Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo VI/Libro II/Capo II

Capo II – Filosofia e Matematica

../Capo I ../Capo III IncludiIntestazione 8 aprile 2019 25% Da definire

Libro II - Capo I Libro II - Capo III

[p. 483 modifica]

Capo II.

Filosofia e Matematica.


Origine de' progressi fatti dalla filosofia. I. Non eran mancati negli scorsi secoli all'Italia uomini di acuto e profondo ingegno, che avean usato ogni sforzo per penetrare dentro alla folta caligine de’ misteri della natura, e di scoprirne, come meglio potevano, l’indole e le leggi. Ma i lor tentativi non erano stati troppo felici sì per la scarsezza in cui si trovavan de’ libri, per cui non potevano avere que’ lumi che a ciò faceano d1 uopo , sì perchè tali studi non avean in favore loro l'aura popolare, che col celebrarsi gli avvivasse. La giurisprudenza era stata la prima a regnar nelle scuole, le quali ad essa principalmente dovettero il lor nome. Nel secolo xiv Dante, il Petrarca, il Boccaccio sollevata aveano a grande onore la poesia e ogni altra sorte di amena letteratura, e aveano segnata la via a quella innumerabile schiera di gramatici che tenne lor dietro nel secolo di cui scriviamo. Ma in questo, agli studi di belle lettere si aggiunser quelli delle più gravi scienze, e principalmente della filosofia. Aristotele e Platone non ebbero minor numero di seguaci che Cicerone e Virgilio; e molti si lusingarono di potere al tempo [p. 484 modifica]medesimo esser filosofi, oratori e poeti. La prima venuta de’ Greci in Italia avea negli antichi tempi invogliati i Romani a volgersi a tali studi; la seconda loro venuta risvegliò un somigliante ardore fra gli Italiani nel secolo xv. E Gemistio Pletone, Teodoro Gaza, il Cardinal Bessarione furono allora ciò che una volta erano stati Polibio e Panezio. Una sì felice rivoluzione merita di esser esaminata con particolar diligenza; e benchè molti abbian già rischiarato felicemente questo argomento, spero nondimeno di potermi in ciò impiegare non senza frutto.


Notizie di Paolo Veneto agostiniano. II. Prima però mi convien: ragionare di alcuni che innanzi alla venuta de’ Greci furon celebri in questa scienza in Italia, e primieramente di uno che ottenne sì grande fama in tali studi, che ne fu chiamato monarca; e il parlar di esso mi costringe necessariamente a dire ancor di due altri che ebbero il nome con lui comune, e talvolta ancor si veggon distinti col medesimo soprannome. Tre Paoli abbiamo in questo secolo rinomati per saper filosofico. Uno, di cui è incerta la patria, ma per l’educazion ricevuta, e per l'abito religioso preso in Venezia, detto comunemente Paolo Veneto; il secondo di patria veneziano, e perciò a più giusta ragione chiamato egli pure Veneto; il terzo nato nella Pergola già terra, ora città del ducato d’Urbino, ma vissuto egli pur lungamente in Venezia. Questi tre Paoli sono stati da molti scrittori confusi insieme, e ci fa d’uopo perciò il distinguergli con esattezza l’uno dall’altro. Del primo, come ho accennato, è incerta la patria. Il P. Gandolfi (V. Gandolfi de [p. 485 modifica]CC. Script. August p. 286; Agost. Scritt. venez. pref. p. 47), gli scrittori padovani e più altri il dicono udinese; e a provarlo recano un epitafio tratto, com’essi dicono, dalla Raccolta inedita del Marcanuova, in cui si dice:

Vir Patavi perit hic; Utinum tulit; ivit ad urbem Adriacam puer: hinc nomine Paulus habet, ec.


Il P. Giacinto della Torre, da me più volte lodato, per accertar questo punto ha fatto esaminare il codice del Marcanuova, che ora si conserva in Venezia presso i signori Patarol, e ne ha avuto riscontro che ivi non si legge cotal epitafio1, ma bensì un altro del tutto diverso, in cui si dice che Paolo era nato in Venezia:

Deditus Augustine tibi sacer Religione Ipse fui, Venetae quem genuistis aquae, ec.


Altri al contrario dicon Paolo natio di Creta, e par che di lui si debba intendere Mattia Palmieri, ove dice: Paulus Cretensis disputator subtilis in Italia agnoscitur (Chron. ad an. 1404 Script. Rer. ital. Flor. vol. 1). In tale incertezza è quasi impossibile il diffinir cosa alcuna; e io perciò [p. 486 modifica]lasciò ad ognuno il giudicarne come gli piace. Secondo gli scrittori agostiniani, ei fu della famiglia de’ Niccoletti, ed essi aggiungono che, entrato nel loro Ordine, fu inviato per gli studi prima a Oxford, poscia a Padova. Il Papadopoli lo riconosce per alunno di quella università (Hist Gymn. patav. t. 2, p. 164). Ma nega ch’ei vi fosse ancor professore, benchè poscia soggiunga: vixit et docuit semper Patavii, intendendo forse di scuola da lui tenuta a’ suoi religiosi. Il Facciolati però ne ha trovata più distinta memoria ne’ monumenti dell’università medesima, col fondamento de’ quali afferma (Fasti. Gymn. pat pars 2, p. 113) che Paolo ebbe ivi la laurea filosofica e teologica; che l’anno 1408 era uno de’ promotori a’ gradi accademici; che l’anno 1411 fu onorato ancora della laurea medica2; e che ivi egli fu professore di logica, avendo a suo collega ed antagonista Antonio da Urbino nominato a quella cattedra l’anno 1411. Gli scrittori agostiniani, e singolarmente l’Errera ricercator diligente de’ monumenti del suo Ordine, accennano le onorevoli cariche a cui in esso ei fu innalzato, benchè talvolta le rinunciasse per non abbandonare le università, nelle quali insegnava. Secondo gli scrittori medesimi, egli era professore in Siena nel 1420. Nel qual tempo dovette avvenire ciò che narra Ambrogio da Cora nel capo precedente da noi nominato, e scrit[p. 487 modifica]tor di que’ tempi, cioè else essendo in Siena un cotal Francesco Porcari, che coll'empie sue eresie tutta sconvolgeva quella città, ei lo combattè e lo vinse per modo, che ottenne ch’ei fosse condennato alla pena usata allora contro gli eretici (Chron. Augustin, et Comm. l. de Reg. I Aug.). Ei fu ancora in Perugia, e il Cardinal Seripando afferma (De Reb. Augustin. ad an. 1428) che circa l’anno 1428 ei presiedeva a quella università. Nel 1427 come narrano gli scrittori agostiniani, ei fu a Roma, ed ebbe parte nella famosa disputa che in quell'anno ivi si tenne sopra la dottrina e la vita di S. Bernardino da Siena, di cui egli prese le parti. Io trovo inoltre che Lodovico Foscarini, in una sua lettera citata dal P. degli Agostini (Scritt. venez. t. i, p. 46) racconta di sè medesimo, che in età ancor tenera (ed egli era nato nel 1409) andò espressamente a Ferrara per veder Paolo: Ego quoque cum philosophiae in tenera aetate operam darem, Pauli Veneti nostrae aetatis Philosophorum Principis videndi causa Ferrariam contuli. Le quali parole, attese le circostanze del tempo e delle lodi con cui di lui si ragiona, par che non possano convenire che al nostro Paolo. Quindi se non è corso errore nel mentovato passo, sicchè invece di Ferrariam si debba leggere Patavium, si dee affermare che Paolo fu per qualche tempo in Ferrara, e probabilmente col carattere di professore, benchè il Borsetti non ne faccia menzione. Pare ch’ei poscia tornasse a Padova, e che ivi morisse nel 1429 come raccogliesi dall’iscrizion sepolcrale riferita dal [p. 488 modifica]Papadopoli. Ma il Torelli ne’ Secoli agostiniani rapporta un passo dell’Orazion funebre che gli fu recitata, dalla quale deducesi ch'ei morì in Venezia. E convien dire perciò, che il corpo ne fosse poi trasportato a Padova. Se avessimo la suddetta Orazion funebre, che si conserva in alcune biblioteche (Agostini ib p. 552), potremmo averne qualche più esatta contezza. Ma gli elogi con cui ne parlano molti scrittori di que’ tempi, possono in qualche modo compensar tale mancanza. Rafaello Volterrano lo annovera tra gli uomini illustri dell’Ordine di S. Agostino: Paullus Venetus sub Innocentio VII complures et egregios in omni philosophia commentarios edidit: decessit admodum juvenis (Comment. Urban. l.21). Biondo Flavio dice (Ital. illustr. reg. 8) ch’ei superò tutti i dialettici di quel secolo; che a pochi fu inferiore negli studi filosofici; e che fu ancora insigne teologo. Somigliante è l’elogio che ne fa Bartolommeo Fazio, il quale singolarmente ne loda i precetti che egli scrisse in dialettica, i quali erano allora in grand’uso (De Viris ill p. 40). Negli Atti dell'Università di Padova , citati dal Facciolati, egli è detto: Doctor profundissimus, omniumque liberalium Artium in orbe Monarcha. Altri elogi di questo dotto filosofo e teologo si posson vedere presso l’Oudin (De Script, eccl. t. 3, p. 2332) e presso gli scrittori del suo Ordine, Io aggiugnerò solamente tradotto in italiano quello che ce ne ha lasciato Michele Savonarola stato già suo scolaro. Egli, dopo aver detto che molti dotti teologi padovani potrebbe produrre, basti, dice, [p. 489 modifica]SECONDO 4^9 aggiugnere a domestici Paolo Veneto, principe de’ filosofi del nostro tempo e mio glorioso maestro, la cui illustre fama è sparsa per l’università tutte d Italia. Egli compose opere di logica e di fisica, delle quali si giovano mirabilmente i nostri lettori nello spiegare a’ discepoli i libri d Aristotele. Se della teologia avesse avuta quella cognizione profonda che n ebbe Alberto da Padova , t. avrei a lui ancora antiposto. Se ne conservano le ossa in un’arca di marmo nella chiesa dei Romitani (Script. Rer. ital. vol 24, p. 1154)- Non debbo però dissimulare che Giovanni Garzoni bolognese, che fiorì dopo la metà di questo secol medesimo, ci rappresenta Paolo come uomo pien d’alterigia pel suo sapere. Egli racconta die essendo Paolo (cui egli chiama Paulum quemdam Venetum Augustini Religioni dicatum) venuto a contesa filosofica con Niccolò Fava, del quale diremo fra poco, quegli nel caldo della disputa disse a Niccolò: Ciò sa di fave; e che questi gli rispose: non farne le maraviglie; poichè agli uomini rozzi e privi di senno e d ingegno ben convengon le fave (De dignitate urbis Bon. vol 21 Script. Rer. ital. p. 11 C4)• Nella qual occasione aggiugne il Garzoni, che Paolo. quod insolentissimus eratj neminem neque Philosophum neque Theologum praeteribat. Di questa medesima disputa fa ancora menzione Benedetto Morando bolognese in una sua Orazione a Sisto IV (Romae 1589, p. 36). In essa ei dice che Ugo Benzi medico sanese, di cui diremo nel capo seguente, benchè rivale e antagonista del Fava, volle nondimeno prestargli la sua assistenza in quel [p. 490 modifica]490 LIBRO pericoloso cimento, di cui ci descrive la celebrità e la pompa, dicendo che vi eran presenti forse più di ottocento religiosi agostiniani raunati pel capitolo generale di Bologna, e con essi il Cardinal Albergati. L’esito della disputa, se crediamo al Morando, fu poco favorevole a Paolo; perciocchè sostenendo questi il sentimento di Averroe intorno alle potenze dell’anima, il Fava l’avviluppò e strinse per modo, che Paolo andavasi contorcendo, e contraddicendo a se stesso per liberarsi da sì potente avversario. Ugo allora, interrompendo l’universale silenzio, ad alta voce esclamò: Il Fava dice il vero; e tu, o Paolo, sei vinto. A cui Paolo sdegnato, Dio buono! rispose tosto, ecco che Erode e Pilato son divenuti amici. All’udir ciò sollevossi sì alto riso, che quasi fu sciolta la disputa. Così il Morando. Forse però il desiderio di esaltare la gloria di un loro concittadino fece in questo racconto esagerare alquanto le cose a’ due citati scrittori; poichè è certo che Paolo Veneto e allora e poscia fu avuto in conto di uomo dottissimo. La Logica ossia la Dialettica di Paolo fu sì pregiata, che nell’università di Padova si fece ordine Panno i4))6 che essa dovesse esser letta pubblicamente (Facciol. Fasti, pars 2, p. 118). Veggiamo in fatti che uno dei primi libri che, introdotta la stampa, con essa si pubblicassero, fu la detta Logica stampata in Milano nel 1 \-\ (Saxius Hist. Typog. Mediol. p. 1.47, 061), e due anni appresso si pubblicarono ivi pure le Summulae Rerum Naturali uni (il. p 565), che contengono il Cemento di Aristotile sopra [p. 491 modifica]SECONDO ' 4l)! la Fisica , la Metafisica , e i libri del Mondo, del Cielo, della Generazione e della Corruzione , delle Meteore e dell’Anima; delle quali opere più altre edizioni ancora si fecero negli anni seguenti. Ma prima di esaminar le opere del nostro Paolo, veggiamo quai notizie si abbiano degli altri due, per poscia distinguer le opere che a ciaschedun d’essi appartengono. 111. 11 secondo de’ tre Paoli Veneti fu veramente di patria veneziano, e della famiglia Albertini, e di lui ha diligentemente trattato il P. degli Agostini (Scritt venez.t. 1 ,p. 548, ec.). Nato circa il 1430, entrò in età di soli dieci anni nell’Ordine de’ Servi di Maria, in cui però non fece la professione che a’ 30 di maggio del 1446. Compiuti gli studj religiosi, passò a Bologna, ove aggregato al collegio de’ dottori teologi fu anche destinato, secondo l’Alidosi (Dottori forest, p. 62), nell’anno (1458 a leggere filosofia in quella celebre università. Tornato poscia a Venezia, fece rifiorire felicemente gli studj tra’ suoi religiosi, e adoperossi insieme con fama di zelante ed eloquente oratore a spargere la divina parola nelle più celebri città d’Italia, e in Firenze singolarmente, ove tre volte fu da que’ magistrati a tal fine invitato. L’anno 1471 fu un de’ proposti al vescovado di Torcello, cui però non ottenne. La stima in cui egli era presso la repubblica veneta , il fè adoperare da essa in alcune onorevoli commissioni, e fra le altre in non so quale ambasciata al Sultano de’ Turchi. Morì finalmente l’anno 1475 nella fresca età di quarantacinque anni, e fu seppellito nella sua chiesa [p. 492 modifica]4j)3 LIBRO (li Santa Maria de’ Servi con una onorevole iscrizione, la quale, perchè epiloga in breve le diverse scienze nelle quali egli era eccellente, credo opportuno il riferire: Quis pugil occnluit fi.lci? Quis vixerit alter Pauper, et in nostra Religione sacer! Hic laqueos, Chrysippe, tuos, et dogmata novit Christicolum , et tenuit sidera cuncta poli. Judaicam et Latiam Paulus Grajamque Minervam Doctus, et explicuit nobile Dantis opus. Nunc capiti divum patitur pendere coronam , Et linquit nostros, Christe benigne, choros. MCCCCLXXV. Della fama in cui egli era d’uomo dottissimo, è un bel testimonio un medaglione di bronzo, che il P. degli Agostini afferma conservarsi in casa Grimani, e che trovasi ancora nel Museo Mazzucchelliano (t. 1, p.73). Si vede in esso il ritratto di Paolo, e intorno ad esso: M. Paulus Venetus Or. Servorum Memoriae fons. Nel rovescio si mira un’effigie in atto di contemplare un cranio col motto: Hoc virtutis opus; e sotto: Opus Antonii Marescotto de Ferraria.

IV. Paolo dalla Pergola è il terzo de’ filosofi che in questo secolo furono rinomati. Di lui parla in breve in una sua lettera Apostolo Zeno, ed ecco ciò di’ ei ne dice: Fra le mie memorie ritrovo dì egli fu lettore pubblico di filosofia in Venezia , salariato dalla Procuratia , e che morì nel l. ’jò i, in cui a’ dì 16 Dicembre gli fu nella Cattedra sostituito Domenico Bragadino con assegnamento di ducati d’oro 150, ultra illas pensiones, quas ipse Magister Paulus [p. 493 modifica]SECONDO recipiebat a Procuratiis pro simili lectura, siccome sta nel decreto pubblico esistente nel volume I del Catastico delle Scritture appartenenti a’ Signori Riformatori. l)i esso Paolo trovasi impressa la Logica, sive compendium Logices, in Venezia nel 1481 e j 4^8 , c un altro libro De.sensu composito et diviso. Vene! iis. i5oo, in 4 ° ni riferire di Cornelio a Beughem nel suo libro Incunabuli) Typograph iae, p. 105 Ch’egli sia stato Frate, parmi averlo letto in qualche catalogo, ma non posso assicurarlo (Lettere t. 2, p. ,284, ec.). Ma di quest’ultima circostanza io non ho trovato alcun monumento. Il P. degli Agostini accenna egli pure (Scritt. Venez. t. 1 , pref. p. 48) il decreto con cui il Bragadino fu sostituito a Paoloj ma ei lo fissa a’ 7 d’agosto «lei e cita il Giornale dello stesso Apostolo Zeno (t. 5, p. 359), in cui di fatti così afferma, nè io posso decidere a qual delle due epoche possiamo attenerci. Fra’ suoi scolari egli ebbe Lodovico Donato, che fu poi vescovo di Bergamo. Quindi Michel Alberto Carrara nobile bergamasco, che nel solenne ingresso a quella sua chiesa lo complimentò a nome de’ canonici con una sua orazione prodotta in parte dallo stesso P. degli Agostini (l. cit p. 3:)), rammenta il valoroso maestro che gli era toccato in sorte, e lo dice uomo per cui quel secolo può gareggiare con tutta 1* antichità. Ne parla ancora con molta lode nel suo Itinerario Ciriaco d’Ancona, che lo dice ottimo filosofo, e aggiugne p. 30) che a lui diede l’incarico di traslatare dal greco in latino un opuscolo [p. 494 modifica]4y4 LIBRO d’Aristotele intorno alle virtù; il che ci mostra che nella lingua greca ancora era Paolo ben istruito. Questi ancora ebbe l’onore di una medaglia in suo onore coniata, che fu dal suddetto Zeno veduta nel museo Cesareo in Vienna (l. cit p. 445) colle parole Paulus Pergulensis L. V. (cioè lector venetus) Ortho. Mena. Le quali due ultime parole egli confessa di non intendere (a).

V. Così stabilita la divisione di questi tre Paoli, veggiamo quai sieno le opere di ciascheduno. E cominciam da quest’ultimo, che fra tutti ne ha il minor numero. Di lui dunque è primieramente la Logica poc’anzi accennata, o, a dir meglio, un breve compendio di dialettica diviso in sei trattati, a’ quali nell’edizion veneta del 1510, da me vedula, si aggiugne un trattatello De modis composito et diviso, indirizzato a Pietro de’ Guidoni, che è forse lo stesso che nel Catalogo de’ codici della Biblioteca di S. Marco viene intitolato: M. Pauli Pergulensis.... Tractatus, in quo agi tur ile solvendis brevi ter qiùbusdam sophismatibus ad Petrum de Guido... (t. 2 , p. 135). Al fin di esso si legge: Et sic est finis tractatus M. Pauli Pergulensis fidgosi Arti uni doctoris 1449) die vi. Decembris bora i. noe ti s in domo sua Perii tiis. Nella Vaticana si hanno ancora i dubbj del nostro Paolo contro un libro intitolato Consequentiae Stradi (Montfauc. li ibi. BìblioUu t. 1 , p. 37). Le quali due operette, iusiein (-1) Le parole Ortho Mena sono probabilmentj Irat c clol grcco ilu if jot I’ cllo c film auiiuo. [p. 495 modifica]SECONDO 495 con la Logica del primo Paolo Veneto , si veggon congiunte nel decreto poc’anzi mentovato deir università di Padova: Deputati ad Sophistariam teneantur legere Logicam Pauli Veneti et Quaestiones Strodi cum dubiis Pauli Pergulensis. Nè altra opera io trovo accennata del Pergolese. A Paolo Alberti ni servita quattro opere attribuisce, colla testimonianza di altri scrittori veneti, il P. degli Agostini, che dal gesuita Possevino (Appar. sacr. t. 2,p. 230) e da alcuni Agostiniani si attribuiscono per errore a Paolo Niccoletti. Esse sono I. De noti ti a Dei. II. De condendo Cristiano Testamento. III. De ortu et progressu sui Ordinis.

IV. Explicatio Danti s Ali gerii Poctae Fiorentini. E quanto a quest’ultima, abbiam veduto che se ne fa espressa menzione nell’isci izion sepolcrale. Riguardo alla terza , potrebbe nascere dubbio che si fosse attribuito all Albertini 1’opuscolo che fu scritto da Paolo Al lavanti dello stesso Ordin de’ Servi, da noi mentovato nel capo precedente. Il P. degli Agostini si sforza di persuaderci essere queste due opere fra lor diverse. A me par nondimeno che non sien troppo convincenti le pruove ch’egli ne adduce, e converrebbe averle amendue sott’occhio per confrontarle. Ma dell’opere del1 Alberti ni nulla si ha alle stampe. Lo stesso P. degli Agostini pensa che sia opera di questo scrittore un opuscolo sopra la Confessione da lui veduto nella biblioteca di Santa Giustina di Padova. Io dubito innoltre che i Sermoni per la Quaresima ed altri, che si attribuiscono dagli scrittori agostiniani a Paolo Niccoletti, [p. 496 modifica]4lj(‘ LIBRO si debban credere dell’Albertini. Perciocchè del primo non troviamo memoria che si esercitasse nel predicare; ma ben 1 abbiam del secondo, come si è veduto di lui ragionando. Or determinate in tal modo le opere che a questi due Paoli appartengono, tutte le altre che dal Possevino e dall’Oudin (De Script, eccl t. 4 , p. a33 a) e dal Fabricio (Bibl. med. et inf. Latin, t. 5, p. 220) si attribuiscono a Paolo Niccoletti agostiniano, detto per lo più Paolo Veneto, si posson credere veramente da lui composte. Esse sono in gran parte Comenti sopra Aristotele e altre opere di somigliante argomento; fra le quali quelle che allora furono più celebrate, e che ebber l’onore di esser comentate da più altri filosofi creduti allora dottissimi, sono la Logica detta picciola, e la grande. Ve ne ha ancora alcune teologiche. Ma quella de Quadratura circuli, che da’ suddetti scrittori si annovera, tratta di tutt’altro che della quadratura del circolo. Essa è intitolata sol Quadratura, titolo dato ad essa, coni’ io credo, dal suo autore, perchè tratta di quattro dubbj intorno all’arte di argomentare, come ho osservato io stesso nell’edizione veneta del i4ì)3.

VI. A’ tempi anteriori alla venuta de’ Greci , appartiene ancora Biagio Pelacane da Parma filosofo e matematico insigne. Poche notizie ne abbiamo, e convien ripescarle a stento da’ molti scrittori che brevemente ne parlano. Secondo 1’Ali dosi (Dott. forest p. 12), ei fu professore di astrologia e di (filosofia in Bologna dal iòS » lino al 1384. Da Bologna probabilmente ci passò [p. 497 modifica]SECONDO 497 a Pavia, se è vero ciò che il Giovio racconta (Vit. Vicecomit in Jo. GaleaL), eli1 ei fu assai caro a Giangaleazzo Visconti (a). Certamente egli era professore in Piacenza , quando colà fu trasportata l’università di Pavia, come nel tomo precedente si è detto , e ne abbiamo la pruova nel Catologo di que1 Professori del1’anno 1399 (Script Per. ital. vói 20, p. 940), ove si legge il nome di Biagio colla nota dello stipendio che ogni mese gli si pagava. M. Plasio tic Parma leganti Piùlo sopìuam Morale ni, Naturalem, et Astrologiam l. 26, 13, 4- ^ lucciolati j sulla fede de’ Monumenti deli’ Università di Padova, afferma (Fasti patav. pars 2 , (a) Prima che in Bologna, era stato il Pelacane professore in Pavia; perciocchè nell’Indice de’ Monumenti, e nel Catalogo de’ Professori di quell7università, pulblicato dal Perodi, egli è nominato all’anno 1374 e al 1378 (p). 3, 145). Passato quindi a Bologna, dovette ivi fermarsi circa quattro anni , e poscia trasferirsi a Padova, perciocchè nei documenti di quella università, additatimi dal signor abate Francesco f)orighcllo, si legge che a’ 20 di maggio del 1384 il Pelacane promise ad Antonio de’ Zucchi dottor di legge, e vicario del Carrarese, che al primo di settembre sarebbe in Padova, e che al cominciar dello studio a S. Luca avrebbe dato principio alle pubbliche lezioni di filosofia e di astrologia, e le avrebbe per quattro anni continuate , soggettandosi, quando non attenesse la data parola , a pagare 200 ducati d oro, e il suddetto vicario a vicenda.promisegli l’annuale stipendio di lire 300 di piccioli. È probabile che finito il quadriennio tornasse a Pavia, e indi a Piacenza, e che nel 1427 fosse richiamato a Padova, ove il nome di esso trovasi poscia inserito fino agli 8 di agosto del 1 \ 11, tua non più oltre. TlRABOSCHI, Voi VII. 32 [p. 498 modifica]4)8 LIBRO p. 102) che ranno i407 CI hi da essa condotto a tenere scuola di filosofia coll1 annuo stipendio di 215 ducati, e che negli Atti del 1411 egli è detto famosissimus omnium liberalium Artium Doctor et Monarcha; ma aggiugne che ciò non ostante nell’ottobre dello stesso anno, sembrando egli poco opportuno ad insegnare, e non avendo chi concorresse ad udirlo, fu congedato. Mentre il Pelacane trattenevasi in Padova, accadde ciò che racconta Francesco Prendilacqua nella elegante Vita di V iltorino da Feltro, da noi mentovata altre volte. Questi ò T unico autore contemporaneo che ci ragioni alquanto a lungo del Pelacane, e ci dia una giusta idea del sapere insieme e de’ vizj di questo filosofo, e questo passo perciò merita di essere qui recato nella volgar nostra lingua. Era a que’ tempi in Padova, dice egli (Vita ì ict. Feltr. p. 40), Biagio Pelacane uomo insignemente avaro , ma celebre e allor (quasi solo nella scienza delle matematiche, il quale per amor di guadagno facea privatamente scuola in una sua casa. Vittorino essendosi a lui recato , e avendo veduto che senza denaro non sarebbe stato istruito, sdegnato per V asprezza e per V insolenza di Biagio, determinò di apprenderla da se medesimo, e tanto potè col suo ingegno, e tanto colla sua diligenza si avanzò in essa leggendo, e meditando continuamente, che senza aiuto d alcuno ne divenne dottissimo. Il che essendo stato riferito al Pelacane , perciocchè celebre era già allor i il nome di Vittorino, dicesi di egli se ne affliggesse non poco, o per invidia al vederlo più [p. 499 modifica]SECONDO 4*)9 dotto di lui medesimo , o per pentimento della sua stessa avarizia, che gli avea fatto perdere un tale scolaro , per cui e sarebbe divenuto egli stesso più celebre, e avrebbe sempre più riscossa l'altrui ammirazione col formare in sì poco tempo un sì perfetto discepolo: poichè vedeva egli bene, che molti, allettati dalla gloria da Vittorino ottenuta, sarebbon corsi con gran denaro a farsi da lui istruire. Vittorino che ne fu informato, soleva dire spesso scherzando snir avarizia di costui: Quanto debbo io al Pelacane, che mostrandosi solo in ciò liberale, ha bramato di gratuitamente istruirmi nelle matematiche! Congedato Biagio da Padova , è verisimile che si ritirasse in patria. Il ch. sig. D. Jacopo Morelli, nelle sue note alla citata Vita di Vittorino , afferma eli’ ei morì in Parma l’anno 1415, e benchè io non ne abbia trovata più certa pruova, credo però certamente ch’ei non l’avrà affermato senza autorevole fondamento. Ed è fuor d’ogni dubbio ch’ei fu ivi sepolto nel sepolcro medesimo in cui si credea allora sepolto Macrobio. Lo accenna Ciriaco d’Ancona ne’ frammenti del suo Itinerario, pubblicati da monsignor Compagnoni (p. 23), benchè ivi non se ne legga espresso il nome, o perchè Ciriaco non se ne ricordasse , o perchè il copista abbialo ommesso: Ante faciem ejusdem Ecclesiae (della cattedrale di Parma) conspexi praeclarissimi Macrobii nostri tumulum ex marmore perornatum, in quo Phy. Parmensis ossa posita sunt Ma Biondo Flavio lo afferma più chiaramente: Macrobium... Parmensem fuisse legimus, in cujus [p. 500 modifica]500 LIBRO sepulchro Parmae celebri nostra aetate conditus est B Iasius Parmensis Philosophus non incelebris (Ital illustr. leg. 7) (*). Io non trovo che (*) In Parma vertasi a.icora nella facciata della cattedrale il sepolcro del Pelacane; e 1' esattissima descrizione ch’io di colà ne ho avuta dal ch. P. D. Andrea Mazza abate casinese, ci mostra onde abbia avuta origine la volgare opinione che quel sepolcro fosse comune a lui colf antico scrittor Macrobio. Esso è una lunga lapida, nel mezzo della quale si legge la seguente iscrizione esattissimamente copiata: Inclita lux illustre jubar celeste sophye Lumen et Archadicum numen venerabile vatum Blasius esse sue studiorum etatis Apollo Quem Pelacana tulit Costamezanensis origo Immortale decus patrie jacet hic tua Parma Gloria Philosophum sub quo coluere Minervam Astriloquas Mathesimq; omnem sua secula Musas Mille quadringentis sedecim nonoq; Kalendas Mai Anomomere jacet hic pars ossea molis Mens alit in celum felicibus hospita castris Hoc opus fecerunt fieri uxor et filii ejus. A' fianchi dell’iscrizione vedesi a destra la statua di Biagio, intorno alla quale si legge: MAGIR BLASIUS PARM; e sotto ad essa MAGI blasi. A sinistra vedesi la statua di Macrobio creduto parmigiano, ma invece di.)Macrobius per errore probabilmente dell’incisore leggesi macobrius PARM. Alle due estremità del monumento vedesi a destra l’arma del Pelacane, cioè un cane che va correndo su’ monti, colle lettere B L, cioè Blasius; a sinistra un’arma doppia, cioè da una parte la stessa di Biagio e sopra essa le lettere B L; dall altra quella di Anna sua moglie, Cioè una piantarella, e sopra essa le lettere A N. Dal!’estremità della fascia, che gira intorno a queste due arme, vedesi dalla parte di quella di Biagio pendere un volto virile; dalla parte di quella di Anna un volto donnesco. Or qui riflettasi primieramente ad alcune parole della riferita iscrizione. Dicesi Biagio Costamezenensis, cioè [p. 501 modifica]SECONDO OD I alcuna opera di questo dotto filosofo sia stata data alle stampe. Il Gesnero dice generalmente (Bibi. p■ io3) clT ei lasciò sottilissime quenatio di Costamezzana villaggio monluoo del Parmigiano , ove confina col (ionovesato e col Lucchese. Si fissa la morie di Biagio non nel 141 ^ » come io ho scritto, ma nel t4i£ ^3 di aprile. Quella voce greca poi anomomere par tratta da àio poto pi ita per indicare l’individuo composto delle due parti dissimili, che poi si uotniuauo, cioè della parte ossea ossia del corpo, c della mente ossia dell’anima. Riflettasi in secondo luogo che tutta l’iscrizione, e gli ornamenti dell’iscrizione appartengono a Biagio; che Macrobio non è punto nominalo nell’iscrizione medesima; e che solo ve nc ha la statua rimpclto a quella di Riagio per dinotar, come sembra, che Riagio crasi esercitato negli studi medesimi, ue’ quali era già stato insigne Macrobio, e che perciò non è punto probabile che quel sepolcro fosse fatto già per Macrobio, il cui lavoro ancora dimostra per se medesimo, che non potè esser opera de5 tempi a cui egli visse. Ciò che ha data origine , e sembra poter accrescere forza a questa opinione , è un altra iscrizione vicina all’altra in bei caratteri romani, e ben diversi da quella co1 quali è scrìtta quella di Riagio , la qual per altro, se leggasi qual è veramente, si conoscerà chiaramente che nulla appartiene a Macrobio. Eccola qual mi è stata trasmessa copiala con somma esattezza: D. M. Ilio ego qui varios cursus variumque labore Sustinui ut justas ronriliaret opes Transmisi morirns rerum quaerumque paravi Haec tainen ad manes perlinet una domus Et juxta conjunx ineritos testatur tumore* /F.lernum retinens consociata torum No* ariate pare* dulris duni vita manerrt Unus amor junxit nunc premit una quies Di»rite qui legitis fartis extendere fammi Ut probat liie titulus non probat rs*e ho no*. All' estremità inferiore è mancante la lapida , c forse [p. 502 modifica]5oa libro ^tioni intorno all’astronomia e all’ottica. Nella biblioteca di S. Marco in Venezia si conserva di fatti un codice scritto nel 1399, e intitolato: dovea esservi scritto il nome de’ conjugi, a onor dei quali fu posta questa iscrizione, e il nome di chi innalzò ad essi tal monumento. La diversità de’ caratteri delle due iscrizioni pruova chiaramente che una nulla ha che fare coll’altra; e che questa seconda , trovata in qualche altro luogo, fu ivi incassata per ornarne il muro della cattedrale. I sentimenti e le parole dell iscrizione non hanno circostanza alcuna che riferir si possa a Macrobio, a onor di cui se fosse ella posta, vi si parlerebbe certo del molto sapere di cui e;;li fu adorno. Ciò non ostante si è trovata la maniera di far credere che questa iscrizione appartenga a Macrobio; e nella copia che già ne fu mandata al ch. Muratori, e che fu da lui pubblicata (Thes. Inscr. p MCCCLXX, n. 12), levatene quelle lettere D. M., vi furono francamente poste quest’altre. Macrobius sibi et Theodosiae conjugi opt. V. F., senza indicarci punto onde fossero esse tratte, e a qual monumento fossero appoggiate. Mi sia qui lecito aggiugnere che l’opinione de’ bassi secoli, che parmigiano fosse Macrobio, e di cui io non saprei chi fosse il primo autore, è abbastanza combattuta e distrutta da Macrob.o medesimo, il quale, come di lui parlando si è osservato (t. 2), dice di esser nato sotto un cielo a cui era straniera la lingua latina, t* È certo però, che prima della morte del Pelacane vedeasi in Parma un sepolcro che dice vasi di Macrobio E ne fa menzione Francesco Zamorei coetaneo del Petrarca, e morto nel 1407, il quale, in un suo tratto ms. indicatomi dal p. Affò , afferma di averlo veduto: Macrobius... qui noster concivis est, cujus mausoléum ego multoties vidi in Civitate Parme. Anzi il Petrarca stesso, in una delle sue lettere in versi scritta a un Zoilo, ne fa menzione: Parma aevo collapsa sui monumenta Macrobi Ostentat. E forse vi si leggevano allora quelle parole: Macrobius sibi, ec. quali si veggono nell’iscrizione pubblicata dal Muratori. [p. 503 modifica]SECONDO 5o3 filasti de Parma Perspectiva (Cat. Codd. mss. Bibl. S. Marci t. 2. p. 1), e due altri codici della stessa opera indica il Montefaucon nelle biblioteche Laurenziana in Firenze, e Ambrosiana in Milano (Bibl. Biblioth. t, 1 ,p. 3)), 5io). Lo stesso autore ci addita nella biblioteca di S. Marco in Firenze (ib. p. 427: Magistri Blasii de Parma de ponderibus; e nella Vaticana (ib. p. 106): Blasii de Parma varia opera. Finalmente nel Catalogo de’ Codici della Biblioteca del re di Francia abbiamo: Judicium de revolutione anni 1405. authore Blasio de Parma (t. 4 p 359, CO(? 7443) (n). La qual ultima opera ci fa vedere che Biagio egli pure era uno di que’ pazzi che andavano follemente perduti dietro T astrologia gindiciarìa in questo secolo ancora pregiata assai; di che avremo in questo capo medesimo più altre pruove (b).

