L'elemento germanico nella lingua italiana/N
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N
Nappo, anappo, vaso da bere, coppa; bacino e vaso d’argento o d’altro metallo per dare acqua alle mani (Novel. 22; Ott. Comm., Boccaccio). Con afr. hanap henap, prov. enap nap riposa immediatamente sul bl. hanapus ricorrente già nel Glossario latino-anglosassone di Elfrico († 1006). Ora questo bl. hanapus, come bene osserva il Littrè, non può ricondursi all’arab. hánab, coppa; poichè in tal caso il nome rom. avrebbe dovuto comparire solo dopo le crociate, quando al contrario è manifesto che esso è storicamente anteriore alle crociate per lo meno d’un secolo. A questa osservazione del Littrè io aggiungo che la voce araba non ispiegherebbe per nulla le doppie forme rom. con o senza l’iniziale a od ha, laddove queste restano perfettamente chiarite dal vocabolo ger. che ora stiamo per esaminare. Infatti in quel campo abbiamo ger.: hnapp, aat. hnap hnapf napf naph [pl. napphâ napfâ naphâ naphî] donde mat. naph napf vaso da bere, scodella, bicchiere, tazza, coppa, bacino, e tm. Napf, nappo, scodella, bt. ol. nap d’ug. sig. Parallelamente ci si presentano: ags. hnaep [gen. hnaeppes], bacino, catino. Ognun vede che l’immensa diffusione del nome ger. basterebbe da sè sola a provare l’origine settentrionale del rom. se ce ne fosse bisogno. Quanto alla inserzione della vocale a fra l’h e la liquida n, che appare in it. anappo (ricorrente nel Libro della cura delle malattie), afr. hanap e bl. hanapus, e della e dell’afr. henap e prov. enap, il Mackel p. 14 e 136 nota che esse sono dovute alla necessità in cui si trovavano i popoli romani di adattare ai loro organi vocali il gruppo ger. consonantico iniziale hn, in cui l’h pur non essendo più k o c duro come da principio, non era però ancora semplice aspirazione, come divenne poscia. Ora questo gruppo essi lo adattarono alla loro pronunzia modificandolo mediante la inserzione di una vocale posta fra l’h e la gutturale; il che si verificò in parecchi altri casi, specialmente nel fr.: ad es. in harangue da hring, canif da knif ecc. Notevole che le forme della Francia del Nord e il bl. conservarono l’h. A questa ragione il Mackel aggiunge anche quella del bisogno di rendere il più fedelmente possibile il vocab. ger.; e questa congettura mi persuade anche più della prima, inquantochè alla prima si potrebbe opporre che se il ger. hnapp fu tolto in prestito per tempissimo, cioè quando l’hi suonava ancora k, questa non sarebbe potuta sparire nel romanzo; se poi era una semplice aspirazione, allora l’incomodo della pronuncia non c’era più, e quindi non si doveva sentire il bisogno della inserzione della vocale tra l’h e la n. Sull’origine prima di germ. hnapp il Faulmann vuole che si svolgesse da rad. knap da cui vb. * knippen, mordere, acchiappare, da cui anche bt. nippen, piegarsi e knîpen, bere (?). L’afr. hanapier vale “cranio, testa, elmo”: passaggio di senso logicamente analogo a quello che scorgesi del l. testa, coccio, che nel rom. assunse quello di “capo”.
Nar, pazzo, buffone, derisore (dial. comas.). Procedette da aat. narro, donde mat. narre, tm. Narr d’ug. sig. Sull’orig. ger. di questa voce dialettale non si può dubitare ormai che è stata sfatata l’opinione del Diez che aat. narro provenisse da mlt. nârro. Ognun vede infatti che non si può ammettere che da una rara parola del bl. traesse una voce il dial. comasco solo fra tutti gli altri d’Italia. D’altra parte è noto che questo dial. ereditò non poche voci ger. dai Longobardi che non si riscontrano altrove. Sull’origine prima dell’aat. narro, anrd. narri, il Faulmann dice ch’esso deriva da rad. knarz di vb. perduto knirzan, essere malvagio, raggrinzarsi, rannodantesi ad aat. chnarz, inganno, canzonatura; e il narro da * chnarzio è “colui che viene ingannato e umiliato”.
