L'elemento germanico nella lingua italiana/L

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Lacca1, profondità, abisso china, scesa (Dante, Buti). Immediatamente procedette senza dubbio da aat. lahha, mat. lache, tm. Lache, bavar. lacke, lago, pozzo, palude. Il cangiamento della aspirazione nella gutturale è regolare nel passaggio dal ger. in rom. (cfr. taccola da taha, tecchire da tehan, ecc.). L’aat. presenta anche laccha “pozzo”. I germanisti non sono d’accordo sull’origine di aat. lahha e laccha. Alcuni, come il Kluge, lo vorrebbero ricondurre al lat. lacus, mediante una forma secondaria laccus. Certo d’origine l. è ags. lacu e ing. lake, lago [a. sl. loky, lago, è d’estrazione at.; lokva, pioggia, invece è sl.]; ma considerato che l’as. possiede lagu, lago, ags. lago, anrd. lögr, lago, mare, che sono affini per senso e per forma, è chiaro non vi esser bisogno di pensare ad un imprestito fatto dal l. nel caso di lahha, laccha. Il Diez però non esclude del tutto anche gr. λάκκος, buco profondo.

Lacca2, anca, coscia dei quadrupedi, natica (Burchiello, Firenzuola). Il Caix riferì queste voce ad aat. [p. 266 modifica] hlanca, lanca, lancha, mat. lanche, lanke, coscia, lato, fianco, lombo. Il signif. perfettamente uguale, la quasi uguaglianza formale dei nomi, non lasciano alcun dubbio sull’origine di questa voce. Il dan. länke, anrd. hleckr = catena; ags. hlinc, ing. linc = colle, anrd. hlickr = obliquità, curvatura, aduncità. L’agg. ags. hlanc, ing. lank = sottile, magro, stretto, debole, che è della stessa radice, ci dà la chiave per conoscere la ragione di siffatta denominazione di questa parte del corpo; che nel dial. moden. è chiamata «scagno» equivalente pel signif. precisamente ad ags. hlanc, ing. lank. Secondo il Fick2 735, 48 si può paragonare qui l. clingere, fasciare, cingere. Abbiamo già visto che anche fianco viene probabilmente di qui. V. pure Lacco.

Lacco, debole, floscio, fiacco (Giuliani). È voce delle lingue ger., dove aat. e mat. presentano slach, floscio, molle, as. slac, anrd. slakr, ing. slak d’ug. sig. La caduta della s iniz. è frequente; cfr. landra, lecca, leppare ecc. L’agg. ger. in quel campo pare affine morfologicamente e ideologicamente a schlanck, da mat. slanc, magro, debole; ol. slank, sottile, anrd. slakke per * slanke, pendice. Il got. * slanka spetterebbe a rad. sling in schlingen. V. Slancio. Un composto è bislacco che si è già visto. Deriv.: allaccarsi, stancarsi, allecchirsi, infiacchirsi.

Laidare (antiq.), bruttare, imbrattare (Albertano, Fra Giordano). Questo vb. coi corrispondenti a. sp. a. port. laidar, afr. laider, prov. laizar, violare, guastare, non è di formazione romanza dall’agg. laido, ma riproduce direttamente aat. laidôn, leidôn, mat. leiden, affliggere, turbare, offendere, as. lêthôn, lêdôn, cagionare passione o pentimento, ags. lâdhjan, accusare. Questo vb. ger. poi era denominativo da sost. aat. leid, passione, afflizione. V. anche Laidire.

Laidire (antiq.), bruttare, guastare (Amm. Ant., Quist. Filos.). Anche qui, come nel caso precedente, si ha un vb. romanzo [afr. prov. laidir] d’immediata orig. [p. 267 modifica] ger., riposante su un vb. affine a laidôn, leidôn, cioè aat. * leidjan, leidan, leithan, leiden, mat. leiden, anrd. leidha, rendere odiato, brutto, offendere. Deriv.: laidito, illaidire.

Laido1, sozzo, deforme, brutto, osceno (Amm. Ant., Dante). Con afr. lait, fem. laide, fr. laid, vb. laider, laidir, enlaidir [da cui i deriv. afr. laidenge, laidengier, fr. laideur, laidanger] prov. lait [d], vb. laizar, a. sp. a. port. laido, lad. laid, odioso, brutto, procedette da at. laidh, aat. leid, as. lêth, lêdh, lêd, ags. lâdh, a. fris. lêd, anrd. leidhr, got. laiths, affliggente, cattivo, ingrato, contrario, odioso. Il mat. è leit, in fless. leider, tm. leid. Questo agg. nel campo ger. produsse sost. aat. leida, laida, leitha, accusa, persecuzione, mat. leide, passione afflizione, nimistà, tm. Leid, afflizione, dolore; ags. lath, offesa, ingiustizia, ing. loath, vb. ing. to loathe, essere nauseato. Vb. ger. della stessa rad. sono aat. leidazjan, leidazzan, leidezan, leidezen, leidezin, leidizzin, detestare, abbominare, esecrare, aat. mat. leiden, diventare odioso, aat. leidian, leidan, leithan, leiden, mat. leiden, rendere odioso, anrd. leidha, (v. laidire); infine leidôn, laidôn, mat. leiden, mettere in afflizione o dolore (v. laidare). Il tm. leiden significa “patire”, e si sviluppò da mat. liden, aat. lidan d’ug. sig., con cui si identifica comunemente un aat. lithan, andare, a cui spetta pure vb. leiten, condurre. Ma come da “andare” si venne al senso di “patire”? Si crede che dal concetto di “viaggio in paese straniero” (poichè lithan è usato volentieri di viaggi di mare) siasi passato a quello di “male incontrato, patimento”. V. Kluge p. 233. L’it. ha ristretto immensamente il signif. dell’agg. ger., avendogli dato quello unico di “cosa oscena, sconcia”. Deriv.: laidamente, laidezza, laidore, laidume, laidura.

Laido2 (antiq.), bruttura (Guittone, lett.). È un sost. d’immediata estrazione ger.; e riproducente aat. leid, mat. leit, as. lêth, lêdh, lêd, ags. lâdh, afris. lêd, anrd. leidhr, got. laiths, passione, afflizione, il male. Gli corrispondono afr. lait, lad. laid. [p. 268 modifica]

Lam, debole, cascante (dial. piem.). Insieme con prov. lam, vacillante, venne da aat. lam, tm. lahm, debole, storpio, zoppo; afris. lom, lam, fris. laem, loam, ags. lama, anrd. lami, got. lams. Secondo il Kluge il signif. fondamentale dell’agg. ger. è quello di “debole delle membra”; quindi vale lo stesso che l’agg. affine aat. luomi, mat. lüeme, stanco, floscio, e persino “mite”. Ma anrd. lame, ags. lama, ing. lame, as. lamo, ol. lam, zoppo, mostrano che il signif. dominante nel n. at. è antichissimo. L’antico lama, debole, rotto, lascia pensare ad a. sl. lomlja, lomiti, rompere. Il nd. lemia = zoppicare. V. Lemme lemme.

Landa, pianura, prateria, campagna, brughiera (Dante, Uberti). Forme neol. corrispondenti sono: prov. landa, afr. lande, contrada boscosa. Il Diez, seguito dallo Scheler, Thurneysen, Kluge e Mackel, indotto dal genere e dal significato, vorrebbe escludere l’origine di questa parola da ger. land, paese; e preferisce il brett. lann, cespuglio di spine, prateria, plur. lannon. All’incontro il Littrè sostiene che la voce romanza vuole essere riferita a got. land, χώρα, ἀγρός, perchè la storia di essa prova che il suo senso primitivo di “terra incolta, brughiera” corrispondeva sufficientemente a ger. land. A questa ragione del Littrè mi pare potersi aggiungere che anche la diffusione senza paragone maggiore del vocabolo ger. milita a favore della derivazione da quest’ultimo anzichè dal celtico; molto più che il brettone lann solo raramente presenta la forma land. Del resto sì l’uno che l’altro spettano allo stesso ceppo. Il ger. presenta queste forme: got. land, campo, contrada, possesso, patria, aat. lant(t), mat. lant(d), tm. Land; anrd. ags. ing. ol. as. land, paese; e secondo Faulmann ha la rad. stessa dal vb. antiq. lintan [lant luntan], salire, donde s’è formato Klint, punta d’un monte, e che si rannoda a vb. aat. gelingan, tm. gelingen, riuscire. Però questa spiegazione del Faulmann che riposa evidentemente sulla ipotesi che land significasse “terra alta, monte” [p. 269 modifica] contrasto col fatto che originariamente land pare valesse più che altro “pianura, campagna”. Le voci celtiche sono: ir. land, lann, cimb. llan, corn. lan (da forma fondamentale * landhâ), posto libero, pianura, bret. lan, prateria. L’a. sl. ci offre ledina, prateria, paese incolto, il russ. ljada, ljadina, col quale ultimo combina pel vocalismo il dial. sv. linda, campo rotto, cz. lado, maggese, plur. lada, prateria.

Landamano, nome del capo d’un cantone svizzero o dell’intera Confederazione (Term. stor. mod.). Viene dal tm. Landammann, ed è composto di Land = paese, e di Amman, bailo.

Landra, Slandra, meretrice, baldracca (Pataffio, Malmantile). Il delf. ha landra, il prov. landrin, landraire, ladro diurno, il comas. slandron, ladro del paese, venez. slandron, meretrice; il vb. prov. landrà = calpestare le pietre. Questa parola è di probabile origine ger. Il mat. lenderen, ol. slenteren, mat. schlendern vale “vagabondo, ozioso” che pare precisamente essere stato il senso primitivo di landra, slandra: dal qual concetto di “ozioso, vagabondo” all’altro di “malfattore, disonesto” è facilissimo il passaggio. Nell’aat. c’è anche un landteri rispondente per senso a l. latro, ma che si presta assai mono del primo per la forma. L’ing. landress, lavandaia, avrebbe esso qualche relazione col nostro landra?

Landsturm, leva in massa (Term. mil. mod.). S’usa solo parlando dell’organizzazione militare moderna nei paesi tedeschi. Letteralmente vale “assalto del paese” ovvero “il paese a stormo” [Land = paese: Sturm, schiera, stormo. V. Stormo, assalto].

Landwehr, milizia per la difesa del paese (Term. mil. mod.). Anche questo designa una speciale organizzazione militare dei paesi germanici, cioè quella parte della popolazione del paese che è chiamata ed esercitata all’armi in caso di bisogno per aiuto alle truppe regolari di linea. Il primo elemento del composto non ha più bisogno di [p. 270 modifica] spiegazione: il secondo, Wehr, vale “difesa”, ed è nome formatosi dal vb. wehren, difendere, proteggere, già visto all’vb. guarire, che ne è un derivato.

Langravio, nome di grado principesco in Germania (Term. stor. mod.). Dal tm. Landgraf, ch’è anch’esso un composto. Il primo elemento è Land, paese, già veduto: il secondo è il t. Graf, conte. Vale adunque “conte o governatore d’un paese”. In fr. compare già nel sec. 13º: in it. invece solo nel 16º presso il Segni, Storie.

