Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo VI/Libro II/Capo I

Capo I – Studi sacri

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Tomo VI - Libro II Tomo VI - Capo II

[p. 386 modifica]LIBRO SECONDO Scienze. Capo I. Studi sacri.

I. Lje scuole teologiche in quasi tutte le università italiane introdotte verso la fine del secolo precedente, e i dotti professori che venivano ad esse invitati, come risvegliarono tra noi maggior fervore nel coltivar quegli studj, così furon cagione che gli Italiani non fosser più costretti per essi ad uscire dalla lor patria. Pareva ne’ secoli addietro che non potesse esser teologo valoroso chi non ne avesse presa la laurea nell’università di Parigi; e quindi era l’affollato concorso che ad essa faceasi da ogni parte d’Italia e da ogni ordine di persone. Avveniva inoltre sovente che molti Italiani, dopo aver frequentate come scolari quelle celebri scuole, dal loro ingegno e dall’indefesso loro studio erano sollevati a insegnare da quelle medesime cattedre; e abbiam in fatti osservato che i più illustri professori dell’università di Parigi furono comunemente italiani. Ma dappoichè nelle scuole ancora d’Italia si potè ottenere l’onore della teologica laurea , appena [p. 387 modifica]LIBRO SECONDO ’ 38^ troviamo chi si recasse altrove per conseguirla. E noi vedrem bensì alcuni nel corso di questo secolo tenere scuola di belle lettere nell’università di Parigi, e gittarvi i primi semi di quel buon gusto che vi allignò poscia cotanto felicemente; ma non troveremo alcuno che in questi tempi vi fosse professore di teologia. Al contrario in Italia grande era la copia de’ teologi; e, oltre i professori, ne erano nelle più colte città assai numerosi collegi. E ci basti l’osservare per pruova quel di Firenze. Negli Atti del Concilio di Pisa, pubblicati dal P. Alartene (Collcct. ampli ss. t. 7, p. 1094), leggiamo che essendosi consultata, fra le altre università, quella di Firenze intorno alla deposizione che si meditava, e che di fatto seguì , de’ due pretendenti al papato , Gregorio XII e Benedetto XIII, eransi in quella città radunati 126 dottori , i quali concordemente deciso aveano doversi venire alla detta deposizione. Il qual numero di dottori, che tutti esser doveano teologi, o canonisti, ci fa vedere con quanto fervore si coltivassero allora in Firenze colali studi.

II. Benchè però fosse in Italia sì grande il numero dei teologi, ci convien confessare che le opere teologiche in questo secolo pubblicate, non furono nè in valore nè in copia ad esso corrispondenti. E io credo che la principal ragione ne fosse f universale entusiasmo che allora era in queste nostre provincie per lo studio delf amena letteratura. Le lingue greca e latina, e gli autori classici di amendue, erano a que’ tempi f oggetto delle ricerche e degli studi di [p. 388 modifica]tutti coloro che voleano ottener nome d'uomini ciotti. E se pure ad alcuni piacevano più gravi studi, la filosofia platonica e l’aristotelica, e la civile e la sacra giurisprudenza parean loro più opportune, che non le quistioni teologiche, ad acquistare gran fama. Non mancaron nondimeno all’Italia illustri scrittori anche in questa materia , e io ne potrei schierare innanzi un gran numero, se mi fossi prefisso di fare un1 esatta biblioteca di tutti coloro che ci lasciarono qualche libro di argomento teologico. Ma già mi son dichiarato più volte, che non intendo di ragionare se non de’ più celebri, e sol quanto basta a dare una giusta idea dello stato in cui eran cotali studj in Italia. E mi sia lecito il cominciare da uno che benchè non fosse italiano di nascita, all’Italia però dovette gli eccelsi gradi di onore a cui colf indefesso studio pervenne, e all’Italia singolarmente ne fece provare i frutti, cioè dal pontefice Alessandro V, detto prima Pietro Filargo da Cundia f). (¥) L’elogio che qui ho fatto del pontefice Alessandro V, greco di nascita, ma venuto giovinetto in Italia, e vissuto quasi sempre tra noi, ha data occasione al signor abate Lampillas (par. 2, t. 1. p. 97 , ec.) di rimproverarmi che per somigliante ragione io dovi a nella mia Storia dar luogo al Cardinal Giovanni Torquemada, o Turrecremata, che fu chiamato a Roma in età di olire a quarantanni, al cardinale Antonio Cerdano e al Cardinal Giovanni Carvaial, e ad alcuni altri che in età avanzata vennero in Italia , e sopra tutti al grande, secondo lui. Alfonso Tostato, che vi fu per pochissimo tempo. Ognuno vede la foizu diIfargomento a cui io uon ho che rispondere. [p. 389 modifica]SECONDO 389 111. Clf ei fosse greco e natio dell1 isola di Candia , ella è opinion si comune a tutti gli scrittori di que’ tempi, che io non veggo come ne possa nascere dubbio. Matteo Ronto monaco olivetano, che ne scrisse la Vita, pubblicata non ha molti anni in Lucca (Miscell, di varia Letter. t. 4 P 2^7), gli autori anonimi delle due Vite dello stesso pontefice, date in luce dal Muratori (Script. Rcr. it. 13,pars 2,p. 842), Uberto Decembrio in una sua lettera inedita citata dall’Argelati (Ri hi. Script, mediol, t. 1 , pars 2, p. 38) , Giovanni Manzini famigliare del duca Giangaleazzo Visconti in una lettera a Ricciardo Villani, pubblicata dall1 abate Lnzzeri (Misceli. Coll. Rom. t. 1 , p. 209), F antica Cronaca de1 V escovi di Piacenza (Script. rer. ital. vol. 16, p.633), il poema di Giuseppe Brivio a lui indirizzato, e i cui primi versi sono usciti alla luce per opera delF crudi li ssimo Sassi (Se rie s Archiep. mediol. t. 3, p. 836), Giorgio Stella (Ann. genite ns., Script. rer. it. vol 17, p. 1220), Jacopo Zeno (Vita Caroli Zeni ib. vol 19, p. 363), Marino Sanudo (Vite de’ Ducili di / cn. ih. voi 22 , p. 8 |r), e mille altri monumenti e scrittori contemporanei tutti ci assicurano ch’egli era natio di quell1 isola, il che ancora è stato più recentemente provato con altri chiarissimi documenti dall’eruditissimo senatore Flaminio Cornaro (Creta sacra t. 2, p. 358, ec.). Il Cotta ha fatto ogni sforzo per farlo credere oriondo da Crosinallo terra del novarese della pieve d’Omegna. ma nato in Candia luogo della diocesi di Vercelli (Museo novar. p 47) ec.), e ha avuta la sorte di avere [p. 390 modifica]3qo libro alcuni seguaci. Io non ho tempo di confutare ciò eli’ egli assai lungamente va dicendo su questo argomento. Ma basti il dire che la maggior parte degli autori da lui citati, son troppo moderni in confronto a quelli el11 io ho di sopra accennali, e eli’ ei mostra di aver fra le mani una troppo cattiva causa coll’esser costretto, mi sia lecito il dirlo liberamente, a ricorrere all’impostura. Egli afferma che Ambrogio da Roccacontrata Segretario (di Giovanni de Urbe o Cò di Gallo successore di questo Pontefu e nel Vescovato di Novara, emendò) nel 1404 un opuscolo di Pietro Azario intitolato Canapicium, ove (Galleria di Minerva t. II, p. 402) scrisse di questa maniera: Candia, Castrum et natale solum Fr. Petri ex Ordine Minorum. Un tal testimonio potrebbe essere di molto peso. Ma esso è una mera finzione di Cotta , e il Roccacontrata non è altri che il Cotta medesimo, il quale, con libertà a uom dotto e saggio non convenevole, aggiunse quelle ed altre parole al codice dell1 Àzzario, che da lui medesimo fu pubblicato. Così ci assicura il Muratori, che ebbe sotto gli occhi le correzioni e le giunte dal Cotta fatte all’Azzario (Script. rer. ital. vol. 16, p. 2t)3, /p6), e osservò singolarmente l’intrusione da lui fatta delle sopraccitate parole. Or un uomo che usa di tali mezzi a difendere la sua opinione, non merita fede, ancor quando produce altri simili monumenti che non possiamo vedere; e noi perciò non gli crederemo, quando egli afferma che lo stesso Pietro Filargo nell1 orazione fatta in lode del duca Giangaleazzo Visconti, di cui però non [p. 391 modifica]SECONDO. 391 recita le parole, si vanta di esser Lombardo. Lo stesso dicasi di coloro che il fan natio di un1 altra Candia nella diocesi di Pavia, e di quei che il dicon nato in Bologna, fra’ quali il Ghirardacci, seguendo il Sigonio (Stor. di Bol. t. 2 , p. 576), cita un certo Giovanni, canonico , autore contemporaneo , che in una sua Cronaca, la qual non dice ove conservisi, lasciò scritto che Alessandro vicino a morte confessò di esser nato , benchè di bassa stirpe, in Bologna nella contrada detta di Saragozza. Ognun vede se tali argomenti possan reggere a confronto di tanti scrittori, e di monumenti sì chiari , quai sono i poc’anzi addotti a provarlo natìo di Creta.

IV. Fatti i primi studj in patria, dicesi ch’egli venisse ridotto a tale estremo di povertà, che fosse costretto a mendicare, e che un religioso Francescano mossone a compassione, e scorgendo il raro talento di cui egli era doto, l’inducesse a prender l’abito del.suo Ordine. Checchè sia di questo fatto, di cui non veggo che si adducano sicure pruove, è certo eli’ egli ancor giovinetto arrolossi tra* Francescani , e che fu inviato agli studj nell’università di Padova. E in quel convento di S. Antonio si conservano ancora più monumenti che pruovano che ivi era Pietro circa il 1357 (V. Papad. Hist. Gymn. pat. t. 2 , p. 161). Matteo Ronto àggiugne ch' egli studiò ancora in Bologna, e clic in una di quelle due università, di Padova, o di Bologna, ma non dice precisamente in qual delle due, fu professore. Dalle scuole italiane passò il Filargo alf università di [p. 392 modifica]392 libro Parigi, ove , presi i consueti gradi d1 onore , tenne ancor pubblica scuola , ed è perciò annoverato dal du Boulay tra’ professori di essa (Hist. Univ. Paris, t. 5, p. 912). Nel qual tempo afferma il Ronto eli ei compose il Comento sul Maestro delle Sentenze, e che molti libri tradusse di greco in latino. Di queste traduzioni niuna, ch’io sappia, si è conservata. Ma del Comento da lui fatto sul Maestro delle Sentenze si hanno codici a penna in molte biblioteche, che si annoverano dal conte Mazzucchelli (Scritt ital. t. 1, par. 1, p. 455 , ec.). E uno fra gli altri se ne conserva in questa biblioteca Estense, al fin del quale si vede che esso fu composto in Parigi nel 1381: Explicit Lectura super Sententias Magistri Petri de Candia Ord. Mino rum anno Domini 1381 Parisiis compilata. Alcuni aggiungono eh1 ci passasse ancora all' università di Oxford j ma di ciò non trovo memoria presso gli antichi scrittori, Io non so parimente su qual fondamento afFermi il Cotta, che Giangaleazzo Visconti il chiamò a professore di teologia e di lingua greca nell’università di Pavia (a). E certo però, che assai caro egli fu a quel principe, e che a lui singolarmente dovette i primi gradi d’onore, a cui fu (a) Nel Catalogo de'1 Professori Pavesi, aggiunto dal Parodi al suo Elenco degli Atti di quella università, si nomina Pietro come professore all anno 13-o. àia nell’Elenco medesimo di lui non si fa alcuna menzione. E quanto all' università di Oxford, è ottimamente fondata l’opinione che Pietro Filorgo vi fosse, perchè appoggiala all' autorità di Tcodorico di Niein scrittore contemporaneo. [p. 393 modifica]SECONDO 3l)3 sollevato. Parecchi furono i vescovadi a’ quali ei venne successivamente promosso, e il Cotta gli annovera con quest’ordine: il patriarcato di Grado e il vescovado di Brescia , i quali non dice in qual anno gli fossero conferiti j poi il vescovado di Piacenza agli 8 d’ottobre dell’anno 138(3j quel di Vicenza nell’aprile del 1387, o 1388 in quest’anno medesimo quel di Novara, e nel 1402 l’arcivescovado di Milano. Il Ronto non nomina che Novara , Pavia invece di Piacenza, e Milano. Ma quanto al patriarcato di Grado e al vescovado di Brescia , non veggo quai pruove ne arrechi il Cotta. Certo nella serie de’ patriarchi di Grado e de’ vescovi di Brescia presso l’Ughelli non veggiam fatta menzione di Pietro, e nulla pure ne ritroviamo nella più esatta serie de’ vescovi bresciani dell’eruditissimo monsignor Gradenigo arcivescovo d’Udine. Nè a me sembra che abbiano alcuna forza le parole da lui usate in una sua lettera, scritta quando da Piacenza fu trasferito a Vicenza , pubblicata dal canonico Campi (Stor. eccl. di Piac. t. 3, p. 306), non obstante nova nostra trans bilione, ove credono alcuni el11 ci voglia accennare che un’altra traslazione era prima seguita 5 perciocché a me pare che quella voce nova non abbia altro significato che di recente. Riguardo agli altri vescovadi , la cronologia del Cotta è conforme a’ più autentici documenti, se non che la traslazione al vescovado di Vicenza deesi certamente fissare all’anno 1388, come, dopo il predetto canonico Campi, pruova il chiarissimo proposto Poggiali (Stor. di Piac. t. 7, p. 28, ec.). Ma a tutte [p. 394 modifica]3)j unno queste chiese poco potè ei compartire della pastoral sua sollecitudine, occupato sovente da Giangaleazzo in impieghi e in ambasciate che altrove ne’ richiedevano la presenza. Fra le altre cose, ei fu da lui inviato all1 imperador Venceslao per averne il titolo di duca, e il Filargo ottenne al medesimo tempo a Giangaleazzo l’onor che bramava, e a sè e a’ suoi successori nel vescovado di Novara il titolo di Principe dell' Impero, di che è stato pubblicato f imperiai diploma da’ monsignor Bascapè (Novaria sacra in Petr. Philarg.). Intervenne ei medesimo alla solenne pompa con cui il Visconti prese il possesso del nuovo onore, e recitò un' orazione in lode di esso, che conservasi manoscritta nella biblioteca Ambrosiana. Dal proemio alle Lettere di Uberto Decembrio , indirizzato a Coluccio Salutato, e citato dal Cotta, raccogliesi eh1 ei fu ancora mandato, non si sa in qual anno, dal! medesimo Giangaleazzo suo ambasciadore a’ Fiorentini. Anzi Matteo Ronto aggiugne che fu da lui destinato a reggere in suo nome la città di Siena. L’anno i.|o2, promosso all arcivescovado di Milano, fu dal duca medesimo, che morì alla fine di detto anno, nominato tutore de’ suoi due figli eh' ei lasciava in età immatura, e adoperossi con somma prudenza a sostenere in que’ torbidi tempi la loro autorità; al qual fine andossene ancora a Roma per placar l’animo del pontefice Bonifacio IX , sdegnato contro i Visconti. Ma in ciò non gli venne fatto di ottenere quanto bramava. Innocenzo VII, succeduto a Bonifacio IX, sollevò il Filargo l’anno 1404 all’onore della sacra [p. 395 modifica]SECONDO Ò()5 porpora, e allora, come ho altrove osservato (Vetera Humiliat Monum. t. 3 , p. 47)ei lasciò il nome di arcivescovo di Milano, e prese quello di commendatario di quella chiesa, Io non seppi allora spiegare onde ciò avvenisse; ma un passo della serie de’ vescovi di Piacenza, poc’anzi accennata, e pubblicata dal Muratori (Script. Rer. ital. vol. 21, p. 633), mi ha poi fatto conoscere che era questo allora I’ universal costume de’ vescovi che venivan posti nel numero de’ cardinali, cioè di rinunziare alla chiesa che finallora avevan tenuta; perciocchè ivi di Branda da Castiglione, vescovo di Piacenza, così si dice: deinde assumptus est ad Cardinalatum, et renanti avit Episcopatum , quia sic moris erat, ut Cardinales, quam primum eligebantur, renuntiarent Episcopatui suo.

V. De’ gravi negozj, ne’ quali allora fu adoperato , della suprema dignità di romano pontefice a lui conferita nel concilio di Pisa a’ 26 di giugno del 1409 delle cose da lui operate nel brevissimo tempo del suo pontificato, parlan tutti gli scrittori della storia ecclesiastica, e non fa d’uopo perciò, che io mi trattenga a ragionarne. Ei morì in Bologna a’ 3 di maggio dell’anno seguente, e fu comune opinione che morisse di veleno; cosa che allor credevasi di leggeri, ogni qual volta vedeasi alcuno morire più presto che non si sarebbe pensato. Delle opere da lui composte si può vedere il catalogo presso il Cotta, e l’Argelati e il conte Mazzucchelli. Poco però se ne ha alle stampe; perciocchè oltre alcune lettere, e le Bolle da lui pubblicate nel breve suo pontificato, non veggo che [p. 396 modifica]3)B LIBRO altro libro se ne accenni uscito alla pubblica luce, fuorchè un Trattato dell’Immacolata Concezione di.Maria Vergine, che è stato stampato da Pietro 1’Alva (Montini, se rapi de a prò Inimac. Concepì. Lovanii i(ì65). Ma se non possiamo da’ suoi libri conoscere quanto egli sapesse , gli elogi che ne fanno gli scrittori di que’ tempi , ci persuadono abbastanza eli’ ei fu tenuto in conto dell’ noni più dotto che allor vivesse. Nella poc’anzi citata serie de’ vescovi di Piacenza , si dice eli’ egli fuit. / ir Artiiun TÀberalium doctissirnus, in Logica subtilissimus, Philosophus excellens, in Teologia!nullum tiullum suo tempore. habuit parem. Scripsit super libros Sententiarum expositiones incomparabiles. Nell’antica Cronaca italiana di Bologna egli è detto grandissimo Maestro in Teologia, e conventato in Parigi (Script. rer. ital. vol. 18, /. 5))^). In una delle due Vite di questo pontefice, date in luce dal Muratori, alla lode di profondo teologo si aggiugne quella d’eloquente oratore: vacavit disciplinis liberalibus in studio Parinsiensi, et in Sacra Pagina Doctor subtilissimus evasit, ita ut super libris Sententiarum elegantissime se ri he re t. Magnus sermocina/or • f’ • cliam ex tempore fuit, et longam ex multis auctoritatibus et. scntentiis oratin/u’ ni refertam saepe texebat (ib. t. 3, pars 2, p. 842). Finalmente Giovanni Manzini nella lettera sopraccitata , scritta mentre Pietro era semplice vescovo, lo dice venuto da Candia per illustrare l’Italia, e il solo, che allor vivesse, dottore insigne ne’ sacri studi. [p. 397 modifica]SECONDO 0()y

VI. Più altri ebbe l’Italia che in questo secolo presero ad illustrar similmente i libri del Maestro delle Sentenze. Ma non v’ha tra essi chi abbia tra’ teologi ottenuto gran nome; ed è inutile perciò l’entrare a parlarne. Se pure non vuolsi ch’io qui ragioni di quel Jacopo da Teramo, ossia da Trani, o, come altrimenti vien detto, Jacopo di Ancarano, di cui un lunghissimo articolo ci ha dato il Marchand nel suo Dizionario (Dict histor. art. de Teramo), non tanto pel poco conosciuto comento da lui pubblicato sul Maestro delle Sentenze e stampato in Augusta nel 1472 quanto per un insulso libercolo che va sotto suo nome, e che più volte è uscito alla luce col titolo Consolatio peccato% rum, ovvero liber de Juridica Victoria Christi contra Sathanam Regem Infernorum, et de consolatione peccatorum. Il de Bure ne cita non poche edizioni e traduzioni in varie lingue (Bibliogr. instruct. Belles lett. t. 2, p. 222, ec), una delle quali più chiaramente spiega l’argomento del libro: Jacobi de Ancarano, seu de Theramo, processus Luciferi Principis Daemoniorum, nec non totius Infernalis Congregationis, quorum Procurator Beli al cantra Jhesum, Creato rem, JRedemptorem, ac Salvatorem nostrum, cujus Procurator Afoyses 9 de spolio animarum, quae in Limbo erant, cum descendit ad Inferna, coram Judice Salomone. Il titolo abbastanza ci mostra la sciocchezza del libro, degno perciò, che intorno ad esso si trattenesse sì lungamente il Marchand, il quale afferra volentieri ogni occasione che gli si offre d’insultare alla semplicità di alcuni scrittori cattolici, come se la [p. 398 modifica]3j8 LIBRO Chiesa 11011 fosse ella la prima a condannare cotali follie, e questo libro medesimo non fosse stato da essa proscritto. E forse ancora ciò che in esso vi ha di ridicolo, e direi quasi di empio, vi fu aggiunto da qualche maligno impostore. Certamente dovette Jacopo essere a’ suoi tempi in concetto d’uom saggio al medesimo tempo e dotto, come raccogliesi dalle dignità a cui venne innalzato. Nato nel 1349, e fatti gli studj di Diritto canonico in Padova , fu canonico in patria, arcidiacono in A versa , segretario de’ brevi e della penitenzieria di Roma, vescovo di Monopoli nel 1391, arcivescovo di Taranto nel 1400, vescovo di Firenze nel 1401 , e finalmente vescovo di Spoleti e amministratore di quel ducato per la Chiesa l'anno 1410 e morì in Polonia, ove era stato mandato da Martino V, l’anno 1417* Di tutte le quali cose si veggan le pruove, insiem con altre notizie a Jacopo appartenenti’ , nel sopraddetto articolo del Marchand. Questi ragiona ancora di una profezia da Jacopo inserita nel sopraccennato suo libro, della quale abusava nel concilio di Costanza Giovanni Huss, e di altre opere di Jacopo, e fra esse di un libro intorno alla monarchia del romano pontefice, di cui un codice a penna conservasi nella biblioteca del Capitolo eh Ma gonza (Gutlen. Sjrlloge Moniim. p. 365).

