L'elemento germanico nella lingua italiana/Z

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V Appendice

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Zaccaro-era-ola, schizzo di fango, sterco o altra sporcizia che s’attacca alla lana di capre e pecore, bagatella, imbroglio (Morelli, Velluti, Burchiello). Da aat. zahhar zahar gocciola, distillatura, pece, ragia, donde mat. zaher [* zacher], tm. Zähre lagrima, stilla di pianto. Altre forme ger. sono: mat. zechern zachern piangere; ags. téar, taehher, ing. tear, anrd. tár, got. tagr, lagrima. È parola idg. primitiva sotto la forma dakru, che si riflette in gr. δάκρυ, l. lacruma [da dacruma], cimb. dacr, a. ir. dér lagrima, sans. ácra. Il passaggio dal signif. che vedesi nel ger. a quello dell’it. è molto forte; ma la considerazione che il senso primitivo del ger. era di “umore che stilla o cola” che presenta un concetto intermedio plausibile, e più la perfetta rispondenza dei suoni, non lasciano alcun dubbio sulla etim. in discorso. Der.: zaccheroso; inzaccherarsi; zaccoloso; inzaccolarsi.

Zaffo, turacciolo da botti o vasi simili, birro; sergente (Pulci, Varchi). Base: aat. zapho, zapfo sprizzo d’acqua, spillo, turacciolo per vasi da vino o birra. Di là mat. zaphe, zapfe d’ug. sig., tm. Zapfe Zapfen cocchiume, turacciolo. Il signif. fondam. del vocab. ger. era quello di “sprizzo o schizzo minuto d’un liquido” che vedrassi [p. 534 modifica]riprodotto esattamente da it. zampillo. Si restrinse poi tanto in ted. quanto in it. a quello di “oggetto con cui si chiude questo sprizzo”. Dal nome nel campo ger. si formò vb. tm. zapfen spillar vino, vendere al minuto. Le altre forme ger. si sono già viste sotto Tappo che si svolse dal ramo bt., mentre Zaffo dall’at. V. Zampillo. Der.: zaffa-mento-re-ta-tura; rinzaffare.

Zaino, sacco di pelle di pelo pei pastori e pei soldati (Ariosto, Allegri, Caro). Risponde: sp. zaina d’ug. sig. Base: aat. zaina, zeiniâ canestro, cesto, fiscella di vimini o giunchi intrecciati, donde mat. zeine. Forme got. tainio cesta, paniere, anrd. teinur nassa, pescagione. Il nome ger. era derivato da aat. zain zein bastone, regolo, canna, vimine verga, donde mat. zein, tm. Zain barra, verga. Dunque la materia servì a denominare il composto. Comparendo il nome it. molto tardi, inchino a credere che passasse fra noi solo nel medio evo inoltrato per opera di viandanti e pellegrini. Nel bl. troviamo all’ann. 1389 zayna “sorta di vaso” in un Invent. del Cod. It. Diplom. tom. 3, col. 365. V. Zana.

Zampa, gamba degli animali e per lo più dei quadrupedi (Volg. Mes.; Delle Celle). Lo Zambaldi gli dà a base rad. ger. di bt. tappe, donde ing. tapp, d’ug. sig. Tm. tappen vale “andare al tasto, battere col piede”. Bisognerebbe però partire da una forma alto-ted. zappe nasalizzata. Der.: zamp-ata-etta-ino-one-uccia; zampettare azzampare. Forma diversa di Zampa è ciampa, da cui numerosi altri derivati.

Zampillo, sottil filo che schizza all’insù da piccol canaletto (Novellino, Villani). Presuppone un * zapillo diminutivo di zapfo (v. Zaffo), da cui si sarebbe venuto all’attual forma mediante nasalizzazione. Der.: zampillare.

