L'elemento germanico nella lingua italiana/O

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Obice obizzo, specie di cannone corto, o di piccolo mortaio (D’Antoni, † 1780; Botta). Gli sono paralleli: fr. obus (Andreossy, Segur), da cui sp. obuz. Riposa immediatamente su tm. Haubitze d’ug. sig., da cui anche ing. howits, il quale è modificazione del mat. haufnitz (sec. 15º). Quest’ultimo era però voce che il t. avea tolta dal boemo durante le guerre degli Ussiti (1419-34). Il boemo era haufnice, sorta di canna da lanciar pietre. L’it. procedette direttamente da tm. Haubitze, e prima di tutto colla forma obizzo che è più vicina all’originale. Probabilmente s’introdusse sul principio del secolo scorso durante le guerre dell’Austria in Italia. Più difficile da spiegare resta la forma fr. che non conoscendo nè primitivo nè suffisso, non si capisce come potesse rappresentare il tm. Haubitze. Alcuni, fra i quali lo Scheler, avvisano che si svolgesse da it. obizzo mediante obis, ma non è ammissibile, attesochè in Francia gli obus furono conosciuti sin dalla fine del secolo 17º, cioè alla battaglia di Nervinden nel 1693, il che vuol dire assai prima che in Italia. Anche nel tm., secondo il Grimm, questo nome stette molto tempo prima d’essere universalmente conosciuto nell’arte della guerra; sicchè Böchler nel 1668 nella Kriegschule non lo descrive; e l’Egger nel suo Lexicon (1757) lo dice introdotto di fresco in luogo del Kammerstüke. E così pressappoco si esprime anche il Grable. La forma obizzo, riproduce molto più da vicino tm. Haubitze, e quindi è probabilmente anteriore alla forma sorella obice, benchè poi quest’ultima divenisse più comune. [p. 359 modifica]

Onire (antiq.), svergognare, fare ingiuria (Novellino 39; Esposiz. Pater Noster). Ha per corrispondenti: prov. aunir, afr. honir, fr. honnir, disonorare, oltraggiare, ingiuriare. Questo vb. procedette da ger. hônjan [got. haunjan, abbassare, avvilire], svillaneggiare, insultare, oltraggiare. Altre forme ger. sono: aat. hônan, hônen, mat. hôenen, d’ug. sig.; tm. hônhen, schernire, beffare, corbellare. Il vb. ger. non è primitivo, ma si svolse da sost. hôna, formatosi anch’esso da un agg. che sarà trattato più a lungo alla voce Onta. V. Schade, p. 416. Però il Faulmann, contraddicendo a quasi tutti gli altri germanisti, vuole che il vb. hônjan, hônan non sia che una ulteriore modificazione del vb. perduto hiunan, affliggere, opprimere, e questo sarebbe poi derivato dal participio gezvungen, forzato, costretto (?). Qui egli rannoda anche aat. hungar, tm. Hunger, fame. Il vb. it. dopo il duecento sparì del tutto; e forse il suo uso in questa lingua fu dovuto all’influsso provenzale. In fr. è restato vivo. V. Onta.