Lanzichenecco, soldato tedesco a piedi (Guicciardini, Bembo, Varchi). Questo nome entrò in Italia sulla fine del sec. 15º, coi tanti tedeschi che militavano ai servizi dei principi che combattevano allora in Italia. È una riproduzione di tm. Landsknecht, che letteralmente vale “servo del paese” [Land = paese; Knecht = servo], ossia “uomo armato per la difesa del paese”. Questi lanzichenecchi in Germania furono trovati nel sec. 15º per assicurare stabilmente il paese, che prima era infestato dalle compagnie di ventura; e venivano dal Flächland o paese di pianura, per contrapposizione ai soldati svizzeri ch’eran del monte o Bergland. Ebbero un assetto regolare da Massimiliano I Imperatore (1493-1519), aiutato efficacemente da Federico di Hohenzollern e da Giorgio di Fronsberg, chiamato il padre dei lanzichenecchi. Però nella formazione del nome it. ebbe parte una falsa interpretazione che gl’Italiani, indotti dalla somiglianza del suono, diedero alla prima parte del composto. Essi credettero cioè che questa fosse Lanze, lancia, e perciò supponendo che il signif. fosse quello di “servo o soldato dalla lancia”, trasformarono il vocab. t. in lanzichenecco, (Guicciardini), lanzenetto (Bembo), lanzighinetto (Busini), lanzichenecca (Buonarroti). Il Guicciardini ci dà anche la forma crudamente t. Lanzchenech. L’i e il primo e sono epentesi richieste dalla pronuncia e dall’indole della nostra lingua. Il nome t. penetrò anche in Francia sin dal sec. 15º (v. O. de la Marche, Mem., [p. 271 modifica] p. 645 in Lacurne), sotto la forma di lansquenet, e in Ispagna sotto quella di lasquenete. Ora in it. è vocabolo disusato, salvo che nel senso di una sorta di giuoco che dovette essere introdotto da quei soldati. V. del resto Lanzo.

Lanzo, è lo stesso che lanzichenecco, di cui è accorciamento mediante sincope, come appare dal seguente passo del Varchi: «Quanto più s’avvicinavano i lanzi, che così per maggior brevità gli chiameremo da qui avanti, e non lanzichenecchi ecc.». Però il Varchi non fu il primo ad usare la voce lanzo, che ricorre già nel Ciriffo Calvaneo di Luca Pulci. Dal che s’inferisce che questo nome t. doveva già essere entrato in Italia assai prima della fine del sec. 15º nella forma intera, e che subito era stato sincopato. A Firenze divenne famosa la Loggia dei Lanzi, chiamata così perchè ci avean quartiere i soldati tedeschi al servizio del Granduca. Divenne celebre anche la frase «bere come un lanzo».

Lapina, schiaffo (dial. comasco). L’aat. lappa, n. at. lappen diè origine a questo nome [fr. lapigne], che è un dimin. di un * lapo, esistente realmente nello sp. sotto la forma di lapo d’ug. sig. V. Sleppa.

Lappare, lambire, sorseggiare, leccare (dial. dell’Alta Italia). Le forme sorelle delle lingue neol. sono: prov. * lapar, lepar, afr. fr. laper, catal. llepar. Il vb. rom. procede dal bt. che ci presenta: ags. lappian, anrd. lappa, n. at. lappen, labbern, fiam. lappen. La rad. è lap, diffusissima nel campo idg.: gr. λάπτω, leccare, l. lambo, lambire. Quest’ultimo, come fr. lamper, è forma nasalizzata.

Lasca, sorta di pesce d’acqua dolce (Dante, Villani). Il Caix rigetta con ragione l’etim. del Ménage e del Diez dal gr. λευκίσκη, poichè resterebbe inesplicato lo spostamento dell’accento e il cangiamento della vocale tonica. Mette poi innanzi la deriv. da aat. asco, mat. asche, tm. Asche Asche, sorta di pesce di fiume. La l iniziale [p. 272 modifica] sarebbe dovuta all’agglutinazione dell’articolo. S’è già visto e si vedrà ancora che il ger. ha dato alle lingue rom. parecchi nomi di pesci. Quanto ad aat. asco, mat. asche, tm. Asche, secondo il Kluge e il Faulmann sarebbe affine ad aat. asca, mat. asche, tm. Asche, cenere; e il pesce avrebbe tratto il nome dal color grigio-cenere della sua pelle. Questa è adunque l’etim. più verosimile del vocab. it. Deriv.: laschetta.

Lasto, misura e peso oland. di due tonnellate; carico pieno o intero del vascello (Tramater). Con fr. last laste, carico di nave, sp. lastre, port. lasto lastro d’ug. sig., ha per base aat. hlast last, mat. last, tm. Last, carico, peso; ags. hläst, ing. läst, afris. hlest, fris. lest, ol. last, anrd. hlass, dan. las. Il tema ger. è hlasta hlasti da hlathta hlathti, e spetta a rad. lad di vb. got. hlathan, aat. hladan ladan, mat. tm. laden, caricare. L’st è derivazione, davanti a cui la dentale d’uscita della rad. verbale dovette sparire. Il nd. hlass è antico participio significante “peso dello stomaco”. Alla rad. ger. si raggruppano lesten lestic lestlic. Il sostantivo afr. leste non è che una modificazione di laste, e pel significato è uguale a ballast. Secondo il Diez lo sp. lastre, port. lastro colla r epentetica, accennano, del pari che it. lastra, a gr. έμπλαστρον, mediante piastra. Del resto questo termine di marina dev’esser venuto d’Olanda nei secoli 16º o 17º, poichè è proprio di quei paesi.

Latta, lamiera di ferro distesa in falde sottili e penetrata dallo stagno; lama, lamiera (Simone da Cascia; Saggio Nat. Esper.; Vite Pittori). Con sp. port. lata, afr. late, fr. latte, valac. latz, cimb. lläth, venne da tema ger. latta, donde aat. latta, ags. laetta, lätte. Il ger. conta anche la forma laththa, da cui ags. laeththa, laththe, latte, ing. lath. Nel tm. Latte vale anche “corrente, piana, assicella”, senso che penetrò nel fr. lattes, denotante certi pezzi di legnami che s’usano nella costruzione navale; e dal fr. venne [p. 273 modifica] all’it. anche un signif. nautico che etimologicamente non avrebbe. V. anche Ottone.

Lavagna, sorta di pietra tenera e nera per lo più in lastre per disegnarvi o coprir tetti (Varchi, Scamozzi). Il Diez sostiene che questo è un nome d’orig. ger., e che proviene da t. Leic, as. leja, ol. lei, cimbr. llec, gael. leac, d’ug. sig. Secondo lo stesso filologo Lavagna starebbe per la-agna, essendo l’ei t. = a romanzo. Ma qui ci pare che egli non abbia tenuto conto dell’elemento storico che nella etim. delle parole deve pur contare qualche cosa. Il Varchi e lo Scamozzi ci dicono espressamente che questa pietra trasse il nome dal paese di Lavagna in Liguria dov’essa abbonda, come la magnesia lo trasse dalla città di Magnesia. Oltre di questo con tutto il rispetto al grande, maestro, crediamo ci sia permesso di dubitare se da laie possa essersi svolto un lavagna, poichè l’ultima parte di questa parola resterebbe affatto inesplicata.

Leccare, leggermente fregar colla lingua (Dante, Sacchetti). Le forme delle lingue sorelle sono: prov. liquar, lichar, lechar, fr. lecher, picar. leker, borg. lochai, vall. lèchî, lad. lichiar, valac. liceì, lecccare. A base di queste voci sta aat. lëccôn, lëchôn, lëcckôn, mat. lëcken, tm. lecken, leccare, ed anche “gemere, far acqua”. Altre forme ger. sono: as. lëccôn, liccôn, ags. liccjan. Il got. è * likkôn, l’ol. likken, l’ing. to lik. A questa stessa rad. spetta got. laigon in bilaigôn, leccare, da cui prov. lagot, adulazione, sp. lagotear, adulare. Forma rad. ger. con s si è conservata in tm. schlecken, e anrd. slekia, leccare. La rad. ger. riposa su idg. ligh, leigh, loigh, che appare in gr. λείχω, leccare, λιχνεύω, λιχμάω, λιχμάζω, leccare, λίχνος, leccone, goloso, λιχανός, leccadito, l. linguo, leccare, da cui anche lingua, ligurire, liguritor, essere ghiottone, goloso; sans. rih, lih; leccare, lèhmi, lecco, lèhas, leccatore, a. sl. liza, lit. lëziù, lieszti, leccare, cz. lizati, pol. lizac, leccare; a. ir. ligim, io lecco. Qui si mostra più che mai la licenza [p. 274 modifica] etim. del Faulmann; il quale vorrebbe ricondurre la rad. ger. evidentemente connessa alle idg. finqui vedute ad un tenia ger. lëckan, raccogliere, cui fa affine a got. rikan, accumulare, quindi a lichan, rassomigliare, e più oltre a laich, leich, seme, e perfino ad aat. chlipan, tm. kleiben, impastare, a tm. klinken, premere, suonare, a klimpfen, trarre insieme, e a klei, tono! A questo modo è miracolo se tutte le parole non si riducono ad una sola radice. Quanto allo Zambaldi che vorrebbe derivare it. leccare da gr. λείχω anzichè da ger. lëccôn, la ragione ch’egli adduce, cioè che per un concetto così volgare è più verosimile l’origine gr. che la ger. vale poco o nulla; giacchè anche in molti altri casi si è verificato che le lingue rom. attinsero dalle nordiche vocaboli relativi a concetti comunissimi, pur avendone già un equivalente latino. Qui poi s’aggiunge che il vocab. in questione che non ricorre mai nel l., sarebbe entrato nel mlt. direttamente dal gr. sul principio del medio-evo, comparendo esso nelle glosse d’Isidoro. Ora è noto che a quel tempo fu nulla o pochissima l’influenza del gr. sul vlt., mentre proprio allora vi si esercitava grande quella delle lingue ger. Inoltre il fatto stesso che le glosse d’Isid. accanto a lecator pongono la spiegazione, è anch’esso favorevele alla etim. ger., giacchè quando gli scrittori della prima metà del medio-evo spiegano un vocab., quasi sempre si tratta di vocab. ger., (v. Borgo). Nel caso presente bisogna poi anche tener conto della perfettissima uguaglianza fonetica tra ger. e rom., e della regolarità del trapasso, laddove, come osserva il Diez, nell’ipotesi dell’orig. gr., s’avrebbe l’anomalia del dittongo ει cangiatosi in e, mentre di regola passa in i. Infine il signif. di “ghiottone, divoratore” che riscontrasi nell’aat. lëcchari, lekhari, mat. lëcker, tm. Lecher, e tm. Leckerei, leccornia, mi pare che mettano fuori d’ogni dubbio che l’it. debba ricondursi ad un’orig. ger. Deriv.: lecca-mento-nte-piatti-rda-rdo-scodelle-tamente-tore-tura; [p. 275 modifica] lecche-ria-ttino-tto; lecco-ncino-ne-neria-nessa-nia-rnia; leccume.