Narvalo (neolog.) genere di cetaceo dei mari settentrionali; liocorno marino (Tramater, Tommaséo). Il fr. è narval, che in quella lingua compare la prima volta nel Bonnet, Contemplations de la Nature, all’anno 1765. Probabilmente l’it. introdottosi in questo secolo, immediatamente è riproduzione del fr. e non di alcuna delle lingue ger., dalle quali invece l’ha preso il fr. nel sec. scorso, e verosimilmente dall’ol., che spesso fu il tramite per cui i nomi ger. di pesci penetrarono nelle lingue rom. nei tempi medio-evali e moderni. Il tm. ci presenta Narwal; ma l’ha tolto anch’esso dallo sv. e dan. narhval [anrd. náhval], e di là anche l’ing. trasse il suo narwal narwhale. L’isl. è nâhrvalr. Secondo il Kluge l’origine di questo nome è oscura. Certamente qui si tratta d’un composto, e il secondo elemento è lo stesso che entra come primo in Walfisch, balena, Walros, ippopotamo, Walrat, spermaceti e in Wels, siluro, cioè aat. mat. Wal, tm. Wal, ags. hwael, anrd. hwalr da ger. hwala, balena. Ma il primo resta molto incerto. Pel Grimm nd. nâr sarebbe lo stesso che na, e na varrebbe aas, cioè “cadavere”, e tutto il composto “balena morta”; e la ragione del nome starebbe in ciò che questo pesce spesso veniva dalle tempeste sbattuto morto sulle coste dei mari settentrionali. Altri suppongono che nar stia per aat. nasa, anrd. noes, naso: quindi nahrval importerebbe “pesce dal naso” per allusione all’osso che gli esce dalla mascella superiore. Infine il Faulmann, che non s’arretra mai innanzi ad alcuna difficoltà, ritiene che il primo elemento sia ags. naru, stretto, affine a Nehrung, lingua di terra. In questo caso Narwal significherebbe “balena stretta”: ma come si giustifica questo senso? Di fronte a tanta disparità di opinioni, è più che mai ragionevole il riserbo del Kluge, purch’esso sia ristretto solo alla prima parte del composto.
Nastro, tessuto poco largo di varie materie e colori: nodo, cappio, fettuccia, (Dante, M. Villani). Voci sorelle sono: comas. nastola, bres. nestola, afr. nasle, fr. nâle, vall. nâle, cordone, fettuccia. Il valac. nastur = bottone, nodo. Nel bl. non ricorre, ma tuttavia dovette entrare nel campo rom. immediatamente dopo le invasioni barbariche; e probabilmente coi Franchi. Il Ferrari fu il primo a ravvisare che questo era nome d’orig. ger. In quel campo abbiamo: aat. nestilo, nestila, fiocco, cappio, legacciolo, da cui mat. nestel, tm. Nestel, cordellina, stringa, aghetto. Il bt. e ol. hanno nestel, cintura, legacciolo. Spettano allo stesso ceppo anrd. nist, niste, ago grande, e con scostamento fonetico maggiore aat. nusta, annodamento, e aat. nuska, mat. nüsche fibbiaglio. Considerando il gruppo st sk che appare in queste parole come parte della derivazione, si è ravvicinato il ceppo ger. in questione al l. necto, annodare, legare, e a sans. nah, annodare. Per aat. nestilo, got. * nestila, si è accennato anche al l. nôdus per * nozdos [come * nîdus da * nizdos]. Secondo il Faulmann il ceppo ger. proverrebbe da vb. perduto natian, mescolare insieme, svoltosi a sua volta da chnat formatosi da vb. chnëtan, impastare. Soggiunge che aat. nestila è strettamente affine ad aat. nezi, tm. Netz, rete; e che ambedue riposano sul concetto dell’intrecciarsi del filo, il quale s’attiene strettamente al mescolamento e compenetramento della pasta (?). La forma rom. presuppone un aat. * nastila, * nastilo. Le forme fr. riposano evidentemente sulla prima, e ne derivarono nasle, e poi nâle, con sincope del ti e poi della s. Anche com. nastola si svolse di qui. L’it. nastro risale a * nastilo, da cui si ricavò prima nastlo, e poi * nastro, con indurimento della liquida l in r dovuto ad adattamento di pronuncia. Il valac. nastur non pare d’immediata orig. ger.; ma probabilmente subì l’influsso dell’it. Deriv.: Nastr-ajo-ame-ato-ettino-etto-icino-iera-ino-uccio.
