L'elemento germanico nella lingua italiana/C
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C
Cafaggiaio, soprintendente a campagne e boschi (Targioni-Tozzetti, † 1786; Casotti). Immediatamente procede dal bl. cafadiarius (v. rub. 133 degli Statuti di Pisa del 1283); il quale nomen agentis s’era svolto dal mlt. cafagium o calefagium. I vecchi etimologisti, indotti dalla somiglianza della forma, traevano quest’ultimo dal l. calefacere, riscaldare. Ma che connessione logica esiste fra “scaldare” e “sovrintendere”? Lo stesso deve dirsi dell’ aat. gaifan, “tagliare curvamente”, proposto da taluni. Io invece credo che provenga dall’aat. chaphên, cafên, chapfên, kapfên, mat. kaphen, kapfen, kaffen; tm. gaffen; anrd. gapen, gap, gapa, ags. geap, ing. gap, “stare aperto, mirare attentamente”, (propriamente “guardare colla bocca aperta”, analogamente al vb. badare). La rad. ger. sarebbe gap che forse è alfine al sans. jabh, scoppiare.
Cafagnare, fare le buche o formelle per piantarvi alberi. L’idea di “apertura” inerente a questo vb. mi fa nascere il sospetto ch’esso ancora derivi dall’aat. chapfên, cafên, mat. kaffen, vicinissimo anche di forma. Nessuno, ch’io sappia, ha fin qui tentato un’etimologia per questa voce.
Calappio, laccio insidioso (Pulci, Morg. 22). Dall’aat. klappa, claph, chlaph, mat. klaph, klapf, klaff, urto, percossa, rumore, trappola. Il tm. Klappe = “molla, nottolino, scoppio”; senso evidentemente affine a quello dell’aat. e mat. Invece il tm. Klaff significa ormai solo “rumore”. Il Kluge crede che la rad. ger. sia un suono onomatopeico, dovuto al fatto che la percossa produce sempre un rumore: quindi dapprima avrebbe significato l’effetto, poscia la causa; e così si spiega come dal denotare il rumore prodotto dal laccio o trappola, sia passato a denotare la trappola stessa. La provenienza di calappio da un supposto bl. capilaquens, immaginata da alcuni, mi pare insostenibile sotto tutti i rispetti; giacchè foneticamente da capilaqueus verrebbe caplaccio, calaccio; poi è un composto che logicamente non ha ragione di esistere; venendo esso a significare “laccio che prende”; il che sarebbe concetto assai ridicolo. Quanto alla inserzione d’una vocale fra le due prime consonanti, questo è fenomeno assai comune nelle parole it. d’orig. ger. (v. Diez, Gramm. I, conson. ger. Sl-Kn). Deriv.: calappiare, accalappiare, accalappiatore; incalappiare, scalappiare.
Caleffare, beffare, burlare (Sacchetti). Dal mat. klaffen d’ug. sig. Questa derivaz. proposta del Diez ha molto più di verosimiglianza che quella dal gr. χλενάζειν, che, vicino anch’esso di signif., è troppo lontano per la forma. Difatti lo svolgimento fonetico della voce it. dal ger. non presenta altra difficoltà che quella della inserzione dell’a fra le due prime consonanti: fenomeno non raro nel passaggio dal t. in it. (v. Calappio); mentre nel caso della parola gr., oltre all’epentesi, ci sarebbe da spiegare come il gruppo ναζ siasi potuto trasformare in ffare. Quindi la congettura del Bugge ci pare inaccettabile. Dal mat. klaffen si svolsero i sost. mat. klaffaere, klaffer, cläffere, “ciarliero, contradittore, calunniatore”. Il tm. klaffen = “mordere, abbajare”, senso evidentemente affine all’it. Del resto il mat. klaffen spetta alla stessa rad. dell’aat. chlaffôd, clâffôt, chlaffôt, strepito, rumore, e chlaphon, chlafôn, far rumore. Il passaggio poi da “fare rumore” a “beffare” si spiega supponendo che si trattasse, almeno da principio, di beffe fatte col produrre colla bocca o con altro un suono derisorio (cfr. in it. “dare la baia”). Il fr. glapir, gagnolare, schiattire [sost. claband], provenne dalla forma mat. e bt. klappen. In conseguenza la rad. klapp col suo signif. di “percossa, colpo” diè origine a calappio, e con quello di “rumore” a caleffare. Il che potrà parere una stranezza; ma è confermato dall’ing. clap significante al tempo stesso “calappio” e “scoppio, applauso”. Di qui anche il tm. klapfen, percuotere. Deriv.: caleffadore, caleffo.
Camarlingo-merlingo, cameriere, tesoriere (Malispini). Col bl. camerlingus, sp. camerlengo, prov. camerlenc, fr. chambrelain, ing. chamberlain, procede dall’aat. chamarling, chamerling, mat. kemerlinc, n. at. kammerling, d’ug. sig. La voce ger. è un composto, di cui la prima parte era venuta dal vlt. camara, [dal gr. χαμάρα], e diè l’aat. kamara, mat. kamer, kamere, tm. Kammer; la seconda, linc, dovette probabilmente appartenere al vb. aat. lingan, mat. lingen, significante “affrettarsi, muoversi velocemente” [tm. gelingen = riuscire]. Per tal modo linc, linge, avrebbe denotato “servo veloce, pronto ai cenni del padrone”; della qual denominazione dei servi presa dalla “velocità, prontezza”, non mancano esempi nella storia. Deriv.: camarlinga-tico-to-eria-ona.
Camoscio, animale selvatico simile alla capra (Pulci). Il mat. ha gemeze, gamz, il tm. Gemse, da un aat. * gamuz, gamiza che il Kluge ritiene parola d’orig. prettamente ger., e lo Schade riporta al vb. gàman, scherzare. Quindi varrebbe “fiera che si trastulla”, forse pel suo arrampicarsi su per le rupi. Il qual nesso logico ricorre anche nell’ing. game che significa ad un tempo “giuoco, scherzo” e “selvaggina”. Ora, benchè il Diez s’opponga alla derivazione dell’it. camoscio, fr. chamois, sp. camuza, gamuza dal ger. per la ragione che la gutt. media di rado passando dal t. nel rom. si trasforma in tenue, pure noi collo Schade e col Kluge propendiamo per l’etimologia t., sia per la maggiore antichità della voce ger. rispetto alla rom., sia ancora perchè si tratta d’un animale proprio dell’Europa centrale. La difficoltà opposta dal Diez non ci pare molto forte, dacchè vedremo tra poco castaldo venire da gastaldan, colla trasformazione della media in tenue. E ben vero che lo Steub propose il celt. cam, curvo: nella quale ipotesi camoscio sarebbe “l’animale dalle corna ricurve”. Ma sarebbe una caratteristica alquanto vaga per potere servire alla denominazione di un animale che non è l’unico che abbia le corna ricurve, e neppure è molto segnalato per essa curvatura. Quanto allo sp. gama, che altri posero a fondamento delle voci rom., facendolo poi derivato dal l. dama; anzitutto è di signif. alquanto diverso; poi, secondo il Kluge, è probabile che anch’esso provenga da un got. * gama affine originariamente al ger. gamz. È chiaro pertanto che l’etim. ger. ha per sè le maggiori probabilità. Deriv.: camosciare-tura-ino; scamosciare-scio.
Camozza, (Ariosto). È un allotropo di camoscio, dovuto facilmente all’influsso dello sp. camuza, gamuza.