Ledro, allettamento, esca (dial. lucchese). Usasi nella frase «dare il ledro» che vale “dare il lecco”. Secondo il Caix 375 è la stessa voce che afr. loitre, fr. leurre, ing. lure, e proverrebbe da mat. luoder, esca, da cui tm. Luoder, esca, carogna, rozza. Del vocab. ger. tratteremo espressamente sotto Logoro, il quale ultimo nome, del pare che Lodretto, Luodro, è venuto di là.

Leff, labbro (dial. comasco). Procedette da aat. mat. lefs, tm. Lefze, labbro. Altre forme ger. sono: aat. leffur leffura, lepora, as. lëpur, aat. leps lëfs, mat. lëfs lëfse, svev. läfzg, mat. lëspe, tirol. lespe, lebse. Secondo il Kluge p. 230, la forma ger. primitiva di questa voce era lepas, gen. lepazes lefs, gen. lefses. È originariamente affine a got. * lipiô, as. * lippia, ol. lip leppe, ags. lippa, ing. lip, tm. Lippe, labbro. Il tm. Lippe è parola sconosciuta all’aat. e mat. Penetrò nell’at. al tempo di Lutero e si mise a canto a Lefze; e prima era stato solo voce del bt. V. Kluge p. 239. La rad. ger. comune sarebbe un lep da leb. Il Kluge ammette l’affinità indeu. di questa rad. con l. labium, purchè non si riferisca quest’ultimo a lambere, leccare, poichè labbro come significante “leccante” è concetto che non soddisfa. Ritiene poi falso ciò che è ammesso dallo Schade e da altri, cioè che aat. lefs e ags. lippa provengano da vb. aat. laffan, da cui mat. laffen, leccare, e ciò per le regole dell’ablaut, giacchè a t. Lippe corrisponderebbe un got. * lipan e non * lapan. All’incontro aat. laffan corrisponde a l. lambere, e ne venne tm. Löffel, cucchiaio. Il l. labium riposerebbe su un * lebium, rispondente a got. * lipiô. Anche il persiano presenta lab, labbro. La rad. ger. in quistione agì sull’it. colla prima delle due forme, cioè con aat. lëfs; e il fatto che resta solo in parte della Lombardia, accenna evidentemente ad importazione longobarda. Colla seconda, cioè ags. lippa, influì sul fr. che ne cavò lippe [p. 276 modifica] leppe, labbro inferiore grosso, e vb. liper, mangiare piacevolmente1. V. anche Liffia.

Lemme lemme, lentamente e svogliatamente (Spet. Nat.; Malm.). Lo Zambaldi, l’unico che siasi occupato di questo modo avverbiale, crede ch’esso derivasse dall’agg. l. lenis lenis, lento lento. Ma poichè l’agg. l. non si conservò come tale in it., è difficile ammettere che potesse dare origine ad un’altra parola in questa lingua. Perciò mi sembra più verosimile la formazione della rad. ger. vista sotto Lam, cioè aat. mat. lam, tm. lahm “zoppo, storpio”. Per la forma, se l’a di aat. lam si indebolì in e nel tm. lähmen, zoppicare, e nell’ing. lame, zoppo, perchè non avrebbe potuto fare altrettanto anche passando in it.? Quanto poi al signif., quello di “zoppo, storpio” che prevale in tm. lahm lähmen, in anrd. lame, ags. lama, ing. lame, as. lamo, ol. lam, fris. laem loam lom laam, non pare il primitivo; giacchè questo, secondo il Kluge, è rappresentato da quello più generale di “debole delle membra”, come vedesi nell’agg. della stessa rad. aat. luomi, mat. luëme, “rifinito, stanco, allentato, floscio, mite”. Il senso è adunque molto vicino sia al signif. di lenis sia a quello di lemme lemme. D’altra parte il ritrovarsi il vocab. ger. nel prov. e nel piem. in signif. di “zoppo, storpio” mettendo fuori di dubbio ch’esso entrò nel campo rom., rende assai probabile che esso con semplice oscuramento d’una vocale e con piccola sfumatura di senso si conservasse anche in lemme lemme. Il Faulmann pag. 216 trae l’agg. ger. in quistione da vb. * lëman, “attaccare, appiccare”; e questa congettura, dato che fosse fondata, sarebbe favorevole [p. 277 modifica] all’etim. da me sostenuta per la forma; ma non comprendo come il filologo tedesco possa spiegare il passaggio dal signif. di “attaccare, appiccare” a quello di “vacillare, zoppicare”. Sulle affinità indeu., specialmente slave, di ger. lam, veggasi Lam; ed inoltre Schade p. 532, e Kluge, p 224.

Leppare, togliere, levar via; scappare, fuggire; furare, rubare (Buonar., Fiera; Malmantile). La forma del vb., affatto estranea al latino, mi fa supporre che sia d’orig. ger. Difatti abbiamo in quel campo anrd. slëppa, sdrucciolare, sfuggire, scampare; e causativo sleppa, fare sdrucciolare o andare; nel quale vb. è evidente l’analogia di parecchi tra i significati con quelli di it. leppare. La perdita di s iniziale è assai frequente in parole it. d’orig. ger. Del resto anrd. sleppa è della stessa rad. ger. slip, di aat. slîfan, mat. slîfen, tm. schleifen, sdrucciolare, scampare, scomparire sdrucciolando, aguzzare, pulire, ing. to slip, sdrucciolare; e aat. slifian, mat. schlipfen, da cui it. Schippire, comas. slippà. V. queste due parole. Il tm. schleppen = “trascinare”; e proviene da bt. ol. slepen “fare muovere sul terreno”. Non so poi perchè il Bopp, Gl.3 414 e lo Schleicher presso Kuhn 7, 223 vogliano paragonare rad. ger. slip e derivati a gr. έπτω, sans. sàrpâmi, io striscio.

Lercio, sucido, sporco, losco, bieco (Dante, Fav. Esop.). L’etim. più verosimile di questo agg. finora è il mat. lerz lërc, sinistro, storto, che s’adatterebbe bene ad uno dei sensi dell’agg., giacchè il losco o bieco è storto. Il composto gualercio, bieco, losco, si spiegherebbe con guatalercio, guarda-storto; e l’altra forma gualerchio fa pensare anche a mat. lirc, forma secondaria di lërc lerz, come lurc e lurz. Ma resta sempre la difficoltà del significato primario di lercio, cioè “sucido, sporco”; dal quale non c’è passaggio possibile a quello di “bieco, guercio”. Il Rönsch ha proposto un agg. l. * squaloricius, squallido, imbrattato, da cui sarebbe venuto un gualercio e da questo per aferesi lercio. Senonchè a questo modo sarebbe spiegato il primo dei due significati, ma non il secondo. Deriv.: lerciare. [p. 278 modifica]

Lesina, ferro appuntatissimo e sottile con cui per lo più si fora il cuojo per cucirlo; uomo sordido e avaro (Fra Giordano, Fior. S. Fr.). Questo coi corrispondenti sp. alesna lesna, prov. alena, limos. lerno, fr. alène, riposa su mlt. alesna, che a sua volta risale ad aat. alasna alesna alunsa alansa, da cui anche svizz. alesne alse. L’aat. alunsa non è che aat. âla col suff. se ricorrente parecchie altre volte in quel campo. Da âla si svolsero mat. âle, tm. Ahle, lesina, ags. äl al avel, nelle isole Orcadi alison, ing. awl, anrd. alr, ol. aal els d’ug. sig. Dal che appare che it. lesina, t. Ahle, ing. awl, forme a primo aspetto sì diverse, sono fondamentalmente la stessa parola! Il Kluge paragona al vocab. ger. il sans. arâ, lesina, punteruolo, lit. ýla, lett. îlens, pruss. ylo, lesina che accennano a un preger. êlâ. Ma secondo lui ags. âwul, ing. awl più che a ger. âla è da ravvicinarsi a l. aculeus, pungolo, lett. âki, uncino. Però questo raccostamento ci pare assai strano. Il Faulmann, per dire qualche cosa di nuovo, propone di considerare aat. âla come semplice indebolimento di * wal qual che sarebbesi formato da vb. aat. qualian, quelian, ags. cvellan, uccidere, tormentare, e alansa come derivato da * qualiand, tormentante, pungente. Evidentemente qui il Faulmann non la cede al Menage in arditezza di congetture; ma è anche chiaro che nè il senso nè la forma sono favorevoli a simile ipotesi. Quanto al significato accessorio di “sordidezza, gretteria” dell’it. lesina, e fr. lesine che n’è derivato, pare ch’esso debba la sua origine ad un fatto storico (nè la cosa si saprebbe spiegare diversamente) ricordato così dal Menage. Lesine du livre italien intitulé Della famosa Compagnia della Lesina: le quel contient divers moyens de ménage. L’auteur, qui est un nommé Vialardi, feint que cette Compagnie fut ainsi appelée da «certi taccagnoni, i quali per marcia miseria et avarizia si mettevano insino a rattacconar le scarpette e le pianelle con le lor proprie mani per non ispendere. E perchè tal mestiere del [p. 279 modifica] rattacconare non si può fare senza la lesina anzi è lo stromento principale, presono questo nome della Lesina». Deriv. dal nome in quest’ultimo senso sono: lesinare, lesineria.