Onta, vergogna, disonore, dispetto, villania, ingiuria (Dante, Villani). Con afr. fr. honte, prov. a. cat. onta, prov. anta per * aunta, a. sp. fonta d’ug. sig., riposa immediatamente su di un sost. ger., e non è, come potrebbe credersi, derivato nominale di vb. onire. Di fatti è troppo evidente la somiglianza, anzi l’uguaglianza, che presenta con ger. * haunitha, da cui got. hounitha, aat. hônida, hôneda, hônda, mat. hônede, hônde, hoende, vergogna, oltraggio, maniera superba, arroganza, albagia; as. hônda, scorno; afris. hanethe, accusa, offesa, violazione, fris. hoente, inganno. Da questo nome si formarono i vb. it. ontare [ormai usato solo in composto adontarsi], a. sp. afontar, aontar, prov. antar, afr. ahonter, hontajer oltraggiare. Nel tm. il ger. haunitha andò perduto, benchè siano usitatissimi molti derivati dal suo ceppo che vedremo più sotto. A detta del Kluge e del Faulmann il nome ger. haunitha non è primitivo, ma formatosi dall’agg. originario aat. [p. 360 modifica] * hon, invece di cui compare aat. hôni, mat. hoene, disprezzato, vivente nel disonore, leso nell’onore per iscorno, oltraggioso, collerico, superbo, malvagio; ags. heán, umiliato, disprezzato, miserabile, abbietto, Grein, 2, 55; got. hauns, ταπεινός, umile, avvilito, 2 Cor. 10, 1. Riposa su tema ger. hauna; a cui fuori di quel campo si fanno corrispondere: lett. kauns, vergogna, oltraggio, kaunums, vergogna, kaunigr, vergognoso, kanuiba, verecondia, pudore, kaunet, svergognare, kaunetés, vergognarsi, essere nudo, Ulm 105, Diefenbach 2, 535; poi gr. ξύειν, grattare, raschiare, sans. kshud, pestare, tritare fregando, kshudràs, piccolo, debole, minuto, umile, basso, comune Bopp Gl.3; 103, Meyer, L. Got. Sprach. 36. Pel got. hauns il Kluge osserva che il signif. non uscì da quello di “basso, abbietto”. Invece del perduto ger. haunitha, il tm. usa Hohn, scherno, beffa, ludibrio, svoltosi da mat. hôn, aat. hôna, beffa, derisione, oltraggio, insulto, ignominia. Questo aat. hôna era un femminino sostantivato formatosi anch’esso dall’agg. aat. hôn, visto più sopra. Ad esso si rannodano: aat. honjan, [da got. haunjan, abbassare] hônan, hônen, mat. hoenen, disonorare, svergognare, hônisam mat. hônsam, ignominioso, avido di ignominia, aat. hônchosi, discorso beffardo, aat hônchust, mat. hônkust, astuzia, inganno, mat. hônlâge, insidia astuta, aat. hônlîch, obbrobrioso, aat. hônlihho, mat. hônliche hoenliche, ags. heánlice; ignominiosamente, con di sonore, aat. hônnede, discorso derisorio, mat. hônschaft, trattamento oltraggioso, derisione; poi nel tm. Hôhner schernitore, Höhnerei, ludibrio, corbellatura, Hohngelächter, ghigno beffardo, höhnisch, derisorio, ironico, hohnlächeln, ghignare, hohnnecken, corbellare, schernire, Hohnrede, diceria ironica, Hohnsprecher, insultatore. Il Diez ed altri ponevano a base del rom. l’aat. hônida; ma il Mackel p. 166, not. 2, osserva che ger. haunida avrebbe prodotto un rom. * honda. Dunque primieramente nel ger. s’avea ancora il th; e l’entrata dovette avvenire molto per tempo, cioè prima [p. 361 modifica] chè ger. th si fosse indebolito in d. Tuttavia il vocab. rom. non ricorre nel bl. Quanto allo sp. f di fonta rispondente a ger. h, è spiegato dal Diez Gramm. I 239. È il caso inverso del lat. f che lo sp. rende coll’h. V. del resto Onire. Deriv.: ontanza, ontare, ordire, ontosamente, ontoso.

Orca, sorta di grosso bastimento olandese (Tramater, Nerucci). Con sp. urca, fr. hourque fu da molti creduto derivazione di gr. ὁλκάς, donde bl. holcas, di signif. pressappoco uguale. Altri vollero fosse la stessa cosa che orca, mammifero marino più grosso del delfino, e supposero che una tale denominazione fosse dovuta ad una certa somiglianza di forma, ragione per cui, come nota il Diez l. urca vale ad un tempo, “nave” e “pesce”. Ma il fatto accennato dal Fanfani che «i Livornesi danno questo nome a una grossa nave da trasporto usata specialmente dagli Olandesi», indusse il Caix a trarre questa voce da fonte ger., trovandosi in quel campo: ol. ing. hulk, mat. holche, aat. holcho, nave, accanto a cui stanno holchun holechen, tm. Holk, Hülk. L’indurimento della l in r non fa difficoltà (è noto che il dialetto romano cangia spesso in r persino la l dell’it. comune: er sordato per il soldato); e ad ogni modo si dovrebbe ammettere anche nell’ipotesi dell’origine greca. Del resto l’etim. proposta dal Diez è resa certissima da un passo del D’Aubignè, il quale (Hist. II, 276) scrive: «Et pourtant furent cent de la ville qui furnirent de mettre en guerre quelques hourgues flamendes qui estojent en Brouge». Fondandosi su questo passo il Littrè definisce l’hourque “antico naviglio olandese da trasporto, di fondo piatto”. Parallelamente a questa forma hourgue del D’Aubignè [il quale ha anche hourgue], l’afr. presenta altresì hulque houlque, vicinissime all’originale fiammingo-olandese; e ciò finisce di metter fuori di ogni dubbio una tale etimologia. In Italia la introduzione del vocabolo avvenne molto tardi; probabilmente nel sec. 17 o 18 mediante il commercio della città di Livorno coi [p. 362 modifica] Paesi Bassi. Quanto all’aat. holcho, i germanisti moderni lo rimenano al bl. holchas e quindi a gr. ὁλκάς, bastimento a remo, nome formatosi verosimilmente da vb. έλκύω, trarre.

