L'elemento germanico nella lingua italiana/E
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E
Elmo, armatura che copre il capo e il collo del soldato (Villani, Sacchetti). Le altre forme rom. sono: afr. healme, elme, hjaume, fr. heaume [e forse armet, che però, a detta dal Littrè, potrebbe anche venire da arme], prov. elm, a. sp. port. elmo, sp. yelmo, almete. L’a. port. significò anche “copertura” in generale; poichè leggiamo nel Santa Rosa: «unum elmum elaboratum pro super ipsum altare» (Elucidario das palabras.... que em Portugal antiguamente se usarao). Viene dall’aat. as. ags. a. fris. hëlm [got. hilm, hilms], mat. hëlme, tm. Helm, d’ug. sig. L’anrd. è hjâlmr, dan. hjelm, ol. helm. L’ags. helm [donde ing. helm, helmet], oltre al signif. comune alle altre forme ger., aveva anche quello metaforico di “difensore, protettore” " (cfr. a. ind. carman = “coprire” e “proteggere”); e fu per questa ragione che entrò come elemento di composizione in alcuni nomi propri, come Willhelm, it. Guglielmo, Anshelm, it. Anselmo. La forma ger. comune era helma dal preger. helmo. Essa procede dalla rad. hel, la quale per il fenomeno della differenziazione apofonetica frequentissima nel ger. diè luogo a due altre varietà hal e hul (però il Fick2 349, 204 riguarda hal, come la forma più antica, e la riannoda a a idg. skar, coprire); ed ognuna di esse ebbe una fecondità straordinaria. Infatti da hel vennero aat. as. ags. hêlan, hëlen, [got. hilan], hëlm, hilwe, gehilwe, hëlawa, hille, heli, helith; mat. hëln, tm. hehlen, Hehl, Hölle, ol. helen, ing. to heal. Da hul si ebbe got. hulian, as. hudlëan, aat. hullan, hullen, hulistr, huleins, hulla, hullid, hulsa, mat. hullen, tm. hüllen. Finalmente da hal, ampliatosi in halt con un t, si formò got. haldan, aat. haltan, mat. tm. halten, ags. healdan, ing. to hold, a. fris, anrd. halda, dan. holde, sv. halla, tm. Halle; inoltre aat. halr, hallia, hâli, hâle, hâligo, hâlingon, haelinc. V. Fick2 722-33. Nel campo indeu. alla rad. ger. hel corrisponde generalmente kel; quindi abbiamo lit. kletis, a. sl. kleti; sans. khalas; gr. καλία, καλύπτω, a. lat. callim, l. cella, celare, [forse anche celata], occulere, cilium, domicilium, cuculla, [v. t. Hülte], caligo ecc. Da questo, che è uno dei più insigni esempi della maravigliosa fecondità di una radice, è facile scorgere che parole a prima vista si disparate come t. hehlen, hüllen, Hölle, halten, hëlm, it. cella, celata, ciglio, apocalissi, cocolla, caligine sono rami d’uno o tronco ed elaborazioni della stessa radice compiute di prima o seconda mano da diversi popoli. Il lit. szálmas, e a. sl. slemu sono ancor essi stati tolti in presto dal ger., secondo il Kluge. Anche nel composto mat. helmbarte, tm. Hellebarte entra probabilmente come elemento la parola in quistione (v. Alabarda). Deriv.: elmato, elmetto.
Elsa-o, impugnatura della spada (Dante, Buti). Procedette dall’aat. hëlzâ, mat. helze, anrd. hialt, hialti, ags. hilt, ing. hilt d’ug. sig. Nel tm. questa parola è andata perduta, e vi si supplisce con Degengriff o Heft. Le altre lingue rom. non conoscono questa parola; ma la possedeva l’afr. nelle forme helt, heux, e n’aveva tratto anche il vb. enheldir, “munire (difendere) colla punta della spada”. Quanto alla parola ger., è verosimile ch’essa appartenga al vb. halten, tenere; precisamente come Heft si è svolto dalla rad. haf [heben = alzare], ovvero da hab [hoben = avere]; e difatti le forme dell’anrd. e ags. hjalt, hilt, sono vicinissime. Però l’aat. hëlzâ, mat. helze s’accosterebbe più al vb. aat. halzian, helzan, mat. helzen; ma questo si presta poco pel significato, poichè vale “essere storpio”; salvochè non accennasse alla forma ricurva dell’elsa.