Lesto, agile, destro, svelto, snello; astuto, accorto (Machiav., Lasca). Ha per corrispondenti sp. listo, port. lesto, fr. leste, i quali però non presentano il signif. di “astuto, sagace”, come l’it. Ha per fondamento il got. listeigs, artificioso, astuto, aat. listig listik, prudente, destro, astuto, e tm. listig, scaltro, fino, astuto. L’agg. ger. si svolse dal tema listi che diè got. lists, astuzia, inganno, aat. mat. list, tm. List, saviezza, prudenza, abilità, astuzia, arte, inganno. Il signif. originario, secondo il Kluge, è quello di “prudenza”: l’ags. list vale “arte, abilità, astuzia”, ing. list “prudenza, astuzia”, anrd. list, prudenza, artificiosità, destrezza, abilità. In parecchi dialetti ted. il senso primitivo di “accortezza” degenerò in quello di “astuzia, malizia”, e questa degenerazione l’ha subita anche in it. Il tema listi sarebbe secondo il Grimm Ges. d. d. Sp. 906 un nomen actionis formatosi mediante il suffisso ti dal vb. leisan lais, rad. lis, sapere, donde lis-ti. Il valore fondamentale di questo vb. sarebbe stato quello di “pestare, premere, camminare” (donde got. laists, aat. mat. leist, traccia, laistjan, seguire); e dal signif. materiale di “procedere, camminare” si sarebbe passato a quello di “potenza o attitudine morale risultante dall’assiduo esercizio del premere e camminare”. A questo lais (affine anche a l. lira, solco da cui delirus, chi è fuori di carreggiata) si riannettono got. laisian, insegnare, as. lerian, leran, aat. lerran, leran, mat. leren, tm. lehren d’ug. sig.; poi aat. lirnen, lërnên, lërnôn, mt. tm. lernen, ags. learnian, ing. to learn, imparare. V. Friedmann, p. 217. A tema listi spettano immediatamente aat. listig listiclich, listlih listekeid listan listen; cfr. Lista. Sull’orig. ger. di it. lesto e voci rom. sorelle non ci può essere alcun dubbio. Da una parte il signif. corrisponde, perchè dal senso morale di “abile, accorto, astuto” " che è conservato, se non [p. 280 modifica]dalle altre lingue rom., almeno dall’it., è facile il trapasso a quello di “snello, agile, destro; dall’altra il vocab. ger. aveva un’immensa diffusione e la forma è quasi perfettamente uguale, poichè il rom. avrebbe rigettato solo il suffisso di listig, listik, cangiando regolarmente l’i in e, e conservandolo in qualche caso, come nello spagnuolo. Quanto al Liebrecht che propose come etim. il l. lestus, che sarebbe stato un superlativo di levis, mediante un * leistus da levistus ed avrebbe perciò signif. “leggerissimo”, ci sono parecchie difficoltà che a me pajon molto gravi. Primieramente lestus è voce rarissima in l. non comparendo che poche volte nella lingua scritta, e nel composto sublestus presso Plauto e Festo. Ma questo conterebbe fino a un certo punto. Più difficile mi pare a spiegare come dal signif. materiale di “leggero” si potesse giungere a quello morale di “astuto, scaltro”, il quale al contrario è quasi fondamentale nel campo ger. Di più si può osservare che da levis è impossibile la formazione di un superlativo in istus, per la irregolarità della terminazione; la quale poi anche se si ammettesse, cadendo necessariamente l’accento sull’i di levistus, non sarebbe stata possibile la scomparsa della sillaba tonica. Infine concesso che le voci rom. venissero da l. lestus, come spiegherebbesi l’i di sp. listo? Per tutte queste ragioni, noi crediamo sia necessario rigettare l’ipotesi del Liebrecht, e attenersi all’etim. proposta dal Diez e accettata anche dal Kluge2. Oltre al rom. è venuto dal ger. listi anche un intero gruppo di parole slave che sono a. sl. listi, inganno, astuzia, listiba, lo stesso; listivu, artificioso, listinu, ingannevole, lisliti, ingannare, ammaliare, illudere. Mikl. 348, Fick2 541. Lo Scade ammette che l’a. [p. 281 modifica] sl. possa essere derivato immediatemente da got. listeigs. Deriv.: lest-amente-ezza. Composti: allesti-mento-re.

Licchia, scintilla (dial.). Questo nome, che non ha riscontro nelle lingue sorelle, risale evidentemente, a detta anche del Caix 338, ad una rad. ger., e precisamente quella di tm. Licht, luce, splendore. L’aat. era lioht lëoht lieht, il mat. lieht liht licht; as. lîoht lëoht liaht, ags. léoht, [donde ing. light], luce, lume, splendore, chiarezza, lucerna, candela. L’ol. è licht, afris. liacht, lucht, fris. lieacht liuecht. La dentale della parola ger. è una derivazione, come nota il Kluge, ed è mostrato da got. liuh-ath, luce, chiarore; e in it. la parola dev’essere penetrata da una forma che non presentava questa dentale, se non si voglia ammettere che in bocca ai popoli che la introdussero questa lettera fosse quasi divenuta muta. Sulla storia anteriore del vocab. ger. sono belle, come quasi sempre, le osservazioni del Kluge. Egli nota anzitutto che l’anrd. liós dovette procedere da got. * liuhs; e che a tutte le forme ger. stava a fondamento un doppio tema idg. leukot-leukt e leukos-leuks, a cui confronta sans. rocis, zend. raocanh [per * rôcas], splendore, luce. La rad. idg. è luk che ha ricchissimo sviluppo: sans. ruc, lucere, rukmás, splendente, rôkás, luce; gr. λευκος, bianco, άμφιλύκη, crespuscolo, l. lucerna, lûceo lux lucidus luna lûmen diluculum; a. ir. lóche(t) lampo, lón, splendore, a. sl. luca, raggio, luna, luna. Dentro al campo ger. si trovano altre derivazioni da rad. idg. luk, come Leuchte, lanterna, licht, chiaro, luminoso, Lohe, fiamma, vampa, Luchs, lince, e got. lauhmuni, lampo, lauhatian, lucere, anrd. ljóme, ags. léoma, as. liomo, splendore, ags. légetu, m. ing. leit, lampo, aat. lôhazzen, lampeggiare. A sans. ruksá, zend. raoxsina, chiaro, pruss. lauksnos, stelle, e anrd. liós, luce, si connettono ancora aat. liehsen, chiaro, e ags. lixan, lucere.

Liffia, bocca (dial. comasco). Questa voce dialettale è una forma sensibilmente alterata di Leff, ma con significato anche più alterato, e che non riscontrasi in [p. 282 modifica] nessuna delle lingue ger. nè nel fr. Procedette da aat. lëfs, da cui mat. lëfs, lëfse, tm. Lefze, labbro.

Ligio, vassallo dei tempi feudali che teneva una sorta di fio che l’obbligava d’un’obbligazione più stretta degli altri verso il suo signore. Oggi in senso più lato e per similitudine dicesi di chi dipende dai voleri d’alcuno, che anche dicesi schiavo (Petrarca, Bembo, Borghini). Immediatamente riposa su afr. lige, d’ug. sig., da cui si formò il tardo mlt. ligius che ricorre sovente nelle formole homo ligius, ligia potestas, ligia voluntas. L’afr. presenta anche lege e vb. eslegier. Il prov. ha litge, il fr. lige. Il Voss tentò di trarre il vocab. fr., che è fondamentale in rom., a l. liga, vincolo. Ma un agg., in ogni caso, avrebbe dovuto formarsi da un altro agg. che qui non poteva essere che ligatus. Ora da ligatus, molto conveniente pel senso, fr. lige e mlt. ligius sono di formazione foneticamente impossibile, giacchè la sillaba tonica non può scomparire; e difatti non è scomparsa nel fr. lié e nell’it. legato. Anche l’anrd. lidi, compagno, accennato dal Diez, va escluso pel senso troppo lontano. Resta un’altra etim. ger., che nonostante qualche difficoltà di senso, ormai è accettata da insigni linguisti, e fra gli altri dal Mackel. Questi fa procedere afr. lége lege da vlt. * ledigus * ledicus, analogamente a salvage da salvaticus; poi riporta * ledigus * ledicus ad abfr. lëdig, che nel mat. presenta le forme lëdec lëdic lidic lidig da aat. * lidag ledig, got. lithags, libero, vacante, vuoto. Il tm. è ledig, libero, sciolto, non impedito; l’anrd. è lithugr, m. ing. lethy, libero vuoto. Altre affinità posson vedersi nel Kluge p. 230. Per rendersi ragione del passaggio a prima vista impossibile del signif. che il vocab. aveva ed ha nel campo ger. di “libero, sciolto”, a quello assunto nel rom. di “vassallo, suddito”, bisogna tener conto di quel che dicono a questo proposito il Ducange e il Grandgagnage. Il primo scrive «Ligius dicitur is qui ratione feudi vel subjectionis fidem omnem contra [p. 283 modifica] quemvis praestat». L’altro dice «Homage lige non significa letteralmente, come si crede d’ordinario, un omaggio per cui uno si lega pienamente verso il proprio padrone, benchè questo sia il senso logico, o, se si vuole, l’effetto di questo genere d’omaggio sciolto da ogni restrizione a profitto d’un terzo, e però assoluto». Da queste osservazioni lo Scheler deduce che il signif. dell’agg. rom. era quello di “tutto intiero, senza riserva”, come appare anche da avv. fr. ligement, francamente, e da vall. lige, libero. In sostanza, l’agg. fr. lige e mlt. ligius unito al sost. homage, era adoperato nel suo signif. etimologico ma con una restrizione mentale [cioè di “libero da ogni altra obbligazione”], restrizione che ove non tengasi presente, può far parere assurdo l’uso dell’agg. stesso, supposto che provenga dal t. Un fenomeno analogo presenta il vb. l. vaco che vale “essere libero” e “attendere”; dove è chiaro che il secondo signif. è l’effetto del primo; a quel modo che l’homo ligius poteva attendere a servire esclusivamente il suo padrone perchè era libero dagli altri. Del resto in un doc. del sec. 13º ligius homo è spiegato col t. ledig mann; e ciò mostra che fra i Tedeschi si capiva ancora il signif. primitivo di ligius, e viene a confermare l’origine da noi sostenuta, in appoggio della quale lo Scheler osserva che la forma neerlandese di t. ledig è leeg, da cui era anche più facile che da abfr. lëdig, il trapasso fonetico ad afr. lege, lige.

Lindano, uomo rimesso, ciondolone e scioperato (dial. dell’Appennino modenese). Io credo che questo agg. sia d’orig. ger. Nell’aat. troviamo vb. lindan, lindjan, mat. linden, essere cedente, condiscendente, tenero, floscio, donde agg. aat. lind lindi linthi, mat. linde, cedente, tenero, floscio. Dal detto signif. a quello di “svogliato e scioperato” il passaggio è logico. La forma è vicinissima. La rad. ger. è lên col senso fondamentale di “pieghevolezza, arrendevolezza”, e le rispondono a. sl. lênû, pigro, poltrone, l. len-is, [p. 284 modifica] molle, tenero, mite, e lentus, pieghevole, pigro. Da queste due ultimi agg. lindano non può provenire a cagione della forma, benchè il signif. di essi sia pressappoco uguale tanto all’it. quanto al ger. V. Lindo.

Lindo, leggiadro, grazioso, bello gentile, vago, vistoso, elegante, adorno, attillato (Davanzati; Buonarroti, Fiera). A questo agg., cui corrispondono sp. port. lindo, prov. linde, d’ug. sig., piem. lindo, il Diez diè per base il l. limpidus, chiaro, da cui è venuto anche it. limpido, sp. i, analogamente a nitidus che diè nitido e netto, e a turbidus che produsse torbido e torba. A questa etim. del Diez mi pare possa fare concorrenza l’aat. lind lindi, mat. linde, tm. lind gelinde, tenero, dolce, delicato, morbido. Veramente il signif. è un po’ diverso; tuttavia da “delicato, morbido” a “elegante, grazioso, gentile” il trapasso non è impossibile. La forma è certamente più vicino che quella del l. limpidus. Il got. sarebbe * linths, l’as. era lithi, ags. lide, donde ing. lithe col signif. puramente materiale di pieghevole. S’è già visto che dal ger. ebbe probabilmente origine il vocab. dial. lindano in signif. molto diverso da quello di lindo; e questo è forse ciò che costituisce la maggior difficoltà per la mia opinione sull’etim. di lindo.

Lisca, fusto o gambo d’erba; materia legnosa che cade dal lino o dalla canapa quando si maciulla o si pettina; punta delle spighe del grano, spina del pesce, resta, cosa minima; ritaglio, fetta (Cresc., Lor. de’ Medici). Questa voce ha due significati fondamentali ben distinti: quello di “fusto d’erba, spina o cosa appuntata” e quello di “piccola fetta, ritaglio”. Nel primo senso l’it. ha per corrispondenti: mil. lisca, piem. lesca, fr. laîche, carice; nel secondo, piem. lesca lisca, prov. lisco lesco, fr. léche, piccolo taglio. È difficile capire come fra i due sensi ci possa essere relazione di affinità e di dipendenza: quindi sarebbe arrischiato il sostenere assolutamente che [p. 285 modifica] si tratta d’una sola parola. Solo è certo che nel primo senso la voce rom. è certamente d’origine ger., procedendo essa da aat. lisca lîsca, carice. L’a. bt. presenta lesc, scirpo, giunco, l’a. ol. liessch, ol. lisch, il mat. liesche, tm. Liesch, sorta d’erba crescente nei prati umidi. Così il Nemnich nel suo Allgemeines Polyglotten - Lexicon der Naturgeschichte ecc. 2, 928.