Campione1, guerriero, lottatore, difensore (Fr. Giordano, Dante). Comunemente si fa derivare questa voce dal mlt. campus “steccato, lizza”. Io credo invece che proceda dall’aat. camphio, chemphio, cemphëo, cempho, chempho, kempfo, mat. kemphe, kempfe, tm. kämpfer, combattente, guerriero, dal vb. aat. camphian, chamfan, mat. kempfen, tm. bëkampfen, combattere: tutte le quali voci t. alla loro volta eran venute dal bl. campus, significante anche “duello, guerra”, benchè alcuni le riportino al sans. jang, combattere, anrd. kapp, emulazione. Le ragioni che m’inducono a sostenere quest’origine ger. dell’it. campione [fr. ing. champion], sono primieramente che l’aat. camphio è anteriore di molto alle voci rom.; poi che il mlt. ci offre spesso la forma camphio col ph come nell’aat. (v. Muratori, Ant. It., vol. II, pagg. 500-501, 504-505; Diss. 39, p. 1704). Ora il gruppo ph non avrebbe ragione d’esistere se la voce rom. fosse derivata dal t. campus. Poi la formazione di quel nomen agentis da campus è già per se stessa poco verisimile. Deriv.: campionessa.
Campione2, libro dei registri; mostra, saggio (Cellini). È un senso derivato dal primo; poichè colui che faceva da campione doveva essere naturalmente qualche cosa di “scelto ed eletto”; quindi tale che servisse come di “mostra, saggio”.
Camuffare, nascondere il volto con maschera o cappuccio (Cavalca, Buti, Sacchetti). È una abbreviazione di capomuffare; dove il vb. muffare, seconda parte del composto, deriva, secondo il Diez, dal sost. mat. mouwe, mt. môwe, sorta di pelliccia. Dalla voce mat. sarebbe venuto il tm. Muff, ol. mof, ing. muff (v. Muffola). Deriv.: camuffo, accamuffare.
Carlona (Alla), alla buona (Berni, Firenzuola). Il Galvani opinò che questa locuzione avv. provenga dall’aat. charal, charel, karl, charl, charlo che significa anche “uomo, marito, servitore”, e che perciò significhi “uomo senza cerimonie”, come suol farsi tra gente familiare. Il Galvani però non ha detto tutto: giacchè l’anrd. karl, l’ags. ceorl, l’ing. churl della stessa radice dell’aat. significano anche “uomo di basso stato, contadino, rozzo”. Il che rende ancora più probabile la congettura del Galvani. Altri credono che significhi “nel modo che tenevasi sotto Carlo Magno”, il quale in alcuni poemi cavallereschi è chiamato Carlone. Ma questo ci porterebbe a conchiudere che Carlo Magno facesse le cose alla buona! Meglio è dunque tenersi alla prima etim., benchè neppur essa soddisfi pienamente.
Carpione, sorta di pesce (Fazio, Dittam. 3, 3). Dall’aat. charpho, carfo, charofo, mat. carphe, carpe, karpe, tm. Karpfen; anrd. karfe, dan. kärpe, ol. karper. Il fatto che il mlt. carpa apparisce già nel sec. VI in Cassiodoro non fa caso, dacchè egli l’adopera parlando precisamente d’un pesce del Danubio; onde poteva benissimo averlo appreso da alcuno di quei molti popoli barbari che venivano appunto dai paesi posti sulle rive di quel fiume; i quali popoli barbari sappiamo che diedero alle lingue neol. i nomi di parecchi altri pesci come aringa, stoccafisso, storione ecc. Le altre lingue rom. presentano queste forme: sp. carpa, fr. carpe, prov. escarpa, valac. crap. Le lingue slave hanno: russo, karpù, koropù, serb. krap, lit. karpa; le quali forme sl. probabilmente vennero dal ger. L’affinità della rad. ger. col gr. κυπρίνος, l. cyprinus è molto contestata.
Castaldo, chi sotto i Longobardi (v. Muratori, Diss. X, 95-98; Diss. LXXI, p. 518; Diss. IV, p. 28) amministrava i beni del principe, e nelle terre a lui direttamente soggette esercitava l’autorità di conte; oggi “soprintendente, fattore” (Crescenzi, Boccaccio). Dal vb. got. gastaldan1, amministrare, acquistare, si formò l’agg. gastalds, possedente, amministrante. Allo Zambaldi non pare chiaro il legame fra i due significati. A me invece sembra chiarissimo, solo che si consideri che i signori castaldi erano inclinati a fare diventare loro e del principe ciò ch’era dei sudditi. Difatti abbiamo il composto got. aglaitgastalds = αίσχροκερδής, cioè “uno che acquista turpemente”. Dal vocab. got. venne il mlt. gastaldius, castaldus, gastaldio, kastaldis (Leg. Longob.), e di qui l’it., il fr. Gastaud, nome di schiatta, il vald. gastaud, vb. gastaudeiar. Deriv.: castalda, castalderia, castaldione, castaldire; venez. gastaldo.
Castone, cavo dell’anello ove si ripone la gemma (Buti, Pulci). Dall’aat. casto, chasto, kasto, mat. kaste, tm. Kasten d’ug. sig. Il got. * kasta “contenente” spetta probabilmente a rad. kasa, “vaso”, e specialmente “vaso di terra” [got. kasia, pentola]. Inverosimile ci pare l’ammettere col Canello che l’it. sia la forma francese di cassettone2, oppure il supporre con altri che sia una sincope di quest’ultimo. L’afr. era caston, chaston; il fr. è châton. Deriv.: incastonare, incastonatura, forse anche incastrare e derivati.
Catafalco, edifizio posticcio che s’innalza in chiesa per funerali (Vasari). Collo sp. cadafalso, cadahalso, cadalso, prov. cadafalc, vall. carafal, afr. escadafaut, cadefaut, chafaut, fr. catafalque, echafaut, m. ol. scafaut, n. at. scaffot, viene da catafalco, composto del vb. sp. catar, vedere (v. Diez, Etym. Wörterb. I, 118), e di falco, pronuncia ger. di palco. Quindi significherebbe propriamente “palco fatto per esser visto”. È noto poi che palco è parola d’orig. ger. Altri proposero un t. schauhaus, casa in veduta, od ol. schauvot = t. schaufass; ma c’è troppa disparità di forma.
Cazza, vaso di ferro con manico per attingere acqua dalla secchia (Crescenzi). Dall’aat. chezzin, chezzi, chezze, mat. chezzi, anrd. kati, tm. Kessel, fiam. ketel, caldaia, paiuolo. Il Gloss. Vien. di Hoffmann ci offre gazza = cucchiaio. Però queste forme ger. erano venute già dal l. catinus [sans. kathina = pentola], come dal l. catillus s’eran svolte le altre forme ger. chezil, chezzil, chezzel. Il fr. ne ha tratto casse, casserole, cat. cassa, sp. cazo, casuela. Der.: cazzaruola, cazzetta, cazzuola. Casseruola proviene immediatamente dal fr. casserole.
Celia, scherzo non offensivo (Lippi, Malmant.). Si fa venire dall’aat. scëlah [gen. scëlhes, scëlawes, schëlwes] scëleh, scëlch, scileh, mat. schëlch, schël, tm. scheel, piegato, obbliquo, che ha l’occhio rivolto da una parte. Pare fosse applicato a significare lo sguardo con cui nel parlare ad una persona, s’accenna agli altri per burlarla. È un senso alquanto stiracchiato; ma è pur sempre derivazione più verisimile che quella dal l. cilium, ciglio, venez. zegia. Il got. * skilhwa, skilga, preger. * skelko, skëlqo, donde anche ags. sceolh, anrd. skjalgr, col gr. σκολίος, adunco, storto, non ispiegano a sufficienza foneticamente le forme ger.; perciò il Kluge crede che a fondamento del ger. e del gr. stia una rad. skel. Deriv.: celiaccia, celiare, celiatore, celione.
Chiacchiera, ciarla, cicaleccio (Ariosto, Cellini, ecc.). Dal suono onomatopeico clac si formò il mat. klac, [forme affini: Schall, Krach, Knach, Kleck, Klecks] da cui il fr. claque, scoppietto, rumore, e il nostro chiacchiera, ed anche il cat. claca, e tm. Klatsche, significante precisamente “rumore,” come la forma primitiva. Deriv.: chiacchieramento, chiacchierare, chiacchierata, chiacchiericcio, chiacchierina-o-io-one.