Zana, sorta di cesta; quegli che la porta (Cecchi). Questo nome ha la stessa base di Zaino, cioè aat. zeina col significato però più omogeneo al ger. Der.: zanaiuolo. [p. 535 modifica]

Zanca, gamba, tibia, ripiegatura (Dante, Sacchetti). Il Tommasèo registra anche cianca come usato in Toscana col dim. cianchetta. Rispondono: sp. zanca, port. sanco gamba, tibia, gambo, manico, sp. zanco, lomb. zanch, venez. zanca trampoli, prov. sanca coturni, sard. sancone stinco, tibia, port. chanca piè molto lungo, e forse sp. chanclo pantofole. Indubbiamente è d’orig. ger.; ma resta incerto se debba riferirsi ad aat. zanka tanaglia, rebbio, donde mat. zange, tm. Zange d’ug. sig., ovvero ad aat. * scanca scancho tibia, che è presupposto da ags. sceonc, sceonca, donde ing. shank gamba. La prima delle due ipotesi è più confacente alla forma, l’altra al senso. Il Caix propone anche il ceppo di tm. Schinken Schenkel coscia, che radicalmente s’attiene ad ags. sceonca, come s’è visto sotto stinco; ma la forma mi pare troppo lontana.

Zanetta, bastone da viaggio (dial. moden. e della montagna moden.). Credo senz’altro che risalga al ceppo ger. che diè aat. zain zeina bastone, verga. V. Zaino e Zana.

Zanna sanna scana, grosso dente di cignale porco o cane (B. Latini, Pataffio, Ovid. Metam. volgar). Il Diez, dopo avere messo innanzi aat. zan, zand pl. [zane] donde mat. zan, tm. Zahn dente, osserva che essendo la s iniz. d’alcune forme it. d’irregolare derivazione dal z ger., si deve ammettere che l. sanna ha per lo meno uguale diritto di ger. zan alla paternità della voce it. Io credo invece che sia da rigettare assolutamente l’etim. lat., e che sia necessario attenersi alla ger. Difatti l. sanna usato solo da Giovenale vale “derisione, dileggio, scherno”, e sannio-nis adoperato da Cicerone significa “giullare, buffone”. Ora come è possibile il passaggio da questo concetto a quello dell’it.? Il Diez crede di spiegarlo col supporre che l. sanna “digrignare i denti” passasse a denotare “il dente digrignante”. Ora questa ipotesi reggerebbe tutt’alpiù nel caso che la caratteristica dei sanna sanniones fosse stata quella di [p. 536 modifica]“digrignar i denti”. Ma questo è ben lungi dall’essere verosimile, nonchè provato. Di fronte a queste osservazioni, mi pare trascurabile la difficoltà mossa dal Diez circa il cangiamento di ger. z in rom. s. S’aggiunge che nel campo ger. troviamo vb. aat. zanôn mat. zanen rodere, lacerare coi denti, perfettamente rispondente per senso e per forma a vb. it. zannare in az-zannare. Inoltre la immensa diffusione del nome in tutto il territorio ger. messa a riscontro colla rarità del vocabolo lat. depone anch’essa a favore dell’etim. da noi sostenuta. Il nome ger., oltre alle forme accennate, presenta as. ol. tand, ags. tóth, donde ing. tooth, got. tunthus, fris. tanne, anrd. tönn, sv. tand, afris tusk, ags. tux, ing. tusk il quale ultimo ha un signif. appunto uguale a it. zanna, circostanza certo notevole. Nel campo indeu. a rad. ger. tanth risponde idg. dont dnt donde l. dens, gr. όδούς [da όδοντ], sans. dat; lit. dantis, a. ir. dét dente. Questo ceppo idg. dont sarebbe a detta del Kluge partic. pres. della rad. ed mangiare. Quindi ger. zan = il mangiante, il divoratore. It. zanna essendo evidentemente riproduzione del ramo at., non può essere stato importato che dai Longobardi. Der.: zannata azzannare.