VII. Men conosciuto è un filosofo bolognese di questi tempi, perchè nimf opera lasciò a’' posteri, che facesse pruova del suo sapere. Ma le lodi, di cui f onorano gli scrittori di quel secolo, mostrano eli’ ei fu reputato un dei più dotti. Ei fu Niccolò Fava, che dall’Alidosi (//) Anclie nella libreria di S. Maria del Popolo in Roma conservatisi in un codice ins. le quistioni del Pelacane De Cado et Mando, c da un Indice antico della medesima si raccoglie che eravenc ancora una volta un trattato di Astrologia. (b) E forse questa è la ragione per cui il medico Antonio Guainerio. cbe ne era stato scolaro , parla di Riagio con mollo disprezzo, mettendolo del pari colle donnicciuole , come osserva il eh. signor Vincenzo Malacarne (Delle Od. dd Med. e dd Cerus., co. t. 1, P • 43)• [p. 504 modifica]5o4 LIBRO vi cu dotto (Dott. bologn. di Teol., ec. p. 147) Niccolò di Pietro da Romegia, detto anco dalla Fava. Ei ne fissa il fiorire circa il 140 t. j dice che fu lettore di logica, di filosofia morale e naturale , e di medicina , e che avea di stipendio mille lire annue, somma a quei tempi assai ragguardevole. Aggiugne che fu spedito da’ Bolognesi ambasciadore al papa nel 1430 e nel 1435, e poscia ad altri principi ancora. Del che però io non trovo menzione nell’antica Cronaca italiana di Bologna, ove pure si parla di cotali ambasciate, e si nominano gli ambasciatori. ma fra essi non vedesi Niccolò. Egli era amico) di Francesco Filelfo, e due lettere che questi gli scrisse nel ì \ j.S (Li, cp. 29, 38), ci scuopron la stima in cui egli lo avea, e ci mostrano che Niccolò era assai versato nell’opere d’Aristotele, c eh ’ei possedeva ancora la lingua greca. Giovanni Garzoni, da noi poc’anzi citato, ne fa un magnifico elogio: Qui vir, Dii invnnrtales! die’ egli (De Dignit. urbis Bon. Script. rer. ital. vol. 21 , p. 11 (54), quanta Philosophia excultus fuit! Quam subtilis disputatori Soggiunge poscia che alcuni invidiosi lo biasimavano, perchè nulla avea scritto, a’ quali ei risponde che lo stesso fecero Pitagora, Socrate e molti altri egregi filosofi, e conchiude narrando la lite, da noi già accennata , che fu un giorno fra lui e Paolo Veneto l’Agostiniano. Di esso pure, come si è detto, ragiona Benedetto Morando scrittor di quei tempi, il quale racconta (De Bon. laudib. Orat, p. 5) che in una disputa eli’ egli ebbe col medico Ugo Benzi, riscaldossi per modo. che [p. 505 modifica]SECONDO 5o5 ne ebbe non poco danno nella salute , e convenne usare di qualche pronto rimedio per risanarlo. Nella sopraccennata Cronaca di Bologna ancora si parla di lui con molta lode nell’atto di riferirne la morte: A’ dì i/\ di Agosto (del 1439)) morì Maestro Niccolò dalla Fava, il quale era uno de’ famosi Filosofi if Italia, e fu seppellito nella Chiesa di S. Jacopo de.’ Frati Eremitani nella Strà San Donato (Script. rer. ital. vol. 18, p. e con somiglianti espressioni ne parla Biondo Flavio, dicendo: Obiit proximis temporibus Philosophorum sui saeculi praestantissimis Nicolaus Faba. Bononiensis (Ital. illustr. reg. 6)5 e Girolamo Borselli domenicano ne’ suoi Annali di Bologna, clic all1 anno suddetto ne accenna la morte, e gli dà i titoli di acuto filosofo, e di principe de’ medici del suo tempo (Script. rer. ital. vol. 23, p. 877). Finalmente l’iscrizion sepolcrale riferita dall1 Alidosi, benché si possa credere esagerata secondo il costume , è pruova nondimeno dell1 alla stima in cui egli era tenuto: Hic Nicolae cubas Fabiae nova gloria gentis, Principe quo erexit Philosophia caput. Compar Aristoteli fuerat comparque Platoni,Doctrina, studio , vel gravitate prior Heu qualis cecidit tibi docta Bonomia natus! Ausonia heu cecidit gloria quanta tibi! (a) (n) Veggasi I' articolo intorno al Fava , inserito dal sig. abate Francesco Alessio Fiori nidi’ opera degli Scrittoli bolognesi del signor conte Fantiuzi (lomo 3, p. 3o6, cc.). [p. 506 modifica]5o6 LIBRO Vili. Un celebre professore di filosofia ebbero parimente, verso la metà del secolo xv, Venezia e Padova , cioè Lauro Querini nato circa il 1420 in Candia da un ramo di questa nobil famiglia, colà trasferitasi da Venezia nel secolo xiii. Il P. degli Agostini ha raccolte con somma esattezza le notizie appartenenti a questo illustre filosofo (Scritt. venez. t. 1, p. 205), traendole singolarmente dalle Lettere di Francesco Barbaro, e da ciò che di lui avea detto il ch. Cardinal Querini nella Diatriba ad esse premessa. Venuto in età giovanile a Venezia, e passato poscia all’università di Padova, vi ottenne la laurea dottorale nel 1440 5 e istruitosi profondamente in tutte le scienze, e ancora nella lingua greca, tornossene a Venezia, ove nel 1449 aprì pubblica scuola a’ nobili giovinetti, a’ quali spiegava l’Etica d’Aristotele. Il concorso che ad udirlo facevasi, era sì numeroso, che gli fu d’uopo il tener la sua scuola nella piazza dei mercanti: Tu non potresti trattenere le risa, scrive egli al Barbaro (Barbar. Epist. App. p. 65), se mi vedessi filosofare ogni giorno cinto da ogni parte e affollato dagli scolari nella Piazza de’ mercanti. Io temo perciò, che il Senato non m imponga silenzio, veggo ri do che distolgo dal traffico la gioventù per volgerla alla Filosofia, come già accadde in Roma a Carneade. L’università di Padova parve miglior teatro al saper del Querini, che la piazza di Venezia. Ad essa dunque ei fu condotto nell’anno 1451, per leggervi l’eloquenza insieme e la filosofia morale , e vi fu confermato per [p. 507 modifica]SECONDO 507 l’anno seguente, come egli scrii e al Barbaro (Barb. Epist. p. 308), dolendosi però del troppo tenue stipendio di quaranta scudi assegnato alla sua cattedra. Ma non si stese la lettura di Lauro oltre i due anni; perciocchè quando nel 1453 cadde Costantinopoli, egli era in Candia, donde scrisse al pontefice Niccolò V la relazione di quel funesto avvenimento, che dal P. degli Agostini è stata data alla luce (l. cit. p. 216). Egli continuò poscia a vivere in patria, ed ivi probabilmente morì dopo il 1466. Fu egli ancora nel numero de’ letterati contenziosi di questo secolo, de’ quali vedremo in decorso gran copia, e con due singolarmente ebbe egli dispute e brighe, con Leonardo Bruni d’Arezzo intorno alla intelligenza di certi passi cf Aristotele, e con Lorenzo Valla per la difesa dal Querini contro di lui intrapresa di Boezio e di Livio; nella qual occasione se gli avversari del Querini, secondo il costume di quell’età, il caricarono di villanie, egli non ne fu verso loro punto men liberale, di che veggasi il detto P. degli Agostini. Questi annovera ancora le opere da Lauro composte, fra le quali sono più degne d’osservazione il libro de Nobilitate in risposta a Poggio fiorentino , che della nobiltà veneziana avea scritto con gran disprezzo, alcuni trattati intorno all’opere filosofiche e morali (T Aristotele c di Platone, alcune epistole e alcune orazioni, e qualche opera teologica da noi altrove accennata. Nulla però se ne ha alle stampe, trattene alcune lettere pubblicate fra quelle di Francesco Barbaro. I)i piò altri professori di filosofia troviam menzione presso gli [p. 508 modifica]5o8 LIBRO autori che ci han data la storia delle più celebri università italiane. Tra essi ebbe gran nome Gaetano Tiene vicentino, professore in Padova dal i.fiaa lino al 1465, in cui finì di vivere nella stessa città. Di esso parla il Facciolati (Fasti Gymn. pati pars 2, p. 103), e più a lungo il P. Angiolgabriello da Santa Maria (Bibl. degli Scritt. Vicent ti 2, p. 22, ec.), che ne ha pubblicato il testamento, e ci ha dato il catalogo delle opere da lui composte, alcune delle quali si hanno alle stampe. E più altri ancora potrei nominarne: ma scarso sarebbe il frutto e molta la noja di una tal serie di nomi poco or conosciuti, e poco per lo più degni di essere alla posterità tramandati.

IX. Ma tutti gli studj e tutte le opere di questi filosofi caddero in totale dimenticanza al venir dei Greci in Italia. Le continue vessazioni che essi sofferivan da’ Turchi, i quali sulle rovine del greco impero andavano sempre più dilatando la lor potenza e il lor regno, avean già consigliato ad alcuni il cercarsi altrove qualche onesto ricovero , ove potessero più tranquillamente coltivare gli studj , e da essi innoltre raccogliere quel vantaggio che nella loro patria ormai speravano invano. Abbiam veduto che nel secolo precedente erano stati per qualche tempo in Italia il monaco Barlaamo, Leonzio Pilato e Demetrio da Tessalonica. Negli ultimi anni del medesimo secolo vennevi parimente Manuello Crisolora, che non poco giovò a promuovere e ad avvivare lo studio della lingua greca, come vedremo, ove di ciò dovrem parlare più stesamente. Qui dobbiam trattar di 1 [p. 509 modifica]SECONDO 50() coloro a1 quali molto dovette lo studio della filosofia. E noi ricorderemo con sentimenti di gratitudine il molto che dee loro l’Italia; ma ci compiaceremo ancora in riflettere quanto all’Italia dovettero essi medesimi, che ivi trovarono e splendidi mecenati e premj amplissimi al loro ingegno. Il primo che ci viene innanzi, è Giovanni Argiropulo, il quale dall’Hody (De Linguae gr. Instaurat. l. 2, c 1), dal Fabricio (Bibl. grave, t. i o, p. 4^5), dal Bruckero (Hist. crit. Philos. t. 4) p 39), e da più altri scrittori si dice venuto in Italia sol dopo la caduta di Costantinopoli. Ma di’ ei molti anni prima fosse in Italia, ne abbiamo indubitabili monumenti, i quali però non bastano ad accertare in qual tempo ei venisse, anzi ci lasciano in un inestricabile laberinto. Vespasiano fiorentino, da noi più volte citato, scrisse, fra le altre, la Vita di Palla Strozzi cittadino celebre di Firenze , di cui altrove ragioneremo. In essa, parlando dell1 esilio che l’anno 14^4 (Ammir. Stor. di Fir. t. 1, p. 1102) ebbe da Firenze, racconta che venuto Messer Palla a’! confini di Padova (Mehus praef. ad Vit. Ambr. camald, p. 19, ec.)... si voltò alle lettere come un tranquillo porto di tutti i suoi naufragi, e tolse in casa con bonissimo salario Messer (Giovanni Argiropulo, a fine che gli leggessi più libri Greci, di che lui aveva desiderio di udire I\ Tesser Giovanni gli leggeva le opere d’Aristotele in Filosofia naturale, della (quale egli aveva bonissima notizia. Era dunque f Argiropulo in Padova nel 1434 quando lo Strozzi vi fu esiliato. Nel 1441 il troviamo in Costantinopoli; [p. 510 modifica]5 IO LIBRO perciocché Francesco Fileifo scrivendo in detto anno a Pietro Perleone, die colà si era recato, gli dice che lo ha raccomandato Joanni Argyropulo Presbytero erudito ac diserto (l 5, ep. 3), aggiugnendo però, ch’ei non sa quanto efficace sia per essere cotale raccomandazione, perciocchè Giovanni è uom quanto dotto, altrettanto ancora capriccioso e incostante. E a questo tempo probabilmente appartiene ciò che narra il Boernero (De doctis Homin graec. p 139)), sulla testimonianza di Michele Apostolio, che Giovanni in quella città tenne pubblica scuola. Poscia nel 1442 il veggiam di nuovo in Padova, se è vero ciò che il Facciolati racconta (Fasti Gj mn. patav. pars 2, p. 82) che in detto anno ei fu scelto a rettore di quella università. E più certa pruova ne arreca il Papadopoli (Hist Gymn. patav. t. 2, p. 179) per l’anno 1444 in cui il fa intervenire alla laurea conferita a f Francesco della Rovere, che fu poi Sisto IV, e cita i documenti che si conservano in quel vescovado, ne’ quali egli è detto: Vir spectabilis et peritissimus artium ac Philosophiae Magister Scholaris Joannes Argyropolus Costantinopolitanus. Or come potesse avvenire che uno il quale l’anno 1434 era in Padova in tale età e in tal concetto d’erudizione, che potesse esser trascelto a suo maestro da Palla Strozzi, fosse ivi anche undici anni dopo in qualità di scolaro, benchè già onorato del magistero, parmi cosa assai difficile a intendersi. Solo potrebbesi sospettare per avventura che il testo di Vespasiano non si avesse ad intendere de’ primi anni in cui lo Strozzi fu a Padova , e [p. 511 modifica]SECONDO 51I eli’ ci non prendesse l’Argiropulo a suo maestro se non circa dieci anni, dacchè ivi erasi stabilito. Aggiugne il Papadopoli che nel 1444 tornò l’Argiropulo a Costantinopoli, e che indi poi fu chiamato a Firenze. Ma di questo secondo ritorno non veggo qual pruova da lui si arrechi. Non men difficile è a definire quando e da chi ei fosse chiamato a Firenze. Niccolò Valori, nella Vita di Lorenzo de’ Medici, afferma (p. 12) che da Pietro figliuol di Cosimo e padre dello stesso Lorenzo fu l’Argiropulo chiamato a Firenze. E lo stesso confermasi da Donato Acciajuoli, il quale, indirizzando a Pietro la Vita di Alcibiade da lui tradotta dal greco di Plutarco, fra le altre cose lo loda pel singolar beneficio che alla gioventù fiorentina avea conferito col chiamare ad istruirla Ciò- • vanni Argiropulo. Ma comunque sieno autorevoli cotai monumenti , hanno assai maggior forza que’ che ci provano che egli vi fu chiamato fanno 14 56? mentre Cosimo ancor viveva. Bartolommeo Fonti, scrittore egli ancora di que’ tempi, ne’ suoi Annali pubblicati nel Catalogo delle biblioteca Riccardiana, ne assegna a quell’anno la venuta a Firenze: Joannes Argirophilus Bizantius Peripateticae Philosophiae Doctor egregium magno salario Florentiam accitus summa omnium admiratione ai ino s xy est projessus (’). (*) Un' altra annoi- più evidente pruova ce ne offre la traduzione dell’Etica d' Aristotile, stampata da un certo Niccolò in Firenze senza nota di tempo , e dall’Argiropulo dedicata.a Cosimo. 11 eli signor Piel’.ntouio Crevena, che ha questa rarissima edizione, [p. 512 modifica]51 2 L^BRO E all’anno i/|66 aggiugne clic, per opera di Lorenzo figliuol di Pietro, gli fu conceduto l’onore della fiorentina cittadinanza. 11 Poliziano ancora, di cui non v’ha scrittore nelle cose de’ Medici meglio istruito, ci assicura che Giovanni fu in gran favore presso il suddetto Cosimo, e poscia presso il figliuolo e il nipote, Pietro e Lorenzo (Misceli c. i). Finalmente il Filclfo, in una sua lettera a Donalo Acciainoli, scritta a’ 3i di maggio dello stesso anno i4^6, si rallegra co’ Fiorentini che abbiano scelto a mi ha gentilmente trasmessa copia della dedica dell Argiropulo, Ei dice in essa che per comando di Cosimo avea intrapresa quella fatica, e rammenta insieme le infelici vicende della sua patria: Me ad hos$ libros ipse traducendos hortatus ex maximopere, etsi bis jam rp• sos, ne dicam pluries, lingua traductos vidit Latina. Quod si Commentariolis quoque nostris, ut petis, lucidiores evadent, cognituque faciliores, quis est, qui non et hujusce te auctorem commoditatis existimet? Sed ego sane propensior quidem sum ad obsequendum praeclaris studiis tuis. Nam neque auctoritate quisquam medius fidius apud me, neque voluntate plus valere te potest, Angusti s tamen, ut scis, temporis et asperitatibus rerum impedior atque premor. Nam generis me totius occasus excidi twtqite luctuosissimum patrie, ac omnium tam publicarum quam privatarum exturbatio rerum indigna atque acerba, spesque sublata funditus, ademptaque bona fortunae, distrahit, angit, atque perturbat. E quindi accenna ancora l’impiego che avea d1 insegnale: Adest et officium munusque docenti, quod ferme totum occupare tempus videtur. Lo stesso confermasi dalla lettera dedicatoria a Pietro figliuol di Cosimo , che I’ Argiropulo premise alla sua traduzione della Fisica d' Aristotele , la quale dal signor canonico Damimi c stala data alla luce (Cat. Codd, latin. Bibl, laurent, t. 3, p. , ec.) , c che è un lungo e magnifico encomio del medesimo Cosiino. [p. 513 modifica]SECONDO 5I3 lor professore un uom sì dotto, di cui qui tace i difetti , ed esalta solo il sapere: Io non posso a meno di non lodare, dice egli (l. 13, ep. 26), e te e la gioventù fiorentina, perchè chiamato avete ad ammaestrarvi un tale e sì grande filosofo ed oratore; perciocchè mi vien detto che niun fra’ Greci vi sia più di lui in qualunque scienza versato. Il che è ancor più a pregiarsi, perche ci possiede ancora perfettamente l’eloquenza latina.

X. Dalla stessa e da un’altra lettera del Filelfo (ib. ep. 24) raccogliesi che f Argiropulo in quest’anno medesimo erasi recato alla corte di Francia , per ottenerne, come sembra, qualche soccorso a molti de’ suoi parenti che rimasti in Grecia gemevano miseramente sotto il giogo dei Turchi. Del qual viaggio però non sappiamo qual fosse 1* effetto. Tornalo a Firenze, continuò, come si è detto, per quindici anni a tenere scuola di filosofia insieme e di greca eloquenza. Ma la filosofia era quella di cui più compiacevasi, e ne son pruova le opere di cui più sotto ragioneremo, e le Prelezioni da lui recitate in Firenze nell’atto d’incominciare le spiegazioni di qualche libro di Aristotele, che ivi si conservano nella Riccardiana (Cat. Bibl. riccard. p. 40)• hi essa egli ebbe l’onore d’istruir fra gli altri Lorenzo de’ Medici, come narrai il Poliziano (l. cit)j e Paolo Cortese generalmente afferma (De Homin. doct. p. 43) che molti Italiani, tratti dalla fama di sì celebre professore, a lui accorrevano, fra’ quali egli annovera Donato Acciajuoli. Il medesimo Poliziano gli fu scolaro, il che però Tira boschi , Voi VII. ’33 [p. 514 modifica]5i4 unno non potè avvenire che negli ultimi anni del soggiorno che l’Argiropulo fece in Firenze; perciocchè quegli era nato solo due anni prima che questi vi si recasse, cioè al 1454 Lo spazio di quindici anni che dal Fonti si assegna alla scuola dall’Argiropulo tenuta in Firenze, ci pruova eh’ei ne partì l’anno 1471 * E allora fu probabilmente eli’ei passò a Roma, benchè altri ciò differiscano all’anno i47^Par nondimeno che P Argiropulo o un’altra volta tornasse a Firenze, o almen si credesse che fosse per ritornarvi. Io lo raccolgo dal primo de’ due greci epigrammi in lode di esso dal Poliziano composti nel xix. anno di sua età, cioè nell’anno 1472? in cui descrive il giubilo che i Fiorentini provavano per l’aspettato di lui ritorno. S’ei tornasse, o no, a Firenze, non trovo monumento che ce ne assicuri. Solo è certo ch’ei passò in Roma gli ultimi anni della sua vita. Ivi era stato negli anni addietro Bartolommeo di lui figliuolo, che era al servigio del Cardinal Bessarione, e che fu barbaramente ucciso da alcuni ladroni. Abbiamo una lettera dal Cardinal Jacopo degli Ammanati (ep. 200) a lui scritta per consolarlo di sì grave sventura, e per narrargli la paterna sollecitudine del Cardinal Bessarione nel prestare ogni possibile ajuto all’infelice figlio nel tempo che sopravvisse, e gli onori con cui il pontefice Paolo II avea ordinato che se ne accompagnasser le esequie. Ma in un’altra lettera su ciò scritta al medesimo Cardinal Bessarione (l. cit. p. 144) l’Ammanati si duole che Giovanni non abbia in questa occasione mostrata quella fermezza [p. 515 modifica]SECONDO 5 I 5 che doveasi aspettar da un filosofo: Doleo vicem hominis docti ferentis mollius lume cjus castali t. quatn lati tue virtuti conce ni at. Parole poco felicemente intese dal Boernero, che citando questa lettera stessa dice che Giovanni mitius filii interitum tulit (l. cit). Egli è vero però, che Pietro Alcionio, citato pure dal Boernero, ci rappresenta Giovanni come fermo ed intrepido nella sua afflizione, narrando che Pietro de’ Medici ne stupì, e che interrogatolo onde traesse sì gran fortezza, Giovanni risposegli ch’ei seguiva in ciò gli esempj di Cosimo di lui padre (De Exil. fol 3, 11). A me par nondimeno che l’autorità del cardinale degli Ammanati sia troppo più valida che quella del1 Alcionio. Forse allo stesso Cardinal Bessarione dovette l’Argiropulo la sua andata a Roma, e la cattedra che ivi ebbe di lingua greca. Giovanni Reuchlino racconta (Rudim. Hebr. l. 1) di averlo ivi udito egli stesso legger pubblicamente Tucidide a’ tempi di Sisto IV; e Filippo Melantone, nell’Orazione da lui composta in lode dello stesso Reuchlino, afferma che avendo questi per comando dell’Argiropulo presa a leggere e a spiegare una parlata di quello storico, il maestro ne rimase attonito in tal maniera , che dolente esclamò essere ormai la Grecia volata di là dell' Alpi. Espressione tanto più a pregiarsi nell’Argiropulo, quanto maggiore era l’odio ch’egli avea contro i Latini tutti generalmente , talchè non temeva di dire che Cicerone e nella lingua greca e nella filosofia era stato uomo del tutto ignorante (Polit. l. cit.). Non è ben certo in qual anno egli [p. 516 modifica]5lG LIBRO morisse, giacché il Papadopoli non reca alcuna pruova di ciò che afferma, cioè che ciò avvenisse nel i486 (a). Paolo Giovio dice soltanto (Elogi p. 79 ed. Ven. 1545) ch’ei morì in età di settanta anni, e aggiugne che essendo egli un solenne ghiottone, il quale consumava tutto il suo ampio stipendio in vivande , morì per aver mangiata un’eccessiva quantità di poponi; il che però io non so su quai fondamenti si racconti dal suddetto scrittore.