Ordalia (neolog.), giudizio di Dio (Cantù). Questa parola che non penetrò nell’it. vivo, ma solo nella lingua moderna e dotta, riposa su mlt. ordalium, del pari che fr. ordalie, che è ancor esso voce di formazione riflessa e non popolare. Il mlt. ordalium ordela ricorre spessissimo nelle leggi inglesi, danesi e svedesi (V. per es., Canon. Sax. sotto Edgardo cap. 24, 62; Senat. consult. de Montic. Walliae; Foedus Edwardi et Gutruni cap. 9; Leges Athelstani cap. 7, 14, 21; Leges Ethelredi cap. 1, Canuti cap. 17; Monum. Dan. lib. I, cap. 18 etc.). Risale a ger. urdail, che produsse: aat. urteili, urteila, urteil, urtail, mat. urteil, urteile, as. urdeli, afris. urdèl ordèl, fris. oardel, ags. ordàl, e tm. Urtheil, giudizio, condanna, opinione. Altre forme sono: ags. ordel, as. urdele, ing. ordeal, ol. ordel oordeel, tm. Urtel. Il senso speciale di “giudizio di Dio” l’assunse in forza dei composti in cui era usato, come quello di ags. ol. Waeter-ordeel “giudizio o prova dell’acqua fredda”, ritenendosi allora che la prova sostenuta a questo modo fosse un giudizio di Dio. Il vocab. ger. entrò anche nell’afr. colla forma ordel, che riproduceva immediatamente afr. urdêl. Si formò da vb. aat. artailjan artailan arteilan ardeilan irteilein irdeilein, mat. urteilen, dare una decisione su di alcunchè, giudicare, condannare; as. adêlian, ags. adaelan, afris. urdêla ordêlia. Il mat. urteilen ci presenta anche il senso di “sottoporre uno al giudizio di Dio” che perciò si deduce essere stato probabilmente estraneo all’ aat. Dalla forma mat. erteilen derivò tm. erteilein, conferire, dare, partecipare, dividere. Elementi di vb. aat. artailan sono la particella prefiss. aat. ur ar ir, mat. er, tm. ur er che vale “da, originario, primitivo” e vb. got. dailian, aat. teilan, mat. teilen [donde tm. teilen] ags. daelan, ing. deal, anrd. della, dividere, spezzare, formatosi da [p. 363 modifica] nome got. dails, aat. mat. teil, bt. dêl, ags. doêl, ing. deal dole, parte d’un tutto, resto. Un tal sost. pel Faulmann procederebbe da vb. perduto tîlan “tôrsi una cosa d’accanto all’altra, scorrere, sparpagliarsi”, venuto a sua volta da vb. perduto dilan, assordare, odorare (?).

