in dial. lomb. e pic., territorialmente vicini al campo ger., conforta anch’essa questa derivazione.
Svimero, sorta di carrozza a quattro ruote (Forteguerri † 1735). Non ha rispondenze in alcun’altra lingua rom. Riproduce direttamente tm. Schwimmer che, oltre al signif. di “nuotatore”, presenta anche quello di “carrozza chiusa reggentesi su cignoni” (Adelung, Jacobsson). Il Fagiuoli († 1753) nei suoi Baccanali dice =. Questo instancabil germanico svimero =, e poi in nota scrive: Questo cocchio velocissimo portato dalla Germania e comparso sul corso di Ferrara nel 1714 =. Qui adungque ci è dato di sorprendere l’epoca precisa dell’introduzione della cosa e del nome. Una tale sorta di cocchio in ted. dovette forse il suo nome allo scorrere via rapidissimo come un nuotatore. Il vocab. it. non fu trattato nè dal Diez nè dal Caix nè dallo Zambaldi.
Note
- ↑ Un passo dello storico P. Azarius Novariensis all’an. 1351 parlando dell’esercito di Giovanni Visconti che assediava Firenze e infestava la Toscana dice «domus et palatia invaserunt saccomanando et comburendo. Et ibi etiam per gentes illas (inter quas multae Theutonicorum cohortes) dictum fuit de saccomanno: quod vocabulum usque ad praesentem diem in Lombardia perduravit». Ecco dunque indicata chiaramente non solo l’origine tedesca del vocabolo, ma anche la data del suo ingresso.
- ↑ Ottone Morena di Lodi (verso il 1150) ci offre nella sua cronica scarani per scherani. Questa forma se è genuina, rende ancor più evidente l’origine di scherano da bl. scara schera risalente ad aat. scara.