VII. I tre famosi concilii di Costanza, di Basilea e di Ferrara, ossia di Firenze, diedero occasione a molti teologi di far pompa del lor sapere. In quel di Costanza fu grande singolarmente la fama del Cardinal Zabarella, che vi era stato mandato in qualità di legato dal [p. 399 modifica]SECONDO 3l)) pontefice Giovanni XXI11. Ma di lui già abbiamo parlato a lungo nel precedente tomo di questa Storia. Gregorio XII vi inviò col medesimo titolo il B. Cardinal Giovanni di Domenico fiorentino dell’Ordine de’ Predicatori, e arcivescovo di Ragusa, uomo dottissimo a que’ tempi, e di cui hanno lungamente parlato, dopo S. Antonino ed altri antichi scrittori, i continuatori del Bollando (t. 2, Jun, ad d 10), e poscia i PP. Quetif ed Echard (Script. Ord. Praed. t. 1 , p. 768); e io perciò ne dirò brevemente, aggiugnendo sol qualche cosa fuggita alla diligenza de’ sopraddetti scrittori. Nato di bassa stirpe verso il 135(j in Firenze, ottenne a stento di essere ammesso nell’Ordine di s Domenico , perchè pareva assai mal disposto agli studj. Ma presto fece in essi sì felici progressi , che niuno vi era che il superasse così ne’ teologici, come ne’ matematici, ne’ filosofici, e in que’ del Diritto canonico. Dopo aver corse predicando con molto zelo parecchie città (f ltalia , e dopo aver sostenute nel suo Ordine cariche luminose, fu dalla repubblica di Firenze inviato, l'anno 1406, a Roma per esortare i cardinali a porre fine allo scisma; e poichè fu eletto Gregorio XII, questi che avealo già conosciuto , e ben sapeva quanto dotto e saggio uomo egli fosse, lo creò nel 1407 arcivescovo di Ragusa, e poscia nel 1408 il dichiarò cardinale. Questo onore conferito a Giovanni, destò contro di lui l’odio e la malevolenza di molti. Gregorio XII avea giurato non solo di rinunciar prontamente alla dignità pontificia, ove il ben della Chiesa così richiedesse, ma [p. 400 modifica]4«o unno anche di non creare nuovi cardinali, finchè non avesse fine lo scisma, a condizione però, che altrimente nol consigliasse il bisogno di contrabbilanciare il partito dell’antipapa. Quindi la suddetta creazion da lui fatta irritò gli animi dei cardinali antichi, ai quali parve che essa non fosse necessaria, ed essi perciò non vollero in alcun modo riconoscere i nuovi, e cominciarono a ideare il concilio di Pisa, in cui, deposti i due contendenti al papato , fu eletto Alessandro V’. Giovanni pensò certamente che Gregorio avesse ragioni per dispensarsi dal giuramento, e che a sè perciò fosse lecito l’accettare la profferta gli dignità, e che questa lo ponesse in dovere di sostenere le parti del pontefice suo benefattore. Ei prese dunque a difenderlo , e perciò si videro uscire contro di lui sanguinosissimi scritti. Fra gli altri, merita d’essere osservato quello che l’ab. Mehus dice di aver veduto (Vita Ambr. camald, p. 140) in un codice della biblioteca del Cardinal Passionei, perchè esso ci mostra fin dove giugnesse il furor del partito, e quale al principio di questo secolo fosse ancora la comune barbarie. Essa è una lettera che si finge scritta a Giovanni da Satana Regnorum Acherontis Imperatore , tenebrarum Rege, profundissimi Ditis Duce, superbiae principe, et omnium damnatorum aeterno trucidatore; e la data di essa è espressa in queste eleganti parole: Datimi in /torribili Civi tale nostra Ditis apud in/imam par teiu centri terrae in horribilissimo palatio nostro multitudine infinita Daemonum praesente sub caractere nostri consueti et aeterni sigilli, [p. 401 modifica]SECONDO 40* et furiarum nostrarum, ed perpetuam rei memoriam. Da questo saggio si può argomentare qual sia lo stil della lettera. Non v’ha delitto che ivi non si rinfacci a Giovanni, il quale viene accusato d’ipocrisia, di lussuria, di superbia, di simonia, e considerato come l’autor principale di quello scisma. A questa lettera va annessa la risposta del Cardinal Giovanni, il quale fa rispondere a Satana dall’arcangelo Michele, e ben può ognuno immaginarsi con qual forza un sì valoroso apologista difenda la causa di Gregorio VII e del suddetto cardinale. Di questa lettera non han fatta menzione i PP. Quetif ed Echard, i quali avvertono che a questo medesimo spirito del partito deesi attribuire la taccia d’ipocrita che Poggio fiorentino diede a Giovanni nel suo Dialogo contro gli Ipocriti, mentre prima ne avea parlato con lode. E lo stesso vuol dirsi di Leonardo aretino, il qual parimente sembra tacciar Giovanni d’ipocrisia nell’accettare l’arcivescovado offertogli da Gregorio (l. 2, ep. 19). Vili. Anche dopo il concilio di Pisa, e l’elezione di Alessandro V, si tenne Giovanni costantemente attaccato a Gregorio. Inviato da lui, l’anno 1409 alfitnperador Sigismondo, a Ladislao re d’Ungheria e di Polonia, e ad altri sovrani, sostenne gravi disagi , e fu talvolta costretto ad occultarsi sotto abito vile e plebeo, per non essere scoperto da quei dell’opposto partito. Mandato al concilio di Costanza, come sopra si è detto, col carattere di legato dello stesso pontefice, ei ne sostenne, come meglio poté, le parti, sinchè avendo Gregorio fatta TlllAllOSCIll, Voi. VII. 26 [p. 402 modifica]4u2 ~ LI URO rinuncia al papato, egli ancora in mezzo a quell’augusta assemblea depose spontaneamente le insegne di cardinale, e andò a sedere tra gli inferiori prelati. Ma tutti i Padri di quel concilio vollero che ei conservasse quelle divise d’onore dovute a’ suoi meriti. Quindi dal pontefice Martino V, eletto in quello stesso concilio, fu inviato nel a richiesta dell’imperador Sigismondo, in Ungheria per ridurre alla cattolica fede que’ popoli infetti dall’eresia degli Ussiti. Ma la loro ostinazione non gli permise di ritirarne gran frutto. Ei morì in Buda l’anno 1419 e il concetto che delle sue virtù rimase in que’ popoli, e i prodigi onde ne fu famoso il sepolcro, fecero ch’ei fosse tosto onorato come beato. I PP. Quetif ed Echard parlano a lungo delle opere da lui scritte, che sono spiegazioni e comenti di alcune parti della sacra Scrittura, sermoni da lui detti in diverse occasioni, e varj trattati ascetici e teologici. Tra questi vi è quello da lui intitolato Lucula noctis, e scritto contro il libro di Coluccio Salutato de Fato et Fortuna, di cui abbiamo altrove fatta menzione (t. 5, par. 2). Niuna però di esse è mai uscita alla luce, fuorchè un trattato della Carità, di cui si hanno più edizioni. Al catalogo di queste opere, datoci da’ due suddetti bibliotecarj, conviene aggiugnere non poche lettere italiane di questo cardinale, stampate in Firenze nel 1736, tra le Lettere dei Santi e Beati fiorentini pubblicate dal canonico Biscioni. Vuolsi qui avvertire un error del Fabricio, che ha confusi insieme il Cardinal Giovanni di Domenico con fra Domenico da Giovanni dello stesso Ordine [p. 403 modifica]SECONDO. 403 Je’ Pretiicatoii (Bibl. rned. et inf. Latin. t. 2, p. 54; t. 4 p- 70) vissuto verso la fine di questo secolo, e di cui dovrem ragionare tra’ poeti latini.

IX. Al concilio medesimo di Costanza intervenne pure il Cardinal Giordano degli Orsini, da noi mentovato nel precedente libro. Ma egli più ancor si distinse in quello di Basilea, a cui parimente trovossi presente. Si posson vedere presso il Ciaconio, e presso tutti gli scrittori della Storia Ecclesiastica , le notizie appartenenti alla vita di questo celebre cardinale. Io avvertirò solamente clT ei deesi aggiugnere al catalogo degli scrittori di questo secolo, fra’ quali non suol essere annoverato, non tanto per una sua lettera ad Ambrogio camadolese, che si ha alle stampe tra quelle di quel dottissimo religioso (l. 24? ep 4) ma I1*1’1 ancora pel Diario ch’egli scrisse delle cose avvenute nel suddetto concilio di Basilea fino agli ultimi di settembre del 1437 Esso.conservasi nella biblioteca Laurenziana in Firenze Mehus, praef. ad Ambr. camald. p. 120), e qualche parte ne è stata pubblicata dal ch. monsignor Mansi (Suppl. ad Concil, t. 5). Il Ciaconio ne ha fissata la morte al 1439. Ma un altro Diario d’uno storico di quei tempi, citato dall1 ab. Mehus (Vita Ambr. camal, p. 428) , il fa morto l’ultimo di maggio 1438. Perciocché, come dice lo stesso anonimo autore, egli era a’ 15 di quel mese partito da Ferrara , ove lasciato il concilio di Basilea si era recato, ed erasene andato a’ bagni presso Siena; ma da alcuni credeasi eh’ ci macchinasse gran cose contro il [p. 404 modifica]\ \ i.iBno pontefice Eugenio IV, e die hi morte avesse troncati i disegni da lui formati. Il che però non fu forse che un maligno sospetto, facile a concepirsi in un tempo in cui il caldo de’ contrarj partiti facea temer di ogni cosa.

X. Più altri cardinali italiani intervennero al concilio di Basilea, e poscia passarono a quel di Ferrara. Io mi ristringo a dir di tre soli che sopra gli altri fecero luminosa comparsa in quelle grandi assemblee (giacchè del Cardinal Branda da Castiglione, che pur v’intervenne , dovrem ragionare altrove), cioè del B. cardinale Niccolò Albergati J del Cardinal Giuliano Cesarmi , e del Cardinal Domenico de Capranica, dei quali ancora parlerò assai brevemente, poichè delle loro azioni son piene le storie tutte di que’ tempi. Il primo di essi, onor singolare di Bologna sua patria, della nobilissima sua famiglia, e della religione de’ Certosini, a cui in olii di trentanni arrolossi, era nato nel 1375. Dopo aver date pruove di non ordinaria virtù nel suo Ordine, e dopo avervi sostenute ragguardevoli cariche, nel 1417 fu eletto vescovo di Bologna. Inviato l'anno 1422 dal pontefice Martino V in Francia per procurare la pace tra quel re e quel d' Inghilterra, ebbe dallo stesso pontefice quattro anni appresso il cappello di cardinale. Eugenio IV, successor di Martino, lo impiegò egli pure in legazioni e in affari di non lieve importanza. E quando egli l’anno 1434 si riunì col concilio di Basilea, destinò il Cardinal Albergati a presiedervi in suo nome. Ma i Padri di quel concilio, che erano risoluti di abbassare l’autorità pontificia, [p. 405 modifica]SECONDO 405 c trovavano in questo piissimo cardinale troppo forte ostacolo a’ lor disegni, non paghi di ristrignerne l’autorità che come a legato il papa aveagli conferita, sotto l’onorevol pretesto d’inviarlo a pacificare le turbolenze d’Italia, l’allontanarono dal concilio. Tornovvi nondimeno più volte, e sempre sostenne con invincibil fermezza le parti del romano pontefice, e con lui passò poscia a Ferrara e a Firenze, e trovossi presente al concilio ivi tenuto per la riunione de’ Greci. Finalmente, mentre accompagnava da Firenze a Roma lo stesso pontefice Eugenio IV, sorpreso da infermità in Siena, ivi santamente morì a’ 9 di maggio del 144^ e il corpo fu trasportato in Firenze e sepolto nella chiesa del suo Ordine (a). Quanto incorrotti ne fossero i costumi e quanto esimie le virtù di ogni genere, ci basti a conoscerlo la testimonianza di Poggio fiorentino, che non solo ne fece grandissimi elogi nella orazione funebre che ne recitò nell’esequie, e che abbiamo tra le sue opere, ma nel Dialogo contro gli Ipocriti citato dal Cardinal Querini (Diatr. ad Epist. Fr. Barbar, p. 242), in cui non vi ha uomo celebre per pietà a quei' tempi , che da lui non venga tacciato d’ipocrisia, ne eccettua però il Cardinal Albergati, uomo santissimo, come egli dice, che batteva il vero sentiero della virtù, che non era salito pervie torte ed. obblique a’ sommi onori, che non erasi punto (n) Merita di esser letto l’articolo clic intorno alla vita e alle onere ili questo celebre cardinale ci Ita dato il eli. conte Fantuzzi (Script, bologn t. ì t. p. 99, ec). \ [p. 406 modifica]4o6 LIBRO ila essi lasciato abbagliare, e che in essi avea serbata la primiera innocenza ed austerità di costume. Per ciò che appartiene agli studj, poco abbiamo de’ libri da lui composti , e nulla , io credo, alle stampe, come avverte il conte Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 1 , par. 1, p. 281), il quale annovera le poche opere che dagli scrittor bolognesi gli vengon attribuite. Ma se in altro ei non avesse giovato alle lettere, che col tener lungamente alla sua corte e coll’ajutare ne’ loro studj due che poi divennero non sol dottissimi uomini, ma famosi pontefici , cioè Niccolò V e Pio II, gli si dovrebbe per ciò solamente luogo onorevole- in questa Storia. Il co. Mazzuchelli aggiugne eli' ei tenne ancora presso di sè Francesco Filelfo; ma di ciò non trovo menzione nelle opere di questo scrittore, e di que’ che di lui ci han ragionato.

XI. Del Cardinal Cesarini abbiamo un’antica Vita scritta da quel Vespasiano fiorentino più volte da noi mentovato, e pubblicata dall’Ughelli (Ital. Sacra , t. 3 in ep. Grosset). Inoltre nella Laurenziana in Firenze si ha manoscritta l’Orazione che il Poggio recitò in lode di esso, quando se ne intese la morte, di cui alcuni tratti sono stati dati alla luce dall1 ab. Mchus (Vita Ambra camald. p. 4,9 ec.). Giuliano era nato in Roma di famiglia, secondo il Poggio, antica ma povera, il che confermasi da Vespasiano con dire che essendo ei cardinale, e ricordandosi della difficoltà ch’egli avea provato nel coltivare gli studj, se avvenivagli di trovare qualche povero giovinetto che avesse abilità per le lettere, soleva provvederlo di [p. 407 modifica]SECONDO 407 libri, e mantenerlo a sue spese nelle pubbliche scuole. Ei frequentò prima quelle di Perugia, poi quelle di Padova e di Bologna. Il Papadopoli (Hist. Gymn. patav. t. 1, p. 214), il Facciolati Fasti Gymn. patav. pars 2, p. 24) e più altri aggiungono che in Padova ei tenne ancora scuola di canoni, il che benchè si taccia da’ due mentovati scrittori, confermasi nondimeno dalla testimonianza di Battista Poggio, figliuol di Poggio fiorentino, che narra aver lui avuto in Padova a suo scolaro Domenico da Capranica, che fu poi cardinale, come diremo fra poco. Passò il Cesarini da Padova alla corte del Cardinal Branda da Castiglione, il quale, andando legato in Boemia, seco condusse Giuliano; e questi cominciò ivi a dare singolari pruove del suo sapere non meno che della sua destrezza nel maneggio de’ più difficili affari. Quindi, tornato a Roma, e fatto da Martino V uditore della Camera apostolica, fu da lui inviato col carattere di suo nuncio prima in Francia , poscia in Inghilterra , nelle quali ambasciate ei sostenne con ammirabil fermezza i diritti della Chiesa romana. Fra le molte lodi che il Poggio a questa occasione ne dice, ei rileva quella singolarmente di non aver mai accettato dono di sorta alcuna, talchè ei tornossene a Roma lasciando grande ammirazione delle sue virtù in que’ medesimi a cui dispiacevan le cose da lui in que’ regni operate. Martino V, grato alle fatiche e al zelo di questo suo fedele ministro, il sollevò all’onore della sacra porpora nel 1 \ 2(1. e poscia [p. 408 modifica]4o8 LIBRO invìollo in Boemia , perchè si adoperasse o a convincere colla dottrina, o a domare coll’armi gli eretici che allora sconvolgevano quelle provincie. Ma al zelo del Cardinal Cesarini non corrispose l’effetto; che troppo ostinati insieme e troppo potenti trovò gli eretici, per poterne sperare o la conversione, o la distruzione. Abbandonata perciò la Boemia , venne a presiedere al concilio di Basilea , secondo l’ordine avutone da Eugenio IV, successor di Martino. Ivi la destrezza, il saper, l’eloquenza del Cesarini trassero sopra di lui l’occhio e la maraviglia di tutti. Quando Eugenio ordinò la prima volta lo scioglimento di quell’assemblea, il cardinale ubbidì. e più non v’intervenne col carattere di presidente. Ma scrisse insieme ad Eugenio, rappresentandogli il pericolo a cui egli con tale risoluzione esponeva se stesso e la Chiesa. Allorchè dopo varj contrasti il pontefice si riconciliò co’ Padri di Basilea, e ordinò la continuazion del concilio nel 14^4 » ^ car' dinal Cesarini fu uno de’ presidenti da lui nominati. Ma poco appresso, essendo insorte tra Eugenio e quei Padri nuove discordie , il cardinale prese apertamente la causa del sinodo contro il pontefice. Questi, ad acchetare gli animi innaspriti de’ Padri di Basilea , spedì al concilio il celebre Ambrogio camaldolese, di cui ci riserbiamo a parlare, ove tratterem dello studio della lingua greca. E le lettere che in questa occasione egli scrisse cosi al pontefice (l. 1, ep. 12, ec.), come a Cristoforo di S. Marcello referendario di Eugenio (l. 3, [p. 409 modifica]SECONDO 40l) ep. 35, oc.), sono il più bell’elogio che possa farsi del Cardinal Cesarini , perciocchè continuamente ripete che tutto l’affare dipende da lui, che il pontefice non dee risparmiar cosa alcuna per guadagnarselo, che egli è uomo di non ordinarie virtù, e che grande acquisto farà la Chiesa traendolo alle sue parti. In fatti sì per l’efficacia del parlare di Ambrogio, sì per gli eccessi a cui que’ Padri si lasciaron condurre contro il pontefice , il cardinale abbandonò quel sinodo tumultuante, e passò a quel di Ferrara. In questo nuovo teatro ei comparve sempre più grande; e non v’era avversario che i Greci temessero al par di lui. Lasciamo stare le testimonianze a lui onorevoli degli scrittori latini, che potrebbono sembrar sospette; e udiam solo Silvestro Sguropolo greco scismatico, che scrisse l’Istoria di quel Concilio, a cui trovossi presente. Ei non finisce di esaltare l’eloquenza e il sapere del Cesarini, e racconta (sect. 5, c. 5) che una volta , tra le altre, i Greci rimasero sì stupiti all’udire la forza con cui ei confutò le loro opinioni, che trattisi in disparte entrarono a consulta, chi dovesse e come fargli risposta. Io accenno in breve le cose da lui in que’ due concilj operate , che si posson vedere più ampiamente distese in tutti gli scrittori della Storia ecclesiastica. Terminato felicemente quel gran concilio , ei fu mandato dal medesimo Eugenio in qualità di legato in Ungheria per trattar la lega contro de’ Turchi, e nella funesta battaglia di Varna perì egli pure miseramente nell’anno i \ \\. li però degno di riflessione ciò che Egidio Carlier [p. 410 modifica]4io turno racconta (ap. Baluz. Miscell t. 1, p. 351, ed. Lucens.) di aver udito, l’anno 1447? da,un domestico dello stesso Cardinal Cesarini , che affermava di esserne stato testimonio di veduta, cioè ch’egli non perì in quella giornata, ma fatto prigione e condotto innanzi al Sultano, fu da lui sottoposto a gravi tormenti , e tentato a rinunziare alla Fede, e ch’egli con cristiana fermezza sostenne il martirio. Benchè però sembri assai autorevole un tal testimonio , a me pare che il martirio d’un tal cardinale sarebbe cosa notissima nelle storie di que’ tempi j e il vederlo perciò ignorato da tutti gli altri scrittori non mi permette di credere a tal racconto. Delle opere da lui scritte, che sono singolarmente lettere, orazioni e dispute in occasione de’ due mentovati concilj, e molte delle quali sono inserite nelle Raccolte de’ concilj medesimi, veggansi l’Oudin (De Script, eccl. t. 4, p. a34i) e il Fabricio (Bibl. med. et inf. Latin, t. 4, p- *94); e a quelle che annoverano , si debbono aggiugnere due lettere ad Ambrogio camaldolese, pubblicate dall’abate Mehus (Ambr. camald. Epist. l. 24? ep. 5,6).