Eribanno, chiamata dell’esercito (Muratori). Questo termine militare venne dall’aat. heriban, heripan, mat. herban, mediante il bl. harebannus-m, heribannus-m. La parola t. è composta dell’aat. hari, heri, e dell’aat. ban. Quanto al primo elemento, esso presenta queste altre forme: got. hariis, as. heri, mat. here, her, tm. Heer, ags. here, a. fris. here, hiri, heir, fris. heer, ol. heir, anrd. her, dan. här, significanti tutte “moltitudine, schiera, esercito”. La rad. ger. har, preger. kar, nel campo indeu. ha per corrispondenti l’a. pruss. karia, esercito, lit. kâras, guerra, a. sl. kara, contesa, a. per. kâra, esercito, sans. kâr, fare spingere. V. Bopp Gl.3; Mikl. 2836; Fick2 514. L’altro elemento poi aat. ban, pan, as. mat. ban, ags. geban, ing. ban, fris. bon, ol. ban, dan. band, anrd. sv. bann, bl. bannus, bannum = intimazione con minaccia di castigo. Quindi il composto = chiamata dell’esercito, intimazione di comparire sotto le armi. L’afr. ne trasse arban, herban per harban, ed il fr. ne cavò arrière-ban, per effetto d’una falsa interpretazione del bl. heribannum; benchè Arbois de Jubainville (Rom., I, 141) inchini a derivare il bl. non dall’aat., sibbene da charebannus che sarebbe la forma franco-merovingia del vocab. ger. (è noto che il ch franco equivale all’h degli altri dialetti ger.). Questa parola probabilmente si diffuse nell’Europa meridionale e quindi penetrò nel mlt. al tempo degli Ottoni nel sec. X, poichè una delle prime volte che se ne fa menzione è a proposito della chiamata del popolo all’armi che fece Ottone I contro gli Ungheri nel 955. Corrisponde a un dipresso alla Landsturm dei Tedeschi moderni, e alla levée en masse dei Francesi.
Erimanno, arimanno, (term. storico) guerriero, uomo libero (Muratori). L’Ekkard traeva questo vocabolo da Herbmann, colui che possiede beni acquistati per eredità, signore minore [Herb = eredità; Mann = uomo]. Ma il Vossio, con molto maggiore verisimiglianza dal lato fonetico, propose la derivazione dall’aat. hariman, heriman, perduto nel tm., almeno come nome comune. Dei due elementi del composto, l’aat. hari, heri, tm. Heer, è già stato illustrato sotto la parola precedente; l’altro, aat. man, tm. Mann, uomo, non ha bisogno di spiegazione. Anche quanto al valore logico e storico della parola, l’etim. del Vossio è pienamente giustificata. Difatti nella legge 4.ª di Guido Imperatore sono minacciate pene a quei signori che trascurassero di hostiliter praeparare herimannos, cioè di prepararli e addestrarli alla guerra. È ben vero che dalla legge 2.ª di Rachis «ne cujusquam servus arimannam ducat uxorem», e da un luogo d’un decreto di Lodovico il Pio «.... feminis liberis quas Itali Arimannas vocant» si deduce che arimanno significava “libero”; ma ciò, secondo me, non distrugge la interpretazione del Vossio; poichè si sa che presso i Germani antichi la condizione di “libero” dipendeva precisamente dall’attitudine agli esercizi guerreschi. Il Muratori mise innanzi la possibilità d’un composto di Ehre, onore, e Mann, uomo; ma è evidente che da questi elementi non si avrebbe mai avuto l’aat. hariman, e mat. heriman, lasciando stare che il concetto di “guerriero” che campeggia nell’aat. e mat., difficilmente si sarebbe svolto da un Ehrmann, “uomo d’onore”. Dal passo allegato di Lodovico il Pio appare che Arimannus era al suo tempo termine commune presso gl’Italiani; e perciò questa è una di quelle non poche parole germaniche che dopo essere state usate per qualche tempo sul territorio latino dai popoli ger., disparvero poscia dalla lingua del popolo, perchè coi cangiamenti sopravvenuti, non se ne sentiva più il bisogno.
Equipaggio, propriamente ed originariamente = il provvedere del necessario una nave; poi = il provvedere del necessario qualcuno; poi = l’insieme delle cose che occorrono a questo effetto (Magalotti, lett. 163). Immediatamente procede dal fr. équipage che è un sost. svoltosi dal vb. equiper; il qual vb. fr. [afr. esquiper, sp. esquifar, esquipar], significava dapprima “lasciar la riva, prender il largo”; e si formò dal nome esquif [afr. eschif, esckip, sp. esquife, it. schifo]. Alla sua volta il nom. romanzo non era che la riproduzione dell’aat. skif, got. ags. anrd. skip, scip, tm. Schiff, nave (v. Schifo). È molto verosimile che nella elaborazione formale dell’it., e fors’anche del fr. equipage, abbia avuto parte la falsa idea che in quella parola entrasse come elemento di composizione paggio. Deriv.: equipaggia-mento-re-to.