(antiq.), ferita d’arme acuta e tagliente (Tav. Rit.). Ha per corrispondente prov. nafra, norm. nafre, ferita, sard. nafra, macchia. È indubbiamente parola d’orig. germ.: ma è incerto se sia primitiva o derivato rom. da vb. naverare, inaverare. Io ritengo che il nome sia primitivo, e il vb. derivato, nonostante che il primo in it. ricorra scritto solo una volta, e il secondo moltissime volte. L’origine ger. si vedrà sottoSen. Pist.; Cin., Tav. Riton., Buti, Guido G.). Questo vb. con fr. navrer, prov. cat. nafrar, d’ug. sig., sard. nafrar uccidere, macchiare, è dal Diez e dal Littrè derivato dal nome aat. nabagêr nabuger napagêr, mat. nabigêr nabêger, nagber, negbor negbor nähper [tm. Nâber] strumento da forare, succhiello, ags. nafogâr nafegâr, an. nafarr, ol. neviger nephiger. Ma G. Paris combatte una tale etim. dal lato fonetico, parendogli impossibile che aat. nabagêr abbia dato le forme rom. D’altra parte il senso rom. è quello di “ferita, intaccatura della pelle” a cui si può mal ridurre quello di “strumento da forare”. Quindi pone a base delle voci neol. aat. narwa, mat. narwe [donde tm. Narbe] cicatrice, ferita. Evidentemente il signif. è identico. Quanto alla forma, da aat. narwa, è spiegabilissimo come il fr. e l’it. con la trasposizione della r [analoga a quella che scorgesi in gr. νεύσον paragonato a l. nervus] abbiano cavato un * navra; da cui poi it. navera, prov. nafra e fr. navrer. Pel senso egli darebbe questa scala: fare una screzio, scortecciare, ferire scortecciando, ferire. Per ritenere assodata questa etim., dice il Paris, occorrerebbe poter trovare in rom. traccia dell’uso di nafra navra in senso di “cicatrice” o di “lato ruvido del cuojo”, ch’era anch’esso fondamentale nell’aat. e anrd.; il che potrebbe verificarsi esaminando i vocabolari tecnici e i dialetti. Il Baist oppone delle difficoltà a questa deriv. del Paris; ma tuttavia essa resta pur sempre molto più verosimile che quella del Diez. Deriv.: inaverato.
trapassare, infilzare, ferire (Nicchiare, dial. della montagna moden. gniccare, rammaricarsi piano, mostrar di non essere soddisfatto; intraprendere qualche cosa di mala voglia (Dante, Pataffio, Burchiello). Questo vb. finora non è stato fatto oggetto di ricerche etimologiche. Solo il Tommasèo propose di trarlo da l. niti, sforzarsi. Ma nè senso nè forma si prestano a tale derivazione. Io credo piuttosto che abbia la stessa origine che fr. niquer (Godefroi), che vale “brauler la tête” ", cioè “scuotere la testa in segno di rincrescimento” " da cui sost. nique, linguadoc. nica “beffa fatta alzando il mento”. Il fr. niquer risale ad aat. nicchen nichen mat. nicken, tm. nicken, da ger. hnicchan, che, a detta del Faulmann, è della stessa radice di vb. neigen, piegarsi. Il Kluge ne fa addirittura una forma iterativa di quest’ultimo. Il Mackel suppone che fr. niquer, almeno come scritto, sia penetrato dal ger. in epoca relativamente recente: l’it. invece è antico, benchè non appaia nel bl. La maggiore difficoltà per la orig. di it. nicchiare da ger. hnicchan sta nel senso, che a prima vista è assai disparato. Ma non è più tale se si ammetta che il signif. primitivo del vb. nicchiare fosse quello materiale di “scuotere il capo per malavoglia e rincrescimento”, come pare effettivamente che sia stato quello del fr. Ammesso questo, il passaggio ad un senso morale si spiegherebbe facilmente. Del resto la forma moden. gniccare mi sembra che ponga fuori di dubbio l’etim. ger. da hnicchan, a quel modo che trincare viene da trinkan, reccare da rechan, springare da springan. Deriv. nicchiamento.
Nickel (neolog.), sorta di metallo grigio. Riproduce immediatamente lo sv. nickel kopparnickel, il quale sembra essere affine all’island. koparhnikill, “palla di rame”, a cagione della rotondità di forma che presenta il minerale suddetto. L’isl. hnikill, a detta del Faulmann, procederebbe dal presente del vb. perduto hniccan, avvallarsi, affondarsi (?).