XII. Del terzo de’ cardinali, poc anzi accennati, ha scritta in latino assai lungamente la Vita Battista Poggio, figlio del celebre Poggio fiorentino, ed essa è stata data alla luce dal Baluzio (l. cit. p. 341). Di lui pure ragionano tutti gli scrittori di que’ tempi, e io quindi ne dirò sol quanto basta a dar qualche idea delle vicende e de’ meriti di questo cardinale. Domenico figlio di Niccolò da Capranica nacque in Roma nel 1 |Oo. Fatti i primi studj in patria, passò [p. 411 modifica]SECONDO 4 1 1 a Siena (*), ove abbiamo altrove veduto (l. 1 , c. 3) che egli era fra ’I 44y5 e’I ij3o, indi a Padova, ove ebbe per due anni a suo maestro il cardiual Cesarini, che ivi era allora professore di Canoni. La fama di Giovanni d’Imola il trasse poscia a Bologna, ove ottenne nome sì grande, che in ventiline anni, onorato della laurea, fu da Martino V fatto cherico di Camera, e poi segretario; e da lui pure adoperato in difficili commissioni, altre delle quali richiedevano maturità di senno , altre valor militare, in tutte die’ tali pruove di se medesimo, che il pontefice, conferitogli prima il vescovado di Fermo e il governo del ducato di Spoleti , lo nominò ancor cardinale, ma segretamente, come solevasi talvolta a quei tempi, cioè comunicando al sacro collegio l’elezione cli’ei ne facea, da pubblicarsi poi a tempo determinato; aggiuntavi la condizione che se il pontefice morisse prima , i cardinali fossero in dovere di ammetterlo nel loro numero, e di dargli luogo in Conclave. Morì in fatti Martino V prima di pubblicarlo, e il Capranica non solo non potè ottenere di essere riconosciuto per cardinale da’ Padri adunati in Conclave, ma anche poichè fu eletto Eugenio IV, questi ricusò di conferirgli l’onore destinatogli già da Martino, e ingannato da’ maligni calunniatori, che gli dipinsero il Capranica co’ più neri colori, lo spo(*) A Si*»na non dovette il Capranica far paesaggio, se non dopo ricevuta la laurea ili Bologna. Perciocché avendola avuta in età di ventidue anniconvien tiSiime l’epoca al i\vt, , e in Siena egli non potò essere che tra ’l 14?5 e ‘1 143o. [p. 412 modifica]4 i 2 LIBRO gliò di tutti i beni, e cercò ancora di averlo prigione. Egli, dopo essere stato per qualche tempo nascosto, rifugiossi presso Filippo Maria Visconti duca di Milano, da cui accolto onorevolmente, fu inviato al concilio di Basilea a trattar la sua causa. E trattolla il Capranica con felice successo ) perciocché que1 Padri, dopo averla per ben tre anni sottoposta all’esame, decisero che gli era dovuta la porpora. Eugenio IV prestò a tal decisione il suo consenso. Ma il nuovo cardinale veggendo di non essergli accetto, ritirossi a menar vita privata senza punto ingerirsi ne’ pubblici affari. Conobbe finalmente il pontefice il raro merito del Capranica, e fattolo legato nella Marca d’Ancona, il destinò a condurre f esercito che difender dovea quella provincia contro l’armi di Francesco Sforza. In questa occasione però fu il cardinale poco felice guerriero) perciocchè volte in fuga le truppe pontificie, egli ferito in un fianco e in una mano, fu costretto a cambiar di veste per sottrarsi a’ nemici , e rifugiosi in Osimo. Dallo stesso pontefice, e poscia da Niccolò V e da Callisto III fu similmente occupato in diverse ardue commissioni, fra le quali due singolarmente gli ottenner gran lode, la concordia da lui stabilita fra’ Genovesi divisi già da lungo tempo per domestiche ostinate discordie, e la pace che per opera di esso concedette Alfonso re di Napoli alla Chiesa da lui lungamente travagliata colf armi. A queste gloriose azioni del Cardinal Capranica aggiugne il Poggio il ragguaglio delle singolari virtù ond’egli era adorno. Niuna a lui ne mancava di [p. 413 modifica]SECONDO 4 1 ^ quante a un tal personaggio si ri chiede vano; se non che una cotal sua sincera franchezza, usata ancor per riguardo agli stessi pontefici, facea che ei fosse temuto , e quindi ancora odiato da alcuni. Io lascio che ognun vegga presso il detto scrittore ciò che appartiene agli altri pregi di questo celebre cardinale, e solo non debbo omettere gli studj da lui coltivati, e la protezione da lui accordata a’ dotti. Soleva egli dopo il pranzo adunarne molti, e mescer con loro eruditi discorsi, disputando egli stesso, e or convincendo gli altri, or lasciandosi docilmente da essi convincere. Fra quelli che tenne in sua corte, si annoverano Enea Silvio Piccolomini, che fu poi Pio II, il Cardinal Jacopo degli Ammanati, Amico dall’Aquila, Francesco arcidiacono di Toledo, Antonio Laziosi, Leonardo da Perugia, Biondo da Forlì, S. Antonino arcivescovo di Firenze, e Egidio vescovo di Rimini. In mezzo ai gravissimi affari non intermise mai d’istruirsi sempre più nelle scienze, e singolarmente nella teologia e nella filosofia morale, a cui attese ancora in età avanzata, e ne ebbe a maestri i suddetti Francesco da Toledo e Leonardo da Perugia. Niun giorno mai gli trascorse in cui o non leggesse, o non iscrivesse per qualche tempo. E tanto aveva egli letto, che pareva che in ciò solo si fosse sempre occupato. In fatti avendo egli più di millecinquecento libri, singolarmente di Diritto canonico, non v’era cosa in essi ch’ei non avesse diligentemente veduta, il che pur fece di tutte l’opere di S. Agostino e di S. Girolamo. Era versatissimo nelle storie e ne’ libri de’ filosofi; de’ poeti [p. 414 modifica]t\ 14 - L1BKO e dogli oratori. Scrisse alcuni libri spettanti a religione con più dottrina che eleganza, i quali poi furono pubblicati. Il palazzo el11 ei medesimo fabbricato erasi in Roma, ordinò che fosse dopo la sua morte un collegio , in cui molti giovani si mantenessero agli studj, e assegnò a tal fine copiosi fondi, e ivi ripose la sua biblioteca di presso a duemila volumi, acciocchè gli studiosi ne potessero usare. Ma il cardinale Angelo di lui fratello riservò quella casa a suo proprio uso, e fabbricò in vece a canto della medesima un collegio ancor più magnifico, che tuttora sussiste, e conserva il nome del fondatore. Tutto ciò il Poggio, che conchiude la sua narrazione col raccontare i sentimenti di cristiana pietà con cui egli andò incontro alla morte. Essa avvenne nel primo di settembre nel 1458, avendone egli • cinquaut’otto di età. Delle opere da lui composte, e accennate dal Poggio, una sola si ha alle stampe. L’eruditissimo monsignor Mansi, nelle sue note al Fabricio (Bibl. med. et inf. Latin, t. 2, /1. 5a), alfe mia di aver veduto in un codice della imperial biblioteca di Vienna un trattato del Cardinal Capranica presentato al concilio di Basilea per la sua elezione al cardinalato, al quale in fatti si ha la risposta di Giordano Brizio canonista francese, stampata tra’ Miscellanei del Baluzio (l. c. p. 351). Lo stesso autore cita un trattato ascetico di questo cardinale intorno all’arte di ben morire, di cui si hanno più edizioni, la prima delle quali in lingua italiana fu fatta in Venezia nel 1478. Egli ancora avea scritta la Storia del Concilio di Basilea, lino [p. 415 modifica]SECONDO 4l5 al tempo in cui ne parli, e vedremo che di essa giovossi Agostino Patrizi nell’opera che sullo stesso concilio alcuni anni appresso ci diede. Finalmente Paolo Cortese racconta (De Cardinal. l. 1, p- 39) di aver udito da suo fratello Alessandro, che il Capranica avea scritto un libro intorno alla maniera di amministrare il pontificato , il quale era poi stato compito da Flavio Pantagato di lui nipote.

XIII. A questi e ad altri cardinali italiani che intervennero a’ concilj di Basilea e di Firenze, e vi diedero illustri pruove del lor sapere , molti vescovi ancora potrei io qui aggiugnere, che ivi fecero parimente luminosa comparsa. Ma di due de’ più famosi tra essi, cioè di Pietro dal Monte vescovo di Brescia e di Niccolò Tedeschi arcivescovo di Palermo, sarà luogo più opportuno a parlare, ove tratteremo de’ canonisti. Qui non vuolsi tacere di Alessio da Seregno dell’Ordine de’ Minori, così detto probabilmente dal borgo di questo nome nella diocesi di Milano. La pietà e la dottrina di cui era dotato, il condussero prima al vescovado di Bobbio nel 1405 (Poggiali, Stor. di Piac. t. 8, p. y5), e poscia a quello di Gap in Provenza, e finalmente a quello di Piacenza nel 1411 (ib. p. 127). Ei resse questa chiesa per molti anni, ed ebbe occasione di dar pruova del suo sapere nel rigettare l’errore di un imprudente e fanatico religioso che, salito in pulpito in quella città, avea affermato già da tre anni esser nato in Babilonia 1'Anticristo, e avea con ciò costernati gli animi de’' cittadini (ib. p. 229). Maggior campo gli si aprì nel concilio [p. 416 modifica]4l 6 LIBRO di Basilea, a cui intervenne, e ove, come abbiamo nell’antica serie altre volte citata de’ vescovi di Piacenza (Script rer. ital. vol. 16, p. 633), egli multa (digna memoriae egit. Di lui ivi pure si dice che fu uomo dottissimo ed egregio maestro in divinità, e che fu inoltre famoso predicatore. Ei morì in Cremona il primo giorno dell’anno 1447 (Poggiali l. cit. p. 247). L’Argel.iti sull1 autorità del Wadingo afferma (Bil)l Script, mediol, t. 2, pars 1, p. 1340) che nel Convento di S. Francesco in Milano conservansi le Prediche quadragesimali da lui composte. Niuna cosa però, ch’io sappia, di questo dotto vescovo si ha alle stampe.

XIV. Più che altrove però nel concilio di Firenze ebbero gli Italiani favorevole occasione di far conoscere quanto fosser versati nello studio della teologia, a cagion delle contese che ivi sostenner coi Greci. Io non parlerò qui di Matteo da Ripalta agostiniano e piacentino di patria , che fu uno de’ destinati a intervenire a quel concilio, perciocchè egli appena giunto a Firenze, vi morì in età di soli trentacinque anni l'anno 1438 (Ann. Plac. Script Rer. ital. vol. 20, p. 876). Più distinta menzione meritan quelli che venner più volte a tenzone co’ Greci, e ne uscirono vincitori. Per amore di brevità ristringerommi a tre soli teologi dell’Ordine dei Predicatori. E il primo sia Giovanni natio da Montenero in Toscana. Di lui, e degli studj da esso fatti, e delle cariche sostenute nell’Ordine suo ragionano i PP. Quetif ed Echard (Script. Ord. Praed. t. 1, p. 799, ec.). Chiamato al concilio prima di Basilea, e poscia [p. 417 modifica]SECONDO 417 di Firenze , c scelto in questo secondo a disputare co’ Greci, con quanta forza e con quanto plauso il facesse , provasi dai sopraddetti scrittori colla testimonianza di Giuseppe Greco vescovo di Metona, che scrisse la Storia di quel concilio. Io aggiugnerò, riguardo al concilio di Basilea, quella di Ambrogio camaldolese, il quale scrivendo dello stesso concilio ad Eugenio IV, e parlando di lui e di Giovanni da Torquemada, gli dice duo inviata propugna.cula insipientibus conatibus objecta (l. i , cp. 15)j e in altra lettera a Cristoforo da S. Marcello, scrive (l.3, ep. 44) sì grandi essere i loro meriti verso la Chiesa , che non possono abbastanza spiegarsi. Le dispute da lui sostenute contro de’ Greci si leggono nelle Raccolte de’ Concilj; e i suddetti PP. Quetif ed Echard rammentano ancora altre opere da lui composte, e aggiungono che non han trovata notizia, fin quando egli vivesse. Il secondo de’ teologi domenicani scelto non a disputare pubblicamente, ma a conferire amichevolmente co’ Greci intorno al modo di stabilire l’unione delle due Chiese, come pruovano i due citati scrittori , fu Bartolommeo Lapacci, detto da altri Rambertino, nato in Firenze nel 1399) (Script. Ord. Praed. t. 1, p. 834). Il saggio ch’ei diede della sua dottrina in quella grande assemblea, gli meritò da Eugenio IV la carica di maestro del sacro palazzo, e poscia il vescovado di Corone nella Morea nel 1445 Resse egli per qualche tempo la chiesa a lui confidata, finchè caduta quella provincia in man de’ Turchi, tornossene in Italia, e visse il rimanente della Tikaboscui, Voi. VII. 27 [p. 418 modifica]4 IB LIBRO sua vita nel convento di S. Maria Novella in Firenze, ove anche morì nel 1466. Le quali cose veggansi più ampiamente distese e comprovate con autentici documenti da’ due sopraccennati scrittori, i quali ancora ragionano dell’opere da Bartolommeo composte, che sono di argomenti teologici e ascetici, una sola delle quali intorno alla gloria del Paradiso si ha alle stampe. Il terzo, fra’ teologi in quel concilio adoperati, fu Leonardo di Matteo da Udine, di cui, oltre i suddetti scrittori (l. ci/, p. 845), E aria con molta esattezza il sig. Giangiuseppe il oti (Notizie de’ Letter. del Friuli, t. 1, p. 371,ec.), il quale ha provato, ciò che non aveano i primi avvertilo, che egli pur fu presente al concilio di Firenze j e che quando esso tenevasi ancora in Ferrara, fu da que’ Padri incaricato a stendere una risposta alle proposizioni avanzate da que’ di Basilea, della quale risposta conservasi il compendio in un codice a penna nel convento de’ Domenicani di Udine. Nello stesso concilio ei fu trascelto a tenere più volte sermoni a quell' assemblea, e nella sua religione ancora fu sollevato a molte ragguardevoli cariche. I PP. Quetif ed Echard congetturano ch’ei morisse in Udine verso il 1470? e la lor congettura è poi stata confermata dal sopraddetto sig. Liruti, colf autorità di un Necrologio di quel convento, che il fa morto a’ 14 di maggio del 1469. Intorno alle opere da lui composte, diligenti sono le osservazioni del sig. Liruti, che ne ha scoperte alcune ignorate da’ bibliotecarj domenicani. Alle stampe però si hanno solamente parecchi Sermoni, una [p. 419 modifica]SECONDO 4*9 edizione de’ quali si dice per errore da alcuni fatta l’anno 144^? c traduzione italiana de’ Dialoghi di S. Gregorio. Io accenno solo tai cose. perchè troppo a lungo mi condurrebbe il volere anche sol compendiare ciò che intorno a (queste opere ha osservato il suddetto esatto scrittore («).

XV. Nello stesso concilio ebbe non piccola )parte, ma più come interprete che come teologo, benchè in questa scienza ancora fosse uomo dottissimo, Alberto da Sarziano dell’Ordine de’ Minori Osservanti, a cui molti danno il titolo di Beato. L’Argelati, fidato sull’autorità di alcuni moderni scrittori, l’avea creduto di patria milanese, e detto solo di Sarziano, perchè nel luogo di questo nome in Toscana preso avesse l’abito religioso (Bibl. Script, mediol, t. 2, pars 1 , p. 12j)o, ce.). Ma ha poscia egli stesso corretto il suo e l’altrui errore (ib. pars 2, p. 2027). Egli era nato l’anno 1385, e arrolatosi in età giovanile tra’ Conventuali, e da essi passato a’ Minori Osservanti, non pago degli studi fatti nel chiostro, recossi a Verona l’anno 1422, e sotto Guarino si diede ad apprendere la lingua greca, come egli stesso racconta (ejus Op. p. 171, ec.). L’anno seguente avendo udito che Francesco Barbaro trovavasi in Trevigi con S. Bernardino da Siena, andò ((1) Alcune altre più minute notizie intorno a F. Leonardo «la Li liti e , anche per correggere qualche errore in cui è caduto il Liruti, ha raccolte il diligentissimo abate Ongaro nelle sue Memorie inss. della Letteratura ilei Friuli. Ma a me non è lecito il tiaUeuenni su ogni picciolo oggetto. [p. 420 modifica]420 LIBRO ad unirsi con loro; e dal parlare di Bernardino eccitato ad entrare egli pure nella carriera apostolica da lui battuta, gli si diè per alcuni mesi a compagno (ib. p. 177), e formatosi su un tal modello, divenne uno de’ più zelanti predicatori e dei più dotti teologi di questo secolo. E il primo saggio dell1 efficacia del suo zelo diede egli in Modena, ove recatosi a predicare l’anno 1423, ne trasse quel copiosissimo frutto ch’egli stesso descrive (ib. p. 180). Ma l’eloquenza di Alberto si scuopre più negli elogi che di lui ci han fatto gli scrittori contemporanei, che ne’ Sermoni latini da lui composti, alcuni de’ quali si hanno alle stampe, e non mi sembrano, per vero dire, molto eloquenti. Nondimeno Guarin da Verona, in una sua lettera pubblicata da’ PP. Martene e Durand (Collect. ampliss. t. 3, p. 855) ne dice le più gran lodi del mondoj se pure l’essere Alberto stato già suo scolaro non ebbe in tai lodi gran parte. Francesco Barbaro ancora, che non potea muoversi per somigliante riguardo, ne parla con sentimenti di altissima stima in una sua lettera scritta al marchese Leonello d’Este nel 1435 (Barbar. ep. 9). Era allora Alberto in Ferrara, e avea risoluto di navigare in Terra Santa per predicare agli Infedeli. Perciò il Barbaro prega caldamente Leonello, che distolgalo da tal consiglio , rappresentandogli l’inutilità di un. tal viaggio, atteso il non sapersi da lui la lingua di que’ barbari popoli, e insieme i pericoli a cui si espone. Gli fa riflettere che è assai meglio proseguire con certo frutto l’evangelica predicazione in Italia, che l’andare in cerca [p. 421 modifica]SECONDO 421 di un Lene troppo dubbioso ed incerto, e conchiude con queste parole,, che ben dimostrano qual fosse il concetto in cui esso era in tutta 1 Italia: Quod si feceris, hunc sanctum virum praestantissimum Medicum totis Italiae et disertissimum Christi praeconem conservabis, de cujus salute ita sollicitae sunt multae Civitates , apud quas de Regno Dei cum magna gloria disseruit, ut tibi non minus debere fateantur, si Albertum ipsum retinueris, quam si cum tua tabula parentem e medio naufragio ereptum sibi restituisses. Somigliante è Y elogio che ce ne ha lasciato Timoteo Maffei veronese in un suo libro citato dall1 abate Mehus (Vita Ambr. camald. p. 384), ov1 ei confessa fra le altre cose che dalle prediche di Alberto fu indotto ad abbandonare il secolo. Ma se il marchese Leonello, ad istanza del Barbaro, cercò di smuovere Alberto dalla presa risoluzione, ogni sforzo fu inutile. Non era semplice desiderio di predicare agli Infedeli, che conducevalo all’Oriente; ma era una commissione del pontefice Eugenio IV. che due volte mandollo a’ regni orientali, la prima lo stesso anno 1435, la seconda nel 1440 Per concertare il grande affare della riunione di que’ popoli colla Chiesa romana , e a tal fine nel secondo suo viaggio penetrò Alberto fino in Egitto, in Etiopia, in Armenia, per indurre quegli scismatici a intervenire al concilio che celebravasi. E in ciò ebbe Alberto sì felice successo, che fra gli altri il patriarca degli Armeni inviò al sinodo i suoi legati, e quella Chiesa ancora riconciliossi colla [p. 422 modifica]422 LIBRO romana. Nello conferenze con essi tenute Alberto serviva d’interprete , ne è a dubitare ch’ei non ragionasse ancora come teologo. Tra le opere in fatti da lui composte, e che furon pubblicate in Roma nel 1688, oltre molte lettere ed alcuni sermoni, si hanno alcuni trattati di argomento teologico, e uno singolarmente sulla Penitenza, e un altro sull’Eucaristia. Il catalogo di tali opere si può vedere presso il Wadingo (Bibl. Ord. Minor.), l’Oudin (De Script eccl t. 3, p. 2374)» e l’Argelati. Egli, era amico al medesimo tempo degli uomini eruditi di quell’età, come del Barbaro, di cui oltre la lettera già citata, ne abbiamo un’altra scritta ad Alberto (ep. 75, p. 98), e di Ambrogio camaldolese, di cui dice lodi grandissime in due lettere scritte a Niccolò Niccoli (Ambr. camald. l. 25, ep. 4? 5), e abbiam pure una lettera di Ambrogio al medesimo Alberto (l. 2, ep. 20). Ed era pure amico del Poggio, benché, avendo questi scritto in dispregio de’ religiosi, il confutasse con una lunga lettera in lor difesa, che con altra sua lettera è stata pubblicata ancora da’ PP. Martene e Durand (l. cit.). E io non so onde abbia tratto l’Argelati, che la risposta al Poggio sia scritta in versi, mentre ella dal principio al fine è tutta in prosa. Dopo il concilio di Firenze proseguì Alberto ad enunciare a molte città d’Italia la divina parola. E celebre, fra le altre, fu la predicazione da lui fatta in Brescia l’anno in cui gli venne fatto non sol di condurre molti a vita più esemplare, ma [p. 423 modifica]SECONDO /fa3 ancor d« acchetare le interne discordie orni’ era quella città travagliata. Finalmente ei morì in Milano nel 1450, e fu sepolto nella chiesa di S. Angelo del suo Ordine, benchè ora non rimanga memoria precisa del luogo in cui ne furono collocate le ossa. Queste cose medesime , da me in breve accennate, si posson vedere più ampiamente esposte nella Vita di Alberto, scritta da F. Francesco Aroldo Minor Osservante, e premessa alle opere del medesimo.