Chiappa, presa, natica (Dante, Pulci). Io credo senz’altro che provenga dall’aat. klappa, tm. Klappe, (altre forme sotto Calappio e Caleffare) colpo, percossa, ed anche “palpamento.”. Da questi signif. non era difficile il trapasso a quello di “natica, presa, guadagno”. Il Diez accenna alla possibilità d’una deriv. dal vb. happen, scattare. A me parrebbe più probabile quella da schnappen = afferrare. Quanto al l. * capula, capla proposto dal Flechia, mi sembra pochissimo verosimile, perchè da capula, capla si sarebbe venuti a cappia, ciappa3 non a chiappa; poi la par. l. non spiega il signif. del composto schiappare, signif. che è invece spiegato benissimo dal voc. ger. che nell’aat. mat. ags. e ol. significava precisamente anche “aprirsi, scoppiare” e simili. Deriv. chiappare, chiapparello, chiappo; acchiappare, richiappare.
Chiasso, contrada stretta (Villani). Dall’aat. gazza, gazze [got. gatwô], mat. tm. Gasse, strada. L’anrd. era gata, sentiero, donde dan. gade, ing. gate. È evidente l’affinità col zend. gatûs, luogo, casa. È incerto se sia connesso coll’ags. geat, ing. gat, ol. gat, scozz. gait, anrd. gat, buco, apertura. Il Bopp Gl.3 115 e il Meyer presso Kuhn 8,285 lo riportano per mezzo di ga-twôn, ga-ta alla rad. gâ, donde tm. gehen. Ma il Kluge ritiene impossibile questa connessione, perchè la rad. ger. gâ alla sua volta riposa sulla rad. indeu. i [l. i-re, gr. ί-έναι]; però io confesso che questa ragione del Kluge non mi sembra molto forte. In senso di “rumore” chiasso viene dal prov. class, procedente a sua volta dal l. classicum, suono di tromba. Deriv.: chiassaiuola, chiassolino, chiassuolo.
Chiaverina, sorta d’arme in asta (Storia d’Aiolfo). È verosimile che provenga dall’aat. mat. klapern, klappern, schricchiolare, scoppiare, che secondo il Kluge, è voce onomatopeica.
Chiazza, macchia crostosa sulla pelle (Crescenzi, Boccaccio). Dall’aat. e mat. klaz d’ug. sig., tm. kletz, lordo. Spetta qui il composto del tm. bekletzen, macchiare. Deriv.: chiazzare, chiazzato.
Chifel, (neolog.), panettino fino in forma di mezzaluna, perchè, secondo il Tommaseo, fu fatto da prima a Vienna nel 1685, quand’era assediata dai Turchi, che hanno per insegna la mezzaluna. Viene dal t. Kipfel, Gipfel, mat. kipfe, “pane di frumento terminato a punta”, che il Kluge suppone, forse a ragione, affine all’aat. kipfa, chipfa, chippha, cipha, chipha, kipfa, sostegno, bastoncino dei ridoli, ed in generale “cosa terminata a punta”.
Chiglia, parte della nave che sta sott’acqua (neolog). Dall’aat. kiol, chiol, këol, chëol, kiel, chiel, mat. kiel, mt. kil, tm. Kiel, nave, carena. L’ags. era ciòl, ceòl, ing. keel; l’anrd. kioll, nd. kiolr, che però il Kluge sostiene non essere affine all’aat. Il ger. primitivo * kiula, che sarebbe stata la forma got., viene dal Grimm Gram. 13 451 confrontato col gr. γαυλος, nave mercantile; col sans. gôlà, brocca rotonda, dal Fick2 706,65. Altri però ritengono impossibile che Germani e Greci avessero una parola nautica originariamente comune. Il fr. è quille, lo sp. quilla. La forma it. presente pare d’immediata origine fr.; l’it. ant. sembra traesse dal t. la forma chielo, donde chielare “rintuzzare la foga delle onde” (Barberino). Il Diez ammette la possibilità della deriv. della voce rom. dall’aat. kegil, chekil, chegil, chîl, tm. ol. Kegel, birillo, cavicchio, ags. keel, kile. Ma è chiaro che il signif. è troppo diverso, e che anche la forma è più lontana della prima. La ragione poi ch’egli ne adduce cioè l’avere il fr. quille il signif. dell’aat. kegel, non mi persuade; perchè niente impedisce che il fr. quille, chiglia, sia venuto dall’aat. kiol, e il fr. quille, cavicchio, dall’aat. kegil, come infatti è ammesso dallo Scheler e da altri.
Chincaglie, (neolog.) oggetti minuti per ornare stanze (Redi, Fagioli). Immediatamente è venuto dal fr. quincaille per clincaille, arnese di metallo per la casa. La parola fr. poi viene riportata all’ol. klinken, tintinnare, suonare, [aat. clingan, chlingan, klinkan, mat. tm. klingen, ing. clinck, le quali voci, benchè somigliantissime di ferma e identiche pel significato, non sono però da connettere col gr. κλαγγή e col l. clangor, ma sono formazioni onomatopeiche interne di ciascuna lingua]. È verosimile che il voc. fr. proceda direttamente dall’aat. clinge, klinge, clingo, klingo, chlinga, klinka, mat. clinge, klinge, che significa forse “oggetto di metallo sonoro ed ornamento”, precisamente come il nostro “sonaglio”. Deriv.: chincagliere, chincaglieria.
Chinea, sorta di cavallo che va di portante (Bellincioni, 1491; Bembo). L’it. chinea, ant. acchinea, fr. acquenée, sp. port. hacanéa non sono che l’ol. hakke-nei, ingl. hack-ney, composto di hack, hakke, cavallo, e nei [ol. negg, ing. nag, n. at. nickel,] piccolo: quindi, cavallo piccolo, bidetto. Deriv.: chineo.
Chioccare, il suono della frusta agitata fortemente (Grazzini). Benchè alcuni lo ritengano vb. onomatopeico, noi crediamo senz’altro col Diez che sia d’orig. ger. Infatti l’aat. ci presenta le forme cloccôn, clockôn, chlochôn, cholochôn, clohhôn, chlocchôn, chlocchen, il mat. klocken, battere, picchiare, suonare; dove ognun vede che la forma e il senso sono vicinissimi o meglio identici all’it. Si può ammettere bensì che il vb. ger. sia onomatopeico; e del resto non è la prima volta che l’it. ha preso dal ger. delle parole onomatopeiche, (cfr. Diez, Gramm., Elem. Ger. p. 65). Deriv.: chiocca-o; schioccare, schiocco.
Chionzo, più grosso che lungo (Redi, lett. 332). È verosimile che provenga dal bt. klump, ol. klomp, ammasso, mucchio [tm. klumpen = ammonticchiarsi]; ing. clump, ceppo, tronco; forme nord. klumba, klubba, klubbu, bastone arrotondato. Il Kluge riporta questa e l’altra voce t. kolben [mat. kolbe, aat. kolbo, isl. kolfr, bastone con punta rintozzata] alla rad. idg. gl-bh; a cui spetta probabilmente anche il l. globus, palla, e l’ing. club che è passato al senso affine di “riunione”.
Chiurlo1, assiuolo (Fagiuoli, Magalotti). Qualcuno suppose fosse la voce Chiù ampliata. Ma lo Schneller rigetta una tale etim. e con ragione, perchè quell’ampliamento e rinforzo del rlo non ha una spiegazione plausibile; e sostiene che Chiurlo proviene dal t. Quirl, frullo [aat. dwiril, anrd. tvara, mat. twirel, twirl, dal vb. aat. dwëran, mat. twern, girare, che spetta alla rad. ger. e idg. twer, a cui si riannodano pure il gr. τορύνη e il l. trua]. Secondo lui la civetta avrebbe ricevuto questo nome, perchè tirata dal cordone gira come un frullo; e così sarebbe spiegato il senso del vb. ciurlare, “tentennare”, e del n. ciurlotto “scappellotto che fa girare la persona”. Questa etim. però ci sembra più ingegnosa e speciosa che soda. Difatti si può domandare: perchè mai l’it. volendo denominare la civetta dal “frullo” è andato a scegliere una parola t., alla quale per giunta i Tedeschi non avevan mai dato il senso di “civetta”? come va che questa par. ger. non è mai stata usata in Italia in senso di “frullo”? Qui adunque mi pare il caso di confessare che l’etim. ger. è poco probabile, e che chiurlo è d’origine incerta. Deriv. chiurlare, chiucchiurlare, chiucchiarlaja.