XI. Gli elogi con cui abbiamo udito ragionare dell’Argiropulo il Poliziano, il Filelfo ed altri di quell’età , sono una testimonianza bastevole del molto sapere di cui egli era fornito. Ei si occupò singolarmente nel tradurre dal greco in latino parecchie opere d’Aristotele; poichè le traduzioni che ne’ secoli precedenti se n’eran fatte, benchè allora fossero tenute in gran conto, parvero poi nondimeno poco esatte e poco fedeli. Quelle dell’Argiropulo furono ricevute con grande applauso, al che, se crediamo al Giovio, concorse molto la modestia di Teodoro Gaza, che avendo egli pure tradotti alcuni de’ medesimi libri, poichè vide le versioni dell’Argiropulo, diè al fuoco le sue, acciocchè per esse non venisser oscurate le prime, soffrendo ei volentieri la perdita della gloria che gliene sarebbe venuta, per non toglierla a un uomo troppo avido (a) Monsig. Fabbroni accenna una lettera scritta tla l’onta nell’ottobre del i4&9 dall’Argiropulo a Lorenzo de’ Medici (Fila. Laur. Medie, t. 2, p. 10), la qual ci mostra clic in quell’anno egli ancora viveva. 1 [p. 517 modifica]SECONDO 5 i 7 ili ottenerla. Queste traduzioni servirono alle prime stampe che si fecer delle opere di quel filosofo greco, e veggiamo in fatti il nome dell’Argiropulo nelle più antiche loro edizioni. Il Boernero (l. cit. p. 147) arreca i diversi giudizj che diversi scrittori ne hanno portato , alcuni de’ quali le han dette eleganti piucchè fedeli, altri fedeli più che eleganti, altri nè fedeli nè eleganti. Checchè sia di ciò, la stagion loro ancora è passata, e l’altre miglior traduzioni poscia intraprese han fatto dimenticar quelle dell’Argiropulo. Nè egli fu semplice traduttore , ma comentatore ancor d’Aristotele, e all’occasion della scuola da lui tenuta in Firenze, scrisse il Comento sull’Etica, che fu poi dato alle stampe l’anno 1478 da Donato Acciajuoli. Alcune ancora delle Omelie di S. Basilio furon da lui recate in latino, di che veggansi il Boernero (l. cit. p. 148) e il Fabricio (Bibl. graec. t. 10, p. 426), che di cotai traduzioni e di alcune altre operette dell’Argiropulo ragionano minutamente (a). Quindi, seguendo l’esempio dell’Argiropulo , più altri presero ad illustrare Aristotele , fra’ quali è degno di special ricordanza Lorenzo Lorenziano. Giovanni Pierio Valeriano lo dice uomo dottissimo nella greca e nella latina favella, e il più elegante scrittor filosofo che dopo i tempi di Cicerone fosse mai stato. Ma mentre si affatica nel comentare Aristotele, e parte (/7) Alcune Orazioni greche inedite dell’Argiropulo conservatisi tra i ross. della biblioteca di Madrid (Matril. Bibl. Codd. graec. t. 1, p. ^Gn). [p. 518 modifica]5 18 LIBRO de’ suoi libri era già pubblicata, parte stava per pubblicarsi, preso da improvviso furore si gittò precipitosamente in un pozzo, e vi rimase affogato (De Infelic. literat p. 43)•

XII. Se f Argiropulo illustrò la dottrina eie opei’e d’Aristotele, non prese però le armi o per difenderle, o per opugnar le contrarie. Ad altri greci filosofi era riserbato 1 eccitare su questo argomento in Italia una ostinata contesa. in cui essi fecer conoscere che nel mordersi e nel lacerarsi l’un l’altro non cedevan punto agli Italiani. Giorgio Gemisto, detto ancora Pletone, fu il primo a dare il segno della battaglia; non già perchè egli il primo, come altri hanno scritto, additasse agli Italiani le opere di Platone, perciocchè abbiamo veduto che esse eran notissime al Petrarca e ad altri filosofi nel secolo precedente; ma perchè egli prima di ogni altro avvisò di porre a confronto tra loro Aristotele e Platone, e di dare al secondo la preferenza. Di lui fra gli altri hanno scritto con diligenza Leone Allacci nella sua diatriba de Georgiis ristampata dal Fabricio (l. c. p. 789) e 1' Oudin (De Script, eccl. t. 3, p. 2348 , ec.) e il Bruckero (Hist crit. Philos. t. 4, p 41 * cc-)- P^o tempo ei fu in Italia; ed io perciò ne parlerò brevemente, accennando solo la parte eli1 egli ebbe nel promuovere lo studio della filosofia platonica. Era egli stato in Grecia maestro del celebre Cardinal Bessarione, che a tal fine erasi trasportato nella Morea, ove Giorgio abitava (Platina Paneg. card. Bessar.); e forse a questo dotto prelato, che intanto era stato eletto arcivescovo di Nicea, ci [p. 519 modifica]SECONDO 5 II) dovette l1 esser trascelto tra’ più valorosi teologi che doveano intervenire al concilio di Ferrara per la riunione delle due Chiese. In quella adunanza sostenne Giorgio osti natamente le opinioni de’ Greci, e fu ben lungi dall' imitare la docilità del suo scolaro Bessarione che si arrendette tosto che si vide convinto. L’Oudin e il Bruckero dicono ch’egli poscia, costretto a rifugiarsi in Italia , cambiò parere, e scrisse a favor de’ Latini. Ma nè io trovo eh1 egli, tornato dopo il concilio in Grecia (ove egli erasi restituito, come ci mostra una lettera del Filelfo (l. 5, ep. 7), fin dall’anno 1441) * rimettesse più il piede in Italia, nè veggo qual pruova si possa addurre di cotal cambiamento’ , perciocchè Manuello Malasso, che da essi si dice aver perciò scritto contro Pletone, non lo accusa già di aver abbracciata l’opinion de’ Latini, ma di avere mal difesa quella de’ Greci, valendosi di argomenti tratti non già dalla teologia, ma dalla filosofia de’ Gentili. Ma lasciamo stare gli scritti teologici e di qualunque altro genere di questo scrittore, che nulla a noi appartengono , e veggiam solo ciò di’ egli fece a favore della filosofia. Già abbiamo osservato nel parlare di Cosimo de’ Medici, che da Gemisto, venuto a Firenze pel trasporto del mentovato concilio, ei ricevette i primi stimoli a coltivare la filosofia di Platone, donde poi nacque quella famosa accademia da noi già mentovata, e di cui parleremo fra poco di nuovo. Ad eccitarne maggiormente lo studio, Pletone scrisse in greco un trattato della differenza tra la filosofia aristotelica e la platonica, il qual però non fu [p. 520 modifica]520 LIBRO dato alle stampe che l’anno 154* 1,1 Parigi nel suo original greco, e tradotto in latino T anno i5^4 1,1 Basilea. Aveano alcuni creduto che que’ due grandi filosofi si potessero conciliare insieme, e abbiamo altrove fatta menzione (t.5, p. 153) di un trattato scritto a tal fine nel secolo precedente da Giovanni da Fabbriano agostiniano. A Gemisto sembrava questo uno stranissimo paradosso, e perciò prese in questo suo libro a mostrare che l’opinioni dell’uno erano diametralmente opposte a quelle dell’altro. Nè pago di ciò , per lodar maggiormente Platone, ardì di deridere e di insultare Aristotele, e tutti coloro che n* erano ammiratori e seguaci. Xni. Era impossibile che un tal libro non esercitasse sanguinose contese. Giorgio Scolario, detto ancora Gennadio, che fu poi patriarca di Costantinopoli, rispose a Gemisto in uno stile nulla diverso da quello del suo avversario, e questi gli replicò con baldanza sempre maggiore. La risposta di Gennadio e la replica di Gemisto non sono mai uscite alla luce, e solo se ne conservano copie in alcune biblioteche, di che veggansi i suddetti scrittori, e inoltre M. Boiviiì clic eruditamente ha illustrata la storia di questa contesa tra i Platonici e gli Aristotelici (Mém. de l’Acad. des Inscr. t. 2, p.q 15). Gennadio non ebbe relazione alcuna colla letteratura italiana, e perciò a me basta accennare la parte eh' egli ebbe in tal disputa, e lascerò pure di narrar gli effetti che in Grecia nacquero da tal contesa, anche poichè Gemisto fu morto verso il 14^ i, il cui cadavero fu [p. 521 modifica]SECOXDO 5^I poi da Sigismondo Pan dolio Malatesta signor di Itimini trasportato a questa città fanno 147^, ed ivi onorevolmente sepolto (V. il Tempio di S. Francesco di Ri mi ni 1 Misceli, di Lucca t. 5, p. 120). Teodoro Gaza ancora vi si intromise, e con un suo libro , che pur conservandosi manoscritto, impugnò le opinioni di Platone e di Gemisto. Ma poiché questi fu uomo più per gli studj dell’amena letteratura che pe’ filosofici illustre t. di lui ci riserbiamo a parlare altrove più stesamente. Più distinta menzione dobbiam qui fare di due altri Greci che entrarono in questa contesa, e che, pel lungo lor soggiorno in Italia. meritan di avere luogo ne’ fasti dell’Italiana letteratura. Essi sono il celebre Cardinal Bessarione e Giorgio da Trabisonda, il primo difensor di Platone, f Aristotele il secondo. Il nome e la vita del Bessarione son troppo noti, perchè dobbiam (qui trattenerci a parlarne distesamente. Nato in Trabisonda nel 1395, e inviato a Costantinopoli per gli studj, vi ebbe a suoi maestri i più dotti tra’ Greci che allor vivessero. Passato poscia alla Morea, vi udì, come si è detto, Giorgio Gemisto, di cui ereditò la stima e la venerazion per Platone. La fama a cui pel suo ingegno egli era salito, il fece scegliere tra’ teologi che dovean recarsi al concilio per la riunione de’ Greci, e fu al tempo medesimo ordinato arcivescovo di Nicea. In quella grande adunanza ei sostenne dapprima le opinioni de’ suoi j ma, uomo com’egli era di vivace ingegno insieme e di animo retto e amante del vero, non sì tosto conobbe l’errore, che lo [p. 522 modifica]523 LlltRO abbandonò, e si diede a’ Latini. Del qual cambiamento alcuni scrittori, a’ quali sembra che ogni azion virtuosa muova da qualche vizio, han voluto recar per cagione la superbia e l’ambizione di questo prelato; calunnia apertamente smentita dalla modestia e dalle altre virtù che in lui risplenderono costantemente. Eugenio IV l’anno 1439) gli concedette l’onor della porpora. E il nuovo cardinale per essere più utile alla Chiesa romana diedesi allora con tal ardore allo studio della lingua latina, che potè poscia in essa scrivere felicemente. Il Papadopoli afferma (Hist Gymn. patav. t. 2, p. 272) che a tal fine ei recossi all’università di Padova; ma io vorrei ch’ei ne adducesse pruove più autorevoli che il detto del Tommasini. Adoperato da’ romani pontefici nel maneggio di più gravi affari, diede sempre costanti pruove d1 integrità non meno che di prudenza. Niccolò V, dopo averlo nominato vescovo prima di Sabina, poi di Frascati , lo destinò legato a Bologna , ove già abbiam veduto con quale impegno si adoperasse a ristorare i danni di quella università; e il Platina nel Panegirico in onore di lui recitato, e da noi mentovato altre volte, esalta a lungo la singolare saviezza con cui egli per lo spazio di cinque anni sostenne quella difficile legazione, e la dolce memoria che lasciò di se stesso in quella città. Molto si affaticò per conchiudere la tanto sospirata lega contro de’ Turchi, e fu a tal fine inviato da Callisto III ad Alfonso re di Napoli, e all’imperador Federigo III da Pio II; il qual pontefice onorollo ancora del titolo di patriarca [p. 523 modifica]SF.COXDO 5 pars 3. ili Costantinopoli. A’ tempi di Paolo II visse tranquillo in Roma, e allora fu singolarmente che si videro nel palazzo di questo dottissimo cardinale quelle erudite adunanze di cui abbiamo altrove parlato. Sisto IV mandollo suo legato in Francia , per riconciliare insieme il re Lodovico XI e il duca di Borgogna. Ma in questo affare non ebbe il Bessarione quel felice successo che si potea sperarne, e nel tornare a Roma, preso da mortal malattia, finì di vivere in Ravenna l’anno f 472? nomo degno d’immortale memoria e pel profondo sapere, e per le rare virtù della quali fu adorno, e per la singolare premura da lui adoperate nel promuover gli studi j di che son chiarissima pruova e la poc’anzi accennata accademia , e la biblioteca da lui donata , come altrove si è detto , alla Repubblica veneta, e i molti, singolarmente di sua nazione, eli’ ei manteneva col suo denaro agli studi dell1 università di Padova , e più altre cose che legger si possono e nel Panegirico già rammentato del Platina, e presso tutti coloro che di lui hanno scritto. Essi ancora , e più diligentemente di tutti il Fabricio (Bibl. gra.ee. t. 10, p. 401, ec.), l’Oudin (De Script, eccl. t. 3, p. 2411 , ec.) e il Boernero De doctis Homin. graec. p. 3(j, ec.) ci han dato il catalogo delle molte opere sì stampate che inedite in ambedue le lingue da lui composte, (a). Io non parlerò che di quella 1 ’■ I (a) Più esattamente di tutti ha scritta la Vita del Cardinal Bessarione il sig. abate Luigi Bandini fiorentino, che è stata stampata in Roma nel 1777. All: esalto [p. 524 modifica]5?4 LIBRO che a questo luogo appartiene, e che forse è fra tutte la più pregevole, cioè de’ Libri contro il Calunniator di Platone. Ma ci convien prima vedere chi fosse l’avversario, contro cui ei prese a combattere , cioè Giorgio da Trabisonda, della cui vita poichè non possono ritrovarsi così facilmente le opportune notizie, ci tratterremo con maggior diligenza nel ricercarle.

XIV. Poco e poco esatto è ciò che di lui ci bau detto l’Allacci (Fabr. Bibl. graec. t. 10, p. 721, ec.), l’Oudin (l. cit. p. 2400, ec), il Boernero (l. cit. p. 105, ec.), il Bruckero (Hist. crit Philos. L p. 65), ed altri somiglianti scrittori, i quali per lo più si attengono all’elogio fattone da Paolo Giovio. Alcune circostanze della vita di esso sono state diligentemente osservate dal Cardinal Querini (Diatrib. ad Epist. Barbar, p. 76, ec.), ma più esattamente di tutti ne ha ragionato Apostolo Zeno (Diss. voss. t. 2, p. 1, ec.), alle cui ricerche però mi lusingo di poter aggiugnere qualche cosa. Giorgio nato a Candia, ma oriondo da Trabisonda, da questa seconda città anzi che dalla prima volle prendere il nome , forse per isfuggire la taccia di mentitore che il poeta Epimenide diede già ai Cretesi. Perciò egli è detto per lo più Giorgio Trapezunzio. Il Zeno ha provato ch’ei non era già nato, come cocatalogo però, eh’ei ci ha dato delle opere di quel dottissimo cardinale , manca un’orazione da lui detta in Bologna prò exhortatione novi Praetoris, la quale è inserita nella Margarita Poetica dell’Eyh stampata in Roma nel i47-5. [p. 525 modifica]SECONDO 5a5 muncmente si crede, nell’anno 1369, ma nel precedente. Falso è ciò che alcuni de’ suddetti scrittori affermano, ch’ei venisse in Italia a’ tempi di Eugenio IV. Egli eravi certamente fin verso il 1420, cioè verso il tempo in cui Francesco Filelfo partì per la Grecia, come a suo luogo vedremo. Tra le Lettere di Francesco Barbaro una ne abbiamo a Pietro Tommasi, in cui dopo averlo ringraziato della cortese accoglienza che fatta avea a Giorgio Cretese suo famigliare, il qual è appunto il nostro Giorgio, lo prega di adoperarsi presso i Vicentini, ut ipse docto ac diserto Philelpho sufficiatur, postquam istinc discedet, ut in Graecam terram transmigret (ep.16). Anzi già da qualche anno prima dovea Giorgio esser tra noi; perciocchè Guarino da Verona, in una invettiva inedita contro del medesimo Giorgio, citata dal Zeno, si vanta di essergli stato maestro nella lingua latina , e Giorgio nella sua risposta confessa di averlo avuto a maestro, ma sol per due mesi, e di dovere quanto sapeva in tal lingua a Vittorino da Feltre, il qual vedremo altrove che verso questo tempo appunto trattenevasi in Padova. In questa città ei conobbe il suddetto Filelfo, e si strinse con lui in costante amicizia, come questi racconta (Epist. l. 25). Il Tommasi rispondendo al Barbaro, gli promette (l.cit.p. 17) di adoperarsi nell’ottenere ciò che gli chiede. E in fatti fu Giorgio chiamato da Vicenza, e destinato a pubblico professore. Guarino nella sopraccitata Invettiva gli rinfaccia che erasi ivi renduto così spregevole, che con fischiate ne era [p. 526 modifica]5 26 Linno stato cacciato. E Giorgio rispondendogli, confessa bensì che da Vicenza era stato cacciato j ma che ciò era avvenuto per opera dello stesso Guarino che, tenendo scuola in Verona, soffriva mal volentieri la vicinanza di un tal rivale. Ciò però non accadde che dopo l’anno 1426. perciocchè nel dicembre del detto anno era Giorgio ancora in Vicenza, come pruova il P. degli Agostini (Scritt. venez. t. 2, p. 56) con un codice della biblioteca di S. Marco, in cui si contiene un opuscolo De si invitate direnili da lui in quel tempo inviato da Vicenza a Domenico Bragadino. Ma non si può differire molto più oltre la partenza di Giorgio da quella città, perciocchè essendo Guarino l’anno 1429 passato a Ferrara, come altrove si proverà, fa d’uopo affermare che innanzi a quel tempo, e mentre egli era ancora a Verona, essa avvenisse. Da Vicenza io credo che si trasferisse Giorgio a Venezia, per sostenervi parimente la cattedra di eloquenza greca , benchè il Zeno affermi che prima in Venezia che in Vicenza ei fosse maestro. Certo era in Venezia nel 1433. Perciocchè Ambrogio camaldolese, in una sua lettera di colà scritta nel giugno di quell’anno a Niccolò Niccoli , ne fa questo magnifico elogio: Giorgio da Trabisonda uomo al certo assai dotto e in greco e in latino e nella sacra letteratura verrebbe ben volentieri a Firenze, se o dal Pubblico, o da qualche privato gli si assegnasse un onesto stipendio. Egli è pieno d ingegno; e non saprei spiegare abbastanza di quanto onore e di quanto vantaggio io credi [p. 527 modifica]SECONDO 027 eh ei sia per essere a cotesta città, quando vi sia chiamato. Non ha ombra di finzione nò if impostura. Fa più che non dice, e a mio parere istruirebbe ottimamente i giovani in amendue le lingue, e sarebbe molto miglior dal Filelfo. Se vi è speranza di chiamarlo costà, credimi ^ Niccolo mio y di ei gioverà moltissimo alla città. Desidera sommamente di venire tra voi, per godere de’ vostri ragionamenti e della vostra compagnia. Rispondimi tosto, cosa si possa sperare, che io ne conchiuderò presto il negozio (l. 8, ep. 46). Non so che rispondesse il Niccoli ad Ambrogio j e in un’altra lettera del giugno dell’anno stesso, in cui Ambrogio di ciò gli ragiona , accenna cosa che io non intendo, nè so a che voglia alludere: Intorno a Giorgio da Trabisonda, dice (ib. ep. 47)) veggo ciò che possiamo sperare, e ho letta con dolore la lagrimevol tragedia, sdegnandomi meco stesso che l'insolenza di costui sia giunta a tal segno, che per poco abbia esposto a pericoli di tormenti i libri cittadini. Qualunque cosa però voglia qui dire Ambrogio, è certo che Giorgio era in Venezia ancora nel 14^ 1? quando, essendo morto Fantino Micheli , egli ne fece l’orazion funebre: Morì in questi giorni Fantino Micheli Procuratore, e furongli fatte belle esequie... Fece l’Orazione Giorgio Trabesundeo (Script. rer. ital. vol. 22, p. 1037). Della cattedra ottenuta in Venezia è probabile che ei fosse debitore a Francesco Barbaro, a cui avea dovuta quella ancor di Vicenza. Nella prefazione alle Leggi di Platone da sè tradotte, annovera Giorgio i beneficj che dal Barbaro [p. 528 modifica]5a8 libro avea ricevuti; e il Barbaro stesso, in una sua lettera pubblicata dal P. degli Agostini (l. ciL p. 57), rammenta quanto per lui avea fatto: e da questi due monumenti noi raccogliamo clic per opera singolarmente del Barbaro era Giorgio venuto in Italia; cbe egli l’avea fatto istruire nella lingua latina; cbe avealo in ogni cosa ajutato, e ottenutogli il diritto della veneta cittadinanza. La lettera ora accennata fu scritta dal Barbaro l'anno 1435, in cui Giorgio probabilmente era ancora in Venezia, a Lodovico Scarampi ossia Mezzaruota vescovo di Trau e poi cardinale, acciocchè si adoperasse presso il pontefice Eugenio IV per ottenere a Giorgio qualche onorevole posto in corte. In essa ne esalta con somme lodi f eloquenza e il sapere, e singolarmente il zelo che avea per la riunione de’ Greci, de’ quali avendo una volta seguito gli errori, conosciuta poscia la verità, aveala tosto abbracciata, anzi avea scritta una lettera a confutare le opinioni de’ suoi nazionali, cui perciò il Barbaro mandava allo Scarampi, perchè la mostrasse al pontefice (*). Queste istanze medesime rinnovò il Barbaro a questo vescovo nell’anno 1437, come da un’altra lettera pruova il citato P. degli Agostini. Ed è probabile che allora, o non molto appresso, ottenesse, come bramava, di veder Giorgio chiamato a Roma, ove certamente egli era nel 1442 come ci mostra una lettera da (4) Questa lettera di Giorgio da Trabisonda al pontefice Eugenio IV è stata poi pubblicata dal P. abate Mittarelli (Bill. MSS. S. Michael. Venet. p. 1143). [p. 529 modifica]SECONDO 5 29 Leonardo Giustiniani a lui scritta nell’aprile del detto anno (L. Justin. ep. 19), e deesi perciò correggere il Zeno, che il dice andato a Roma nell’anno 1430 a’ tempi, dice egli con altro errore, di Eugenio IV. Giorgio non ebbe ivi, a mio credere, altro impiego che quello d’insegnare pubblicamente l’eloquenza, congiungendo ad essa i precetti della filosofia. Di questo metodo da lui tenuto nell’insegnare parla con molta lode Paolo Cortese: Georgius Trapezuntius, dice egli (De Hom. doct. p. 25), bonus sane Rhetor, qui aliquot annos populo Romano utilissimam operam praebuity et docuit cum multos , tum etiam multa scripsit de artificio dicendi ‘ et adhibuit in scribendo illa adjumenta, quae habuerat a Peripateticis, qui praeter caeteros Philosophos rationem dicendi latioribus quibusdam praeceptis complectuntur. Qui mos erudiendae juventutis retentus est a Pomponio nostro; vir enim per se magnus incredibilia studia ad eloquentiam limatioremque elegantiam convertit. Occupavasi egli frattanto nel recare di greco in latino molti degli antichi scrittori, il che venuto a notizia del gran pontefice Niccolò V, da lui, come afferma Rafaello Volterrano (Comment. urbana. l. 21), fu dichiarato suo segretario, e fu insieme incaricato di più altre traduzioni (a). Delle fatiche di Giorgio (a) Il sig. abate Marini ha giustamente congetturato che Giorgio da Trabisonda servisse per qualche tempo da segretario anche al pontefice Eugenio IV morto nel 1447 (Degli Archiatri ponti f. t. 2, p. 156) ,’ perciocché Callisto III in una sua Bolla del 147 10 dice f Tiraboschi, Voi. VII. 34 [p. 530 modifica]530 LIBRO in queste versioni parlano, oltre i già accen* nati scrittori, monsig. Domenico Giorgi (Vita Nicol. V, p. 178, ec.) e monsig. Buonamici, il quale racconta (De Clar. Pontif. Epist Script p. 93), e pruova coll’autorità delle Memorie inedite di Angelo Colocci (ib. p. 191), che avendogli un giorno quell’ottimo pontefice offerta una gran somma di denaro, e sembrandogli che Giorgio arrossisse in riceverla, prendi, prendi, gli disse, che non sempre avrai un Niccolò.

XV. Sotto un sì liberale e sì amabil pontefice poteva Giorgio assicurare la sua fortuna. Ma ei non seppe opportunamente goderne. Era egli uomo presuntuoso del suo sapere e collerico innoltre, e troppo pronto perciò ad aver brighe con chicchefosse. Ei s’inimicò con Guarino, perchè nella sua Rettorica ardì di riprender l’esordio di un’orazione dello stesso Guarino composta in lode del conte Francesco da Carmagnuola, e quindi poi vennero le due amare invettive dell un contro l’altro da noi già accennate. Egli ebbe lite con Poggio fiorentino , eli’ era allora in Roma segretario egli pur del pontefice , e gli rinfacciò di essersi usurpata la gloria della traduzione della Ciropedia di Senofonte e della Storia di Diodoro Siculo, in cui Giorgio affermava di aver sostenuta egli stesso la maggior parte della fatica (V. Georg. Vit Nicol. V, p. 177). E quindi segretario suo et nonmillorum suorum Pnredrcessomm, cioè non solo di Niccolo V, ma anche dell' uuiccessor di esso Eugenio. [p. 531 modifica]SECONDO 53I forse ne venne ciò che racconta Lorenzo Valla (Antidot in Pogg /. i; Pogg. Invect. 2 in Vali.) t cioè che avendo Giorgio rimproverato a Poggio , clic scritta avesse un1 invettiva contro di lui, e avendogli questo risposto: Tu menti per la gola; Giorgio acceso di sdegno, diede a Poggio due solenni guanciate, e che indi si azzuffarono amendue con tale furore, che a stento venne fatto a’ lor colleghi di separarli. Ei venne ancora a contesa con Teodoro Gaza, che recatosi un giorno alla scuola di Giorgio riprese pubblicamente una diffinizione da esso data, dalla qual hle, cbe ebbe lunga durata, parla esattamente il ch. Sassi (Hist. Typogr. mediol. p. 156). Alcune traduzioni di Giorgio non piacquero al pontefice, e quella singolarmente della Preparazione di Eusebio, e perciò Niccolò diede l’incarico ad Andrea Contrario di emendarla (Georg. l. cit. p. 179). Si crede comunemente, e così ancora ha pensato Apostolo Zeno, che alla rovina di Giorgio desse l’ultima spinta l’opera da lui divulgata in difesa d1 Aristotele contra Platone. Ma noi mostreremo tra poco ch’essa non fu composta che nel 1458, e che non potè perciò cagionare la sventura del suo autore. Questi in un codice della biblioteca Ambrosiana, che contiene l’Almagesto di Tolommeo, rammentato dal Sassi (Hist. Typogr. mediol. p. 158) ci ha informati del vero motivo di essa così scrivendo: Pontifex summus Nicolaus V. Volani eri traducendum mense Martii tradidit, et mense Decembris anni ejusdem et Librum traductum et Commentaris vidit absolulos, [p. 532 modifica]532 L1HRO propter quos postea me destruxit, ut scedulae os tendimi per ignorantis si ni um Jacob uni Cremoncnsem appostine, cioè quel Jacopo Cassiani di cui altrove diremo. Che cosa egli scrivesse in quelle schedole, nol sappiamo. Ma queste parole ci fan vedere chiaramente che il Comento sopra f Almagesto di Tolommeo, qualunque ragion se ne fosse, ne fece cader l’autore in disgrazia presso il pontefice. Niccolò V adunque sdegnato contro Giorgio, gli comandò di uscire da Roma. Quando ciò accadesse, raccogliesi dalle lettere che in quel tempo corser tra lui e Francesco Barbaro. Giorgio in una sua lettera gli dà nuova della versione di Tolommeo ingiuntagli dal pontefice, e Francesco gli risponde con due sue lettere de’ 7 e de’ 15 di marzo del 1452 (Barbar. ep. 198, 199, 200). Quindi Giorgio di nuovo gli scrive da Napoli a’ 17 di settembre dell’anno stesso (ib), ep. 201), e gli dice che pochi giorni dacchè ebbele ricevute in Roma, avealo la fortuna oppresso per modo, che non avea avuto coraggio di rispondergli , e che ora, essendo già da più mesi con tutta la famiglia in Napoli sicuro e tranquillo, avea finalmente risoluto di scrivergli. Andrea figliuol di Giorgio, nella prefazione all’Almagesto di Tolommeo tradotto da suo padre, afferma che il re Alfonso non solo amorevolmente lo accolse, ma assegnogli ancora lauto stipendio con cui sostenere e sè e tutta la sua famiglia. Ma un’altra lettera di Giorgio al Barbaro ci mostra il contrario. Aveagli Giorgio inviata la sua traduzione delle Leggi di Platone, cui per consiglio di esso dedicata avea alla Repubblica [p. 533 modifica]SECONDO 533 Veneta. Ora di ciò scrivendogli a’ 14 di agosto del i [33 (giacche io credo che per errore leggasi nella stampa XXVII Cal. Septemb. invece di XVIII) gli si raccomanda ep. 210) perche gli impetri dalla Repubblica qualche soccorso all’estrema sua povertà necessario: Io ho, gli dice, due figli, e cinque figlie, (due delle quali già nubili; e la fortuna mi è stata così crudele, che non si può pensare più oltre. Perciocchè trasportato da Roma tutto il denaro mio e de’ miei figli, avendo questi cominciato a trafficare con quello che raccolto aveano col vender colà i loro impieghi, e avendo io consegnato il mio a’ banchieri, tutti coloro, a’ quali ed essi ed io ci eravamo affidati, sono falliti, sicchè appena mi rimane onde vivere, nè vi è speranza alcuna di provvision regia, o di salario. Il Barbaro non ebbe tempo di giovare, come avrebbe voluto , a Giorgio, perchè pochi mesi appresso morì. Venuto a Napoli verso il tempo medesimo Francesco Filelfo, questi ripassando per Roma nel tornare a Milano, parlò in favore di Giorgio al pontefice Niccolò V, e con qual felice successo udiamolo da lui medesimo che così gli scrive da Roma a’ 28 d’agosto dello stesso anno (l.11, ep. 38): Appena giunto a Roma, e introdotto al potitefi.ee, che era assai travagliato dalla podagra , ho tosto ottenuto ciò che partendo di costà io ti avea promesso, e ho trattato sì bene la tua causa, che mi è riuscito di piegare in tal modo l'animo del pontefice prima assai da te alienato, come ben sai, che non solo permette, ma sembra ancor che desideri il tuo ritorno. [p. 534 modifica]534 LIBRO 10 ti avviso perciò, e ti prego a non differire la tua venuta, ma a navigar tosto, come suol dirsi, con vele e remi, poichè è favorevole il vento; perciocchè troverai le tue cose in un tranquillo porto. XVL Se Giorgio tornasse, o no, a Roma, non ne trovo indicio, o monumento alcuno. Ma io penso eli’ ei vi tornasse, per esserne dopo qualche anno di bel nuovo cacciato (a). È certo ch’egli compose circa il i458 la sua Comparazione tra Aristotele e Platone, in cui esaltando il primo con somme lodi, maltratta 11 secondo per modo, che non teme di dire Maometto essere stato legislatore miglior di Platone. L’epoca di questo libro raccogliesi da un trattato inedito di Andrea fìgliuol di Giorgio contro lo stesso Platone, che fu veduto l’anno 1^56 dal eh. ab. Zaccaria nella libreria de’ Gesuiti di Mantova, e di cui egli ha pubblicata la prefazione al pontefice Paolo II, e la conchiusione (Iter litter. p. i 27). Or egli parlando dell’opera di suo padre la dice: a Georgio Trapczuntio patre meo in tres libros Calisti Pontificata felicissime digestum; e poco appresso , dopo aver detto che niuno aveagli (a) Giorgio tornò veramente a Roma, come io avea congetturato, e fu segretario non solo di Callisto III, ma anche di Pio II , come ci mostra una Bolla di questo papa del 14 di settembre del 1458, accennata dall’abate Marini (t. 2, p. 136). Ma poco dovette in quell’impiego continuare, poichè l’anno seguente egli era in Venezia. Presso lo stesso scrittore si possono anche veder notizie di Andrea figliuol di Giorgio (ivi, p. i38). [p. 535 modifica]SECONDO 535 finallora risposto, benchè alcuni minacciassero da gran tempo di farlo, aggiugne: Caveant, obsecro, jam amplius decennio, ne cum obstetricibus abortent. Andrea scrisse questo trattato all’occasione dell’edizioni fatte in Roma l'anno 1469 di Apuleio e di Alcinoo, a cui Giannandrea vescovo d' Aleria avea premessa una prefazione piena di encomj pel Cardinal Bessarione e per Platone. Eran dunque allora oltre a dieci anni che l’opera di Giorgio era stata pubblicata; e perciò essendo essa stata composta ai tempi di Callisto, morto nell’agosto del 1458, convien credere che verso l’anno medesimo ciò accadesse. Quest1 opera fu probabilmente cagione a Giorgio di nuova sventura e di nuovo esilio da Roma. Perciocchè noi veggiamo eli1 egli l’anno i4;9 offrì di nuovo alla Repubblica Veneta il suo libro delle Leggi di Platone, che il Barbaro non avea potuto offrirle, e che la Repubblica ne lo compensò colf usata sua magnificenza. Marino Sanudo ce ne ha lasciata memoria nella sua Storia al detto anno: Venne d Agosto in questa Terra Giorgio Trabesonzio , e presentò al Doge il libro di Platone de legibus tradotto per lui di Greco in Latino, e fu condotto a leggere in questa Città in Umanità con salario di 150 ducati all’anno, e fece la sua Rettorica intitolata alla Signoria nostra chiamata Rettorica Trabsezuntina (Script. Rer. ital. vol. 22, p. 1167). Il P. degli Agostini ha prodotte (Scritt. venez. t. 2 , p. 113) le parole medesime del decreto che perciò fu formato. Egli vi era ancora nel 1460; perciocchè Lodovico Foscarini, in [p. 536 modifica]530 ’unno una sua lettera pubblicata dallo stesso p. degli Agostini, racconta (ib. t. 1 , p. 76) di se medesimo, che essendo tornato dal concilio tenuto in quell’anno in Mantova , si adoperò per* hè fosse prescelto qualche dotto scrittore a stender la Storia della Repubblica, e tra que’ che a ciò concorrevano, nomina Giorgio: Aderat Georgius Trapezundeus. Petrus Parlco , ^Fari us Philclpìius Mi Ics, qui certatim et gratis se pulcherrimo mime ri ojjerebant; e soggi ugue che essendo egli intanto andato luogotenente del Friuli, clic accadde nel 1461 , cesserunt Georgius et Marius. Infatti racconta lo stesso Giorgio nel Martirio del B. Andrea da Scio, il qual può vedersi negli Atti de’ Santi (Acta SS. maii t. 7, p. i85) , ebe l’anno 1 fo.\ andossene da Venezia alla natia sua isola di Candia, donde tragittò a Costantinopoli , e vi giunse nel novembre del 1465, sei mesi dacchè ivi era stato per odio della Religione cristiana ucciso il suddetto martire, e che tornando in Italia ne scrisse gli Atti per voto da lui fatto in una pericolosa tempesta di mare, da cui si vide assalito. Giunto in Italia, trovò eletto pontefice Paolo II, stato già suo scolaro, e sperando di trovar presso lui protezione e favore, recossi a Roma. Ma ivi incorse verso l’anno 1467 in un’altra disgrazia, non avvertita ch’io sappia, da alcuno scrittore, cioè di esser posto in prigione per ordine dello stesso pontefice. Di questo, fatto non avremmo notizia alcuna, se non ce ne avesse lasciata memoria Gaspare da Verona nella Vita che scrisse di Paolo II. Udiamone recato nella volgar nostra [p. 537 modifica]SECONDO 537 lingua il racconto, cIjc ci dii altre assai pregevoli notizie; benchè esso sia , come or vedremo mancante. Comincerò, dice ei;Ji (Script. rer. ital. t. 3, pars 2, p. 1039) nel libro terzo della sua opera, che abbraccia le cose da Paolo operate nel terzo anno del suo pontificato, cioè dal settembre del 1466 fino allo stesso mese dell1 anno seguente, comincerò da Giorgio da Trabisonda, il cui fatto ho narrato nel primo libro (questo si è smarrito (a)) ove sembra ch’esso sia rimasto imperfetto. Perciocchè essendo egli stato quattro mesi in Castel S. Angelo, Paolo II, piissimo pontefice, ordinò che quel vecchio, stato già suo maestro in gramatica, fosse liberato, e ciò per riguardo delle molte virtù che in lui erano, come di Andrea di lui figliuolo scrittore apostolico, giovane assai affezionato a suo padre e di ottimo ingegno, il quale or conta circa ventinove anni di età. Ma per tornare al padre , non trovossi egli reo di tanti delitti, quanti se ne spargevano. Nell’uscire però dal carcere, gli fu comandato che non movesse dalla sua casa senza licenza del pontefice j il qiuil divieto fu poi dallo stesso papa pochi giorni appresso levato. E in. ciò operò) il pontefice giustamente, essendo egli stato già punito abbastanza, ed avendo bisogno, decrepito coni egli era, di quiete e di riposo, ed (a) Il primo libro della Vita di Paolo I! scritta da Gasparo veronese è stalo poi pubblicato , come altrove si è detto, dal eh. sig. abate Gaetano Marini. E nondimeno io non ritrovo il latto di Giorgio da Trabisonda, eh’ei dice di avere in esso narrato. Forse qualche parte di esso si è siuarritta. [p. 538 modifica]538 LIBRO essendo innoltre stato di lui discepolo. Ma basti così di questo uomo dottissimo nella greca e nella latina lingua, scrittore, di molti libri, e. a’ nostri utilissimo. La perdita del primo libro della Storia di Gasparo ci vieta il sapere per qual ragione fosse Giorgio rinchiuso in carcere. Ma il riflettere che verso quel tempo appunto seguì lo scioglimento del collegio degli abbreviatori , e che come Giorgio, così il Platina ancora stette per quattro mesi prigione, mi rende probabile che Giorgio pure fosse uno degli abbreviatori , e che avendo ne’ suoi trasporti contro di Paolo imitato il Platina, gli fosse compagno ancor nel gastigo. Era già allora Giorgio in età di oltre a sessanta anni, e continuò! nondimeno a vivere ancora a lungo tempo. Nel 1471 era egli sì debole che, come scrive egli stesso a Cola Montano in una lettera riferita dal Sassi (Hi st. Tipogr. mediol. p. 155), non poteva nè formare i caratteri, nè leggere cosa alcuna senza grande fatica , e nondimeno in quell’anno stesso ei finì il Compendio di Prisciano delle parti dell1 Orazione, che fu poi l’anno seguente stampato in Milano. Ma nell’ultimo della vita gli avvenne ciò che di altri ancora si legge, cioè di perdere interamente la memoria. Così ci assicura Rafaello Volterrano che l’avea già avuto a maestro: In extrema senectute oblitus erat omnino litterarum, solusque per urbem baculo innixus incedere malebat. La morte di Giorgio viene comunemente fissata da altri al i486, da al 1485; ma il Zeno reca l’osservazione fatta dal P. Papebrochio, cioè che Andrea di lui [p. 539 modifica]SECONDO 53) figliuolo dedico al pontefice Sisto IV la traduzione dell’Almagesto di Tolommeo fatta dal suo padre, affermando che questi non avea potuto finirla sorpreso dalla morte. È certo dunque che Giorgio morì prima de’ 12 d’agosto del 1484 ultimo giorno della vita di Sisto. Ei fu sepolto nella chiesa della Minerva, e l’Allacci si duole che l’iscrizion sepolcrale, esposta al calpestio di chiunque entra in quella chiesa, sia rosa per modo, che appena se ne rileva il nome.