Niffa, niffo, grifo (Pataffio, Dittamondo). Con fr. néfe, prov. néfa, grosso del becco d’un uccello di preda, picard. niflette, narice, limos. niflo, narice, annon. niflete, annasatore, lad. gnif grugno, risale ad un ceppo ger. non perpetuatosi nell’aat. mat. e tm. letterario, ma che ad ogni modo compare nel bt. nef nif, becco, naso, nd. nef d’ug. sig., da anrd. nefâ [gen. pl. nefia, dat. nefium] naso, becco dell’uccello, sv. näf, lungo becco d’alcuni uccelli. Accanto a queste forme colla f ne troviamo molte altre col b: ags. neb, nebb, faccia, bocca, naso, becco dell’uccello, parte di diverse cose sporgente a guisa di becco, Grein 2, 278, Bosworth 172; a ing. neb, becco, faccia, Stratman 363, ing. neb nib, becco, naso, punta; ol. nebb, becco dell’uccello, Kiliaen 412, n. ol. neb, punta, ceffo, becco; basso-ren. nib, becco, genibt, imbeccato (v. Teutonista of Duytschlender van Gherard der Schueren, witgegeven door C. Boonzajer, Leyden 1804, num. 183); m. bt., nebbe nibbe, becco (v. Mittelniederdeutsches Wörterbuch von Karl Schiller und August Lübben, Bremen 1875-80, num. 183); bt. nibbe, becco, naso, nibbeln, mangiare poco o in piccoli bocconcini, rodere ghiottamente, nibeken nibken, tuffare spesso il becco, bere assaggiando, rubare bagattelle: Egilsson 596, Vigfusson 450, Bremisch Wörterbuch 3, 230. Le forme penetrate nel rom. riposano evidentemente sulla prima delle due ger., cioè quella colla f, nef, nif, che essendo propria del bt. fu dunque importata nelle Gallie dai Franchi e in Italia dai Longobardi, due popoli che provenivano precisamente dalla Bassa Germania. Però il Mackel p. 90 sostiene che la voce rom. ha per fondamento forme ger. sorelle alle vedute sin qui, e non queste direttamente. Nel bl. non s’incontra; e ciò si spiega facilmente, giacchè soltanto le parole in attinenza colle istituzioni militari, politiche e civili dei conquistatori, furono generalmente quelle ch’ebbor l’onore d’entrare nel latino-medioevale scritto; quelle di genere diverso, come questa, continuarono semplicemente a vegetare fra il popolo, finchè poi penetrarono nelle nuove lingue rom. Il Diez connette giustamente a nome ger. nif il vb. fr. nifler [oggi usato esclusivamente in re-nifler], riassorbire pel naso, annasare, limos. niflá, pic. nifler d’ug. sig. Anche nel campo ger. troviamo vb. formatisi sullo stesso ceppo e con signif. affine a quelli dei dialetti fr. Così svizz. niffen, arricciare il naso (v. Niffolo), bavar. niffelen, parlare col naso; ing. sniff, l’aspirare del naso, snift, sbuffare, snuff, aspirare, tabaccare, snufle, parlare nel naso, tm. schnüffeln, annasare, schnupfen, tabaccare. Anche il piem. nuflé, annasare, s’attiene evidentemente a questa rad., e pare riproduzione di t. schnüffeln. I vb. td. e ing. aventi l’u per base hanno riscontro in olsteinese nüff, naso, ceffo, arciere. Secondo lo Schade il tema ger. sarebbe stato nafia in cui l’a fondamentale sarebbe per Ablaut passato per tutta la scala delle vocali deboli e dolci, cioè e i ed u. V. Niffolo. Deriv.: niffa-ta-to.
Niffolo, ninfolo, naso, becco. Questo è dimin. della parola precedente, invece di cui è restato in uso. La fr. it. «torcere il niffolo» corrisponde esattamente pel signif. al vb. svizz. niffen “arricciare il naso”; ed è una prova di più per l’etim. ger. della voce rom.
Nizzo, contuso, ammaccato. È voce dei dial. lombardo (mil. e modenese) e napol. S’incontra anche, nell’antico genov. sotto la forma di niçio. Qua e colà ha per iniz. la m. Così nelle Glos. berg. miza vale “contundere” e mizatura “contusione”, e tirol. smizzar “pigiare, schiacciare”. Lo si vuole fare affine a tosc. mezzo, crem. mizz maturo, pel rapporto di connessione esistente fra i concetti di “maturità” e “contusione”. Il Caix, presupposto che il senso fondamentale fosse quello di “contusione, ammaccatura”, riconduce la voce in discorso ad aat. meizan, battere, da got. maitan. Inoltre in quel campo riscontriamo: ags. smîtan, percuotere, mat. smitzen, svizz. schmeizzen, e anrd. smeitr, contusione, livido di percossa. La s iniziale sarebbe andata perduta. Deriv.: nizzatura, nizzare.