Orgoglio, argoglio, rigoglio, alterezza, grandigia, superbia (Dante, Villani). Gli sono paralleli a. sp. arguyo ergull, sp. orgullo, port. orgulho, a. catal. orgull, catal. orgull, prov. orgolh erguelh, vald. argolh, afr. orgueil, fr. orgueil, vall. orgowe orgou, fasto, vanità, arroganza. Lo Scheler respinge tutte le varie etim. non ger. che furono proposte per questa voce. Quelle da gr. όργαάειν essere infiato, ed όργιλος, iracondo, sono evidentemente troppo difformi foneticamente, benchè soddisfacenti pel senso. Il brett. rok, fiero, arrogante, proposto dal Chevallet, che per trasposizione avrebbe dato un ork, non ispiega per nulla la terminazione, senza contare la poca influenza di quel dial. sulle lingue rom. Il gr. όρθόκολος del Langensiepen, sost. fittizio che poi avrebbe prodotto un orthocolium “dalle giunture aspre”, presenta una difficoltà insormontabile pel significato. Al che si può aggiungere che l’influsso gr. nella formazione del rom. fu limitatissimo anche quando trattavasi di parole gr. realmente esistenti: figuriamoci poi di quelle di cui non s’ha traccia! Più infelice ancora è la proposta del Baudry (Revue des langues Rom. V) di porre a base delle voci rom. vb. fr. orgueillir, che sarebbe formato da l. adrecolligere, composto ignoto affatto al latino, e che ad ogni modo darebbe uno svolgimento logico di senso molto duro. Perciò ormai è accettata universalmente la derivazione dal ger. * urguolî, che pur non essendo documentato, si ha ragione di credere sia esistito, presentandoci l’aat l’agg. urgulo, insigne, altiero, fastoso, e l’avv. urgilo urgîlo, molto straordinariamente, ricorrente in Otfried 4, 24, 16, rispondente ad ags. orgël, orgille, smoderato, immenso, superbo, [p. 364 modifica] e ad agg. aat. * urgilo, superbo, lussureggiante. Secondo lo Schade pag. 1068 spetta pure qui avv. orgëllice, molto, assai, fuori di modo, il cui secondo elemento gëllice, appare anche in ags. vidgël, vidgille, molto esteso, molto abbracciante, e forse in aat. witchelle, spazioso. Lo stesso Schade sospettò che aat. urguol sia composto della particella ur, e di geil, visto sotto Gaio e Gala. Il Diez osserva che l’agg. sp. urgulloso ha conservato letteralmente la particella aat. ur, il che è una prova ulteriore dell’etim. ger. Il Mackel p. 60 vuole che l’o dell’it. sp. e port. sia dovuta più presto alla forma got. racchiudente l’o che all’influsso delle consonanti vicine. Nel tm. non resta alcuna traccia del ger. urguol. Deriv.: orgoglia-mento-nza; orgoglios-amente-etto-osità-oso-ire-uzzo; inorgoglir-e-si.

Oribandolo, specie di cintura antica (Tratt. Gov. Fam.). Il Caix 430 additò l’etim. di questo nome che del resto ricorre solo nell’opera citata, nel mat. ortbant, striscia metallica posta all’estremità della guaina; e che si conserva nel tm. Ortband, puntale del fodero, con forma e significato pressappoco uguali. Se la derivazione è giusta (e lo dev’essere, giacchè non è accettabile l’opinione del Tommasèo che fa di oribandolo un composto formatosi in Italia da orlo e bandolo), convien ritenere che il tedesco fosse termine militare1 e che entrasse in Italia verso il sec. 13º o 14º e che qui ampliasse e generalizzasse un po’ il suo significato. Quanto al mat. ortbant esso risulta da ort, punta, estremità, orlo [il tm. Ort vale “lesina” ed anche “luogo”, dove il secondo senso è specificazione fortissima [p. 365 modifica] dell’antico], e da band, legatura, fascia. Nelle altre lingue rom. non s’incontra.

Orza, quella corda che si lega nel capo dell’antenna del navilio a mano sinistra (Buti, Petrarca, Boccaccio). Sono corrispondenti: afr. ourse, fr. ourse, orse, prov. orsa, parte sinistra del vascello, cordame. Il Diez, lo Scheler e Littré convengono nel trarre un tal nome da m. ol. lurts, bav. lurz, sinistro, con la caduta della l iniziale, creduta essere l’articolo. Dal lato fonetico una tale derivazione non presenta difficoltà. Resta però a spiegare il passaggio certo fortissimo dal concetto di “sinistro” a quello di “fianco sinistro della nave”, e poi a quello di “fune della parte destra”. Ad ogni modo, poichè in rom. una tal voce è antichissima (più antica in it. che in fr., dacchè in quest’ultima lingua il Littré la registra solo al secolo XV; il che ci indurrebbe a supporre un passaggio dall’it. in fr. se, trattandosi di parole antiche, questa ipotesi non fosse inverosimile), è difficile ammettere che venisse direttamente dal m. ol. Piuttosto si potrebbe credere che provenga dal ceppo ger. di cui fu sviluppo l’ol. e il bavar. Deriv.: orzare, orzeggiare.

Otta (antiq.), punto di tempo, ora (Fra Giord., Dante, Boccaccio). Il Diez, ritenuta impossibile formalmente una derivazione da l. hora, ricorre a got. uht che s’incontra solo in composti, e vale “tempo, punto propizio, καιρός”. Paralleli a got. sono in quel campo: aat. uhtâ, uohtâ, mat. uhte, uohte, as. uhta, ags. uhte, anrd. ôtta, bt. ucht. Queste voci si prestano assai più del got. all’ etim. di it. otta, per la forma che è più vicina; ma valgono propriamente “crepuscolo mattutino, per tempo”: il qual signif., come ognun vede, è alquanto diverso dall’it. Sulla diffusione, affinità e probabile orig. del vocab. ger. può consultarsi lo Schade p. 996. Il Gandino ha emerso l’opinione che it. otta sia d’orig. latina; e che proceda dalla locuzione l. quota hora est, che ora è, abbreviata in [p. 366 modifica] quota, da cui sarebbesi svolto un c’otta. Ma come supporre che si smarrisse il signif. di quota, e che tutta la frase si fosse accorciata in quel modo? Se la parola, che è solo in it., risale veramente al ger., dovette entrare probabilmente cogli Ostrogoti. Era comunissima nei composti allotta, moltotta, talotta e dotta, il quale ultimo vale “occasione favorevole”, ed è nome proveniente da una forma avverbiale d’otta, per tempo, che presenta una certa analogia logica col ger. uohta.