Liscio, levigato, pulito, bello e morbido (Dante, Fra Giordano). All’it. corrispondono: sp. port. liso, prov. lis, fr. lisse d’ug. sig., coi vb. sp. alisar. fr. lisser, lisciare, sp. deslizar, scivolare. Il Diez dopo avere proposto il gr. λισσός d’ug. sig., e aat. * lîsi [avv. lîso], mat. lîse lîs, piano, dolce, morbido, inosservato, donde tm. leise, basso, sommesso, sottile, leggero; propende per l’etim. ger. perchè l’î ger. è sempre uguale ad i rom., e perchè il suono si è reso per sc. D’altra parte il suono ss greco difficilmente avrebbe assunto in rom. altra forma che o doppia s o doppia z; e poi vale anche qui l’avvertenza più volte fatta che nel medio-evo i termini greci entrati nelle lingue rom. sono per lo più relativi a cose di marina: raramente concernavano altri ordini di idee. Anche il Mackel ammette l’orig. ger. dell’agg. rom.; però confessa esserci non piccola difficoltà dal lato della forma, se non si supponga che a fondamento stia il longob. lîsi, tema lîsia, e che questo abbia prodotto il vlt. * liseus e questo l’it. liscio, * ligio, da cui poi sarebbe venuto fr. lisse, che appare solo nel sec. 15º. Questo è confermato anche dal sig. di fr. lisser, pulire, levigare, che parla a favore dell’imprestito fatto al tempo del rinascimento. Lo Schade, dietro il Grimm e il Weigand, connette l’aat. * lîsi, mat. ie tm. leise a rad. lis, di vb. leisan, mettere piede innanzi piede. Ma il Kluge p. 234 osserva che, attesa la grande differenza di significato, è difficile ammettere una corrispondenza immediata fra l’agg. ger. e una tal radice che si esplicò in lehren, List, lernen. Propenderebbe a paragonare aat. * lîsi, mat. lîse, tm. Leise a gr. [p. 286 modifica] λείος λιαρός, morbido, dolce, mite, e a l. lêvis, liscio, se non facesse difficoltà la nasale che riscontrasi in svev. lins, laêns. Il Faulmann, dopo avere riportato lîsi a lîsan, trae questo da lintan, salire! Deriv.: liscezza; liscia-mente-mento-rda-re-ta-tina-to-tojo-tore-trice-tura.

Lista listra, lungo pezzo di checchessia, stretto assai in comparazione della sua lunghezza, fila, nota, segno, indice, catalogo (Dante, Villani, Buti). Con sp. port. lista prov. lista listre, fr. liste, e lisière per listière provenne immediatamente da aat. listâ, donde anche mat. lîste, tm. Leiste, striscia a forma di nastro, fimbria, orlo, gallone, passamano, frangia. L’ags. presenta list, da cui ing. list, orlo, frangia, striscia, to list, enlist, arrolare, l’isl. lista, orlo, striscia. Dal t. vennero pure lit. lýste, lista, tavoletta da riporvi su qualche cosa, e lett. liste, lista. Kurschat 2, 23; Mielke 2, 324; Nesselmann 371. Quanto all’origine prima, pel Graff 2, 251, e il Weigand 2, 37, aat. listâ spetta a vb. got. leisan lais, che secondo il Grimm vale “andare, seguire”. Quindi listâ è propriamente “qualche cosa che va attorno, che abbraccia”. Nelle lingue rom. sorelle lista ha avuto maggiore sviluppo che in ital. Così in isp. produsse listar alistar, il port. listrar, il prov. listar, listrar l’afr. lister. Deriv.: lista-ccia-re-to; listello; allistare.

Lizza, riparo o trincea (Stor. Ajolfo; Orl. Fur.); tavolato, muro o tela, rasente la quale correvano i cavalieri nelle giostre (Malmantile). Circa l’origine di questa parola [sp. liza, prov. lissa, fr. lice, ing. list], il Diez respinge l’etim. da l. licja, licium, “filo, cordicella”, pel significato, e propone, dubitativamente però, il mat. letze, impedimento, ostacolo che esclude da qualche cosa; riparo. Il Diez tenta convalidare questa sua congettura coll’esempio di tanti altri termini di guerra entrati dal t. in rom. Per parte nostra diciamo che il senso si presterebbe benissimo; ma che fa difficoltà grande l’assottigliamento della vocale tonica e in j, che non è regolare. Qui poi [p. 287 modifica] s’aggiunge che al tempo del tm. i Tedeschi tolsero dal rom. il loro Litze, cavandolo proprio da fr. lice. Il che rende poco verosimile l’opinione del Diez.

Lochio, soffio, alito (Redi). A questa voce il Caix non sa assegnare altra etim. che quella dal t. Hauch respiro, soffio, alito, da cui sarebbe venuto un * ochio, e da questo, mediante l’agglutinazione dell’articolo, lochio. Tale derivazione è regolare sia da parte del senso che da quella della forma. Ma fa difficoltà il fatto accennato dal Kluge che il nome Hauch e vb. hauchen non appaiono che nel mat. e nel tm. e anche in questi due periodi hanno poca diffusione. Ed allora è lecito domandare: come potè il vocab. ger. entrare in it. durante l’invasione barbarica, se allora non consta che esistesse? e come potè entrarvi nel periodo del tardo medio-evo, se la parola nel mat. e tm. è piuttosto rara; e se in questo tempo il t. non dà all’it. vocaboli denotanti concetti astratti?

Lodretto, (antiq.) sorta di vivanda cha conservasi lungamente (Fran. da Barber.) È un nome dimin. che presuppone un * lodro, il quale ultimo è uno dei molteplici aspetti assunti in it. dal mat. luoder, tm. Luder, esca, carogna, che nel primo signif. diè origine a ledro, * lodro e logoro, nel secondo a quello di luodro. V. Logoro.

Loffiio, frollo, cascante (Fagioli). Credo che riposi su aat. slaf, ags. sloev, ing. slow, ol. slof, rimesso, debole, che sarà più ampiamente trattato sotto l’agg. seguente, di cui in sostanza non è che una forma parallela con leggera sfumatura di significato. Però il lombardo slofi, e venez. slofio valgono precisamente “fiacco”.

Loffo, grullo, melenso (Mea di Polito). A questa forma toscana rispondono: venez. slofio, fiacco, lomb. slofi, fiacco, sicil. lofiu, insulso. Ha per base l’aat. slaf [fles. slaffer], slaph, mat. slaf, tm. schlaff, bt. ol. slap, allentato, pigro, rimesso, poltrone, debole, bavar. schlapp. L’anrd. ha sliofr, ebete, pigro, ags. sleav sloev, ing. slow, ol. slof, pigro, [p. 288 modifica] stanco; vb. ags. slavian, poltroneggiare, aat. mat. slêwen, marcire. A tema aat. slaf spettano ancora slaffo slaffig slappe, slaffi slaffida slaffen. Quest’ultimo è il vb. aat. slâfan slâfen, mat. slâfen, as. slâpan, got. slepan, tm. schlafen, dormire [Schlaf sonno, riposo] ags. slâpan slaepan, ing. to sleep, afris. slêpa, ol. slaepen, riposare dormire. L’affinità ideologica fra “riposare, dormire” e “l’esser fiacco, rallentato” salta agli occhi d’ognuno, poichè il sonno non è che uno stato di languidezza e spossatezza. Ci sono anche: aat. arslaffen, snervare, dial. schluffen, schloffera, schlopfera, (Diefenbach). Il got. * slapa, secondo il Kluge, sarebbe formazione da rad. slêp, dormire, come lata, pigro, marcio, da rad. lête, allentare, rilassare. Ma di questa rad. avremo occasione di occuparci di nuovo alle voci Schiaffo e Sleppa. Per ora ci limitiamo a confrontare a ger. slapa “lento, fiacco” l’a. sl. slabû lento, debole, stanco, trascurato, slabota, slabosti, debolezza, slabiti, fare debole, esser negligente, Micklos. 854, e poi. slaby, lento, lett. slábs slabans, debole, l. lâbi, sdrucciolare, labare, vacillare. Passando in it. il voc. ger., che ci venne sicuramente per mezzo dei Longobardi giacchè non si incontra nelle lingue sorelle, perdette la s iniziale, come avvenne in parecchi altri casi.

Loggia, edificio aperto che si regge in su pilastri o colonne, coperta, difesa, riparo (Fra Giordano, Villani, Petrarca). Questo, coi corrispondenti lomb. piem. lobia, lad. laupia, port. loja, sp. lonja, prov. lotja, fr. loge, galleria, capanna, tenda; immediatamente riposa su mlt. laubia, che risale alla sua volta ad aat. loubâ loupa louppea loubja, galleria, sporto, portico, riparo fatto sopra il piano superiore d’una casa contro la pioggia e i raggi del sole. Il mat. era loube löube, atrio, tribunale, antisala. Il tm. è Laube, e vale “frascato, pergolato”; significato etimolomente giustissimo, giacchè questi ripari o gallerie sopra i tetti erano coperti di foglie; ma che ad ogni modo non ricorre nè nell’aat. nel mat., nei quali corrispondeva a [p. 289 modifica]“portico coperto”, ed era perciò pressappoco uguale a quello delle lingue rom. moderne. I dial. assiano e bt. presentano le forme leibe e löve, granajo, magazzino. L’anrd. lopt vale “piano superiore, balcone”, donde forse ing. loft, soffitta, granajo. La ragione del signif. dell’odierno Laube, secondo il Kluge, si è che nel medio-evo e al principio del tm. erano molto in uso in Germania i Lusthaus, Gartenhaus, Gartenlaube, Sommerlaube, i quali due ultimi termini valendo “riparo del giardino” e “riparo per l’estate” ripari fatti ambedue di foglie, furono abbreviati senz’altro in Laube. Quanto all’origine prima di aat. louba, lo Schade p. 571 lo rattacca ad aat. loub laub loup laup, mat. loup, tm. Laub, foglio, frondi; as. lobh, ol. i, ags. leáf, ing. i, a. fris. lôf, fris. leaf, loaf lof luf, anrd. lauf, sv. löf, dan. löv, got. laufs [pl. laubos], da tema ger. laufa da preg. lapva. Queste voci sono affini a lit. lâpas, foglio, lett. lapa, foglio, sl. lepen, foglia; gr. λεπος, guscio, corteccia. λέπυρον λεπίς, guscio, corteccia, λέπειν, sgusciare. Miklos. 335. Difatti si capisce troppo bene come dal concetto di “foglia, fronda” si possa passare facilmente a quello di “capanna, riparo, tenda”; e il Diez osserva opportunamente essersi questo verificato anche nel francese dove afr. foillie da feuille, foglio, vale precisamente “capanna”. Quindi ci pare abbia torto il Faulmann quando, rigettata la suddetta derivazione, trae aat. louppâ da un vb. * liupan, risparmiare. Il medesimo Faulmann ha anche l’arditezza di volere cavare it. loggia e fr. loge da vb. aat. liugan [da cui tm. lügen, mentire: v. Luchina], perchè questo vb. aat. vale originariamente “nascondere”; e di connettere liugan a vb. liehen, amare! Ma questi ci paion sogni da disgradarne il Menage. L’etim. dalle voci rom. da gr. λογεῖον λόγιον, da cui l. logeum logium, it. leggio, parte anteriore del teatro, proscenio pur non essendo contraria alle leggi fonetiche, non regge a cagione del sig. troppo diverso. Quella poi di fr. loger da locare, primieramente è assurda, perchè [p. 290 modifica] presuppone che il nome loggia venga da fr. loge e quest’ultimo da vb. loger, quando invece it. loggia è indipendente dal nome fr., e quest’ultimo dal vb. corrispondente; poi ad ogni modo il l. locare, se mai, avrebbe prodotto un louer o loquer. Inoltre tra il sig. di locare e di loggia c’è un passaggio fortissimo, poichè loggia contiene una determinazione o specificazione che non potè svolgersi per nulla dal senso troppo generico di locare, e che ha bisogno d’un qualche altro concetto più preciso. Il cangiamento di b in g, non fa difficoltà; essendosi verificato in altri casi, ad es. in it. cangiare, fr. changer da cambiare. V. Lubbione. Deriv.: logget-ta-tina; loggia-mento-to; loggiona. Composti: Alloggia-mento-re; alloggio-tore-trice-geria. Diloggiare, sloggiare.