XVII. Moltissime sono le opere di Giorgio da Trabisonda, delle quali più esattamente di tutti ragiona il Zeno, e alcune altre ancora ne ha annoverate T eruditissimo monsignor Mansi (Fabr. lì ibi med. et inf. Latin, t. 3, p. 36). Esse sono primieramente traduzioni di greco in latino sì di opere sacre, cioè della Preparazione di Eusebio, di più opere di S. Cirillo Alessandrino, di S. Gregorio nisseno e del Nazianzeno, e di S. Giovanni Grisostomo; come ancor di profane , cioè di molte opere d’Aristotele, delle Leggi di Platone, e dell1 Almagesto e del Centiloquio di Tolommeo ,* c (Ji una orazion di Demostene. Queste traduzioni furono allora da molti avute in gran pregio, come ci danno a vedere le lodi con cui abbiamo uditi parecchi ragionare di Giorgio, ma poscia comunemente sono state riprese singolarmente per la poca esattezza del traduttore, il quale, conf egli stesso talvolta confessa , toglieva e aggiugneva all’originale ciò che pareagli meglio. Più opuscoli egli scrisse nella natia sua lingua, i quali appartengono per lo più ad argomento sacro, e principalmente al grande affare della [p. 540 modifica]54o libro riunione de’ Greci, per cui egli mostrò sempre sincero e costante impegno. Molto ancora scrisse in latino, e meritan distinta menzione i cinque libri dell’Arte rettorica stampati la prima volta in Venezia l’anno 1470. !e’ quali non solo parla con molta lode il Sabellico nel suo dialogo intorno alla riparazione della lingua latina , ma tra’ moderni ancora M. Gilbert , il cui giudizio sommamente onorevole a questi libri si produce dal Zeno, e si può vedere più ampiamente ancora disteso nell’opera di quello scrittore (Jugem, des Savans qui ont écrit, ec. p. 160). Allo stesso argomento appartengono le riflessioni e i commenti su alcune orazioni di Cicerone. Aggiungansi le orazioni e le lettere da lui scritte, gli opuscoli in sua difesa e contro i suoi avversarj, e altri libri, de’ quali si può vedere il sopraccitato esattissimo Zeno , che distingue quegli che si hanno alle stampe da que’ che si conservano manoscritti , e dà una giusta idea dell’argomento e dell’indole di ciascheduno di essi. Io debbo sol trattenermi su quello che appartiene alla contesa di cui trattiamo, e a cui, dopo aver fatto conoscere que’ che vi ebbero le prime parti, dobbiamo or fare ritorno.

XVIII. Teodoro Gaza avendo scritto un libro contro Platone, e in difesa d’Aristotele da lui ingiuriato, diede occasione al Cardinal Bessarione di fargli una modesta risposta intitolata de Natura et Arte, ch’egli poi aggiunse più anni dopo alla sua opera contro Giorgio da Trabisonda. Era il Gaza uomo modesto, e perciò la contesa tra lui e il cardinale non andò [p. 541 modifica]SECONDO 54! più oltre. Ma Giorgio uomo di tutto altro carattere, e sdegnato già col Bessarione, perchè questi in altra occasione avealo proposto al Gaza, scrisse e divolgò una lettera in greco intitolata: Ultrum natura consilio agat: in cui fingendo di combattere contro il Gaza, si rivolse veramente contro il medesimo cardinale, e scrisse in maniera che troppo disdiceva ad, uno singolarmente che molti benefici avea da lui ricevuti. Più ancora si avanzò egli nella sua opera scritta in latino e intitolata Coniparatiojies Philosophortim yJ risto telis et Platonis, da lui composta, come si è detto, verso il 1458, e poi stampata in Venezia del 1523; perciocchè in essa non vi ha delitto di sorta alcuna ch’ei non rimproveri a Platone, nè alcuna pubblica calamità eli’ ei non attribuisca alla platonica filosofia. Il Cardinal Bessarione che era grande ammiratore di questo antico filosofo, e che amava innoltre il suo maestro Pletone, prese a difendere amendue, e pubblicò la sua opera intitolata In Calumniatorem Platonis, che fu poi stampata in Roma senza nota di anno dai due celebri stampatori tedeschi Pannartz e Sweinheim. Giannandrea vescovo d’Aleria, nella prefazione già accennata alle Opere di Apuleio e di Alcinoo fatta nel i4&)? afferma che il cardinale avea di fresco intrapresa e compita quest’opera: Defensionis Platonicae libros nuper scribere adgressus tanta id majestate et felicitate egitj ec. Ma essa non dovea ancora essere renduta pubblica , poichè Andrea figliuol di Giorgio uelf opuscolo sopracitato si vanta che niuno avea finallor risposto a suo padre, [p. 542 modifica]54 3 LIBRO benché pur vi fosse chi minacciava gran cose: Cui... nullus ad hunc usque, quod videatur, diem quicquam rese ribere aut quicquam comminisci potuit , quamquam adversus hoc divinum Trapezuntii opus nescio quosferant parturire (a). In questa opera con dottrina ed erudizion singolare si fa il Bessarione ad esaminare le opinioni, principalmente in ciò che spetta alla morale , del suo Platone; mostra quanto dappresso ei si sia accostato a’ dogmi della cristiana religione; ribatte la accuse con cui Giorgio si era sforzato di oscurarne la fama, e pruova che le opinioni d’Aristotele sono assai meno fondate di quelle di Platone, la cui causa però ei non difende per modo, che non confessi esser lui ancora caduto in molti errori. Un breve e sugoso compendio di questa dotta apologia si può vedere presso il Bruckero (l.c.p. 46). Prima che il cardinale intraprendesse quest’opera, altri erano insorti, e avean voluto aver parte in questa contesa. Michele Apostolio costantinopolitano, uno de’ rifugiati in Italia dopo 1’espugnazione eli quella città, e accolto amorevolmente del Cardinal Bassarione, si lusingò di ottener grazia sempre maggiore presso di lui, se avesse prese le armi per difender Pla(a) L’opera elei Cardinal Bessarione in difesa di Platone, benché si stampasse in Roma senza duta di anno, appartiene però al i4^*) (Audifredi i’al. rom. ed/t. satc. xr, p. ai, ee.), ma forse agli ultimi mesi di esso, nel qual modo si può conciliare ciò che abbiamo veduto nllennarsi da Andrea da Trabisonda nel suo opuscolo scritto iu quest’unno medesimo, cioè che quell’opera non avesse ancora veduta la luce. [p. 543 modifica]SECONDO 543 tone, e per abbatterne gli avversarj. Scrisse dunque contro l’opera da Teodoro Gaza già pubblicata in favor di Aristotele, e di lui e di Aristotele parlò con insoffribil disprezzo. Andronico soprannomato Callisto, di cui diremo più a lungo nel trattare de’ professori di lingua greca , rispose a Michele, ma in tal maniera, che difendendo Aristotele non ingiuriava Platone. Egli inviò copia così del libro di Michele, come del suo al Cardinal Bessarione; e questo grand1 uomo, che antiponeva I’ arnor della verità allo spirito di partito, rispondendo ad Andronico, approvò il libro, e gl’inviò insieme una lunga lettera ch’egli scriveva a Michele, in cui riprendevalo severamente delle ingiurie e delle villanie che contro Teodoro e contro Platone e contro Aristotele avea dette nella sua opera, rammentandogli che non era quello il modo con cui una buona causa dovea difendersi. Il libro di Michele conservasi manoscritto, secondo il Fabricio (Bibl. graec. t. 10, p. 224), in alcune biblioteche. Di quel di Andronico non veggo chi accenni esemplare che ancora esista. Le lettere del Cardinal Bessarione ad amendue sono state pubblicate da M Boivin (l. c.p. 720) insieme con un1 altra di Niccolò Sagondino al medesimo Andronico, che disapprova parimente il libro dall’Apostolio pubblicato. Tutte queste lettere appartengono all1 anno 14625 e M. Boivin asserisce che 1* opera di Giorgio da Trabisonda, da noi già rammentata, fu scritta solo dopo quest1 epoca. Questo sentimento sembra che in qualche modo confermisi dal riflettere che nè l’Apostolio nè il cardinale non fanno [p. 544 modifica]544 LIBRO menzione alcuna dell’opera di Giorgio. Nondimeno si è già chiaramente mostrato che Giorgio fin dal 1458 avea scritta la sua comparazione fra Aristotele e Platone. Andrea di lui figliuolo levossi poscia in difesa del padre l'anno 1469 ma il libro da lui composto convien dire che non avesse gran plauso, poichè non trovo chi ne faccia menzione; e non se ne avrebbe notizia, se non fosse stato di fresco, come si è detto, scoperto in Mantova.

XIX. Di questa lunga ed ostinata contesa fra i Platoniani e gli Aristotelici furono gli Italiani semplici spettatori, e niun di essi, ch’io sappia , si congiunse a combattere o colf uno , o colf altro partito. Ciò non ostante appresso essi trionfò allora Platone, e la stima a cui avealo sollevato in Firenze Gemisto Pletone, e l’esempio che ne diedero prima Cosimo e Pietro, e poi il gran Lorenzo de’ Medici, fece sì, che in Italia, e singolarmente nella Toscana , ad altro quasi non si pensasse che alla platonica filosofia, e si credesse di ristorare interamente la scienze col richiamarla in vita. L’accademia istituita da Cosimo, e perfezionata poi da Lorenzo, avea per suo particolare istituto il promuovere e rischiarare la dottrina e l’opere di Platone, e noi abbiamo altrove veduti gli eruditi congressi e i lauti insieme e dotti conviti che da quegli accademici si solean ritenere, e la festa con cui celebravasi il dì natalizio di quel filosofo. Platone era in certo modo il loro idolo , l’unico oggetto de’ lor pensieri, de’ loro ragionamenti , delle loro fatiche) e il lor trasporto per esso giunse a tal [p. 545 modifica]SECONDO 5 segno , die li condusse sino a scriver pazzie che non si posson leggere senza risa. Ciò che or ora diremo, ragionando di quelli che più in ciò si distinsero , cel proverà chiaramente. Due furono i principali tra essi, uomini amendue di acuto ingegno e di infaticabile studio , che volto a cose migliori avrebbe prodotti frutti in ara vi gli osi , ma che da essi impiegato nelle misteriose follie di Platone, ha renduti inutili tutti i loro sudori. Essi sono Marsiglio Ficino e Giovanni Pico della Mirandola, a’ quali deesi a buon diritto in questa Storia una distinta menzione.

XX. Molti tra’ moderni scrittori ci han data la Vita del Ficino, e fra essi più stesamente di tutti il P. Niceron (Mem, des Homm. ill. t. 5), lo Schelhornio (Amoenit. litter. t. 1) e il Bruckero (Hist crit. Philos. t. 4 p 49 ec-)Ma miglior lume ad illustrarla ci ha dato di recente il ch. canonico Bandini, col pubblicare la Vita che l’anno 1506 ne scrisse Giovanni Corsi fiorentino; e diligenti notizie se ne hanno ancora negli Elogi degli illustri Fiorentini (t. 1). Di questi fonti noi ci varremo singolarmente, aggiugnendo solo, dove sia duopo, qualche altra notizia che dalle opere dello stesso Ficino e da’ monumenti prodotti nelle note alla Vita or mentovata ci venga somministrata. Marsiglio figliuol di Ficino chirurgo assai rinomato in Firenze (giacchè non parmi abbastanza provato ch’ei fosse figlio di quel Diotifece da Fighino,, o da Fighine, nominato in alcuni documenti citati ne’ suddetti Elogi, essendo per altro certo che i suoi maggiori erano oriondi da quella Tirauoschi, Voi. VII. 35 [p. 546 modifica]546 LIBRO terra) nacque a’ 18 di ottobre del 1433. Istruito negli elementi gramaticali da Luca Quarquaglio da S. Geminiano maestro a que’ tempi in Firenze, a cui Marsiglio confessa di dover molto (l. 1, Epist ad Matth. Palmer.), nel legger le opere di Cicerone e di altri latini scrittori avendo osservato ciò cbe essi scrìveano di Platone, cominciò ad ammirarlo, e ad amarlo, e a raccoglierne ovunque potesse le massime e le opinioni. Ma a Ficino, che non ostante l’eccellenza nella sua arte trovavasi in assai povero stato, premeva più di aver nel figlio un buon medico che un dotto Platonico, e mandollo perciò agli studj a Bologna; e a Marsiglio, benchè di mal animo, fu forza ubbidire. Per buona sorte venuto una volta da Bologna a Firenze, e dal padre condotto alla presenza di Cosimo de’ Medici, questi fu preso per modo e dalle sembianze c dagli indicii di grande ingegno che gli parve di ravvisare in Marsiglio, che tosto il trascelse, benchè fosse ancora quasi fanciullo, a formare il principale sostegno dell1 accademia platonica che ideava allor di raccogliere; e voltosi al padre, tu, gli disse, ci se’ stato dal Ciel conceduto per curare i corpi, ma cotesto tuo figlio è destinato per certo a curar gli animi. E presolo perciò in sua casa, venne a tal fine allevandolo con quell’affetto che Marsiglio non cessò mai di esaltare, mostrando in ogni occasione la sua riconoscenza per Cosimo, e confessando di averlo avuto in conto di un altro padre. Lieto di ciò Marsiglio, tutto si volse a Platone, e l’anno 1456, essendo in età di solo ventitré anni , come racconta egli stesso in una sua [p. 547 modifica]SECONDO 547 lettera a Filippo Valori (Ep.l. 11), scrisse i quattro libri delle Istituzioni Platoniche, le (quali avendo egli date a leggere a Cristoforo Landini e a Cosimo, amendue ne disser gran lodij ma lo esortarono insieme a non pubblicarle, finchè non avesse appresa la lingua greca, per poter quindi raccogliere dalle stesse opere originali la vera dottrina di Platone. Diedesi dunque allo studio del greco, in cui dice il Corsi aver udito che egli avesse a suo maestro il Platina. Ma il silenzio del Ficino, che non ha mai fatta menzione di esso nelle sue opere, e la serie della vita del Platina già esposta a suo luogo, mi fa dubitare che il Corsi non fosse di ciò troppo bene informato. Del frutto raccolto con tale studio ei diede i primi saggi col recar di greco in latino gli Inni attribuiti ad Orfeo ed altre poesie greche. Perciocchè avendo egli letto in Platone che la musica ci è stata da Dio conceduta anche per sedar le passioni, in essa ancora volle istruirsi, e godeva di accompagnare quegli Inni col suon della cetera. Tradusse poscia il libro dell’Origine del Mondo attribuito a Mercurio Trismegisto, e avendo offerte a Cosimo queste sue prime fatiche, egli gli fece dono di un bel podere nella sua villa di Careggi presso a Firenze, e innoltre di una casa in città, e di alcuni codici greci magnificamente scritti delle Opere di Platone e di Plotino. Ei prese quindi a tradurre in latino tutte le Opere di Platone, il qual lavoro fu da lui in cinque anni condotto a fine, contandone egli allora trentacinque di età. Morto frattanto Cosimo, Pietro di lui successore e figliuolo imitò gli esempi [p. 548 modifica]548 LIBRO del padre nello stimare e nell’amare il Ficino. Per comando di esso ei pubblicò la suddetta sua traduzione, e prese a spiegare pubblicamente in Firenze le Opere di quel filosofo j nella (quale scuola ebbe grandissimo numero di uditori, e molti tra essi per sapere e per erudizione famosi, come si può veder nel catalogo che ne ha dato il canonico Bandini in not. ad / it. Fichi, p. 28, ec.). In età di quarantadue anni fu ordinato sacerdote, e Lorenzo de’ Medici, succeduto l’anno 1469 a Pietro suo padre , e che non imitò solamente , ma superò ancora gli esempj del padre e dell’avolo nel beneficare Marsiglio, gli diè dapprima il governo di due chiese in Firenze, e quindi verso il 1484 un canonicato in quella cattedrale. Marsiglio pago de’ beni ecclesiastici che da Lorenzo avea ricevuti, lasciò tutto il suo patrimonio a disposizione de’ suoi fratelli, e fu sì lungi dall’usare della bontà e della magnificenza del suo mecenate per arricchirsi, che anzi egli racconta Epist. l. 8, 11) che i suoi parenti e domestici soleano spesso rimproverargli perchè non si valesse dell’amicizia di sì gran cittadino, come tant’altri faceano, per migliorar lo stato di sua famiglia. Agli studj filosofici congiunse ancora i teologici, come vedremo parlando delle opere da lui composte, e per soddisfare a’ doveri del nuovo suo stato, prese ancora a spiegare dal pergamo al popolo i sacri Vangeli. Il Corsi ci descrive ancor lungamente i costumi di questo insigne filosofo. D’indole mansueta e piacevole, se talvolta prorompeva in isdegno, tosto calmavasi , e dimenticava facilmente qualunque [p. 549 modifica]SECONDO. 049 ingiuria. Non si vide in lui alcuna rea passione che lo trasportasse; ma moderato in tutti i suoi desiderj, visse in quel l’aurea mediocrità che suole avere più ammiratori che seguaci. Amante della solitudine, godeva di star sovente alla campagna in compagnia di alcuni più cari amici. La debole costituzion del suo corpo, e le infermità, alle quali era frequentemente soggetto, non poterono trattenerlo dall’applicarsi alle scienze con quell’ardore che in un uomo ancor robustissimo sarebbe stato ammirabile. Sisto IV e Mattia Corvino re d’Ungheria tentarono di allettarlo con ampie promesse, perchè andasse alle lor corti; ma egli nimico del fasto, e pieno di riconoscenza pe’ Medici, non volle da essi partirsi. Ma se egli non volle abbandonare Firenze, molti, tratti dalla fama di sì grand’uomo, vennero a lui fin da lontani paesi, e singolarmente dall’Allemagna, per istruirsi nella platonica filosofia, che pareva allora la più alta meta a cui l’umano ingegno potesse aspirare. Morì al primo di ottobre del 1499 in età di sessantasei anni, e fu con solenni esequie sepolto nella cattedral di Firenze, ove l’anno 1521 ne fu pe’ ordin del Pubblico posta l’effigie in marmo. Le quali cose da me in breve accennate si posson vedere più ampliamente distese nella già mentovata Vita.

XXI. Tutte le Opere di Marsiglio, oltre le particolari edizioni di ciascheduna, furono stampate in due volumi a Basilea nell’anno 15(31 Esse per lo più si rivolgono intorno alla filosofia di Platone, a cui appartengono i diciotto [p. 550 modifica]550 LIBRO libri intitolali T/teologia Platonica, e il compendio e i comenti di tutte l’opere di Platone , e di più altri antichi filosofi di lui seguaci, come di Plotino, di Jambico, di Proclo, di Porfirio e di altri, a’ quali egli ha aggiunta ancora la traduzione di alcuni scrittori sacri, perciocchè favorevoli a Platone, come delle opere attribuite a Dionigi areopagita , e del libro di Atenagora intorno alla Risurrezione. Molti altri opuscoli di Marsiglio sono intorno allo stesso argomento; alcuni sono teologici, come il libro de Religione Christiana, altri scritturali , ossia comenti su alcuni passi de’ Libri sacri, altri finalmente di diverse altre materie. Ma di qualunque cosa egli scriva, sembra che di altro parlar non sappia fuorchè di Platone, e anche ne’ dodici libri delle sue Lettere famiglial i ogni cosa spira Platone. E veramente l’entusiasmo di Marsiglio per questo filosofo aiuto troppo oltre. S’ei si fosse appagato di raccogliere e d’illustrare le sagge massime appartenenti a politica e a morale , che si trovali nelTO] ìere di quell’illustre filosofo, avrebbe recato alla società e alle scienze non legger giovamento. Ma egli, lasciate in disparte le cose più utili, volle immergersi tutto nella profonda caligine, in cui ne avea involta ogni cosa non tanto lo stesso Platone, quanto la scuola de’ filosofi Alessandrini seguaci, o, a dir meglio, corrompitori delle opinioni di esso. Quindi quello stile enimmatico e misterioso da lui usato ancor nelle lettere, il quale spesso degenera in concetti ridicoli , come quando scrivendo ad Antonio Calderini gli dice: Cum sub solis [p. 551 modifica]SECONDO i JI de.feclu a nobis abieris, c umani minim sit epistolam quoque nostram tunc defectum fuisse perpessam! Nempe clausulae in ejus calce duae quaedam Solis quartae lumine defecerunt; resumpsit Phaebus suum subito lumen: resumpsit nostra mox epistola finem (epist. l. 8). Quindi l’impegno di voler ad ogni modo conciliare Platone colla sacra Scrittura, e l’usar perciò delle espressioni bibliche a spiegare le opinioni di quel filosofo, e il suggerir che ne’ tempj si leggesse pubblicamente la platonica filosofia. Quindi per ultimo le follie astrologiche, nelle quali egli cadde, come dà a vedere singolarmente nel terzo de’ libri da lui scritti intorno alla conservazion della vita intitolati De Vita coelitus comparanda; e questo libro fu quello probabilmente che lo fece cader presso alcuni in sospetto di mago; intorno alla quale accusa, e alle difese che di se stesso ei fece felicemente, vedasi il sopraccitato Schelhornio. Non dee però tacersi a qualunque discolpa di questo filosofo, che in una sua lettera scritta al Poliziano (Epist l. 12), parlando della confutazione della pretesa scienza astrologica che questi avea fatta insieme con Giovanni Pico, sembra egli ancora convinto dell’impostura di quell’arte, e si protesta di avere scritto nel libro sopraccennato più con poetica fantasia, che con forza di raziocinio. Intorno alle opere e alla dottrina del Ficino ragionano a lungo lo Schelhornio e il Bruckero, a’ quali io rimetto chi voglia essere più ampiamente istruito, e aggiugnerò solamente ch’egli è certo a dolersi [p. 552 modifica]55a libro che un uomo di sì aculo ingegno e di sì indefessa applicazione non ne abbia lasciate opere più vantaggiose, quali avremmo da lui avute, se non fosse andato sì ciecamente perduto dietro alle favole de’ platonici sognatori. WTT TI i A A II. 11 secondo ornamento e sostegno della filosofia di Platone fu Giovanni Pico della Mirandola conte della Concordia, uomo ancor più ammirabile del Ficino, perchè assai più oltre distese le sue cognizioni, e rivolse i suoi studj comunemente a più giovevoli oggetti j e rapito da immatura morte in età di soli trenladue anni, lasciò nondimeno tai saggi del suo sapere, che si crederebbe aver lui avuta lunghissima vita. Gianfrancesco Pico di lui nipote, e di cui dovremo parlare nel secolo susseguente, ne ha scritta la Vita che va innanzi alle Opere di Giovanni. E noi da essa trarremo le principali notizie, più altre ancora aggiungendone raccolte altronde, poichè de’ moderni scrittori pochi son quelli che ne ragionino con esattezza (a). Giovanni ebbe a genitori Gianfrancesco Pico, la cui famiglia già da gran tempo era signora della Mirandola e della Concordia, e Giulia Boiarda; e nacque nell'anno 1463 terzo tra’ suoi fratelli. Perciocchè innanzi a lui eran nati Galeotto padre di quel Gianfrancesco nominato poc’anzi, e Antonio Maria-, e nate già erano parimente due sorelle, una delle quali maritata prima a Leonello Pio, fu madre del (a) Yeggansi più distinte notirie di Giovanni Pico nella Biblioteca modenese (t. 4, p■ 9 5, ce.; t. 6, p. 161). [p. 553 modifica]SECONDO 553 celebre Alberto, e poi in seconde nozze si unì con Rodolfo Gonzaga 5 l’altra fu moglie prima di Pino degli Ordelaffi signor di Forlì, poi del conte di Montagnano. Fin da’ primi anni in lui si scoperse ingegno e memoria non ordinaria; perciocchè udendo recitar molti versi, ei tosto con ordine retrogrado li ripeteva. Sembrava ch’egli avesse disposizione all’amena letteratura e alla poesia singolarmente. Ma essendo ei giunto all’età di quattordici anni, la madre, che bramava di vederlo arrolato nel clero, inviollo a Bologna allo studio de’ sacri Canoni; e Giovanni ad essi si volse, e con somma attenzione ne fece un breve e ben ordinato compendio. Ma dopo avere in ciò spesi due anni, la filosofia e la teologia gli sembrarono studj troppo migliori, e per acquistarne quella più ampia cognizione che gli fosse possibile, si diè a visitare viaggiando le più celebri scuole d’Italia e di Francia, ove udendo i più illustri professori , e disputando continuamente con essi, giunse ad avere in amendue quelle scienze una sì vasta e sì profonda erudizione, che a que’ tempi parve meravigliosa. Non sappiamo qual fossero precisamente le scuole alle quali recossi Giovanni. Ma la prima fu certamente l’università di Ferrara, come si afferma nella poc’anzi citata Vita, ove dal duca Ercole I fu caramente accolto, perciocchè Bianca di lui sorella era moglie di Galeotto fratel di Giovanni. Raffaello Volterrano racconta (Comm. urbana. l.i i) di averlo udito disputare pubblicamente fra i comuni applausi con Leonardo Nogarola, [p. 554 modifica]55 4 LIBRO e aggiugnc clic allora Giovanni, comecchè ancora fanciullo, avea f abito di prolonotario apostolico. Nè coltivò ei solamente in Ferrara i gravi studj, ma ancor gli ameni, ed ebbe in essi a suo maestro Battista Guarino, a cui perciò scrivendo dà questo nome (Op. p. 383, ed. Basii i5 -); e lo stesso Guarino si vanta di averlo avuto a suo scolaro (ib. p 40^) c in una sua elegia inviatagli alla Mirandola esalta con grandi elogi i talenti poetici di Giovanni. Quod te Baccus amat, Phaebusque novemque sorores, Pectore quod vivit (foci;» Minerva tuo. JWn mi hi ludus erit Vates evolvere tecum, Aut uter e nobis carmina plura ferat. Carm, p. 127, ed. Mut. 1 (96. Ivi ancora egli si strinse in amicizia con Tito Vespasiano Strozzi celebre poeta latino a que’ tempi, di cui abbiamo due lunghe elegie a lui indirizzate (/ElosticJioni l. 3, el. 1, 2), in una delle quali singolarmente loda la vastissima erudizione di cui Giovanni, benchè in età quasi ancor fanciullesca, era dotato. E troppo bello è questo elogio, perchè io non debba qui inserirlo. Adde quod ingenium felix sortitus, et omni Doctrina insignis, quod petis, intus habes. Sive quid Argolico, seu quid sermone Latino Tentaris, linguam doctus ultramque tenes. Sive aliquid prosa scribis, seu carmina condis, Pallada sic jurem Pieridasque loqui. Cui magis innumeras rerum caussasque vicesque Jaraque naturae condita nosse datum est? Quis Lunae Solisquae vias et lucida Coeli Metitur tanto sidera judicio/ [p. 555 modifica]SECONDO 555 Qui* numero* omnes ad summam colligit unam Tam subito, et mira certiu* arte notai? Qtiis res propositas ita disserit acer?, et omni Irretitus ostem cum ratione tenet? Quis te de superis ac Religione loquentem Nono admirandum duxerit esse virum? Te matura senem prudentia reddit; atqui Prima tenet roseas vix tibi barba genas. Allo studio delle lingue greca e latina congiunge egli poscia ancora quello dell’ebraica, della caldaica e dell’arabica. Ma quello studio all’ingegno di Giovanni divenne dannoso. Perciocchè abbattutosi in un impostore che gli diede a vedere sessanta codici ebraici, e gli persuase eli1 essi fossero stati composti per ordine di Esdra, e che contenessero i più reconditi misteri della religione e della filosofia, egli giovane ancora inesperto gli comperò a gran prezzo, come egli stesso racconta (in Apologia, p. 123 Op.) Eran questi que’ libri che diceansi della Cabala, nome che presso gli Ebrei significa tradizione, e con cui essi si nominavano appunto, perchè credeasi che per comando di Esdra si fossero registrati in essi tutti i più venerandi arcani da’ maggiori per tradizion ricevuti. Di cotai libri non debbo io qui trattare più a lungo, e si può vedere ciò che diffusamente ne ragiona il Bruckero (Hist. crit. Philos. t. 2, p. 916, ec.), ed altri autori da lui citati. Allo studio di essi, il cui catalogo si può vedere presso il Wolfio (ad calcetti l. 1 bibl. hebr.). si rivolse Giovanni con incedibile ardore, e considerandoli come altrettanti oracoli, non perdonò a diligenza per intenderne il senso. [p. 556 modifica]556 MURO