Ottone, lega di rame e zinco (Lib. Astrol., Liv. Dec., Lib. Sent.). Sono paralleli: sp. loton, laton port. latâo, cat. llautò, prov. loto, fr. laiton, ginev. loton. Secondo il Diez questo nome (da cui ing. latten, bt. lâtun), sarebbe formazione rom. da latta che s’è visto esser d’orig. ger.; e sarebbe stata la forma e non la materia che ha determinato la denominazione della lega metallica, a quel modo che sp. plata, piatto, assunse il signif. di “argento” per la facilità con cui quel metallo piglia quella forma. L’it. perdette la l iniziale, perchè creduta parte dell’articolo; ma la conservano i dial. piem., mil., com. e venez. che hanno loton. Questa etim. resta sempre la più probabile; giacchè la ipotesi di Rossignol che provenga da l. luteum giallo [sottinteso aes, rame], non merita d’essere presa in considerazione, non essendo l’agg. luteum popolare nel medio-evo quando le lingue rom. coniarono il nome in questione, e non prestandosi per nulla a cagione della sua forma. Lo Scheler mette in rapporto il vocab. rom. con ing. lead, piombo, e con t. Loth piombo. In fr. laiton, compare nel sec. 13º. Deriv.: ottona-io-me; ottoniere.

Ovest, parte dell’orizzonte ove il sole si corica (Moleti, Geograf. 16). Gli corrispondono afr. le west, fr. ouest, e sp. ovest, riproduzione diretta del fr. Anche l’it. benchè sia mentovato dal Moleti come vocabolo dei marinai dell’Oceano, io credo che immediatamente rappresenti il fr. ouest, che in altra guisa non si spiegherebbe l’aggiunta [p. 367 modifica]iniziale fatta al vocab. ger., aggiunta che come si vedrà era naturale nel fr. In quest’ultima lingua afr. le west compare dal sul secolo 12.º; ed era senza dubbio stato preso dagli Anglosassoni, forse col mezzo dei Normanni. Infatti l’ags. ci presenta la forma vest, donde ing. west d’ug. sig. Nel campo ger. parallele ad ags. vest troviamo le forme: isl. vest, sv. vester, ol. west, tm. West, Westen. Quest’ultima forma procede da mat. wësten. Secondo il Kluge il significato del ceppo fa difficoltà, a cagione specialmente della denominazione lat. di Visegothi, Goti occidentali. Si è voluto ravvicinarlo a lat. ves-per, gr. έσπερος sera, e interpretare west come parte, lato della sera. Il Pictet in una ingegnosa dissertazione sostiene che ger. vest provenne da vastum, deserto, mare, e che una tale denominazione d’un punto cardinale è dovuta ad una circostanza puramente locale, cioè al fatto che il deserto e il mar Caspio venivano ad essere ad occidente degli Aria, che poi divennero Germani. Ma il Faulmann crede che vest potesse essere una cosa sola con aat. mat wist, fermata, dimora (sottinteso “del sole”) got. wist, essenza, natura. In questo caso il nome avrebbe a base aat. wësan, essere. Opina inoltre che il np. mlt. Wesegothae accenni al partic. wësan, kiwësan, formatosi dallo stesso vb. wësan. Ma queste congetture del Faulmann sembrano poco accettabili.

Note

  1. Difatti il Grimm, Deutsches Wörterbuch, p. 1362, definito l’ortbant “scheidenspitze, vaginarium, lorum vaginae”, allega parecchi passi di scrittori tedeschi da cui appare che l’ortbant era sempre unito a Degen o Schwert, spada. Soggiunge che il mat. ortbant si corruppe presto in orband ohrband orbant; il che spiega meglio l’inserzione che dell’i che fu fatta in it. In quel campo ricorrono anche il dimin. ortbändlein, e il composto ortbandmacher.