Logorare, consumare le cose che s’usan per cibo bevanda e simili (Jacopone, Villani, Boccaccio). Questo vb. è verisimilmente derivato dal nome logoro. A prima vista non si capisce che relazione di senso ci possa essere tra l’idea di “esca, insidia, allettamento” e quella di “consumare, distruggere”. Ma, se ben si considera, la connessione c’è. Ciò che adesca ed alletta consuma sè ed altrui. Difatti appunto per questa affinità di idee, il mat. luodern significò “gozzovigliare, godere sollazzando, condurre vita dissoluta”; concetti implicanti quello di “consumare”. I vb. fr. leurrer e prov. loirar conservano il signif. primitivo di “adescare, sedurre, affliggere”. Il Muratori traeva questo vb. da l. lurcari, esser ghiotto. Ma nè il senso nè la forma favoriscono molto questa congettura.

Logoro, arnese degli strozzieri, fatto di penne e di cuojo a modo d’un’ala, con cui, girandolo e gridando, si richiama il falcone che non torna al richiamo (Dante, Buti, Galilei). È nome che colle voci sorelle prov. loire, afr. loitre, fr. leurre d’ug. sig. [leurre da luoder, come feurre da fuoter] ing. lure, pezzo di cuojo per allettare il falcone, procedette da mat. luoder lüder, esca, insidia, vita dissoluta, crapula, da cui tm. Luder; carogna, esca, rozza. [p. 291 modifica] Il vocab. mat. spetta (non oserei determinare quale dei due derivasse dall’altro, ma probabilmente il vb. viene dal nome, analogamente ad it. adescare da esca) spetta, dico, a vb. mat. luoderen, luodern, lûdern, eccitare, allettare, gozzovigliare, crapulare, condurre vita dissoluta, fare buffonate, donde tm. ludern, marcire nelle dissolutezze, adescare. Si riferiscono alla stessa rad. mat. luoderaere luoderer, crapulone, dissoluto, e mat. luoderie, gozzoviglia, vita dissoluta, e agg. tm. lüderlich, trascurato, sregolato, dissoluto. Alcuni filologi tedeschi, fra cui il Kluge e il Faulmann, annettono questo vb. mat. a got. lathôn, aat. ladôn ladên, mat. laden, tm. laden [lud] invitare, provocare, ags. lathian, da lad; il cui signif. fondamentale sarebbe stato secondo il Kluge quello di “chiamare, conforto”, secondo il Faulmann quello di “essere ozioso, scioperato, disteso”: il concetto di “trattare bene, invitare” pel Kluge sarebbe stato il termine d’uscita, non quello di partenza. Sempre secondo lo stesso etimologista il fr. leurre procederebbe immediatamente dalla forma a. ger., della stessa rad. lothra; ma ciò non si concilia nè colla mancanza nel campo ger. di questa forma, almeno come documentata, nè colla tarda entrata della voce nelle lingue rom., che seguì nel tempo del mat., cioè nel tempo della prevalenza degli usi di caccia fra i Tedeschi che ne introdussero parecchi fra i meridionali; cosa confermata dal ritrovarsi questo tema solo nelle lingue it. e due fr., e non nello sp. e rimanenti neol., dove probabilmente si sarebbe trovato, se l’importazione fosse avvenuta colle invasioni barbariche. L’it. logoro poi avrebbe preso un g in luogo del d per eufonia. Nelle due lingue fr. abbiamo i vb. prov. loirar e fr. leurrer in signif. di “allettare, sedurre, ingannare: l’it. logorare è stato già trattato a parte.

Lombardo, abitante dell’Italia settentrionale. (Dante). Questo era il signif. del vocabolo nel medio-evo; ma ora è stato molto ristretto. E perchè nel medio-evo [p. 292 modifica] questi Lombardi erano il popolo più industrioso e trafficante d’Italia, ed eran conosciutissimi in buona parte di Europa, ne seguì che il Lombard dei Francesi, il Lamparte Lampartaer dei Tedeschi significò anche “Italiano”. V. Dante Purg. 16. Etimologicamente Lombardo è sincope di Longobardo. V. Quest’ultima parola.

Longobardi, nome d’un famoso popolo germanico che invasa l’Italia nel 568 la signoreggiò quasi tutta fino al 774, quando fu abbattuto dai Franchi (Dante). Accorciato mediante sincope restò a designare una parte della pianura del Po, ove era stato il centro della dominazione di quella gente. Questo nome era già conosciuto dai Romani dei primi secoli dell’impero per mezzo di Vellejo Patercolo II, 106, e di Tacito, Germ. 40. S’incontra poi nella sua forma genuina di Langobardi nell’Origo gentis Langobardorum, nel Chronicon Gothanum, nell’Edictus Rothari, e in Paolo Diacono. La forma ags. era Longbeardan. Il ms. fuldese delle leggi longobarde presenta la forma latinizzata Longobardi. Sull’etimologia dell’importantissimo nome riportiamo quel che ne dice Carlo Meyer nella sua opera Sprache und Sprachdenkmäler der Langobarden, Paderborn, 1877, pag. 295. «Nota, egli scrive, ma non giusta è l’interpretazione che si diè a questa parola, come se fosse composta di aat. lang, lungo, e di aat. bart, ags. beard, barba, e significasse perciò “dalla barba lunga”. Essa si trova già nell’Origo g. Lang. 642, in Paolo Diacono I, 8, 9; ed è stata ultimamente accettata dal Bluhme (Die gens Langobardorum und ihre Herkunft, p. 15). Ma contro questa spiegazione sta il fatto che i Longobardi dagli Anglo-Sassoni sono chiamati anche Headobeardnas (Beóvulf, Bibliot. der angelsächsischen Poesie, 2033, 2038, 2068) da ags. headu heado, battaglia. Ora questa seconda denominazione conduce di necessità all’aat. bartâ parta, a. bt. barda, ascia, scure; che in unione con heado e con lang presenta un senso anch’esso passabile [heado barta, scure da battaglia; [p. 293 modifica] langbarta, ascia lunga]. Di più: talvolta i Longobardi sono chiamati anche semplicemente Bardi: per es. nella poesia lat. presso Paolo Diacono III, 19; nella cronica sl. di Ermoldo I, 25, 2; nel Chron. Salern. presso Pertz, Monum. Ger. III, 486, 488, 554, 510; ed a questo appellativo si connette la denominazione di Bardengau, cantone dei Bardi, che resta tuttavia al paese che sulle rive della bassa Elba, si stende da Harburg a Blekede (Blekingen in Saxos hist. Daniae ed. Müller VIII pag. 418, 419); dove Tacito colloca appunto la sede dei Longobardi». Deriv.: Longobardia. V. del resto Lombardo.

Lonigildo, (term. stor.) retribuzione, ricompensa, regalo reciproco (Muratori, Capponi). È una parola importataci dai Longobardi e ricorrente in Rotari 175, 184; Liutprando 43; Astolfo 12 sotto le forme di launigild, launechild launakild, e proviene da * launigeld. L’aat. presenta lôngëlt, as. lôngëld; il got. dovette essere launagild. È composto di got. laun, aat. mat. lon, tm. Lohn, ags. léan, e di aat. gëlt gëld kêlt, mat. gëld, donde tm. Geld, denaro: due nomi già esaminati sotto Guiderdone e Guidrigildo. Non è facile capire la ragione del composto; giacchè i due elementi pel signif. pressappoco si equivalgono, almeno nel senso che avevano anticamente, importando il primo “mercede, salario, ricompensa, premio”, e l’altro “paga, risarcimento, rifacimento, retribuzione”. Stando ai sensi moderni si troverebbe il signif. di “paga della mercede”, che è passabile. Questo composto, come molti altri termini giuridici in uso presso gli antichi popoli ger., sparì dal mat. e dal tm.

Lonza, l’estremità carnosa che dalla testa e dalle zampe resta attaccata alla pelle degli animali grossi, che si macellano, nello scorticarli. Secondo il Diez questo nome procedette da aat. lúntussa, sugna, lardo, il grasso, il grassume; e non da fr. longe, lombata. [p. 294 modifica]

Lonzo, allentato, floscio, vizzo (Bonarr. Fiera, Bellincioni, Salvini). Si svolse da rad. di mat. lunz, sonnolenza, indolenza, vb. mat. lunzen, dormire leggermente. Questo vb. s’è dileguato nel tm. scritto; ma resta nel bav. lunzet, sonnacchioso, neghittoso. Schmeller, Bayerisches Wörterbuch, 2, 485. Corrispondono qui m. ol. lompsch, pigro, e at. luntsch.

Loppa, guscio del grano (Cresc.; Caro). Il Diefenbach nel suo Goth. II, 154, volle trarre un tal nome da rad. di tm. Lauf, corteccia del frutto. Ma qui non c’è alcuna verisimiglianza; giacchè la forma ger. è diversissima, non presentando mai il p [aat. louft, mat. lôft, tm. Laüfel, Lauft], e il signif. è precisamente quello di “guscio della noce, corteccia dell’albero”. Quindi resta sempre probabile l’etim. del Ménage da λοπος, guscio, baccello, affine forse a lit. lupinai, guscio della frutta, pol. lupina, guscio. Deriv.: * loppola, da cui lolla; lopposo; dilollare. Nel dial. della montagna mod. (Montese) si chiama loc.