Zartig, tenero (dial. lomb.). Da aat. mat. zart tenerezza, debolezza, delicatezza. Certo d’importazione longobarda.

Zata, zampa (dial. lomb.). Da un aat. * zata, donde mat. zatze tm. Tatze zampa mano. Secondo Kluge il vocab. ger. sarebbe forma intensiva di Tappe.

Zatta zattera, unione di più pezzi di legno in guisa da formare una specie di pavimento per trasportare su fiumi e canali uomini e merci (Bembo, Guicciardini). Rispondono: sp. zata zatara d’ug. sig. Il Diez non seppe che etim. assegnare a questa parola, e dopo di lui nessun altro se n’è occupato, tranne incidentalmente il Kluge, il quale ne fa una cosa sola con tattera, e la rimena ad aat. zata zotta, donde mat. zotte, tm. Zotte, ol. todde, ing. [p. 537 modifica]tod, cencio straccio cespuglio vello fiocco, rete di capelli o cenci. La difficoltà sta nel senso. Però una volta che nel campo ger. esiste il signif. di “rete fatta di capelli o cenci”, il passaggio al concetto di “barca” non è affatto disperato. E questa deriv. parrebbe confermata dal trovarsi nel tm. il vb. zotteln “andare piano, andare a zonzo”, vb. che essendosi formato dal nome zatte, ci fa capire che a quest’ultimo doveva essere annessa l’idea di “barca”, o per lo meno che quest’idea non gli è molto aliena; e questo si scorge anche in ing. totter tottle vacillare, andare ranchettando, Nel tm. ricorre anche dialett. Zatte bocca d’un vaso. Anche qui abbiamo una certa analogia logica e formale col nome rom. zatta, zattera.

Zazza Zazzera, capellatura d’un uomo che giunge al più fino alle spalle (B. Latini, Guinicelli, Villani). Il bl. zazzara di Jo. Demussis Chron. Placent. è evidentemente ricalcato sull’it. Il primitivo it. zazza risale ad aat. zat [t] a che potè risolversi in zatza, come ger. titta in mat. zitze. Questo aat. zatâ valeva “giubba, capigliatura spiovente, ciocca, filo, lana”. Aveva accanto aat. zota, zotta, zato, zoto, e produsse mat. zote zotte tm. Zotte Zottel d’ug. sig. Il ceppo aat. proveniva da ger. toddôn, da cui anrd. todde cespuglio, bocconcino, peso per lana, ing. tod cespuglio, peso, ol. todde cencio, straccio, e forse anche dan. tot ciuffo di capelli, ol. toot laccio di capelli. V. Tattera, Zatta-Zattera. Der.: zazzer-accia-ato-etta-ina-one-oso.

Zeba, capra (Dante). Voci parallele: sp. chibo-vo chiba-va, port. chibo. Rende probabile l’etim. di questo nome dal ger. il trovarsi nell’aat. un zebar vittima, che potè nel campo rom. assumere il senso attuale pel fatto che la vittima usuale pei sacrifizi presso i Longobardi era appunto la capra. Inoltre il tm. conosce Zibbe agnello, cui risponde alban. tzgiep, tsiap (forse importato), valac. tzap. [p. 538 modifica]

Zecca, noto insetto parassita (B. Latini, Burchiello, Redi). Rispondono: lad. zecc zecla, fr. tique [der. tiquet] d’ug. sig. Discese da aat. * zeka, che produsse mat. zëcke, tm. Zecke d’ug. sig. accanto a cui troviamo bt. zecke, bav. zeck. Forme del ramo bt., da cui immediatamente il fr., sono: ags. * tica, ing. tike, tick, ol. taekt, teke. Il tema ger. tiko, tikko riposa su idg. digh che si mostra anche in arm. tiz zecca. Il fr. compare solo assai tardi [sec. 16º]; all’incontro l’it. pare venuto coi Longobardi; benchè il bl. non l’offra. Secondo lo Schade a base del nome ger. starebbe tikian pungere. Der.: zecco-la-lo; azzeccare.