Chiurlo2, uomo semplice e da nulla (Moniglia). Il Caix crede che in questo senso la voce venga dall’ing. churl, ags. ceorl, le quali parole si è visto (cfr. Carlona) appartenere alla stessa rad. dell’aat. karl, tm. kerl [got. * karla, kairla] e significano appunto “contadino, babbione”. Ma poichè nei secoli passati era rarissimo che l’it. togliesse una parola dall’ing., io crederei che Chiurlo in questo senso non sia altro che Chiurlo “assiuolo”, che, per una connessione di idee facilmente spiegabile, ha acquistato anche questo signif. metaforico.
Cialtrone, uomo vile e tristo (Buommattei, Baldin.). È derivazione immediata di gialdrone, geldrone, vocaboli svoltisi da geldra (v. questa parola), che vedremo essere alla sua volta venuto dal mat. gilde, voce che ha una lunga storia. Deriv.: cialtron-a-accio-cella-eria-escamente.
Ciambellano-erlano, cameriere d’onore nella corte (Malespini, Villani). È venuto dal fr. chamberlenc, chambellane, chambellan, derivato a sua volta dall’aat. chamarlinc, tm. Kämmerling. Per tal modo ciambellano viene ad essere in certa guisa allotropo fonetico di camerlingo, da cui però diversifica assai, almeno ora, nel senso, forse perchè quest’ultimo non è passato pel tramite fr.
Ciappa, nome ant. (Biring. Pirotec. 134), in luogo del quale ora s’usa il suo dimin. Ciappola = scalpelletto da cesellatore ed argentiere (Cellini, Vasari). Venne dal fr. échoppe d’ug. sig. Alcuni traggono la voce fr. dall’ags. sceoppa [donde ing. shop], che ha per affini l’aat. mat. schopf, schof, da cui anche tm. Schuppen, Schoppen, ag. scypen, ing. shippen. Ma fa difficoltà il senso, giacchè tutte queste voci ger. contengono l’idea generale di “stallo, edifizio, bottega”, che non ha niente che fare col nostro proposito. Quindi credo piuttosto che il fr. proceda dall’aat. scuoppa, mat. schuoppe, schuope, schuppe “ciò che raschia od è raschiato” [ol. schob = squama de’ pesci], dalla rad. ger. skab [skôb] radere, raschiare. Porse si potrebbe anche pensare al t. Schüppe, pala, spazzola, dal vb. aat. scioban, mat. schiben, tm. schieben, colpire, percuotere, dalla rad. ger. skub [donde anche got. af-skiuban, anrd. skufa, skyfa, ags. scufan, ing. shove], preger. skubh, sans. ksubh, “commoversi”, a cui è verosimilmente connesso anche il lit. skubrùs, skubùs, skubti, “affrettarsi”, e a. sl. skubati “tirare”. Col tm. Schoppe, tazza, non pare ci sia relazione alcuna. Ad ogni modo qui è evidente che si tratta d’un’etim. ger., quantunque non sia certa la rad. ger. a cui ci dobbiamo attenere. Deriv.: ciappola, ciappoletta ciappolina.
Ciarpa, arnese vile, roba di niun pregio (Caro, Grazzini). Anche stavolta il fr. è stato il veicolo per cui ci è giunta questa parola. Dall’aat. scarbon, scarpôn, mat. scharben, fare in pezzi, si svolsero i nomi sost. aat. skärb, schërbe, scirbi, scirpi, schirbinon, mat. schërbe, schërb, tm. Scherbe, ol. scherf, bt. schrap “frammento, vaso di terra cotta”, e di qui il fr. écharpe. La rad. preger. era skarp, skerpo, a cui fa riscontro l’a. sl. crepu, il lit. schkirpta, schkerpele, fuscello di legno. Lo Stender I, 272 confronta qui il l. scrupus, scrupulus, pietruzza, il gr. σκορπίος e l. scorpio. Nelle Leggi Longob. s’incontra cherpa = masserizie domestiche. Ma il tardo comparir della parola in it. mi fa credere che non sia venuta direttamente dal longob. Deriv.: ciarpame, ciarpare, ciarperia, ciarpina, ciarpiere, ciarpone; acciarpamento, acciarpare, acciarpio. V. anche Sciarpa.
Ciausire, (ant.), conoscere, scegliere, lodare, bramare (Guittone, Dante da Maiano, Rinaldo d’Aquino, ecc.). Venne immediatamente dal prov. chausir, causir d’ug. sig. L’origine prima dell’it. ciausire, del prov. chausir, a. port. cousir, a. sp. cousimento, fr. choisir, ing. choice, è il got. kausian, assaggiare, esaminare, che è, secondo il Friedmann, causativo di got. kiusan, provare, scegliere, donde aat. chiosan, mat. e tm. kiesen, ags. ceòsan, ing. choose. Anzi il Diez assegnerebbe la paternità immediata del parola rom. al got. kiusan, se il prov. fosse causar, anzichè chausir; perchè il ditt. got. iu potè facilmente scambiarsi con eu, eo, e questo produrre il prov. au. Queste voci vengono nel campo indeu. collegate all’ind. ios-ami, ius-ate essere contento, iosa piacere, gr. γεύω, γευομαι e l. gusto, gustare. Deriv.: ciausimento.
Cilecca, burla che si fa altrui mostrando di voler dargli ciò che poi non gli si dà (Poliziano, Rim. 2, 26). L’unica etim. che finora si è potuto assegnare a questo vocab. è dall’agg. aat. scileh, scelah, mat. scilch, curvo, storto. Accennerebbe dunque a quella guardatura di traverso che si dà agli altri quando si vuole beffare uno, come nel caso di celia. Altri anzichè dal semplice scileh, scëlah, il fanno venire dall’agg. schielauge, composto di schielen, torto, e auge, occhio. Ma contro queste etim. si potrebbe osservare che la cilecca è un atto, anzichè una sorta di guardatura. Deriv.: accileccare.
Ciocca, gruppetto di fiori o foglie o frutte attaccate insieme: bioccolo di capelli (Dante). Dal mat. schoc, schok, schog, schogk, as. skok, tm. Schock, ol. schock, mucchio, fascio, numero di 60 pezzi (monete od altri oggetti). Dal fatto che il mat. schocken, svev. schoche, vale “mettere il grano in mucchi”, il Kluge deduce che dapprima fosse usato solo di mucchi di spighe o covoni. Il mat. schoche = fieno ammonticchiato. Le voci ger. riposano sul vb. as. scacan, che nell’ags. e a. ing. offre il significato di “commuoversi, agitarsi, tremolare” ecc., sensi che convengono assai bene ai nomi derivati in t. e in it. La rad. ger. è skak, preger. skag. Il sans. khág = agitarsi, commuoversi; donde khagákos, “pezzo di canna” (Bopp). Lo Schade riattacca questo vb. scacan, all’aat. e mat. scëhan, scëhen, commuoversi, agitarsi, donde il tm. geschehen, avvenire. Il Kluge però mette la cosa come non sicura. Ma s’ella fosse fondata, s’avrebbe il caso singolare che le parole it. ciocca, ciocco, e ciuco apparterrebbero alla stessa rad. del vb. t. geschehen, accadere. Ci pare peraltro che la grande disparità del senso renda poco verosimile una tale affinità. Deriv.: ciocchetta-ina; acciocco, dicioccare.