Lotto, specie di giuoco di sorte; premio promesso in questo giuoco (Varchi, Buonarroti). I corrispondenti port. loto, sorte, numero, fr. lot, parte assegnata, sorte, giuoco di fortuna, guadagno da esso ricavato, da cui sp. lote, presentano diverse sfumature di significato, del pari che i vb. port. lotar, fissar numero o sorte, tassare, afr. lotir, gettar la sorte, predire, fr. lotir, fare divisione, lotteria o giuoco di sorte. Il nome rom. risale a rad. ger. hlut che si esplicò in got. hlauts, κλῆρος, eredità, sorte, caso, as. hlôt [pl. hlôtôs], afris. hlôt, ags. hlyt hlôt, ing. lot, fris. ol. lot, dan. lod, sorte parte toccata, proprietà. L’aat. è un po’ diverso, conservando esso la dentale aspra, hlôz lôz, hlûz luz, porzione assegnata, paese toccato in sorte: di qui tm. Los, Loos, sorte, scioglimento, patrimonio. L’anrd. è hlaut hlutr hluti, sorte, parte, cosa, offerta. Questo nome ger. si svolse immediatamente da vb. got. hliutan, as. hliotan, hlëotan, ottenere, riscattare, anrd. hliota, acquistare, aat. hliozen, hlëozan, [p. 295 modifica]liozan lëozan, liazan, donde mat. liezen, ottener in sorte, trarre a sorte, predire, incantare, acquistare, tm. loosen, sorteggiare. Spettano a questo vb. liozo, liozâri, profeta, lieza, profetessa, indovina, hluzío hluzëo [in ëpanhluzëo] consorte, partecipe. Graff 4, 1122, Grimm. Gram d. d. Sp. 2, 20. Il Kluge dal signif. di anrd. hlaut “offerta, vittima”, e di mat. liezen “predire”, arguisce che questo tema verbale nel tempo del paganesimo fosse un termine di sacrificio; il che pare rilevarsi anche da Tacito, Germ. 10. Il Faulmann con arditissima congettura riporta il vb. aat. hliozan, mat. liezen, al participio perfetto geglunzen del vb. glinzen, risplendere, che ha per stipite aat. glîzan; sicchè il sig. fondamentale sarebbe “alleggerire, rischiarare, rifrangere, essere sereno”; e lo pone affine a l. ludere, giuocare. Ma la troppa sottigliezza fa spezzare; e io credo che qui il Faulmann sogni addirittura; giacchè non v’è alcuna attinenza nè di senso nè di forma fra i due termini ch’ei mette in relazione. Egli è poi probabile che la parola rom. immediatamente riposi sulla forma ags., e sia penetrata nei paesi neol. non colle invasioni dei popoli settentrionali nei sec. V e VI, ma nel tardo medio-evo. Una prova di ciò s’ha nel fatto ch’essa non s’incontra mai nel mlt, e solo tardi compare nelle scritture. In Italia, per es., la troviamo solo nel sec. 16º. È certo che il nome e l’uso del giuoco del lotto venne d’Olanda, giacchè Cristiano Longolius in una lettera latina dell’anno 1513 scrive: nova ista aleae ratio plane nostra est et a nobis loteria vocatur; e il Mathesius nel suo Sarepta l’anno 1562 ricorda Loth e Loterey come termini proprii dei Paesi Bassi. Si vede adunque che la sede primitiva di tal vocabolo erano i paesi germanici di nord-ovest sulla costa del mare di Germania; il che conforma che la parola rom. risale alla forma ags., perchè gli Anglo-Sassoni stanziavano dapprima appunto in quelle parti. Ma in Italia ed in Ispagna la parola entrò pel tramite francese, come in tanti altri casi. Deriv.: lotteria. [p. 296 modifica]

Lubbione, loggione; loggia alta dei teatri. È un neologismo formatosi in questo secolo probabilmente su lomb. piem. lobia. Se riposasse su mlt. laubia si sarebbe dovuto mostrare nelle scritture molto tempo prima.

Luchera, piglio, certo modo di guardare (Buonarr., Tancia). È nome svoltosi da vb. lucherare, di cui però ha modificato un po’ il senso. Deriv.: lucheria.

Lucherare, guardar obbliquo (Pataffio). Questo vb. è chiaramente parallelo a norman. luquer, fr. reluquer, guardar in qua e in là. Il Kluge mette come certa la deriv. di fr. (re) luquer e norm. luquer da as. lôkôn, ags. lócian, ing. to look, guardare, spiare. Di là adunque è venuto anche il vb. ital. All’as. corrispondono aat. luogên luagên luakên lôgên lôkên luokên; mat. luogen, da cui tm. lugen, spiare.

Lucchetto, sorta di serratura (Buonarroti, Fiera). Al dire del Diez questo nome riposa immediatamente su fr. loquet d’ug. sig. Questo fr. loquet è dimin. di afr. loc, serratura, toppa, saliscendo. Afr. loc risale ad ags. loc, serratura, prigione, an. lok, fine, termine, da cui anche ing. lok, serratura, toppa, cateratta. L’aat. era loc loch, [pl. locher luhhir lucher], donde mat. loch [pl. löcher], serratura, nascondiglio, cavità, buco, apertura; tm. Loch, buco, foro, pertugio. Il got. era luks in ugluks, apertura. Secondo il Kluge i diversi signif. di un tal vocabolo si svolsero tutti da quello di “chiuso”. Tutte queste forme nominali dipendono da vb. got. lûkan, ags. lúcan [da cui ing. to lok, serrare, chiudere a chiave], aat. lûhhan, mat. lûchen, dischiudere, aprire, allargare; chiudere, serrare; tirare, strappare; tm. lochen, bucare, forare. Evidentemente i signif. di questo vb. si riducono a due, ma l’uno opposto all’ altro, cioè quello di “serrare” e quello di “aprire”. Il Grimm Grammat. 2, 2 e Geschichte d. d. Sp. 66 e il Pott2 2, 1 spiegano questo fatto dicendo che il signif. semplice e orig. di got. lûkan era quello di “chiudere”, e che i signif. derivati si svolsero mediante l’aggiunta al vb. delle [p. 297 modifica] preposizioni got. us, aat. ar = dis, il che avrebbe dato il senso di “dischiudere, aprire”, senso conservato poi dal vb. anche quando le particelle ne furono staccate e tolte. Il Fick2 860 23, 274 pare attribuire a vb. lûkan il signif. fondamentale di “piegare”, poscia “serrare” ossia “piegare insieme”. Ma ingegnosissima è l’osservazione dello Schade p. 575. Sul campo ger., egli dice, i signif. di vb. lûkan sono quelli di staccare, spiccare, spiccare tirando, tirare spiccando, strappare, svellere qualche cosa di solidamente cresciuto, specie piante dalla terra, trarre fuori qualche cosa di rinchiuso dal suo ripostiglio, come la spada del fodero, e principalmente tirare qualche cosa di solido e forte per farlo servire da regolo, stanga, sbarra, in guisa da formare una chiusa, un recinto, in condizione però da poterlo ritirare e perciò aprire. Ora questo vb., massime in causa di quest’ultima circostanza, dopo avere oscillato lungamente coi suoi significati, alla fine si fissò nei due estremi di chiudere e aprire che venivano ad essere il risultato delle azioni intermedie da esso significate. Secondo lo stesso Fick era una espressione desunta dalla vita dei pastori e dei semplici agricoltori, e precisamente da una loro determinata operazione, cioè dal fare una siepe alle greggi nei pascoli mediante stanghe trasversali. Il cavare le stanghe dai luoghi forniti di buchi era aprire; il riporvele era chiudere. Ora questo togliere e questo porre tali stanghe era un tirare e ritirare. Questo in appresso fu poi detto delle porte e finestre chiuse mediante stanghette e chiavistelli. Ma il Faulmann non s’adatta nè al Grimm, nè al Pott, nè al Fick; e presupposto che i due signif. di lûkan “chiudere” e “aprire” siano irreducibili, sostiene che in esso si confusero due vb. di rad. diversa. In senso di “aprire” venne, secondo lui, da rad. di vb. mat. liechen, strappare, svellere, donde aat. loh “luogo incavato”. In senso poi di “serrare”, procederebbe da rad. louh, chiudere. Però il Faulmann da ultimo confessa che ciò [p. 298 modifica] che è chiuso contiene ad ogni modo una cavità o uno spazio che viene chiuso; e con ciò viene implicitamente a dar ragione ai filologi suddetti. A rad. di vb. lük spettano nel campo ger. loh loki loc lucke lücken lucki luckâ luckel luchen lucceda lockôn lochunga louh. Lo Scade p. 576 riporta innumerevoli affinità di vb. lûkan nel campo indeu. Le omettiamo perchè cosa troppo lunga, ed anche perchè non ci paion nè sicure nè importanti. Solo mi pare da fare un’osservazione. Il Diez trae it. lucchetto immediatamente da fr. loquet. Ma lo svizz. presenta le forme luckete lücke, a cui sono paralleli carint. lucke, bavar. lucken, buco, apertura in cui entra la stanga mobile che serve per aprire o chiudere; e tutte queste voci risalgono ad aat. lukkâ lucchâ, mat. luche lücke, apertura, intervallo. Ora non potrebbe it. lucchetto, anzichè da fr. loquet, avere tratto origine immediata da svizz. luckete, tanto vicino anche di forma? Neppure mi pare improbabile che si riferiscano a questa rad. ger. i cognomi ital. Lucchi, Lucchini. L’illir. ha lokot. V. anche Blocco.

Lucco, veste antica senza pieghe serrata alla vita, usata dai magistrati fiorentini (Varchi, Allegri, Vasari). Parrebbe foneticamente ed anche logicamente che questa voce fosse connessa a got. lukan, chiudere, od anche ad aat. loc, pendere; ma essendo un nome che compare molto tardi (sec. 15º, 16º), come supporre che i Fiorentini pigliassero dal got. una voce a quell’epoca? In questo caso non resta adunque altro da fare che accennare la somiglianza morfologica delle parole senza affermare nulla di certo.

Luchina, falso racconto, fandonia (dial. modenese). Il Muratori per primo scorse che questa voce dial. era di origine ger. Essa risale immediatamente ad aat. lugina, lugena, as. lugina, donde mat. lugene lügene lugen lügen logene lögene luc(g), tm. Lüge, Lug, bugia, menzogna. Il nome ger. è un astratto formatosi da vb. got. liugan, as. liogan liagan, aat. liugan liukan liogan lëogan [qui spetta [p. 299 modifica] ags. lyge, donde ing. to lie, mentire, lie, bugia] liagan liegen, mat. liegen, mentire, dire cosa non vera, ingannare, inventar bugie. Di qui tm. lügen [ol. leugen] mentre, Lug, frode, inganno, lügenhaft, menzognero, Lûgenhaftigkeit, mendacità, Lügner, bugiardo, lügnerisch, bugiardo, mendace. L’anrd. era liuga [donde nome loginn], afris. liaga liatza, ags. leógan, mentire, negare. Secondo lo Scade p. 565 il signif. originario era quello di “velare, coprire, nascondere”, e da questo si svolse quello di “celare la verità a bello studio”. La rad. ger. lug, cbe per il solito fenomeno del digradamento vocalico differenziossi in liug e laug, produsse in quel campo: galiug, liugari, liegerin liugnja liuga liugan; louge laugns laugniba laugnei laugnian louganjan lougen lougna lougenig loug nunge, lug luggi lugî lugîn lugina luginari lugilih lugeheit. Affine è a. sl. lûza, lugia, bugia, lugati, mentire, Micklos. 346; russ. lozî, menzogna, serb. lagati, mentire. Nell’aat. e mat. accanto a vb. luginari, troviamo lukinari, mentire, e vicino a lugî, bugia, troviamo lukkî; il che rende molto verosimile che potesse esistere un * lukina, accanto a lugina; e ciò rende ancora più evidente l’origine ger. di it. luchina. Il ritrovarsi poi questa voce dial. solo nel Modenese, e non nei paesi che furono il centro dello stanziamento dei Longobardi in Italia, mi fa supporre che fosse una delle parole che debbono la loro introduzione a una di quelle colonie di popolazioni ger. che nel sec. IV, a detta del Muratori, furono trasportati nei dintorni di Modena dagl’Imperatori Romani: il che spiega anche perchè nel Modenese si incontrino parecchie altre parole ger. ignote ai rimanenti dialetti dell’Italia superiore.