Nocca, congiuntura delle dita delle mani o dei piedi, specialmente quella della prima falange colla seconda (Mambriano Roseo, Vit. dodici Cesari, 1532; Lasca, Ruspoli, Buonarroti). Questo nome fra le lingue rom. non è posseduto che dall’it.; il quale lo tolse dal ted. probabilmente nel sec. 15º o nel principio del 16º; giacchè non compare che nel cinquecento. Il Diez lo deriva senz’altro dal mat. knoche, donde tm. Knochen, osso, il cui signif. originario, a detta del Grimm, dovette essere quello di “giuntura”. Il k iniziale sparì perchè l’it. non comporta il gruppo t. cn. Il Grandgagnage osserva essere venuto dal t. anche il belgico nokéjè. Nel campo ger. abbiamo un derivato di Knochen che vale precisamente “nocca, malleolo”, cioè il dimin. tm. Knöchel usato già da Lutero, mat. knöchel knüchel, ags. cnucel, m. ing. knokil, ing. knuckle, ol. knokkel; e ciò pone fuori d’ogni dubbio l’etim. ger. della parola in discorso. Il mat. knoche valeva “osso, nodo o nocchio d’un ramo d’albero, escrescenza d’un frutto”. Secondo il Kluge il tm. Knochen, che appare dapprima in Hans Sachs, è raro, ed era raro anche mat. knoche, invece di cui usavasi comunemente Bein, osso. Presuppone un got. * knuga, donde viene tratto anche tm. Knoke, protuberanza, nodo, giuntura, mat. knock, nuca, collottola, il cui ck sta regolarmente per l’antico q. Parrebbe altresì che fossero affini ing. to knock, battere, ags. cnucian, anrd. knuke, mat. knoken, annodare, anrd knûe, giuntura, tm. Knie, ginocchio. Il Faulmann riconduce tutto al participio hnohan del vb. perduto hniuhwan hniugan, rinchiudere, piegare, restringere: quindi knocke varrebbe “ciò che è reso duro per restringimento, contrazione”. Ed a tale radice il Faulmann fa risalire, oltre a questa, le parole del tm. Knoke, mazzocchio o treccia dei fili di lino, Knoten, [ing. Knot] nodo, e il dimin. Knödel, Knopf, bottone, Knorren, nodo, gruppo, Knorz, bottone, nocchio, escrescenza, Knubbe Knuppe, nocchio, vb. knupfen, percuotere colle nocca, Knüpfel bastone nodoso. Deriv.: annoccare; dinoccare; dinoccola-re-to.
Nord, nort, norte, settentrione, tramontana (Moleti, Geografia; Redi, Corsini). Questo nome d’un punto cardinale con afr. nort, fr. nord e sp. norte, ha per base ags. nordh da cui ing. north. Nel fr. penetró, non colle invasioni barbariche, ma però molto più presto che nelle lingue neol. sorelle, incontrandosi nelle scritture sin dal sec. 12º. In it. lo troviamo solo nel sec. 16º, e il primo autore che l’usa è il Moleti († 1580) nella sua Geografia: nel secolo 17º diventa quasi comune. Però non credo che ci venisse dalla Francia, come opinano alcuni: poichè il Moleti dice espressamente che è vocabolo settentrionale. Quindi ritengo che la sua introduzione in Italia sia dovuta piuttosto ai trattati di cosmografia dei geografi belgi, olandesi e tedeschi che allora ebbero gran voga. Lo sp. norte è più probabile che fosse riproduzione immediata del fr. Quanto al vocabolo ger. in sè, abbiamo: aat. nord, mat. nort, tm. Nord d’ug. sig.; e parallelamente as. * north [documentato solo in nordwürts, verso borea], ags. north, ing. north, anrd. * northr. Il got. sarebbe naúrths rispondente a * naúrthr. Di qui pure si svolse tm. Norden, mediante mat. norden, aat. nordan, settentrione; inoltre aat. nordana, mat. nordane, nordin, norden, da settentrione, a settentrione; poi aat. nordarôni, nordrôni, settentrionale, anrd. norroen norraen, settentrionale, norvegese; aat. norderan, da settentrione; mat. nordener, settentrionale: mat. nordenwint, vento borea; aat. mat. norderet, nordert, northert, da sett.; mat. nordermer, mare di sett.; aat. nordhalba-halpa, northalba, parte sett., settentrione; aat. nordkibel, polo nord; aat. Nortman, normanno; aat. nordôstan, nordest, nordôstrôni nordanstrôni, di nordovest; aat. nordsita, parte di nord; aat. nordwëstan, mat. nordwësten, nordovest; aat. nordzeichanzeichen, stella polare. Cf. Nordest, Nordovest, Normanni. Vedesi da ciò l’immensa diffusione che avea nel campo ger. questo nome, e di qui si spiega com’esso poi penetrasse nelle lingue romanze più presto che gli altri tre termini geografici. Nelle altre lingue indeu. non ha riscontro: e si è formato in ger. indipendentemente da qualsiasi altro idioma. Si è pensato a confrontarlo col gr. νέρτερος “sotto, che si trova molto sotto”: se questo ravvicinamento fosse fondato, il Kluge osserva che dovrebbesi ammettere che la coniazione della parola cadesse in tempo in cui i Germani salivano la pendice settentrionale d’una montagna. Notevole è però che l’umbro nastro significa “sinistro”. Deriv.: nordico.