XXIII. Dopo avere in tali studj e ne’ viaggi alle principali università d’Italia e di Francia impiegati sette anni, ed avendone egli ventitré di età, sen venne a Roma essendo pontefice Innocenzo \ III. Ivi a dai pruova del suo ingegno e della sua erudizione, espose al pubblico novecento proposizioni appartenenti a dialettica, a morale , a fisica , a matematica , a metafisica , a teologia, a magia naturale e a cabala, e tratte da’ teologi latini, da’ filosofi arabi, caldei, greci, latini; offrendosi pronto a disputare con chicchessia sopra ciascheduna di esse. Abbiamo ancora tra le opere di Giovanni queste proposizioni, e non possiam non dolerci che un sì felice ingegno e uno studio sì ostinato si raggirasse intorno a sì frivoli argomenti; perciocchè finalmente poco saprebbe chi altro non sapesse che ciò che in quelle proposizioni si vede raccolto. Esse nondimeno fecero allor rimirare Giovanni come uomo maraviglioso e quasi divino, e la comun maraviglia non andò disgiunta dall’invidia di molti, i quali perciò si adoperarono perchè la disputa da lui progettata non si conducesse ad effetto, e accusarono al pontefice tredici di quelle proposizioni come di poco sana dottrina. Aveale il Pico sottoposte prima all’esame di dotti teologi, e fra gli altri di Buonfrancesco vescovo di Reggio ambasciadore allora del duca di Ferrara presso Innocenzo; i quali approvandole aveano ad esse sottoscritto il lor nome. Ei nondimeno a discolparsi ancora più pienamente distese in venti notti, e pubblicò una assai lunga apologia di quelle proposizioni, mostrando in qual [p. 557 modifica]SECONDO 557 senso si potessero giustamente spiegare. Egli indirizzolla a Lorenzo de’ Medici, e nella lettera dedicatoria parla in modo, che sembra indicarci eli’ ei fosse già stato per (qualche tempo in Firenze. Innocenzo diede ad esaminare le suddette proposizioni ad alcuni teologi, i quali avendole dichiarate pericolose e sospette, il pontefice le condannò, dichiarando insieme che non perciò dovea recarsi molestia alcuna a Giovanni, nè crederlo reo d’eresia, poichè avea protestato con giuramento di credere in ogni cosa al giudizio che ne desse la Chiesa. Frattanto essendosi egli recato in Francia, fu di nuovo accusato al pontefice, come se col di volgare l’apologia avesse contravvenuto al suddetto giuramento. Quindi Innocenzo citollo un’altra volta al suo tribunale, e Giovanni prontamente ubbidendo tornò in Italia, e si trattenne in Firenze. Morto frattanto Innocenzo, e succedutogli Alessandro VI, il che accadde nel 1492, questi con suo Breve dei 28 di giugno delf a 11110 seguente, il qual si vede premesso all’Opere di Pico, dichiarollo innocente dal nuovo reato che venivagli apposto. Gianfrancesco Pico racconta di aver udito dallo stesso Giovanni, che le molestie clf ei dovette perciò soffrire, furono cagione che interamente riformasse i suoi costumi. Giovane di fresca età, di leggiadro sembiante, di maniere piacevolissime, e ricco de’ beni di fortuna, erasi per l’addietro abbandonato alquanto al piacere. Ma in questa occasione ei tutto si diede a una sincera e non ordinaria pietà. Gittò al fuoco parecchie poesie amorose latine e italiane da se già [p. 558 modifica]558 LIBRO composte; e le scienze sacre furono il principale oggetto a cui allor si rivolse, senza però trascurare la filosofia platonica che gli fu sempre assai cara. In Firenze, ove soggiornò gli ultimi anni della sua vita, godeva continuamente della conversazione di Marsiglio Ficino, di Angelo Poliziano e di Lorenzo de’ Medici; e abbiamo altrove veduto con quale affetto questi volle dargli gli ultimi amplessi innanzi alla morte. A questi studj congiungeva il costante esercizio delle più belle virtù, e singolarmente di una singolare liberalità verso i poveri; per cui fra le altre cose avea ordinato a Girolamo Benivieni cittadin fiorentino e valoroso poeta, che sovvenisse a suo conto qualunque povero ne avesse bisogno, e collocasse in matrimonio le fanciulle prive di dote. Nemico della lode permise talvolta che sotto altrui nome uscisse qualche sue opera, e non volle più intraprendere quelle pubbliche dispute, delle quali tanto erasi dilettato in addietro, e una volta sola a grande stento s’indusse a compiacere in ciò al duca Ercole I, che istantemente l’avea pregato di venire a Ferrara all’occasion del capitolo generale dell’Ordine de’ Predicatori che ivi dovea tenersi. Di queste e di altre rare virtù, che del più dotto uomo di quell’età formarono ancora il più amabile e il più saggio, parla a lungo lo scrittore della Vita; e a me basta f averne qui dato un cenno. Fra i molti scrittori contemporanei che di lui han parlato con somma lode, io citerò solo Paolo Cortese, il quale di lui racconta (De Cardinal. l. 1, p. 14) che dodici ore ogni giorno soleva impiegar nello [p. 559 modifica]SECONDO 55l) studio, cosa tanto più ammirabile, dice egli, quanto più era Giovanni e bello e giovane e ricco; e altrove accenna (ib. l. 2, p. 71) che si trattò di onorarlo della sacra porpora, ma che ciò , qualunque ragion ne fosse, non si condusse ad effetto. Ei fu preso da morte nel più bel fiore degli anni , de’ quali contavane sol trentadue, e finì di vivere in Firenze l’anno 1494 nel giorno stesso in cui Carlo VIII re di Francia entrò in quella città, cioè a’ 17 di novembre, e due mesi dopo la morte del caro suo amico Angelo Poliziano, morto esso ancora in età di soli quaraut’anni. XXTV. lo non mi tratterò a riferire gli elogi con cui ne ragionano gli scrittori di que’ tempi , tra’ quali degni sono d’essere letti due epigrammi di Panfilo Sassa (Carm. l. 2). Basti il dire che per comune consenso ebbe il soprannome di Fenice degli ingegni. Le opere da lui composte, benchè sappian non poco de’ pregiudizj de’ quali erasi infelicemente imbevuto, cel mostran! però uomo di grande ingegno e di erudizion singolare. Oltre le Proposizioni e l’Apologia, di cui già abbiamo parlato, abbiamo di lui l’Heptaplo, ossia la spiegazione del principio della Genesi, ove trattasi della creazione del mondo, opera da lui composta in età di ventotto anni, e che, benchè abbia molto delle allegorie platoniche, contiene ancor nondimeno dotte ed utili riflessioni. Due anni appresso scrisse un trattato scolastico intitolato de Ente et Uno , a cui si aggiungono alcune lettere di Antonio Cittadini faentino, colle risposte ad esse fatte dal Pico, trattane l’ultima, a cui invece rispose [p. 560 modifica]56o LIBRO Giunfraucesco di lui nipote. Sieguono poscia un’orazione latina sulla dignità dell1 uomo, alcuni opuscoli ascetici, e otto libri di lettere a’ suoi amici, scritte però in uno stile non troppo elegante. La migliore di tutte l’opere di Giovanni sono i dodici libri contro 1 Astrologia giudiciaria , in cui egli con ragione comunemente assai sode e con molta erudizione combatte le follie di quella pretesa scienza. Lucio Sellali ti sanese, di cui diremo tra poco più a lungo, dopo la morte del Pico ne impugnò quest’opera con dieci libri eli1 ei pubblico in difesa dell’Astrologia giudiciaria , e a favor di essa parimenti stampò nel 1494,un piccol libretto Giovanni Aviosi da Ragnuolo nel Principato Ulteriore, autore ancora di qualche libro, di cui trattano il co. Mazzucchelli (Scritt. ital. t, 1, par. 1, p. i’ \) e il P. d1 Afflitto (Scritt. napol. t. 1, p. 2, ec.). Tre libri ancora egli scrisse in lingua italiana, che si hanno alle stampe, in cui, comentando una canzone del suddetto Girolamo Bcnivieni •sopra f amore platonico , tutto si avvolge fra f oscura caligine delle platoniche opinioni, e ad esse si aggiungono alcuni saggi sulla poesia latina e italiana, e alcuni versi se ne hanno pure in altre raccolte. Molte altre opere avea egli in animo di pubblicare, e ad alcune avea già posto mano , intorno alle quali parla ampiamente il più volte mentovato scrittor della Vii a. Ma tutti i disegni del Pico furono troncali dall1 immatura sua morte, la quale privò ancora le scienze del frutto molto maggiore che lor avrebbon recato gli studj di un uom sì grande in età più avanzata, e spogliato de’ pregiudizj da lui in addietro incautamente seguili. [p. 561 modifica]SECONDO 561

XXV. La stima in cui erano in Firenze il Ficino e il Pico, e l’entusiasmo ond1 essi eran compresi per la filosofia platonica, fu cagione che questa avesse tra’ Fiorentini gran numero di seguaci. I loro nomi si posson vedere raccolti dal canonico Bandini nelle sue note alla Vita del Ficino (p. 28, ec.). Angelo Poliziano e Cristoforo Landini erano dopo il Pico e il Ficino i più celebri; ma come essi hanno ottenuto più chiaro nome negli studj dell’amena letteratura che nei filosofici, perciò ad altro luogo riserberemo il parlarne, il che pure faremo di moltissimi altri che erano ammessi nell’accademia del Ficino. Tra quelli, de’ quali veggiam farsi più frequentemente menzione delle opere di amendue , sono singolarmente Giovanni Cavalcanti, Pellegrino e Antonio Aglio, Bartolommeo e Filippo Valori, Bernardo Nuzzi, Baccio Ugolini, Bernardo Michelotti, Lorenzo Lippi, Cherubino Quarquaglio, e moltissimi altri che lungo sarebbe il nominare. Così Firenze era allora tutta rivolta a Platone, e pareva che non potesse aver nome di valoroso filosofo, anzi pure che non meritasse d’esser creduto uom dotto , chi non seguiva le opinioni dell’accademia , e chi non frequentavane la adunanze. Poco fu , a dir vero, il frutto che da tali studj si trasse, e meglio sarebbe stato il rivolgere a più utili oggetti tante fatiche. Ma esse almeno giovarono a far meglio conoscere l’opere e l’opinioni degli antichi filosofi , e del conoscere fu poi frutto il veder quanto poco essi si fossero avanzati nel regno della natura, quindi il desiderare di ravvisarne meglio l’indole c le Tikaboschi, Voi. VII. 36 [p. 562 modifica]5(2 LIBRO leggi , e F ottener finalmente ciò che per sì lungo tempo erasi desiderato. . XXVI. La moltitudine di coloro che in questo secolo presero a coltivare i filosofici studj, mi obbliga ad accennare sol di passaggio parecchi altri, i quali o col tenere pubblica scuola, o col dare erudite opere alla luce , li promossero, come allor potevasi , felicemente. Tali furono Lorenzo Lorenziano nominato poc anzi, Apollinare Offredi cremonese, di cui abbiamo singolarmente un Comento sui libri de Anima d’Aristotele, e intorno a cui si posson vedere le notizie che ce ne han dato l’Arisi (Crem. liter. t. 1 , p. 248) e il Sassi (Ili st. Tjrpogr. mediol. p. i53, 4^4)? Antonio Cittadini da Faenza, da noi nominato poc1 anzi per la contesa eh1 egli ebbe col Pico, e detto dallo stesso Pico filosofo gravissimo (Op. p. 965, ed. Basii. e da Niccolò Leoniceno uomo di singolar dottrina, e per fama rinomatissimo (Antisophista ad estrem.), professore di filosofia e di medicina in Ferrara nell’anno 1474 1474? Pisa nel 1482, di nuovo in Ferrara nel 1489, in Padova nel 1505, in Bologna, non si sa precisamente in qual tempo, e secondo alcuni anche in Parigi, di che però non veggo che si produca autorevole documento; del qual celebre professore , e delle opere da lui composte si può veder ciò che scrive, oltre gli storici delle università sopraccennate, il eli. P. abate Gianbcnedetto Mittarelli camaldolese (De Litterat. Faventinor. p. 58, ec.); Candiano Bolani senator veneto, e autore di alcune opere che fanno pruova del suo sapere in cotuli studi, [p. 563 modifica]SECONDO 563 (li cui diligentemente ragionano il P. degli Agostini (Scritt. venez. t. 2, p. 157, ec.) e il conte Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 2, par. 3, p. 1446)’, Paolo Barbo da Soncino dell’Ordine de’ Predicatori morto nel 1494 di cui si hanno alle stampe alcuni comenti sopra l’opere d’Aristotele e alcuni libri teologici ancora , e di cui ci danno più esatte notizie i PP. Quetif ed Echard (Script. Ord. Praed. t. 1 , p. 879) , e il suddetto conte Mazzucchelli (l. cit. t. 2 , par. 2, p. 3:u); Lorenzo Maggioli genovese, autore di un libro intitolato De gradibus rnedicinarum. e di un altro che ha per titolo: Epiphillides in Dialecticis stampato nel 1497 da Aldo Manuzio, il quale, in una sua lettera al fin del libro aggiunta, dice ch’ei fu professore di filosofia in Padova, in Ferrara ed in Pavia, e che vi ebbe a’ suoi uditori Giovanni Pico e Alberto Pio: ei morì poi in Genova nel 1501 , e fu sepolto nel chiostro di Santa Maria di Castello («); e più altri in gran numero potrei io qui venir nominando , se non temessi di recar noia a chi legge colla soverchia lunghezza. Essi, benché fossero per avventura (a) Del Maggiolo fa un onore voi elogio ne’ suoi Annali di (Genova Agostino Giustiniani, scrittore contemporaneo, dicendo: Et morì questo anno (1501) Lorenzo Magioli Medico et Philosopho eccellente, come che avesse letto più anni nei principali studii d’Italia, in Padoa , Pavia, et Ferrara; et il Gioan Pico Conte della Mirandola et Alberto Signor di Carpi C hanno avuto in prezio , et sono stati auditori delle sue lettioni: et ha lassato alquante opere in Logica, et era studioso delle lettere Greche (p. [p. 564 modifica]564 LIBRO uomini ili molto ingegno e d’infaticabile studio, non recaron però alle scienze co’ loro libri gran giovamento: e se noi dobbiamo esser grati al buon desiderio che essi ebbero di giovarci, non dobbiamo però ammirarli per modo che li proponiamo come modelli degni d’imitazione, Io finirò dunque ciò che appartiene a’ filosofi speculativi, e passerò a ragionare di quelli che presero ad oggetto de’ loro studj materie più utili, cominciando da uno che colle sue opinioni diede occasione a una sanguinosa contesa, cioè da Galeotto Marzio da Narni.

XXVII. Niuno ho io trovato fra’ moderni scrittori che ne abbia illustrata con qualche diligenza la vita , la qual pur fu soggetta a molte e curiose vicende. Apostolo Zeno ne parla coll’ordinaria sua esattezza in alcune delle sue lettere pubblicate tra quelle scritte a monsignor Fontanini , ma non ce ne dà che alcune poche notizie, e io perciò ho procurato con qualche fatica di raccogliere da ogni parte ciò che fa d’uopo per darne contezza, valendomi singolarmente delle opere che se ne hanno alle stampe. Egli era nato in Narni città dell' Umbria , e perciò talvolta vien detto Galeotto da Narni. Nella sua risposta a Giorgio Merula, di cui poscia diremo , ei ci racconta che fu agli studj in Padova, e che ivi essendo in età di ventitré anni cominciò a congiungere lo studiare in medicina col tenere scuola di lettere umane, e che per treni’ anni avea sostenuto l’impiego di pubblico professore: Legimus pullice trigin ta annos; nam trium et viginti annorum eramus, cum docere incepimus; doccbaiuus [p. 565 modifica]SECONDO r65 !aidem, e/ docebamur. Nani Medie inae Patavii in studiis humanitatis rum esse mas professi operam dedimus (in Merula Refutatio p. 99, ed. Turin. 1517); e continua dicendo che lungi dall' abbandonarsi all1 ozio e a1 piaceri, godeva di occuparsi continuamente o nello studio delle lettere, o nel maneggio dell’armi, di cui assai si piaceva, come fra poco vedremo. Il Papadopoli e il Facciolati non fanno menzione alcuna del Marzio. il quale pure dovrebbesi aggiugnere al catalogo degli scolari non meno che de’ professori di quella celebre università. Della scuola da sè tenuta in Padova, parla ancora in quel libro medesimo il Marzio, ove dice che spiegando egli ivi le Georgiche di Virgilio, ebbe talvolta a suo uditore il Merula, benchè più vecchio: Valde enim ubique glodiatur Merula, quod Galeotti fuerit auditor: homo senior juniorem adoptat praecptorem. At ego non memini vidisse Georgium in lectione mea, nisi Patavii cum legebam librum Georgicorum (ib. p. 118). Padova non fu la sola università in cui Galeotto tenesse scuola. L1 Àlidosi lo annovera ancora tra1 professori di rettorica e di poesia nell1 università di Bologna dal 1462 fino al 1477 (Dott forest, di Teol. ec. p. 37). Ma in questo numero d’anni vi ha certamente errore; perciocchè vedremo che assai prima del 1477 egli era in Ungheria. Il Marzio accenna ancora una disputa avuta in Venezia col suddetto Merula (l. cit. p. 83), e un1 altra con lui tenuta in Roma intorno all1 immortalità dell’anima (ib. p. 117)? la qual seconda seguì probabilmente nell’occasione di cui tra poco diremo. [p. 566 modifica]566 LIBRO

XXVIII. Dopo aver per trent’anni, come abbiamo udito da lui medesimo, tenuta scuola, contandone egli cinquanta!rè di età, passò in Ungheria alla corte di Mattia Corvino, che fu re di quella provincia dal i (58 fino al i (90, e celebre protettore de’ letterati, singolarmente degli Italiani. E qui convien osservare che due volte fece Galeotto quel viaggio; la prima a’ tempi di Paolo II, l’altra a’ tempi di Sisto IV, come chiaramente comprendesi da diversi passi delT opera da lui scritta De dictis et factis Mathiae Regis, e di quella più volte accennata contro il Merula. In questa egli racconta (p. 99) la famosa lotta ch’egli ebbe in Boemia innanzi al re suddetto contro un celebre lottatore di nome Aleso, da cui sfidato Galeotto, benchè stranamente pingue, seppe nondimeno sì destramente difendersi ed assalire, che afferrato il baldanzoso nimico , e levatolo in alto , gittollo con tal impeto a terra, che convenne portarlo via moribondo. Colla qual occasione egli accenna altre simili lotte che in diverse parti d’Italia avea sostenute: Citetur ager Patavinus; citetur Veronesis: adducatur Etruria in testimonium: non praetermittatur regio Romana, ubi documenta fortitudinis plurima emisimus. Or egli dice che la lotta sopraccennata seguì mentre Mattia ad esortazione di Paolo II faceva guerra al re Giorgio Podiebracio: il che accadde circa il 1467. È certo dunque che verso quest’anno Galeotto andossene la prima volta al re Mattia. Qual fosse il motivo di questo suo viaggio, egli nol dice. Ma non v’ha dubbio che la fama dello splendore di quella corte e della [p. 567 modifica]SECONDO munificenza di quel sovrano verso de’ letterati colà nol traesse. Le lodi con cui egli parla di esso nelle sue opere, ci provan senz’altro eli1 ei ne fu accolto cortesemente. Il Giovio ilice di’ ei gli fu segretario insieme e maestro. Ma parmi più verisimile ch’egli instruisse Giovanni (figliuol naturale di quel sovrano. Lo stesso Galeotto racconta che avea seco condotto un suo proprio figlio, detto egli ancora Giovanni (De dictis et faci. Matti 1. c. 24). Ivi egli scrisse da prima i due libri de Homine, nel primo de’ quali descrive i membri esterni dell1 uomo, nel secondo gli interni 5 spiegando il lor uso, e aggiungendo più riflessioni anatomiche, mediche, fisiche, e anche astrologiche. Egli vi premise la dedica a Giovanni Vitez arcivescovo di Strigonia, uomo di gran sapere e amatissimo della letteratura; il quale poi l’anno 1471 ribellatosi a Mattia , morì in quell’anno medesimo (Bonfin. Rer. Hungar, dec. 4» l- 3). Fu dunque quell’opera scritta qualche tempo prima, e dicendo in essa Galeotto (p. 49) che avea lungamente con lui vissuto, diu cum eo vixi, conferma ciò che abbiam detto, intorno al tempo in cui egli andossene a quella corte. Il libro del Marzio giunse in Italia, e fu letto fra gli altri da Giorgio Merula uomo nato alle battaglie, e di niuna cosa più avido quanto di azzuffarsi con altri. Parve al Merula che una bella occasione gliene porgesse il libro del Marzio*, e prese la penna per impugnarlo, criticandone le espressioni non meno che la dottrina. Lo stile che in ciò egli tenne, fu il suo consueto, cioè pieno d’ingiurie e di villanie. Ei dedicò questa sua critica a [p. 568 modifica]5G8 LIBRO Lorenzo e a Giuliano de’ Medici; e fa menzione in essa dell’università di Pisa di fresco aperta: Sic enim vos partes litterarum suscepistis , ut litterario Gymnasio in nobilissima Italiae parte constituto, jam leges sanctissimae et liberales disciplinae, sic Laurentium et Julianum parentes appellare, possint, ec. (p. 53 cit ed.). L’università di Pisa fu rinnovata, come si è detto, l'anno 1472 j c pare perciò, che in quest’anno medesimo, o nel seguente, pubblicasse il Merula questo libro. Or Galeotto a lui rispondendo, gli rimprovera fra le altre cose, che quattro anni abbia impiegati a scrivere quella sua critica: ad illius siquidem dicta refutanda, quibus quatuor annos impendit, animus inclinabatur (ib.p.80). E perciò sempre più si conferma che verso il 1468 scrisse il Marzio i sopraddetti suoi libri. Se il Merula nel confutar Galeotto dimenticossi di ogni moderazione , non ne fu questi punto più ricordevole, e i titoli di pazzo, di frenetico, di uomo degno di catena e di bastone vi son profusi a piena mano. Non veggo che questa contesa avesse seguito , e forse il Merula si avvide che che non era a lui opportuno l’avere un tal avversario. La critica del Merula e la replica del Marzio sogliono andar congiunte ai due libri del medesimo Marzio, a cui esse appartengono. Questi e ne’ due libri e nella loro apologia accenna più volte certe sue invettive contro Francesco Filelfo p. 85 , 99, ec.), e altrove aggiugne di avere scritto contro Gianmario figliuol di Francesco: sic ut ostendimus in Invectiva contra Franciscum Philelphum patrem, itemque [p. 569 modifica]contra filium Marium (De Doctr. promiscua, c. 28); ma non sappiamo su qual argomento si aggirassero esse, Un’altra opera scrisse il Marzio, mentre stava alla corte del re Mattia, e a lui dedicolla, intitolata De incognitis vulgo. Essa non è mai stata data alle stampe, ma se ne ha la copia nelle biblioteche del re di Francia (Codd. Mss. Bibl. reg. paris. t. 4, p. 256, cod. 6563) e del re di Sardegna (Bibl. taurin. t. 2, p. 357). Gli editori del catalogo di questa seconda biblioteca avvertono che in quest’opera si tratta di molte quistioni teologiche, e che vi si veggono aggiunte in margine alcune note, in cui o il copiatore, o chiunque altro, riprende il Marzio come sostenitore di eretiche opinioni. Questa opera in fatti fu al suo autore l’origine di quelle vicende di cui egli stesso ci ha lasciata memoria. Apostolo Zeno ha sospettato (Lettere a monsig. Fontan. p. 86, 137) che fosse tutto favoloso ciò che dell’eresie attribuite al Marzio raccontano alcuni recenti scrittori. Ma convien dire ch’ei non abbia veduta l’opera De factis et dictis Matthiae Regis, in cui lo stesso Marzio ne parla; e il silenzio del Merula, su cui il Zeno si fonda, è troppo debole argomento a negarlo; poichè il fatto accadde, come vedremo, qualche tempo dopo la pubblicazion della critica da lui scritta contro i libri de Homine. Veggiam prima come si narri la cosa dallo stesso Marzio, e ne confronteremo poscia il racconto con ciò che altri ne dicono.


Sue diverse vicende. XXIX. Parla egli (De dict. et fact. Math. reg. c. 27) di Giovanni Vitez parente dell’arcivescovo [p. 570 modifica]5jO LIBRO di Strigonia dello stesso nome e cognome, da noi nominato poc’anzi, e dopo averne lodato il sapere nel Diritto canonico e nell1 amena letteratura, dice che ciò non ostante per la parentela ch’egli avea con quell’arcivescovo, la cui memoria per la ribellione accennata era spiacevole al re Mattia, questi mal volentieri udiva di lui ragionare. Ma accadde, prosiegue egli, che Galeotto Marzio, il quale per C universale sua erudizione e per la sua piacevole ed amena eloquenza era carissimo al re, si trovasse spesso a pericolo de’ suoi beni e ancor della vita; e che pel libro De incognitis vulgo fosse dannato (F eresia. La causa fu finalmente portata innanzi a Sisto IV pontefice, uomo dottissimo, per cui comando Galeotto tratto da orribil prigione recossi a Roma. Ivi Galeotto trovò molti emuli e ni mici fierissimi; ma il pontefice esaminatane la dottrina , lo dichiarò innocente., e gli reti dette interamente f onore e tutti i suoi beni. Siegue poi a narrare clic essendo egli tornato alla corte di Mattia, e avendo nel raccontare le sue avventure fatto intendere al re che Giovanni Vitez, il quale allora trovavasi in Roma, erasi adoperato con sommo impegno in suo favore, e avea fra le altre cose ottenuto che il processo non gli costasse nulla, quell’ottimo principe all’udir ciò depose lo sdegno che avea contro Giovanni, e sollevollo poi a ragguardevoli onori. Fin qui Galeotto. Per qual maniera avvenisse che a lui non bastasse la protezione del re Mattia per sfuggire cotali molestie, e dove ei fosse fatto prigione, egli nol dice. Ma qualche lume maggiore ce ne dà il Giovio, ove ne1 [p. 571 modifica]srcoTvno 5 71 suoi Elogi (p. 29, ed. Ven. i54(), parlando eli Galeotto, dice: Scrisse per sua sventura ancor qualche libro di sacra e di morale filosofia; perciocchè avendo egli detto che chiunque vivesse secondo i lumi della ragione e della legge di natura, avrebbe ottenuta l’eterna felicità, fu perciò accusato da’ monaci, e condennato. Ma Sisto, che da giovane l’aveva avuto a maestro, il sottrasse dall’imminente pericolo , non però senza grave infamia. Perciocchè fu condotto in Venezia alla pubblica piazza, acciocchè ivi confessasse di aver errato, e ne richiedesse perdono. Siegue poi raccontando che quella tragedia cambiossi in commedia per un detto faceto, con cui Galeotto rispose a un cotale che motteggiavalo sulla sua enorme grassezza. Egli è adunque probabile che Galeotto, dopo aver pubblicato il suddetto libro, venuto per qualche affare in Italia, fosse in Venezia arrestato e posto prigione; e che poscia dopo la solenne ritrattazione (se pur non è quella una circostanza aggiunta dal Giovio senzaltro fondamento che di qualche popolar tradizione) chiamato a Roma da Sisto, fosse ivi dichiarato innocente (*). Tornò allora Galeotto alla corte (*) A rischiarare questo punto giova non poco la narrazione del fatto inserita dal Sanudo nelle \ ite de’ Dogi di Venezia pubblicate dal Muratori (Script. rer. ital. vol. 22, p. t. 206).• hi questo tempo, die’egli all’anno 1 i”7, essendo stato per V Inquisitore deli eretica pravità accusato alla Signoria che un Galeotto Narnio da Montagnana , uomo savio e molto dotto e grasso, che stava a Montagnana, era eretico et male sentiebat de Fide, dimandò alla Signoria il braccio secolare, e [p. 572 modifica]5j2 LIBRO del re Mattia, e allora dovette avvenire ciò clic ei racconta nel già citato libro de’ detti e de’ fatti di quel sovrano, e che ci darà l’epoca del fatto or or mentovato. Parlando Galeotto di una guerra del re Mattia, dice (c. 28): Era ivi nel campo Galeotto Marzio venuto dall’Italia per chiedere al re la dote alle sue figlie, che il mandarono a ritenere e a metterlo in prigione. Avea fatto certo libro, il quale detto Inquisitore diceva che era dannabile, e lo portava in Ungheria e in Boemia, dove ave a grandissimo seguito. Alla fine il condannarono ad essere messo sopra un Solajo in piazza con una corona di diavoli in testa, dove fusse letta la sentenza , ed abbrugiato il Libro, ed egli si chiamasse in colpa di quello, che avea detto o scritto, che fosse contro la Chiesa. Poi fu condcntiato per penitenza dell error commesso a stare mesi sei in prigione a pane e acqua. Fu eseguita la sentenza, e fatto il Solajo in piazza, dove era C Inquisitore dell’Ordine de’ Frali Minori colla banca sedente prò tribunali. Fu tratto il detto Galeotto di prigione, e menato colla corona di diavoli in testa per piazza. Fi fu un Gentiluomo che disse: o che corpo grasso! E colui si volto dicendo: è meglio esser porco grasso, che becco magro. Andò poi sul Solajo. Eseguita la sentenza fu rimesso in prigione. Costui andando in Boemia cadde da cavallo e crepò. Era dottissimo e faceto, ma molto grasso e corpulento. Qui non si parla di appello al papa, nè della dieliiarazion d’innocenza fattane da Sislo IV; anzi si afferma che la penitenz.a ingiuntagli fu eseguita. Nondimeno non par che dehbasi negar fede allo stesso Galeotto che espressamente il racconta. Il Sanudo inoltre fa morir Galeotto per caduta da cavallo andando in Boemia; e certo 1’autorità di questo scrittore dee aver molta forza, perciocché il Sanudo dovea essere noni maturo fin dal 4‘)8 (Foscar. Letter. venez. p if4) » e potea perciò aver conosciuto Galeotto, lo lascio perciò a’ lettori il decidere quale fra le diverse opinioni intorno alla morte di esso sia la più verisimile. [p. 573 modifica]SECONDO 573 avca date a marito, e per veder la gloria di quel sovrano; perciocchè egli avea pochi giorni prima espugnato Haymburgo grande e quasi inespugnabil castello. Or l’assedio e l’espugnazion di Haymburgo forte castello tra l’Austria e l’Ungheria accadde nel 1482 (Bonfin. l. cit. dec. 4, l. (ì); e perciò poco prima dovean esser seguite le vicende di Galeotto in Italia. Aggiugne poi egli, che ottenuto ciò che bramava, volendo tornare in Italia, chiese al re una scorta per passare sicuramente tra tante truppe; e che Mattia gli rispose che frattanto se ne andasse in Ungheria, ove poi avrebbegli scritto che dovesse fare. S’ei veramente tornasse tosto in Italia, o se ancor qualche anno colà si fermasse, non trovo argomento a deciderlo. È certo però, ch’egli era in Italia al più tardi nel 14&8. Io ne traggo la pruova da un’altra di lui opera, che si ha alle stampe, intitolata de Doctrina promiscua, in cui Galeotto ragiona di parecchie quistioni mediche, fisiche, astrologiche e d’ogni altra materia, e frequentissimamente prende occasione di far qualche elogio di Lorenzo de’ Medici, a cui essa è dedicata. Il veder Galeotto tutto intento in quell’opera ad acquistarsi la grazia di quel gran mecenate de’ letterati, e il non vedervi fatta alcuna menzione di Mattia, è argomento, a mio parere, assai forte a conchiudere ch’egli allora era in Italia. Or questo libro fu scritto tra ’l 1488 e ’l 1490. Perciocchè in esso egli accenna la prigionia di Giovanni Bentivoglio, e la liberazione di esso, di cui dà lode a Lorenzo de’ Medici (c. 6), e questa accadde nell’anno 1488 (Murai. [p. 574 modifica]5^4 I-IBRO Ann. A Ital. ad. li. a.), e in noi tre parla del corso che doveva tener Venere nell1 anno i4y0- Venut alìquando per integrimi armimi progredietur, situi anno mcccclxxxx acc’ulet (c. 36). In Italia ancora egli scrisse il libro più volte accennato De dictis et factis Matthiae Regis , come si pruova manifestamente dal dire che in esso ei là: cum in JIunga ri a jam duobus annis elapsis fui (c. 31), con che pruova abbastanza eli ei non vi era, mentre scrivea tal libro. Ei dedicollo a Giovanni figliuolo naturale di quel sovrano, vivente però ancora il padre; perciocchè nel fine di esso ei dice: Hunc libellum, inclite Dux, dicavimus tibi, sed censoreni Judicemque Regium Maithiam consti luinius (c.32); e perciò esso non potè essere scritto dopo il i 400? c^ie E ultimo della vita del re Mattia.