XVI. Oltre questi teologi, che pel profondo loro sapere invitati furono a’ mentovati concilj, vuolsi mentovare un altro il quale, comunque non vi si trovasse presente, fu nondimeno incaricato di scriver sulle quistioni che in essi trattavansi. Ei fu Rafaello da Pornasio, luogo nel Genovesato, dell1 Ordine de’ Predicatori, e inquisitore in Genova dal 1430 fino al 1450. Di lui altro non si ha alle stampe che la prima parte di un trattato sopra la povertà religiosa. Ma i PP. Quetif ed Echard in un codice della biblioteca del lor convento di S. Onorato in Parigi hanno scoperti trenta opuscoli inediti di questo dotto teologo, di cui ci han data notizia (Script Ord praed. t. 1, p. 381). Tre di essi appartengono alle quistioni che allor disputavansi in Basilea, dell autorità del pontefice e del concilio, e il loro principio ci mostra che essi furono scritti a richiesta del Cardinal Giovanni da Casanuova. Gli altri trattati son di diversi argomenti, altri di teologia scolastica, altri di morale, e i suddetti scrittori ne parlano con molta lode. A ciò però eh1 essi ne [p. 424 modifica]4 24 LIBRO dicono, si può aggiugnere l’elogio che ne ha fatto Bartolommeo Fazio (De Viris ill. p. 42) » il quale ne rammenta un’opera assai erudita , diversa, per quanto sembra, dalle altre da’ suddetti scrittori mentovate: Raphael Pronassius, così ivi egli è detto, natione Jenuensis, Ordinis D. Dominici Dialecticae ac Philosophiae itemque Divinarum rerum artibus ornatus inter Theologos nostri temporis singularis judicatur. Rerum antiquarum studiosus, earum maxime quae ad mores et Religionis cultum pertinent Platonis, Aristotelis, ac ceterorum Philosophorum veterum scripta, quae consentire cum Evangeliis et Christi veri ac summi Dei nostri dictis vederentur, in unum volumen collegit, dictaque cum dictis contulit, ut summam sapientiam, hoc est Dei Verbum ac Filium omnium Philosophorum sententias non aequasse modo, sed etiam superasse diceat Scripsit item alia quaedam in eo genere non contemnenda. In disputationibus subtilis, atque acerrima vitae innocentia ac puritate. Essi ancora ragionano di Filippo Barbieri siracusano, dello stesso loro Ordine ed inquisitore nell1 isole di Sicilia, di Sardegna e di Malta dal 1462 al 1481 (ib. p. 873), di cui inoltre si posson vedere altre notizie presso il Mongitore (Bibl. sicula t. 2 , p. 168) e presso il conte Mazzucchelli (Script. ital. t. 2, par. 1 , p. 308). Alcuni opuscoli teologici ne furon dati più volte alla luce nel secolo xv, e fra essi il più pregevole è quello De immortali Lite Animorum. Egli scrisse ancora una Cronaca degli Uomini illustri, che fu parimente stampata nel 1475, e se ne citano [p. 425 modifica]SECONDO 4*5 inoltre alcune altre opere senza indicare se sieno uscite, o se con servi osi manoscritte, e dove; e fra esse sarebbe degna di essere esaminata quella che in tre libri egli scrisse intorno agli inventori delle scienze e delle arti meccaniche. Il Fabricio ha confusi insieme due Giaufilippi, amenti uè, secondo lui, cognominati de Lignamine, amendue messinesi (Bibl. med. et. inf. Latin, t. 4, p. 275; t. 5, p. 289), il primo medico di Sisto IV, e insieme stampatore in Roma, il secondo autore de’ sopramentovati trattati , de’ quali egli ha fatto un sol personaggio. Monsignor Mansi ha avvertito e corretto l’errore ib. t. 5, p. 294), dicendo che il primo fu bensì editore dell’opere del teologo, ma non diede alla luce che qualche opera medica («); (a) Più esatte notizie intorno a Giovan Filippo del Legname si posson vedere nella più volte lodata opera del signor abate Gaetano Marini, il quale ha osservato (Degli Archiatri pontifìcii t. 1 , p. 189, ec.; t. 2, p. 342 ec.) che non vi è argomento che basti a provare ch’ei fosse medico di Sisto IV, e che l’opera medica a lui attribuita è di benedetto da Norcia. Egli ancora ha trattato con molta esattezza di parecchie onorevoli commissioni che dalla curia romana furono a Giovanni Filippo affidate , ed ha prima d’ogni altro osservato che di una sola operetta ei può dirsi autore, cioè della Vita di Ferdinando d Aragona re di Napoli, da lui scritta insieme e stampata. Essa è rammentata anche dal ch. P. maestro Audifredi (Catal roman. EH il. sacc. 15, p. 439), che di tutti gli altri libri pubblicati da’ torchi di Gianfilippo in Roma dal 1470 al 14-B *? a molti de’ quali ei premise lettere e prefazioni , ragiona con molta esattezza (ib. p. 46, 83, 85, 113, ec. ec.); e ci dà pure una distinta notizia degli opuscoli di Filippo Barbiari (ib. p. 552). Con queste [p. 426 modifica]4a() LIBRO il secondo fu 1’autore de’ trattati teologici, ed insieme di una giunta alla Cronaca di Ricobaldo, che ad essa va unita. Io non sò però su qual fondamento ei chiami il teologo col cognome de Lignamine, mentre il veggiam da tutti appellato con quello sol di Barbieri. Egli è vero nondimeno che Gianfilippo de Lignamine, pubblicando l’opera del teologo , lo dice suo conterraneo ed affine. XVIL Molti teologi in questo secolo ancora ebbe l’Ordine agostiniano. Io farò breve menzione di cinque soli. de’ quali è rimasta più chiara fama , e intorno a’ quali, come pure intorno a più altri dello stesso Ordine, io debbo qui ancora protestare la mia riconoscenza al P. Giacinto della Torre agostiniano (recentemente promosso all1 arcivescovado di Sassari), che di molte notizie mi è stato liberalmente cortese. Il primo che in questo secolo ci viene innanzi, è Agostino Favaroni , detto comunemente Agostino da Roma. Di lui si trova menzione presso il Ghirardacci all’anno 13;)4? neI qual anno questo scrittore racconta (Stor. di Bol. t. 2, p. 4:4) che dovendo l’università di Bologna scegliere un professore di teologia, e proponendosi a tal fine da alcuni Giovanni da Lovanio dello stesso Ordine agostiniano, gli fu preferito Agostino a cagion della stima in cui quegli scolari lo aveano. Dalla sua virtù non meno che dalla sua dottrina fu sollevato alla notizie deesi anche correggere ciò che di Giovanni Filippo de Lignamine ha scritto l’erudito Soria (Storici ini poi. t. a , p. 353, ec.). [p. 427 modifica]SECONDO 437 carica di generale del suo Ordine 1* anno 149 e poscia all’arcivescovado di Nazaret. Perciocchè è falso cièche altri scrivono, ch’ei fosse prima vescovo di Cesena, e poscia arcivescovo della suddetta chiesa. Il Breve di Eugenio IV, pubblicato dall1 Ughelli (Ilal. sacra t. 2 in Episc. Caesen.), ci fa vedere ch’egli era già arcivescovo di Nazaret, quando fu nominato l'anno 1431 non già vescovo, ma amministratore del vescovado di Cesena, dalla quale amministrazione egli poi si dimise nel 1435. Ma quest’anno appunto fu ad Agostino cagione di non lieve rammarico. Avea egli scritta e pubblicata un’opera teologica divisa in tre trattati, il primo de’ quali era intitolato del Sagramento dell’unità di Cristo e della Chiesa, il secondo di Cristo e del suo principato , il terzo della carità e dell’amore infinito di esso verso gli Eletti. Or questi libri chiamati ad esame nel detto anno nel concilio di Basilea, furono da que’ Padri creduti degni di solenne condanna per molte proposizioni che vi si contenevano, le quali, comunque con metafisica sottigliezza si potessero spiegare in senso cattolico, parean nondimeno accostarsi troppo all’eresia e all’empietà; quali erano queste: che Cristo pecca , e ha sempre peccato ne’ suoi membri, cioè ne’ Fedeli; che i soli Eletti sono i membri di Cristo; che la persona umana in Gesù Cristo è veramente Gesù Cristo, ed altre a queste somiglianti. Si può vedere il decreto di tal condanna nelle edizioni de’ Concilj (Concil Basil. Sess. 22). In esso però si aggiugne che non s’intende con ciò di danneggiare l’autore, sì [p. 428 modifica]428 Libro perchè egli citato avea recate giuste ragioni per non comparire, sì perchè avea dichiarato che in ogni cosa sottometteva al giudizio della Chiesa le sue opinioni. In fatti non sol gli scrittori del suo Ordine, ma l’Ughelli ancora altamente ne loda la dottrina non meno che la santità dei costumi, per cui da alcuni è onorato col titolo di Beato. Ei morì nel 144^ l‘l' sciando più altre opere teologiche e scritturali, che si annoverano dal Tritemio (De Script, eccl. c. 722) e dal Fabricio (Bibl. med. et inf. Latin. t. 1, p. 150) e da tutti gli scrittori agostiniani. Ma niuna di esse è stata pubblicata in istampa.

XVIII. Nulla pure, eli’ io sappia, abbiamo alle stampe di Gabriello Garofolo da Spoleti dello stesso Ordine agostiniano. Il Tritemio però (l. cit. c. 735), che il dice uom dotto nella sacra Scrittura , e versato ancora nelle scienze profane, di egregio ingegno e valoroso predicatore, il fa autor di più opere, e singolarmente di alcuni trattati contro gli eretici detti Fraticelli, contro de’ quali ei declamò ancora con molto zelo dal pergamo; e ad essi gli scrittori agostiniani (Gandolf. de CC. Script. august p. 124) aggiungono molti sermoni da lui recitati. Ei fu vicario generale del suo Ordine nella Marca Trivigiana nel 1420, priore del suo convento in Venezia, e onorato di più altre cariche nella sua religione, di cui formò ivi ancora una particolar congregazione detta di S. Spirito, benchè poi egli facesse ritorno al corpo ond1 era uscito. E al tempo in cui egli era in Venezia, si dee riferire ciò che narra Jacopo Zeno nella [p. 429 modifica]SECONDO 4 29 Vita del celebre generale Carlo Zeno suo avolo , cioè che questi fra gli uomini dotti, della famigliare conversazion de’ quali godeva negli ultimi anni di sua vita, numerava ancora Gabriele ni Spoletanum magni nominis ea tempestate virum sacrisque literis eruditissimum (Script. rer. ital. vol 19, p. 364)• L’anno 1429 fu eletto vescovo, non già di Lucera, come scrive il Fabricio (l. cit. vol. 3, p. 2), ma di Nocera, come corregge monsig. Mansi coll’autorità dell’Ughelli e del P. Gandolfi. Il qual vescovado tenne Gabriello, secondo lo stesso Ughelli, un anno solo, essendo morto l'anno 1430. Ma gli scrittori agostiniani gli prolungan la vita fino al 1433. Di Guglielmo Antonio Becchi nobile fiorentino, che è il terzo de’ teologi agostiniani de’ quali mi son prefisso di ragionare, si può vedere 1 esatto articolo che ce ne ha dato il co. Mazzucchelli (Scritt ital. t. 2, p. 596). Le università di Padova e di Bologna lo ebbero alle loro scuole, poichè ebbe abbandonato il mondo; e nella seconda prese i consueti gradi di onore. Nel 1440 era fra’ teologi dell’università di Firenze; e nel 1451 era attuale e stipendiato lettore nella medesima. Dopo altre onorevoli cariche nel suo Ordine sostenute, ne fu chiamato al supremo governo nell1 anno 1460. Dieci anni appresso Paolo II gli conferì il vescovado di Fiesole, di cui poscia fece rinuncia fanno 14&i. Finalmente in età decrepita morì in Firenze nel 1496, come crede il P. Gandolfi (l. cit. p. 147)» 0 secondo altri nel 1490, ma più probabilmente nell’anno 1491 poichè così afferma F. Jacopo [p. 430 modifica]4^0 LIBRO Filippo (la Bergamo, correligioso c contempo-* ranco del Becchi, nell’edizione della sua Cronaca del 1503, benchè poi in quella del 1513 si legga, forse per errore di stampa, il 1495. Una sola opera ne abbiamo stampata, cioè un’Apologia del suo Ordine pubblicata in Firenze nell’anno 14))i- Ma assai più se ne conservano manoscritte nella libreria di S. Spirito nella detta città e altrove, e molte di esse sono comenti sui libri di Aristotele, altre sono di argomento teologico, e se ne può vedere un diligente catalogo presso il già citato conte Mazzucchelli. Più celebre ancora fu Alessandro Oliva da Sassoferrato, che dopo essere stato eletto general del suo Ordine l’anno 14^9? P anno seguente da Pio II annoverato tra’ cardinali, e morì poscia tre anni appresso. Giannnntoni’ j Campano ne recitò F orazion funebre, che abbiam tra le opere di questo scrittore, e il Gobelino, o, a dir meglio, lo stesso Pio II, parlando e della elezione che di lui fece, e della morte di questo piissimo cardinale, ne fa grandi elogi, lodandone la santità e la dottrina, (Gli scrittori del suo Ordine ne accennano alcune opere teologiche e ascetiche, che si conservano in Roma. Egli ancora intervenne al concilio di Basilea, come rilevasi da un passo del Wadingo (Ann. Minor, ad an. 1435).

XIX. Gli scrittori agostiniani parlano ancora con molta lode delle virtù e del sapere di Ambrogio da Cora, così detto dal luogo di sua nascita nella Campagna di Roma, ma che era della famiglia Massaria, e che spesso dicesi ancor Coriolano. Migliori notizie ce ne ha date [p. 431 modifica]SECONDO 4^I il dottor Sassi (/list. Typogr. mediai. p. 183, ec.), tracndole singolarmente dalla lettera con cui Masello Venia da Benevento gli dedicò l1 edizione dell1 Opere di S. Ambrogio da lui fatta in Milano verso il 1477 e di essa noi pure (qui ci varremo, poichè il suddetto scrittore l’ha di nuovo data alla luce (ib), p. 467;). Ambrogio entrato nell1 Ordine agostiniano, e mandato agli studi nell1 università di Perugia, vi ebbe l’onore del magistero, e fattone poscia reggente e decano, vi sostenne con sommo applauso la lettura di teologia. Per sedici anni si trattenne in Roma a trattare le cause innanzi al pontefice, il che come potesse farsi da un religioso, poiché f autor della lettera non cel dice, invano ci affaticheremmo a cercarlo. In essa ancor si rammentano l’impiego di provinciale della provincia romana che contro il consueto egli ebbe per nove anni continui, l’ampio stipendio con cui fu condotto a leggere filosofia e teologia nell’università di Roma , il plauso eli’ egli avea ottenuto parlando in non so quale occasione innanzi a Ferdinando re di Napoli, l’impiego di procuratore della sua religione che per sette anni avea sostenuto, e quello in cui allor si trovava di vicario generale (e ne fu poi eletto ancor generale nell’anno 1476 le), Virtù singolari di cui era adorno, il zelo con cui adoperavasi per far risorgere all’antico splendore la sua religione, singolarmente coll’avvivare gli studj, la riforma da lui introdotta nel convento di S. Maria del Popolo in Roma , e la bella fabbrica finalmente di quel convento e di quel [p. 432 modifica]43a? LIBRO tempio per opera da lui innalzata (*). 11 Sassi aggi tigne che la stessa riforma introdusse Ambrogio nel convento di S. Marco in Milano. In questa città medesima una gran contesa dovette ei sostenere contro i canonici regolari, clic dal medesimo autore e dagli scrittori agostiniani lungamente si narra. La quistione era se una statua di S. Agostino in marmo, clic doveasi porre nel Duomo di Milano, dovesse presentarlo vestito da Romitano, ovver da Canonico regolare, quistione clic parve allora di sì grande momento, clic i più dotti uomini furon chiamati a deciderne. I Romitani ne uscirono vincitori, e questo loro trionfo il dovettero essi ad Ambrogio, che fanno 1481 pubblicò iu Roma l’Apologià del suo Ordine col comento della Regola di esso, il catalogo degli uomini illustri che n erano usciti, cd altri opuscoli in lode di S. Agostino. L’anno 1484 » essendo (*) Le cose che Masello Venia afferma intorno alla, riforma da Ambrogio da Cora introdotta nel convento di S. Maria del Popolo di Roma, e alla fabbrica di quel convento e di quella chiesa da lui innalzata, sono alquanto esagerate, come mi ha avvertito il ch. P. Verani; perciocchè la riforma fu ordinata da Sisto IV, prima che Ambrogio fosse generale, e. vi ebbe parte Giovanni de’ Gianderoni allora sagrista del palazzo apostolico; e la chiesa ancora fu innalzata dallo stesso pontefice. Nella Cronaca di Ambrogio si legge ch’ei fu eletto generale nell'anno 1477 Ma è ivi corso un errore di stampa emendato con moltissimi altri al fine del libro, benchè a molti esemplari manchi tal correzione. Si conserva nell’archivio del detto convento una carta segnata a’ 5 di giugno del 1476 in cui egli si dice: Ego F. Ambrosius de Chora Prior Generalis licet immeritus , ec. [p. 433 modifica]SECONDO 433 niorto il pontefice Sisto IV, Ambrogio fu un degli eletti a lodarlo ne’ funerali: Generalis Augustinensium, dice Jacopo Volterrano nel suo Diario (Script. Rer. ital. vol 23, p. 200) Pater Ambrosius coranus oravit in suo genere comendatus. Ma poco appresso egli ebbe la sventura d’incorrer lo sdegno d’Innocenzo VIII, successore di Sisto, per cui ordine chiuso in Castel Sant’Angelo l’anno 1485, e poscia renduto al suo convento che gli fu assegnato per carcere, ivi a’ 17 di maggio dello stesso anno finì di vivere. Lo Spondano (Ann. eccl. ad h. a.) e più altri scrittori affermano che ciò gli avvenne, perchè avendo il pontefice Sisto IV imposto il silenzio sulla quistione dell' abito di S. Agostino, egli ardì di violare il divieto. (Gli scrittori agostiniani confessano la prigionia del lor generale, ma negano ch’ella avvenisse per f accennata ragione, la quale in fatti cade per se medesima a terra, se si rifletta che Ambrogio stampò l’Apologia del suo Ordine nel e il divieto di Sisto IV non fu intimato che nel 1 (84- A me è riuscito di ritrovarne la vera ragione nel Diario di Stefano Infessura , pubblicato dal Muratori, ov’ei racconta che esso fu carcerato l'anno 1485; perchè correva voce che avesse detto che il pontefice Innocenzo era stato creato pontefice fra le tenebre, e che, come vivea in mezzo alle tenebre, così in mezzo alle tenebre sarebbe morto. Carceravit Generalem S. Augustini ob id solum, quod fertur dixisse, Papam Innocentium creatimi fuìsse in tenebrisi et in te ne bris vieti, et in tcnebris morietur (Script. rer. ital. voi. 3, pars 2,p. 1 iya). Tiraboschi, Voi. VII. 28 [p. 434 modifica]Il qual racconto non è sembrato abbastanza fondato ad Apostolo Zeno (Diss. voss. t. 2 , p. 163), perchè non ne ha trovata memoria che presso il Ciaconio. Ma ne avrebbe forse pensato diversamente , se l’avesse veduto ancora nel sopraddetto Diario. Forse però potè avvenire che l’invidia di qualche nimico di Ambrogio avesse non piccola parte nell1 accusa a lui data presso il pontefice. Poco altro si ha alle stampe di questo scrittore oltre l’opera già mentovata, a cui vanno congiunte alcune altre intorno la vita e la regola di S. Agostino e la Storia del suo Ordine. Ma molte son quelle che si conservano manoscritte. Il Fabricio, seguendo gli scrittori dell’Ordine agostiniano, le annovera (li ibi. med. et inf. Latin, t. 1, p. 85), e molte ne veggiamo tra esse di argomento teologico. Più pregevoli ancora, e degne di venir pubblicate dovrebber essere quella degli Inventori dell1 Arti, oltre più altre filosofiche, matematiche e di altri generi. Il Venia, nella lettera da noi già citata, fa egli pure menzione delle opere che Ambrogio avea fin:“Mora composte, e tra esse ne annovera alcune che dagli altri scrittori sono state omesse. E ciò basti intorno a’ teologi agostiniani di questo secolo, a’ quali però più altri si potrebbon aggiugnere, che dagli scrittori dell1 Ordine loro son nominati con molta lode, come Giovanni Dati da Imola, che secondo essi fu eletto vescovo della sua patria, benchè non sembri che ne abbia preso il possesso •, Cristofano di Paolo bolognese, Paolo da Roma, Niccola Palmieri siciliano, e più altri Ma io son costretto a passar questi e più altri teologi [p. 435 modifica]SECONDO 435 tli altri Ordini religiosi sotto silenzio, per non allungarmi oltre il dovere (*).