Zeppa, bietta o conio piccolo (Soderini, Coltiv., Buonarroti). All’etim. da l. cippus ceppo, il Diez preferisce quella da aat. zepfo mat. zepfe piuolo, cavicchio sia pel concetto che per la lettera. Si potrebbe però chiedere come mai il gruppo ger. pf che generalmente è reso in it. colla doppia spirante, qui abbia dato la doppia labiale tenue. Bisognerebbe in questo caso ammettere la derivazione da una forma bt. * teppa; ma allora non sarebbe poi spiegata l’iniz. z, perchè normalmente si sarebbe aspettato un teppa. Ad ogni modo, comparendo it. zeppa molto tardi, se si ammette la derivazione dal ger., bisogna riportarlo al mat. anzichè all’aat. Der.: zeppare, inzeppare.

Zeppo, pieno (Serdonati, Buonarroti). Il Diez connette questo agg. al sostantivo precedente, e spiega la transizione ideologica mediante il concetto intermedio di “pieno di zeppe”. Der.: inzeppa-mento-tura.

Zerigare, molestare (dial. tosc.). Il Caix gli raccosta sard. atturigare; e poi connessolo ad afr. tarier tormentare, segue poi il Diez che rimena quest’ultimo a bt. targen, nd. tergen cui risponde mat. zergen. Evidentemente la forma it. riposa sul mat., o meglio sul suo prototipo aat. zergan.

Zigra, ricotta, formaggio (dial. lomb.). Venne da aat. mat. ziger ciger cacio, latte quagliato; svizz. bavar. ziger, d’ug. sig. Graff 5, 631. Probabilmente d’importazione longobarda. [p. 539 modifica]

Zigzag, tortuosità, serpeggiamento (Tramater). A noi immediatamente venne dal fr. zigzag usato già sin dal 1750 (v. Littré); il quale fr. a detta dello Scheler riproduce ted. zikzak, combinazione onomatopeica avente a base zicke per zinke rebbio, e Zahe punta, e quindi significante “cosa allungata in punta e ripiegata ad uncino”. Il Faulmann fa di t. Zickzack un raddoppiamento di t. Zacke uncino. Secondo il Kluge t. Zickzack compare all’an. 1727 sotto la forma di sicsac, con termine dell’arte della fortificazione, a proposito dell’assedio di Landau. L’Andillot vorrebbe vedere in fr. zigzag l’arabo zig “tavola astronomica”, per la ragione che le tavole astronomiche degli Arabi presentano appunto la forma di zigzag. Ma la tardissima comparsa del nome in territorio europeo, e piú ancora la serie dei paesi in cui esso si è successivamente manifestato, induce a rigettare l’etim. araba, ed a seguire la germanica.

Zin, majale (dial. lomb.). Procedette da aat. swin, donde mat. swin tm. Schwein d’ug. sig. Altre forme ger. sono got. svein, ags. svin, ing. swine. Secondo il Kluge ger. swina ha per rad. su che appare in aat. su, tm. Sau ing. sow scrofa con suffisso ina. Cfr. l. sus, gr. ὗς σῦς porco, zend. hu cignale.

Zinco, metallo solido bianco-azzurrigno formato di lamelle con fenditure (Dizion. Alberti verso il 1820). Col fr. zinc, usato sin dal 1767, riproduce tm. Zink mat. zinke che compare la prima volta sulla fine del sec. 15º in Basilius Valentinus benedettino di Erfurt, e poco dopo presso Paracelso († 1541), Mathesius e Agricola, come designante una sorta particolare di metallo che fu poi determinato bene solo nel sec. 18º. Quanto all’etim. di mat. tm. zinke zinken zink, il Weigand crede ch’esso sia la stessa cosa che aat. zinco, zinko “macchia bianca”, a cagione del colore del metallo. All’incontro il Beckmann opina che venisse da mat. zïnke [aat. zinko, tm. Zinken] [p. 540 modifica]punta, rebbio, e ciò perchè il metallo si pone a fondere su rebbi. Altri pensarono a tm. Zinn stagno, col suffisso slavo k. Checchè sia di questo, è certa l’orig. ted. del vocabolo. Der.: zincoso; zincografia.