XXX. Fin quando vivesse Galeotto, non è ben certo, e più incerto ò ancora di qual morte morisse; perciocchè due scrittori, vissuti amendue con lui qualche anno, discordano in ciò stranamente 1 uno dall’altro, e fan discordare i più recenti scrittori, de’ quali chi siegue l’uno, chi l’altro. Il Giovio dice in breve ch’ei morì vecchio a Montagnana presso Este sul Padovano, soffocato dalla soverchia grassezza. Gian Pietro Valeriano al contrario racconta (De Litterator. Infelic. l. 1, p. 30, ed. ven. 1620) che Galeotto, mentre stava alla corte del re Mattia, invitato da Luigi XI re di Francia, partì dall’Ungheria per colà trasferirsi, e che giunto a Lione, nell’entrare a cavallo in città, incontrossi col re che ne usciva, e che volendo perciò scendere a terra; trascinato dalla sua enorme [p. 575 modifica]SECONDO 5^5 grossezza cadde con tale impeto, che rimase morto sul colpo. A quale di questi due racconti ci atterrem noi? Il Valeriano era di alcuni anni più vecchio del Giovioj e pare perciò, eli’ ei possa esigere con più ragione di essere creduto. Ma certamente egli erra in questa sua narrazione. Luigi XI morì nel 1483, e Galeotto viveva ancora, come abbiamo provato, nel 1488. Forse si potrebbe rispondere che per errore siasi scritto Luigi XI, invece di XII. Ma questi non cominciò a regnare che nel 1498, e parmi difficile che Galeotto finallora sopravvivesse. Carlo VIII è il re a cui più felicemente si potrebbe ciò attribuire. Ma il vedere il Valeriano sì mal informato delle circostanze di questo fatto, mi fa temere ch’egli anche nella sostanza non abbia seguito che qualche opinion popolare. Inoltre Galeotto , come si è detto, lasciò la corte del re Mattia per tornarsene in Italia 5 nè io trovo che poscia ei facesse colà ritorno, e quindi anche per questo capo non regge la narrazione del Valeriano che il fa passare dall’Ungheria in Francia. Io credo perciò, che come più semplice, così più sincero sia il racconto del Giovio, e che la mostruosa grassezza di Galeotto rimproveratagli dal Merula nel già accennato libro, posta in burla dal medesimo Galeotto, e comprovata ancor da una medaglia che se ne ha nel Museo Mazzucchelliano (t. 1, p. 131), gli togliesse col soffocarlo la vita. Delle opere da lui composte abbiamo già parlato. In esse ei si mostra uomo di molta erudizione, ma scrittor poco colto, e infatuato [p. 576 modifica]576 LIBRO

egli pure dell’ astrologia giudiciaria. Il P. Decolonia (Hist. Litt. de Lyon. t. 2, p. 391), non so su qual fondamento, gli attribuisce ancora un trattato sul Cielo aperto a coloro che osservano la legge naturale. Ma io credo che su ciò non iscrivesse già egli espressamente un trattato; ma che solo ne ragionasse, come abbiamo udito narrarsi dal Giovio, nella sua opera De incognitis vulgo. Io debbo bensì aggiungere che in questa biblioteca Estense si ha un poemetto latino di Galeotto in lode di Stella dall’Assassino, o dell’Assissino, come altri leggono. Era ella figlia di un ramo della famiglia Tolommei stabilita in Ferrara, e distinta con quel soprannome; e fu quella da cui Niccolò III ebbe Ugo, Leonello e Borso, e morì nel 1419 (Script. Rer. ital. vol. 24, p. 184). Ei lo dedica a un Giovanni dell’Assissino, e alle lodi di Stella aggiugne quelle dello stesso Giovanni e di altri di quella famiglia. Io non credo però, ch’ ei fosse il padre già mentovato di Stella, perciocchè il poeta dicendo che due sono i lumi di quella famiglia, nomina prima Stella, poscia Giovanni.

Duo sunt Ptolomaeae lumina gentis, Quae tantam stirpem decorant et nomina praebent: Primum Stella choros inter celebranda Dearum; Ast aliud numen mira gravitate Joannes. Assissine es, cui Musae nosterque libellus Hunc (l. hic) datur ingenti Stellae confectus honore.

Or non mi sembra probabile che il poeta proponesse il padre alla figlia; e io penso che qui si parli di un altro Giovanni nipote forse [p. 577 modifica]SECONDO 5^7 di Stella, in grazia di cui ei prendesse a lodare la zia. E ciò ancora mi si rende più verisimile al riflettere che essendo Stella morta nel 1419 è assai difficile che Galeotto, morto circa il i (9° al più presto, avesse potuto conoscerne il padre, sicchè per riguardo a lui stesso avesse preso a lodarla, e non piuttosto per riguardo a qualche altro da lui discendente. Per altro questo poemetto ci mostra (fin dove possa giugnere un’adulazione servile: perciocchè Galeotto nel parlare di una donna che non essendo maritata avea avuti tre figli, non ha rossore di esaltarne l’illibata purezza fino ad affermare che, trattane la Madre di Dio, non v’ebbe in terra la più pudica donna di lei.


XXXI. Tra’ migliori filosofi di questo secolo dobbiamo ancora rammentare Antonio Ferrari al luogo della sua nascita detto Galateo. Di lui diremo più a lungo nel trattar degli storici. Qui osserverem solamente che abbiamo di lui alle stampe alcuni opuscoli filosofici , come quelli l)e si tu Elementorum, De si tu lerrarum, Ve mari et aquis, et fluviorum origine. Io non dirò di’ ei siegua le migliori opinioni, poichè appena mai si discosta dagli antichi maestri. Vedesi in lui nondimeno un ingegno libero, che si solleva talvolta sopra i volgari pregiudizj. Così abbiamo veduto ch’ei fu un de’ primi a ricercar disputando se fosse possibile la navigazione alle Indie orientali: e così pure in altre opere non filosofiche ei tratta di molte quistioni assai utili e interessanti , e ne parla da uom ragionevole e saggio. Bello è il vedere coni ei deride le opinioni del volgo in quelle Tiraboschi, Voi. VII. ò’j [p. 578 modifica]5^8 LIBRO provincic intorno alle streghe: Sunt qui credimi, dice egli (De situ Japi gì ac, p. 126, ed. lyciens. 1727), mulieres quasdam maleficas seu potius veneficas medicamentis delibutas noctu in varias animalium formas verti, et vagari, seu potius volare per longinquas regiones, ac nuntiare, quae ibi aguntur, choreas per paludes ducere, et daemonibus congredi; ingedi et egredi per clausa ostia et foramina, pueros necare, et nescio quae alia deliramenta. Nè ciò solamente: anche le sognate e ridicole apparizioni de’ vampiri veggiam fin d’allora da lui descritte, benchè sotto altro nome, e saggiamente derise: Similis est Brocolarum fabula (ih.) , qua e totum Orientem caepit. Ajunt eorum. qui sceleste vitam egerunt, animas, tamquam flammarum globos, noctu a sepulcris evolare, notis et amicis apparere, animalibus vesci, pueros fugere (l. sugere) ac necare, deide in sepulcra reverti. Superstitiosa gens sepulcra effodit, ac scisso cadavere detractum cor exurit, atque in quatuor ventos, hoc est in quatuor mundi plagas cinerem projicit; sic cessare pestem credit. Veggiam finalmente da lui descritti i fenomeni che si veggon talvolta nell1 aria su lidi della Calabria (ib. p. 128, ec.), a’ quali il volgo dà il nome di Fata Morgana, e che sono stati ultimamente illustrati con una dotta dissertazione dal P. Minasi domenicano. Così anche nelle cose fisiche cominciamo a veder qualche lume quasi foriero della gran luce che su esse dovea risplendere nei secoli susseguenti. E veramente convien confessare che al regno di Napoli noi siam debitori de’ primi sforzi che in [p. 579 modifica]SECONDO -79 questo secolo si fecero a squarciare la densa nube che involgeva ogni cosa. Gioviano Pontano ne fu testimonio, e ce ne lasciò una bella testimonianza ne’ suoi libri de Obedientia indirizzati a Roberto Sanseverino principe di Salerno, ove fa un magnifico elogio di un certo Giovanni Attaldo filosofo sconosciuto a’ dì nostri , e di cui niun fa parola, ma che pure ha diritto all1 immortalità per l’ardir ch’egli ebbe di tentar cose nuove. Ecco come parla il Pontano di questo grand’uomo) poichè io non posso a meno di non recarne qui intero il passo: tanto esso mi sembra bello e all1 italiana letteratura glorioso (l. 5 init.): Quaerentem diu me Roberte, de Philosophiae conditione, quae primo a Graecis excidta, de inde, a veteribus Latinis honorata, postea vero apud Gallos Britannosque ac nostrates quosdam homines tantum de veteri cultu dignitateque perdidisset, consolatur tandem Joannes Actaldus nobilis Peripateticus, magno vir ingenio magnaque doctrina et judicio vel inter paucissimos exquisito. Is enim Aristotelica omnia, non contentus tam multis interpretibus , quos et vidit adolescens et didicit, alia ratione perscrutatus, nec tam sophistaneas has argutias quam res ipsas quaerens spem attulit, fore jam j ut Philosophia clarior appareat, nec in tam varios ac diversos tracta sensus litigandi magis quam recte sentiendi materiam studiosis sui praebeat. Philosophos enim graece loquentes sua lingua et audit et intelligit; veteros nostros auctores tractat; Graecis veteribus vetera Latina comparat. Et quoniam Graecis, qui in Italia non didicerint, Philosophia parum mine [p. 580 modifica]580 LIBRO cognita est, ab illis tradita perfidos ac veteres tum Graecos tum nostros auctores noscitat. Itaque dum ne.c ignorat Graeca, nec. veteres scriptores negligit, in nova ista Philosophia non acquiescit, ne.c in errores passim multos incidit Sed de ingenio, judicio, doctrinaque ejus alias. De spe ita quidem mihi persuadeo, brevi fore quod dixi, ut et Philosophia clariorem formam induat, cumque una sit et certa veritas, minime futura sit tam varia ac lubrica, et qui Eloquentiam sequuntur habeant, unde facilius hauriant, quod exornare verbis possit. Convieni dire che sì belle speranze fosser troncate o dair immatura morte di questo filosofo, o da altre sventura; poiché ni un’altra memoria ce n1 è rimasta. Lo stesso Pontano aprì egli pure nuovi sentieri nella filosofia; ma di ciò diremo trattando degli scrittori di filosofia morale.


XXXII. Ciò che abbiamo già detto di Marsiglio Ficino e di Galeotto Marzio, ci dà sent altro a vedere che l’astrologia giudiciaria ebbe in questo secolo ancora gran numero di seguaci non meno che di ammiratori. Fra gli altri Filippo Maria Visconti duca da Milano fu uno de’ più superstiziosi nell’osservare le stelle e nel consultare gli astrologi. Pier Candido L)ecembrio, che ne ha scritta la Vita, racconta (c. (68, Script. rer. ital. vol. 20, p. 1017) eh’ei chiamò alla sua corte i più eccellenti tra essi, e singolarmente Pietro da Siena e Stefano da Faenza; poi negli ultimi anni Antonio Bernardigio, Luigi Terzago e Lanfranco da Parma, e finalmente un certo Ebreo di nome Elia 5 e siegue poscia a narrare con qual puerile [p. 581 modifica]SECONDO 581 superstizione si regolasse egli in qualunque affare col lor consiglio. Ma gli astrologi tanto cari a Filippo Maria non trovarono ugual protezione presso il successore Francesco Sforza, il quale troppo più saggio di esso ben conosceva la loro impostura, e appena faceane alcun conto (Script. rer. ital. vol. 21 , p. 779) (*). Degli astrologi or nominati appena si trova altra memoria ed essi probabilmente non lasciarono opera alcuna in pruova del lor sapere. Antonio Bemardigio però, ossia Beruareggio, che è lo stesso, dovea essere uomo avuto in conto di dotto, perciocché reggiamo eli1 ei fu uno de’ deputati a formare nel 1447 n,,ova università di Milano, di cui abbiam parlato a suo (*) Benché il duca Francesco Maria Sforza non facesse.alcun conto de’ seguaci dell'astrologia giudicinria, essi però non lasciarono di far pompa delle loro imposture nella corte del sovrano medesimo. Ne è pruova un bel codice in pergamena in 4? e assai bene scritto, che si conserva in Mil mo presso I altre volle lodalo sig. D. Carlo de’ Marchesi Trivulzi, e che contiene un voluminoso oroscopo diviso in tre parti, e ciascuna d’esse in più capi, fatto a Galeazzo Maria primogenito e poi successore del detto duca , da Rafaello da V imercate, scrittore non conosciuto dall’Argelati. Al fine di esso si legge: Explicit liber judiciorum in nativitate Comitis Galeazzi Mariae Vicecomitis Lygurum futuri Ducis dignanter electi quem Raphael de Vicomercato composuit. Finis i 1 aie rnartis secundo mensis Junii hora octava precise..Nel primo foglio vedesi vagamente miniato il giovinetto principe in atto di ricevere dalla mano dell’autore genuflesso ai suoi piedi il libro. e nell’estremità di essa si scorge l’arme de’ duchi di Milano , il che ci mostra che fu questo il codice offerto al giovane principe, o al padre di esso. [p. 582 modifica]58a LIBRO luogo (Corti Notizie de’ Medici milan p.;280). E innoltre abbiamo una lettera a lui scritta nell’anno 1449 da Francesco Filelfo (l. 6, ep. 53), in cui dopo averlo lodato, perchè egli è cum in caeteris Philosophiae partibus, tum in mathematicis disciplinis et eruditus et doctus, gli chiede il suo sentimento intorno alla grandezza del sole. Più distinte memorie abbiamo di tre famosi astrologi che verso la fine di questo secolo viveano in Bologna; perciocchè di essi, come di uomini incomparabili e poco men che divini, dice gran lodi Giovanni Garzoni nell' opuscolo da noi altre volte citato De dignitate Urbis Portoni ac (Script. Rer. ital. L. cit. p. 1163). Il primo tra essi è Girolamo Manfredi, di cui racconta che per mezzo dell’astrologia, di povero ch’egli era. divenne ricchissimo; argomento che sempre ha avuta gran forza a far credere 1* astrologia assai vantaggiosa, se non agli altri, a chi l’esercita almeno. Nè è meraviglia che in ciò riuscisse il Manfredi; perciocchè egli, se crediamo al Garzoni, avendo all' astrologia congiunta la medicina , rendette la sanità a molti infermi già disperati e ormai moribondi. Aggiugne, che scrisse de’ libri in amendue quelle scienze, e che osservando il punto della lor nascita, predisse a molti le vicende della lor vita, nè mai, cosa veramente ammirabile, fu convinto di menzogna. Ma Giovanni Pico della Mirandola formidabil nemico di tutti gli astrologi ne scrive ben altrimenti. A Pino degli Ordelaffi Signor di Forlì, dice egli (De Astrol l. 2 , c. 9)), che avea per moglie Lucrezia mia sorella, in [p. 583 modifica]SECONDO 583 quell' anno stesso in cui finì di vivere, avea promessa una perfetta salute. Girolamo Manfredi Astrologo eccellente de’ nostri tempi. Ma non è a stupire che non prevedesse la morte altrui, chi non potè pur prevedere la propria. Perciocchè essendo egli morto nella prossima passata state (il Pico scriveva ciò verso il i4f)3, e l’Ali dosi in fatti (Dott. bologn. di 7 ’eoi. p. 61) dice morto nel i4f)2 il Manfredi) nelle predizioni di quell’anno stesso che gli fu fatale, avea promesso più volte di voler nell’anno seguente predir cose grandi e nuiravigliose. L* Orlandi ne annovera (Scritt. bologn. p. 176) alcune opere mediche, che si hanno alle stampe, e tra esse il libro che poi in altre edizioni fu intitolato Il Perchè, il quale è in somma una traduzione dei Problemi di Aristotele con più giunte. Alcune altre opere mediche del Manfredi in lingua italiana stampate in Bologna nel secolo in cui scriviamo, accenna il Maittaire (Ann. typogr. t 5, pars 2, p. 196) (ec). Il secondo degli astrologi nominati dal Garzoni è Giovanni Pasio, di cui dice che fu fatto cavaliere da Pio II, e che per isfuggir l’ozio diedesi all’astrologia, e in essa scrisse egli pure predizioni maravigliose. Ma di lui non abbiamo, ch’io sappia, cosa alcuna stampala.

XXXIII. Il terzo fra gli astrologi dal Garzoni lodati è Giovanni Bianchini, di cui egli dice soltanto che le Tavole astronomiche da (a) Più distinte notizie intorno alla vita e alle opere del Manfredi si hanno ora negli Scrittori bolognesi del eh. co. Fanluzzi (l. p. 19G, ec.). [p. 584 modifica]584 MURO lui pubblicate mostrano di quanta lode ei sia meritevole , che scrisse tai conienti sull1 Almapesto, che fa maraviglia il vedere come potesse saper tanto. E questi fu uomo veramente assai dotto , e che se si lasciò ingannare dalle follie astrologiche, ad esse però congiunse una vera e solida cognizione dell1 astronomia, li conte Mazzucclielli ha raccolte tutte quelle notizie (Script. ital. t. 2, par. 2, p. 1178) che di lui ci danno i monumenti non meno, che gli scrittori,ed afferma ch’ei fu di patria bolognese (*), e figliuolo di fìianchino di Giovanni *, che in Bologna ebbe la laurea dottorale in filosofia, in matematica e in amendue le leggi; che passato in età ancor giovanile a Ferrara, servì per molti anni a Niccolò III, a Leonelloy al Borso; e che dal primo di essi fu fatto fanno 1 |3’j cittadin ferrarese; che ciò non ostante non dimenticò la sua patria; e che nel 1443 fu ivi tra’ Cinquanta del Credito, nel 1466 uno degli Anziani. Ciò non ostante il Borsetti sostiene eli1 ei fu ferrarese non solo per cittadinanza ottenuta , ma veramente di patria (Ili st. Gjnin. ferrar, t. 2, p. 24). Le ragioni ch’egli ne reca, sono prima I’ autorità del Biancani, la qual veramente non è grandissima, essendo questi vissuto nel secolo XVII; in secondo luogo la dedica dal Bianchini fatta fanno 14delle (*) Il sig. dott. Baroni si trattiene assai lungamente nel disputare sulla patria di Giovanni Bianchini, e nel provare eh et iii (eirarese, e non bolognese (Mi ni, de* Lrttrr. ftrrar. t. i. p. 349, ec.); e di ciò ragiona ancora il eli. sig. abate Lorenzo di lui figlinolo nella prefazione all’opera del padre da lui premessa. [p. 585 modifica]secondo SSf» sue Tavole astronomiche all’imperador Federigo ili, elie leggesi in un codice della libreria Ben ti voglio in Ferrara, in cui egli si dice: Joannes Blanchinius Ferrariensis. Innoltre uno stromento autentico aggiunto al medesimo codice, che contiene l’assoluzione del Bianchini di tutti i conti per l’amministrazione da lui sostenuta de’ beni camerali fattagli da Borso nell1 anno 14^7? *n cu* prili è detto figliuol) d’Almerigo (non di Giovanni, come si afferma dal l)olfi e dal conte Mazzucchelli) # e cittadin di Ferrara della contrada di S. Romano. Finalmente la dedica delle accennate Tavole fatta da lui, prima che a Federigo, al marchese Leonello, e che si legge nell’edizione veneta del 1495, in cui egli dice: cum me tuum Civem esse non ignor arem. A tutte queste ragioni risponde il conte Mazzucchelli, che il Bianchini volle dirsi cittadin ferrarese per gratitudine al beneficio della cittadinanza avuto dagli Estensi. La qual risposta avrebbe non poca forza, se fosse certo che il Bianchini fosse veramente nato in Bologna. Ma ei non ne adduce altra autorità che quella del Dolfi scrittore non troppo sicuro, e delle cui genealogie i Bolognesi stessi non fanno gran conto. In fatti qui certamente egli erra, chiamando Giovanni figliuol di Bianchino, mentre l’autentico strumento citato dal Borsetti lo dice ligliuol d’Alrnerigo. Innoltrc egli il fa anziano in Bologna nel 1466 L’Ali dosi al contrario nel catalogo che ci ha dato degli Anziani, al detto anno nomina invece Giovanni Bianchi Branchini. E io perciò.inclinerei anzi a crederlo ferrarese [p. 586 modifica]586 LIBRO che bolognese. Ma F autorità del Garzoni, che poteva aver conosciuto lo stesso Bianchini, e che il pone tra’ famosi astrologi bolognesi. è troppo valevole, perchè non debba farci abbracciare la stessa opinione , e ad essa si aggiunge ancor quella di Benedetto Morandi scrittore esso ancora contemporaneo, che lo annovera tra’ celebri Bolognesi di quell1 età (Orat. de Laudib. bonom. p. 36) (a). 11 Borsetti lo (a) Ma la quisitione intorno alla patria del Bianchini sembra ormai decisa in modo che non ammetta più alcun dubbio. Il sig. co. Fantuzzi ha prodotto (Scritt. bologn. t.2.p). 180) un pubblico documento, in cui con più altre la famiglia Bianchini e nominatamente Amerigo (padre del matematico) figlio di Giovanni, atteso il soggiorno da molto tempo addietro fatto in Bologna, e i servigi a quel Comune prestati, è ammesso a quella cittadinanza l’unno t.Joo. Egli ha anche prodotto il diploma di Federigo III con cui a’ 28 di maggio del 1452 a Giovanni Bianchini figlio del fu Amerigo e fattor generale del duca Borso accorda gli onori della nobiltà , e gli assegna 1 arme gentilizia , nella quale si vede inserita la sfera in signum clarissimae Astrorum Scientiae, qua te aliis singulari praestare eminentia agnovimus. È certo dunque che Giovanni non fu figlio di un altro Giovanni, ma di Amerigo cittadin bolognese, e perciò, ove ei dicesi cittadin ferrarese, deesi intendere della cittadinanza accordatagli dal march. Niccolò III l'anno 1432, per la quale stabilitosi in Ferrara, visse ivi costantemente, aggiugnendo agli impieghi or di fattor generale del principe, or di ufficiale alle bollette , gli studj matematici ed astronomici. Talvolta però come osserva lo stesso co. Fantuzzi, ei rivide la patria, come ci mostrano alcuni contratti da lui ivi stipulati; ina eh' ei vi sostenne pubblici impieghi , da questo scrittor non si dice. Di lui si trova memoria ne’ documenti ferraresi fino al 1469 Delle Tavole del Bianchini fa menzione anche il Bailly (Hist. de VAstron. r.wd. t. 2, p. G86. [p. 587 modifica]SECONDO 53~ pone fra1 lettori dell’università di Ferrara. Ma di ciò non veggo di’ ei rechi pruova. Anzi nè in alcun de’ cataloghi di (que’ professori in questo secolo io veggo farsi di lui menzione, nè egli si dice mai professore. E panni diflieile che l1 impiego eli’ egli ebbe di amministrator generale delle entrate de’ tre suddetti principi Estensi, gli permettesse di salire; ancora le cattedre. Ma tenesse, o no, pubblica scuola , è certo eli1 ei fu uomo in astronomia dottissimo; e ne son pruova le sopraccennate Tavole de’ movimenti de’ Pianeti stampate più volte anche nel secol seguente, e perle quali egli ottenne dall’imperador Federigo a sè e a’ suoi agnati il privilegio di aggiugnere alla propria divisa l’aquila imperiale. Oltre queste Tavole, due opuscoli latini inediti, e da niun mentovati , ne conserva questa biblioteca Estense; uno intitolato De Sinibus, l’altro che contiene la descrizione di uno stromento da lui ritrovato per misurare la distanza e l’altezza di qualunque oggetto a cui non sia possibile l’accostarsi; e questo ancora vien da lui dedicato al marchese Leonello («). (n) 11 si'. Cristoforo Teofilo De Murr ha pubblicato non ha molto (Memorabilia bibliothecar. Norimberg', t. 1,p;. 74» ec. Norimberg. 1786 parecchie lettere, che si scrissero a vicenda il Bianchini e il Regiomontano, di cui diremo tra poco, proponendosi a vicenda e sciogliendo diversi problemi di astronomia , di geometria , d’aritmetica, ec., e alcune altre scritte al Regiomontano stesso da Mattia Cristiano matematico di Erfurt, e da Jacopo di Spira matematico di Federigo conte di Urbino , le quali originali conservansi nella pubblica [p. 588 modifica]588 LIBRO XWIV. A questi tre astrologi bolognesi un altro deesi nggiugnere che, benché ferrarese eli patria, lungo tempo però visse ed insegnò in Bologna, ed ebbe la sorte di avere a suo scolaro il primo riformatore dell’astronomia Niccolò Copernico. Ei fu Domenico Maria Novara, che dal P. Riccioli si dice (Almagest. t. i in indice Astron. ec.) nato l’anno i j(4 sul fondamento dell’iscrizion sepolcrale che il dice morto l’anno 1514 in età di r*o anni. Cli’ei fosse di patria ferrarese, oltre il commi consenso degli scrittori, lo pruova la lettera con cui Girolamo Salio faentino gli dedica il Quadripartito di Tolommeo, e si fa insieme a difendere f astrologia: Hieronimus Salius Favcntìtuis Artiuin et Medichine Doclor Dominico Mariae de Anuaria (così per errore di stampa invece di Novaria) Ferraricnsi Artiiun et Medie inae Doctori Asteologoque eccellentissimo de Nobilitale Astrologale. Lo stesso Riccioli, seguito dal Borsetti (Hist. Gynin. ferrar. Li, p. 8o), afferma eli’ ei fu professore di astronomia in Ferrara, in Bologna, in Perugia e in Roma. Nè io ho motivo a negare che a tutte queste università fosse chiamato Domenico. Ma ciò non può combinarsi colf asserzione delTAbiblioteca di Norimberga , e che sono una bella testimonianza del molto loro sapere, e potrebbon giovar non poco a chi avesse agio d1 esaminarle per conoscere lo stato di quelle scienze a quei tempi: da una di esse (p. '79) noi raccogliamo che una figlia del Bianchini era moglie di Annibale Gonzaga, personaggio carissimo al duca Borso. Ei ci ha dati ancora incisi i saggi del carattere del Bianchini, del Regiomontano e di Jacopo. [p. 589 modifica]Jidosi (Dott.forast. p. iy) che lo dice profesgore d’astronomia in Bologna dal 14^4 (cioè quando il Novara non avea che 20 anni di clà) fino al 151 q, nel qual anno morì. O l’uno, o l’altro di questi scrittori si son dunque ingannati; ma io non trovo tai monumenti che ci mostrino chi abbia colto nel vero. Il lungo soggiorno di Domenico Maria in Bologna è certo sì per l’iscrizion sepolcrale ivi postagli nella chiesa dell’Annunziata, che dall’Alidosi medesimo si riferisce, sì per la testimonianza di Giorgio Giochino Retico scolaro e compagno indivisibile del Copernico. A questo scrittore dobbiam la notizia di ciò che più d’ogni cosa è glorioso a Domenico Maria, cioè di aver avuto non solo a suo scolaro, ma ancora a compagno nelle sue osservazioni astronomiche il detto Copernico, e inoltre dell’essere stato il Copernico in età ancor giovanile professore di astronomia in Roma, e di avere ivi avuto concorso grandissimo di scolari e di ragguardevoli personaggi. Rechiamo la stesse parole di questo scrittore, che alla nostra Italia son troppo onorevoli, perchè non debbano essere a questo luogo inserite: Cum D. Doctor incus, dice egli parlando del Copernico (Narrat, de Copern, ec.) Bononiae non tam discipulus quam adjutor et testis observationum doctissimi viri Dominici Mariae, Romae autem (circa annum Domini MD natus annos plusminus vi giriti septem, Professor Mathe matum, in magna scolasticorum frequentia , et corona magnorum virorum et Artificum in hac doctrinae genere, deinde hic Varmiae suis vacans studiis summa cura observationes [p. 590 modifica]5ijo libro (uhiotasset, ec. E forse fu lo stesso Novara che diede al Copernico la prima idea del sistema che questi poscia propose. Alcuni scrittori attribuiscono la prima idea di questo sistema a Girolamo Tagliavia calabrese, che visse verso questi tempi medesimi. Fama est, dice Tommaso Cornelio scrittor del secolo XVII (Problem. phys.), Hieronymum Tallaviam (Calabrum plurima secum animo agitasse, et nonnulla etiam de hoc sy stanate perse ripsisse, et illius tandem fato praerepti adversaria in manus Copernici pervenisse. Ma io non so qual fondamento abbia la fama qui accennata. E se il Copernico dovette ad alcuno il sistema da lui proposto, è più verisimile che questi fosse il Novara. Certo egli era uomo d’ingegno ardito, e nulla schivo de’ pregiudizi; e ne è pruova un’opinione che, come osserva il Montucla (Ilistaes des Mathèm. t. 1, p. 4^4)) sostenne, cioè che dopo i tempi di Tolommeo il polo del mondo avea cambiata situazione, e in questi paesi erasi accostato il nostro zenith; opinione che, benchè falsa, ebbe pur nondimeno qualche sostenitore anche nello scorso secolo. Ma alle osservazioni astronomiche ei congiunse ancora le astrologiche, e in ciò non ebbe coraggio di allontanarsi dal volgo. Quindi nell’iscrizion sepolcrale fra le altre gli si dà questa lode, che meglio per lui sarebbe stato non meritarla: Qui responsa dabat Coeli internuncius ore Veridico, fati sidera sacra probans.