XX. Fra1 teologi di questo secolo deesi ancor luogo onorevole a S. Giovanni da Capistrano, così detto dal luogo di sua nascita nelPAIibruzzo, dell1 Ordine de1 Minori Osservanti. Ma io non ne farò che un cenno, poiché di lui ci ragionano le storie tutte di quell1 età, le quali rammentano f ✓* (*) Un insigne teologo e predicatore dell’Ordine de’ .Servi di Maria non dovea qui essere dimenticato, cioè F. Ambrogio Spiera trevigiano, de’ cui studj, e della dignità di procurator generale nel suo Ordine da lui sostenuta , e più altre notizie intorno alla vita di esso, si posson vedere negli Annali de’ Servi del p Giani (Ann. Servor. ed. luc. 1719, t. 1, p. 489 ec.). Benchè ne’ Fasti del Facciolati non si faccia di lui menzione, i registri nondimeno di quella scuola teologica veduti dal ch. p maestro Federici domenicano, che si apparecchia a pubblicarne la Storia, fan pruova ch’egli cominciò ivi a leggere teologia nel 144*i c continuò per alcuni anni , avendovi a concorrente fra gli altri F. Francesco da Savona, che fu poi Sisto IV. E ne esistevan di fatto i Comenti, benchè non sien mai venuti alla luce, sul Maestro delle Sentenze, come si all’- mia dal generi’ 1 di quell’ordine, Taddeo Tancredi di Bologna , in una lettera premessa a’ Sermoni latini del detto Ambrogio, in cui d’esso si ragiona con molta lode. Questi Sermoni furono stampati in Bologna nell’anno 1510, e fin dal 1476 nc erano stali pubblicati in V enezia quelli per la Quaresima , che furon poscia più altre volte stampati Essi non son propriamente Sermoni, ma trattati teologici divisi in tante conclusioni, ne’ quali vedesi raccolto tutto ciò che le sacre Scritture , i SS. Padri ed altri scrittori hanno su quell'argomento raccolto; nuova maniera di perorare dal pergamo allora introdotta , e di cui forse lo Spiera fu uno de’ primi autori, e che potrebb' esser applaudita , se troppo non vi si mischiasser la ruvidezza e la barbarie scolastica. [p. 436 modifica]436 MURO il zelo con cui egli combattè gli Eretici in Italia, in Boemia, e in altre parti dell’Allemagna, a’ quali ei mosse guerra non sol colla lingua e colla penna, ma coll’armi ancora, raccogliendo eserciti per isterminarli. Collo stesso ardore si adoperò egli a domar la potenza e il furore de’ Turchi, contro de’ quali radunato un fortissimo esercito, egli stesso il condusse personalmente a combatterli l’anno 1456, e data loro una memoranda sconfitta, li costrinse a levar l’assedio da Belgrado. Dopo la qual! impresa ei finì di vivere lo stesso anno nella diocesi di Cinquechiese in Ungheria. Tutto ciò non appartiene a quest’opera; e io osserverò solo che ci dovea essere uomo assai dotto non solo nella teologia, di che diede pruove non rare volte nel disputar cogli Eretici, ma ancora nel Diritto canonico e nel civile. In fatti abbiam parecchi trattati di tale argomento da lui scritti, e parte stampati separatamente, parte inseriti nella voluminosa Raccolta de’ Trattati dell’uno e dell’altro Diritto. Convien dire che, oltre le opere che ne sono uscite alla luce, più altre se ne conservino manoscritte j poiché il Mongitore racconta (BibL sicuL t. 2, App. p. 22) che f Giannantonio Sessa palermitano, dello stesso Ordine dei Minori Osservanti, avea con un’ostinata fatica di ben venti anni sul principio di questo secolo raccolte e illustrate con note tutte l’opere di questo sant’uomo, e che apparecchiavasi a darle in luce in diciassette tomi in folio. Ma non trovo che siasi mai fatta cotal edizione. Il catalogo di quelle opere che a noi son note, si può vedere presso il Wadingo (Bibl. Ord. [p. 437 modifica]SECONDO 43; Minor, p. 196), presso l’Oudin (De Script, eccl t. 3, p. 2460, ec.), e presso altri scrittori da lui citati.

XXI. Due quistioni teologiche, che dopo la metà del presente secolo si eccitarono in Italia, porsero occasione a molti teologi italiani di dare luminose pruove del loro sapere. La prima ebbe origine in Brescia nel 1462. S. Jacopo della Marca dell’Ordine de’ Minori, predicando nella detta città, aveva affermato che il sangue da Cristo sparso nella sua Passione era separato dalla Divinità, il che perciò non gli era dovuto il culto di latria. Questa proposizione parve saper d’eresia ad alcuni dell’Ordine de’ Predicatori, e fra gli altri all’inquisitore di Brescia f Jacopo de’ Pietri, il quale si fece a persuadere il detto predicatore a spie-, gar meglio, o a ritrattare ciò che avea asserito. Ma perchè questi era persuaso di aver sostenuta la verità, ne nacque una lunga contesa fra’ religiosi de’ due Ordini e fra altri teologi. il pontefice Pio II istruitone, volle che in sua presenza se ne disputasse, e molti teologi furono a tal fine trascelti. L’esito della controversia fa che ad amendue le parti impose Pio un rigoroso silenzio, e poscia ancora espressamente vietò che alla sentenza de’ Minori non si opponesse la taccia di eretica, o di rea. Or fra’ teologi clic ebber parte in questa sì solenne contesa, due soli nominerò io a questo luogo , perciocchè essi, per testimonianza dello stesso pontefice, il quale ne’ suoi Commentanj) ne ha inserito il racconto (l. 11), si segnalarono in tale occasione sopra gli altri, Domenico de’ [p. 438 modifica]438 unno Domenici)! vescovo di Tore elio, il quale benché prima sostenuto avesse il parere de’ Minori, erasi poi nondimeno piegato in favor degli avversarj; e Lorenzo Roverella vescovo di Ferrara , che difendeva l’opinione de’ Minori: praecipua vero contentio, dice il pontefice, inter duos Episcopos fuit, Dominicum de Dominicis Torcellanum , et Ferrariensern. • Torcelliuius, qui olim cum Minoribus senserat, mutato proposito , ad Praedicatores defecerat. Ferrariensis Minoribus astipulabatur , et summo conatu sententiam impugnabat Praedicatorum.

XXII. Di Domenico de’ Domenici)i ha già parlato con molta esattezza il P. degli Agostini (Scritt. venez. t. 1, p. 386, ec.), presso il quale si potran) leggere le più minute notizie intorno a questo dottissimo vescovo, comprovate con autentici monumenti. Io sarò pago di accennarne le cose più memorabili. Nato di ci vii famiglia in Venezia l’anno 1416, fu inviato agli studj nell’università di Padova, ove ottenne tal nome, che in età di soli diciannove anni fu destinato nella medesima a professore di logica. Passato poscia alla corte di Eugenio IV, sostenne ivi negli anni 1441 e 1442 due dispute teologiche, per le quali il pontefice ne concepì stima sì grande, che lo elesse decano nella collegiata di Cividal del Friuli. Deesi però qui emendare un leggier fallo del P. degli Agostini, che dice aver Domenico disputato in Roma; perciocchè ne’ due anni suddetti Eugenio IV non partì mai da Firenze, ove era adunato il general concilio. Ben fu egli per qualche tempo professor di teologia in Roma , come pruova [p. 439 modifica]SECONDO 4^9 lo stesso P. degli Agostini da un’orazione da lui ivi detta, e che conservasi nella Vaticana. A più alto onore fu Domenico sollevato da Niccolò V, il quale nell’anno 1448 il dichiarò vescovo di Torcello. Delle cose da lui in quel vescovado operate si può vedere il ch. senatore Flaminio Cornaro (Eccl. Torcell. t.1 ,p. 38). Callisto III, succeduto a Niccolò nel 1457 , il volle alla sua corte nella carica di referendario. Trovossi presente al concilio di Mantova con Pio II, nella (qual occasione ei difese con felice successo i diritti de’ vescovi contro i protonotarj apostolici, che pretendevan di precedere a’ primi. Adoperato poscia dallo stesso pontefice in rilevanti affari e nella disputa or or mentovata, fra le altre commissioni di cui egli fu onorato, vi ebbe quella di andar nuncio del papa alla corte di Federigo III, del re d’Ungheria, e d’altri principi per pacificarli tra loro, affine di unirne insieme le forze contro de’ Turchi. E a Domenico venne fatto di stabilir fra essi la pace, e insieme egli ottenne presso Federigo tal grazia, che questi cercò poscia ogni occasione di giovargli. Nè meno caro egli fu a Paolo II, da cui l’anno 1fu fatto suo vicario in Roma,* c poscia due mesi appresso trasferito al vescovado di Brescia, benchè per due anni ancora il tenesse a’ suoi fianchi*, talchè solo nel 1466 potè egli recarsi al governo della sua chiesa. Saggiamente la resse Domenico fino al 1478, in cui finì di vivere) ma le diverse commissioni di cui fu onorato, il costrinsero a starne spesso e per lungo tempo [p. 440 modifica]440 LIBRO *. lontano. La serie de’ vescovi bresciani, con esattezza e con erudizion singolare distesa dal dottissimo monsignor Giangirolamo Gradenigo arcivescovo di Udine, ci offre la narrazion delle cose da lui operate a vantaggio di quella chiesa, e gli onori e i privilegi che da Federigo III, eletto imperadore, le ottenne. Questi dichiarollo ancora suo ministro, e poscia principe dell’Impero e suo consigliero, e fece più volte istanza al pontefice Sisto IV, perchè arrolasse Domenico tra’ cardinali. Ma il papa o fosse perchè quegli avesse già sostenuta nella disputa intorno al sangue di Cristo opinion contraria alla sua, o qualunque altra ragion se n’avesse, non volle mai consentire alle istanze di Cesare. Nè lasciò perciò di onorare in altre maniere Domenico, cui fra le altre cose egli ancora dichiarò suo vicario in Roma. Nel qual impiego ottenne egli la stima e l’amor de’ Romani per modo, che lo ascrissero alla loro cittadinanza. Delle opere da lui composte ci ha dato un esattissimo catalogo il citato P. degli Agostini. Poche se ne hanno alle stampe, cioè un trattato da lui scritto intorno alla mentovata contesa del Sangue di Cristo, un altro non men dotto che diffuso trattato della Dignità vescovile, pubblicato per la prima volta in Roma nel 1757, la Prefazione a’ .Morali di S. Gregorio, stampati in Roma nel 1475 un breve trattato delle Cose necessarie a sapersi dagli Ecclesiastici, uno intorno alla creazione de’ Cardinali, di cui vi ha chi dubita che sia opera supposta a Domenico, e un altro, accennalo da monsignor Gradenigo, [p. 441 modifica]SECONDO 441 intorno alla Riforma della Curia romana. Assai più sono le opere che se ne conservano manoscritte in alcune biblioteche, e singolarmente in quella dei Canonici regolari di S. Salvadore in Bologna, delle quali pure ragiona minutaniente^! P. degli Agostini in scUantaselte articoli, quante sono le opere di Domenico, compresi parecchi sermoni in diverse occasioni da lui recitati. E certo egli era avuto in concetto di uno de’ più dotti uomini che allor vivessero. Ermolao Barbaro vescovo di Verona fra gli altri, dottissimo uomo egli pure, in una sua lettera scritta nel e pubblicata dal detto P. degli Agostini (l. cit, p. 437), dice di se medesimo che per la sperienza degli affari e per l’estension del sapere Domenico lo supera per tal modo, eli’ ei non può riguardarlo senza stupirne; così egli è uomo di maestoso sembiante, e d’animo ancor più grande, e che sembra superiore all’umano; prontissimo ad intendere e a favellar d’ogni cosa, talchè pare che egli abbia sempre disposto ciò che dir dee all’occasione, e di memoria così ferma e tenace, che non v’ha cosa detta da’ teologi, o da’ filosofi , ch’ei non abbia presente, e degno perciò, che da chi scrive la storia di quella età se ne faccia onorata menzione. XX1I1. Lorenzo Roverella, che fu l’avversario del Domenichi nella contesa intorno al Sangue di Cristo, e fratello del Cardinal Bartolommeo Roverella arcivescovo di Ravenna, fu, secondo il Borsetti (Hi st. Gymn. Ferrar, t. 2, p. 12) e più altri scrittori, di patria ferrarese. L’autor [p. 442 modifica]442 LIBRO però del Diario di quella città, pubblicato dal Muratori, lo dice Fiolo che fu di Zoane da Roigo (Script. Rer. ital. vol. 24, p 208). Lo stesso Borsetti afferma ch’ei fu professore prima in Ferrara, poi in Padova, e quindi in Parigi. E quanto a Padova, il Papadopoli (Hist. Gymn. patav. t. 1, p. 289) ed il Facciolati (Fasti Gymn.patav. pars 2, p. 108) afferman lo stesso, benchè con non picciolo anacronismo il Facciolati ne fissi l’epoca al 1476, mentre ciò non potè avvenire che molti anni prima, come dalle cose che or diremo, sarà manifesto. Il Papadopoli aggiugne, che avendo egli in Padova avuta qualche contesa con Gaetano Tiene, che ivi era pur professore, se ne partì, e recossi a Parigi. Non veggo qual pruova di ciò si arrechi; e della scuola da Lorenzo tenuta nelf università di Parigi non trovo indicio negli storici di essa. Anzi io dubito che l’unico argomento per asserirlo sia l’epitafio a lui fatto da Tito Strozzi poeta ferrarese, in cui si dice: Gallia te studiis florentem vicit, et omne Officium!!) grato praestitit obsequio. Carm, p. 147. Ma io rifletto che innanzi a questi versi ha lo Strozzi premessi questi altri, coi quali sembra indicarci eli’ ei fu in Francia non già per esservi professore, ma per trattare gli affari dal pontefice addossatigli: Romanus quascumque plagas te, Pastor, adire Jussit, ubique tibi dextera fama li ut. [p. 443 modifica]SECONDO 4 r* Si ngginngon poscia le altre provincie, alle quali Lorenzo era stato inviato nunzio da diversi pontefici: Te venerata ferox Germania: norat Iberus, Quid tibi colisi In justiliapque linei. Te duce i’unuuuu sjevos lì egere Bob» mal, Ibdlaque prò saucLa stilli libi gela fide. Fu dunque il Roverella non solo in Francia , ma in Allemagna ancora e in Ungheria e in Ispagna, ed ebbe parte nella guerra contro gli Ussiti. E abbiamo in fatti una lettera di Enea Silvio Piccolomini del 1455, in cui fa menzione della legazione al re d’Ungheria, che avea allora il pontefice affidata al Roverella ep. 205). Il Borsetti lo dice eletto vescovo di Ferrara nel 1460, e così pure ha l’Ughelli (Ital, sacra t. 2 in Episc. Ferrar.) Nondimeno nel sopraccitato Diario ferrarese ciò si assegna al 1462. Adì xxri 11. (di luglio) Messer Lorenzo di Rovere Ili... entrò in Ferrara, e tolse la tenuta del Vescovado di Ferrara, del quale pochi giorni innanzi era stato fatto Vescovo per Papa Pio, perche l. e suo Cubiculario, e quando lo arrivò suso la piazza per meggio la porta grande gli fu strazato il Baldacchino, sotto il quale lui era, et era di cendale rosso, da più persone (d’allegrezza , e tolto gliJu il Cavallo. Fi resse quella chiesa fino al in cui cessò di vivere. Il Papadopoli e il Borsetti gli attribuiscono alcune opere filosofiche, ma senza dirci ov’esse conserv insi. L’esser però egli stato trascelto a disputare nella mentovata contesa teologica , del che i detti scrittori non fanno motto; ci [p. 444 modifica]444 LIBRO mostra ch’egli era celebre singolarmente negli studj teologici, e perciò dovea farsene a questa luogo menzione (a). altra questione fu intorno a’ Monti di pietà , circa questo tempo medesimo istituiti dal 13. Bernardino da Feltie dell' Online de Minori. Benché Paolo li e Sisto IV c po(rr) 11 sig. abate Marino ci ha d ite assai più esatte notizie del Roverella (Degli Archiatri ponti fidi, /. t, P- ’ ò. pc. i t. 2, p. 339), tratto da’ documenti dell’archivio Vaticano e altronde. Nel 1443 fu laureato in medicina nella università di Padova, ne’ cui Atti è detto, come nel Diario ferrarese, Laurertius Roverella fil. D). Joannis de Rhodigio (e fin dal 1440 avea ivi avuta quella delle arti, come dagli Atti di essa raccogliesi). Nel i | cominciò ad essere impiegato in onorevoli commissioni da Eugenio IV , alla cui corte era stato introdotto probabilmente da Bartolommeo suo fratello , il quale in quell’anno medesimo dal vescovado di Adria era stato promosso all’arcivescovado di Ravenna. Sulla fine dell’anno medesimo sembra che passasse a Parigi, e che ivi si applicasse singolarmente a’ teologici studj. Quindi non pare abbastanza fondato ciò che della cattedra di medicina, da lui sostenuta in Ferrara e in Padova, narrano alcuni scrittori; e al più ci potè esserne professore nel breve intervallo di due anni che corse tra ’l 1443 e ’l 1445..Molto minor fondamento si ha ad affermare chr ei l’insegnasse in Parigi , dove sembra che solo attendesse alla teologia. Di fatto Callisto III, inviandolo nunzio al re di Ungheria, lo dice professore di sacra teologia e suddiacono apostolico. Al vescovado di Ferrara ei fu eletto a’ 25 di marzo del 1460. Ebbe più onorevoli impieghi, e fu legato in Boemia, in Germania e in Ungheria. e finalmente al 1 di febbrajo del 14-74- à1 Sisto IV nominato governator di Perugia. Ma in quell’anno stesso (e non nel 1476) tra i (13 di marzo e gli 11 di luglio finì di vivere. [p. 445 modifica]SECONDO 4j5 scia Innocenzo Vili co’ loro Brevi gli avessero autorizzati e lodati, alcuni teologi però e alcuni canonisti erano di parere eh1 essi fossero illeciti, e che involgessero usura. Quindi dispute e scritti dall’una parte c dall1 altra. E una raccolta di questi uscì alle stampe in Cremona nel 1496- In essa si legge primieramente un opuscolo, in difesa de’ detti monti, del famoso Giovanni Nanni, ossia Annio da Viterbo domenicano , di cui direm tra gli storici. Sieguon poscia i pareri di più altri teologi, come di Domenico da Imola domenicano vescovo di Lidda, di Graziano da Brescia dell’Ordine de’ Minori, del celebre Batista mantovano carmelitano , di F. Gomez di Lisbona dell’Ordine de’ Minori, del collegio de’ teologi di Perugia e di Padova, e di Giovanni Campeggi giureconsulto, e per ultimo due Brevi il1 Innocenzo Vili a favor de’ medesimi monti. A questi monumenti favorevoli a’ monti di pietà si aggiugne un trattato di Ni e col a Bariani agostiniano e piacentino di patria contro di essi, in cui con molto calore e con qualche ingiuria contro de’ suoi avversarj si sforza di dimostrargli illeciti. E al fin di esso accenna ancora un dialogo che sullo stesso argomento avea egli scritto contro Antonio Corsetti giureconsulto , e che si ha pure alle stampe. Di questo religioso, che dagli Agostiniani conventuali passò agli Osservanti, si posson vedere altre notizie presso il conte Mazzucchelli (Scritt. ital 1. 2 , par. 1 yp. 35 7 , ec.), il quale ne annovera alcune altre opere, e quella singolarmente di’ ei pubblicò per la contesa di precedenza [p. 446 modifica]440 li uno tra ’I suo Online e quel de1 Minori. In questa ei trionfò dei suoi avversarj!. Ma in (quella dei monti di pietà non fu ugualmente felice, essendo essi stati confermati di nuovo da Leon X. nel 1515.