Ciocco, pezzo di legno; colpo (Dante). Anche questa parola proviene dal mat. schoch, tm. Schock. Già l’idea di “ammasso, oggetto grosso e tozzo” abbiamo visto essere evidentemente nel voc. ger. Ad ogni modo la specializzazione del senso in “ceppo di legno” sembra propria dall’it., dacchè, l’ing. shock, l’afr. choque, chouquet, fr. choc, sp. choque, chocar, choquer, hanno per senso se non esclusivo certo primario quello di “cozzo, colpo”; idea svoltasi facilmente da quella di “agitamento, ammucchiamento”. Deriv.: acciocchire, acciucchire, acciocchito, acciucchito.
Ciofo, uomo sciatto e dappoco (Grazzini). Si fa venire dal tm. Schuft, ol. schoft, mascalzone; ed il t sarebbe caduto, perchè, secondo il Diez, l’it. non comporta il gruppo ft. Schuft poi è dal Kluge spiegato col bt. schûf ût, “cacciato fuori”, ol. schavuit. Schuf ha per rad. il mat. schupfen, spingere, scacciare. Quindi Schuft in sostanza = rifiuto.
Ciompo, scardassatore di lana; plebeo (Marchionne Stefani). Questa parola che comparve in Firenze al tempo del Duca d’Atene (1340), secondo Marchionne Stefani era una storpiatura che il volgo faceva del fr. compar, compare, nella frase compar allois à boiser, compare andiamo a bere. Altri invece non sapendo spiegare come un termine di affettuosa familiarità fosse applicato ai membri d’un’arte, ricorrono all’aat. zumft, mat. zumpft, zumft, tm. Zumft, adunanza, regola, corporazione d’arti e mestieri, dal vb. aat. zëman, zamian, domare, unire, che nel campo idg. ha per corrispondenti il gr. δαμάω, δαμάζω e il l. domo. Si è pensato anche al t. stumpf, ottuso, ol. stomp: il quale darebbe ragione del significato accessorio che ha ciompo di “dappoco, sciatto”; ma la forma è molto lontana. Deriv.: ciomperia.
Cioncare1, bere avidamente (Cavalca, Sacchetti). Crediamo che questo vb. provenga dall’aat. scenkan, scenchan, schenken, mat. scenken, scenchen, tm. schencken, ags. scencan, sceonc, sceonca, fris. schinkien, sv. schanka, versare da bere. Il passaggio dal concetto di “dare da bere” a quello di “bere” è facilmente spiegabile; molto più che il mat. schenkunge significano anche “il bere”, specialmente del fanciullo. Questa etim. è resa anche più probabile dal fatto che i Tedeschi sono sempre stati famosi pel bere, e che ci diedero parecchi altri vocaboli relativi a questa funzione. Il vb. t. penetrò anche nelle altre lingue rom., vb. sp. escanciar, port. escançar, afr. eschancer, lad. schianghiar, donde i nomi mlt. scancio, scantio, sp. escanciano, fr. échanson; ma sempre nel significato primitivo e fondamentale di “mescere, dare da bere” come tm. Mundscenck. Il tm. Scencke, osteria, viene ancor esso dall’aat. scenkio, scenko, servo che mesce da bere, svoltosi a sua volta dal vb. suaccennato. Il got. skagkian, manca.
Cioncare2, rompere, troncare (Pulci, Morg.). Questo vb. [lomb. s’ ciancà, s’ cincà, mod. sancar], ha l’apparenza d’esser d’orig. ger. Il lad. ha ciuncar, il valac. ciung, ung. tsonka d’ug. sig. Il Diez lo suppose venuto da ciocco, ceppo coll’epentesi di n. Deriv.: cionco, cioncare.
Ciuco, asino, somaro (Michelang., Rime). Probabilmente non è che un allotropo di ciocco nel signif. di “insensibile, duro”: di fatti dall’idea di “pezzo di legno” a quella “duro” il passo è facile. D’altra parte si dice anche volgarmente «duro come un asino». Deriv.: ciuca, ciuchino-etto-ettino-accio; ciucata-aio-eria-aggine; rinciuchire. V. anche Giucco.
Ciuffo, ciocca di capelli che s’alzano sugli altri nella fronte (Soldanieri, sat. 49; Buonarroti, Fiera). È voce d’or. ger.; ma non è ben certo se provenga dal mat. schoph, schopf [dimin. schöpfel, schopfil], tm. Schopf, d’ug. sig. [aat. *scopf, got. *skuppa, mancano; e in loro posto furon usati l’aat. e got. skuft, anrd. skopt, capelli del capo, donde anrd. skupla “cappello per donne vecchie”]; ovvero dall’aat. zoph, zopf, mt. zop, tm. zopf, (altre forme ger. v. sotto Toppo) significante “estremità, punta” ed anche “mucchio di capelli”. Per la forma è certo da preferire la prima etim., ed anche per una più rigorosa corrispondenza del concetto. Però il vb. acciuffare, e la frase dar di ciuffo (Sacchetti, nov. 168) che significano “prender per una estremità”, sembrerebbero piuttosto accennare ad un’origine da zopf. Alla voce Battuffolo c’è una chiamata a Ciuffo; ma ora rimandiamo a Toppo. Deriv.: ciuffetto, ciuffolo, ciuffolotto, ciuffare, acciuffare. Il dial. lom. ha zuff, il prov. chuf.
Civetta [ciovetta, ant.], sorta d’uccello notturno (Crescenzi, Sacchetti). Procedette immediatamente dall’afr. chouette d’ug. sig.; il qual chouette era dim. di choe, prov. cau, gufo, barbagianni. Forme dialettali fr. sono: vall. ciovice, pic. cave, cawan, ang. chouan [nel Berry chavant], prov. chavana, bret. kaouan, mlt. cavani [gloss. oxford. cavanna]. Nel fr. c’è anche chat-kuant, gatto-gridante; dove è chiaro che il popolo ha chiamato così la civetta, perchè ha interpretato erroneamente quel chouan. Forme parallele sono prov. caucala, fr. choucas, chouc. Lo sp. ha chova, choya, l’ing. chowgh. Tutte le forme rom. riposano sull’aat. chuvue, gazza, mulacchia (gloss. lat. ted. Hammerer, 1290), cauha, uccello (Lex Alamann. 99, 13), mat. chouh, gufo. Questa parola avendo denotato uccelli diversi, doveva da principio essere forse un’onomatopea imitante un verso d’uccelli assai generico; il che è confermato dall’ol. che kauw, cornacchia, e dall’ing. kaw, gracchiare. Il tm. Kauz, dal mat. kûtze, kûtz, non pare foneticamente affine al mat. chouh, aat. cauha, chuvue, benchè sia d’ug. sig. Crediamo s’ingannasse il Muratori quando trasse il nome di civetta dal verso ciù, donde prima sarebbe venuto ciuvetta, e poi civetta. Non è la civetta, l’assiuolo che emette quel verso. Dal fatto che la civetta serve di richiamo per altri uccelli, si spiega il significato di molti nomi svoltisi daquella di esso uccello applicati alle donne. Deriv.: civettaggine, civettare, civetteria. civettina-o, civettio-smo, civettuola, civettone; accivettare-ire.
Cling, clang, locuzione interiettiva onomatopeica derivata dal t. klingen, ol. klinken, [aat. chlanc, mat. klanc, tm. Klang], suonare, come dal ger. sono venute molte altre voci di questo genere [v. Diez, Gramm. I, p. 65]. Dall’ol. klinken vennero pure fr. clinquant, clincaille, quincaille, vb. requinquer, v. Chincaglia.
