Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VI, parte 1, Classici italiani, 1824, VII.djvu/520

5o4 LIBRO vi cu dotto (Dott. bologn. di Teol., ec. p. 147) Niccolò di Pietro da Romegia, detto anco dalla Fava. Ei ne fissa il fiorire circa il 140 t. j dice che fu lettore di logica, di filosofia morale e naturale , e di medicina , e che avea di stipendio mille lire annue, somma a quei tempi assai ragguardevole. Aggiugne che fu spedito da’ Bolognesi ambasciadore al papa nel 1430 e nel 1435, e poscia ad altri principi ancora. Del che però io non trovo menzione nell’antica Cronaca italiana di Bologna, ove pure si parla di cotali ambasciate, e si nominano gli ambasciatori. ma fra essi non vedesi Niccolò. Egli era amico) di Francesco Filelfo, e due lettere che questi gli scrisse nel ì \ j.S (Li, cp. 29, 38), ci scuopron la stima in cui egli lo avea, e ci mostrano che Niccolò era assai versato nell’opere d’Aristotele, c eh ’ei possedeva ancora la lingua greca. Giovanni Garzoni, da noi poc’anzi citato, ne fa un magnifico elogio: Qui vir, Dii invnnrtales! die’ egli (De Dignit. urbis Bon. Script. rer. ital. vol. 21 , p. 11 (54), quanta Philosophia excultus fuit! Quam subtilis disputatori Soggiunge poscia che alcuni invidiosi lo biasimavano, perchè nulla avea scritto, a’ quali ei risponde che lo stesso fecero Pitagora, Socrate e molti altri egregi filosofi, e conchiude narrando la lite, da noi già accennata , che fu un giorno fra lui e Paolo Veneto l’Agostiniano. Di esso pure, come si è detto, ragiona Benedetto Morando scrittor di quei tempi, il quale racconta (De Bon. laudib. Orat, p. 5) che in una disputa eli’ egli ebbe col medico Ugo Benzi, riscaldossi per modo. che