XXV. Tutti i teologi , de’ quali abbiamo finor parlato, o quelli almeno di cui ci rimangon le opere, benchè uomini di profonda dottrina , usarono nondimeno ne’ loro libri di quello stile inculto e privo di ogni ornamento che proprio era stato fino a que’ tempi di tutti i teologi e i filosofi scolastici. Il primo scrittor teologo che ardisse d’introdurre ne1 profondi misteri della Religione I eleganza degli antichi scrittori, e di rivestire in più leggiadra maniera quelle stesse materie che finallora erano state involte fra gli orrori della barbarie, fu Paolo Cortese, di cui si ha una breve Vita premessa al Dialogo intorno agli Uomini dotti, da lui composto, e stampato per la prima volta l’anno 1734 in Firenze. In essa si dice eli’ egli era della nobil famiglia de’ Cortesi di S. Gemigniano castello della Toscana; e se ne adducono due indubitabili pruove in due passi, uno dell’opera intorno al Cardinalato da lui composta, in cui chiama suo municipe (l. 2) Cherubino Quarquaglio, l’altro del suddetto Dialogo, in cui dà il medesimo nome ad Antonio Lollio (p. 53), natii amendue dello stesso castello. Ciò non ostante io credo che si possa affermar con certezza che egli era oriondo di Modena, e del medesimo ceppo da cui è discesa l’antica e nobil famiglia de’ marchesi Cortesi di questa città. Non entrerò io qui in [p. 447 modifica]SECONDO 447 pruove genealogiche troppo lontane dal mio argomento, le quali però io ho , vedute con molta erudizione distese in un suo ragionamento da questo ch. sig. marchese Giambattista Cortese, a provare che il ramo de’ Cortesi di S. Gemignano discende da Obizo Cortese da Montegarullo, il qual certamente fu modenese , e verso il fine del xiv secolo fu condotto a generale delle lor truppe da’ Fiorentini (Sozomen, Pistor. Hist ad an. 1373 , Script Rer. ital. vol. 16, p. 1092). Ma lasciando, come ho detto, in disparte tai pruove, è certo che il celebre Cardinal Gregorio Cortese monaco casinese, di cui diremo nel tomo seguente , fu modenese di patria. Or questi chiaramente afferma di esser della stessa famiglia di Paolo, perciocchè all’opera teologica da questo composta , quegli ha premessa una sola oda in cui, essendo egli allora ancor secolare, non si chiama Gregorio , ma Giannandrea. Joannis Andre ac Cortesii Mutinensis... ode. In essa, dopo aver dette più cose in lode di Paolo, così conchiude: Quid tibi Pontifex Adjunxit? Meritis forte superbiam Sumet. Si renuit mitis et integer, Nos ex Cortesia gente resumimus. Colle quali parole sembra che voglia dire che se Paolo per la singolar sua modestia ricusa gli onori dal pontefice destinatigli, il poeta e gli altri della famiglia Cortese prenderanno per loro stessi la gloria ad esso dovuta. Gregorio dunque riconosce Paolo per suo parente. [p. 448 modifica]/ LIBRO Ma più aurora. Lo stosso Paolo si riconosce della famiglia medesima di Gregorio. Perciocché nell altra sua opera del Cardinalato nomina (l. 3, c. de PivteiL Religios.) Iguati uni Lupum et Gregorium Cortesium gentilem meum homines ingenio et doctrina praestantes. Finalmente Cristoforo Longolio, in una lettera greca scritta allo stesso Gregorio, che è Ira le latine di questo dottissimo cardinale, gli dice: Accedit consanguinei tui Pauli imitatio (t. 2, p. 235 ed Patav. 1774)* Sembra adunque che non rimanga più luogo alcuno a dubitare che Paolo, benchè nato da un ramo stabilitosi in S. Gimignano, ove dalla famiglia Cortese era stato innalzato un castello che da essa diceasi Cortesiano, non fosse però dello stesso ceppo dei Cortesi di Modena, e eli’ ei perciò non debba a giusta ragione annoverarsi tra’ Modenesi.

XXVI. Il padre di Paolo fu Antonio Cortese, il quale da S. Gimignano passato a Roma, fu onorevolmente impiegato nella segreteria pontificia, come narra, formandone un bell’elogio, il suddetto Paolo (De Homin. doctis p. 47) che fa in tal modo parlare uno de’ suoi interlocutori: Optime facis , Paule, quod Urbi Romae justissimas refers gratias, in qua praesertim Antonius Cortesius Pater tuus magnam sit nominis celebritatem consequutus. Fuit enim ille vir cum Princeps Collegii Duodecim ei rum, tum in illis literis scribendis expeditus et facilis , quae quamquam inquinatae sint, ita tamen in his excelluit, ut appareret ejus naturale, quoddam bonum depravatum esse vitio corrupte [p. 449 modifica]SECONDO 449 loquendi. E altrove dice che già da ottanta anni era la sua famiglia passata a Roma , e annovera le dignità di cui suo padre e i suoi fratelli avean goduto: Nam cum octogesimum jam prope anni un familia Cortesia Urbem magna nominis celebritate colat, cumque in ea diu Antonius Cortesius Pater meus Duodecim virum compendiariorum princeps, et fratres a Diplomatibus Centumviri ac Libellionum triumviri summa opiun in genii que laude praestiterint,, ec. (praef. ad Lib. de Cardin.). Lo scrittor della Vita di Paolo attribuisce ad Antonio certe Istituzioni morali, delle quali non ho alcuna notizia. Ma ben posso aggiugnere che, oltre esse, scrisse Antonio un elegante trattato contro il libro sulla donazione di Costantino di Lorenzo Valla, eh* ei perciò intitolò Antivalla, e di cui ho veduta copia presso il sopralodato marchese Giambattista Cortese. Da Antonio dunque e da una Aldobrandina nacque Paolo in Roma P anno 1465 , ed ebbe due fratelli, Alessandro, di cui diremo tra’ poeti latini, e Lattanzio, che dal re di Napoli Alfonso II fu fatto cavaliere pe’ servigi prestatigli in guerra (P. Cortes, de Cardin. l. 2, p. 63 vers.), e di cui Paolo rammenta una Parafrasi de’ Comentarj di Cesare (de Cardin. l. 2 y p. 95) , ch’io non credo uscita alla luce, e a cui il Coppi Cron. di S. (Gimign.) dà per moglie Maddalena de’ Medici. Gli esempj di tal padre e di

tali fratelli eccitarono in Paolo un uguale ardor

per gli studj. Egli stesso rammenta che, essendo quasi ancora fanciullo , da Alessandro Tiraboschi, Voi. VII. 29 [p. 450 modifica]45o LIBRO suo fratello veniva spesso condotto a’ personaggi di Roma più ragguardevoli per dignità e per sapere de Cardin. l. 3, p 190), tra’ quali nomina singolarmente il Platina (De Ha min. doct. p. 44) » cui dice ch’egli considerava allora come il più dotto uomo che in Roma vivesse. Noi il veggiamo infatti in età ancor giovanile unito in amicizia con alcuni dei più famosi scrittori di quell’età, e fra gli altri col celebre Giovanni Pico della Mirandola Pici Epist. p. 365), con Lucio Fa/.ini Maflei, detto comunente Lucio Fosforo di Segni, e con Angiolo Poliziano, dei quali due scrittori l’autor della Vita di Paolo, che credesi il sig. Domenico Maria Manni, ha pubblicate due lettere a lui scritte (p. 13, 14) piene di elogi del Dialogo da lui composto intorno agli Uomini dotti, di cui sarà d1 altro luogo il ragionare più a lungo. Altre sessanta lettere di personaggi a que’ tempi per dignità e per sapere cospicui, scritte a Paolo, conserva presso di sè manoscritte il chiarissimo sig. canonico Bandini , il quale ha pubblicato un Salvacondotto dai Sanesi a lui conceduto nel 1496 , e una lettera a lui scritta dalla Repubblica fiorentina nel 1507) e questi due monumenti ci mostrano che Paolo era uomo di alto affare, ed avuto in somma stima e rispetto da que’ magistrati (Novelle letter. 1771 , n.8). Tra le lettere del Poliziano una ne abbiamo assai lunga del nostro Paolo in risposta ad un’altra del Poliziano (l. 8, ep. i(3, 17). Avea questi udito che Paolo a chi brama di scrivere latinamente con eleganza, [p. 451 modifica]SECONDO 4^1 altro esemplare non proponeva fuorchè Cicerone , e che credeva doversi solo cercare di rendersi conforme a sì eccellente modello. Il Poliziano pensando che Paolo volesse con ciò persuadere una servile imitazione di Cicerone, si fa a confutarlo, provando che non conviene rendersi schiavo di alcuno, e che ognuno dee secondare la sua stessa natura. Ma nell' atto stesso di confutarlo mostra quale stima avesse di Paolo, dicendogli fra le altre cose: Paule, quem penitus amo, cui multum debeo, cujus ingenio plurimum tribuo. Non era questo però il sentimento di Paolo, ed egli spiega a lungo qual sia su ciò la sua opinione, cioè che deesi bensì cercare di imitare il più perfetto modello di latina eloquenza, quale è per consenso di tutti i dotti Marco Tullio , ma non già , dice egli, come una scimmia contraffà i movimenti dell’uomo, ma come un figlio ritrae in se stesso i lineamenti del padre. Bellissima è questa lettera , e io non posso approvare il parer del Menckenio (Vita Politian. p. 197, ec.) che la stima molto inferiore a quella del Poliziano. Io ne recherò qui sol poche linee per saggio dell’eleganza con cui egli scrive , che non è certo punto minore di quella del suo avversario: Sed veniam ad illud, in quo te dicis a me quam maxime dissentire• Scribis enim, te accepisse, me neminem probare, nisi qui lineamenta Ciceronis consectari videatur. Ego vero , quantum repetere memoria possum, nec istud recordor umquam dixisse, nec dictum volo. Quae enim stultitia esset, cum tam varia sint hominum ingenia, tam multiplices naturae - tam diversae [p. 452 modifica]unno inter se voluntates, eas velle unius ingenii (angustiis astringi et tamquam praefiniri, ec.? Già abbiam parlato della letteraria adunanza el11 ei raccoglieva si in casa, ove dovea ancor coltivarsi la poesia italiana, perciocchè nella raccolta intitolata Opera Nuova di T’incenzo (ah ne fa, ec., stampata in Venezia nel 15o 7, abbiamo qualche componimento del nostro Paolo.

XXVII. Ma noi dobbiamo qui considerarne principalmente gli studj teologici. I quattro libri delle Sentenze, di cui abbiamo più edizioni , sono un bel monumento di quanto in tal genere di dottrina valesse Paolo. Essi non sono già , come credesi comunemente, un comento sul Maestro delle Sentenze, ma un compendio di teologia diviso in quattro libri, in cui tutti brevemente epiloga i dogmi della cattolica Religione , propone ed esamina le diverse opinioni de’ teologi e dei Padri, ed or decide qual più gli piaccia e perchè, or ne lascia la decisione all’arbitrio dei leggitori. Opera che poco sa di scolastico, e in cui non si fa uso di sillogismi, di obbiezioni, di repliche; ma si propone semplicemente e si esamina l’argomento, e si congiunge insieme l’autorità e la ragione senza involgerla nella barbarie usata finallor nelle scuole, anzi con esporla colla maggior eleganza di stile che a que’ tempi adoperar si potesse, e che è compatibile colla sublimità e colf oscurità de’ misteri. Quindi Beato Renano, uno dei ristoratori della letteratura nell’ Àllemagna, nella prefazione premessa alla edizione dell’opera del Cortese, fatta in Basilea nel lo.fo, [p. 453 modifica]SECONDO 453 forma di lui questo onorevole elogio: Strenna.ni operaia dcdit, ut Theologiam a foeda barbarie ad.sereret, eiairujue ostenderet, qua subsidua Theo lo gironi ni librorum su pelle jc ornnis expoli ri possit, quod plurimi hactenus impossibile rati j illud jam falso opinari desinent, cum hoc opus vel semel introspexerint Ei dedicò (questa sua opera al pontef Giulio II, allora eletto di fresco, come si trae dalla prefazione dei primo libro. Al fine di esso dice che stava allora scrivendo intorno alla podestà del pontefice,- ma convien dire eli’ ei non avesse tempo a compiere questo trattato. Io non trovo parimente chi faccia menzione di un’altra opera che il Cave gli attribuisce (De Script, eccl.) , stampata in Basilea e intitolata: De Sacrarum Literarum omniumque disciplinarum scientia; e dubito che in ciò abbia egli preso qualche equivoco. Un picciol romanzo scritto in latino, e intitolato Historia Hyppoliti et Dejanirae, se ne conservava in un codice a penna presso il canonico Salvino Salvini. Ma assai più pregevole è f opera de Cardinalati 1, che non finì di stamparsi che poichè egli fu morto , e a cui pose l’ultima mano Lattanzio di lui fratello. In questa ei tratta ampiamente delle virtù che debbon esser proprie de’ cardinali, del sapere che in essi richiedesi, delle loro rendite, de’ lor diritti, e di tutto ciò in somma che ad essi in qualche modo appartiene: e all’eleganza dello stile si vede in essa ancora congiunta una non ordinaria erudizione. Niiui’ altra edizione 11’ è stala fatta, ed ella perciò è rarissima , e io reputo mia ventura 1’averne [p. 454 modifica]LIBRO veduta copia presso il sopralodato marchese Giambattista Cortese (a). Negli ultimi tre anni di sua vita erasi egli ritirato in Toscana al suo castello Cortesiano, ed ivi, per la fama sparsa del sapere di Paolo, era di continuo visitato da più dotti e da’ più ragguardevoli personaggi di tutta l’Italia come , com’egli stesso racconta (de Cardin. l. 3, p. 229), e se crediamo al Coppi, vi si recaron tra gli altri Ercole duca di Ferrara , Guidubaldo duca d’Urbino , Alessandro Farnese, che fu poi Paolo III, e il cardiual Francesco Soderini. Rafaello Volterrano, nella dedica delf opera del Cardinalato a Giulio II? parla in generale de’ molti uomini dotti che colà reca valisi , e dice che ivi ognun trattenevasi a suo piacere, o leggendo i libri della biblioteca di Paolo, o passando le ore in eruditi ragionamenti; loda insieme la diligenza , lo studio e la modestia di Paolo, che non pago di coltri are continuamente le scienze, le promoveva con sommo impegno negli altri, facendo elogi alle loro fatiche non altrimenti che se fosser sue proprie. Colà egli condusse Simone Nardi stampatore sanese, e ivi fece stampare l’opera mentovata poc1 anzi; ma prima di vederla condotta a fine, morì in età di soli quarantacinque anni fanno 15io. L1 autor della Vita, sull’autorità del Coppi, dice eh1 ei fa (/7) Questa ducal biblioteca ha ora copia dell1 opera di Paolo Cortese qui indicata, per dono di uno che avendola tra1 suoi libri. me la trasmise, acciocché in essa la collocassi, giudicando che più le convenisse una pubblica che una privata biblioteca; ma obbligoniini insieme a non pubblicare chi fosse il benefico donatore. [p. 455 modifica]SECONDO • eletto vescovo d1 Urbino. Ma essi hanno a questo luogo confuso il nostro Paolo con Gregorio che fu veramente vescovo della suddetta città. Più probabile è ciò eh1 essi aggiungono che, s’egli avesse avuta più lunga vita, sarebbe stato annoverato tra’ cardinali. Le sole dignità però, alle quali Paolo fu sollevato, furono quelle di segretario apostolico e di protonotario del numero de’ partecipanti. Io lascio di riferir gli epitafi, de’ (quali ne fu onorato il sepolcro, ed altri elogi rendutigli da parecchi scrittori di quei tempi , che si possan vedere raccolti dall’autor della Vita più volte da me mentovata, a’ quali si può aggiugnere la prefazione da Severo piacentino, monaco cisterciense e amicissimo del nostro Paolo, premessa all1 opera del Cardinalato, e una lettera di Vincenzo Mainardi da S. Gimignano dell1 Ordine de1 Predicatori , che pur le va innanzi, e che sono amendue piene di grandi elogi di questo dotto scrittore.