Cobalto, nome d’un metallo (Cos. Mei, † 1790). Viene dal t. Kobalt, che secondo il Frisch si sarebbe svolto dal boemo kow, metallo: il che sarebbe abbastanza strano sia pel signific. troppo generico del vocab. slavo, sia ancora, e molto più, per la forma; giacchè da kow a Kobalt c’è un abisso. Con miglior ragione il Weigand lo riguarda come semplice variante di Kobold; molto più che sin dal sec. XVI quando appare per la prima volta Kobalt (Mathesius, 1562; Agricola, 1546) compaiono anche le forme secondarie kobelt, kobold. Kobold, “folletto, spirito domestico scherzoso”, viene dal mat. kóbolt, kobólt, ed era una divinità ger. corrispondente ai penates, lares dei Romani, chiamati nell’ags. cofgodu, cofgodas, = dei di casa. Foneticamente la forma ags. di kobold sarebbe stato * kofold, e la got. sarebbe stata * kubawalda “rettor della casa” ovvero * kubo-hults [hults = hold], “amico della casa”. Del rimanente il primo elemento della parola in quistione è l’anrd. kofe, ags. cofa, mat. kobe, camera, stalla, gabbia, cesto: quindi anche “casa”. L’altro è hold, “amico, propizio”. Secondo il Weigand kobold oltre al significare “spirito di casa”, avrebbe significato anche “spirito dei monti”, per connessione non difficile, se il kobe denotava principalmente le “case rustiche, case dei monti”. Dal significato poi di “spirito dei monti” era facile il passo a denotare un metallo che forse era supposto essere sotto la custodia di esso spirito. Dal mat. kobolt originarono pure il m. ol. coubout, ol. kabout, fiam. kabot, kabotermanneken, fr. gobelin, ing. goblin, hobgoblin, mlt. gobelinus; benchè lo Schade voglia vedere in tutte queste voci altrettante emanazioni del l. cobalus, gr. κόβαλος, il che foneticamente potrebbe ammettersi tutt’al più pel fr. e ing., ma non mai pel t. che è troppo difforme. Il tm. kobalt passò anche nello sp. e port. cobalto, fr. e ing. cobalt.
Cocca, sorta di nave da guerra ora non più in uso (Villani). Venne coll’afr. coque, fr. coche, sp. coca, dall’aat. koccho, mat. kocke, a. ol. kogghe, kogghschip, ol. kogge, kog, bt. kogge, isl. kuggi, kuggr, sv. kogg [celt. cimb. cwch, bret. kokèt], d’ug. sig. Il primo scrittore it. che usa questa voce è il Villani (vol. IV, cap. 77, all’anno 1304) che l’adopera parlando appunto di navi dei paesi settentrionali [Guido conte di Fiandra armò ottanta navi ovvero cocche al modo di quel mare....]: il che conferma l’etim. ger. Però il Diez trae le forme ger. dal l. concha, guscio di conchiglia; ma la desinenza dell’aat. koccho, propria dei termini nativi di quel dialetto (cfr. balcho, braccho, fincho, heigro, skinko, ecc.) e che non ricorre mai nelle parole che l’aat. ha derivato dal l., rende inverosimile l’etim. del ger. dal l. o dal rom.; lasciando stare che non ci sono esempi in cui la n passando dal l. in t. siasi dileguata ovvero trasformata in c o g. E difficile mi pare anche l’ammettere che le voci rom. sian venute direttamente dal l., dal quale l’it. avea già tratto conca; poichè, anche prescindendo dal signif. molto diverso, resta a spiegare la trasformazione della nasale n nella gutt. durissima c. Io credo pertanto che cocca venga senz’altro dal ger., il quale sappiamo che, mediante i dialetti norv. e ol., ha fornito alle lingue neol. buon numero di termini di marineria e di navigazione, mentre non si sa che ne abbia ricevuti (v. Diez, Gramm. I, pag. 62).
Colla, fune o canapo con cui si tormentavano i rei veri o presunti (Villani). Credo che sia l’aat. as. quâla, châla, chôle, kôle, oppressione, martirio; donde mat. quâl, quâle, tm. Qual, ol. kwal, ags. cwalu. Il signif. specializzato non deve fare difficoltà; poichè il vb. aat. quellen, chollen aveva anche oltre al senso di “martirizzare”, quello di “porre in catene”. Dal che si capisce che la causa della specializzazione fu appunto il fatto che spesso si straziavano i pazienti col supplizio della colla. Del resto la rad. ger. gel, qal è connessa al lit. gelti, pungere, gela, dolore, a. sl. zali, patimento. È voce che non penetrò nelle altre lingue neol. Deriv.: collare (v. la par. seg.).
Collare, tormentare con tratti di colla o corda (Compagni, Villani). È vicinissimo pel senso e vicino anche per la forma all’aat. quëllan, quelian, cwellan, quellen, chellen, mat. chollen, quellen, koln, kollen, ags. cvellan, tm. quälen, tormentare, martirizzare, vb. causativo appartenente al vb. aat. as. quëlan, essere straziato, ucciso. Altri però ricorrono al gr. κολάζειν, punire, e κολλάν, fermare. Queste due etim., che pel senso e fino ad un certo punto anche per la forma si potrebbero sostenere, mi pare perdano ogni probabilità quando si pensa che collare è un vb. nominale formatosi da colla (v.), il quale nome non ha certo alcuna apparenza d’essere derivato dal gr.
Colpo, percossa data con mano od arme (Compagni, Dante). Per questa e voci neol. sorelle [a. sp. colpe, colpar, sp. port. golpe, prov. colp, fr. coup, couper], si sono proposte due etim. t., oltre alla gr. comunemente accettato da κόλαφος, mlt. colapus, pugno; e sono l’aat. cholpo, colbo, kolbo, cholbo, mat. kolbe, tm. Kolbe, bastone, nodo, punta della lancia, che dal signif. di “bastone” potè passare a quello di “colpo dato col bastone”, e poi semplicemente a quello di “colpo”. L’anrd. era kôlfr, colle forme parallele kylfj, kylfa, e il got. kulban. L’altra deriv. sarebbe dall’ol. klop, koloppo, t. klopfen, kloppén. Ma il Diez osserva che le lingue rom. non avrebber distrutta la consonanza iniziale cl. Deriv.: colpare, colpeggiare, colpett-o-ino, colpare-tore-trice.
Corbezzolo, sorta d’alberetto e il suo frutto (Boccaccio). Dall’aat. curbiz, churbiz, churbëz, mat. kürbiz, kürbez, tm. Kurbis, Kurbs, formatosi alla sua volta dal l. cucurbita coll’aferesi del cu e colla solita sdoppiatura del t in zz. Rientrando dalla Germania in Italia chürbez, kürbez, lasciò il signif. di “zucca” per assumere quello che ha al presente. L’ags. dal l. aveva tratto kyrfet.
Corredo, fornimento, guernimento (Brev. Mar. Pis; Boccaccio). Il Diez, dopo avere riannodata questa e parole sorelle [prov. conrei, afr. conroi, fr. corroi, sp. correo, cat. conreu, mlt. conredum] all’afr. roi, it. redo, ordine, dal quale risultano mediante composizione; dichiara poi potersi difficilmente ammettere che roi provenga dall’aat. rât “provvista, vaso”. A noi non pare che ci sia tutta questa difficoltà, e ne vedremo le ragioni alla parola Redo. Qui ci contenteremo di dire che le voci romanze anzichè dal semplice rât potrebbero anche essere venute dal composto aat. garâti, karâti [got. garaids], donde mat. geraete, gerête, tm. Gerât, di signif. perfettamente ug. a quello delle parole neol. Il cangiamento del g in c non è raro; nè il resto del vocab. è molto difforme. E del rimanente il signif. di “accompagnamento a cavallo” che emerge dalla frase «cavalier di corredo», e che riscontrasi pure fra i signif. delle diverse voci ger. mi pare che tolga ogni dubbio sulla origine di questa parola, che lo Zambaldi mette come incerta. Deriv.: corredamento, corredare, corredino; scorredato. V. Redo.