Nordest, punto dell’orizzonte intermedio fra tramontana e levante. Viene dall’aat. nordôstan northôstan, donde tm. Nordosten. Il primo elemento del composto è stato già esaminato sotto la voce Nord; e l’altro alla voce Est.
Nordovest, il punto di mezzo fra ponente e settentrione. Immediatamente ci venne da fr. nordovest, il quale riproduceva aat. nordwêstan, mat. nordwêsten, tm. Nordwesten. La seconda parte sarà considerata alla voce Ovest. Dal nome ger. Nordwëstan si svolse l’agg. nordwëstroni, che vale “di nordovest.”
Normanno, normanni nome generico dato nel medio-evo ai popoli di Norvegia che devastavano l’Europa occidentale e centrale. Ha per base aat. Nordman, mat. Nortman, Norman, che a sua volta riposa su anrd. Nordhmadhr, plur. Nordhmenn, Vigfusson 457; ed è composto di Nord, settentrione, e aat. man, tm. Mann, uomo; quindi vale “uomo del settentrione,” o propriamente “Norvegese”, che i popoli di Norvegia erano a settentrione rispetto ai Tedeschi. Questi popoli divennero famosi nel secolo 9º per le loro scorrerie in Germania e in Francia; ed in seguito ad una di esse diedero il loro nome ad una provincia della Francia alle foci della Senna. Questa provincia si disse in fr. Normandie, nome che passò anche nel mat.
Novigildo (term. stor. giurid.), multa vigente presso Ostrogoti e Longobardi, per la quale i ladri dovevano pagare un valore nove volte maggiore dell’oggetto rubato. Il nome è un composto ibrido in cui entrano l. novem, nove, e got. gild, denaro, taglia [tm. Geld.], visto già sotto Guidrigildo.
Nusca (antiq.), collana, vezzo, monile (Ottim. Comm.). Con afr. nosche, nusche, prov. nosca, noscla, bl. nusca, nosca fibbia, fermaglio, procedette da aat. nusca, nuscia, nusga, nuscha, mat. nuske, nusche d’ug. sig. L’aat. presenta ancora nuskil, nusckel, nuschil; il mat. nuschel, nüschel coi dimin., aat. nuskili, nusculi, mat. nüschelin, sempre nel senso di fibbia, fermaglio. Spetta alla stessa radice di aat. nastilo, nestila, da cui vedemmo essere venuto nastro, e di aat. nusta, asola, ripiegamento. Graff 2, 1106; Benecke 2, 1, 423. Lo Scade p. 661 sospetta che il nome colla cosa penetrasse nel campo ger. dai Celti fra i quali troviamo: a. ir. nasc, anello, nusgaim, io lego o piego. Pare ad ogni modo alfine a l. nec-tere, legare, connettere. Nel ger. si formò di qui: aat. nuskilahhan, clamide, panno, sopravveste con fermaglio; aat. nuscian, nusgan, mat. nüschen, munire o fermare con fibbia. Nel bl. questo nome fu assai diffuso. Lo troviamo nelle Leges Anglorum et Verinorum tit. 6 e nella Charta di Goffredo d’Angiò, e nel Monasticum Anglic. 1, 240. Pare dunque che fosse vocabolo specialmente anglosassone. Però anche in Italia era antichissimo, e lo troviamo ricordato dal Muratori nelle Antich. Estens. Dovette entrare per mezzo dei Longobardi. Ora è ito in disuso.