XXXV. Io lascio di ragionare distesamente di altri non pochi che all1 astronomia si applicarono [p. 591 modifica]SECONDO 5()1 felicemente, benché ad essa per lo più congiungessero le astrologiche superstizioni. Giorgio Valla , di cui diremo più a lungo nel favellar de’ grammatici, scrisse qualche comento sulle opere astronomiche di Tolommeo e di altri antichi, alcune ancor delle quali furon da lui recate in latino, come dimostra il Weidlero (JlisL A strattoni, p. 3o()• Abbiam pure alcuni Comenti sulle Opere del Sacrobosco e del Peurbachio di Giambattista da Capova professore di astronomia in Padova nel (ib. p. 324 Facciol. Fasti Gymn. pat. pars 2, p. 117). I poemi di Gioviano Pontano sulle stelle e sulle meteore, de’ (quali diremo altrove, ci mostrano quanto studio avesse fatto egli pure nella scienza astronomica (a). Un Comento sulla sfera scrisse ancora Gasparino Borro veneziano de’ Servi di Maria, uomo che fu al tempo medesimo teologo, filosofo, astronomo e poeta, e morì nel 1489, di cui più copiose notizie si posson vedere presso il conte Mazzucchelli (Se riti. ital. t. 2, par. 3, p. 1787, ec.), ed altri scrittori da lui citati. Antonio Flaminio siciliano professore in Roma sulla fine di questo secolo due volumi avea scritti su’ movimenti celesti, come pruova il Mongitore (Bibl. Sicula, t. 1, p. 67) coll’autorità di una lettera di lui medesimo, che trovasi fra quelle di Lucio Marineo Marin. Epist (’/) M. Baiily (IVst. de l1 Astron. inod. t. i, p. f»c)3) c prima di lui il Weidlero (Hi sì..-tstron. p. 3*T) hanno osservato che sembra il Pontano essere stalo il primo a rinnovare 1* opinion di Democrito che attribuiva la luce della via lattea a un numero iulinito di picciote stelle. [p. 592 modifica]5lja LIBRO /. 3). Ed egli è quell’Antonio Flaminio di cui Pietro Valeriano ci descrive lo strano carattere (De Li f te rato r. In/elic. I. i), dicendo di’ egli nimico della società non conversava mai con alcuno; non volle mai in sua casa alcun servidore; mai non andò alla tavola altrui, nè ammise mai alcuno alla sua; e che dopo aver vissuto così in segreto, in segreto ancora morì; perciocchè il bettoliere che ogni giorno vendeagli il cibo, non veggendolo già da tre dì comparire, entratogli in casa per una finestra il trovò steso in terra, e morto fra i libri. Antonio Torquato ferrarese medico e astrologo scrisse un pronostico sulla rovina d’Europa indirizzato a Mattia re d’Ungheria, in cui prediceva gli avvenimenti dal 1480 fino al 1540. Il Borsetti ne cita due codici da lui veduti (Hist Gymn. ferrar. t. 2, p. 28), e un altro pur ne conserva questa biblioteca Estense, il quale è scritto dopo l’avvenimento di tutto ciò che quel valente astrologo avea predetto; e perciò il copista ha accennati in margine i fatti de’ quali il Torquato intendeva di favellare; e con queste note esso è stato pubblicato dal Frehero (Script. Rer. German, t. 2, p. 5(5i)). Ma questo pronostico stesso basta a mostrar l’impostura di questa pretesa scienza, perciocchè fra qualche cosa, in cui si può in qualche senso affermare che l’autore abbia colto nel vero, ve ne ha mille in cui ha errato solennemente. Lo stesso Borsetti fa menzione di Battista Piasio filosofo e astronomo cremonese (l. ciL), e ripete il breve elogio che ne ha fatto l’Arisi. Migliori notizie ce ne ha date il P.Lyron Maurino [p. 593 modifica]SECONDO 5g3 (Singiilar. litt. t. 1 ì p. 316), traendole dalf orazion funebre che ne recitò Niccolò Lucaro cremonese egli pure, stampata nella Raccolta de’ Sermoni di f Gregorio Britannico, in cui dice che egli era stato scolaro di Jacopo Alieri, di Niccolò da Cremona agostiniano, e di Appollinare Offredi; che allo studio della filosofia congiunse quello ancora della medicina; ma che singolarmente applicossi all’astronomia, chiamato perciò a insegnarla pubblicamente da Leonello d’Este a Ferrara (a)» da Francesco Sforza a Milano, e da Pio II a Roma; parla della grande stima in cui egli era presso tutti, e accenna alcune opere astronomiche da lui composte. Francesco Filelfo però, che l’anno 1455 il vide in Ferrara, in sua lettera si prende giuoco di di lui, e de’ giudizj astrologici da lui formati (l. la, cp. 7.4)j mostrando ch’egli avea errato nel formar l’oroscopo al duca Francesco Sforza. Ei morì nel 1492 in età di ottantadue anni. Ai quali astronomi moltissimi altri potrei qui aggiugnerne, se tutti volessi annoverare coloro de’ quali sappiamo o che furono professori di astronomia, o di astrologia in alcune università italiane, o che di questa scienza trattarono in qualche lor libro» (a) Del soggiorno di Batista Piasìo in Ferrara si ha un’altra pruova in un memoriale olferto al duca Borso Tanno 1 (.'o prò parte Daplistae de Piastis de Cremona Artium et Medicina e Doctorix et A Urologi) con cui lo supplica pel pagamento di ciò che gli restava ad avere del suo stipeudio. Lsso conservasi in questo archivio camerale. ✓ TlRABOSCHl, Voi. VII. 38 [p. 594 modifica]5l)4 LIBRO XXXyi. Ninna provincia però sì ardentemente si volse a coltivare tali studj , quanto la Toscana. Il dottissimo ab. Ximenes nella seconda parte dell Introduzione storica alla sua opera sul Gnomone fiorentino ne annovera i più famosi, e tra essi veggiamo quel Guglielmo Bec. chi agostiniano, da noi mentovato già fra1 teologi, autore di alcune osservazioni sopra una cometa, che conservansi nella Magliabecchiana; Goro di Staggio Dati, che scrisse un poema in ottava rima sopra la Sfera (*), di cui si hanno più edizioni, e più altri che ivi si annoverano; a’ quali si può aggiugnere Paolo Alamanni, che da Giovanni Pico della Mirandola (In Astro log. I. y, c. 12) vien detto matematico insigne a servigio del duca d’Urbino, ma nimico dell1 astrologia giudiciaria. Già abbiamo osservato che Marsilio Ficino non andò egli pure esente da questa taccia. Ma due singolarmente ottennero in questa scienza gran nome, Lucio Bellanti sanese, e Lorenzo Buoninconti da S. Miniato. Il primo al pubblicarsi dell’opera di Giovanni Pico contro l’Astrologia impugnò l’armi a combatterla, e a confutar gli argomenti contro essa recati da quel grand’uomo, di cui per altro egli parla con molta stima, dolendosi che coloro, i quali dopo la morte di (*) 11 sig. Domenico Maria Manni accenna in una sua prefazione la recentisiima scoperta fatta (Prcfaz. al Volgari zza mento arile Favole dì Esopo, Fen. 1778, p. 31, ec.) che Goro di Staggio Dati nou fu già I autore del poema in ottava rima sopra la Sfera, e che altro egli non fece che copiare il detto poema composto da 1’. Leonardo Dati domenicano suo fratello. [p. 595 modifica]SECONDO 5()5 esso ne avea pubblicata quest’opera, ne avessero con ciò oscurato il nome, e aggiungendo che, s’ei fosse vissuto, non avrebbela certamente data alla luce. L’opera del Bellanti è intitolata: De Astrologiae veritate Liber Quaestionum; e in essa, divisa in venti questioni, usa ogni sforzo per provarci quanto possiam fidarci a’ giudizi astrologici. Segue poscia Astrologiae defensio contra Joannem Picum Mirandulanum, in cui in dodici brevi libri si sforza di confutar gli altrettanti del suo avversario, ma con quel felice successo che ognun può immaginare. Tra gli argomenti ch’ei reca a favor degli astrologi , uno è la predizione fatta da Paolo da Meddelburgo vescovo di Fossombrone e famoso astronomo di que’ tempi (di cui farem cenno nuovamente nel secolo xvi), il quale predetta avea la venuta di un falso profeta. E questo pretende egli (Contra Picum, l. 5) che fosse il celebre f Girolamo Savonarola; anzi aggiugne di se medesimo, che può citar moltissimi testimonj, che cinque mesi innanzi alla tragica fine di quel religioso avea pronosticato che esso inclinava all’eresia, e che sarebbe stato strozzato: Complures sunt autem Florentiae testes fide dignissimi , quibus inspecta Hieronymi Savonarolae genitura, quinque ante ejus jacturam menses, dum florebat, et ipsum Hieronymum ad heresim inclinatum , et laqueo vitam terminaturum praedixi. Ma s’ei voleva ottener fede , dovea nominare distintamente i testimonj di cotal sua predizione, la qual per altro potea agevolmente [p. 596 modifica]5 96 - LIBRO farsi, senza consultare le stelle, da chi rifletteva alle circostanze in cui cinque mesi innanzi alla morte trovavasi il Savonarola. Il co Mazzu cchelli annovera (Scritt. ital t. 2, par. a, 63«)) due edizioni di quest’opera fai te nel xv secolo, la prima in Bologna nel la seconda in Firenze nel i4f)8. Or il Savonarola fu ucciso nell’aprile di questo secondo anno; e perciò io credo che non esista la prima edizione del 1495, se pure il Bellanti ristampandola nel 1498 dopo la morte del Savonarola non vi aggiunse le arrecate parole. Esse però bastano a mostrarci l’errore delP. Riccioli che afferma (Chronol. re forni t. 3, p. 356) morto il Bellanti nel 1495. L’Ugurgieri aggiugne (Pompe sanesi, tit 21, p 662) che al Pico ancora egli predisse che non avrebbe passata l’età di trentratrè anni. Ma se ciò fosse avvenuto , ei ne avrebbe nella sua opera menato trionfo, e io non trovo ch’ei ne faccia in essa alcun cenno. All’opera del Bellanti un’altra si aggiunse in difesa dell’Astrologia di Gabriello Pirovano medico milanese, si cui parla l’Argelati (Bibl. Script. Mediol. t. 2, par. 1, p. 1089), e di cui però non si trova che fuor di questi pubblicasse altro libro. Il co. Mazzucchelli attribuisce ancora al Bellanti un’altr’opera intitolata: De Divi natione per astra) ma essanone probabilmente diversa da quella di cui abbiamo ora parlato, e nella quale, a giudizio del sig. ab. Ximenes (introd al Tratt. del Gnom.fior.p. 6. ec.), in mezzo a errori gravi... traspariscono molte dottrine di buona Astronomia sparse in tutto il suo [p. 597 modifica]SECONDO 5^ libro sopra le irregolarità dei moti solari e lunari, sopra le massime elongazioni di Mercurio, sopra le macchine costruite per ben rappresentare i moti dei Pianeti e gli Eclissi lunari e solari. Della vita da lui condotta altro non sappiamo di certo, se non ciò di’ egli stesso ci narra nella prefazione alla citata sua opera , e ch’io recherò qui tradotto nella volgar nostra lingua. Esule dalla patria, dice egli, cioè da Siena, perc hè non sieguo il partito dei cittadini malvagi, vivo in Firenze. Mentre lavoro intorno a quest’opera, sempre mi sta innanzi al pensiero la libertà della patria. Ed ecco che mentre scrivo tai cose, entra nella scuola un messo che mi avverte esser pronti gli assassini destinati ad uccidermi. In ogni luogo mi veggo tese l'insidie, talché i miei amici mi appellano un Damocle, o un Dionigi’ , e benchè col trovarmi continuamente tra mille pericoli io sia divenuto intrepido, non può a meno però, che dalle languide mani non mi cada a quando a quando la penna. Ma se il Bellanti era astrologo sì valoroso, perchè non consultava egli le stelle a conoscere accertatamente quando e di quale morte avesse a morire? XXXVn. Lorenzo Buonincontri di S. Miniato alla scienza astrologica aggiunse ancora lo studio della storia e della poesia. Il Muratori (Script. Rer. ital. vol. 21 , p. 3 , ec.), il Lami (Delie. Erudilor. ti 5 , praef ec.) e il conte Mazzucchelli (Scritti ital. ti 2, par. 4» p■ 2393, ec.) han raccolto dalle opere di lui medesimo e di altri scrittori di quei tempi le più esatte notizie intorno alla vita da lui condotta, e io [p. 598 modifica]5g8. libro perciò non farò che accennarle, aggiugnendo sol qualche cosa da essi ommessa. Lorenzo nato a’ 23 di febbraio del i4* «, in età di venlun’aiini dovette co’ suoi abbandonare la patria , perchè un suo zio avea fatto ricorso all imperador Sigismondo pregandolo a sottrarre i Sanminiatesi al giogo dei Fiorentini. Lorenzo ebbe ricorso al medesimo Sigismondo; e da lui sovvenuto, ritirossi a Pisa. Indi prese le armi, militò lungamente sotto Francesco Sforza che fu poi duca di Milano. Passato poscia a.Napoli , vi fu onorevolmente accolto dal re Alfonso, e ivi lesse pubblicamente l’astronomio di Manilio, ed ebbe la sorte di avere a suo scolaro Gioviano Pontano. Dopo sì lungo esilio, l’anno 1474 ^,l richiamato in patria, e venuto a Firenze vi spiegò lo stesso poeta. I suddetti scrittori ci lasciano incerti intorno all’anno in cui Lorenzo morisse: e io pure non trovo argomento a fissarlo. Ma è certo eli’ ei vivea ancora non solo nel 1480, nel qual anno era al servigio di Costanzo Sforza signor di Pesaro, ma anche nel 1489, in cui era in Roma , come vedremo fra poco parlando dell’opere da lui composte; ed è certo che era morto nel 1502, poichè quest’anno fu l’ultimo della vita del Pontano , che pianse con un suo epigramma la morte del Buonincontri; e Rafaello Volterrano, che scriveva ne’ primi anni del secolo xvi, dice (Comm. urbana. l. 21) che egli era morto in Roma pochi anni prima. Il conte Mazzucchelli annovera le opere di Lorenzo , che si posson dividere in tre classi. Alcune sono astronomiche, cioè il couicuto [p. 599 modifica]SECONDO O99 sull’Opere di Manilio, 1111 opuscolo intitolato T!’metatus A s teologie us electionum, al (fine del quale si legge: perfectum Romae duodecima Maii anno incarn. 1489 per Laurentium Bonincrontrium Astrologum Miniantensem; un altro De revolutionibus annorum, i tre libri Rerum Naturalium et Divinarum, sive de Rebus Coelestibus, oltre alcune altre che si conservano manoscritte (*). I tre libri suddetti si possono ancor riferire tra le opere poetiche, poichè sono scritte in versi esametri, e in essi con intreccio assai capriccioso, dopo aver dato un compendio della Religion cristiana , entra nelle follie astrologie he, congiunte però ad alcune buone dottrine di geografia e cT astronomia. Lo stile non è incolto, e talvolta ancora è elegante. Udiamo il principio della dedica eli’ egli ne fa al re Ferdinando di Napoli figliuolo del re Alfonso: In nova tentantem deducere carmina Musas , Atque aperire viam verae rationis et artis, Te regum, Fernande, precor, justissime Princeps, Qui quondam tanto bellorum turbine pressus Invicta fortunae ictus virtute tulisti, Flecte animum , vatemque tuum ne desere, ec. (*) II ch. sig. canonico Bandini ci dà notizia di un poeta anonimo, di cui nella Laurcnziana conservasi un poema de Rebus Naturalibus diviso in sei libri, e di ciascheduno di essi ci dà un saggio ne’ primi e negli ultimi versi (Cat. Cod. lai. Bibl. Laurent, t. iyp. 173, ec.). Il confronto ch’io ne ho fatto, mi ha dato a conoscere che gli ultimi tre libri sono appunto i tre libri di Lorenzo Buonincontri, che abbiamo alle stampe , e che da me qui si acceunano, intitolati Rerum naturalium et caelestium. [p. 600 modifica]6oo LIBRO Alle opere poetiche, oltre questi tre libri, appartiene quello de’ Fasti f), che è pure ni versi Ialini, e uu Atlante in ottava rima, che era manoscritto nella libreria Capponi (C’it. della Libr. Capponi, p. /(36). Alle opere storiche finalmente appartengono gli Annali da lui scritti in latino dall anno )o3 fino al « (38. i quali sono stati pubblicati dal Muratori (Script. Jìer. ital.

I. ciL) , cominciando però solamente dal i36o, e la Storia de’ He di Napoli tino al i.(36, divisa in nove libri, i primi sette de’ quali, clic giungono al i44 sono stali dati alia luce dal dottor Lami (Delie. Erudii, t. 5, 6, 8). Di (*) L’opera de’ Fasti di Lorenzo Buonincontri di S. Miniato dicesi comunemente composta di un sol libro. Io non I ho veduta, nè posso perciò accertare se così sia veramente. Ma nella libreria di S. Maria del Popolo in Roma se ne conserva un bel codice , in cui essa è divisa in quattro libri, come mi ha avvertito il più volte lodato P. Tommaso Verani. Precede ad essa la dedica dell' autore al card. Giuliano della Rovere nipote di Sisto IV, in cui egli accenna di essere nell’ottantesimo anno di età; e dice che l’aver veduta la statua di bronzo. che il cardinale facea lavorare per ornare il sepolcro del defunto zio, l’avea determinato a dar ultima mano a quell' opera da lui composta atlìne di dedicarla al pontefice stesso. L’opera è in versi elegiaci, ma frammischiata di ode e di componimenti d' altri diversi metri. E alla fine si legge: Finii //// ihenim solernniuin Christiane Brligionis Fi ber Lau. Bonincontri Min intensi s A*tro\ogi et Porte, u A ciò debbo ora aggiugnere che l’opera de’ Fasti del Buonincontro divisa in quattro libri fu anche stampata in Roma nel 14o1 • l‘n' che il libro sia sì raro, che esso è sfuggito anche alle ricerche del diligentissimo P. Andifredi. E la sola copia che finora se ne conosce, è quella della sceltissima libreria Pinelli (Bibl. Pinell. t. 2, p. %o5) ». [p. 601 modifica]SECONDO 60I queste opere, del lor merito, e delle loro edizioni si può vedere il più volte citato conte jyfazzticchelli. Ma io debbo aggiugnere che tre altre operette inedite se ne conservano in questa biblioteca Estense; cioè I. Expositio super tuxtum Alcabici. II. De vi ac potestate mentis humanae, animaeque motibus , et ejus substantia. III. Tabulae Astronomie ac, al fine delle quali si legge: Anno Domini 1480 pro toto anno per nos Laurentium Buonincontrum Miniatensem et Magistrum Camillum Lunardum Pisaurensem anno Domini suprascripto, no bis exis tenti bus ad servitia Ill. Doni. Constantii Sfortiae. Camillo Lunardi, o Leonardi, da Pesaro fu egli pure astrologo accreditato a que’ tempi, e ne abbiamo ancora un opuscolo stampato in Pesaro nel i4f)G intitolalo Canoncs aequatorii Coelestium Motuum (Weidler. Hist. Astron. p. 327), e un altro appartenente a storia naturale intitolato Speculum Lapidum stampato in Venezia l’anno 1502, in cui parla dell’indole e delle virtù delle pietre, e delle gemme, degli anelli , de’ loro simboli, ec. Egli è nominato in un monumento di Pesaro del i4f)3 pubblicato dall’eruditissimo sig. Annibale degli Abati Olivieri: Magi ster Carnillits de Leonardis artium et medicinae doctor (Notizie del Diplovat. p. 13). Or tornando al Buonincontro, fra i molti amici eli1 egli ebbe , debbonsi annoverare singolarmente Marsiglio Ficino, di cui abbiamo alcune lettere a lui scritte (epist. l. 3, 4» 5), nelle quali lo dice astronomo e poeta; e Gioviano Pontano , che non solo ne fece con un epigramma il funebre epitaffio (Tumul. I. 1 , [p. 602 modifica]6o2 LIBRO. p. 70, ed. ald. 1518), ma a lui indirizzò le sue poesie de Landibus Divini s con un endecasillabo al fin di esse aggiunto , in cui fa menzione ancor di Cicella moglie di Lorenzo: O quid conjuge dulcius venusta! Aut quid cariu* optimi» n unto! Quules sunt Miniatus et Cicella Ne parla ancor con lode Paolo Cortese nel suo dialogo degli Uomini dotti, ove afferma (De Homin. doct. p. 54) che a sì gran fama era egli giunto pel suo sapere astrologico, che a lui da ogni parte d’Italia si facea ricorso; e altrove dice (De Cardinalatu, l. 1,p. 26) ch’egli era appellalo V Ludosso Italiano; ma che ciò non ostante sarebbe stato assai povero , se il Cardinal Rafaello Riario non l’avesse ogni giorno con liberalità sostentato. Finalmente Rafaello Volterrano, poc1 anzi citato , dice ch’egli era non tanto perfetto astrologo , quanto il primo che avesse all’astrologia congiunta 1’eeganza e 1’eloquenza. XXXVT1I. Assai maggior diritto ad occupare un onorevole luogo nella Storia della Letteratura italiana ha Paolo Toscanelli astronomo veramente dotto, e che del suo sapere lasciò non dubbiosa pruova a Firenze sua patria. La memoria di questo grand’uomo, di cui appena sapevasi il nome, è stata rinnovata dal poc’anzi mentovato abate Ximenes (l. cit. p. 7 2, ec.), che assai diligentemente ne ha rischiarata la vita; e dietro lui ne ragionerò qui brevemente. Paolo figlio di maestro Domenico di Piero nacque in Firenze nell’anno 1 ^97 , e benché [p. 603 modifica]applicato, probabilmente a imitazione del padre, alla medicina, più assai che ad essa però rivolse l'animo alla geometria sotto la direzione di Filippo Brunelleschi, di cui diremo parlando degli architetti. Quindi tutto si diede all’astronomia, congiungendo ad essa, per testimonianza di Giovanni Pico (In Astrolog. l. 1), lo studio delle lingue greca e latina; e venuto perciò in concetto d’uomo assai dotto, fu scelto da Niccolò Niccoli tra que' dodici a' quali egli nel suo testamento commise la cura della sua copiosa biblioteca. Il suddetto scrittore sull'autorità del Pico rammenta le diverse e diligenti osservazioni che fece Paolo intorno a’ moti solari, e intorno alle Tavole astronomiche del re Alfonso e degli Arabi, che furono da lui corrette, intorno a’ moti lunari e intorno alle stelle. Nè è picciola lode di questo valente astronomo che, mentre i più dotti uomini ancora comunemente correvan perduti dietro le imposture astrologiche, egli non se ne lasciasse punto sedurre, anzi le deridesse, come afferma lo stesso Pico. Egli è vero che il Bellanti nella sua risposta al Pico non gli dà per poco una solenne mentita, affermando (Contra Picum l. 1) che Paolo credeva internamente a quest’arte, e che, comunque in pubblico non ne usasse, in segreto però scopriva agli amici le cose ch'ei leggeva nelle stelle; e che Cosmo de’ Medici lo consultava perciò in ogni affar di momento. Ma egli non può citarne altra pruova che la testimonianza in generale de’ domestici dello stesso Paolo, morto già da più anni, senza indicarne alcuno distintamente, [p. 604 modifica]6o4 LIBRO fuorché Leon Batista Alberti, del quale ancora altro non dice se non ch’era amico di Paolo e che credeva all’astrologia giudiciaria; argomento troppo debole a provare che Paolo ancora le desse fede. A cose assai più utili era questi rivolto, e ne abbiamo tuttora un bel monumento nel gran gnomone della metropolitana di Firenze di altezza sì smisurata che, come afferma il sopraccitato abate Ximenes (l. cit p. 20), a mettere insieme le altezze dei più insigni gnomoni della terra, cioè quella di Santa Maria degli Angeli a Roma, quella di S. Petronio a Bologna , e quella di S. Suplizio a Parigi, esse tutte insieme restan disotto all’altezza del nostro, e vi resterebbe anco tanto spazio, che. servirebbe per l’altezza di un quarto gnomone non dispregiabile. Lo stesso scrittore pruova che l’autore ne fu il Toscanelli, e che esso fu fatto circa il 1468, lo descrive con somma esattezza , e mostra come esso fu poscia condotto a sempre maggior perfezione; tutte le quali cose si posson vedere ampiamente svolte da esso , e con chiari argomenti provate. Nè fu Paolo versato solo nella scienza astronomica. Era egli curiosissimo ricercatore di tutto ciò che appartiene alla geografia; e Cristoforo Landino , nel suo Comento sopra Virgilio, racconta (in l. 1 Georg.) di essersi talvolta trovato presente egli stesso, quando Paolo facevasi a interrogare minutamente alcuni venuti dalle provincie bagnate dal Tanai. Quindi ne venner le riflessioni di’ ei fece seco medesimo sulla navigazione all' Indie orientali, e che poscia distese nelle sue lettere giò [p. 605 modifica]SECONDO. 6o5 ja noi mentovate a Fernando Martinez canonico di Lisbona e a Cristoforo Colombo, e nella carta da navigare che ad esse congiunse; colle quali non pochi lumi ei diede pel felice successo de’ viaggi tentati allora da’ Portoghesi e dal Colombo. Queste sono state ristampate, e con belle annotazioni illustrate dal sopraccitato abate Ximenes (l. cit. p. 81 , ec.). Morì Paolo a’ 15 di maggio del 1482, come abbiamo negli Annali di Bartolommeo Fonti pubblicati dal Lami nel Catalogo della Riccardiana, ove a quell1 anno ne forma questo breve ma onorevole elogio: Paulus Tuscanellus Medicus et insignis Philosophus magnum exemplar virtutis annum agens quintum et octogesimum Idibus Majis Florentiae in patrio solo moritur. Ma di un uomo sì dotto non ci è rimasta, oltre le lettere or mentovate, opera di sorta alcuna; nè veggo che se ne accenni cosa la qual conservisi pur manoscritta. Prima però di passar oltre, mi conviene far riflessione sulla maniera con cui parla di questo gnomone il Montucla: Ella è cosa , dice egli (Ili st. des Mathem. t. 2, p. 495), da farne le maraviglie, il vedere che questo bel monumento sia stato come sconosciuto e negletto nella patria de’ Galilei e de’ Viviani. M. de la Condamine passando per Firenze l’anno 1755 lo scoprì in certo modo, e ne sollecitò il ristoramento. Così una volta Cicerone trovandosi in Siracusa scoprì il sepolcro d’Archimede , che i suoi ingrati concittadini aveano dimenticato, lasciandolo ingombrare da bronchi e da spine. Il P. Leonardo Ximenes della [p. 606 modifica]6«’C» L1BK0 Compagnia di Gesù incaricato di un tale ristoramento, lo ha eseguito felicemente, e con tutta r attenzione e la destrezza che questa operazione richiede. Abbiamo altrove velluto « In* l’abate de Sade usa di questa stessa similitudine parlando dell’insegnar ch’egli ha fatto agl’Italiani chi fosse il Petrarca da essi prima non conosciuto. E pare ormai che ogni viaggiator francese che viene in Italia, sia un nuovo Cicerone che va in Siracusa. Noi rendiam loro grazie della lor cortesia nell’additarci- ciò che ignoriamo ma li preghiamo, se questo è il solo motivo de’ loro viaggi , a non voler soffrire sì gran disagio. Se il Montucla avesse letto più attentamente il libro eh* ei cita, dell' ah. Xiinenes, avrebbe veduto che il gnomone di Firenze è sempre stato notissimo a’ Fiorentini, e avrebbe trovate le osservazioni su esso fatte negli anni 1510, 1537, 1668, 1703, e che solo era a bramarsi che qualche valente astronomo illustrasse quel bel monumento con osservazioni più esatte*, che 1’abate Ximenes già da più anni pensava a renderlo più vantaggioso, ma che atterrivalo la difficoltà dell’impresa*, e che finalmente venuto M. de la Condamine a Firenze, egli gli comunicò le sue idee, e che questi, esaminato attentamente il gnomone, approvò il progetto da lui formato, e ne parlò al ministro conte di Richecourt, da cui poi il progetto fu fatto eseguire allo stesso abate Ximenes (L cit. p. 37 , ec.). Deesi dunque a M. de la Condamine la lode di aver sollecitato il ristoramento di questo gnomonej ma il [p. 607 modifica]SECONDO 6O7 qontucla gliene attribusce più di quel che conviene; e a questo luogo ci si è dimenticato di fendere agli Italiani quella giustizia che per altro ei non suol loro comunemente negare.