Cotta, sopravveste militare; sopravveste bianca dei chierici (Burchiello). Il Diez ammette come probabile la derivazione di questa voce [afr. cote, fr. cotte, sp. port. prov. cota, ing. cot], o dall’ags. cote, ing. cot, bt. kot, kote, ol. kot, piccola abitazione, capanna [tm. Kötte = armadio], ovvero dall’aat. chozzo e forme affini che vedremo più sotto. Ma poi sostiene che tutte queste voci ger. riposano sul l. cutis, pelle mediante un * cuta, e forme mlt. cotis, cottus (sec. 9.º), cota, cotta. Ma ultimamente il Kluge ha dimostrato che l’aat. cozo, cozzo, kozzo, kotzo, chozzo-a, mat. kotze, kutte, kotte, as. cot, [tt], grosso e rozzo mantel di lana, tm. Kütte, Kotze, benchè mancante al got. nd. e ing., è parola specificamente ger. che produsse le voci rom. La ragione è che nell’aat. ci sono molte parole spettanti a questo ceppo: per es. umbichuzzi, sopravveste, umbichuzzen, vestire, cugilchozzo, mat. cugelchozza, cocolla. Ora questa diffusione e antichità della voce aat., congiunta colla comparsa relativamente tarda delle rom., prova, secondo lui, che non la forma ger. della bl., bensì questo da quella ebbe origine. Quanto all’ags. cote, ing. cot, bt. kot, è ancor esso etim. possibile del rom., nonostante il signif. di “capanna”, giacchè le idee di “abitazione” e di “vestito” si toccano anche in altri casi (v. le voci fr. casaque e chasuble, presso Scheler). Del resto il bt. kot, ags. cot, e l’aat. kotzo, chozzo, avevano in origine la stessa rad. preger. * gudo, got. * kuto, * kut. Dal bt. originò ing. cot, casa, capanna; dall’ags., cote, in dovecote. La rad. ger. penetrò anche nello sl. colla forma kotici; e le corrisponde forse nel campo indeu. il gr. βεύδος, veste di donna. Deriv.: cottardita, cottola.
Cozzare, il percuotere e ferir delle bestie (Dante, Crescenzi). Il Frisch pensò al t. hutzen d’ug. sig. Ma il Diez combattè questa etim., dicendo che la pura aspirazione h non si cangia in gutt. passando dal ger. nel rom.; e propose come fonte dell’it. e del fr. cosser, un tipo coctiare, venuto dal part. l. coctus per coictus dal vb. coiicere. Credo anch’io che difficilmente il vocab. rom. sia potuto derivare dal t. hutzen; però la ragione addotta dal Diez non mi pare buona, poichè da huwo l’it. cavò gufo, da taha taccola, nei quali casi ed in altri si è verificato precisamente il fenomeno da lui negato. Il Caix opina che cozzare proceda da cozzo, e che questo vocab. popolare significasse anche “testa”, donde la frase «dare di cozzo». Deriv.: cozzamento, cozzo; accozzaglia, accozzare, raccozzare, scozzare.
Crazia, moneta toscana del valore di 7 centesimi (Machiavelli, Leg. Com., 3, 333). Venne dal mat. kriuzer, kriuzaere, tm. Kreuzer denotante una piccola moneta marcata con una croce, mat. kriuze, tm. Kreuz. Al t. è più affine la forma ant. craizia, che resta tuttavia in qualche dialetto. Deriv.: craziata.
Crescione, genere di piante acquatiche; nasturzio (Crescenzi, Bencivenni). Il Weigand I, 638 sostenne per primo che l’it. crescione, fr. cresson, cat. créxen provenivano dall’aat. crësso, krësso, chrësso, cressa, mat. chrësse, krësse, tm. Kresse [got. *krasia], d’ug. sig.; e poi riportò l’aat. al vb. aat. crësan, krësan, strisciare, arrampicarsi. Il Diez approva invece l’opinione di C. Stefano che suppose il nasturzio essere stato così denominato a celeritate crescendi, e ammette la possibilità della deriv. della parola ger. dal rom. Ma il Kluge ha impugnata l’origine neol. dell’aat., per la ragione che le forme ger. erano da tempo antichissimo diffuse largamente nella Germania occidentale, donde penetrarono nell’ags. caerse, ing. cress, ol. kers, kors, dan. karse, sv. krasse, lit. kresse. Nè è diffìcile il supporre che quest’erba in ger. fosse denominata dallo strisciare a cagione dei suoi steli arrampicanti, dacchè vedremo che anche un pesce, il gobbio, fu chiamato aat. cresso, mat. kressa, tm. Kresse, dal solito crësan, perchè guizza continuamente nel fondo delle acque. V. Schmeller, 2, 303; Weigand I, 638. È certo è assai più verosimile che quest’erba prendesse il suo nome dall’arrampicarsi che dal crescere; non essendo provato ch’essa cresca più rapidamente di tante altre. Del resto ognun vede che la forma fr. cresson è vicinissima all’aat.; mentre se fosse d’orig. rom., bisognerebbe ammetterla proveniente dalla prima persona plurale dell’afr. nous cressons, noi cresciamo: il che sarebbe stranissimo. Nella formazione dell’it. poi ebbe parte una falsa interpretazione popolare del signif. originario della voce t., come è accaduto tante altre volte. Si può adunque senz’altro riporre questa parola nel novero di quelle d’orig. ger. certa.
Crocco, uncino, gancio (Lucan. volgar.; Uff. Cat. For.). Col fr. croc, crochet, port. croque, sp. cloque, procedette dal ger. che ha: anrd. krokr, ol. krooke, ing. crook, cimb. crog. Alcuni dubitano di questa orig., perchè è voce che s’incontra anche nel celt. Ora è ammesso come principio che nel dubbio fra l’orig. ger. e celt. d’una parola, si debba dare la preferenza al ger., attesa la maggiore influenza di questo sul rom. a paragone del celt. Di più: il Kluge riattacca il ger. krokr, krook, all’aat. kruka, tm. Krüche = bastone con uncino, da cui l’it. gruccia ( v. questa parola).
Crogiuolo, vaso per fondere i metalli (Biringuccio, Pirotec.). Questa parola che compare in it. solo nella prima metà del sec. XVI, viene giustamente dallo Scheler ricondotta al mat. Krus-e, tm. Krause, Kraüsel, sorta di brocca, insieme col fr. creuset, afr. croisel, creusol, croiseul, lampada [che è stato probabilmente intermediario fra il ger. e l’it.), sp. crisol, crogiuolo, crisuelo, lampada, ing. cruset, cruiset. Qualcuno trasse questa parola dal bl. crucibolus, crucibulum [donde ing. crucible, crogiuolo], che suppose formatosi dal l. crux; ma anche questo, sempre secondo lo Scheler, non è che una estensione arbitraria della rad. ger. operatasi sotto l’influenza d’una falsa interpretazione popolare che volle vedervi l’idea di crux, croce, a cagione delle miccie, che s’intersecavano in certe lampade a guisa di croci. L’aat. è * krusa, ags. kruse. Il ger. diè anche ol. kroes, ing. kruse, cruise, bt. kreusel, krusel, nd. krús, m. ing. krouse. Secondo il Kluge il mat. krus, tm. Krause, nonostante l’identità del signif, e la somiglianza della forma, non ha alcuna affinità fonetica con Krug; e neppure può avere a fondamento il gr. κρωσσός, brocca. Deriv.: crogiolare, crogioletto; cruciolo.
Crosciare, produrre rumore simile a quello dell’acqua che cade forte; mandare giù con violenza (Dante, Liv. Dec.). Collo sp. cruxir, cat. croxer, prov. afr. croissir, lad. s-crúscer, vall. crolû viene dal got. kriustan, digrignare i denti [kriustith tunthus, S. Marc. 9, 18, = gr. τρίξει τούς οδόντας], signif. che avevano da principio anche le voci rom., sp. cruxe los clientes, prov. cruis las dens, alcune delle quali lo conservano tuttavia. Immediatamente però procedette dal got. causativo kraustian, dove si vede che l’it. ha convertito in sc il gruppo stj. Del resto la voce got. sembra essere stata onomatopeica, del pari che il gr. κρούω, l. crepo, aventi un signif. assai affine. Deriv.: croscio, scrosciare, scroscio.