Zincone zingone, piuolo, stanga, spranga, mozzicone d’albero tagliato (Lorenzi † 1822). Il nome appare dunque molto tardi nello scritto; ma dovette esistere ab antico nella parlata, trovandosi nel Sacchetti il dimin. zingoncello piuolo ingessato nel muro per attaccarvi panni. Molto probabile l’orig. dal ceppo ger. che presenta aat. zinko, mat. zinke, tm. Zinken punta, rebbio. Der.: zingoncello.

Zinna, mammella, poppa (Pulci, Civ. Calv.; Firenzuola). Questo nome, senza corrispondenti nelle lingue rom., non fu considerato dal Diez nè da alcun altro etimologista. Però il vocabolario del Tramater lo riporta a celt. sine sinne poppa. Se in quella lingua esistette realmente sinne, una tale etimologia è certo assai probabile. Ma il non possederlo il fr., mi fa inchinare a supporlo piuttosto derivato da aat. zinna, donde mat. zinne, tm. Zinne punta prominenza, mediante il concetto intermediario di “capezzolo”. Der.: zinn-accia-ale-are

Zipolo, piccol cavicchio con cui turasi la cannella della botte o vasi simili (Burchiello, Bellincioni). Senza corrispondenza nelle lingue neol. Il Diez propose tm. Zipfel punta, gherone, affine a ing. ol. tip. La derivazione dal t. è chiara; ma anzichè riferirlo al tm., conviene per necessità storica farlo piuttosto risalire a mat. zipfel zipf punta acuminata, vetta, giacchè da una parte la voce it. compare fin dal sec. 15º, dall’altra l’aat. non conosce zipfel. Trattandosi di termine relativo al bere, una tale introduzione da parte dei Tedeschi nel periodo del mat. non presenta nulla di strano. Secondo il Kluge anche bt. timpen punta, spetta mediante nasalizzazione a questo ceppo ger. a cui lontanamente è affine Zapfen. (V. Zaffo) turacciolo. Der.: zipoletto. [p. 541 modifica]

Zita-o, zitella-o, citta-o, cittola-o, fanciulla-o (Jacop. da Todi, Dante). Questo gruppo di nomi vezzeggiativi ha origine dal ceppo ger. visto sotto Tetta, ma dalla forma at. cioè mat. zitze petto femminile, mammella, donde tm. Zitze poppa, capezzolo. Quanto al passaggio dal signif. di “poppa” a quello di “fanciulla”, esso riscontrasi anche in piem. teta, e nel l. mamilla che dié it. mammella, poppa. e mammola-o fanciulla-o. Difficile è però stabilire se il nome it. si debba rannodare direttamente al mat. zitze, ovvero fare dipendere da un aat. * zitza che non è documentato, ma che però può ugualmente essere esistito. Io propendo per quest’ultima ipotesi, tanto più dicendo il Kluge che anche mat. zitze compare solo molto tardi. V. del resto Tetta. Der.: zitello-na-ne.