XXVIII. Sembra che i teologici studj sien proprj di color solamente che per professione si son consecrati alla Chiesa. Questo secolo nondimeno vide anche un patrizio veneto, adoperato in gravissimi affari della repubblica, coltivarli con grande ardore, e darne illustri pruove. Parlo di Paolo Morosini, di cui ha trattato colf ordinaria sua esattezza il P. degli Agostini (Scritt. venez. t. 2, p. 179). Era egli figlio del senator Egidio ossia Zilio Morosini , e il suddetto scrittore ne fissa la nascita circa il 1 piti. Fu allievo dell1 università di Padova, ma non curossi di riportarne Y onor della laurea. Da [p. 456 modifica]456 LIBRO Amia di Giovanili Faliero ebbe più figli, e Fu sollevato a ragguardevoli cariche nella repubblica. Lo stesso P. degli Agostini annovera le diverse occasioni in cui Paolo fu incaricato di gravi affari: mandato nell’Istria l'anno 1451 a trattar con Cesare de’ confini; l’anno seguente a Rodi a ottenere dal gran Maestro la liberazione di Fantino Querini generale dell’armi di quella Religione, per delitti appostigli chiuso in carcere; l'anno 1459 a Borso d’Este per quistion di confini; nel 1464 a Casimiro re di Polonia e a Giorgio re di Boemia per la guerra sacra; e pel medesimo line fanno » 471 a Ferdinando re di Napoli, e poscia al pontefice Sisto IV. A queste tante e sì diverse ambasciate aggiungansi altri pubblici impieghi da lui sostenuti ne’ governi di varie città dello Stato, e ne’ magistrati della repubblica fino al terminar de’ suoi giorni, il che avvenne circa il 1482, e non si potrà a meno di non istupire che un tal uomo pensasse a scrivere latinamente contro gli Ebrei. Tale è l’opera che di lui abbiamo stampata in Padova nel 147^ e cbe è intitolata: De aeterna temporalique Christi generazione in Judaicae impugnationem perfidiae , Christianaeque Religionis gloriam diei ni s enunciatìonibus comprobata; opera lodata assai da molti a que’ tempi, e singolarmente dal Cardinal Bessarione, come pruova il P. degli Agostini, che adduce ancora le testimonianze di altri scrittori ad essa molto onorevoli. A lui ancora si dovette in gran parte, come altrove abbiamo accennato, il dono fatto dal suddetto cardinale de’ suoi libri a quella repubblica. Alcune altre operette inedite [p. 457 modifica]SECONDO 4^7 se ne rammentano scritte a difesa della repubblica , o per affari della medesima, delle quali parla ancora il ch. Foscarini (Stor. della. Letter. venez. p. 290, 325), il quale rammenta (ib. p. 342) innoltre un’opera inedita di Lauro Querini contro gli stessi Ebrei, e quella stampata in Vicenza l'anno 1489 e poscia altrove, di Pietro Bruto veneziano esso pure, e vescovo di Croja nell’Epiro e poi di Cattaro, e assai dotto in ebraico, intitolata: Victoria contro. Jiulaeos (*). Del Querini parleremo più a lungo, ove tratterem de’' filosofi. Del Bruto si posson veder più notizie presso il co. Mazzucchelli (Scritt ital. t. 2, par. 4» p• 256), poichè io mi affretto ad uscire da questa materia, che non è forse la più dilettevole pe’ miei lettori. Per questa ragion medesima lascio in disparte gli autori che scrissero o a difendere, o ad oppugnare l’immacolata concezione della Madre di Dio j nella qual contesa, come la pietà d1 alenili tra’ difensori li condusse talvolta a non usare della dovuta cautela , così il zelo di alcuni tra gli oppugnatori fece loro passare i confini di una saggia moderazione. Fra’ quali O L’Opera dal Bruto pubblicata contro gli Fbiei diede occa-ioue ad un* altra dello stesso argomento scritta da Fino Fini ferrarese , e intitolala in Judaeos ex Sjcris Scriptum’* excerptum. L’autore , eli' era di professione notaio, fiorì nel secolo xv, e fu scolaro di Guano veronese -, ma visse fin al 1^19. in rui mori in età di ottantasetle anni; e l’opera non fu stampata che venti anni appresso. Di essa, e dell’autore più minute notizie si posson vedere presso il eli. dott. lunotti (Meni. de: Letter. ferr. t. 1 ) p. 101 , ec.). [p. 458 modifica]458 LIBRO fu certamente il più trasportato Vincenzo Bandelli natìo di Castelnuovo nel Tortonese, e generale dell’Ordine de’ Predicatori dal 1501 fino al 1506 in cui finì di vivere, uomo per altro di grande ingegno e di vastissima erudizione, ma che nel combattere 1’opinione, clic ora è tra’ Cattolici la più comune, secondò troppo il suo ardore, e tacciò come ignoranti, empj ed eretici i suoi avversarj, prima però che Sisto IV colla sua bolla dell’anno i.(83 nc facesse espresso divieto. Quindi saggiamente il co. Mazzncelielli, » dopo aver dato ragguaglio della vita e delle opere di questo scrittore, conchiude che se il Bandello per avventura ora vivesse, muterebbe modo di scrivere, e fors’anche sentimento (ib. par. 1, p. 208). XX1\. La teologia morale ebbe parimente in Italia non pochi coltivatori nel corso di questo secolo. Io non annojerò chi legge con parlar loro della Somma angelica di F. Angelo da Civasso dell’Ordine de’ Minori, stampata nel 1.^86 e poscia più altre volte; della Somma pacifica di F. Pacifico di Novara, e di altre cotali opere che or si giacciono polverose negli angoli delle biblioteche. Di un solo non si può omettere di far menzione, perchè fu uno de’ più dotti uomini della sua età, e la Somma da lui composta si può rimirare come il primo intero corso di teologia morale, che sia stato pubblicato , cioè S. Antonino arcivescovo di Firenze; del quale però io parlerò in breve, perchè le notizie che lo concernono, sono state ampiamente raccolte da Francesco da Castiglione teologo fiorentino e suo famigliare, che ne scrisse la [p. 459 modifica]SECONDO 4^9 Vila premessa all’edizion della Somma fatta in Verona nel 1740 e prima ancora più,volte stampata; indi da’ continuatori degli Atti de’ Santi Acta SS. maii t. 1); da’ PP. Quetif ed Echard Script. Ord. Praed t. 1, p. 8175 t. 2, p. 8:t3), c da altri scrittori citati dal co. Mazzucchelli (l. cit. t. 1, par. 2, p. 8ti~) (a). Egli era figlio di Niccolò di Pierozzo notaio e cittadin fiorentino) ed entrò giovinetto di sedici anni nell’Ordine de’ Predicatori, circa il 1405. La santità de’ costumi, il vivace ingegno, l’indefesso suo studio il sollevarono ad onorevoli cariche nella sua religione, e fu ancora un de’ teologi che intervennero al concilio fiorentino. L’anno 1445 il pontefice Eugenio IV lo nominò arcivescovo di Firenze, ed egli a grande stento finalmente s’indusse ad accettare la profertagli dignità. Intorno a che è degna d’esser veduta una lettera che gli scrisse Girolamo Agliotti abate benedettino, pubblicata già da Apostolo Zeno (Giornal. t. 13) Diss. voss. t. 1, p. 238) e poscia inserita tra quelle del medesimo abate (l.2, ep. 54). Ei resse quella chiesa per tredici anni, e le fece raccogliere copiosi frutti dell’ardente suo zelo e delle virtù ammirabili (d’ogni maniera che in lui si scorgevano. Morì ai 2 di maggio del 1459), e nel 1523 fu annoverato tra’ Santi. Le molte edizioni che della Somma teologica di questo santo arcivescovo si sono (a) Fna nuova Vila di S. Antonino ha pubblicata in Firenze nel 1782 il 1*. Guglielmo Hartoli domenicano, aggiuntavi un’àpologìà del celebre F. Girolamo Savonarola. [p. 460 modifica]46o LIBRO fulte, delle quali due ne abbiamo avute in questo secolo stesso, ci pruovan la stima di cui essa sempre ha goduto, benchè pure vi sieno alcune opinioni che i teologi posteriori, scorti da miglior lume, han lasciato di sostenere. Di altre opererette di somigliante argomento, che hanno per autore S. Antonino, si posson vedere i mentovati scrittori. Della sua Cronaca ci riserbiamo a parlare in luogo più opportuno. XXV Gli studj biblici ancora non furon trascurati , e abbiamo non pochi spositori di alcuni de’ libri sacri; ma non vi è tra essi chi sia degno di special ricordanza, se pur non si vuole el11 io parli di quel Giovanni Marchesini reggiano dell’Ordine de’ Minori, autor di un libro in cui s’insegna a pronunciar giustamente le parole della sacra Scrittura e del Breviario , e a cui egli diede il poco felice titolo di Mammotrectus («) e autore ancora di qualche altra operetta di poco valore (V. Wading. Bibl. Minor; Oudin de Script, eccl. t. 3, p. 2562; Fabric. Bibl. med. et inf. Latin. t. 5, p. 22); ovver di quell’Antonio Rampelogo o Rampegolo genovese dell’Ordine di S. Agostino, autore di un’opera intitolata or Aurea Biblia, or Figurae Bibliorum, or Repertorium Biblicum di cui più edizioni si fecero nel secolo xv e nel seguente, per l’uso di cui era a’ predicatori di que’ tempi, insegnando loro come volgere al senso morale i fatti della sacra Scrit(a) Del Marchesini e del Mammotretto si è parlato più stesamente nella Biblioteca modenese (t. 3,p. 150, ec. t. 6, p. 135). [p. 461 modifica]SECONDO 46. tura; opera nondimeno da non aversi in gran pregio, e pe’ molti errori di cui è guasta, annoverata già da Clemente VIII fra’ libri proibiti, finchè non venga corretta, il che fu poscia eseguito nel 1628. L’autor però dovea esser teologo di molto grido, se è vero ciò che affermano alcuni recenti scrittori, ch’ei fosse destinato a intervenire al concilio di Costanza (V. Oudin. l. cit. p. 2310; Possevin. Appar. Sacr. t. 1 j p. 104; Fabric. l. cit. t. 1, p. 130). Pietro Rossi sanese, uomo versato prima negli studj filosofici e medici, rivoltosi poi ai sacri, e istruitosi nella lingua ebraica, scrisse ampj comenti su’ libri biblici e su molti de’ SS. Padri verso la metà di questo secolo, di cui però nulla, ch’io sappia, si ha alle stampe. Un bell’elogio delle virtù e del sapere di Pietro si ha nella prefazione del sig. Uberto Benvoglienti alle Cronache sanesi (Script. rer. ital. vol. 15, p. 8,ec.). Più distinta menzione si dee a Niccolò Malermi o Malerbi, di patria veneziano, monaco camaldolese, che fu il primo a darci la sacra Scrittura interamente tradotta in lingua italiana. Vivea egli nel monastero di S Michele in Murano, e i dottissimi Annalisti camaldolesi ne han trovata memoria in una carta di quel monastero del 1470, in cui egli è nominato natus quodam spectabilis et gì1 nero si viri domini Philippi de Malerbis de Ferie tiis (si un. camald. t. 7, p. 286, ec.). Da altri monumenti provano gli stessi scrittori eli’ ei fu poscia abate del monastero di S. Michele di Lemmo, che l'anno 1480 era nel monastero di Classe presso Ravenna, e che nel seguente trovivasi [p. 462 modifica]4^2 LIBRO di nuovo ili Murano, avendo allora cinquantanove anni di età e undici di Religione, il che ci mostra eh’ ci non era entrato in quell’Ordine che in età di quarantott’anni circa il 14'o. Or questi vedendo, come dice egli stesso nella prefazione premessa alla sua versione, che erano bensì state recate in lingua italiana, benchè poco esattamente, alcune parti della sacra Scrittura , ma che non aveasene alle stampe una compita versione, si accinse a questo lavoro, e in otto mesi l’ebbe compito. Esso si finì di stampare in Venezia al primo d’agosto «lei i 471, in due gran tomi in foglio , e molte edizioni se ne fecer poscia così nel corso di questo secolo di cui scriviamo, come ancor del seguente (V. Paitoni Bibl. degli Aut. Ant volgarizz. t. 5, p. 1, ec.). Monsignor Fontanini ha voluto muover qualche dubbio (Bibl. ital.p. 670) se questa traduzione sia veramente del Malerbi) ma Apostolo Zeno (Note al Fontan. t. 2, p. 422) e il P. Anselmo Costadoni camaldolese (Lettera critica intorno a certi Scrittori camald. p. 8) han confutate ad evidenza le troppo frivole ragioni da lui recate, e hanno, fra le altre cose, addotta la testimonianza di Girolamo Squarciafico, che nella prefazione da lui premessa all’edizione della Biblia del Malerbi, fatta nel 1 j~7, attesta d’avergli egli stesso in quella traduzione recato aiuto. Egli è vero che qualche altra più antica versione se ne conserva in alcuni codici manoscritti, ma diversa da quella del Monaco camaldolese, come pur diversa, almeno per riguardo al Testamento vecchio, è un’altra traduzione che fu stampata in quell1 anno stesso, [p. 463 modifica]SECONDO 4()3 in cui fu fatta la prima edizione, e sol due mesi più tardi, senza data di luogo, e senza nome di stampatore. È vero ancora che rozza e poco felice è la traduzion del Malerbi; ma di ciò non è a stupire in un tempo in cui la lingua italiana era assai trascurata. Le molte edizioni però, che nel corso di non molti anni ne furono fatte, ci mostrano clic ella fu avuta allora in gran pregio. Intorno alle quali cose si veggano i sopraccitati scrittori che ne ragionano più ampiamente, e rigettano ancora l’errore di chi ha affermato che F. Jacopo di Voragine ossia da Varaggio, di cui abbiamo altrove parlato, avesse fin dal secolo XIII composta una traduzion somigliante.

XXXI. Il ragionar del Malerbi ci conduce naturalmente agli scrittori di storia ecclesiastica, perciocchè in questo argomento ancora egli esercitò la sua diligenza e ’l suo stile. Lascio la Cronaca inedita, e forse ancora perduta, del monastero di S. Mattia di Murano, che si accenna dal ch. Foscarini (Letterat. venez. p. 170), ma di cui non dicon parola gli Annalisti camaldolesi. Questi invece rammentano (l. cit) la traduzione delle Vite de’ Santi, ch’ei pubblicò in Venezia nell’anno 1475 colle stampe di Niccolò Jenson (a) , c di queste parla ancora il Foscarini, che aveane un bell1 esemplare in pergamena (l. cit. p. 357). Ma egli non si ristrinse (n) L’originale che il Malerbi prese comunemente a tradurre, fu quello di Jacopo da Voragine, da noi rammentato nel tomo IV. Alcune Vite però furon da lui ricavate da quelle di Pier de’ Natali. [p. 464 modifica]4f.( LIBRO entro i confini di tradurre, e alle Vite ch’ei recò in lingua italiana, ne aggiunse parecchie da lui medesimo scritte, come quelle di S. Parisio, di Santa Caterina da Siena, e di S. Niccolò da Tolentino, di S. Lorenzo Giustiniano, e alcune cose attenenti al culto de’ Santi venerati in Venezia. Nello stesso argomento si esercitò , non già come semplice traduttore, ma come laborioso compilatore, Antonio Agli fiorentino, uomo assai dotto a que’ tempi, e amico singolarmente, come dalle lettere lor si raccoglie, di Girolamo Agliotti (l. 6, ep. (65), di Marsiglio Ficino (ejusd. ()Op. p. 660,729) e del cardinale Jacopo degli Ammanati (ep. 14, 20, 325). Egli ebbe l’onore di aver a suo scolaro il Cardinal Pietro Barbo, nipote di Eugenio IV e poi papa egli stesso col nome di Paolo II, da cui, dopo altre dignità ecclesiastiche da lui sostenute, fu fatto nel 1466 vescovo di Fiesole, e poi di Volterra nel 1470: ^ ultimo vescovado tenne fino alla morte , cioè fino al 1477. Di lui e di alcune opere da esso composte, niuna delle quali si ha alle stampe, parla il co. Mazzuchelli (Scritt. ital. t. 1, par. 1, p. 185, ec.), che cita ancora altri scrittori i quali ragionano di questo dotto prelato. Io ne accennerò solamente le Vite de’ Santi, ch’egli avea già cominciate essendo semplice prete in Firenze, ma atterrito dalla difficoltà dell’impresa , avea interrotto il lavoro, finchè il pontefice Niccolò V lo animò a compirlo. Il codice delle Vite da lui compilate conservasi nella Vaticana , e ne ragiona fra gli altri l’eruditissimo monsig. Domenico Giorgi (Vit. Nicol. V, p. iy8). [p. 465 modifica]SECONDO Io non farò pure che un cenno di Francesco da Castilione teologo fiorentino, lettore e decano di quella università, canonico di S. Lorenzo, e piovano di S. Appiano in Valdelsa nella diocesi di Firenze. Egli ancora si occupò non in formare un corpo di Vite de’ Santi, ma nello scriverne alcune, e fra le altre quella di S. Antonino arcivescovo di Firenze, con cui avea vissuto oltre a otto anni. Copiose notizie intorno a questo pio e dotto scrittore, degno scolaro di Vittorino da Feltre, si posson vedere presso Apostolo Zeno (Diss. voss. t. 1, p. 362, ec.) che coll’usata sua esattezza di lui ragiona, e dell’opere da lui composte. Aggiugnerò solamente ch’ei fu amicissimo ancora di Girolamo Agliotti abate benedettino, di cui abbiamo molte lettere a lui indirizzate (l. 3, ep. 18, 20, 38, 46; l. 4, ep. 19, 47 J /• 5, ep. 11, ec.), da una delle quali veggiamo (l. 5, ep. 58) che Francesco avea ancora scritta la Vita di Cosimo de’ Medici, il padre della patria, di cui niun fa menzione. Si posson leggere inoltre le diligenti notizie che ci dà il ch. sig. Giangiuseppe Liniti (Notiz. de* Letter. del Friuli, t. 1, p. 365) di Jacopo da Udine autor di alcune operette, e fra le altre della Vita della beata Elena da » Udine; giacchè non è mia intenzione l’annoiare i lettori colf andare minutamente cercando di tutti gli scrittori^di qualche Vita, de’ quali potrei tessere un lungo, ma in quest opera importuno, catalogo.

XXXII. Maggior nome ottenne in questo genere di fatiche Bonino Mombrizio. L’eruditissimo dottor Sassi ha diligentemente raccolte Tiuaboscui, Voi. VII. 3o [p. 466 modifica]466 LIBRO tutte le notizie che gli è stato possibile di ritrovare intorno a questo indefesso scrittore, e ognun può vederle presso lui accuratamente distese (Hist Typogr. medioL p. 146, ec.)• hi hi P‘*r qualche tempo professor d1 eloquenza in Milano, amico di tutti gli uomini a quel tempo più celebri per sapere, nobile di nascita, ma povero di sostanze, e combattuto dall’avversa fortuna, che non gli permise di giunger vivendo a quella fama che ben gli era dovuta. Molte delle altrui opere procurò che fossero pubblicate, e a molte premise suoi epigrammi. Molto ancora egli scrisse in versi latini , e fra le altre cose un poema in cinque libri diviso sulla Passione del Redentore, oltre alcuni altri che si conservano manoscritti. Dotto ancora nel greco, recò in versi latini la Teogonia d’Esiodo , che si ha parimente alle stampe, oltre più altre pruove che del suo ingegno e dell’indefesso suo studio lasciò a’ posteri , delle quali si può vedere il catalogo presso f Argelati 13ibi. Script mediol. t. 2 , pars 1 , p. 939(), ec.j pars 2, p. 2007). Questo scrittore, colf autorità di Donato Bossi, ne stabilisce la nascita nel 14a4 e *1 Sassi crede congetturando che morisse circa il 1482. Le Vite dei Santi da lui raccolte son P opera che presso i posteri ne ha renduta più celebre la memoria. Ei non prese già a copiare le Vite che altri ne aveano scritto, ma si diede con somma fatica a ricercare nelle biblioteche gli atti antichi dei Martiri, primo fra tutti a intraprendere un sì pregevol lavoro, e inoltre con sì scrupolosa esattezza li diede in luce, [p. 467 modifica]SECONDO 4D7 che per fin ne ritenne gli errori de’ copisti, come osserva il gesuita Bollando (praef. ad Acta SS. p. 21). La mancanza, in cui allor si viveva, de’ lumi e dei monumenti a una saggia critica necessarj, fu cagione che a molti atti sinceri, molti se ne aggiugnessero apocrifi o supposti. Ma ciò non ostante sarà sempre degno di gran lode il Mombrizio per avere battuta il primo la via che è la sola che ci possa condurre alla scoperta del vero, cioè la ricerca degli antichi monumenti; e molti degli atti da lui pubblicati sarebbono forse irreparabilmente periti, se la diligenza di questo laborioso scrittore non ce gli avesse serbati. Ei pubblicò la sua opera in due gran tomi in . foglio; e l’edizione n’è per ogni riguardo magnifica. Essa non ha nota di anno e di stampatore; ma è certo che fu stampata in Milano, e l’epigramma da lui premesso , con cui la offre al celebre Cicco Simonetta, ci mostra ch’ella vide la luce in un di quegli anni in cui questi fu arbitro degli affari di quello Stato. Nè deesi tacere il nome di due editori di Martirologi , amendue agostiniani, il primo de’ quali, cioè Bellino da Padova, pubblicò nel 14t)8 in Venezia il Martirologio romano, il secondo, cioè Bartolommeo da Palazzuolo, diede alle stampe in Pavia l’anno 1487 il Martirologio di Usuardo da sè emendato ed accresciuto.