Luffomastro, (antiq.), gran siniscalco o altro ministro principale nelle Corti, cui si dà per ordinario il titolo di Grande. G. Villani 9, 36, 3. «Il Conte d’Alavagna della Magna, chiamato in loro lingua Luffomastro, che è tanto a dire in latino, come Mastro Siniscalco». E 11, 137. [p. 300 modifica] «Intra gli altri caporali furo il Duca di Tecchi col suo grande suggello, e il suo Luffomastro». Questo è uno dei pochi nomi entrati in it. durante il periodo del mat. Riposa su mat. houemeister, hofmeister, soprintendente della servitù della corte, o della corte stessa d’un principe. Il tm. Hofmeister vale “maggiordomo, fattore, castaldo, aio, precettore”; quindi ha molto sviluppato il signif. dal mat., ma anche depresso ed avvilito. Il tm. da questo nome ha cavato: Hofmeisterin, castalda, aia; hofmeisterlich, magistrale; hofmeistern, governare. Quanto al nome ted. in sè, è un composto formatosi nel medio-evo da due elementi. Il primo è schiettamente ted. ed è mat. hof [gen. houes], tm. Hof, fris. hoaf, höf, haaf da tema ger. hufa, luogo chiuso presso una casa, corte, atrio; poi “tutti gli appezzamenti ed edifizi spettanti ad un possesso rustico, beni del principe, il principe, e suoi circostanti più segnalati, adunanza solenne di principi e nobili per deliberare e giudicare”. Nell’ol. vale anche “giardino”; e nell’anrd. anche “tempio”. Vigfusson 277. Il Kluge p. 170 dice che ger. hufa riposando su preger. kúpo, non può, contro quello che avevan sostenuto il Grimm, il Curtius, il Fick, essere affine in modo alcuno a gr. κήπος, giardino, e a l. campus, campagna piana. L’altro elemento è aat. meistar maistar maister, meister, as. mêstar, ags. maegster, mat. meister, tm. Meister: ol. meester, maestro precettore, preside, comandante, da l. magister, maestro. Il Kluge nota che questo vocabolo t. improntato al lat., del pari che ing. master mister, e fr. maitre e it. maestro, nel mat. fornì il titolo per molti uffizi, ed entrò in parecchi composti, come Bürgermeister, Hofmeister, Meistersänger, Stadtmeister ecc. Nell’ it. Luffomastro è notevole l’agglutinazione dell’articolo che fu creduto parte della parola stessa.

Lughéra, scintilla (dial. lombardo). È voce indubbiamente estranea ad ogni lingua italica primitiva; e risale probabilmente ad aat. loug lauc lauch, mat. louch [p. 301 modifica] louc fiamma, scintilla, voce della stessa radice e dello stesso signif. di aat. * loho, mat. lohe, tm. Lohe.

Luodro, carogna. Secondo alcuni è parola del dial. veneziano, che s’usa dire per ingiuria ad una persona. Ma io l’ho sentita più volte anche nella montagna modenese (Montese), proprio nello stesso senso, benchè senza la l, forse pel solito fenomeno che qui s’è creduto la l essere articolo. Non c’è dubbio ch’essa non provenga da mat. luoder, carogna, persona dissoluta. Sull’origine e la storia del vocab. t. v. Ledro e Logoro.

Luoja, loiola, luiola, scintilla (dial. tosc.). È certamente voce d’orig. ger., nel qual campo troviamo aat. * loho [got. * lauha] mat. lohe, tm. Lohe, fiamma, favilla, splendore, ed anche aat. loug, mat. louc, ags, lég lig, anrd. loge legi d’ug. sig. Questo nome produsse in quel campo vb. aat. lohjan lohen, tm. lohen, bruciare; e questo vb. aat. lohjan è evidentemente vicino di forma a it. luoja, lojola. Del resto, come s’è già viste sotto Licchia, aat. * loho, got. * lauha, mat. lohe, tm. Lohe spetta a rad. ger. luh, idg. luk, diffusissima nel campo indeu. V. anche Lutare.

Luppolo, pianta arrampicante che cresce naturalmente in Europa, e di cui si fa uso singolarmente nella composizione della birra (Redi, Consult.; Ricett. Fior.). Alcuni riportano questa voce a lupo, perchè il luppolo soffoca gli arbusti ai quali si arrampica. È ipotesi erronea, giacchè questa denominazione varrebbe tutt’al più per l’it., e nell’it. luppolo è parola piuttosto recente, non s’incontrando nello scritto prima del sec. 17.º Perciò è verosimile che non sia originaria; e se non è tale non può avere alcun rapporto a lupo. Ma donde è dunque derivato luppolo? Da mlt. humlo humulus non pare possibile, poichè resterebbe inesplicato il doppio p che salta fuori dalla m. Inoltre il mlt. humlo humelo humolo humulus non è parola d’origine latina, ma dev’essere forma latinizzata di un nome ger. e verisimilmente di m. ol. hommel, dan. humle [p. 302 modifica]anrd. humall d’ug. sig., cosa confermata dal fatto che il primo ad usare una tal voce mlt. fu il tedesco Adelardo, e dalla considerazione che trattandosi di un frutto adoperato molto nella fabbrica della birra, è verosimile venisse all’Europa meridionale dalla settentrionale, che è la patria della birra. Ed in effetto la parola denotante “luppolo” è antichissima nelle lingue ger., ed è da una delle sue forme che noi sosteniamo essere deriv. la voce romanza. L’aat. presenta hopho hopfo, il mat. hophe hopfe, donde tm. Hopfen, luppolo, vb. hopfen, conciar la birra co’ luppoli. Le forme del bt. sono: m. bt. hoppe, bt. hoppen, ol. hoppe, m. ing. hoppe, ing. hop [vb. to hop, conciare la birra co’ luppoli]. Da queste forme bt. si svolse il mlt. hupa hubalus, da cui a. vall. hubillon, e fr. houbelon houblon, luppolo. Da tutto questo, oltre all’antichità, emerge la grande diffusione e varietà di forme del nome ger., il quale per conseguenza è da riguardarsi come la sorgente anche delle voci romanze. Lo Helm sostiene che it. luppolo sia la forma ol. hoppe coll’aggiunta dell’articolo agglutinato. Non mi pare giusto per due ragioni. Primieramente per l’oscuramento che avrebbe sofferto l’o in u, mentre è più facile il caso contrario; poi perchè ciò non ispiega per niente la desinenza olo assunta dall’it. Io credo invece che it. luppolo sia il mlt. hubalus, svoltosi da hupa, forma latinizzata quest’ultima di m. bt., m. ing. ol. hoppe. Da hubalus è ovvio il passaggio a luppolo coll’agglutinazione dell’articolo. E credo che hubalus sia il fondamento immediato anche di fr. houblon; e così sarebbe distrutta anche l’obbiezione mossa dal Diez al Grandgagnage. Quest’ultimo da ol. hoppe traeva a. vall. hubillon, e da quest’ultimo fr. houblon. Il Diez opponeva che fr. houblon presuppone un * houbelon, perchè la contrazione da houbillon presenterebbe una durezza insopportabile. Il Diez credeva difficile la originazione di fr. houblon anche da m. ol. hommel, anrd. humall; perchè da queste due forme [p. 303 modifica]il fr. avrebbe ricavato un houmblon, e non houblon, essendo noto che il fr. lungi dallo schivare, ama il gruppo mbl. Ora colla mia ipotesi che pone a fondamento ml. hubalus, tutte le difficoltà mi paiono superate sia per l’it. che per il fr., e quindi la ritengo la più fondata sino a prova contraria. Ad ogni modo è certissimo che le voci rom. hanno un’etimol. ger. Sull’orig. prima di aat. hopfo, il Kluge respinge l’affinità tanto con aat. hiufo, as. hiopo, ags. héope, spino, non potendo bastare per il luppolo il signif. generale di “avviticchiamento”, quanto con aat. * hupfen, mat. hupfen, tm. hüpfen, saltare, balzellare, ags. * hyppan, m. ing. hyppen, ing. to hip, to hop, saltellare, balzare. Però non assegna le ragioni di quest’asserzione. Il Faulmann p. 172 fa aat. hopfo, mat. hopfe, tm. Hopfen uguale ad aat. chupf, choph, testa, coppa, mat. kofel, cima d’un monte, perchè la pera d’un luppolo è conica. Lo Schade p. 416 vede rapporto anche tra il voc. ger. e sl. hmeli e gr. σμῖλαξ σμίλος, pianta rampicante; ma francamente questo mi pare addirittura assurdo.

Lutare, scintillare (Redi e dial. umbro). Spetta alla rad. di aat. liuhtan luihtan lëothan liuhten, liehten, got. liuhtian, as. liohtian liohtëan lëohtan, mat. liuhten, tm. leuchten, lucere, fiammeggiare, risplendere. Immediatamente pare riposare su una forma * louhtan, che lasciò tracce di sè in mat. lûhten, austriaco louhten. Le affinità ne’ campi ger. e indeu. si possono vedere sotto Licchia. Il Caix riferisce a questa stessa rad. ger. le voci dialettali francesi: berrignone eberluter, sciampag. aberluder, abbagliare, dove il primo elemento di composizione sarebbe il bis, che s’incontra spessissimo in romanzo. Da vb. lutare si svolsero i nomi luta, lutarina, scintilla, favilla; ma potrebbe anche darsi il caso inverso, cioè che il nome avesse dato origine al vb.

Note

  1. A titolo d’amenità mi piace riferire l’etim. che il Faulmann p. 221 assegna ad aat. lëfza lëfs leps, mat. lëfse, tm. Lefze, cioè da aat. chlephan, scoppiare; sicchè il labbro sarebbe propriamente lo “scoppiante”. E quasi cioè non bastasse trae poi chlephan da vb. aat. * glimman, mat. tm. glimmen, splendere, scintillare!
  2. Festo p. 295 dice: «Sublestia antiqui appellabant infirma ac tenuia». Dunque sublestus valeva “infermo, debole”; e la supposizione del Liebrecht che lestus significasse “leggiero” è infondata.