Zolla, pezzo di terra spiccata pei campi (Guid. G., Cresc., Boccaccio). Con lad. zolla, risale ad aat. scolla, scollo gleba, zolla, che produsse mat. scholle, tm. Scholle, ol. schol zolla, ghiacciuolo. Auche nel tm. scholle s’applica talvolta a denotare “ghiacciuolo”, e difatti accanto ad erdscholl gleba, abbiamo eisscholle “ghiacciuolo”. Il Diez notò che il nome it. si doveva trarre dall’aat. e non dal tm., benchè per la lettera si presti più quest’ultimo, essendo il passaggio di gruppo aat. sc in it. z affatto irregolare. A me pare che si potesse persare al mat. scholle che ha lo stesso gruppo iniz. del tm., e che potè essere anteriore all’it., giacchè quest’ultimo non compare che sulla fine del sec. 13º, e il mat. comincia già nel sec. 11º. Il non riscontrarsi il vocabolo nel bl. conforta la mia opinione. Il ceppo ger. secondo il Kluge spetta a rad. skel “spaccato”, con probabile affinità a Schild scudo e Schale scaglia, guscio, got. skilia, anrd. skilia dividere, separare, e forse ad as. skola, ags. sceolu, ing. shol schiera, divisione. Der.: zoll-etta-ettone-oso-uto.

Zoppo, impedito delle gambe o de’ piedi sì da non potere andare diritto, fuor di posto (Petrarca, Villani, [p. 542 modifica]Sacchetti). Con sp. zopo zompo zoppo, storpio, vald. zop, czop, lad. di Coira zopps zoppo, mutilo, afr. chope ceppo, tronco, stupido, afr chopper souper urtare col piede, traboccare, cat. ensopegar inciampare; risale a ceppo ger. che apparisce in mat. schupfen essere in movimento oscillante, donde tm. Schupf oscillazione, balzo, slancio, tm. Schupp urto, spinta, vb. schuppen urtare. Base diretta dovette essere una forma bt. schupp che scorgesi in ol. schoppen, urtare col piede. Un signif. identico al rom. presenta ol. zompe sompen zoppo, storpio, sompen zoppicare. L’aat. ci offre solo schupfa tavola da dondolare, corda, vb. scupfen che valeva “con leggier colpo fare uscire d’equilibrio e mettere in moto oscillante”. Evidentemente l’it. ha preso un senso conseguenziale di quelli contenuti nel ceppo ger. Però sebbene lo Scheler dubiti del rapporto di afr. chope con vb. ol. schoppen, t. schupfen, l’orig. delle altre voci rom. dal ger. è certa. È tuttavia verosimile che l’entrata di questo nel campo rom. sia posteriore alle invasioni germaniche. Der.: zoppicare, azzoppare.

Zubbare, saltare, giuocare dei ragazzi (vb. tosc.). Il Caix lo ravvicina a ger. tûmôn donde mat. taumeln, dial. zumpeln saltare, ags. tumbjan, ing. tumble. Ma non si dissimula che un t. zumbeln non avrebbe passando in it. perduto la nasale. Der.: zubbo e forse zebellare.

Zuffa1, quistione, riotta, combattimento (Compagni, Dante). Proprio solo dell’it. Il Diez lo derivò da vb. tm. zupfen tirare, vellicare, sfrondare. Ora dal tm. è impossibile, perchè zuffa gli è anteriore di molto. Resta adunque il primitivo zopfen che si formò, a detta del Kluge, da zopf, ciuffo di capelli, mazzocchio, e pare avere in origine significato “tirare i capelli”. Questo senso spiegherebbe assai bene quello assunto dal nome it. Lo svizz. zupfe vale “fascio, pacco”. Niun dubbio ch’esso non sia voce sorella dell’it., benchè il signif. sia molto differente. Forse primitivamente denotava “ciocca o mucchio [p. 543 modifica]di capelli”. Probabilmente dunque anche zuffa è voce ger. introdotta nel periodo del mat.; e difatti non appare mai nel bl.; il che spiegherebbesi difficilmente se fosse d’importazione più antica. Der.: azzuffarsi.

Zuffa2, polenta di granturco tenera che si prende col cucchiajo (Rigutini). Il Caix riporta questa voce toscana all’aat. zuf sauf sorbizione brodo pastiglia, donde tm. saufen sorbire. Perciò questa parola viene ad essere la riproduzione della forma alto-ted. del vocabolo ger. la cui forma basso-ted. si ripercosse in it. suppa zuppa.