Crusca, buccia del grano (Villani, Crescenzi). Il Muratori accennò già alla verisimiglianza dell’orig. di questa parola dal t., e la sua divinazione è stata dimostrata vera dai risultati della linguistica moderna. Infatti l’aat. ci presenta la forma crusc (crusc vel chliha [tm. Kleie], dicon le Gloss. Fior. 983), proprio d’ug. sig.; la quale voce è andata perduta nel tm.; ma si conserva tuttavia in alcuni dialetti: svizz. krüsch, svev. grüsche; dial. fr. gruis, piem. grus, lad. crisca. Il n. pruss. ha un vb. cruscà = triturare. Coll’aat. cruzi, gruzi, mat. grutze, d’ug. sig., tm. Grütse, orzo, avena monda, non pare che il ger. crusc abbia affinità fonetica. Crusca fu poi il nome preso da un’Accademia fiorentina fondata nel 1583 coll’intento di separare il fiore della lingua dalla parte men buona di essa. Deriv.: crusca-io-iuolo-nte-ta; crusche-ggiare-llo-rella-rello-vole-volmente; cruschino, cruscone, cruscoso, cruscotto.
Cuccagna, nome d’un paese immaginario pieno di felicità; giuoco in cui per vincere bisogna salire arrampicandosi su di un legno insaponato e liscio (Cecchi, Sassetti). Il Grimm (Ged. auf Friedr., p. 96) suppose che questo nome collo sp. cucaña, fr. cocagne, a. ing. cokaigne [ing. cokney = beniamino], fosse venuto dall’aat. kuocho, chuocho, mat. kuoche, tm. Kuchen, focaccia; ossia perchè in quel paese le case fosser coperte di focaccie, ovvero perchè, nel giuoco della cuccagna sulla cima dello stile si usasse porre una focaccia per premio. Il Diez, e dietro a lui lo Scheler, non dal t., bensì dal l. coquere fanno venire questa parola mediante il cat. coca, lad. cocca, occit. coco, pic. couque, significante ancor esso “focaccia”; anzi da queste parole rom. fanno derivato anche l’aat. kuocho, mat. kuoche, e tm. Kuchen. Però ultimamente il Kluge ha portato nuove vedute su questo punto. Egli adunque riguarda come originalmente ger. la rad. kak-an, kòk-an, cuocere, e da essa fa svolgersi l’aat. kuocho, mat. kuoche, tm. Kuchen, m. bt. kóche, ol. koek, scozz. cooky, ags. coecil, m. ing. kèchel, bav. kuëchel, chieckl [queste tre ultime forme dal dimin. got. * kôkila], ing. kake, sv. kaka, dan. kage [da got. * kakila], finn. kakko, lapp. gakko. Di più dalla forma kôkan sono venuti, secondo lui, cat. coca, lad. cocco, prov. coco, pic. couque, e le denominazioni romanze del paese della felicità, afr. Coquaigne, it. Cuccagna, sp. Cucaña, (donde m. ing. Cockaine, m. ol. kokinie), riposanti su un mlt. Côcania, formatosi come Germania, Alemania, Britannia. Ci pare che il Kluge abbia ragione per i seguenti motivi: 1.º perchè il giuoco della cuccagna ha l’aria d’essere d’orig. settentrionale, anzichè meridionale, precisamente come la festa dell’albero di Natale; 2º perchè il l. per esprimere l’idea di “focaccia” aveva altre parole; altre ne avevano pure le lingue romanze; il che rende più probabile che coca venisse dall’aat.; 3.º non c’è esempio di alcuna parola che passando dal l. nel ger. pigliasse nell’aat. la desinenza rinforzativa o. Quindi difficilissimamente si può ammettere che l’aat. kuocho, mat. kuoche, tm. Kuchen (che del resto è secondo ogni verisimiglianza più antico d’ognuna delle forme rom.) venisse o dal cat. coca, o dal prov. coco, o dal pic. couque, o dal lad. cocca; anzi la probabilità milita pel caso inverso.
Cuffia, scuffia, copertura del capo usata dalle donne, specialmente in casa (Boccaccio). Questa voce [sp. cofia, escofia, port. coifa, escoifa, fr. coiffe, vall. ing. coif, m. ol. coifie], immediatamente procede dal bl. cophea, cofia, cuphia, ricorrente già presso Venanzio Fortunato. La registriamo qui perchè sulla elaborazione del vocab. bl. ha influito anche il ger.; poichè esso, secondo ogni verisimiglianza, altro non è che l’aat. chupphâ, chuppâ, mat. kupfe, kuppe, kuffe, gupfe, mitra, perdutosi nel tm. Però la voce dell’aat. era a sua volta venuta dal l. cuppa, coppa, mediante l’aspirazione della labiale tenue, come suole fare il t. nelle parole tolte in presto dal l. Quanto al concetto, esso non deve fare difficoltà; avendosi altri esempi dove la stessa parola significa ad un tempo “vaso da bere” e “copertura del capo”. Tali sono, per es. il l. galea, elmo, e galeola, vaso; l’afr. bacin, prov. bassin = “bacino” ed “elmo”. L’aspirazione del l. cuppa per opera del t. dovette avvenire sin dal tempo di Venanzio; e ne fornisce una prova anche il Gloss. Cassel, che offre le forme choffa, e chupf. Anche un’altra etim. t. fu proposta per questa parola, cioè l’aat. hûba, mat. hûbe, tm. Haube ol. huif, [anrd. hûfa, ags. hûfe, ing. scozz. how, afr. huvet], parola che lo Schade rannoda a Hübel, colle, l’Heine al sans. kakubh, cima, donde il Fick2 45 trae anche il gr. κύμβος, κύμβη, vaso, nave, ed infine altri all’aat. haubit, houbit, tm. Haupt, capo. Però il Diez contro la deriv. di cuffia dal ger. húba, hufa, Haube, oppose che l’indurimento proprio dell’antico franco dell’asp. h in gutt. ch, o c, non s’incontra in alcun altro caso di parola rom. proveniente dal t. Alla parola cozzare vedemmo per altro che l’indurimento dell’aspirazione pura in g qualche volta si diede; perchè non potrebbe essere avvenuto anche in c? È certo almeno che fra l’ags. húfe, anrd. húfa, aat. huba e il voc. del mlt. c’è molta vicinanza di senso e di forma. Qui poi è da notare una cosa che non so se sia mai stata avvertita da nessuno. Il tm. Haube, aat. hûba riposa sulla rad. idg. kup, dalla quale si svolsero pure il l. cuppa, donde aat. cupphâ e le altre forme viste di sopra, il l. caput, t. Haupt, Kopf, e gr. κεφαλή: tutte parole contenenti l’idea di “punta, vaso”; sicchè ad ogni modo il tm. Haube, il l. cuppa, aat. chupfâ, it. cuffia, hanno una stessa radice. Noteremo da ultimo che fu proposta anche un’etim. della parola in quistione dall’ebr. kobha, kova, elmo; ma è insostenibile foneticamente, ed anche storicamente; giacchè l’ebraico non diè alle lingue occid. che pochissime parole riferentisi quasi tutte alla religione. Deriv.: cuffiare, cuffietta, cuffina, cuffino, cuffiare, cuffiotto; scuffietta, scuffiare.
Note
- ↑ Questo vb. si è voluto spiegare da gast, ospizio, e haldan [tm. halten], tenere: quindi varrebbe “tenere ospizio”. Ma il senso, almeno quello che noi conosciamo, non corrisponde.
- ↑ Difatti il fr. appare già nel sec. XIII, quando era quasi impossibile un imprestito dall’it.
- ↑ Difatti di cappio il dial. mod. fa ciapp e non chiapp.