XXXIX. A questi Italiani, che felicemente illustrarono l’astronomia, due stranieri dobbiamo qui aggiugnere, che invitati in Italia, giovaron non poco ad avvivare sempre maggiormente il fervore in cui tra noi erano cotali studj, Giorgio Peurbach e Giovanni Muller da Konigsberg nella Franconia, detto comunemente Regiomontano. Il primo quasi sol di passaggio insegnò qualche tempo in Padova e in Bologna, e mentre era per ritornare in Italia a istanza del Cardinal Bessarione, morì in Vienna d’Austria l'anno 1461. Più lungo soggiorno vi fece il secondo, che era stato scolaro del primo. Venuto in Italia col suddetto Cardinal Bessarione l’anno 1463 , per opera del medesimo fu nominato in Padova professore d’astronomia (Facciol. Fasti Gymn. pati par. 2, p. 117), e recitovvi un’orazione, che fu poscia stampata, in cui promise di fabbricar certi specchi somiglianti a que’ d’Archimede. Dopo un anno, lasciata Padova, passò a Venezia, e qualche tempo appresso fece ritorno in Germania. Frattanto il pontefice Sisto IV avendo formato il disegno di riformare il Calendario romano, credette a ciò opportuna l’opera di Giovanni, e invitollo perciò a Roma. Egli vi si condusse nel ma mentre si cominciava a pensare come eseguire sì difficile intrapresa, morì l’anno seguente. Di questi due astronomi ha scritta lungamente la Vita il Gassendi: e a me basta [p. 608 modifica])o8 LIBRO r aver accennalo ciò che ad essi dee f Italia perchè non sembri che vogliamo essere ingrati inverso degli stranieri, da’ quali i nostri maggiori ebbero ne’ loro studj indirizzo ed ajuto. E qui non deesi ancora tacere di Ridolfo Agricola , uno dei più famosi ristoratori delle scienze e della letteratura in Germania, il quale venuto in Italia si trattenne l'anno 1476* e il seguente in Ferrara, assai caro a quel duca e a molti letterati che ivi allora fiorivano, e della conversazione de’ quali giovossi egli non poco (V*. Bruck. Hist. Philos. t. 4, p 35, oc.). XL. Nè mancarono di studiosi coltivatori le altre parti della matematica. La geometria, l’aritmetica, l’algebra, l’architettura, la scienza militare, la musica sorsero di questi tempi a nuova vita in Italia, e cominciarono a tergere lo squallore fra cui erano finallora giaciute. Di esse ancora dobbiam qui cercare partitamente, e queste ricerche ci proveranno quanto debbano all’Italia le scienze tutte, e (quanto mal le convenga il farsi ora discepola di quei medesimi a’ (quali è stata per sì gran tempo maestra. In questo secolo ci si fa innanzi F. Luca Pacioli da Borgo S. Sepolcro delf Ordine de’ Minori, che in aritmetica, in algebra e in geometria scrisse e divolgò più opere, le quali, comunque oggi sieno dimenticate, chi nondimeno le esamina, non può non ammirare f ingegno e l’ardire del loro autore, die s’innoltrò 11 primo entro a sì vasto e non ben conosciuto regno. Appena abbiamo chi ci dia qualche notizia della vita da lui condotta. Daniello Gaetano cremonese , nella lettera a Daniello [p. 609 modifica]SECONDO O09 ftainiero, con cui gli manda la traduzione e il Comento di Luca sopra Euclide, dice che, oltre l’essere maestro assai dotto di teologia, egli era ancora zelante ed eloquente oratore, e che era stato udito con maraviglia non solo in Italia , ma fuori di essa ancora, in un’altra lettera di Francesco Massario a Jacopo Cocchi , che siegue a quella del Gaetano, egli ne esalta 1’acuto ingegno, la profonda memoria , l’amplissima erudizione, e dice ch’era perciò stato sempre carissimo a tutti i sommi pontefici , a tutti i vescovi, a’ principi tutti d Italia. Egli era stato professore di matematica in Napoli prima del 14^4 9 come afferma egli stesso nella prefazione premessa alla sua Summa di Aritmetica, ec. in quell’anno stampata. Dal duca Lodovico Sforza fu chiamato a Milano a sostenere la nuova cattedra di matematica da lui ivi introdotta; e ne fa menzione egli stesso nelf opera intitolata De Divina proportione, scritta assai rozzamente in italiano, ove così ragiona al medesimo Lodovico (c. 2): E questo al presente de le Mattematici a lor commendatione. De le quali già el numero in questa vostra inclita cità a la giornata comenza per grazia di V. D. Celsitudine non poco accrescere per V assidua pubblica de lor lectura novellamente per lei introducta col proficere- degli egregii audienti secondo la gratia in quelle a me delF altissimo concessa , chiaramente, e con tutta diligentia a lor judicio, al sublime volume del prefato Euclide in la scientia de Arithmetica e Geometria proportioni e proportionalità, exponendoli. Nel trattato dell’Architettura dice (c. 6) Tiraboschi, Voi. VII. 39 [p. 610 modifica]6lO LIBRO eli1 ci si trattenne in Milano a’ servigi di quel duca insieme con Leonardo da Vinci dal 1496 fino al 1499 donde poi, continua egli, tf assieme per diversi successi da quelle parti ci partemmo , e a Firenxe pur insieme trahemmo domicilio (rt). Dalla stessa opera della Proportione raccogliamo che egli era stato per qualche tempo a Roma*, perciocchè egli narra (c. 57) la burla che fece a un architetto, il qual vantavasi di saper fare un capitello di una cotal forma determinata nel palazzo che ivi allor fabbricava il conte Girolamo Riario , e con sua vergogna non vi potè mai riuscire. E più chiaramente nel trattato d’Architettura, parlando di Leon Battista Alberti, dice (c. 8): con lo quale più e più mesi ne l’alma Roma al tempo del Pontefice Paulo Barbo da Vineggia (Paolo II) in proprio domicilio con lui a sue spesi sempre ben tractato , ec. Egli passò poscia a Venezia, ove parimente prese a spiegare Euclide , e nell1 edizion da lui fatta di questo geometra abbiamo la prelezione da lui detta nella chiesa di S. Bartolonuneo a1 21 d1 agosto del 1508 innanzi alla spiegazione del libro V, al fin della quale egli annovera i più ragguardevoli personaggi, ambasciadori , magistrati , patrizj, teologi, medici , giureconsulti che ad essa intervennero, e, dopo averne nominati moltissimi, conchiude: aliique plurimi, quorum (a) Il Pacioli fu anche professor in Perugia, ove trovasi ch’egli era negli anni 147^* 4^L i5oo e i5io, come ha osservato il eh. sig. Annibaie Mariolli (Lettere pittor. Perug. p. 127). [p. 611 modifica]SECONDO 6l1 nomina, sigillatim referre ad quingentos operosum nimis foret Fin quando egli vivesse, non possiamo nè accertarlo, nè congetturarlo. Le opere da lui composte sono primieramente: Summa de Arithmetica , Geometria, Proportioni, et Proportionaltià j stampata prima in Venezia l’anno 1494 poscia di nuovo in Toscolano sul lago di Garda nel 1523. Di quest1 opera io recherò qui il favorevol giudizio che ne dà il eh. sig. abate Ximenes, a cui io credo che ognuno soscriverà volentieri. Egli dunque afferma (Del Gnom. introd. p. 63) che vi sono espresse le regole algebriche, e vi son capitoli interi che trattano delle equazioni algebriche con questo nome, ma coll’uso di certi segni, di certi vocaboli, e di certe riduzioni che sono affatto ignote, e il cui linguaggio bisogna studiare , per intendere la forza delle operazioni algebriche , come erano a quel tempo. Vi son problemi del secondo grado sciolti coll’uso delr equazioni Delle operazioni algebriche vi sono le. dimostrazioni geometriche. Se dietro alle pedate di questo e di altri scrittori si fosse in Toscana continuata la scienza analitica, inoltrandola più in là , come sarebbe stato agevolissimo , la Toscana avrebbe sola la gloria dell’invenzione dell’arte algebristica sì ben promossa in que’ tempi. Al che io aggiungo che essa ancora può giovare non poco alla storia del commercio per le minute notizie che ci somministra intorno alle monete a que’ tempi usate, alle merci, alle fiere, alle leggi del traffico di diversi paesi. Abbiamo inoltre l1 opera già citata De Divina proportione, in cui tratta della [p. 612 modifica]Ri 2 LIBRO proporzione che hanno tra loro i corpi di diverse figure, scritta essa pure in rozzo italiano, e stampata in Venezia nel 1509 Egli la dedicò a Pietro Soderini, a cui scrivendo dice di averla più anni addietro offerta al duca Lodovico Sforza, aggiuntevi la figure scolpite a mano da Leonardo da Vinci, e che erane stato da quel gran principe ampiamente ricompensato. In fatti i primi due capi di questa opera sono in lode di Lodovico, e rammenta in essa i dotti uomini ch’ei tenea alla sua corte, e fra essi Ambrogio Rosate, Luigi Marliani, Gabriello Pirovano, Niccolò Cusani e Andrea da Novara medici valorosi*, il suddetto Leonardo da Vinci, di cui accenna la statua equestre fatta in onore del medesimo duca, alta dodici braccia, e la magnifica pittura della Cena di Cristo, che ancor si vede nel convento’ delle Grazie \ e Jacopo Andrea da Ferrara peritissimo architetto *, e dice eli’ ei gli offre quel libro a decore ancora e perfecto ornamento de la sua dignitissima biblioteca de inumerabile moltitudine de volumi in ogni facultà et doctrina adorna (a). Sieguc a quest’opera un trattato d’Architettura p7) Nella biblioteca pubblica di Ginevra conservasi un codice ms. di quest’opera De divina proportione di F. Luca scritto con somma eleganza, e in cui si veggono vagamente dipinte le armi del duca di Milano Senebier Cat. des MSS. de la Dibl. ile Genève, p- |)• f dunque verisimile che sia questo l’esemplare che al duca Lodovico Sforza fu presentato, e che le figure aggiuntevi, le quali sono di una esattezza e finezza grandissima, sian di mano di Leonardo da. Vinci, il che ognun vede qual pregio aggiunga a questo codice. [p. 613 modifica]SECONDO tl3 da lui composto nel medesimo tempo in Milano j c dopo esso un altro trattato sopra la misura de’ corpi regolari scritto aneli’ esso in italiano, ma intitolato latinamente: Libellum in tres partiales tractatus divinus, quinque corporum regularium et dependentium active perscrutationis. Ei si affaticò finalmente intorno ad Euclide, e il recò in lingua italiana, come egli stesso ci assicura nella lettera a Pietro Soderini già da noi mentovato: Accessit nunc ad eam curam , ut confluente studiosorum copia Megarensis Euclidis elementa lingua patria donare coactus sim: cessit idy Diis bene juvanti bus, felicissime. Questa versione io non trovo che sia mai stata stampata, benchè ciò si affermi dall’Argelati (Bibl. dei Volgarizzat t. 2, p. 47) che la confonde colla Somma di Aritmetica e Geometria già rammentata. Ben abbiamo alle stampe la versione latina d’Euclide fatta due secoli prima da Campano novarese, ed emendata poscia e illustrata con note dal Pacioli; la qual edizione fu fatta in Venezia nel 1509. Intorno alle quali opere io mi son trattenuto più che non sembri convenire all’idea di questa mia Storia, perchè non ho trovato chi ne ragioni con qualche esattezza; ed essendo il Pacioli stato uno de’ primi ristoratori delle matematiche scienze, era ben conveniente che io cercassi di rischiarare con diligenza ciò che a lui appartiene. Ei però non fu il solo scrittore di tale argomento. Un trattato d’Aritmetica di Pietro Borgo veneziano fu stampato in Venezia l’anno 1484 Il conte MazZucchelli dubita qual fosse la patria di [p. 614 modifica]6l4 LIBRO questo autore (Senti, itili t. 2, par. 3, p r-37 \. ma nel titolo dell’opera che si ha in questa biblioteca Estense, egli è chiaramente detto Pietro Borgo da Venetia, e lo stesso dicesi in un sonetto aggiunto al fine del libro. In questa biblioteca medesima si ha un codice che contiene un trattato anonimo della Radice de’ numeri. Al fine leggesi il nome di Cesare dal Montale modenese. Ma non è chiaro abbastanza s’ei fosse l’autore, o il posseditore del libro. I quali autori di minor nome ci basti l’aver solo accennati, tacendone ancora più altri a lor somiglianti. XLl. Non così brevemente dobbiam ragionare di Leon Battista Alberti uno de’ più grandi uomini di questo secolo, in cui si videro maravigliosamente congiunte quasi tutte le scienze. Il conte Mazzucchelli ce ne ha date molte notizie (ivi, t. 1, par. 1, p. 310); ma nè tutte mi sembrano abbastanza provate, e più cose ancora non sono rischiarate abbastanza. Ei non ha veduta fra le altre cose la Vita di quest’uomo erudito scritta da anonimo ma antico autore, e pubblicata dal Muratori (Script. Rer. ital. vol. 25, p. 695) due anni prima ch’ei desse a luce il primo tomo de’ suoi Scrittori Italiani, la qual per altro è un Elogio anzichè una Vita. Ciò che è più strano, si è che anche nel secondo tomo degli Elogi degli illustri Toscani stampato in Firenze nel 1768, e nell’ultima edizione delle Vite del Vasari fatta ivi nel 1771» questa Vita di Leon Battista Alberti è stata creduta inedita, e perciò dagli editori del Vasari in gran parte stampata. Egli era di aulica e [p. 615 modifica]SECONDO Gl 5 illustre famiglia, e figlio di Lorenzo Alberti, come egli stesso dice nel proemio alla sua Commedia , che conservasi manoscritta in questa biblioteca Estense, e sul principio dell1 opera Re commodis litterarum atque incommodis. In qual anno ei nascesse, non è ben certo. Il Manni afferma (De Florent. Inventis, c. 31), ma senza recarne pruova che ciò avvenisse nel 1398, e così pure si afferma nelle Novelle fiorentine (1745? p 452). Il Bocchi lo differisce fino al secolo seguente, ma senza spiegare in qual anno, dicendo Florentiae natus est anno mcccc.... (Elog. Vir. Florentin. p. 50). E io credo veramente ch’egli nascesse dopo il cominciamento del secolo xv (a). Perciocché vedremo ch’egli (a) L’incertezza intorno all' anno della nascita delf Alberti è ora tolta dalla nota trovata dal ch. ab). Serassi in una copia della prima edizione dell’opera de Re Aedificatoria fatta in Firenze nel 1485, la quale conservasi presso i Minori Osservanti di Urbino, perciocchè sulla tavola interna di essa si legge scritto in carattere di quei tempi, ch’ei nacque in Genova a’ 18 di febbraio del 1404 (Mem. per le Belle Arti, /. 41 p. 1788, 20). Quindi rendesi or verisimile ciò di che io avea dubitato , che il padre di Leon Battista morisse nel 1.422. L’epoca della nascita di Leon Battista vien confermata con altri documenti e con altre pruove del ch. P. Pompilio Pozzetti delle Scuole Pie nel bel11 Elogio di quel celebre uomo a lui composto e illustrato con copiose ed erudite annotazioni, e stampato in Firenze nel 1789, in cui della vita, degli studi e deil’opere delf Alberti ragiona ampiamente non meno che esattamente. Egli però non si mostra disposto ad ammettere ch’ei nascesse in Genova, come si afferma nella memoria pubblicata dall1 ab. Serassi; e crede più verisimile che nascesse in Venezia, ove gli Alberti, partiti da Firenze in occasione delle fazioni di (quella repubblica , eransi ritirati. [p. 616 modifica]6lG LIBRO in età di poco oltre a trent’anni inviò a Leonello marchese di Ferrara la sua Commedia, e questi non cominciò a signoreggiare che nel \\ \ i. lo dubito ancora s’ei veramente nascesse in Firenze. Il sud.letto anonimo ci racconta ch’egli era non molto elegante scrittore nella lingua italiana, perchè patriam linguam apud exteras nationes per diutinum famili ae A U) erto rum ejvilium educatila non tenebat Or 1* esilio degli Alberti si narra da Poggio fiorentino avvenuto la prima volta l’anno 1393 (Hist. l. 3), e la seconda volta si assegna dall’Ammirato all’anno 1401 (Stor. di Fir. t. 1, l. 16, ad h. a.). Ovunque egli nascesse , rammenta egli stesso l’amorosa sollecitudine con cui fu da suo padre allevato (De Commod Liter. atipie incommod sub init)j e quindi, s’ei nacque veramente, come io congetturo, verso il 1414 non sembra che possa ammettersi ciò che si narra negli Elogi degli illustri Fiorentini, che il padre morì in Padova nel 1422, quando non avendo Leon Battista che otto anni di età, non poteva aver raccolto gran frutto dalla educazione ricevutane, nè era in istato di attendere allo studio de’ Canoni, come vedremo ch’egli allora faceva. L’anonimo ci dice gran cose del felice successo con cui egli ancor giovinetto si volse non solo agli studj, ma ancora a’ cavallereschi esercizj, frammischiando per sfuggire la noja gli uni agli altri. Nel giocare alla palla, nel lanciar dardi, nel danzare, nel correre, nella lotta e nel salire sopra erti monti, non avea chi lo pareggiasse. Saltava a piè giunti al disopra di un uomo ritto in piedi. Una saetta [p. 617 modifica]SECONDO Gl 7 jfl lui lanciata trapassava qualunque forte copizza di ferro. Scagliava dalla mano con sì gran forza una piccola moneta d’argento, che giungeva alla volta di un altissimo tempio, e se ne udiva l’urtar che in essa faceva. Di tai prodigi di destrezza e di forza più altri ivi si accennano, e si aggiugne che apprese nel medesimo tempo a dipingere, a scolpire, a cantare. Cresciuto alquanto negli anni, si volse allo studio del Diritto canonico e del civile, ed egli stesso nel proemio della sua Commedia ci dice che ciò fece in Bologna, e che in quel tempo morì suo padre: Mortuo Laurentio Alberto patre meo cum ipse cip mi Borioni am /uri pontificio opcram da rem, in ea disciplina enitebar ita profu ere, ut meis essem carior et nostrae domui ornamento. Siegue egli pure a narrare che alcuni de’ suoi parenti si fecero allora a recargli molestia, come se invidiassero all’onore di cui cominciava a godere, e ch’egli per trovar sollievo alla noia che ne sentiva, scrisse la sua Commedia intitolata Philodoxeos, e poco prima avea dello che ei contava allora non più di vent’anni: ab adolescenti non majori annis XX editam. Il che pure affermasi dall’anonimo. Questa Commedia, come lo stesso Alberto soggiugne, non avendo ancora da lui ricevuta l’ultima mano, gli fu da un suo amico involata; e questi copiandola in fretta, vi aggiunse non pochi errori, e molti ancor ve ne aggiunsero gli scrittori che ne fecer più altre copie. Ed ella piacque per modo, che avendogli alcuni chiesto onde l’avesse tratta, ed avendo egli scherzando risposto di averla copiala da [p. 618 modifica]6l8 LIBRO un antico codice, fu creduto, ed essa si ebbe per dieci anni, in cui girò per le mani di molti, cioè finchè egli giunse a trenta di età, per opera di antico autore. Finalmente avendo egli compiuti gli studj de’ Canoni, ed avendo ricevuto la laurea el sacerdozio, aureo anulo, et flamine donatus, la ritoccò e corresse, e come sua divolgolla. E questa Commedia, dice egli, che quando credevasi antica, benchè fosse guasta e scorretta, era ammirata, or ch’io ne sono scoperto autore, benchè sia assai più emendata, vien disprezzata e derisa. Questa narrazione dell'Alberti finora non osservata , eli io sappia, da alcuno, ci scuopre l’origine dell’errore che fu poi preso da Aldo Manuzio il giovane, che nel 1588 pubblicò questa Commedia sotto il nome di Lepido comico poeta antico, e trasse più altri in errore. Ed essa pruova insiem chiaramente che l’Alberti ne fu veramente, come altri ancora han già osservato, l’autore. Nel codice Estense essa è dedicata al marchese Leonello d’Este. Del resto non è maraviglia che essa fosse allora creduta opera di antico scrittore; perché, comunque scritta in prosa, ha nondimeno alquanto dello stile de’ comici antichi, e pruova lo studio che l’Alberti avea fatto nella lingua latina. XLII Continuava egli frattanto i suoi studj, quando, come racconta l’anonimo, fu preso da una mortal malattia che gli indebolì le forze e la mente per modo, che spesso non si ricordava de’ nomi de’ suoi più cari amici. Quindi a persuasione de’ medici, lasciati gli studj ne’ quali era d’uopo affaticar la memoria, si volse [p. 619 modifica]SECONDO 619 jji eli» di 24 anni a quelli che gli parevan richieder solo l’ingegno, cioè alla filosofia e alla matematica. In questo tempo però scrisse egli alcune di quelle operette che si hanno alle stampe, col titolo di Opuscoli Morali, tradotti da Cosimo Bartoli, dei quali vedasi il co. Mazzucchelli. Alcune altre ne annovera l’anonimo, che da niuno si accennano, e che debbono esser perite, cioè una intitolata Ephebia, l’altra de Religione, e qualche altra. Alle quali si deve aggiugnere un dialogo morale scritto in italiano, intitolato Theogenio, stampato prima in Venezia nel 1545, e poi inserito dal Bartoli fra gli altri Opuscoli, e di cui conservasi una copia assai elegantemente scritta in questa biblioteca Estense con lettera dedicatoria dell’Alberti al marchese Leonello, nella quale egli accenna di essere stato in Ferrara, e di avervi da lui ricevuta dolce ed onorevole accoglienza: Et a me quando venni a visitarti, vedermi ricevuto da te chon tanta felicità et humanità, non fu indi tio esserti bapt. alb. se non molto acceptissimo? In età di 30 anni egli era in Roma; perciocchè l’anonimo racconta ch’ivi in tal età scrisse nello spazio di soli 90 giorni i tre primi libri Della Famiglia; che gli spiacque non poco il vedere che niuno de’ suoi parenti degnolli di un guardo; e ch’egli voleva quasi gittarli al fuoco; ma che poscia tre anni dopo vi aggiunse il quarto, e che offrendolo ad essi, così lor disse: Se voi siete saggi, comincerete ad amarmi; se no, la vostra malignità stessa.tornerà a vostro danno. Questa maniera di favellare ci mostra che l’Alberti avea frattanto ottenuto di [p. 620 modifica](Ì’JO LIBRO recarsi alla patria: ed ivi in fatti egli era ne! i \ \ x perciocché abbiamo altrove descritto (l. 1. c. 2) il letterario combattimento che ad istanza di Pietro de’ Medici e dell’Alberti si fece in quel1 anno 111 I irenze. L anno i j j3 ei volle mandare a non so qual personaggio in Sicilia una copia della sua opera sopra la Famiglia (la quale è rimasta inedita); e inviolla perciò a Leonardo Dati e a Tommasso Ceffi, acciocchè la esaminassero, e gliene dicessero il lor parere; ed essi liberamente gli scrissero nel giugno di quell’anno stesso, riprendendo in essa lo stile alquanto aspro, e il valersi ch’egli faceva del1 autorità altrui, senza citarne i nomi (Leon. Dati, ep. 13). Verso il tempo medesimo cominciò l’Alberti a dar pruova del suo valore in architettura. Delle fabbriche da lui disegnate parla il Vasari (Vite de’ Pitt. t. 2, p. 235, ec. ed. Fir. 1771), il quale però gliene attribuisce alcune che i moderni editori nelle lor note credono appartenere ad altri. Quelle che da niuno gli si contrastano, sono il tempio di S. Francesco di Rimini cominciato nel 1447 e b,ì,to nel 1450, di cui però vuole il sig. Giambattista Costa, che la sola parte esterna fosse opera dell’Alberti (Miscellanea di Lucca, t. 5, p. 77); quello di S. Andrea in Mantova; il palazzo di Cosimo Rucellai, e alcune altre che si posso 11 veder presso il suddetto Vasari, il quale ne esamina i pregi insieme e i difetti. Ei dice ancora che , prima che a Rimini, ei fu in Roma ai tempi di Niccolò V, e che questo pontefice di lui si valse in opere di architettura. Ma se riflettasi eh1 egli fu eletto nel marzo dell1 anno [p. 621 modifica]SECONDO Gai gesso in cui l’Alberti fu adoperato in Rimini, si vedrà chiaramente che anzi da Rimini ei dovette passare a Roma. In fatti Mattia Palmieri, storico contemporaneo, racconta (Chron. t. 1, Script, rer. ital. Florent. ad h. a.) che l'anno 1451 ei distolse Niccolò V dal disegno che avea formato di fabbricare una nuova basilica Vaticana. In Roma parimente egli era nel 1453, in cui accadde la congiura di Stefano Porcari contro Niccolò V, da lui stesso descritta; ed eravi anche verso f anno 1460; perciocchè a questo tempo racconta Cristoforo Landino (quaest. camald, init.) che venendo egli da Roma a Firenze, trattennesi per qualche tempo nelf eremo ili Cainaldoli insieme a lui, con Lorenzo e Giuliano de’ Medici, con Allamanno Rinuccini, con Pietro e con Donato Acciaiuoli, e con più altri eruditi, ed ivi s’introdussero què’dotti ragionamenti che poi dal Landino furono esposti nelle sue Questioni Camaldolesi, e nelle quali ebbe sì gran parte l’Alberti, disputando or su punti di filosofia morale, or sul poema di Virgilio. Egli era parimente in Firenze nel 14^4 7 nel qual anno intervenne a un convito che Lorenzo de’ Medici diede a’ più dotti che allora vi erano (V. Bandini Specimen Litterat. florent t. 2, p. 108, ec.). Passò poscia di nuovo a Roma a’ tempi di Paolo II, cioè tra l'»4G4 e‘1 1471? ove abbiam veduto poc’anzi ch’ei trovossi insieme con F. Luca da Borgo Sansepolcro, e che questi confessa di essere stato da lui ricevuto in sua casa, e per molti mesi ottimamente trattato. Il Palmieri è il solo fra gli scrittori di que1 tempi die abbia fissata [p. 622 modifica]C22 I.IBRO l’epoca della morte di Leon Battista, dicendo eli ci morì in Roma l’anno 1472 (l.cit adh.a.). Ed essendo egli scrittore contemporaneo , e che vivea nella stessa città, ove parimente morì I anno 1^83 (V. Zeno Diss. voss. t. 2, p. 169), questa testimonianza non ammette eccezione. Il co. Mazzucchelli, che non l’ha veduta, non essendo allora stampata la Cronaca del Palmieri, crede che l1 Alberti morisse verso il 1480; e sì vale a provarlo della lettera dal Poliziano scritta a Lorenzo de’ Medici, in cui gii indirizza l1 architettura dell1 Alberti già morto, la qual lettera crede egli che sia scritta verso il detto tempo. Ma io rifletto che il Palmieri ci narra che fino dal 1452 offrì l’Alberto a Niccolò V quella sua opera. Or se ciò nonostante ella non fu pubblicata in istampa, quando quest invenzione s’introdusse in Italia, e quando egli viveva ancora, potè parimente ritardarsene di alcuni anni dopo la morte di lui la pubblicazione. E quindi potè il Poliziano scrivere quella lettera, e divolgar l’opera dell’Alberti solo verso il 1480. benchè ei fosse morto alcuni anni prima. XLIII. L’anonimo scrittor della Vita di Leon Battista, che poche notizie ci dà de’ varj avvenimenti di essa, molto in vece diffondesi nello spiegarne i costumi, l’indole e il fervor nello studio. Io lascerò in disparte ciò che al mio argomento non appartiene, come la non curanza che in lui era delle ricchezze, la pazienza con cui egli sostenne le ingiurie e le villanie di molti (del che però ci fa dubitare alquanto una lettera di Leonardo Bruni (l. 9, ep. 10), in cui lo esorta a deporre la nimicizia [p. 623 modifica]secondo 6a3 -lic avea con alcuni), e altre simili doti delfanimo dell1 Alberti, e solo riferirò in parte ciò che spetta agli studj. Egli dunque, secondo l’anonimo, dava volentieri a correggere le proprie sue opere, e con piacere riceveva le critiche che alcuno amichevolmente gliene facesse. Avido di apparar cose nuove, qualunque uom dotto sapesse esser giunto alla città ove egli era, cercava di renderselo amico, e da chiunque apprendeva volentieri ciò che pria non sapesse. Perfino a’ fabbri, agli architetti, a’ barcaruoli , a’ calzolai medesimi e a’ sarti chiedeva se avessero qualche util segreto per renderlo poi a pubblica utilità comune e noto. Continuamente era intento a meditar qualche cosa e anche sedendo a mensa andava ogn’or ruminando, ed era perciò sovente taciturno e pensoso. Ma all’occasione egli era piacevole parlatore, nè gli mancavano graziosi motti, con cui rallegrar la brigata. E molti ne riporta l’anonimo, che si stende su ciò più oltre ancora che non parea necessario. Alle lodi, di cui egli l’onora, corrispondono gli elogi che ne han fatto tutti gli scrittori di quei tempi. Tra molti, che potremmo recare, ne sceglieremo due soli di due uomini amendue dottissimi a quell’età, Angiolo Poliziano e Cristoforo Landino. Il primo nella lettera già citata a Lorenzo de’ Medici ne parla con queste onorevoli espressioni, eli’ io recherò qui nell’originale latino per non isminuirne punto la forza. Baptista Leo Florentino e clarissima Albertorum famiglia, vir ingenii elegantia, acerrimi judicii, exquisiUssi/nacqiie [p. 624 modifica](Ìu4 LIBRO t toc tru me, min complura alia egregia monumenta posteris reliquiset, tum li (ros elucubravit de architectura decem, quos propemodum emendatos perpolitosque editurus jam jam in lucem, ac tuo dedicaturus nomini, fato est functus Auctoris autem laudes non solum epistolae angustias, sed nostrae omnino paupertatem orationis reformidant Nullae quippe hunc hominem latuerunt quamlibet remotae literae, quamlibet reconditae disciplinae. Dubitare possis, utrum ad oratoriam magis an ad poeticen factus, utrum gravior illi sermo fuerit an urbanior. Ita perscrutatus antiquitatis vestigia est, ut omnem veterum architectandi rationem et deprehenderit, et in exemplum revocaverit; sic ut non solum machinas et pegmata automataque permulta, sed formas quoque edificiorum admirables excogitaverit. Optimus praeterea et pictor et statuarius et habitus, cum tamen interim ita ex amussim teneret omnia, ut vix pauci singula. Quare ego de illo, ut de Cartagine Sallustius, tacere satius puto, quam pauca dicere. Più magnifico ancora è l’elogio che ne fa il Landini nella sua Apologia de’ Fiorentini premessa al Comento sopra Dante, e citata dal ch. canonico Bandini (l. c. p. 231): Ma dove lascio, dice egli, Batista Alberti, o in che generazione di docti lo ripongo? Dirai tra’ Fisici? Certo affermo, esser nato solo per investigare solo i secreti della natura. Ma quale specie di Matematica gli fu incognita? lui geometra, lui astrologo, lui musico, e nella prospettiva maraviglioso, più che uomo di molti [p. 625 modifica]secondo 6a5 secoli; le quali tutte doctrine quanto in lui risplendissino, manifesto lo dimostrano i libri de’ architettura, da lui divinissimamente scripti, e’ quali sono riferii d ogni doctrina ed illustrati di somma eloquentia; scripse de pictura; scripse de scolptura, el qual libro è intitolato statua. Nè solamente scripse, ma di propria mano fece, e restano nelle mani nostre commendatissime opere di pennello, scalpello, di bulino, e di getto da lui fin te. II Vasari però non crede degne di molta lode le pitture dell’Alberti, e io lascierò che di ciò decidano i maestri dell’arte, e passerò a dire per ultimo delle opere da lui composto, e delle ingegnose invenzioni da lui trovate. XL1V. Molte delle opere dell’Alberti sono state già da noi accennate, e si può vedere l’esatto catalogo che ne ha fatto il co. Mazzucchelli. Ad esso però si debbono aggiugnere quelle che noi abbiam riferite sull’autorità dell’anonimo, e alcune egloghe ed elegie, ora forse perite, delle quali parla il Landino in una sua orazione inedita citata dal canonico Bandini (ib.) Ha scritto Batista Alberti et Egloghe et Elegie tali, che in quelle molto bene osserva i pastorali costumi, et in queste è maraviglioso ad exprimere, anzi quasi dipingere tutti gli affetti et perturbationi amatorie; e finalmente la breve Storia della congiura inutilmente ordita l’anno 1453 da Stefano Porcari contro Niccolò V, che dal Muratori è stata data in luce (Script rer. ital. voi. 9.5, p. 309), ec.). La più famosa tra le opere dell’Alberti sono i dieci libri d’Architettura , opera veramente dotta e per la Tiraboschi, Voi. VII. 40 [p. 626 modifica]626 LIBRO erudizione clTei mostra de1 precetti degli antichi scrittori, e per le regole che prescrive a quest’arte, e per l’eleganza con cui le espone in latino, tanto più ammirabile in sì difficile argomento, quanto era allora più rara anche nelle materie piacevoli e leggiadre 5 nè è maraviglia perciò, che tante edizioni se ne siano fatte, e che ella sia stata ancora recata in altre lingue. Ai codici mss. che dal co. Mazzucchelli se ne annoverano, dee aggiugnersi uno scritto con eleganza e magnificenza non ordinaria, che ne ha questa biblioteca Estense. Nè minor plauso ottennero i tre libri della Pittura stampati essi ancora più volte, e aggiunti da Rafaello du Fi esne alla magnifica edizione del! Trattato della Pittura di Leonardo da Vinci, ch’ei fece in Parigi Tanno i(55i, a cui ancora premisela Vita di Leon Battista raccolta dal Vasari, e da altri scrittori (a). Delle altre opere minori da lui composte , io lascio che ognun vegga il mentovato catalogo, e da esso ognuno potrà raccogliere che non v’ebbe sorta di scienza che da lui non fosse illustrata. Nè minor lode egli ottenne colle ingegnose sue invenzioni. Il signor Domenico Maria Manni, citando altri autori moderni , attribuisce all’Alberti (De Florent. Inventis, c. 31) l’invenzione di uno strumento con (a) Questi tre libri dell Alberti colle nltre opere qui indiente con un breve transunto dell opera di Prospettiva del Pozzo furono anche tradotti in greco dj Panngiotto cavalier di Dossara pittore Pelononneiaco; e il codice scritto nel 1720 si conserva nella celebre biblioteca Nani in Venezia, coinè mi ha avvertito il chiarissimo abate Audres.

  1. Benchè l’elogio di Paolo Veneto non trovisi nel codice del Marcanuova, esso però fu inserito da Giovanni Candido ne’ suoi Commentarii della Storia del Friuli, e questo scrittore, essendo nato poco «lopo la morte di Paolo, merita fede, e ci mostra se non altro , che il detto epitafio è antico , anzi sembra indicare che fosse posto al sepolcro del medesimo Paolo; e pare perciò assai bene stabilita l’opinione che lo vuol nato in Udine.
  2. Il sig. abate Doringhello mi ha avvertito che negli Atti del Collegio Medico non trovasi indicio della laurea di medicina conceduta a Paolo Veneto.