XXXIII. La storia degli Ordini religiosi non ebbe in questo secolo molti nè molto famosi scrittori, e assai poco è ciò che in questo genere si ha alle stampe. Una breve Cronaca del Monastero di S. Andrea di Mantova dal 1017 [p. 468 modifica]468 LIBRO lino al 141 ^? scritta da Antonio Ncrli, è stata pubblicata dal Muratori (Script. Rer. ital. vol. 24, p. 1069) per tacer d’altre simili cronichette di poco nome. Tra que’ dell’Ordine di S. Domenico io non farò menzione che di Giovanni di Carlo fiorentino di patria, autor delle Vite di alcuni suoi correligiosi celebri per santità, che furon poi pubblicate da Leandro Alberti. Esse si annoverano distintamente da’ PP. Quetif ed Echard (Script. Ord. Praed. t. 1, p. 898, ec.), i quali fanno ancora menzione di qualche altra opera da lui composta. Secondo essi, Giovanni, nato circa il f*1 scolaro di Cristoforo Landino. Ma il ch. canonico Bandini ne fissa (Specimen. Hist.. li ter. FlorenL t. 1, p. 189, ec.) più precisamente la nascita al 1428, e dice che prima egli erasi arrolato tra’ Cisterciensi, da’ quali poscia, a persuasione del Cardinal Domenico Capranica, passò a’ Predicatori. Del che però non veggo quai pruove da lui si arrechino. Ei riflette ancor saggiamente che l’età a cui egli visse, difficilmente potè permettergli di esser discepolo del Landino, il quale a un dipresso gli fu coetaneo, e che se egli il cliiafna talvolta suo maestro, dee credersi da lui usata questa parola sola a spiegare la stima in cui avealo. Ei finalmente ci ha dato un catalogo ancor più diffuso delle opere di questo dotto e pio religioso, delle quali molte si conservano manoscritte nel convento di Santa Maria Novella in Firenze. L’anno in cui Giovanni morisse, non è ben certo, fissandosi da alcuni il 1500, da altri il 1503. Poco parimente ci si offre nella Storia dell’Ordine [p. 469 modifica]SECONDO 4&) de’ Minori; intorno a cui accennerò solamente quel Martino fiorentino rammentato dal padre Negri (Script fiorent. p. 597), autor di un Fascetto di Cronache del suo Ordine fino al 1486, che non ha mai veduta la luce. Già abbiam veduto che Ambrogio da Cora agostiniano scrisse degli Uomini celebri del suo Ordine; e una Storia delle cose illustri operate per otto secoli da’ religiosi di esso avea parimente scritta F. Mariano da Genazzano, famoso predicatore di questi tempi, di cui altrove dovrem ragionare; ma non si sa che sia di essa avvenuto. Paolo Olmi bergamasco, prima canonico in patria, poi agostiniano della Congregazione di Lombardia, onorato in essa di varie cariche, e di quella ancora di vicario generale, e morto nel 1484 oltre le Vite di alcune Serve di Dio, mentovate dal Zeno (Diss. voss. t. 2, p. 47 , ec.), pubblicò ancora nel 1479 in Roma un' Apologia del suo Ordine. Finalmente Paolo Atta vanti dell1 Ordine de1 Servi di Maria. oltre qualche altro libro alla storia del suo Ordine appartenente, scrisse un Dialogo latino intorno all1 origine del medesimo, il qual però non fu dato alle stampe che nell'anno 1727 in Parma. Ma di questo scrittore ci riserbiamo a parlare ove tratteremo dell’indole dell1 eloquenza sacra, e degli oratori di questo secolo. Noi dobbiamo ora passare a ragionar di coloro che hanno illustrato scrivendo qualche parte più interessante della storia ecclesiastica (*). (*) La Congregazione de’ Canonici regolari di S. Salvadore ebbe essa ancora e uno storico c un apo’ogista [p. 470 modifica]470 LIBRO , XXXIV. E vuoisi prima d’ogni altro far menzione del Platina celebre per la Storia de’ Papi el11 egli ci ha data. Apostolo Zeno ne ha esaminata diligentemente la vita (Diss. voss. L 1, p. 242, ec.), e ha provato con indubitabili monumenti che Bartolommeo, e non Batista, come altri hanno creduto, ne fu il nome proprio) che fu natio di Piadena terra del Cremonese , e che da essa ei volle prendere il nome più clic dalla paterna famiglia, elv era de’ Sacelli. Rafaello Volterrano osserva che tardi ei si volse alle lettere, avendo prima per qualche tempo portate farmi: eo admiratione il igni or, quod jam prova ta aitate, ac tirocinio posito, qnod tot 11111 militine prius tradiderat, li te ras didicit (CommenL Urnan. I. 21). Probabilmente fece in Mantova i primi suoi studi sotto Vittorino da Feltrej e me lo persuade il riflettere el11 egli assai valoroso in Agostino da Mantova , di cui nella libreria de’ Canonici stessi in Bologna si conservano diverse opere mss. su tale argomento, come un trattato de Origine et p-ng reseti Canonici Ordinis Epitome et Commentarii, gli Annali della stessa Congregazione dall’anno 1 (08 fino all’anno 1434 due opuscoli apologetici in occasione della contesa da noi accennata tra’ Canonici regolari e i Romitani di S. Agostino, uno de’ quali ha per titolo: Apologia sub nomine Fratris Jacobi Philippi Ord. Eremit. Supplementi A itelo ris, ad versus calnmnias Ticinens’s; l’altro Apologeticus liber pro eadem sua Congregatione adversus calumniatores, con alcuni altri trattati di somigliante argomento. Sulla fine poi di questo medesimo secolo, cioè nel 1499, Pietro Micheli veneziano cominciò a scrivere un’altra Cronaca dello stesso suo Ordine, la qual conservasi ms. nella libreria Farsetti in Venezia (Bib. MS. Farsetti, p. 4)* [p. 471 modifica]SECONDO 471 scrisse la |Vita di quell1 insigne professore, la quale conservasi in un codice della Vaticana, come avverte il ch. sig. don Jacopo Morelli nelle sue note al Dialogo del Prendilacqua (p 35) da noi altre volte citato. Ne può nondimeno risvegliar qualche dubbio il silenzio del medesimo Prendilacqua , che annoverando molti de’ più famosi discepoli di Vittorino, non fa motto del Platina (*). Una lettera di Francesco Filelfo (l. 13, ep. 37) ci mostra che nel 1456 ei fu, benchè se n’ignori il motivo, a Milano, e che di là tornossene a Mantova. Ivi conosciuto dal Cardinal Francesco Gonzaga passò con esso a Roma, ove da Pio II fu aggregato al collegio degli abbreviatori da lui eretto. Del qual impiego è probabile che fosse debitore al Cardinal Jacopo degli Ammanati, a cui egli scrisse raccomandandosi caldamente, perchè gli ottenesse qualche sollievo nella sua povertà (Jacob. Papiens. ep. 38). Abbiamo altrove veduto a quai disastri e a quali vicende fosse il Platina esposto a’ tempi di Paolo II, sì per (*) Il P. maestro Vairani dell' Ordine de’ Predicatori lia pubblicate di fresco alcune opere inedite del Platina (Cremonensium Monumenta, Romae 1778, pars 1), cioè la Vita di Vittorino da Feltre, nella quale egli dice di avere avuto a suo maestro non già il medesimo Vittorino, ina Ognibenc da Lonigo , molte lettere da lui scritte in tempo della sua prigionia, e quelle che a lui rispose Rodrigo Sancio di Arevaio di Castel S. Angelo e vescovo di Culahorra, la disputa tra lui e il suddetto Rodrigo tenuta sulla pace e sulla guerra, un1 Orazione latina in lode delle Belle Arti, e la traduzione dal greco in latino dell’opuscolo di Plutarco de Ira scdatida. [p. 472 modifica]472 LIBRO 10 scioglimento da lui ordinalo del suddetto collegio, sì per la tempesta che contro l’Accademia romana, di cui il Platina era membro , si sollevò (a). Abbiamo detto ancora dell1 onorevol compenso de’ mali sofferti , che diede al Platina il pontefice Sisto IV, col dargli di che vivere agiatamente, e col nominarlo custode della biblioteca Vaticana, la qual carica egli tenne dal i (70 fino al 14di, in cui finì di vivere, contando , come si afferma dal suddetto Raiaello Volterrano, sessantanni li eia. Jacopo Volterrano, nel suo Diario pubblicato dal Muratori, racconta di se medesimo (Script. Rcr. ital. co/, a3 , p. 144) dm in nn suo viaggio ei giunse a Piadena nel giorno stesso de’ 21 di settembre del detto anno, in cui il Platina morì in Roma*, e aggiugne die di tal morte fu assai dolente non solo il pollai 3V«*1 parlare delle vicende del Platina nel libro precedente doveasi avvertire che quanto egli ebbe a dolersi di Vianesio Albergati castellano di S. Angelo nel tempo della prima sua prigionia, altrettanto ebbe a compiacersi nella seconda di trovare a lui succeduto il detto Rodrigo Sancio di Arevalo vescovo di Calahorra. Era egli uomo dottissimo , e gran protettore de’ letterati in Roma, come si raccoglie dall-1 elogio che ne fa Niccolò Antonio (Bibl. hisp. vet. s 2 , p. 1941 (.) , il quale ne annovera anche tutte le opere. Molte lettere amichevoli corsero allora tra lui e il Platina, mentre questi col primo sfogavasi sulla infelice sua condizione, e quegli studiavasi di consolarlo con argomenti presi dalla religione e dalla filosofia. Esse non sono state pubblicate dal detto P. Vairani insieme colla Disputa tra lui e il Platina sulla preferenza tra la guerra e la pace111 cui l’Arevalo vuol che si preferisca la prima, il Platina la seconda (Cremonen. Monum, p. 4^, cc.). [p. 473 modifica]SECONlìO 473 tifine, che assai l’amava, ma ancor tutta Roma. Ma degno d’essere letto è il passo con cui lo stesso scrittore descrive l’anniversario che l’anno seguente gli fu celebrato in Roma, non però nel dì della morte, ma, non so per qual ragione, a’ 18 d’aprile. Ecco recato nella volgar nostra lingua ciò ch ei ne dice (l. cit.p. 171): Si celebrò l’anniversario del Platina giovedì al 18 del detto mese (d’aprile) nella basilica di Santa Maria Maggiore per ordine di Demetrio da Lucca allievo del medesimo Platina, e vi intervennero invitati quasi tutti gli eruditi, tra’ quali alcuni prelati, altri perchè già amici del Platina, altri perchè bramosi di far cosa grata a Demetrio. Celebrò la messa t. eruditissimo padre... vescovo di Venti mi glia dell’Ordine di S. Agostino (a), c terminata essa, e. finite le cerimonie , che si costumano intorno al sepolcro, arso V incenso, sparsa l'acqua benedetta , c deposte le vesti sacre, Pomponio romano capo della società letteraria, e uomo dottissimo, salì sul pulpito della basilica, c recitò l'orazion funebre in lode del defunto; la qual poscia ci pubblicò più elegante ancora, che non aveala detta. Dopo lui recitò dallo stesso pulpito un’elegia Astreo da Perugia poeta , di cui fu assai lodata l’azione, c i versi (a) O è guasto il testo r!cl Volterrano pubblicato dal Muratori, o lo tradì la memoria nello scrivere questo passo: perciocchè è certo che allora era vescovo di Ventimiglia non un Agostiniano, ma un Domenicano, cioè Gin 111 batista dal Giudice del Finale di.Genova; di cui fanno menzione l’Ughelli e i PP. Quetif ed Echard. [p. 474 modifica]4y4 libro parvero elegantissimi. Solo fu biasimato che un uomo secolare, che non avea nè abito nè divisa alcuna, di religioso, nella chiesa della Madre di Dio subito dopo la Messa ardisse di recitar versi, eleganti bensì, ma non convenevoli alla cattolica Religione, e indegni di quel tempio sì sacrosanto. Li orazion di Pomponio fu religiosa e piena di sentimenti gravi, e tanto più lodata , quanto più maestosa del verso vien creduta la prosa. Si passò poi al banchetto, che lo stesso Demetrio avea magnificamente e lautamente imbandito a tutti coloro che invitati, erano intervenuti a quella cirimonia. Esso fu apparecchiato sul colle Esquilino in quella casa medesima che il Platina avea da’ fondamenti innalzata , e che ora possiede il cardinale di San Grisogono vescovo di Recanati, nipote del pontefice, il quale 1’ ha comperata dagli eredi del Platina. Fra le vivande moltissimi versi si recitarono dai convitati, ognun de’ quali cercò di lodare , come meglio poteva, il defunto; e Demetrio li raccolse poi tutti in un solo volume per rendere, quest onore al Platina morto, cui in vita avea sempre onorato. Se alcun vedrà questo libro, conoscerà gli autori de’ versi, e giudicherà degni di lode e. di stima gli ingegni del tempo nostro. Questi versi si veggono aggiunti comunemente alle opere del Platina , e gli autori ne sono Prospero Spirito da Viterbo, Carlo Berardi da Cesena, Manilio Rali, Bartolommeo Aristofilo , Antonio Miliziano , Giambattista Almadiano da Viterbo, P. Francesco Amerino , Sigismondo da Foligno, Lippo Brandolini, Lodovico Lazzarelli, e C. Lorenzo [p. 475 modifica]SECONDO 4^5 Euslocliio segretario della Repubblica veneta , tutti membri della famosa accademia di Pomponio Leto.

XXXV. E veramente fu il Platina uno de’ più dotti uomini che allor vivessero. Le Vite de’ romani Pontefici da lui scritte, delle quali singolarmente qui dobbiamo parlare, oltre l’esser distese con eleganza e con energia di stile per que’ tempi non ordinaria, cominciano ancora a darci qualche esempio di buona critica. Egli spesso esamina, dubita, congettura. Cita monumenti antichi, rigetta gli altrui errori. Ne commette egli ancora parecchi, principalmente ne’ tempi antichi. Ma qual maraviglia, se essendo il primo, per così dire, il quale abbia ardito di sospettare che gli altri scrittori si fossero ingannati, siasi talvolta lasciato trasportare dalla corrente? Si vede che egli talora conosce il vero, ma non osa dichiararlo liberamente. Veggasi, a cagion d’esempio, com’egli parla della papessa Giovanna (in Jeanne I III). Racconta il fatto come raccontasi da altri, e come allor si credeva comunemente, e poscia così conchiude: Haec. quae dixi, vulgoferuntur, incertis tamen etobscuris auctoribus, quae ideo ponere breviter et nude institui, ne obstinate nimium et pertinaciter omisisse videar, quod fere omnes affirmant Erremus etiam nos in hac re cum vulgo, quamquam apparet ea, quae dixi, ex his esse, quae fieri posse creduntur. Quindi possiamo a giusta ragione inferire che se il Platina fosse vissuto a tempi migliori, sarebbe stato un perfetto ed esattissimo storico. Ciò che non gli si può perdonare, si è la k [p. 476 modifica]47* LIBRO malignità e il livore con cui ad ogni occasione ragiona ora generalmente de’ pontefici de’ suoi tempi, ora nominatamente di Paolo II, cui egli intende di mordere, ancor quando nol! nomina. Era troppo profondamente impressa nel cuor del Platina la prigionia, a cui due volte, come altrove si è detto, l’aveva quel pontefice condennato. Ma ei sarebbe stato più degno di lode, se avesse con una saggia moderazione scritto di quel medesimo papa, da cui dolevasi di aver ricevuto sì gravi offese. La Vita di Paolo II è l’ultima di quelle che furono scritte dal Platina. Alcuni il fanno ancora autore di un frammento di Vita di Sisto IV, pubblicato dal Panvinio, e poscia dal Muratori (Script. Rer. ital. t. 3 , pars 2, p. 1053), il quale lascia questo punto indeciso 5 e forse non vi ha ragione nè ad affermarlo , nè a negarlo (a). Molte altre opere abbiamo di questo dotto ed indefesso scrittore, tra le quali parecchie appartengono a filosofia morale, come i dialoghi De falso et vero bono, e quelli Contra amores, De vera nobilitate, e De optimo cive: altre son lettere agli amici, e orazioni dette in diverse occasioni; altre son di argomento storico, come la Storia di Mantova, di cui diremo altrove, la Vita del Cardinal Giambatista Mellini, che leggesi nell1 opera del Ciaconio, (quella di Neri Capponi, pubblicata dal Muratori (ib. vol. 20, p. 479)? c quella (a) A credere d Platina autore del frammento della Vita di Sisto IV, si oppone il nominar che fa l'autor di essa come s.io precettore Giovanni Argiropulo (l. cit. p. 10^), il « he è difficile a spiegare come si possa intender del Platina. [p. 477 modifica]SECONDO 477 inedita di Vittorino da Feltre da noi mentovata poc’anzi. Finalmente egli scrisse ancora di cucina e di cibi, la qual opera or è intitolata De natimi re ri un, or De obsoniis, or De /innesta volup tate, or De tuenda valetudine, diversi titoli di un’opera sola, da alcuni falsamente divisa in due, o tre. Intorno a questa e ad altre opere del Platina veggansi l’Oudin (De Script, eccl. t. 3, p. 2683), il Fabricio (Bibl. med. et inf. Latin, t. 5, p. 303), e il soprallodato Apostolo Zeno.

XXXVI. Nello stesso argomento si esercitò verso il tempo medesimo Jacopo Zeno veneziano, nipote di quel Carlo Zeno celebre general veneziano, da noi mentovato altre volte, vescovo prima di Belluno e di Feltre, poscia nel 1459 trasferito alla chiesa di Padova, ove morì nel 1481. Di lui pure ha trattato colla consueta sua esattezza l’eruditissimo Apostolo Zeno (Diss. voss. t. 2, p. 126, ec.), e più ampiamente il P. degli Agostini (Script. venez. t. 1, p. 194)) a’ quali perciò io rimetto chi ne brami più copiose notizie. Essi riferiscono ancora l’elogio che ne formò Gregorio Merula, dedicandogli nel 1472 la prima edizione di Plauto; nel quale il veggiam lodato conte dottissimo nel Diritto canonico, fonte e tesoro di tutta la sacra letteratura, e quasi autorevole oracolo, fatto arbitro di qualunque quistione insorgesse. Questo elogio può bastare a ribatter la maldicenza del Poggio, che pieno, non so perché, di mal talento contro di Jacopo, ne lacerò il nome con un’amara invettiva, la quale conservasi per testimonianza di Apostolo Zeno nella biblioteca [p. 478 modifica]478 LIBRO Soranzo in Venezia. Oltre di che il riflettere che Vespasiano fiorentino di lui pure scrisse la Vita, tra quelle poche ch’egli distese degli Uomini più celebri del suo tempo (Mehus, praef. ad Vit. Ambr. camald. p. 97 , 98) , ci fa vedere qual concetto si avesse di questo vescovo. Egli adunque avea preso a scrivere le Vite de’ Papi, e il Cardinal Jacopo degli Ammanati congra lui ossi con lui di sì lode voi disegno (ep. a.jri). Ma o perchè il prevenisse la morte, o per altro qual che si fosse motivo , ei non giunse scrivendo, che a’ tempi di Clemente V, morto nel 1314* Quest’opera non è mai stata data alla luce, ma se ne ha copia nella Vaticana e nella Ghigiana, e ne parlano spesso i PP. Enschenio e Papebrochio nel lor Propileo delle Vite de’ Papi. Dagli stessi continuatori degli Atti de’ SS. è stata pubblicata la Vita che questo vescovo scrisse del cardinale Albergati (Maii, t. 2, p.469). Di lui abbiamo finalmente la Vita di Carlo Zeno suo zio, da noi rammentata altre volte, e alcune orazioni inedite, delle quali veggansi i detti autori. A queste storie generali si debbon aggiunger le \ ite di alcuni de’ pontefici di questo secolo, come quelle di Niccolò V, scritte da Giannozzo Manetti e da Vespasiano fiorentino, quelle di Paolo II, scritte da Michele Canesio e da Gasparo di Verona, e altre, delle quali (facciam frequente menzione nel decorso di questo tomo.

XXXVII. Molto parimente giovò alla storia ecclesiastica Agostino Patrizi sanese di patria, del qual pure ha accuratamente trattato il poc’anzi accennato Apostolo Zeno (Diss. voss. t. 3,p. 96). [p. 479 modifica]SECONDO 4/9 Egli ha corretto e confutato l’errore di molti, che di un sol personaggio ne han fatti due, cioè un Agostino Patrizi canonico di Siena, e un altro segretario del cardinale degli Ammanati e poi vescovo di Pienza; mentre realmente non fu che un solo. Avea in Siena avuto a suo maestro ne’ Canoni Fabiano Benci celebre professore, di cui poi scrisse la Vita pubblicata dal P. Mabillon (Museum Ital.p. 96, ec.). Pio II il prese nell’anno 1460 a suo segretario; e poichè questi fu morto nel 1464, il sopraddetto Cardinal degli Ammanati lo volle presso di sè nel medesimo impiego, e seco il condusse nella legazion d’Alleili agna Tanno 147* di cui poscia scrisse la Storia. Il principio di essa è inserito tra le Lettere del cardinale suddetto, e tra gli Scrittori delle cose germaniche del Frehero (t 2, p. 251). Il restante, che è inedito, si conserva nella Vaticana. Egli era al tempo medesimo maestro di cerimonie del pontefice Paolo II, e in tal grado trovossi presente alla solenne entrata in Roma delTimperador Federigo III, l’anno 1468 , della quale ancora scrisse la Storia, data alla luce prima dal Mabillon (l. cit. p. 256), poscia dal Muratori (Script Rer. it. vol. 23 , p. 203). Questo impegno diede occasione al Patrizi di intraprendere la correzione e la pubblicazione del Pontificale romano, in cui molti aiuti egli ebbe da Giovanni Burcardo, che fu poi vescovo d’Orta, e da Jacopo Lucio vescovo di Caiazzo, e che fu stampato in Roma nel 1485. La stessa fatica egli intraprese per comando d’Innocenzo VIII, intorno al Cerimoniale romano, il qual però non fu [p. 480 modifica]48o LIBRO pubblicato che l’anno i5i6, e diede occasione a una calda contesa tra Paride de’ Grassi cerimoniere di Leon X e vescovo di Pesaro, e Cristoforo Marcello arcivescovo di Corfù. Ma essa non appartiene nè al Patrizi, nè a’ tempi di cui scriviamo, e io lascio perciò, che ognun ne vegga il racconto presso il Zeno. Frattanto da Sisto IV era stato il Patrizi eletto vescovo di Pienza e di Montalcino nel 1483. Non sembra però, di’ egli perciò si partisse da Roma, ove anche morì nel 1496. L’opera con cui egli ha più giovato alla Chiesa e alle lettere, è la Storia e la collezione degli Atti de’ Concilj di Basilea e di Firenze, per cui egli si valse singolarmente di due gran volumi contenenti le Memorie di quel primo concilio, scritte da Giovanni di Segovia , che vi era intervenuto, e della Storia che di parte di esso avea scritta il Cardinal Domenico Capranica. Quest’opera del Patrizi fu pubblicata prima dal Labbe (Concil. t. 12, p. 1488, ec.) , e poscia dagli altri editori de’ Concilj, e il Zeno ne rammenta ancora qualche codice a penna. Finalmente si ha del Patrizi qualche altra opera manoscritta, e due singolarmente intorno alla Storia di Siena sua patria, intorno alle quali veggasi il sopraccitato scrittore (a). (7) Agostino Patrizi non fu nel 1460 nominato segretario, ma solo amanuense di Pio II, da cui nel i4^ + al 1 di aprile fu promosso »11* impiego di abbreviatole; c a’ 19 di gennaio del 484* e 1,0,1 nei (483, tu latto vescovo di Pienza; come ha osservato l’eruditissimo abate Marini, il quale ancora ragiona ili un Apologia delle azioni di Pio II , biasimate in più luoghi dallo [p. 481 modifica]SECONDO 48* XXXvm. A questo luogo appartiene per ultimo un’opera di Bonifazio Simonetta da lui intitolata: De Christianaefidei et Romanorum Pontijìcwn pcrsecutionibus 1 e stampata in Milano nel 149Belle e copiose notizie intorno a questo scrittore ci ha date l’eruditissimo dottor Sassi (Hist Typogr. mediol p. 343, ec.), e dopo lui l’Argelati (Bibl. Script, mediol. t. 2 , pars 2, p. 2160). Egli era nipote del celebre Cicco Simonetta e di Giovanni lo storico di lui fratello. Nato nella Puglia, mentre ancora fanciullo tragitta il mare per andarsene a Venezia , fu fatto prigion da’ corsari, dalle cui mani fu liberato per opera di un altro suo zio di nome Antonio, che allora era in magistrato in Ancona. Entrò nell’Ordine cisterciense, e sì per l’auge in cui era allora la sua famiglia in Milano , sì pe’ suoi meriti stessi, per opera del duca Francesco Sforza ottenne la badia di S. Stefano del Corno nella diocesi di Lodi. Nella rivoluzione sì funesta a Cicco suo zio e alla sua famiglia, ritirossi Bonifazio a Roma, ove fu onorevolmente ricevuto dal Cardinal Giambattista Cibo, che fu poi papa Innocenzo VIII. Un’altra sventura gli si aggiunse al tempo medesimo , perciocchè il Po alzandosi furiosamente innondò per modo i terreni e le case della sua badia, che rovinolla quasi da1 fuuslorico Giovanni Simonetta, che dal Patrizi Iti stesa, c die voleva stamparsi, ma rimase inedita, per opera «lei segretario ducale Bartolommeo Calchi (Degli Archiatri puntif. l. 2, p. iti5). Tiraboschi , Voi VII. [p. 482 modifica]damenti. Fattaglisi nondimeno di nuovo più propizia la sorte, e ritornato a Milano, giunse a vedere la sua badia rifabbricata con non ordinaria magnificenza, e ne godè fino agli ultimi anni di sua vita, la qual non sappiamo fino a quando durasse. L’opera or ora accennata è scritta in un modo singolare, e di cui forse non troverassi altro esempio. Ei prende a descrivere lo stato in cui trovossi la Chiesa, e le persecuzioni e i danni ch’ebbe a soffrire sotto ciaschedun de’ pontefici, de’ quali ragiona, da S. Pietro fino ad Innocenzo VIII. Ma temendo quasi annoiare i lettori col seguito della Storia, la interrompe ad ogni passo, e v’inserisce 279 lettere indirizzate a’ più dotti uomini di quel tempo, nelle quali tratta di diversi punti or di storia sacra, or di profana, or di mitologia , or di gramatica , or di anatomia, ora di medicina, or di fisica, or d’altri argomenti; talchè pare che in esse egli abbia preteso di mostrarsi dottissimo in ogni sorta di scienza. E certo ci si scuopre uomo eruditissimo per quella età, e pieno di cognizioni, e talvolta vi s’incontra ancor qualche lume di buona critica; ma vi si scorge al tempo medesimo la rozzezza del secolo, e il difetto a quei tempi comune di una erudizione importuna, che sfoggia in citazioni e in nomi d’autori, chiunque essi sieno, e raccoglie con la stessa premura l’oro che il fango. Ei dedicò la sua opera a Carlo VIII re di Francia, e nella dedica afferma di aver ciò fatto per volere di Lodovico il Moro, il quale probabilmente volle con ciò acquistare grazia presso quel principe pe’ fini [p. 483 modifica]da noi altrove indicati. L'Argelati accenna ancora alcune altre operette da Bonifazio composte, e allor date alle stampe, oltre qualche altra che sembra esser perita.