Est, levante, oriente (Sassetti, lett. 309; Ginan. Malat. Gran. 47). Questo e gli altri tre relativi nomi dei punti cardinali, sud, ovest, nord, benchè cominciati ad usare dagli scrittori sin dal sec. XVI, sono diventati d’uso comune in Italia solo in questo secolo per il grande sviluppo preso dalla geografia, dove riescono spesso più comodi che gli antichi veri ital. levante, ponente ecc.; e non li abbiam tolti direttamente dal t., bensì, come è avvenuto tante volte, dal fr. e dallo sp. Ora il fr. est, afr. hest [donde secondo il Diez, vennero pure l’a. sp. leste, sp. este], procedette dall’ags. éast, ing. east, oriente, rappresentato negli altri dialetti ger. dall’aat. âstan, ôsten. tm. Osten, Ost (il quale ultimo è peraltro di formazione più recente), a. fris. oest, aest, fris. aest, east. Del rimanente l’aat. ôstan riposa sulla forma primitiva austa [anrd. austr], che nel campo idg. ha una vastissima corrispondenza. Difatti spettano qui il lit. auszta, auszra, auszriune, aurora, dea del mattino, a. sl. utro, serb. jutro, mattino, l. aurora per * ausôs-a (cfr. uro, ardere), gr. ηώς, aurora, eol. αὔως [da αὔσως], avv. αὔριον, domani, vb. αὔω, ardere; zend. usha, ushanh, sans. ushas, usras; tutte le quali forme si riconducono all’a. indeu. * ausôs dalla rad. us, splendere, ardere. Dal che si vede quel che potrà parere stranissimo cioè che est ha non solo lo stesso valore ma la stessa radice di aurora, come ha la stessa radice dei nomi oro, ustione, combustione! Di qui si formò anche Austria [aat. ôstarrîhhi, ôstarrîchi, mat. osterriche,1 anrd. austrriki, tm. Österreich, Östreich], composto dell’aat. ostar = tm. Osten, oriente, e dell’aat. rìhhi, richì, rìche, mat. riche, rich, tm. Reich, regno; quindi = regno dell’est. Questo nome proprio che nei sec. VI, VII VIII colla speciale forma di Austrasia designò quello che fu poi detto nel sec. IX regno di Lorena, ossia il paese fra la Mosa e il Reno; e che nei sec. IX e X significò qualche volta anche Germania [chiamata regno dei Franchi dell’est, per contrapposizione a quello dei Franchi dell’ovest che divenne poi la Francia moderna]; passò da ultimo a indicare il paese del Danubio che ancora oggidì porta quel nome, e che fu così chiamato perchè rispetto alla Germania era «il paese o regno dell’est», dopochè Ottone III nel 994 ne diede l’investitura alla valorosa casa dei Babenberg. V. anche Ostro e Ostrogoto.
Etichetta, cartellino attaccato a casse o bottiglie per indicarne l’uso; cerimoniale delle corti o case signorili (Magal. lett. scient. 23). Provenne immediatamente dallo sp. etiqueta sulla fine del sec. XVII; il che è attestato espressamente dal Magalotti che nella lettera sopra citata scrive: «Al mio ritorno in Italia cominciai a dire ancor io in italiano etichetta..... per parer d’aver portato qualche cosa di Spagna». Lo sp. etiqueta era probabilmente venuto direttamante dal fr. étiquette, d’ug. sig. Ora il fr. étiquette [afr. estiquette, anald. estiquete] si formò dai vb. estiquer, estequer, esticher, sciam. stiquer, riposanti sul vb. aat. stikken, stëhhan, mat. stëchen, tm. stechen, pungere, ficcare, attaccare. Quindi il fr. étiquette propriamente = ciò che s’affigge o s’attacca, e acquistò il sig. di “cartello” allo stesso modo che in it. affisso venne a designare “un foglio attaccato al muro”. Però dacchè stikken = anche a “pungere”, è chiaro che etiquette potè significare anche “ciò con cui si punge”, quindi “bastone od arma” [infatti l’anald. stique = daga, arma]. È possibile per conseguenza che da principio étiquette fosse non solo foneticamente e formalmente ma anche logicamente la stessa cosa che stecco; e che in appresso valesse “cartello”, oltrechè per la ragione detta poco di sopra, ancora pel fatto del cartello che si poneva su di uno stecco, analogamente al nap. sticchetto significante “segno di una via proibita”. Quanto alla rad. ger. stik, stink, alle sue differenziazioni apofonetiche nei varii dialetti ger., ed alle sue corrispondenze negli altri rami dell’indeu., vedi Stanga, Stecco, e Stocco che ancor essi ne provennero. L’ing. accorciò la parola fr. in ticket = biglietto. Il fr. poi prese il significato figurato di “formole cerimoniose, cerimoniale di corte”, per la circostanza che quelle formole erano scritte su di un cartello per comodo di chi ad esse doveva attenersi.
Note
- ↑ Questa forma s’incontra in Dante che l’usò in quei versi:
Non fece al corso suo sì grosso velo
Di verno la Danoja in Osterrich, ecc.
Inf. c. 32.